Malattie Infettive: Introduzione PDF

Summary

Questo documento fornisce un'introduzione alle malattie infettive, coprendo l'evoluzione, le cause, la classificazione dei microrganismi patogeni, e il rapporto tra ospite e patogeno. Include la discussione sui meccanismi di difesa dell'organismo e le diverse modalità di trasmissione. Inoltre, descrive le definizioni epidemiologiche e i metodi di diagnosi.

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INFETTIVE 1: INTRODUZIONE Le malattie infettive: - Hanno indirizzato l’evoluzione genetica del genere umano - Sono state la principale causa di morte fino al 1950 - Restano una grossa fonte di morbosità e mortalità nei paesi non occidentali Per malattia infettiva si intende un even...

INFETTIVE 1: INTRODUZIONE Le malattie infettive: - Hanno indirizzato l’evoluzione genetica del genere umano - Sono state la principale causa di morte fino al 1950 - Restano una grossa fonte di morbosità e mortalità nei paesi non occidentali Per malattia infettiva si intende un evento morboso sostenuto da microrganismi o dai prodotti dei microrganismi: tali prodotti possono essere, ad esempio, le tossine (es. tossine che provocano il tetano o il botulino). I microrganismi possono essere di 5 tipi: - Virus - Batteri - Miceti - Protozoi - Elminti La malattia infettiva può essere di 2 tipi, a seconda che colpisca l’ospite immunocompetente o immunocompromesso. - Ospite immunocompetente: per dare infezione nell’ospite sano, il microrganismo deve essere o Patogeno: capace di dare malattia. o Invasivo: capace di sorpassare le barriere di difesa e il sistema immunitario. o Tossigeno: capace di produrre tossine. o Virulento: capace di dare una malattia più o meno grave. - Ospite immunocompromesso: l’ospite immunocompromesso può presentare o Deficit immunitario (dell’immunità anticorpale o cellulo-mediata) o Alterazione della funzione di un organo o Alterazione del microbiota o Alterazione delle barriere anatomiche (es. ferita della cute) NB. Più un microrganismo è contagioso, più alta deve essere la percentuale di soggetti vaccinati: la frazione protettiva, infatti, è funzione della virulenza del microrganismo. ospititi non suscettibili Frazione protettiva = ospiti totali La vaccinazione protegge dalla virulenza. 1. RAPPORTO UOMO-MICRORGANISMO Solo una piccola parte dei microrganismi con cui l’uomo entra in contatto quotidianamente determina l’evento morboso e, anzi, molti microrganismi sono diventati utili per il nostro organismo, che è formato più da batteri che da cellule umane: si stimano 37.2 miliardi di cellule proprie e circa 100 miliardi di cellule batteriche. Le sedi più cariche di batteri sono: pelle, tratto GI (soprattutto il cavo orale, che rappresenta la zona più ricca di batteri in assoluto) e tratto urogenitale. NB. L’alterazione del microbiota è responsabile di diverse patologie, non solo di tipo infettivo. Dopo il contatto, il microrganismo si localizza solitamente a livello della superficie corporea e la colonizza: in alcuni casi può superare le barriere di difesa e moltiplicarsi, determinando un’invasione e disseminazione attraverso il torrente circolatorio. Interviene allora il sistema immunitario, attraverso infiammazione e risposta immunitaria. Nella maggior parte di casi il patogeno lascia l’ospite, in altri casi può dare malattia o addirittura portare a morte; inoltre, alcuni microrganismi possono restare latenti per tutta la vita e riattivarsi solo in determinate situazioni (es. Herpes, HBV). Nell’evoluzione del contatto tra microrganismo e ospite intervengono diversi fattori: - Variabili relative al microrganismo o Patogenicità: capacità di dare malattia. o Virulenza: capacitò di dare una malattia più o meno grave. o Invasività: capacità di superare i meccanismi di difesa (barriere anatomiche, immunità innata e immunità adattativa). o Tossinogenesi: capacità di produrre tossine. o Carica infettante: variabile in base al tipo di microrganismo (es. il colera richiede una bassa carica infettante, a differenza del tifo). - Variabili relative al macrorganismo o Sesso o Età: le fasce di età più a rischio per una malattia infettiva sono quelle agli estremi, ovvero i primi due anni di vita e l’anzianità. Il bambino ha un sistema immunitario immaturo (per i primi 6-12 mesi si avvale dell’immunità acquisita dalla madre per via placentare), mentre l’anziano ha un sistema immunitario meno competente. ▪ La malattia contro cui è fondamentale proteggere il nascituro tramite la vaccinazione della madre è la pertosse, in quanto determina gravi ostruzioni delle vie respiratorie. Altre vaccinazioni importanti per la donna in gravidanza sono quelle contro l’influenza e il tetano. o Ciclo riproduttivo femminile o Stato di nutrizione: il soggetto obeso è più a rischio per molte malattie infettive. o Fattori genetici (es. l’anemia mediterranea/talassemia protegge dalla malaria). o Stato delle difese immunitarie: una bassa variabilità genetica è un fattore di rischio per le malattie infettive: Africani, Europei e Asiatici hanno addirittura 30-40 loci del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC), mentre le popolazioni più chiuse, come i Polinesiani, ne hanno meno della metà. In generale, si distinguono 3 tipi di rapporto tra microrganismo e ospite, che classificano i microrganismi come: - Simbionti: microrganismo e ospite traggono vantaggio reciproco dalla relazione (es. microbiota). - Commensali: l’ospite non trae alcun vantaggio, mentre il microrganismo si replica senza provocare danno (es. Staphylococcus epidermidis). Il microrganismo commensale può diventare patogeno nell’ospite immunocompromesso. - Parassiti: l’ospite viene danneggiato dal microrganismo, che sfrutta l’ospite per replicarsi e diffondersi. 2. MECCANISMI DI DIFESA DELL’ORGANISMO 1. Barriera anatomo-funzionale: bisogna sottolineare che anche il microbiota fa parte della barriera. 2. Immunità innata: lisozima, lattoferrina, spermina, antitripsina, proteine infiammatorie della fase acuta e interferone, neutrofili, monociti-macrofagi, cellule NK. 3. Immunità umorale: soprattutto IgA a livello delle mucose. 4. Immunità cellulare: linfociti T e B. 3. FASI DI MALATTIA a. Periodo di incubazione: tempo che intercorre tra l’incontro con il microrganismo e l’insorgenza delle manifestazioni cliniche. Nella maggior parte dei casi il microrganismo è già trasmissibile. b. Periodo prodromico: caratterizzato dall’insorgenza di sintomi e segni generalmente aspecifici. Il sistema immunitario non ha ancora reagito, il microrganismo si replica attivamente ed è altamente trasmissibile. c. Periodo di malattia d. Evoluzione di malattia: ci sono 3 possibili outcome a. Guarigione b. Convalescenza c. Morte 4. MODALITÀ DI TRASMISSIONE Tutte le malattie infettive possono essere trasmesse tramite contatto diretto interumano; oppure, può esserci un contagio indiretto mediato da vettori (animati, principalmente insetti) o veicoli (inanimati, soprattutto acqua o cibo). NB. Medici e operatori sanitari possono essere veicoli di diverse malattie, se non rispettano determinate norme igieniche (lavarsi le mani, cambiare e disinfettare i presidii medico-chirurgico, usare strumenti sterilizzati). 5. DEFINIZIONI EPIDEMIOLOGICHE - Epidemia: si parla di epidemia quando, in un certo periodo, il numero di infezioni supera significativamente il numero stabile della popolazione. - Endemia: presenza di un microrganismo a livelli più o meno costanti in una popolazione. - Iperendemia: persistenza di un livello di infezione superiore a quello endemico. - Epidemia sporadica: caratterizzata da pochi e improvvisi cluster in alcune zone. - Outbreak: manifestazione improvvisa di una malattia in un gruppo limitato di soggetti, in un luogo regionale ben definito e ristretto. - Epizoosi: livello di infezione e di malattia superiore alla norma in una popolazione non umana di vertebrati (es. mucche, cavalli, maiali). - Enzoosi: persistenza dello stesso livello di malattia in una popolazione non umana di vertebrati. - Zoonosi: malattia trasmissibile da animale a uomo (es. brucellosi nei maiali). - Fonte: ambiente da cui proviene l’agente infettivo prima di produrre l’infezione (es. acque contaminate). - Serbatoio: specie animale in cui è presente la malattia prima di trasmettersi all’uomo. - Fomite: agente inanimato con cui il paziente viene spesso a contatto (es. lenzuola, letto, camice). - Portatore: soggetto che ha avuto la malattia e può trasmettere l’agente infettivo, pur essendo guarito. Si può essere portatori sia nella fase di incubazione che nella fase prodromica. - Portatore cronico: soggetto che ha la malattia cronicamente e può continuare a trasmettere l’agente infettivo. - Mortalità: numero di morti per una malattia / popolazione. - Letalità: numero di morti per una malattia / numero di casi di malattia. Molto espressiva della virulenza di una malattia. - Incidenza: numero di nuovi casi di malattia / popolazione esposta al rischio nel tempo considerato. - Prevalenza: numero di soggetti affetti / popolazione considerata. 6. DIAGNOSI DELLE MALATTIE INFETTIVE Gli indici infiammatori e l’emocromo possono dare indicazioni generali, mentre gli esami più specifici sono rappresentati dalla sierologia e dagli esami di biologia molecolare. Di fondamentale importanza è anche l’esame microbiologico per isolare e identificare il microrganismo: l’antibiogramma (o antimicrogramma) indica poi quale trattamento utilizzare. NB. È importante indagare le infezioni dal punto di vista eziologico, non fermandosi alla diagnosi clinica e non abusando della terapia empirica. Si giunge alla diagnosi attraverso i seguenti step: 1. Anamnesi epidemiologica: informazioni riguardanti vaccinazioni, infezioni pregresse, viaggi, esposizione a fattori di rischio. 2. Esame obiettivo: ricerca di segni e sintomi tipici. 3. Esami di laboratorio a. Indici di flogosi: VES, PCR. b. Emocromo: alterazioni della conta dei leucociti, degli eritrociti e delle piastrine. i. Anemia: frequente nelle infezioni croniche. ii. Emorragia: in caso di infezioni intestinali come amebiasi, tifo addominale, epatiti virali croniche, leptospirosi. iii. Emolisi: si associa a infezione da micoplasma e a mononucleosi. iv. Eosinofilia: frequente nelle infezioni elmintiche o nelle reazioni allergiche. v. Linfopenia: in caso di HIV o sepsi. vi. Linfocitosi: in caso di mononucleosi, pertosse, epatiti e sifilide. vii. Piastrinopenia: in caso di HIV ed epatite cronica. viii. Piastrinosi: nella fase finale di un’infezione acuta. c. Sierologia: aumento dei livelli di IgM e IgG. d. Ricerca dell’antigene microbico 4. Conferma microbiologica: esame colturale e antibiogramma. 7. PROFILASSI DELLE MALATTIE INFETTIVE La profilassi può essere: - Aspecifica o Individuale: comprende le norme igieniche. o Collettiva: informazione, raccolta e smaltimento di rifiuti e liquami ecc. - Specifica: consiste nell’immunizzazione. o Attiva: vaccinazione. I vaccini possono essere di vario tipo: ▪ Vaccini a virus vivi attenuati (es. vaccino orale contro la poliomielite): sono quelli più problematici, poiché non possono essere somministrati negli immunocompromessi e nelle donne in gravidanza. ▪ Vaccini a virus uccisi o inattivati ▪ Vaccini a DNA ricombinante ▪ Vaccini a DNA ▪ Vaccini a RNA ▪ Vaccini preparati con tossoidi ▪ Vaccini con nanoparticelle o Passiva: somministrazione di anticorpi nei casi di urgenza. o Chemioprofilassi: utilizzo dell’antibiotico o dell’antiparassitario per evitare l’infezione. 