Etichettatura Carni PDF
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Il documento fornisce informazioni sulle normative europee e nazionali relative all'etichettatura delle carni. Vengono descritti i requisiti obbligatori per l'etichettatura di diverse tipologie di carni, inclusi dettagli su denominazione di vendita, peso netto, data di scadenza e condizioni di conservazione. Il documento include anche requisiti specifici per l'etichettatura delle carni bovine, suine, ovi-caprine e di pollame.
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Industrie 2 parte L’etichettatura delle carni L’etichettatura delle carni deve sottostare a norme europee e nazionali. Le principali sono: Reg. UE 1169/2011; Reg. (CE) 1760/2000, Reg. 1825/2000, Reg. 653/2014 per le carni bovine; Reg. (UE) 1337/2013 per le carni suine, ovi-caprine e di pollame. Sul...
Industrie 2 parte L’etichettatura delle carni L’etichettatura delle carni deve sottostare a norme europee e nazionali. Le principali sono: Reg. UE 1169/2011; Reg. (CE) 1760/2000, Reg. 1825/2000, Reg. 653/2014 per le carni bovine; Reg. (UE) 1337/2013 per le carni suine, ovi-caprine e di pollame. Sull’etichetta delle carni fresche devono essere indicate le seguenti informazioni obbligatorie: 1. Denominazione di vendita: deve essere identificabile la tipologia di prodotto (carni fresche, carni congelate, carni macinate, preparazioni di carne ecc.); deve essere indicata la specie animale e, nel caso dei bovini, la categoria (bovino adulto, vitello, vitellone) e, se sono presenti più specie, deve essere indicata la quantità relativa; deve essere indicato lo stato fisico delle carni (fresche/congelate/ decongelate) e l’eventuale confezionamento in atmosfera protettiva. 2. Peso netto 3. Data di scadenza: viene utilizzata la dicitura «da consumarsi entro... (giorno, mese)»; per le carni congelate e surgelate deve essere indicata la data di congelamento/surgelazione; per le carni non preimballate la data di scadenza non è obbligatoria, ma è sufficiente la data di preparazione. 4. Condizioni di conservazione e di impiego: ci sono differenze tra le carni delle diverse specie (es. indicazione di consumo previa cottura) 5. Indicazione del produttore 6. Origine: ci sono differenze tra le carni delle diverse specie Nell’etichetta delle preparazioni di carne, a queste informazioni, vanno aggiunti l’elenco degli ingredienti e la dichiarazione nutrizionale. Per quanto riguarda l’elenco degli ingredienti, l’indicazione della quantità di carne (ovvero tessuto muscolare scheletrico e annessi) è soggetta a specifici requisiti qualitativi (quantità di tessuto adiposo e tessuto connettivo). Ecco i limiti massimi specifici relativi al tenore in grasso (G) e al rapporto collagene/proteine (C/P): Carni bovine, ovi-caprine, equine: 25% (G), 25% (C/P) Carni suine: 30% (G), 25% (C/P) Carni coniglio e pollame: 15% (G), 10% (C/P) Deve essere indicata l’eventuale aggiunta di acqua (se oltre il 5% deve essere considerata anche nella denominazione di vendita). Nella dichiarazione nutrizionale devono essere indicati: Valore energetico Grassi (di cui saturi) Carboidrati (di cui zuccheri) Proteine Sale Nel caso delle carni macinate preimballate deve essere presente l’indicazione del tenore di materie grasse e il rapporto collagene/proteine della carne (vedi Figura 1). L’etichettatura delle carni macinate deve recare le seguenti diciture: “percentuale del tenore in materie grasse inferiore a...”, ” rapporto collagene/proteine della carne inferiore a...”. Gli Stati membri possono autorizzare l’immissione sul mercato nazionale di carni macinate che non sono conformi ai criteri prima descritti mediante l’apposizione di un marchio nazionale. Per la carne venduta al taglio nell’esercizio di vendita, l’etichetta può essere sostituita con una notificazione fornita per iscritto e in modo visibile per il consumatore, contenente le stesse informazioni previste in etichetta, fermo restando l’obbligo dell’apposizione dell’etichetta nelle carni preincartate, destinate al libero servizio, negli esercizi di vendita. L’etichettatura della carne bovina Il Regolamento (CE) 1760/2000 si articola in tre titoli principali: 1. identificazione e registrazione dei bovini, mezzi di identificazione per i singoli animali, banche dati informatizzate, passaporti per gli animali, registri individuali tenuti presso ogni azienda, etc. 2. etichettatura delle carni bovine, sistema obbligatorio ed etichettatura facoltativa 3. disposizioni comuni. Sono soggetti agli obblighi di etichettatura delle carni bovine (Reg. CE/1760/2000): tutta la carne bovina e bufalina fresca, refrigerata e congelata i pilastri del diaframma ed il diaframma la carne macinata. Sono esclusi dagli obblighi di etichettatura: i prodotti a base di carne le preparazioni di carne le “frattaglie” le carni servite dalla ristorazione (che però deve acquistare solo carni etichettate ai sensi del Reg. CE 1760/2000). Le informazioni obbligatorie da inserire in etichetta (oltre quelle già elencate e valide per tutte le carni) sono: numero o codice di riferimento che evidenzi il nesso e il legame tra le carni e l'animale o gli animali di origine (il numero può essere il codice di identificazione del singolo animale da cui provengono le carni o il numero di identificazione di un gruppo di animali). stato membro o paese terzo di nascita dell’animale («Nato in..nome del paese»). stati membri o paesi terzi in cui ha avuto luogo l’allevamento/ingrasso dell’animale («allevato in...nome del Paese») (deve avervi soggiornato almeno 30 giorni). macello presso il quale è stato macellato l’animale o il gruppo di animali e stato (membro Ue o paese terzo) in cui è situato il macello («macellato in...nome dello stato membro o paese terzo» e numero identificativo del macello») laboratorio di sezionamento presso il quale sono stati sezionati la carcassa o il gruppo di carcasse e stato (membro Ue o Paese terzo) in cui è situato il laboratorio (“sezionato in...nome dello stato membro o paese terzo e numero identificativo del laboratorio»). Se le carni bovine provengono da animali nati, detenuti e macellati nello stesso stato membro o paese terzo, si può indicare “origine” seguita dal nome dello stato membro o del paese terzo. Le carni bovine importate nel territorio dell’Unione, per le quali non sono disponibili le informazioni obbligatorie, previste dalla normativa e indicate sopra, sono etichettate con la seguente indicazione: “origine: non Ue” e “macellato in...nome del paese terzo”. Il Regolamento (CE) 1308/2013 specifica le modalità di utilizzo dei termini “vitello” e “vitellone”. Al momento della macellazione, tutti i bovini di età inferiore a dodici mesi sono classificati dagli operatori, sotto la vigilanza dell’Autorità Competente, in una delle due categorie seguenti: Categoria V, bovini di età inferiore a otto mesi (vitello) Categoria Z, bovini di età pari o superiore a otto mesi, ma inferiore a dodici mesi (vitellone). Gli operatori appongono alle carni ottenute da bovini di età inferiore a dodici mesi un’etichetta recante le seguenti informazioni: 1) la denominazione di vendita (possono essere integrate da un’indicazione del nome o da una designazione dei tagli di carne o delle frattaglie) 2) l’età degli animali al momento della macellazione, indicata, a seconda dei casi, con la dicitura “età alla macellazione: inferiore a 8 mesi” per le carni ottenute da animali di età non superiore a otto mesi, o “età alla macellazione: pari o superiore a otto ma inferiore a dodici mesi” per le carni ottenute da animali di età superiore a otto mesi e non superiore a dodici mesi. o Tuttavia, in deroga alla lettera b, gli operatori possono sostituire l’indicazione dell’età della macellazione con l’indicazione della categoria, rispettivamente: “categoria V” o “categoria Z”, nelle fasi che precedono la distribuzione al consumatore finale. La carne bovina macinata deve recare in etichetta le seguenti informazioni: Numero / Codice di riferimento: può essere il numero di identificazione del singolo animale, o di un gruppo di animali. Preparato in: (nome dello Stato membro o del paese terzo). Origine: nel caso in cui il Paese o i Paesi di nascita e di allevamento siano diversi da quello in cui è avvenuta la preparazione del macinato. Lo Stato membro o il Paese terzo in cui ha avuto la macellazione. È prevista solo l’indicazione obbligatoria del Paese di macellazione e di quello nel quale le carni sono state preparate. Non sono quindi obbligatorie le informazioni relative alla provenienza degli animali o l’identificazione dello stabilimento di macellazione. Il Regolamento (CE) n° 1760/2000, pur istituendo il nuovo sistema di etichettatura obbligatoria e facoltativa delle carni bovine e dei prodotti a base di carne bovina, non prevede poi, nell’articolato, alcuna regola per questi ultimi. L’etichettatura della carne di altre specie Il Reg. (UE) 1337/2013 ha introdotto l’obbligo di indicare nell’etichetta delle carni fresche e congelate di suino, ovino, caprino e volatili. il Paese d’origine o il luogo di provenienza e di macellazione. Lo stesso regolamento consente anche, su base volontaria, di dettagliare meglio le informazioni sull’origine del prodotto. Il termine “origine” può essere utilizzato solo nel caso di animali nati, allevati e macellati nello stesso Paese. Per esempio, si può scrivere “Origine Italia” solo se l’animale è nato, cresciuto ed è stato macellato in Italia. L’etichettatura dei prodotti a base di carne suina Il Decreto del 6 agosto 2020 prevede che i produttori indichino in maniera leggibile sulle etichette dei prodotti a base di carne suina le informazioni relative a: “Paese di nascita: (nome del paese di nascita degli animali); “Paese di allevamento: (nome del paese di allevamento degli animali); “Paese di macellazione: (nome del paese in cui sono stati macellati gli animali). Quando la carne proviene da suini nati, allevati e macellati nello stesso paese, l'indicazione dell'origine può apparire nella forma: "Origine: (nome del paese)". La dicitura "100% italiano" è utilizzabile solo quando ricorrano le predette condizioni e la carne sia proveniente da suini nati, allevati, macellati e trasformati in Italia. È possibile utilizzare diciture semplificate per le carni di provenienza extranazionale: Origine: UE": quando la carne proviene da suini nati, allevati e macellati in uno o più stati membri dell'Unione europea, Origine: extra UE": quando la carne proviene da suini nati, allevati e macellati in uno o più stati non membri dell'Unione europea; Origine: "UE", "extra UE" o "UE o extra UE", a seconda dei casi: qualora l'indicazione dell'origine si riferisca a più di uno stato. Questo obbligo di tracciabilità è però applicabile solo nel caso in cui la produzione finale avvenga in Italia, mentre non può essere esteso a prodotti analoghi di provenienza estera. 5 Industrie delle carni Definizioni Le seguenti definizioni sono tratte dalla normativa europea (Reg, (CE) 853/2004) Carni: tutte le parti degli animali adatte al consumo alimentare umano Carni fresche: carni che non hanno subito alcun trattamento salvo la refrigerazione, il congelamento o la surgelazione, comprese quelle sottovuoto o in atmosfera controllata Carcassa: corpo di un animale da macello dopo macellazione e toelettatura (dissanguamento, scuoiamento, eviscerazione, sezionamento e asportazione estremità degli arti, della testa, della coda e delle mammelle Frattaglie: carmi fresche diverse da quelle della carcassa inclusi il sangue e i visceri Visceri: frattaglie della cavità toracica, addominale e pelvica, compresi trachea ed esofago. Gli animali da carne sono: Ungulati domestici: carni di animali domestici delle specie bovina (comprese le specie Bubalus e Bison), suina, ovina e caprina e di solipedi domestici. Pollame: volatili di allevamento, compresi i volatili che non sono considerati domestici ma vengono allevati come animali domestici, ad eccezione dei ratiti (struzzo). Lagomorfi: conigli e lepri, nonché roditori. Selvaggina selvatica: o ungulati e lagomorfi selvatici, nonché altri mammiferi terrestri oggetto di attività venatorie ai fini del consumo umano considerati selvaggina selvatica ai sensi della legislazione vigente negli Stati membri interessati, compresi i mammiferi che vivono in territori chiusi in condizioni simili a quelle della selvaggina allo stato libero. o selvaggina di penna oggetto di attività venatoria ai fini del consumo umano. Selvaggina d’allevamento: ratiti e mammiferi terrestri d’allevamento diversi dagli ungulati selvatici La selvaggina selvatica piccola è data da selvaggina di