8. BATTERI RESISTENTI: ELENCO DELL’OMS Priorità 1: FONDAMENTALE - Acinetobacter baumannii: resistente ai carbapenemi. - Pseudomonas aeruginosa: resistente ai carbapenemi. - Enterobacteriaceae: resistente ai carbapenemi, produttori di ESBL Priorità 2: ELEVATA - Enterococcus faecium: resistente alla vancomicina. - Staphylococcus aureus: resistente alla meticillina, intermediato e resistente alla vancomicina. - Helicobacter pylori: resistente alla claritromicina. - Campylobacter: resistente ai fluorochinoloni. - Salmonellae: resistente ai fluorochinoloni. - Neisseria gonorrhoeae: resistente alle cefalosporine, resistente ai fluorochinoloni. Priorità 3: MEDIA - Streptococcus pneumoniae: non suscettibile alla penicillina. - Haemophilus influenzae: resistente all’ampicillina. - Shigella: resistente ai fluorochinoloni. HIV Nasce come SIV (Simian Immunodeficiency Virus) nello scimpanzé Pan troglodytes troglodytes, probabilmente nel sud del Camerun. Le prime infezioni umane risalgono al 1900: probabilmente il macello e il consumo di carne di scimpanzé ha permesso il salto di specie all’uomo (in particolare il consumo di cervello di scimpanzé, dato che il virus ha un grosso tropismo per le cellule neuronali). - 1981: descrizione dei primi casi di AIDS in soggetti con polmoniti atipiche in assenza di fattori di rischio - 1983: isolamento di HIV-1 (nobel per Barré-Sinoussi) - 1985: prime tecniche per trovare gli anticorpi anti-HIV nel siero—> nasce il test - 1987: introduzione nella pratica clinica del primo antiretrovirale (Zidovudina) - 1996: introduzione nella pratica clinica delle terapie combinate con inibitori delle proteasi (David Ho) - 2000: accettazione del principio del diritto alle cure per i pazienti dei paesi a limitate risorse Il virus si trasmette per: - Via sessuale o Comportamenti ad alto rischio e pratica del turismo sessuale o Migrazioni, povertà e guerre (portano a soprusi e violenze) o Inurbamento (aumentano i rapporti) - Via parenterale (sangue e derivati) o Trasfusioni (tipicamente venivano infettati i pazienti emofilici) o Tossicodipendenza o Trapianti d’organo 1. EPIDEMIOLOGIA Dati UNAIDS 2021: - Infezioni totali: 38,4 milioni - Nuovi casi: 1,5 milioni (4.000 infezioni al giorno), 58% dei quali in Africa subsahariana (il trend è comunque in discesa) - Morti correlate: 650.000 (la mortalità è scesa non con l’introduzione della terapia, ma nel momento in cui quest’ultima è stata resa accessibile a tutti) Nei paesi occidentali, l’infezione si è trasmessa prevalentemente in due categorie a rischio: MSM e tossicodipendenti (70% uomini e 30% donne); invece, in Africa, dove la trasmissione è prevalentemente eterosessuale, le donne sono più della metà delle persone che convivono con HIV. I bambini acquisiscono HIV per via verticale, durante il passaggio nel canale del parto. A livello globale, i soggetti più a rischio sono i clienti di sex workers, seguiti dagli MSM e da un 18% che utilizza droghe per via endovenosa (soprattutto in Europa orientale); invece, in Africa subsahariana, il 49% appartiene alla popolazione senza fattori di rischio, quindi uomini e donne non coscienti di incorrere nel rischio di infezione, che, in assenza di precauzioni e di terapia accessibile, continuano a diffondere il virus (la misura più efficace nella prevenzione dell’HIV è l’utilizzo del preservativo). Un altro problema di alcuni paesi africani è la pratica dell’infibulazione, in cui si utilizza un singolo strumento per decine di ragazze. Vi è ancora 1/3 della popolazione di sieropositivi che non ha accesso alla terapia, e il dato più grave è quello dei bambini (solo il 40% ha accesso, meno della metà): ciò è dovuto al fatto che in occidente non ci sono bambini che necessitano di terapia, per cui le case farmaceutiche non ci investono. Infatti, la trasmissione verticale dell’HIV è un problema praticamente esclusivo dei paesi più poveri. Oltre che nei confronti dei bambini, vi è pure una discriminazione nei confronti delle donne: hanno tendenzialmente minore accesso alla terapia, sebbene siano più complianti. UNAIDS si propone di raggiungere il cosiddetto programma 90-90-90: - Che il 90% dei sieropositivi riceva la diagnosi - Che il 90% dei sieropositivi sia trattato - Che il 90% dei trattati abbia una replicazione virale soppressa Il target è di 25% - Con un solo farmaco, scende all’8% - Con la HAART, scende ulteriormente allo 0,8-1,5% (oggi è praticamente a zero) Oggi non è più necessario il parto cesareo, se la madre è soppressa in terapia antiretrovirale. 2. MICROBIOLOGIA E PATOGENESI Retrovirus a RNA con envelope. La struttura genetica comprende 9 geni, di cui i principali sono: - Gag: codifica per p55, un precursore delle proteine del capside - Pol: codifica per la proteasi virale, la trascrittasi inversa e l’integrasi - Env: codifica per gp41 (transmembrana) e gp120 (spike) Il virus entra nelle cellule utilizzando 2 recettori: - CD4: presente soprattutto sui linfociti T helper (bersagli principali) e monociti-macrofagi, ma anche su cellule gliali del SNC e su alcune cellule intestinali. La sola presenza di CD4 non è sufficiente. - CCR5/CXCR4: funge da corecettore. Il DNA virale si integra nel genoma della cellula ospite: se non si assume terapia, il DNA pro-virale integrato può essere trascritto in RNA genomico, con conseguente sintesi proteica che permette di assemblare i virioni che faranno poi budding. I virus a RNA mancano di un enzima di proofreading: pertanto, sono molto soggetti a mutazione. La trascrittasi inversa di HIV-1 genera in media 1 errore/10^4 nucleotidi: in una persona infetta non sarà presente un singolo virus, ma tanti virus un po’ diversi tra loro, che prendono il nome di quasispecie. Ciò permette all’HIV di sfuggire a: - Sistema immunitario, che produce anticorpi contro una porzione di env - Farmaci: per impedire che si formino i mutanti, sono necessari tendenzialmente 3 farmaci Possono verificarsi anche superinfezioni: è un problema rilevante se il secondo ceppo è resistente ai farmaci. Vi sono diversi genotipi di HIV: - Europa e America del Nord: prevale il ceppo B - Africa: A, B, C, D, E, F, G, H, J, K, O, N e forme ricombinanti - Sud-est asiatico: B e C I virus continuano a mutare e danno vita a forme di HIV ricombinanti dette CRF. Vi sono virus: - R5 tropici: utilizzano CCR5 come corecettore, ovvero il recettore delle chemochine RANTES, MIP-1alfa e MIP-1beta. Sono tendenzialmente meno patogeni (non formano sincizi) - X4 tropici: utilizzano CXCR4 come corecettore, ovvero il recettore della chemochina SDF- 1. Sono più patogeni (formano sincizi, emergono maggiormente nella fase di AIDS) Se il recettore è ingaggiato dalla sua chemochina, viene internalizzato e non è più disponibile per il legame con HIV: lo scopo della terapia è proprio mimare l’azione delle chemochine e internalizzare il recettore. 2.1 HIV-1 E SISTEMA IMMUNITARIO L’HIV entra nei linfociti T CD4+ e ne causa la deplezione sia diretta sia per innocent bystander: le cellule vengono influenzate dalla presenza di antigeni e virioni, e finiscono per andare incontro ad apoptosi. I linfociti B, invece, non vengono infettati, per cui si ha una risposta B policlonale con produzione di tantissimi anticorpi inefficaci contro il virus: il sistema B è completamente disregolato e iperattivato. Inoltre, l’esaurimento dei CD4+ comprende anche una compromissione della memoria immunologica: il paziente ritorna vergine verso infezioni già affrontate in passato. Le cellule infettate per prime sono le cellule CD4+, poi le cellule di Langerhans e poi altre cellule dendritiche e infine i monociti-macrofagi. Il danno si verifica soprattutto a livello del gut- associated lymphoid tissue: infatti, nelle conseguenze a lungo termine dell’HIV si ritrova anche la traslocazione microbica. Oltre all’intestino, altre sedi preferenziali di localizzazione sono cervello, midollo, linfonodi e fegato. Inoltre, l’HIV altera la risposta immunitaria rendendola prevalentemente di tipo Th2 (attivi contro elminti e protozoi): pertanto, il paziente è più esposto a virus e batteri. Normalmente, il numero di CD4 varia da 600 a 1500 unità/uL di sangue: con l’infezione da HIV si perdono circa 50 unità all’anno per uL (storia naturale). La soglia oltre la quale compaiono l’AIDS e le infezioni opportunistiche è fissata a 500/uL o 2: 200-500/uL o 3: surrenalite, che porta il paziente ad avere un aspetto bronzino (per iperstimolazione dei melanociti da parte dell’ACTH) - SNC —> encefalite La diagnosi si fa con PCR su sangue/liquor. Esiste una terapia molto efficace (Ganciclovir). MICOBATTERIOSI ATIPICA Causata da micobatteri atipici: M. Avium, M. Kansasii, M. Fortuitum, M. Haemophylus, M. Genavense. Danno manifestazioni nell’immunodepresso: il sintomo predominante è la febbre, ma si può avere un interessamento di - Midollo (anemia, piastrinopenia e leucopenia) - Sistema gastrointestinale (epatosplenomegalia, diarrea, epatiti) - Linfonodi (linfoadenopatia e linfoadenomegalia) L’esame diagnostico è colturale su biopsia osteomidollare/sangue/feci/BAL. A differenza della TBC, la micobatteriosi atipica compare solo se i CD4+ sono 20 milioni di casi e la mortalità è circa 1% (200.000 morti). In Europa l’incidenza è di 0,03 casi ogni 100mila abitanti: si tratta per il 90% di casi di importazione, ovvero legati a immigrati dai paesi a rischio (soprattutto India e Pakistan) che ritornano nel proprio paese (senza prima vaccinarsi), contraggono l’infezione e la portano poi nel paese europeo. L’incidenza più alta si registra in Inghilterra e in Francia. In Italia, la malattia era discretamente presente negli anni ’50-’60 nelle regioni meridionali. In Europa, la malattia segue un trend stagionale: presenta dei picchi nel periodo agosto-settembre, corrispondente al periodo delle vacanze estive. Pertanto, i tassi più alti si registrano tra i giovani che viaggiano (15-24 anni): è fondamentale, in corso di anamnesi, chiedere al paziente se ha fatto dei viaggi in zone a rischio. La distribuzione non è diversa tra i due sessi. NB. In Pakistan è in continuo aumento l’incidenza di S. Typhi XDR (Extensively Drug Resistant): l’antibiotico-resistenza è un problema rilevante, in quanto, se non trattata, la malattia può essere mortale. Per trattare i batteri XDR si ricorre, come ultima spiaggia, a macrolidi e carbapenemi. 2. Trasmissione L’infezione si trasmette principalmente per via fecale-orale: in ogni grammo di feci viene eliminata una quantità di salmonelle compresa tra 10^6 e 10^9; se la carica batterica è di 10^9, la probabilità di infettarsi è del 95%. Una caratteristica che favorisce la diffusione del batterio è la sua capacità di resistere a basse temperature: ciò comporta che possa rimanere per molto tempo nelle acque e negli alimenti (la contaminazione per via idrica è rilevante). Ci sono rari casi di contagio interumano, soprattutto nei bambini che possono non pulirsi/non lavarsi adeguatamente. NB. In alcuni soggetti l’infezione può cronicizzare (2-3%): il portatore cronico continua ad eliminare salmonelle con le feci, pertanto è contagioso (ciò comporta che non sia idoneo a lavorare nell’industria alimentare). Nel portatore cronico, S. Typhi non è eradicabile in alcun modo: continua ad albergare nella colecisti e nelle vie biliari e, tramite la bile, viene riversata nell’intestino. 