penna e lagomorfi che vivono in libertà, mentre la selvaggina selvatica grossa è composta dai mammiferi terrestri selvatici che vivono in libertà. La macellazione All’allevamento fa seguito, quando il bestiame ha raggiunto il giusto peso, la macellazione. Viene effettuata in strutture apposite, i macelli, sotto il controllo del servizio veterinario, che accerta lo stato di salute degli animali prima dell’abbattimento e la qualità igienico-sanitaria delle carcasse. Il macello è quindi lo stabilimento adibito alla macellazione e alla tolettatura degli animali le cui carni sono destinate al consumo umano. Pre-macellazione Le fasi di trasferimento degli animali dall’allevamento all’impianto di macellazione e di attesa pre- abbattimento influiscono in maniera determinante sul livello di benessere nel loro ultimo periodo di vita e, di conseguenza, sulla qualità delle carni. Il contenimento dello stress animale durante le fasi di carico/scarico, trasporto e attesa pre- abbattimento devono interessare il trasportatore, ma anche gli altri attori della filiera coinvolti, quali gli allevatori e i macellatori, per le possibili conseguenze negative, quali calo di peso alla macellazione, alterazioni post- macellazione delle masse muscolari e aumento delle lesioni traumatiche, degli scarti e della mortalità. Per essere ammessi al trasporto, gli animali devono essere in condizioni idonee. I gruppi di animali di specie, taglia, età e caratteristiche diverse devono essere tenuti separati e le necessità fisiologiche degli animali devono, per quanto possibile, essere soddisfatte. Il trasporto comprende: il carico sul mezzo utilizzato (camion, aereo, nave e treno); l’eventuale trasferimento su un altro mezzo di trasporto; il viaggio verso il luogo di destino con soste e scarico degli animali nei posti di controllo laddove un lungo viaggio superi le ore massime consentite dalla norma vigente per le singole specie; scarico nell’impianto di macellazione ed eventuale sistemazione nelle aree di sosta. Durante tutte le operazioni che costituiscono il trasporto, gli animali vengono a contatto con numerosi fattori che causano stress psico-fisico e che rendono la valutazione del benessere degli animali trasportati particolarmente complessa. Da molti anni le condizioni di trasporto degli animali d’allevamento sono oggetto di grande interesse sia da parte dell’opinione pubblica, sempre più attenta alla qualità etica dei processi produttivi, sia da parte dei tecnici del settore e della classe politica, che è intervenuta frequentemente su tale materia con atti legislativi. Lo stress subito dagli animali durante le operazioni di carico/scarico è influenzato da diversi fattori, quali la durata delle operazioni, le caratteristiche dei corridoi di movimentazione e delle rampe e gli strumenti utilizzati per la movimentazione. Per favorire la movimentazione degli animali, gli operatori possono utilizzare strumenti idonei, quali bastoni di gomma, aste/palette di plastica flessibile, sacchi di plastica, ecc. È vietato movimentare gli animali percuotendoli, tirando loro calci e utilizzando pungoli o altri strumenti con estremità appuntite. Gli strumenti che trasmettono scariche elettriche, detti stimolatori elettrici, devono essere evitati il più possibile; secondo il regolamento europeo sono ammessi soltanto per gli animali adulti che rifiutano di spostarsi e che hanno davanti a loro spazio per muoversi. Purtroppo, in molti casi, la “pila” viene utilizzata in modo improprio allo scopo di accelerare le operazioni di carico/scarico, soprattutto in prossimità della rampa. Generalmente questo tipo di utilizzo provoca, non tanto una velocizzazione delle operazioni di carico/scarico, ma un forte stress, specie per i suini movimentati. Il Reg. (CE) 1/2005 stabilisce le caratteristiche dei mezzi di trasporto su strada. I mezzi di trasporto devono essere progettati, realizzati, mantenuti e utilizzati in modo da evitare lesioni e sofferenze e assicurare l'incolumità degli animali. Devono essere rispettate le regole previste riguardo alla densità di carico massima per le diverse specie e deve essere assicurata la ventilazione e la protezione dalle intemperie. Le pareti e i pavimenti devono essere non sdrucciolevoli e facilmente pulibili. Il viaggio non deve durare più di 8 ore (12 se avviene esclusivamente sul territorio nazionale con mezzi idonei). Può essere più lungo utilizzando mezzi con requisiti aggiuntivi (tetto chiaro, lettiera, alimentazione, ecc.). Ogni mezzo di trasporto deve essere pulito e disinfettato immediatamente dopo ogni trasporto di animali o di prodotti che possono incidere sulla salute degli animali e, se necessario, prima di ogni nuovo carico di animali. Questa disposizione consente, da una parte, di garantire discrete condizioni igieniche per gli animali trasportati e, dall’altra, di impedire/contenere l’eventuale diffusione di malattie infettive. Nei macelli per stabulazione si intende la custodia di animali in stalle, recinti o spazi coperti, nonché aree aperte, allo scopo di prestare loro, le eventuali cure necessarie (acqua, foraggio, riposo) prima della macellazione. Secondo la normativa, se non possono essere macellati immediatamente dopo il loro arrivo al macello, gli animali devono essere condotti in apposite strutture per la loro stabulazione: tali strutture sono dette stalle di sosta. A norma del Reg. (CE) 853/2004, le procedure adottate dall’operatore del settore alimentare (OSA) devono garantire che ogni animale (o lotto di animali) ammesso nei locali del macello sia adeguatamente identificato. Durante il trasporto, gli animali sono accompagnati dalla dichiarazione di provenienza e di destinazione (Modello 4), oggi in forma cartacea solo per le specie in cui non esiste un’anagrafe informatizzata (es. lagomorfi), e da un’apposita documentazione (autorizzazione del trasportatore, ecc.). All’arrivo al macello viene condotta l’identificazione degli animali e viene effettuata la visita ante- mortem da parte del Veterinario Ufficiale, allo scopo di verificare l’idoneità alla macellazione, accertando la presenza di eventuali segni che indichino una compromissione del benessere oppure di condizioni che potrebbero ripercuotersi negativamente sulla salute umana. Stordimento Durante l'abbattimento e le operazioni correlate devono