3. Patogenesi e anatomia patologica S. Typhi è resistente all’acidità gastrica: ciò le consente di penetrare nell’intestino per effettuare una prima replicazione a livello delle placche di Peyer e passare ai linfonodi mesenterici; da qui raggiunge il dotto toracico e, quindi, il circolo ematico, dando una 1° batteriemia. S. Typhi ha una grossa affinità per il sistema monocito- macrofagico: a questo livello avviene la seconda replicazione, a cui segue la 2° batteriemia, che coincide con l’esordio vero e proprio della malattia. Pertanto, l’infezione è disseminata. Le lesioni interessano soprattutto il tratto terminale dell’ileo e la prima porzione del colon. Ci sono 4 stadi anatomopatologici corrispondenti a 4 stati clinici: 1. Iperplasia linfatica (delle placche di Peyer e della milza -> splenomegalia): dovuta alla risposta immunitaria. Compaiono cellule macrofagiche particolari dette cellule di Rindfleisch. 2. Formazione dell’escara: l’iperplasia va incontro a necrosi tissutale e si forma l’escara, una cicatrice di fibrina e sangue coagulato. La necrosi si approfonda, interessando anche il tessuto sottomucoso. 3. Distacco dell’escara: è un momento pericoloso che può eventualmente determinare la morte del paziente per emorragia massiva e/o perforazione intestinale con successiva peritonite. Il distacco dell’escara (generalmente in 13esima giornata) può determinare melena. 4. Cicatrizzazione dell’ulcera: se l’ulcera non ha sanguinato e il paziente è sopravvissuto, l’ulcera guarisce. 4. Clinica La diarrea non è un sintomo preponderante nell’adulto (si manifesta soprattutto nei bambini piccoli). La malattia è sistemica e può definirsi anche ileotifo/tifo addominale. L’incubazione dura 10-12 giorni dal momento del contatto (ma può variare da 1 a 3 settimane). L’esordio è solitamente molto brusco, con febbre alta. Le forme cliniche si dividono in: - Forma classica: si verifica se non si prende l’antibiotico. La sintomatologia si divide in 4 settenari tipici. - Forme fruste/abortive: paucisintomatiche o con sintomatologia ridotta. Si verificano in genere nei soggetti che sono stati vaccinati anni prima o che hanno già contratto l’infezione anni prima. - Forme ipertossiche: a decorso rapido e grave. Forma classica: 1° SETTENARIO SINTOMI - Febbre a scalini: febbre intorno a 37,5-38° che sale di mezzo grado dopo ogni giorno. Il plateau arriva intorno alla quinta-sesta giornata (circa 40°). - Stipsi: sintomo intestinale caratteristico - Dolore addominale diffuso (principalmente in fossa iliaca dx): non deve essere confuso con il dolore della perforazione addominale, che è un dolore a lama ben localizzato - Cefalea - Tosse stizzosa - Epistassi - Lingua asciutta/impaniata - Angina di Duguet: tonsille ingrossate con pilastri anteriori ulcerati SEGNI - Bradicardia relativa: nonostante la febbre alta, la frequenza cardiaca non aumenta. - Rumori bronchiali secchi diffusi - Meteorismo intestinale con gorgoglio (o guazzo) ileocecale - Splenomegalia molle DIAGNOSI Nella fase iniziale, S. Typhi non si trova nelle feci, ma nel sangue —> EMOCOLTURA (da eseguire tempestivamente). In questa fase, la sierologia è ancora negativa e la coprocoltura è positiva in 10%; con la terapia, invece, è dell’1%. C’è il problema delle complicanze: sono rare/molto rare, ma hanno gravità diversa a seconda della localizzazione. A eccezione delle artriti, la mortalità di queste complicanze è abbastanza elevata. Le più rilevanti sono: - Endocardite (0,2-0,4%): coinvolge le valvole mitrale e aortica e ha una mortalità del 70%. - Arterite - Localizzazioni ossee - Articolazioni settiche (0,1-0,2%): malattia immunomediata con deposizione di immunocomplessi a livello articolare - Infezioni urinarie (0,6%) - Polmoniti (rarissime) Oltre alle complicanze, vi è il problema delle recidive in 1 paziente su 10, soprattutto nei pazienti trattati con antibiotico-terapia sbagliata. 7. Profilassi e trattamento Chi si reca in zone a rischio deve prestare attenzione ad acqua e alimenti: bisogna bere solo acqua in bottiglia, non usare il ghiaccio ed evitare o lavare accuratamente con amuchina la verdura cruda. I pazienti con tifo devono essere isolati sia in ospedale che al domicilio finché non smettono di eliminare la salmonella. È necessaria l’educazione sanitaria dei portatori cronici. Esistono diversi tipi di vaccino: quello più efficace è un vaccino orale con batterio vivo attenuato (non può essere somministrato negli immunodepressi), in quanto, oltre a dare immunità sistemica, stimola anche le IgA a livello intestinale. La protezione dura 2-3 anni. Negli immunodepressi si può somministrare un vaccino intramusccolo con batterio non vivo. La terapia di scelta è sempre stata il chinolonico (ciprofloxacina) o la cefalosporina di terza generazione (ceftriaxone); per i ceppi XDR si usano azitromicina e carbapenemi. PARATIFO Andamento simile al tifo, ma molto più blando e meno grave perché non si ha la formazione dell’escara. Esistono 3 tipi di Salmonella paratyphi: A (infetta solo l’uomo), B e C (possono infettare anche gli animali). La patogenesi è la stessa del tifo, i sintomi sono molo simili ma meno gravi. Anche in questo caso compaiono le roseole. La diagnosi si fa con emocoltura e coprocoltura; la sierodiagnosi di Widal comprende anche gli antigeni dei paratifi. Via di trasmissione (fecale-orale), profilassi e terapia sono le stesse del tifo; nel caso del paratifo, però, non esiste un vaccino. BRUCELLOSI Conosciuta anche come febbre maltese o febbre ondulante (per via dell’andamento febbrile). È un’antropozoonosi: si trasmette all’uomo dall’animale. È provocata da batteri del genere Brucella: batteri GRAM-, asporigeni, immobili, moderatamente sensibili al calore. Esiste una sola specie, la Brucella melitensis, di cui esistono diverse biovarianti: quelle che infettano l’uomo sono - B. Melitensis melitensis: si ritrova in capra, pecora e cammello - B. Abortus: si ritrova nei bovini - B. Suis: si ritrova nel maiale e nella renna (la Brucellosi è una delle poche malattie infettive di Norvegia e polo nord) - B. Canis (raramente): si ritrova nel cane, nella volpe e nel coyote Invece, non sono patogene per l’uomo B. Ovis (ovini), B. Neotomae e B. Maris (pesci). Negli ovini e nei bovini, le brucelle provocano aborto, mentre nei maiali (soprattutto neonati) provocano malattia: il problema è che raramente si sospettano le epidemie di brucella negli allevamenti. 1. Epidemiologia La brucellosi è una malattia in riduzione in Europa, ma è stata storicamente importante: in Italia, alla fine degli anni ’70, c’erano circa 5 casi ogni 100mila abitanti; oggi siamo a 25 anni (allevatori e veterinari). 2. Patogenesi La patogenesi somiglia a quella del tifo, con l’eccezione che le brucelle non sono in grado di oltrepassare la barriera gastrica: quindi, la penetrazione dei batteri avviene attraverso la mucosa orofaringea o per via transcutanea. Anche la brucella ha una grossa affinità per il sistema linfatico: si ha moltiplicazione nei linfonodi, batteriemia e distribuzione nel sistema monocito-macrofagico. 3. Trasmissione Le brucelle si concentrano soprattutto nei secreti vaginali, nel materiale abortivo, nelle urine e nelle feci, ma il vero problema per l’uomo è il latte: infatti, soprattutto nelle mucche, le brucelle danno mastite cronica, contaminando il latte. La presenza di brucella nel latte non cambia le caratteristiche organolettiche, per cui è impossibile accorgersene. Le possibili vie di trasmissione sono: - Ingestione di latte e derivati contaminati - Via transcutanea: sono a rischio allevatori e veterinari che entrano in contatto con materiale abortivo - Via aerogena o congiuntivale: sono a rischio veterinari, allevatori e operatori di laboratorio 4. Clinica Nella forma tipica, l’incubazione è di circa 2-3 settimane. La malattia può avere decorso acuto, subacuto o cronico: tendenzialmente, l’esordio è abbastanza subdolo-subacuto, con febbre di varia entità (spesso è l’unico sintomo). Per quanto riguarda i sintomi: - Febbre ondulante: la febbre è intermittente (compare e scompare nell’arco della giornata, scendendo sotto i 37°C) o remittente (sale e scende e si hanno dei picchi, ma non scende mai sotto i 37°C). - Sensorio integro: il paziente è sempre lucidissimo. - Artromialgie migranti - Cefalea, astenia - Sudorazione profusa “a odore di stalla” - Epatosplenomegalia e linfoadenopatia La brucellosi non è una malattia grave e, anche se non curata, non ha una mortalità significativa; tuttavia, può trascinarsi per mesi, alternando episodi morbosi a episodi di remissione. Anche la brucellosi, come il tifo, è una malattia sistemica, che può dare tante localizzazioni d’organo: - SNC: può dare meningite ed encefalite. Nonostante sia provocata da un batterio, la meningite da brucella non è “a liquor torbido”, bensì atipica “a liquor limpido”. - Cuore (endocarditi, miocarditi, pericarditi) - Tratto genitourinario (pielonefriti, cistiti, epididimiti) - Scheletro (artrite, osteomielite) - Occhio (cheratiti, uveiti, endoftalmiti) - Polmone (bronchite, broncopolmonite, linfoadenopatie) - Intestino (colite, ileite) - Fegato (epatite granulomatosa) - Cute (vasculite, eritema nodoso) Avendo una grossa affinità per il sistema reticolo-endoteliale, un’altra localizzazione tipica è il midollo osseo. 5. Diagnosi La diagnosi di brucellosi si fa con la sierodiagnosi di Wright, positiva soprattutto nei casi a decorso acuto e subacuto (mentre può risultare negativa nelle forme croniche o non trattate che durano da mesi) ed eseguita in genere contestualmente alla sierologia di Widal per il tifo. Essendo la brucellosi un’infezione sistemica, il batterio si può trovare tramite emocoltura (eseguita su terreni particolari). Dato il tropismo per il midollo osseo, si può ricorrere a mielocoltura su biopsia del midollo osseo per fare diagnosi differenziale nei casi in cui si abbia una febbre intermittente di origine sconosciuta in cui si sospetta una malattia linfoproliferativa. Si possono fare anche colture su tessuti e liquor quando si sospetta un’infezione in quelle sedi: in caso di meningite, la coltura si fa su liquor. Gli esami di laboratorio sono abbastanza caratteristici: - Indici di flogosi aumentati - Assenza di leucocitosi: anche nella brucellosi, i GB sono normali o bassi. Tendono ad aumentare un po’ i linfociti, per cui si ha linfocitosi relativa. 6. Profilassi e trattamento La profilassi consiste nella bollitura e pastorizzazione del latte. Per gli animali c’è la possibilità di vaccinazione, per l’uomo no. La terapia è antibiotica: l’antibiotico di scelta è la doxiciclina associata a gentamicina, streptomicina o rifampicina. INFEZIONI GASTROINTESTINALI Ci sono diversi quadri diarroici causati da diversi agenti patogeni: - Diarrea acquosa: da Colera, E. Coli (ETEC, EHEC, EPEC), Shigella, Norovirus, Rotavirus, Giardia lamblia, C. Perfringes, Criptosporidi - Sindromi dissenteriche o Acute: da Shigella, E. Coli, Salmonella enteritidis, Y. Enterocolitica, Campylobacter jejuni, V. Parahaemoliticus o Associate ad antibiotici: da C. Difficile o Da parassiti: da Entamoeba histolytica, Trichinella spiralis, S. Japonicum, S. Mansoni, S. Stercolaris. 1. Epidemiologia Le sindromi diarroiche sono molto diffuse e sono legate alle condizioni igienico-sanitarie. - Nei soggetti più a rischio (bambini 3 scariche al giorno). La diarrea acuta dura 2 settimane. A seconda del meccanismo che la determina, la diarrea può essere: - Diarrea osmotica: si perde l’equilibrio isotonico per la presenza nel lume intestinale di sostanze osmoticamente attive non riassorbibili, che richiamano acqua in eccesso (es. lassativi, deficit di lattasi, alterazione dei meccanismi di trasporto). - Diarrea da secrezione attiva di ioni: lo stimolo secretorio può agire aumentando la secrezione di acqua ed elettroliti o inibendone il riassorbimento. I principali fattori scatenanti sono alcune enterotossine batteriche, soprattutto di salmonelle e Shigella. - Diarrea da alterazione della motilità intestinale: uno movimento troppo rapido comporta un deficit di assorbimento per svuotamento prematuro del colon (es. IBD); un movimento troppo lento (es. anziano) comporta il ristagno delle feci, favorendo sovracrescita batterica. - Diarrea da alterata morfologia intestinale: può essere causata anche da un tumore. NB. Le infezioni gastrointestinali possono essere provocate da tutti i tipi di microrganismi: virus, batteri, funghi, vermi e protozoi. 3. Infezioni intestinali a eziologia virale I principali virus coinvolti sono: - Enterovirus - Norovirus - Rotavirus: sono la causa principale di infezione gastrointestinale sia nei paesi occidentali che nei paesi in via di sviluppo (46%) 3.1 Rotavirus Virus a dsRNA della famiglia Reoviridae, con un genoma di 11 geni che codificano per 6 proteine strutturali (VP) e 6 proteine non strutturali (NSP): VP4 e VP7 sono il bersaglio dell’immunità umorale protettiva. Esistono 12 diversi sierotipi di VP7 (G type) e 15 diversi sierotipi di VP4 (P type) e su questi si fonda il sistema binomiale di classificazione dei Rotavirus. Di tutte le possibili combinazioni G-P, 5 sono responsabili del 90% delle infezioni umane: la combinazione più diffusa è G1P. I Rotavirus si dividono in 3 gruppi: - A: quello più grave, che causa epidemie in età infantile con elevata mortalità (comporta disidratazione) - B: presente solo in Cina, colpisce adulti e bambini e dà una diarrea importante che dura dai 3 ai 5 giorni - C: non dà epidemie di diarrea, ma causa casi sporadici con un quadro clinico simile a quello del gruppo A I Rotavirus sono la principale causa di diarrea infantile tra i 3-15 mesi di età in tutto il mondo e del 40% delle ospedalizzazioni di bambini malnutrizione —> ospedalizzazione. Dal punto di vista clinico: - Incubazione breve (1-3 giorni) - Quadro clinico molto variabile (da semplice diarrea, a diarrea grave con disidratazione, fino a shock e morte) - Esordio brusco con febbre, vomito, diarrea; seguito da diarrea acquosa esplosiva. Un segno di disidratazione può esser l’emorragia congiuntivale. - La diarrea e il danno intestinale durano per 4-6 giorni, ma se si instaura intolleranza al lattosio, la diarrea può persistere per settimane - La gravità è inversamente proporzionale all’età del paziente La diagnosi prevede l’identificazione nelle feci degli antigeni virali (ELISA), oppure la PCR. Il trattamento è sintomatico, basato sulla reidratazione. Esiste un vaccino altamente efficace, ma molto costoso e non accessibile in tanti paesi. Essendo la mortalità elevata nei bambini, la vaccinazione si fa nelle prime 6 settimane di vita (entro le 32 settimane). Ci sono diversi ceppi e l’immunità derivata da un’infezione è limitata al ceppo responsabile; quindi, i bambini possono prendere il Rotavirus più volte nella loro vita. 3.2 Norovirus Virus a ssRNA, della famiglia dei Caliciviridae. Possiede due proteine capsidiche: maggiore (VP1) e minore (VP2). Ci sono 5 sierogruppi, 3 dei quali (G1, G2 e G4) patogeni per l’uomo. La trasmissione è fecale-orale mediante cibo e acqua contaminati da feci umane infette. Gli alimenti più spesso coinvolti sono molluschi, frutta e verdura, ed in generale alimenti preparati, conservati in frigo o surgelati (il norovirus è in grado di resistere a procedure antisettiche come il calore a 60°C e l’esposizione a cloruri). È documentata la trasmissione attraverso aerosolizzazione di contenuto gastrico (vomito) e fomiti. Mentre il Rotavirus è infettivo perché ci sono molte particelle virali nelle feci, il norovirus è infettivo perché bastano pochi virioni per dare infezione. Dal punto di vista clinico: - Incubazione molto breve (massimo 2-3 giorni) - Esordio acuto tendenzialmente senza febbre, con vomito, diarrea, crampi, ipertermia e mialgie - Decorso breve e meno grave rispetto al Rotavirus 4. Infezioni intestinali a eziologia batterica Si classificano in: - Intossicazioni intestinali: sono causate dall’ingestione di tossine batteriche preformate, non vengono ingeriti i batteri. - Tossinfezioni: quadri a patogenesi mista, in cui il danno deriva sia dalle tossine preformate sia da quelle che il batterio, una volta ingerito, continua a produrre. - Infezioni intestinali o gastroenterocoliti infettive: causate da un’ingestione del batterio. I batteri si classificano come: o Enterotossigeni (schizomiceti): producono tossine nel lume intestinale. o Enteroinvasivi: invadono direttamente la mucosa intestinale. Si ha un danno diretto dell’intestino che porta a diarrea. Per quanto riguarda l’eziologia si distingue tra: - Intossicazioni alimentari pure: dovute solo alle tossine. Causate da: o Clostridium botulinum o Staphylococcus aureus In questi casi è inutile dare l’antibiotico, perché non c’è il batterio. - Infezioni intestinali da batteri enterotossigeni (miste): sono causate da Vibrio cholerae, Clostridium perfringens, Vibrio parahaemolyticus, E. Coli enterotossigena, Bacillus cereus. - Infezioni intestinali da batteri enteroinvasivi: Shigella, Salmonella, E. Coli enteroinvasiva e Campylobacter jejuni. 4.1 Intossicazione alimentare o tossinfezione - Staphylococcus aureus: questo batterio si moltiplica in gelati, formaggi, creme, maionese non conservati adeguatamente a 4°C. Il batterio viene ingerito, ma non passa la barriera gastrointestinale e rimane nel lume, dove non riesce a moltiplicarsi: il danno deriva dalla tossina, non direttamente dal batterio. La contaminazione del cibo avviene durante la manipolazione da parte di soggetti con piodermiti/follicoliti o asintomatici (potatori nasali). o Agente eziologico: S. Aureus (solo i gruppi fagici III e IV coagulasi positivi) o Epidemiologia: l’uomo è il principale serbatoio (piodermiti, lesioni cutanee, portatori nasali) o Patogenesi: 5 tipi di esotossine enterotossiche, termoresistenti (30°C-100°C), che agiscono incrementando la peristalsi, con possibile effetto centrale (vomito) e induzione della produzione di IL-1. o Clinica: incubazione di 1-8 ore, esordio acuto con dolori addominali, diarrea, vomito. Si risolve spontaneamente nel giro di un paio di giorni, l’importante è reidratarsi. o Profilassi: la conservazione a 4°C inibisce la produzione di tossine. o Diagnosi: diagnosi differenziale con altre forme di malattia gastrointestinale, ricerca della tossina negli alimenti. - Clostridium perfringens di tipo A: si trova in conserve, insaccati, miele. Anche in questo caso c’è solo la tossina e non la replicazione virale. - Bacillus cereus: è di 2 tipi o Uno produce una tossina termostabile (pasta e riso) responsabile della malattia o Uno viene ingerito con la carne e si replica nell’intestino producendo un’enterotossina - Vibrio parahaemolyticus: viene ingerito e produce la tossina nell’intestino. Si trova speso nei frutti di mare. 4.2 Infezioni da vibrioni: colera Il colera è una enterite acuta caratterizzata da diarrea acquosa massiva, mediata dalla tossina colerica prodotta nel lume intestinale: la diarrea profusa è il problema enorme della malattia, in quanto la disidratazione che ne consegue può portare a morte. Vibrio Cholerae è un bacillo GRAM-, asporigeno, molto mobile: produce una tossina responsabile della diarrea; si tratta però di una infezione vera e propria piuttosto che di una tossinfezione, in quanto il vibrione produce la tossina quando si trova nel lume intestinale. Il V. Cholerae presenta degli antigeni di fondamentale importanza: - Antigene flagellare H (aspecifico) - Antigene somatico O (specifico): permette di definire 2 biotipi principali o Classico: non emolitico o El Tor: emolitico Ciascuno differenziabile in 3 sottotipi: Ogawa AB, Inaba AC, Hikojima ABC. È una malattia dei paesi poveri con sistemi sanitari dissestati: si verifica in concomitanza con guerre, alluvioni, disastri naturali ed emergenze (es. Haiti nel 2010). Nel 2017 ci sono stati >1 milione di casi, l’84% dei quali si è verificato in Yemen (dove la malattia oggi è endemica). I paesi più colpiti sono Nigeria, Sud Sudan, Somalia e Repubblica democratica del Congo. Secondo l’OMS la mortalità per colera non deve superare 0,9%: questa malattia può essere banalmente curata con la reidratazione. L’unico serbatoio del batterio è l’uomo: il contagio avviene o da malato a soggetto sano (contatto diretto) o attraverso l’ingestione di acque o alimenti contaminati da feci infette (contatto indiretto). I malati eliminano il batterio con le feci: 10^9-10^7 virioni per mL di feci. La popolazione più colpita è quella dei bambini, che emettono numerosissime scariche al giorno. Una volta eliminato nell’ambiente, il batterio può portarsi in uno stato dormiente e riemergere anche dopo diversi giorni o settimane, per poi riattivarsi e ricominciare a moltiplicarsi. Inoltre, è in grado di creare un biofilm che lo protegge ulteriormente dall’ambiente esterno. Infine, è in grado di legarsi ad una proteina (chitina) caratteristica di molluschi e crostacei, i quali possono fare da veicolo dell’infezione. Patogenesi: il V. cholerae, moltiplicandosi nell’intestino, non provoca lesioni della mucosa -> l’effetto è legato alla tossina, che stimola l’adenilato ciclasi, provocando la diarrea profusa. L’esotossina è costituita da 2 subunità: la A attiva l’adenilato ciclasi, mentre la B è il fattore di adesione. Per quanto riguarda la clinica: - Incubazione: 1-5 giorni, abbastanza breve. - Attacco: 50-100 scariche/die di feci liquide, incolori e di odore indifferente (feci ad acqua di riso), emesse in piccole quantità (50-150mL), senza dolore addominale né tenesmo (perché il virus non causa danno cellulare diretto). In un giorno si perdono circa 15L di liquidi. - Altri sintomi: non c’è mai febbre. Può esserci anche vomito (aumenta la disidratazione) e sudorazione fredda. Quando l’equilibrio elettrolitico salta, si avrà una ipokaliemia che causa dolori muscolari e crampi. Si presentano sete intensa, insufficienza renale, oligo-anuria, fino allo stadio finale dello shock ipovolemico. Il sensorio rimane integro. - Segni: un segno tipico è l’addome a barca, in assenza di reazione peritoneale. È dovuto al fatto che si sono persi tanti liquidi anche a livello addominale. - Decorso: la morte avviene nel giro di 2-3 giorni, se non si interviene reidratando, per shock e insufficienza renale. La diagnosi si fa con coprocoltura in acqua peptonata o con esame microscopico delle feci. Si deve fare diagnosi differenziale con enterite da E. Coli enterotossica o avvelenamento da arsenico/acido fosforico (soprattutto quest’ultimo). 