essere risparmiati agli animali dolori, ansia o sofferenze evitabili. A tale scopo, il Reg. (CE) 1099/2009 indica che gli operatori devono adottare i provvedimenti necessari affinché gli animali: ricevano conforto fisico e protezione, in condizioni igieniche e termiche adeguate, evitando cadute e scivolamenti; non siano esposti al pericolo di lesioni; siano maneggiati e custoditi tenendo conto dei loro comportamenti normali; non mostrino segni di dolore o paura evitabili o comportamenti anormali; non soffrano per la mancanza prolungata di cibo o acqua; non siano costretti all'interazione evitabile con altri animali che potrebbero avere effetti dannosi per il loro benessere. Lo stordimento è un’operazione con la quale si induce rapidamente uno stato di incoscienza nell’animale da macello in modo da evitargli sofferenza fino al momento della morte. Per facilitare uno stordimento efficace, applicando gli strumenti di stordimento in modo corretto, devono essere limitati i movimenti degli animali (immobilizzazione). Un animale condotto nella zona di stordimento può agitarsi per diverse cause (ambiente nuovo, presenza dell’uomo, rumori circostanti) e può cercare di retrocedere e di scalciare, provocandosi ferite e costituendo un pericolo per l’operatore. In generale, l’immobilizzazione si realizza convogliando l’animale nella zona di stordimento, impedendogli di retrocedere attraverso appositi cancelli a “ghigliottina”. La gabbia deve avere dimensioni tali da permettere all’animale di entrare senza ferirsi, ma, nello stesso tempo, da impedirgli ogni movimento. I metodi di stordimento utilizzati per gli animali da macello sono: pistola a proiettile captivo, soprattutto per bovini ed equini; percussione del cranio, per vitelli e piccoli ruminanti; elettronarcosi o elettrocuzione, per suini, piccoli ruminanti e avicoli; · esposizione al biossido di carbonio, per suini e avicoli. o L’elettronarcosi è un sistema di stordimento elettrico con applicazione di corrente limitatamente alla testa. Si tratta di un sistema di stordimento reversibile, che quindi deve essere seguito rapidamente dopo la iugulazione dell’animale. Lo stordimento con elettronarcosi può avvenire mediante applicazione manuale degli elettrodi alla testa dell’animale con uno strumento a tenaglia in materiale isolante (per prevenire infortuni all’operatore), automaticamente con convogliamento dell’animale mediante nastro trasportatore ad elettrodi fissi (restainer) oppure, negli avicoli, mediante bagno elettrificato (vasca di stordimento) nel quale viene immersa la testa dell’animale. o L’elettrocuzione è un sistema di stordimento elettrico con applicazione di corrente a testa e corpo. Il sistema prevede l’esposizione del cervello e del cuore alla corrente. Avviene mediante applicazione manuale degli elettrodi alla testa e al corpo (dorso o arti) dell’animale con uno strumento dotato di manico in materiale isolante (per prevenire infortuni all’operatore). Problemi legati allo stordimento: insufficiente stordimento, stordimento eccessivo (porta a cattivo dissanguamento, emorragie petecchiali). La normativa vigente prevede la possibilità di non eseguire lo stordimento negli animali nei seguenti casi: abbattimento di estrema urgenza macellazione di pollame e conigli per consumo domestico privato abbattimento per misure di polizia sanitaria. Inoltre, è prevista la deroga allo stordimento in caso di macellazione secondo rito religioso. Iugulazione La iugulazione consiste nella recisione dei grossi vasi del collo (giugulari e carotidi) con conseguente fuoriuscita di sangue spinto dall’attività cardiaca e poi morte dell’animale per dissanguamento. Nel suino il taglio avviene alla base del collo (taglio del tronco brachiocefalico). La iugulazione è in genere eseguita manualmente da un operatore; nel pollame può essere effettuata in modo meccanico mediante taglio sul collo sotto la testa. Ogni operatore deve avere almeno due coltelli: con un coltello incide la pelle, poi lo ripone nello sterilizzatore e con un altro coltello recide i grossi vasi sanguigni. I coltelli, dopo ogni utilizzo, devono essere riposti nella sterilizzatrice. La fuoriuscita di sangue prosegue anche dopo la morte dell’animale per attività cardiaca residua e per la forza di gravità. Per ottenere la completa fuoriuscita del sangue occorrono 7 minuti (bovini adulti), 4-5 minuti (suini pesanti) o 3-4 minuti (ovini e caprini). Generalmente, durante il dissanguamento, l’animale viene appeso per gli arti posteriori. Il sangue può essere raccolto tramite coltelli cavi collegati con tubi aspiranti se destinato a utilizzo per consumo umano. Problemi legati al dissanguamento: ritardato/insufficiente dissanguamento, contaminazioni, inalazione di sangue. Scuoiatura Dopo la iugulazione e il dissanguamento, in alcune specie (bovini, equini, piccoli ruminanti, conigli) viene effettuato il distacco della testa a livello dell’articolazione atlanto-occipitale e il distacco degli arti dalle articolazioni carpiche e tarsiche. Si esegue poi la scuoiatura manuale o tramite un congegno elettrico o ad aria compressa. Sbollentatura e depilazione Nel suino, dopo il dissanguamento, l’animale viene immerso per pochi minuti in una vasca di scottatura con acqua a 60°C circa. Viene poi sollevato e agganciato ad una guidovia con gli arti posteriori e quindi sottoposto a depilazione mediante il passaggio attraverso cilindri rotanti dotati di dita di gomma. Infine, si esegue la flambatura per eliminare le setole residue, la spazzolatura e il lavaggio. Problemi della sbollentatura: penetrazione di acqua nelle vie aeree, contaminazioni. Spiumatura L’asportazione delle piume e delle penne negli avicoli può essere realizzata mediante scottatura per immersione in acqua calda o aspersione di acqua/vapore caldo, passaggio tra rulli con dita di gomma e poi flambatura, oppure a secco, manualmente (es. negli struzzi). Eviscerazione Viene effettuata l’apertura della cavità addominale mediante incisione sulla linea alba, della cavità pelvica, tramite sezione della sinfisi pubica, e della cavità toracica, mediante sezione sagittale dello sterno. Nei ruminanti vengono estratti prima i prestomaci e poi l’intestino. L’intestino viene asportato partendo dalla parte rettale; viene inciso il diaframma e vengono asportati gli organi toracici (corata), che vengono appesi accanto alla carcassa per la visita post-mortem. Infine, si asportano utero, vagina e vescica. I reni possono essere asportati oppure lasciati sulla carcassa (nel vitello) estroflessi dalla loro capsula per la visita post- mortem. Al termine il veterinario ufficiale compie la visita post-mortem esprimendo il giudizio finale sulla destinazione delle carni La bollatura sanitaria consiste nell’applicazione di un contrassegno indelebile sulla carcassa e comprova l’avvenuta ispezione sanitaria (bovini, equini, suini, ovi-caprini e selvaggina di grossa taglia). Per le altre specie si fa la marchiatura di identificazione che comprova l’esito favorevole dell’ispezione sanitaria, ma è realizzata dal responsabile dell’azienda di produzione. Le carni infatti vengono immesse sul mercato da uno stabilimento riconosciuto solo se contrassegnate dal bollo sanitario o dal marchio di identificazione. Problemi: contaminazioni per imbrattamento da feci o altro materiale uscito dagli organi addominali. Sezionamento e disossamento Al termine dell’eviscerazione, viene fatta a mano la rifilatura mediante un coltello per eliminare eventuali brandelli di tessuto muscolare o adiposo. Spesso viene effettuato anche un lavaggio della carcassa mediante pistole a forte getto d’acqua o docciatura in tunnel. Nei grossi animali di solito viene effettuato il sezionamento tagliando lungo la colonna vertebrale e ottenendo due mezzene, poi lungo un piano trasversale ottenendo quattro quarti (2 anteriori e 2 posteriori). Il disossamento può essere fatto “a caldo”, subito dopo il sezionamento, oppure sulle carni refrigerate. Nella lavorazione a caldo, le carni vengono disossate e sezionate prima di aver raggiunto la temperatura idonea per la conservazione, di solito entro 2-3 ore dalla macellazione. In questo caso le carni devono essere trasportate al locale di sezionamento direttamente dal locale di macellazione, o previa sosta in un deposito refrigerato o di raffreddamento. Questo metodo si usa per preparare tagli primari di bovino, agnello e suino, talvolta anche di pollo, destinati ad altre lavorazioni. I vantaggi del disosso a caldo sono: aumento capacità di ritenzione idrica (WHC) colore più uniforme costi minori per il raffreddamento minori perdite in peso per evaporazione I possibili inconvenienti invece sono rappresentati da un maggiore indurimento per limitato accorciamento dei muscoli (bilanciato però dalla maggiore tenerezza dovuta al mantenimento a T° di 15-20°C) e da una maggiore contaminazione delle carni (favorita dalle operazioni di disosso e dalle condizioni favorevoli allo sviluppo microbico). La trasformazione del muscolo in carne La carne è il frutto delle modificazioni biochimiche a carico del tessuto muscolare che si realizzano nel periodo post mortem determinandone la cosiddetta “maturazione” o “frollatura”. Il muscolo scheletrico e la fisiologia della contrazione Il tessuto muscolare scheletrico è costituito da fibre muscolari multinucleate, di forma cilindrica e di grosse dimensioni. Le fibre si associano tra loro formando i fasci muscolari. Una rete di tessuto connettivo, denominata endomisio, si interpone tra le singole fibre. Più fasci sono tenuti uniti da un connettivo più denso detto perimisio, che contiene vasi sanguigni e nervi. Infine, l’epimisio delimita l’intero muscolo. All’interno di ogni fibra muscolare sono presenti le miofibrille, disposte parallelamente allo sviluppo della fibra. Le miofibrille sono composte da migliaia di sarcomeri, uno dietro l’altro. Il sarcomero rappresenta l’unità strutturale e funzionale del muscolo e contiene due tipi di filamenti proteici, l’actina (filamenti sottili) e la miosina (filamenti spessi). I due tipi di filamenti (actina e miosina) sono intercalati in modo ordinato, così che 2 filamenti di actina circondano 1 filamento di miosina (Fig,2). L’actina è una proteina globulare che accoglie nel suo interno un asse formato da molecole di tropomiosina; su questo asse si trova un’altra proteina, la troponina, dotata di un sito Ca++ sensibile. La miosina è una proteina composta da una catena polipeptidica lineare (coda) e da una protrusione globosa (testa globulare), con le quali il filamento di miosina si aggancia a quello di actina durante la contrazione muscolare, formando il complesso actomiosinico (Fig.2). La contrazione delle fibre muscolari avviene per scorrimento dei filamenti di actina tra quelli di miosina: il sarcomero si accorcia e di conseguenza la fibra si contrae. Per la contrazione, l’impulso nervoso, possono scorrere sui filamenti spessi di raggiunta la giunzione neuro-muscolare miosina e si ha quindi la contrazione (placche motrici = zona di contatto tra muscolare. Al termine dell’eccitazione, gli ioni muscolo e nervo), libera un Ca++ rientrano nel reticolo sarcoplasmatico neurotrasmettitore (es. acetilcolina). ed il muscolo si rilascia riacquistando la L’acetilcolina rende permeabile la membrana conformazione iniziale (Fig.3). della miofibrilla agli ioni Na+ e ciò si traduce in una corrente elettrica (depolarizzazione). L’impulso elettrico si propaga fino ad arrivare al reticolo sarcoplasmatico (compartimento cellulare in cui il Ca++ è bloccato da apposite proteine), dal quale il Ca++ diffonde per tutta la cellula, legandosi ai siti Ca sensibili posizionati sulla troponina. In tal modo si determina un cambiamento conformazionale che causa lo spostamento della tropomiosina, lasciando libero il sito d'attacco per la miosina sull'actina. I filamenti di actina L’energia necessaria alla contrazione è fornita dall’idrolisi dell’adenosintrifosfato (ATP = ADP + P). Il metabolismo energetico delle fibre muscolari utilizza principalmente gli zuccheri (glucosio) attraverso il processo della glicolisi (degradazione del glucosio). Se il muscolo si contrae in presenza di ossigeno, la glicolisi procede fino alla formazione di 38 molecole di ATP (molta energia). Se invece il muscolo si contrae in un mezzo privo di ossigeno, avviene la glicolisi anaerobia con formazione di 2 molecole di ATP ed anche acido lattico. Il muscolo scheletrico (oltre al fegato) possiede la capacità di sintetizzare glicogeno a partire da glucosio ematico e di trattenere il glicogeno nelle sue fibre. Il glicogeno, un polisaccaride formato da molecole di glucosio, rappresenta