4.3 Diarrea del viaggiatore 3-4 scariche di feci liquide o non formate nelle 24 ore accompagnate da almeno un sintomo di malattia enterica, come dolori addominali crampiformi (40-60%), nausea (10-70%), vomito (5-10%), tenesmo e febbre (10-30%). La durata è colite -> alterazione del riassorbimento dei liquidi -> disidratazione. Il decorso è generalmente favorevole (remissione spontanea in 2-7 giorni), per cui non è richiesta terapia antibiotica. Tuttavia, se il danno intestinale è grave, possono esserci complicanze: ▪ Sanguinamenti intestinali e stenosi dovuta ai fenomeni cicatriziali successivi al sanguinamento ▪ Sindrome emolitico-uremica: determina danno e insufficienza renale - Campylobacter: la specie che infetta l’uomo è il C. Jejuni. o Epidemiologia e trasmissione: il serbatoio è rappresentato da animali da allevamento, animali domestici e uccelli. La via di trasmissione più comune è l’ingestione di acqua contaminata (diversamente da salmonella e Shigella, la trasmissione interpersonale è molto rara). In Europa, il Campylobacter è la prima causa di infezione gastrointestinale batterica: tuttavia, tra tutti i batteri che causano questa infezione, è quello che determina il minor tasso di ospedalizzazione e di mortalità (0,03%), in quanto il decorso di malattia è meno grave. o Patogenesi: causa diarrea tramite l’alterazione del microbiota intestinale. Il Campylobacter è enteroinvasivo. o Clinica: incubazione breve (2-5 giorni). Sintomi identici a quelli delle precedenti infezioni, ma la diarrea si distingue in quanto è emorragica. A seguito dell’infezione possono verificarsi delle complicanze, come lo sviluppo di patologie autoimmuni/pseudoautoimmuni (artriti reattive, sindrome di Guillain-Barré): ciò è dovuto all’alterazione della barriera intestinale e al conseguente rilascio in circolo di antigeni batterici. 4.4 Diarrea acuta da antibiotici Complicanza grave dell’abuso di terapia antibiotica. Il principale agente eziologico è il Clostridium difficile, che dà una colite pseudomembranosa. Altre cause possono essere: C. Perfringens, S. Aureus e alcune Salmonelle; il 20% di queste diarree è dovuto a un fungo (Candida). C. Difficile è un batterio GRAM+, sporigeno, anaerobio obbligato: può colonizzare l’intestino di soggetti sani, rendendoli portatori sani. Epidemiologia: il 72% dei casi si verifica nei pazienti anziani >64 anni, prevalentemente nelle donne, soprattutto se ospedalizzati o residenti in RSA e trattati con antibiotici. Si tratta di una patologia in aumento, soprattutto nei paesi occidentali (dove si usano più antibiotici). Oltre agli anziani, le altre popolazioni più a rischio sono neonati e lattanti, e donne post- partum. Trasmissione: il batterio viene acquisito con l’ingestione delle spore, che arrivano da un altro paziente, da un portatore sano, dal personale ospedaliero che non si lava le mani o da presidii ospedalieri (es. stetoscopio, sfigmomanometro, ossimetro) non igienizzati. In ospedale, se ci sono dei casi, il rischio di trasmissione intra-ospedaliera è altissimo, perché la colonizzazione di un altro paziente avviene nel 50% dei casi. Patogenesi: le spore sono resistenti all’acidità gastrica; arrivano nell’intestino, dove trovano un ambiente favorevole per svilupparsi nelle forme vegetative e moltiplicarsi. Il batterio produce 2 esotossine (A e B): se non è in grado di produrre le tossine, non è patogeno. Clinica: la sintomatologia varia da diarree leggere a casi più gravi con infezione sistemica, leucocitosi, disidratazione e distensione del colon con riduzione della peristalsi intestinale a causa delle tossine (megacolon tossico); a questo punto, il colon diventa suscettibile alla perforazione, con complicanza di peritonite. La morte avviene per shock ipovolemico o perforazione intestinale. C’è possibilità di recidiva in ¼ dei casi. o C. Difficile dà un quadro di colite pseudomembranosa, caratterizzata da erosioni importanti della mucosa coperte da placche mucofibrinose (pseudomembrane): se queste placche si staccano, si può verificare emorragia/perforazione. Diagnosi: si fa con la coprocoltura. Terapia: idratazione, ripristino salino, interruzione dell’antibiotico che ha permesso la colonizzazione da parte di C. Difficile. Esistono terapie mirate: o Vancomicina: funziona localmente, blocca la replicazione a livello del lume intestinale. o Metronidazolo o Flidaxomicina o Anticorpi monoclonali (diretti contro la tossina) o Trapianto fecale INFEZIONI RESPIRATORIE Infezioni in cui l’agente eziologico si localizza e si moltiplica specificamente nelle vie aeree, nel parenchima polmonare o sulle sierose pleuriche, causando quadri clinici dominati da una sintomatologia respiratoria. Sono la causa più comune di infezione umana e di malattia in generale, e la più frequente di invalidità temporanea (assenza dal lavoro e dalla scuola); inoltre, rappresentano la prima causa di morte per malattia infettiva al mondo. Sono caratterizzate da: - Enorme varietà di agenti eziologici appartenenti alle 5 classi (virus, batteri, miceti, elminti, protozoi) o Virus: >200 sierotipi appartenenti a famiglie diverse (Adenoviridae, Orthomyxoviridae, Paramyxoviridae, Picornaviridae, Coronaviridae, Herpesviridae) ▪ A causare le infezioni delle alte vie respiratorie sono soprattutto i virus, per cui nel 90% dei casi non bisogna somministrare antibiotico o Batteri: si tratta solitamente di una sovrainfezione batterica su una preesistente infezione virale che, provocando la flogosi, ha intaccato le difese dell’apparato respiratorio (clearance mucociliare). ▪ Adulto sano: Streptococcus pneumoniae (Pneumococco), H. influenzae, streptococchi, stafilococchi, M. pneumoniae. ▪ Immunocompromesso: Enterobacteriaceae (K. Pneumoniae, Proteus), Pseudomonas aeruginosa, anaerobi obbligati. o Miceti e protozoi: danno infezione esclusivamente nell’immunocompromesso (es. Pneumocistis jirovecii e Apergillus). - Grande diffusibilità: la trasmissione avviene principalmente per via aerea, mentre è più rara la trasmissione ematogena mediante emboli settici provenienti da altri focolai infettivi (es. localizzazione polmonare in corso di endocardite da stafilococco). La trasmissione per via aerea può avvenire per: o Contatto diretto (interumano) o Indiretto (vettori e veicoli) Il serbatoio è rappresentato dall’uomo ammalato o portatore o da alcuni animali. - Stagionalità: dovuta all’azione del freddo, che diminuisce l’efficacia della clearance mucociliare. Inoltre, il freddo invernale favorisce condizioni di sovraffollamento. - Breve durata dell’immunità: scarsa immunogenicità da parte dei maggiori agenti patogeni delle alte vie respiratorie, con conseguente possibilità di nuova reinfezione con lo stesso agente. Nell’immunità sono importanti, oltre alle IgM e alle IgG, le IgA secretorie. - Rischio di diffusione epidemica Le infezioni respiratorie sono così frequenti a causa delle caratteristiche anatomiche sfavorevoli dell’apparato respiratorio: diretto contatto con l’esterno, possibilità di sovrainfezione con batteri commensali del cavo orale nell’ospite immunocompromesso, suscettibilità alle diverse caratteristiche chimico-fisiche (temperatura, umidità e pH) dei diversi ambienti. I fattori protettivi dell’apparato respiratorio sono l’apparato linfatico rinofaringeo (tonsille, adenoidi ecc.), il meccanismo della tosse (impedisce il ristagno di muco e, quindi, la replicazione batterica), la clearance mucociliare (oltre all’azione meccanica, il muco contiene anche IgA, interferone e lisozima) e i macrofagi alveolari. Il fumo di sigaretta riduce l’efficacia dei meccanismi di difesa: pertanto, rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di infezioni respiratorie. 1. DIAGNOSI Si hanno a disposizione 3 tipi di accertamenti diagnostici. - Eziologici: i virus si identificano con la biologia molecolare, mentre per i batteri bisogna fare l’esame colturale su terreni selettivi. In particolare, relativamente alle infezioni batteriche, si può ricorrere a: o Esame dell’espettorato: esame cardine. o BAL o Ricerca di anticorpi e antigeni specifici o Procalcitonina (PCT): si alza solo in caso di infezioni batteriche; consente la scelta dell’antibiotico, ma è un esame costoso e molto discusso. - Strumentali: l’esame principale è la radiografia, seguita da scintigrafia, stratigrafia e TC. Sono metodiche di imaging utilizzate soprattutto per osservare le basse vie respiratorie. - Di laboratorio: gli indici classici di infezione batterica sono leucocitosi, VES e PCR aumentate (gli indici infiammatori si alzano anche nelle infezioni virali, ma molto meno significativamente). 2. INFEZIONI RESPIRATORIE DA VIRUS - Coriza (raffreddore comune): causata soprattutto da o Rhinovirus: ssRNA, elevata frequenza di mutazione e scarsa immunogenicità (per questo motivo gli adulti vanno incontro mediamente a 3-4 eventi/anno, mentre i bambini fino a 12 eventi/anno). Ci sono più di 100 sierotipi diversi. o Coronavirus: ssRNA, con envelope. Ce ne sono 4, di cui il primo è diviso in 2 sierogruppi (OC43 e 229E) che danno coriza. Gli altri sono SARS-Cov-1, MERS e SARS-Cov-2. - Influenza - Croup (laringotracheobronchite): causato principalmente dal virus parainfluenzale (ssRNA, con envelope, 5 sierotipi). - Bronchiolite: interessa i piccoli bronchi, è causata principalmente da RSV. È un problema soprattutto di neonati/bambini piccoli, ma anche dell’anziano e dell’immunocompromesso. - Broncopolmonite: i virus che danno broncopolmonite primitiva (senza sovrainfezione batterica) sono principalmente il virus influenzale, il RSV e gli adenovirus (dsDNA, almeno 47 sierotipi). 3. INFEZIONI DELLE ALTE VIE RESPIRATORIE 3.1 RAFFREDDORE COMUNE Nella maggior parte dei casi si indica un quadro di rinite, che può però estendersi caudalmente fino alla faringe. I sintomi più frequenti sono: ostruzione nasale per presenza di muco, mal di gola, tosse e brividi; la febbre è rara. Si tratta di una patologia autolimitante (5-7 giorni nell’adulto) e ad eziologia virale, per cui non è necessario antibiotico. Si verificano epidemie annuali (nei mesi freddi nelle zone a clima temperato e durante la stagione delle piogge nelle zone tropicali): hanno sicuramente un ruolo il sovraffollamento, la temperatura e l’umidità. In autunno e da primavera a estate sono più frequenti i Rhinovirus, mentre in inverno i Coronavirus. Fino all’adolescenza sono più colpiti i maschi delle femmine, poi il rapporto si inverte perché il serbatoio principale è costituito dai bambini piccoli, e questi ultimi stanno più a contatto con madri e maestre. La trasmissione avviene soprattutto per via indiretta toccando oggetti contaminati (es. maniglie e bicchieri) e autoinoculazione, oppure per via aerea-indiretta attraverso aerosol di particelle di piccole e grandi dimensioni (starnuto). Nei bambini piccoli possono esserci infezioni batteriche secondarie che comportano come maggiore ccomplicanza l’otite media: in questo caso, si può usare l’antibiotico. Inoltre, il raffreddore può esacerbare patologie respiratorie preesistenti in soggetti suscettibili, come l’asma, la bronchite cronica e l’enfisema. 3.2 FARINGITE E TONSILLITE Ad eziologia virale, tranne che per un caso di faringite/tonsillite batterica da streptococco β- emolitico di gruppo A (S. Pyogenes), che deve essere assolutamente trattato con antibiotico per scongiurare complicanze severe. Si possono avere quadri di: - Faringite acuta aspecifica (virale) - Febbre faringo-congiuntivale (virale) - Febbre streptococcica: unico caso da trattare con antibiotico. Lo streptococco β-emolitico di gruppo A rappresenta l’agente eziologico del 15% di tutte le faringiti, fino ad arrivare al 50% nei bambini. o Periodo di incubazione molto breve (2-3 giorni) o Esordio brusco: febbre altissima con brividi, malessere, faringodinia, tonsille ingrossate e linfoadenopatia latero-cervicale marcata. o Diagnosi con tampone faringeo seguito da esame colturale. Agli esami ematochimici si riscontra leucocitosi neutrofila, aumento degli indici infiammatori (PCR, VES) e presenza di titolo anti-streptolisinico (TAS), ovvero di anticorpi diretti contro un antigene specifico dello S. pyogenes. o La terapia antibiotica (con beta-lattamici) può essere procrastinata: si hanno a disposizione 7-8 giorni per fare diagnosi eziologica. o Se non trattata, dà come complicanza la malattia reumatica, con conseguenti possibili alterazioni valvolari, soprattutto della valvola mitrale. Più in generale, la febbre streptococcica può dare complicanze per contiguità nelle zone circostanti (otite, mastoidite, sinusite e raramente osteomielite e meningite o trombosi del seno cavernoso). Le complicanze a lungo termine, più gravi, sono invece immuno-mediate e comprendono, oltre alla malattia reumatica, la glomerulonefrite e l’eritema nodoso. 3.3 EPIGLOTTITE, LARINGITE, LARINGOTRACHEITE Anche queste infezioni sono prevalentemente di natura virale, ma non è infrequente la sovrainfezione batterica. Tracheiti ed epiglottiti sono più gravi nei bambini, perché può verificarsi il cosiddetto croup, ovvero un’ostruzione parziale dell’epiglottide o della laringe causate dall’edema, con conseguente dispnea prevalentemente inspiratoria. - Epiglottite: causata principalmente da Haemophilus influenzae di tipo B (che può causare anche meningite). L’età di maggiore insorgenza è 2-4 anni. Caratterizzata da esordio acuto, con febbre e disfagia, seguiti da stridore inspiratorio. La mortalità è piuttosto alta (6-25%) nei bambini non trattati e non vaccinati (esiste un vaccino obbligatorio). - Laringite: di natura prevalentemente virale (virus influenzale, virus parainfluenzale, rhinovirus, adenovirus); se batterica, l’agente eziologico è Branhamella catarrhalis. Il sintomo classico è la disfonia dovuta all’edema delle corde vocali. La terapia non richiede antibiotici, qualsiasi sia l’eziologia. 3.4 BRONCHITE Può essere spesso virale (rhinovirus, coronavirus, influenza, adenovirus) oppure batterica (Mycoplasma pneumoniae e Chlamydia pneumoniae). È più frequente nei bambini 3 mesi all’anno per almeno 2 anni, con periodi alternati di gravità. I principali fattori di rischio sono: - Fumo di sigaretta (90% dei casi): blocca la clearance mucociliare e inattiva l'α1-antitripsina, favorendo il ristagno del muco e la conseguente proliferazione batterica. La bronchite cronica interessa il 25% dei soggetti che fumano 20 sigarette/die e il 50% di chi fuma 40 sigarette/die. - Inquinamento ambientale - Fattori genetici: fibrosi cistica, deficit di IgA. La bronchite cronica determina una condizione di infiammazione cronica stabile, ma possono esserci delle riacutizzazioni: durante le riacutizzazioni aumenta l’espettorato, il muco diventa denso e purulento, aumentano la tosse e la dispnea. La riacutizzazione può essere dovuta alla proliferazione batterica che riesce a superare le difese dell’organismo, ma il 25-40% delle riacutizzazioni è di natura virale. La terapia consiste innanzitutto nell’astensione dal fumo. Si possono poi somministrare aerosol con broncodilatatori e umidificatori, drenaggi posturali, antibiotici. Non bisogna somministrare mucolitici o antitussivi, in quanto riducono l’efficacia dei meccanismi di difesa. La bronchite cronica predispone ad altre infezioni respiratorie, quindi è fondamentale la vaccinazione antinfluenzale ogni anno, e possibilmente anche l’antipneumococcica. 3.4.2 BRONCHIOLITE Infezione virale delle ultime diramazioni bronchiali, che colpisce soprattutto in inverno e inizio primavera i bambini 10% delle HAP. Anche in questo caso non è possibile la trasmissione uomo-uomo, quindi non è necessario l’isolamento. L’incubazione è piuttosto lunga (2-3 settimane) e i sintomi principali sono: polmonite ingravescente, febbre, tosse non produttiva, diarrea, turbe del sensorio, iponatriemia e disfunzione epatica/renale. Va riconosciuta prontamente: se trattata in ritardo, la mortalità è del 5- 20%. Si fa diagnosi tramite l’antigene urinario, che permette di avere risultati rapidi (poche ore). Il gold standard è però l’esame colturale, che richiede più tempo. La PCR è rapida e si esegue sull’espettorato, ma non è sempre disponibile. La sierologia è significativa, ma tardiva. La terapia si basa su macrolidi (azitromicina e claritromicina) o chinolonici (levofloxacina). Altri quadri di polmonite atipica sono le ornitosi e le psittacosi, delle zoonosi che colpiscono gli uccelli (pappagalli nelle psittacosi; tutti gli altri uccelli, sicuramente i piccioni, nelle ornitosi) e solo occasionalmente l’uomo. Sono infezioni acute che possono decorrere in modo asintomatico, ma in alcuni casi possono anche dare interessamento sistemico, con localizzazione soprattutto polmonare e a volte cardiaca. L’agente eziologico è la Chlamydia psittaci. La trasmissione è diretta da animale a uomo: i soggetti più a rischio sono coloro a diretto contatto con gli uccelli per ragioni professionali. 4.1.3 POLMONITI PREVALENTEMENTE NECROTIZZANTI Causate prevalentemente da Staphylococcus e Pseudomonas, ai quali si sovrappone la flora batterica degli anaerobi obbligati o dei batteri aerotolleranti. Altri fattori di rischio sono la polmonite ab ingestis e in generale condizioni che possono causare aspirazione (tumore polmonare, terapia immunosoppressive, BPCO). Questi patogeni sono in grado di rilasciare enzimi litici che distruggono il parenchima polmonare, formando un ascesso che diventa poi necrotizzante. È molto importante l’igiene orale: carie e piorrea favoriscono le infezioni a livello delle vie respiratorie. INFLUENZA Infezione stagionale, che si diffonde tendenzialmente in inverno, prima nell’emisfero sud (grazie a ciò si possono identificare i ceppi prevalenti in circolazione in modo da organizzare un vaccino per quando arriva la stagione influenzale nell’emisfero nord). - Emisfero nord: tra novembre e marzo - Emisfero sud: tra maggio e settembre - Zone equatoriali: stagione delle piogge Nella storia ci sono state pandemie influenzali che hanno causato milioni di morti: ad es. la spagnola, nel 1918, ha causato fino a 100 milioni di morti, più di quelli causati dalla guerra. Storicamente, sappiamo che si verificano circa 4 pandemie/semi-pandemie influenzali al secolo, 1 ogni 25 anni. Il virus influenzale appartiene alla famiglia Orthomyxoviridae; esistono 3 generi: A e B (causano patologia nell’uomo) e C: il sierotipo A è quello che muta di più. Il virus ha un genoma a RNA antisenso che spiega la sua capacità di mutare e diffondersi molto. L’RNA codifica per 11 proteine, di cui: - 3 proteine con attività polimerasica - Un involucro lipoproteico o proteina M - 2 glicoproteine di superficie, l’emoagglutinina (HA) e la neuroaminidasi (NA). I diversi ceppi di virus influenzale vengono classificati in base alla combinazione di queste due glicoproteine, che sono essenziali per l’attacco e la penetrazione nelle cellule bersaglio. 1. GENERAZIONE DEL VIRUS INFLUENZALE ED EPIDEMIOLOGIA Una pandemia di influenza A insorge quando un nuovo sottotipo di HA emerge come risultato di uno shift antigenico: il SI della popolazione umana non è in grado di riconoscerlo e, quindi, l’organismo è molto suscettibile all’infezione. - Antigenic shift: incrocio di due virus influenzali che possono appartenere anche a specie diverse (es. ceppo umano e ceppo aviario; spesso i maiali costituiscono la specie portatrice dell’antigenic shift). È il motivo per cui si temono molto le influenze degli altri animali. Invece, epidemie di influenza A e B emergono come conseguenze di modificazioni genetiche minori, dette drift antigenici, risultanti da mutazioni puntiformi. - Antigenic drift: mutazioni puntiformi in entrambe le glicoproteine di superficie che portano alla formazione di un nuovo ceppo virale. Questa variazione rende la popolazione vulnerabile, ma coloro che hanno già incontrato questo ceppo potrebbero avere una protezione parziale. Ci sono almeno 15 sottotipi diversi di HA e 9 di NA, ma non tutte le ricombinazioni sono patogene per l’uomo: solo i sottotipi H1, H2 e H3 possono infettare l’uomo; la maggior parte dei ceppi (da H4 a H15) dà influenza negli uccelli. Lo stesso concetto vale per i sottotipi NA: solo due ceppi infettano l’uomo. Si riconoscono 3-4 pandemie o semi-pandemie storicamente documentate: Ogni anno non circola un solo ceppo influenzale, ma co-circolano diversi ceppi: gli ultimi vaccini sono tetravalenti, ovvero contengono antigeni corrispondenti a 4 ceppi diversi. Quando emerge un ceppo, l’anno successivo non viene del tutto rimpiazzato dal nuovo ceppo, ma continua a circolare: questo è il razionale di fare la vaccinazione ogni anno, in modo da proteggere progressivamente contro tutti i ceppi che emergono. La popolazione più a rischio di essere ricoverata per influenza grave è quella degli anziani (60-80 anni): in questa fascia c’è indicazione alla vaccinazione. Bisogna fare attenzione anche alla fascia di neonati e lattanti. 2. TRASMISSIONE La trasmissione è interumana mediante secrezioni respiratorie: l’influenza è molto infettiva e il rischio di trasmissione è più elevato prima della comparsa dei sintomi (soprattutto 2 giorni prima). Vi è anche il contagio da contatto: il virus si deposita sulle mani e, quindi, su varie superfici (porte, maniglie, piatti ecc.; il virus influenzale sopravvive per circa 30 minuti sulla pelle). Le particelle di trasmissione sono di dimensioni notevoli (>5um), per cui raggiungono una distanza di 1,5-2m. Lo shedding virale (eliminazione del virus) inizia 1-2 giorni prima dell’inizio dei sintomi e prosegue fino al giorno successivo alla scomparsa dei sintomi (nel paziente immunocompromesso, lo shedding è prolungato). 3. PATOGENESI Il virus influenzale ha la capacità di indebolire il SI, consentendo l’insorgenza di diverse complicanze. Il virus si replica nelle vie respiratorie e distrugge le cellule ciliate e le cellule mucipare: di conseguenza, il muco ristagna e diventa un terreno di coltura per una sovrainfezione batterica. Il SI reagisce con una risposta umorale e una risposta cellulo-mediata, ma anche con una risposta innata che determina la produzione di interferone e citochine: è proprio la tempesta citochinica a determinare l’origine dei sintomi influenzali. 4. CLINICA E COMPLICANZE Incubazione molto breve (1-3 giorni) e decorso tipicamente di 3-5 giorni (prolungato in caso di complicanze). L’esordio è molto brusco negli adulti, con febbre alta, astenia, malessere, dolori articolari, faringodinia e tosse secca. Nei bambini la febbre è spesso più alta (40-41°C) e possono accompagnarsi anche diarrea e sintomi gastrointestinali. Le complicanze sono quelle che determinano la mortalità. Il quadro di immunodepressione accoppiato all’alterazione della clearance mucociliare comporta il rischio di polmonite, che può essere prima di tipo virale interstiziale (determinata dal virus influenzale stesso) e successivamente complicata da batterica lobare. L’influenza può determinare anche: - Miocarditi - Miositi - Sindrome di Guillain-Barré - Encefaliti - Sindrome di Reye Pertanto, l’influenza può essere una malattia molto grave: la mortalità si aggira intorno a 1/5.000- 1/10.000. I soggetti a rischio per lo sviluppo di complicanze sono: - Donne nel 2°-3° trimestre di gravidanza - Anziani >65 anni - Pazienti affetti da o Malattie croniche respiratorie (l’influenza scatena le riacutizzazioni di BPCO) o Malattie cardiovascolari o Diabete mellito e altre malattie metaboliche (compresa l’obesità) o Insufficienza renale/surrenale cronica o Insufficienza epatica o Immunodepressi (es. HIV) o Pazienti che hanno in programma interventi chirurgici o Malattie degli organi emopoietici ed emoglobinopatie o Cancro - Bambini o adolescenti in trattamento a lungo termine con aspirina (rischiano la sindrome di Reye in caso di infezione influenzale) 5. DIAGNOSI Si può parlare di ILI (Influenza Like Illness), in quanto la diagnosi non sempre è eziologica, ma presuntiva sulla base di sintomi ed epidemiologia. 