quindi una riserva di energia che il muscolo accumula permettendogli di lavorare (di contrarsi) anche quando non è immediatamente disponibile il glucosio ematico. Nel sarcoplasma è presente anche la mioglobina, una proteina coniugata con il ferro che è parzialmente responsabile del colore rosso del muscolo. Tale molecola immagazzina l’ossigeno, che viene liberato durante la contrazione muscolare. Le fibre muscolari sono distinte in rosse e bianche. Le fibre rosse (ad alto contenuto di mioglobina), a contrazione lenta, hanno una ridotta capacità di immagazzinare glicogeno e sono dotate di sistemi enzimatici glicolitici poco sviluppati. Tali fibre hanno metabolismo aerobico e consentono esercizi di lunga durata, ma poco intensi. Le fibre bianche, a contrazione rapida, sono dotate di una notevole capacità di immagazzinare glicogeno, di un apparato glicolitico ben sviluppato e di numerosi mitocondri. Tali fibre hanno metabolismo anaerobico e sono impegnate negli sforzi intensi ma di breve durata. La carne è il risultato della trasformazione del muscolo tramite un complesso processo biochimico che inizia dopo la morte dell’animale e prosegue per un periodo variabile, fino all’acquisizione delle caratteristiche organolettiche di questo alimento. Dopo la morte dell’animale per dissanguamento, il sistema nervoso rimane eccitabile per circa un’ora e mezzo e il muscolo può continuare a contrarsi. Passato questo tempo, il muscolo perde la sua flessibilità e si ha il cosiddetto rigor mortis: il muscolo rimane contratto e la contrazione è irreversibile. Dopo il rigor mortis, inizia un processo di proteolisi da parte di enzimi liberati dai lisosomi delle cellule muscolari stesse. Il processo prevede la degradazione enzimatica dei filamenti di actina e miosina, che provoca il conseguente rilascio della fibra contratta. La fase di pre-rigor e il rigor mortis Dopo la morte, i muscoli restano morbidi, pieghevoli ed estensibili per un certo periodo fino a che non si stabilisce il rigor mortis. In questo periodo si verificano delle contrazioni fibrillari spontanee, man mano sempre meno potenti (fase di eccitabilità muscolare). Le contrazioni possono avvenire solo con dispendio energetico (ATP). Inizialmente, subito dopo la morte, è presente ancora una piccola quota di ossigeno e l’ATP viene normalmente sintetizzato dalle reazioni tipiche della respirazione cellulare (glicolisi). Quando l’ossigeno non è più disponibile, si attivano vie alternative della rifosforilazione dell’ATP: la via della creatinfosfochinasi (Creatina-P + ADP → Creatina + ATP) e poi la glicolisi anaerobia. In questa seconda fase, viene utilizzato il glicogeno muscolare. In anaerobiosi il prodotto finale del glicogeno è l’acido lattico che, con l’arresto del circolo dopo la morte, si accumula nel muscolo provocando un forte calo del pH (da 7,1-7,4 da vivo a 5.5-5,8 da morto). Tale evento, unito alla riduzione della temperatura, induce un cambiamento di fase della membrana del reticolo sarcoplasmatico muscolare, cui consegue un’ipofunzionalità della Ca-ATPasi che determina sia il mancato sequestro sia la diffusione del calcio all’interno del sarcoplasma. L’incremento della concentrazione sarcoplasmatica di calcio (da 1 a 500 μM circa) comporta uno stimolo contrattile persistente, sino all’esaurimento delle riserve di ATP. Quando tutto l’ATP è finito e i ponti actina-miosina sono tutti formati, il muscolo diviene rigido, inestensibile e inerte e si ha il rigor mortis. Il rigor mortis o rigidità cadaverica è quindi una contrattura muscolare che coinvolge tutta la muscolatura dell’animale morto, ma non è sincrona in tutti i muscoli, sia per il momento di insorgenza che per la durata. Nell’animale macellato non affaticato e ben nutrito, i depositi di glicogeno sono tali da produrre acido lattico in eccesso. Nell’animale denutrito e stressato, la concentrazione di glicogeno muscolare è bassa e la glicolisi si arresta presto: insorge il rigor precocemente, c’è poca acidificazione e il pH non scende a sufficienza. La riduzione del pH è fondamentale per la buona conservazione della carne perché inibisce lo sviluppo microbico. Il tempo di insorgenza del rigor mortis è variabile e dipende da: specie e età animale, temperatura, processo di macellazione, muscolo. La presenza del mantello, della pelle o di uno spesso strato di grasso, che agiscono da isolanti del freddo (es. in ovicaprini e suini), provoca un rallentamento del raffreddamento e quindi una maggiore velocità di glicolisi. Per quanto riguarda i diversi muscoli, in genere quelli più esterni presentano una glicolisi più lenta, quelli più profondi più veloce. Al momento della morte, la temperatura del muscolo è ai valori fisiologici dell’animale (38°-40° C). Dopo la morte, si ha un lieve innalzamento (circa 1 °C), per poi assistere ad un calo, fino all’equilibrio con quella ambientale. Elevate temperature post mortem accelerano l’acidificazione delle carni con effetti non sempre positivi. Infatti, un’eccessiva e rapida discesa del pH conseguente ad elevate temperature delle carcasse, può determinare alterazioni in consistenza, colore, capacità di ritenzione idrica e tenerezza della carne. Queste alterazioni risultano più facilmente riscontrabili nelle carcasse bovine dove il notevole sviluppo muscolare, specialmente dei quarti posteriori, e la presenza di grasso di copertura possono opporsi ad un corretto abbassamento della temperatura delle carni “a cuore”. Il post-rigor e la frollatura Già durante il rigor-mortis e poi nelle fasi successive, si hanno modificazioni strutturali a carico dei sarcomeri, con rottura dei legami actomiosinici e perdita di proteine di stabilizzazione, provocate dall’abbassamento del pH e dall’azione di enzimi proteolitici (proteasi endogene), le calpaine e le catepsine. Le calpaine, che hanno pH ottimale a 6, si attivano in presenza di un’alta concentrazione di ioni Ca++ e agiscono facendo staccare i filamenti di actina, che così collassano su quelli di miosina. Le catepsine sono invece attive a pH più bassi e provocano l’idrolisi delle proteine sarcoplasmatiche, con aumento di pH. Le calpaine svolgono un ruolo predominante nelle fasi immediatamente successive all’abbattimento, mentre le catepsine intervengono con il proseguire della frollatura. In conseguenza dall’azione di questi enzimi, il muscolo diviene nuovamente pieghevole e si ha la risoluzione del rigor. Inoltre, si formano composti a basso peso molecolare che contribuiscono all’acquisizione delle caratteristiche organolettiche della carne (aroma, digeribilità, tenerezza). Il processo che porta alla scomparsa del rigor mortis e all’acquisizione delle caratteristiche della carne, viene detto frollatura. Nel muscolo, l’acqua libera si trova negli spazi tra le proteine ed è molto sensibile alle variazioni che intervengono durante la frollatura. La capacità delle carni a trattenere acqua è elevata negli animali appena macellati; si riduce con l’acidificazione e con il rigor mortis e poi risale nella fase di maturazione. Una temperatura elevata favorisce una maggiore attività delle catepsine, ma al tempo stesso diminuisce la denaturazione delle proteine fibrose. La temperatura ambientale ottimale per la frollatura è quindi di 10- 15°C per almeno 12 ore dalla macellazione. D’altra parte, però, le temperature devono essere mantenute a basse per prevenire lo sviluppo microbico. È quindi preferibile operare a temperature basse e con valori di pH ottimali. La refrigerazione delle carni Le carni devono essere immediatamente refrigerate dopo la macellazione e devono essere mantenute a basse temperature senza interruzioni per tutta la loro vita commerciale (mantenimento della catena del freddo). L’abbassamento della temperatura sulla superficie della carcassa, immediatamente dopo la macellazione, rallenta la moltiplicazione dei microrganismi deterioranti e consente il raggiungimento nelle parti più profonde di temperature tali da impedire la moltiplicazione di microrganismi patogeni eventualmente presenti. Infatti, nonostante una buona applicazione delle norme igieniche durante la macellazione, è inevitabile la presenza di un certo grado di contaminazione (per contatto con utensili, aria, operatore ecc.). La temperatura deve scendere rapidamente a valori di sicurezza, a partire da valori prossimi a + 40°C (quelli della temperatura corporea degli animali in vita). Come previsto dalla normativa vigente, le carni devono raggiungere a cuore una temperatura non superiore a +7°C per le carni rosse e +4°C per le carni bianche. I fattori che influenzano la capacità di raffreddamento sono: peso, conformazione e stato di ingrassamento della carcassa; temperatura iniziale; presenza/assenza di pelle o pelliccia. La discesa della temperatura dipende anche da: velocità di percorso o tempo di stazionamento delle mezzene nel tunnel di refrigerazione; carico della cella; posizione e distanza tra le mezzene. La refrigerazione successiva alla fase di macellazione è inoltre di fondamentale importanza al fine di garantire la corretta funzionalità degli enzimi deputati alla trasformazione del muscolo in carne. Una refrigerazione eccessivamente rapida causa una riduzione della tenerezza. Nello specifico, raggiungendo temperature inferiori ai 10°C in presenza di cospicue riserve di glicogeno (pH>6,00), il cambiamento di fase che sopravviene a carico della membrana del reticolo sarcoplasmatico, causa un imponente aumento della concentrazione di calcio, con conseguente persistente stimolo contrattile, da cui il termine “contrattura da freddo”. La contrazione comporta l’accorciamento dei sarcomeri, cui consegue una riduzione della tenerezza, effetto non compensato neppure dalla successiva proteolisi post-mortale. Un declino lento della temperatura è invece in grado di determinare un decadimento eccessivamente rapido del pH, esponendo il muscolo alla concomitante presenza di elevate temperature e ridotti valori di pH, soprattutto a livello delle regioni profonde della carcassa. Tale eventualità determina riduzione della tenerezza, a causa di una minore attività delle calpaine, dovuta all’esposizione sia a elevate temperature che a ridotti valori di pH. Metodi per la refrigerazione delle carcasse Ci sono diversi metodi di refrigerazione delle carcasse: Classico Rapido Ultrarapido Nel metodo di refrigerazione classico le carcasse vengono immesse in una cella a 0-4°C, con umidità relativa del 95 % e velocità di ventilazione di 2 m/sec. In una carcassa suina, si raggiunge a cuore la temperatura di conservazione in 18-24 ore. Si tratta quindi di un metodo lento (possibili rischi igienici) ed anche costoso. Nel metodo rapido, applicato a mezzene di suino destinate all’immediato sezionamento o alla spedizione oppure come pre-raffreddamento nel metodo ultrarapido, si applicano temperature da -1° a + 2°C, umidità relativa dell’85-90% e velocità dell’aria di 2-4 m/sec. In questo modo le mezzene suine raggiungono la temperatura di conservazione in circa 12 ore. Il metodo ultrarapido si svolge in due tempi. Durante la prima fase la temperatura è di - 5/-8°C o inferiore, con velocità di 5 m/sec e umidità relativa 90%. In questo modo viene causato uno shock termico superficiale, bloccando rapidamente la crescita batterica a questo livello, e si forma una crosta superficiale, che rallenta l’ulteriore raffreddamento interno. Nella seconda fase la temperatura viene alzata a circa 0°C e la velocità viene abbassata (0,1-0,3 m/sec). Con il metodo ultrarapido le carcasse suine raggiungono a cuore la temperatura di conservazione in 8.10 ore e le carcasse bovine in 12-18 ore. La refrigerazione ultrarapida può essere realizzata svolgendo tutte e due le fasi nello stesso locale, variando le condizioni di temperatura e velocità dell’aria, oppure applicando lo shock termico iniziale in un tunnel e la refrigerazione di equilibratura in un locale diverso (ad esempio una cella). Le patologie della frollatura e le alterazioni delle carni fresche Lo stress derivato da trattamento improprio o condizioni ambientali avverse può causare una perdita di qualità della carne. Due sono le più importanti alterazioni della carne derivate da stress e quindi da un alterato processo biochimico di trasformazione da muscolo in carne dopo la morte dell’animale: la DFD (da dry firm dark) e la PSE (da pale soft exudative). Le carni DFD sono carni bovine (specialmente toro) e suine caratterizzate da una scarsissima acidificazione (pH>6). Sono dovute ad uno stress prolungato prima della macellazione (24 ore o più), con una riduzione di gran parte delle riserve di glicogeno. Il metabolismo anaerobio