6. INDICAZIONI ALL’OSPEDALIZZAZIONE IN CORSO DI INFLUENZA - Complicanza già in atto - 2 fasce di età critiche - Altre malattie concomitanti - Il paziente al domicilio è solo Si aggiungono anche le seguenti condizioni cliniche: - FR>30 atti/minuto (tachipnea) - PAS assenza di febbre ed altri sintomi respiratori, ma distruzione del parenchima polmonare immuno-mediata o Trasmissione ▪ Aerosol ▪ Contatto diretto interpersonale e con fomiti ▪ Fecale-orale - MERS-CoV -> polmonite con mortalità del 33%, colpisce soprattutto i soggetti con comorbidità. Compare nel 2012 e proviene dai dromedari (Nord Africa). o I sintomi sono febbre, tosse, difficoltà respiratoria e sintomi gastrointestinali. Incubazione di circa 5 giorni. o Mortalità elevatissima (>33%), con interessamento polmonare in >87% dei pazienti. - SARS-CoV-2 -> mortalità 26 milioni di casi in Italia con 200mila morti o La malattia non è ancora finita -> importante vaccinare le popolazioni a rischio. o I possibili quadri clinici sono: I sintomi più comuni dell’infezione da SARS-CoV- 2 sono: tosse, cefalea e perdita del gusto, oltre a rinorrea, dolori muscolari, febbre ecc. La malattia severa/critica può determinare complicanze: - Long Covid: i sintomi sono attribuibili soprattutto al SNC (disturbi del sonno, disturbi della memoria, alterazioni del gusto); ci sono anche sintomi gastrointestinali, renali e cutanei. Colpisce maggiormente donne e anziani. Ad oggi la prevalenza è del 20% tra i pazienti Covid. - Polmonite: insorge 5-7 giorni dopo la comparsa dei sintomi. Il danno è immuno-mediato: si riscontrano altissimi livelli di IL-6 (proinfiammatoria). Può evolvere in insufficienza respiratoria nel 3% dei casi -> necessaria supplementazione di ossigeno e ventilazione meccanica. - Suscettibilità a tromboembolia - Multisystem inflammatory syndrome: può portare anche a shock e sintomi gravi. I fattori di rischio per lo sviluppo di una malattia severa (pazienti ad alto rischio) sono: Altri fattori di rischio per un’infezione grave sono terapie immunosoppressive (es. pazienti trapiantati), IRC e dialisi (problema di clearance degli antivirali). Invece, i pazienti a basso rischio sono caratterizzati da: Per quanto riguarda i pazienti ospedalizzati: TERAPIA DEL COVID-19 È diversa a seconda della fase: - Fase virus-dipendente: sono utili gli antivirali e gli anticorpi neutralizzanti che si legano al RBD della proteina Spike. Questi farmaci devono essere somministrati precocemente, quando non è ancora partita la risposta infiammatoria eccessiva che causerà malattia grave. In questa fase non bisogna somministrare corticosteroidi, perché sopprimono il SI, impedendogli di controllare l’infezione. - Fase virus-indipendente -> infiammazione: in questa fase non ha senso somministrare antivirali e anticorpi monoclonali. Invece, si devono somministrare i corticosteroidi e immunomodulatori (es. Tocilizumab anti-IL-6). Inoltre, la terapia varia a seconda della gravità della malattia: - Malattia lieve: il paziente può assumere la terapia presso il suo domicilio. Si tratta di una terapia sintomatica con antipiretici e decongestionanti. - Malattia grave: il paziente deve essere ospedalizzato o trattato in terapia intensiva. Richiede la supplementazone di ossigeno e la somministrazione di corticosteroidi e immunomodulatori. INFEZIONI DEL SNC Le infezioni del SNC sono la vera emergenza infettivologica, in quanto una differenza di 15-30 minuti nella diagnosi e nell’inizio del trattamento può fare la differenza tra la vita e la morte. Si distingue tra: - Meningite: processo infiammatorio con interessamento della leptomeninge (aracnoide e pia madre). - Encefalite: processo infiammatorio con interessamento del parenchima cerebrale. - Meningoencefalite: processo infiammatorio con interessamento della leptomeninge e del parenchima cerebrale (caso più frequente). - Encefalomielite: infezione del parenchima cerebrale e del midollo spinale. - Ascesso cerebrale: infezione focale occupante spazio all’interno del parenchima cerebrale; dà sintomi focali come deficit motori e del linguaggio. L’accesso cerebrale da toxoplasmosi si può osservare nei pazienti con AIDS). Segni e sintomi possono essere comuni o specifici per ciascuna delle condizioni precedentemente descritte: - Comuni o Febbre alta o Cefalea anomala (mai provata prima) o Alterazioni dello stato di coscienza - Meningite o Rigor nucalis o Fotofobia o Vomito a getto o Papilledema - Encefalite o Disturbi della personalità/del comportamento o Alterazioni del movimento volontario o Alterazioni del linguaggio o Convulsioni - Encefalomielite o Segni e sintomi di encefalite o Paraplegia (paralisi della parte inferiore del corpo, che include entrambe le gambe) o Paraparesi (debolezza parziale o incompleta nella parte inferiore del corpo, che include entrambe le gambe) o Emiplegia (paralisi che colpisce un solo lato del corpo) - Ascesso cerebrale o Disturbi neurologici focali conseguenti all’area compressa dall’ascesso o Convulsioni Per quanto riguarda l’eziologia, le infezioni del SNC possono essere provocate da virus (maggior parte), batteri, miceti, protozoi ed elminti. Riguardo all’eziologia batterica: - 72% Streptococcus pneumoniae -> meningite non trasmissibile - 11% Neisseria meningitidis (meningococco) -> focolai epidemici - 5% Listeria monocytogenes (nei soggetti immunodepressi) - 3% Haemophilus influenzae (nei bambini, ma c’è un vaccino obbligatorio) - 4% Streptococcus pyogenes, Streptococcus agalactiae, Staphylococcus aureus (infezioni nosocomiali) - Atri agenti batterici (Brucella) 1. MENINGITE Processo infiammatorio che si sviluppa nello spazio sub-aracnoideo compreso tra aracnoide e pia madre, contenente il liquor e i vasi sanguigni. Il sospetto di meningite richiede il rapido accertamento diagnostico tramite rachicentesi, a cui si associa il prelievo ematico per conoscere la glicemia del paziente: l’analisi del liquor permette di classificare la meningite in 3 forme - Virale - Batterica classica - Batterica atipica (da TBC, listeriosi, brucellosi): è a liquor limpido come quella virale, ma presenta ridotta glicorrachia come quella batterica classica. La meningite si può classificare in base a un criterio: - Eziologico: virale, batterica, micotica, protozoaria, elmintica. - Temporale o Acuta (es. da meningococco e streptococco) o Subacuta (es. da criptococco) o Cronica >4 settimane (es. da TBC e brucellosi) - Risposta dell’ospite e aspetto del liquor o Purulenta o a liquor torbido: importante essudato infiammatorio costituito prevalentemente da PMN. Forma batterica classica. o Asettica o a liquor limpido: incremento del numero di linfociti e di alte cellule mononucleate. Eziologia virale, batterica atipica o micotica. La meningite nosocomiale è una meningite ad esordio iperacuto, a liquor torbido, che viene contratta durante un periodo di degenza in ospedale (colpisce i pazienti ricoverati in neurochirurgia). Per quanto riguarda l’eziologia: - 47-52% Staphylococcus aureus - 16-38% bacilli enterici GRAM- (E. coli, Pseudomonas aeruginosa, Klebsiella) - 5-15% stafilococchi coagulasi-negativi - 6-9% streptococchi (soprattutto gruppi B e D) 1.1 PREVALENZA DELL’EZIOLOGIA BATTERICA NELLE DIVERSE FASCE D’ETÀ (domanda d’esame) - Neonati e bambini prematuri -> E. Coli (contratto durante il passaggio nel canale del parto). - 2 mesi – 5 anni -> Neisseria meningitidis - 5-15 anni -> Streptococcus pneumoniae - 15-25 anni -> Neisseria meningitidis - Dopo i 40 anni -> Streptococcus pneumoniae (Ricordare E. Coli nei neonati, i due picchi del meningococco a 2mesi-5anni e 15-25 anni e lo pneumococco dopo i 40 anni). 1.2 SEGNI E SINTOMI L’infiammazione determina aumento di volume e densità del liquor, con conseguente ipertensione liquorale ed effetto di schiacciamento sulle strutture circostanti -> cefalea e sintomi ipertonico-antalgici. - Posizione a cane di fucile: iperestensione del capo, flessione delle gambe sulle cosce e delle cosce sull’addome. - Segno della nuca di Brudzinski: la flessione passiva del collo accentua la flessione degli arti inferiori. - Riflesso controlaterale di Brudzinski: la flessione passiva di un arto inferiore da un lato provoca un movimento analogo dall’altro lato. - Segno di Kernig: il sollevamento passivo del tronco provoca un’accentuazione della flessione degli arti inferiori. 1.3 MENINGITE MENINGOCOCCICA (NEISSERIA MENINGITIDIS) È la più preoccupante: evolve nel giro di qualche ora, è associata a mortalità elevata (se non trattata tempestivamente) e dà focolai epidemici. La Neisseria meningitidis è un batterio GRAM-, immobile, asporigeno, che alla microscopia si presenta con un aspetto “a chicco di caffè”. È un patogeno esclusivamente umano. La capsula polisaccaridica permette di distinguere 13 sierogruppi, di cui 5 sono i principali responsabili di meningite nell’uomo: - B: in Occidente. - C: sia nei paesi a clima temperato sia nei paesi in via di sviluppo. Dà epidemie. - A: nei paesi in via di sviluppo, soprattutto nella Meningitis belt africana (incidenza 10 volte superiore al resto del mondo). Dà epidemie. - W-135 e Y: negli USA. In Italia prevalgono il ceppo B (50%) e il ceppo C (40%), mentre in Europa, dopo il ceppo B, prevale il ceppo W (18%). Incidenza di 500.000 casi/anno, con mortalità del 10%: vengono colpite soprattutto le fasce d’età 6-12 mesi e 16-22 anni. La trasmissione è interumana, per contatto diretto e prolungato, attraverso l’inalazione di droplets, per cui si osserva una stagionalità con un picco in inverno nei paesi occidentali. I fattori di rischio per la diffusione sono il sovraffollamento, la stagione secca, prolungati periodi di siccità e le tempeste di sabbia. La maggior parte delle infezioni decorre in maniera subclinica ed è frequente la condizione di portatore asintomatico, in cui il meningococco colonizza il naso e le alte vie respiratorie senza dare malattia: può capitare raramente che un soggetto suscettibile, entrando in contatto con un portatore asintomatico, sviluppi malattia. La patogenesi prevede: Il danno tissutale è dovuto all’attivazione del complemento da parte del LPS della parete cellulare del meningococco. I fattori di rischio per l’invasione meningococcica sono: - Asplenia funzionale/anatomica (deficit di fagocitosi di batteri incapsulati) - Deficit di properdina (stabilizza la C3 convertasi della via alternativa) e di C6, C7, C8 - Farmaci inibitori di C5 Le sindromi cliniche associate all’infezione meningococcica sono: - Meningite - Meningite con sepsi - Sepsi meningococcica In tutti i casi, l’esordio dei sintomi è improvviso, con febbre elevata, cefalea e vomito. Le petecchie cutanee e mucose, dovute all’azione della tossina meningococcica che interferisce con la coagulazione, sono patognomoniche: le petecchie accompagnate da febbre alta sono una chiara indicazione di sepsi meningococcica e possono svilupparsi nel giro di pochi minuti; all’alterazione dello stato coagulativo segue la necrosi ipossica tissutale delle estremità —> amputazione per evitare una sepsi sistemica. Se non trattata tempestivamente, la situazione evolve rapidamente verso ipotensione, shock e coagulopatia da consumo. Per quanto riguarda la diagnosi, in caso di sospetto di meningite meningococcica: 1) Valutazione clinica (segni e sintomi) 2) Esami ematici ed emocoltura (positiva nel 50-70% dei casi) 3) Puntura lombare a. Esame chimico-fisico del liquor b. Esame microbiologico del liquor e liquorcoltura (positiva nel 50-70% dei casi) L’isolamento del meningococco da tampone nasofaringeo/emocoltura/liquorcoltura permette di fare diagnosi eziologica ed epidemiologica. NB. Se c’è papilledema non si può fare la rachicentesi: si deve fare la TC. Il trattamento antibiotico deve essere iniziato tempestivamente, prima ancora di ottenere l’esito degli esami colturali (terapia antibiotica empirica ad ampio spettro). Inoltre, bisogna adottare delle misure protettive: - Isolamento respiratorio (per evitare il contagio) - Indagine epidemiologica: identificare i contatti stretti del paziente, in modo da somministrare loro una profilassi antibiotica (rifampicina, ciprofloxacina, ceftriaxone). Esiste un vaccino costituito da antigeni polisaccaridici. 1.4 MENINGITE PNEUMOCOCCICA In genere consegue alla diffusione da focolai infettivi contigui (otite, sinusite, mastoidite) o all’ingresso del patogeno nel SNC attraverso fratture craniche inapparenti a livello dell’etmoide e dell’osso temporale, anche a distanza di parecchi anni dall’evento traumatico; seppur raramente, un paziente con polmonite pneumococcica può sviluppare anche meningite in seguito a diffusione ematogena. Altre condizioni predisponenti sono: mieloma multiplo, splenectomia, anemia falciforme ed etilismo (in queste categorie di pazienti è fondamentale la vaccinazione). Il decorso non ha l’andamento settico devastante tipico della meningite meningococcica, ma è comunque impegnativo e associato a complicanze: blocchi liquorali per clot di neutrofili e batteri, tromboflebite, raccolte subdurali. La letalità è elevata (19-26%) anche nei pazienti trattati precocemente. NB. La meningite pneumococcica si accompagna spesso a riattivazione virale erpetica. 1.5 MENINGITE DA HAEMOPHILUS INFLUENZAE Incidenza in crollo grazie alla vaccinazione nei bambini. Nel 98% dei casi l’agente eziologico è l’H. Influenzae di tipo B. 1.6 MENINGITI VIRALI Le forme virali danno generalmente una malattia benigna autolimitante, dovuta a disseminazione secondaria di un’infezione sistemica (es. varicella, morbillo). La terapia è, nella maggior parte dei casi, solo di supporto. Gli ospiti immunocompromessi sono quelli più suscettibili di infezione virale a carico del SNC: bisogna riconoscere e trattare quella erpetica (da Herpes simplex o Varicella-zoster). Tra i principali agenti eziologici si riconoscono: - Enterovirus (75-80%): andamento stagionale (estate-inizio autunno). Sintomi aspecifici. Diagnosi con PCR su liquor. - Virus della parotite (5-10%) - Herpes simplex virus ( iperattività simpatica. Bisogna distinguere tra: - Tetano generalizzato (neonati e non vaccinati): incubazione variabile, generalmente rapida, con presenza di prodromi (febbricola, irritabilità, cefalea, dolori nella sede di lesione). Il segno che va riconosciuto all’esordio è il trisma (ipertono dei masseteri), con successiva diffusione cranio-caudale dell’ipertono. Altri segni sono: risus sardonicus, opistotono (arti inferiori in estensione, superiori in flessione, accentuazione dei riflessi osteotendinei), rigidità. o Le crisi spastiche accessionali insorgono ad intervalli di tempo sempre più brevi, scatenate da stimoli ambientali (es. rumori) e accompagnate da sudorazione profusa, febbre elevata, tachicardia, ipertensione. Possibile exitus per arresto respiratorio o cardiaco (letalità elevata, del 40-50%). - Tetano localizzato (vaccinati con ultima dose molto distante nel tempo): interessa solo alcuni gruppi muscolari. o Tetano cefalico: trisma, disagia, disfonia, accessi dispnoici, paralisi dei nervi cranici. o Tetano toraco-addominale o Tetano degli arti - Tetano neonatale: si manifesta con ipertono generalizzato e spasmi muscolari ed è in genere fatale (letalità del 70-100%). Più comune nelle aree dove non c’è assistenza durante il parto. La prevenzione è possibile mediante vaccinazione delle donne in età fertile e introduzione di procedure pulite al parto. I tassi di mortalità più elevati per tetano neonatale si osservano in Somalia, Sud Sudan, Afghanistan e Kenya. La diagnosi differenziale si fa con: - Meningiti: nel tetano il liquor è normale. - Rabbia: nella rabbia non c’è il trisma. - Encefaliti: nel tetano sono assenti disturbi del sensorio (il paziente è lucido) - Processi infiammatori locali che causano trisma - Reazioni da farmaci - Avvelenamento da stricnina - Tetanica infantile - Crisi da disturbi psichici La terapia si avvale di: - Assistenza cardio-respiratoria - Metronidazolo per via sistemica e toilette chrurgica -> eliminazione del focolaio tetanigeno - Ig umane specifiche intramuscolo -> neutralizzazione della tossina tetanica - Benzodiazepine, curarizzazione e respirazione assistita -> trattamento delle contratture e degli accessi parossistici La profilassi per un paziente con una ferita profonda e potenzialmente infetta prevede la vaccinazione (se il paziente non è stato vaccinato negli ultimi 10 anni) e la somministrazione di Ig per dare una copertura immediata. Il vaccino si associa a quello antidifterico e antipertossico ed è diretto contro la tossina tetanica. 4. BOTULISMO Intossicazione acuta causata dalla neurotossina del Clostridium botulinum, un bacillo GRAM+, anaerobio e sporigeno: le spore sono presenti nel suolo e in acque marine e lacustri -> possibile contaminazione di prodotti agricoli e ittici. Le spore sono ancora più resistenti di quelle del tetano: vengono distrutte solo se poste a 100°C per 5 ore -> contaminazione delle conserve fatte in casa, che tendenzialmente vengono bollite per meno di 5 ore. A seconda della via di penetrazione si distinguono: - Botulismo alimentare (99,9% dei casi): dovuto a ingestione della tossina preformata. È difficile da identificare a causa dell’assenza di un’evidente alterazione delle proprietà organolettiche dei cibi. Bisogna insospettirsi se si vedono i tappi delle conserve rigonfi (il Clostridium è un batterio e produce gas). - Botulismo da ferita (raro): es. tagli di eroina contaminati da spore (tossinfezione). - Botulismo infantile: dovuto a ingestione di spore da parte di bambini 30°C: la dose minima letale per l’uomo è ipotonia, paralisi flaccida e disturbi secretori. I sintomi si manifestano 12-48 ore dopo l’ingestione della tossina, con possibile esordio fulminante e malattia rapidamente mortale per paralisi respiratoria o arresto cardiaco a paralisi bulbare, in relazione alla quantità di tossina ingerita. Non c’è febbre e i sintomi paralitici e secretori possono essere preceduti da sintomi gastrointestinali e astenia. - Vengono coinvolti inizialmente III, IV e VI nervo cranico -> midriasi fissa, ptosi palpebrale, diplopia blaterale. - I sintomi secretori comprendono xerostomia, anidrosi, xeroftalmia. - La paralisi si diffonde in senso cranio-caudale, coinvolgendo la muscolatura esofagea, intestinale e vescicale -> disfagia e stipsi. - Assenza di disturbi psichici e sensitivi Se non si interviene, la tossinfezione è letale in 24 ore nel 10-20% dei casi. Possono esserci complicanze: - Respiratorie (infettive polmonari, favorite da alterazioni della meccanica respiratoria) - Urinarie (per stasi vescicale) - Vascolari La prognosi è tanto peggiore quanto più breve è il periodo di invasione. La diagnosi è essenzialmente clinica e deve essere tempestiva. Si fa diagnosi differenziale con condizioni neurologiche (come la sindrome di Guillain-Barrè) e avvelenamenti. La terapia prevede l’utilizzo di un siero antitossico trivalente (A+B+E) di cavallo; si fa una lavanda gastrica per evitare l’ulteriore assorbimento della tossina. Può rendersi necessario il ricovero in terapia intensiva per l’assistenza cardio-respiratoria. La profilassi prevede un trattamento a 120°C degli alimenti prima dell’inscatolamento o la bollitura per 20 minuti prima del consumo (in modo da inattivare la tossina). La tossina non è immunogena -> non esiste un vaccino e si possono avere più intossicazioni nel corso della vita. 5. CISTICERCOSI Provocata da un verme, la Tenia solium, che invade il SNC e per il quale l’uomo rappresenta un ospite intermedio, in quanto l’ospite definitivo è il maiale. La Tenia può essere acquisita per: - Auto-infestazione interna: le uova sono contenuti negli alimenti introdotti con la dieta e si schiudono nel duodeno; la larva attraversa la barriera intestinale e va in circolo. - Auto-infestazione esterna: uova che contaminano l’apertura anale vengono portate alla bocca con le dita. - Ingestione di uova: tramite alimenti, acqua, oggetti ecc. I cisticerchi si localizzano prevalentemente a livello di: - Muscoli - Sottocute - Occhio - SNC: la gravità della neurocisticercosi dipende da o Numero dei cisticerchi o Localizzazione e vitalità dei cisticerchi o Risposta immunitaria dell’ospite La lesione tipica è un ascesso cerebrale -> attacco epilettico (>50%). Altri segni cinici sono: emiparesi, danno del visus, problemi motori, intorpidimento, alterazione dello stato di coscienza, perdita di sensibilità e cefalea (a causa dell’ipertensione endocranica). La diagnosi si fa con TC e RM. La diagnosi differenziale si fa principalmente con la toxoplasmosi cerebrale (esiste un immunoblot per determinare l’agente eziologico). La cottura adeguata delle carni di maiale e il congelamento a - 10°C per 9 giorni devitalizzano il parassita. 6. ECHINOCOCCOSI O IDATIDOSI Infezione causata dalle forme larvali di due echinococchi (cestodi): - E. Granulosus -> idatidosi cistica. Parassita il cane e il lupo. - E. Multilocularis -> idatidosi alveolare. Parassita il lupo, la volpe, il cane e il gatto. 6.1 IDATIDOSI CISTICA Presente in tutto il mondo, endemica nelle popolazioni dedite alla pastorizia e nei paesi con scarse condizioni igieniche: lo stretto rapporto uomo-cane-bestiame crea un circolo vizioso, in quanto l’ospite intermedio è l’ovino e l’ospite definitivo è il cane e, saltuariamente, può essere contaminato l’uomo. Il maggior numero di casi si segnala nella fascia d’età 45-64 anni. La malattia non è causata dall’infezione in sé, ma dall’effetto meccanico di schiacciamento della cisti, che aumenta di volume: se la cisti si rompe, si può avere lo stravaso di uova e materiale necrotico, con conseguenti fenomeni tossico-allergici (risposta immunitaria di tipo II). Inoltre, le cisti possono essere sede di sovrainfezione batterica. Si distinguono 3 momenti importanti: 1) Lunghissima fase asintomatica -> accrescimento delle cisti 2) Fissurazione delle cisti -> manifestazioni tossico-allergiche 3) Rottura improvvisa delle cisti -> shock anafilattico; idatidosi secondaria L’idatidosi secondaria può avere localizzazione: - Epatica (50-70%): soprattutto a livello del lobo destro. - Polmonare/alveolare (20-30

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