post- mortem viene quindi ridotto e le carni non vanno incontro ad acidificazione, mancando il lattato. Hanno un'alta capacità a trattenere acqua, presentandosi asciutte e di consistenza compatta. Risultano scure, per la scarsa tendenza della mioglobina ad ossidarsi in ossimioglobina; tale colore tende ad accentuarsi per ritenzione idrica e per la struttura chiusa a scarsa riflettanza della luce incidente. Si conservano male perché vanno incontro più facilmente ad alterazioni microbiologiche. Inoltre, prendono male il sale (bassa conducibilità elettrica). Sono quindi adatte per la produzione di prodotti salati cotti, mentre non sono adatte per gli insaccati e i prodotti crudi, né per la conservazione sottovuoto o in atmosfera modificata. Le carni PSE, suine o più raramente bovine (razze a doppia muscolatura), presentano le seguenti caratteristiche: sono di colore pallido, rosato, simile in alcuni casi a quello delle carni cotte; hanno aspetto “essudativo”: tendono facilmente a cedere liquido, soprattutto in superficie di taglio, ed appaiono molto lucide; hanno consistenza diminuita (“soffice”) rispetto alla norma. L’insorgenza della PSE è legata, almeno come fattore scatenante, a fattori “stressanti” in grado di portare ad una fisiologica liberazione di catecolamine che, a loro volta, sono responsabili della rapida ed intensa mobilizzazione delle riserve glucidiche muscolari. Si ha quindi rialzo di temperatura corporea e rapido calo del pH dopo la morte (dopo 45 minuti dalla morte raggiunge valori inferiori a 5,8-5,9) per conversione del glicogeno, presente in riserve adeguate, ad acido lattico. Il verificarsi contemporaneo di alte temperature e basso valore di pH, inferiore al punto isolelettrico delle proteine, è responsabile di fenomeni di denaturazione delle proteine sarcoplasmatiche e miofibrillari, con una marcata riduzione della capacità di ritenzione idrica della carne. L’aspetto chiaro è dovuto al basso volume miofibrillare e alla precipitazione delle proteine. Nel suino la PSE si manifesta in soggetti di razze caratterizzate da rapido accrescimento, con carni ricche di proteine e povere di grassi (Pietrain, Poland-China, alcune linee genetiche della razza Landrace), particolarmente predisposte verso le cosiddette “sindromi da stress”. Anche nel bovino è stata ipotizzata un’influenza della selezione genetica sul determinismo della PSE. In questa specie, infatti, la ricerca di uno sviluppo muscolare rapido ed intenso potrebbe aver condotto ad uno scadimento della “qualità” del tessuto muscolare, con un aumento delle fibre “bianche” a scapito di quelle “rosse”. Le fibre “bianche”, di maggiori dimensioni, sono caratterizzate da un metabolismo più tipicamente anaerobio-glicolitico (maggiore velocità di contrazione-rilassamento) e quindi possono favorire una rapida ed intensa acidificazione post mortem. Le fibre bianche sono naturalmente presenti in grande numero nel muscolo suino e concorrerebbero alla maggiore suscettibilità di questa specie alla PSE. Un altro fattore fondamentale per l’insorgenza della PSE è la temperatura: è noto infatti che la glicolisi viene accelerata dalle alte temperature. Nel bovino il notevole spessore muscolare delle mezzene e dei quarti (in particolare del posteriore) non permette una rapida refrigerazione delle carni “al cuore”. Infatti, in questa specie, le parti muscolari più interessate dall’alterazione sono quelle dotate di maggiore spessore o situate in profondità, come il grande psoas e la muscolatura dell’anca (muscoli semimembranoso, adduttore, ecc.), mentre più raramente vengono colpiti i muscoli più superficiali. La condizione PSE può avere infatti vari gradi di gravità, può colpire un intero distretto muscolare, un muscolo o parti di esso. Nel suino la PSE è più evidente negli arti e nei lombi, con problemi gravi per la produzione del prosciutto. Simile è il cosiddetto “edema da trasporto”, rinvenuto in agnelli trasportati al macello in pessime condizioni. Se venduta fresca, la carne PSE presenta perdite di essudato fino al 10%, oltre ad essere di aspetto non gradevole. Se invece viene cotta è dura e asciutta e dà poca resa. Ha una buona attitudine alla salagione, ma l’essiccazione è troppo veloce. Nel suino l’identificazione della PSE si può fare mediante misurazione del pH a 45 minuti dalla morte: il pH normale della carne di suino è superiore a 6.4-6.5 mentre nella condizione PSE è < 5.9. L’alterazione può essere contenuta mediante un veloce abbassamento della temperatura della carcassa. Errate procedure di macellazione e di conservazione delle carni possono condurre alle seguenti alterazioni: Patina viscida (slime): presenza sulla superficie della carne di un sottile strato mucoso- viscido dovuta alla moltiplicazione di batteri, lieviti o muffe conseguente a contaminazione superficiale, inadeguata refrigerazione, alta umidità e/o prolungata conservazione. Putrefazione: rammollimento, odore caratteristico e colorazione verdastra delle carni, accompagnata, in alcuni casi, da produzione di gas. È dovuta ai batteri ad azione proteolitica (enterobatteri, clostridi), che formano composti azotati (ammoniaca, ammine) e solforati (acido solforico, indolo, scatolo, mercaptani). Si può osservare nelle parti muscolari profonde o nelle carni conservate sottovuoto. È favorita da una scarsa acidificazione post-mortem ed è determinata da una refrigerazione non corretta. Quando si sviluppa in superficie è dovuta a microrganismi aerobi (Pseudomonadaceae). Puzzo d’osso (stick bone): odore sgradevole che si sviluppa in particolare nella zona dell’articolazione coxo-femorale del bovino. La causa sicura non è conosciuta, ma ci sono varie ipotesi: origine batterica (clostridi) per sviluppo microbico all’interno dei vasi ematici o linfatici del midollo osseo, origine enzimatica per fenomeni biochimici endogeni, con produzione di acidi grassi a corta catena. La prima sarebbe favorita da: affaticamento dell’animale prima della macellazione, scarsa igiene della macellazione, refrigerazione non corretta, presenza di sangue, trasudato o essudato a livello osseo, muscolare o articolare. Inacidimento: odore acido e consistenza spugnosa (produzione di gas) per sviluppo di batteri (es. batteri lattici) e lieviti in grado di fermentare gli zuccheri con formazione di acidi organici (acetico, lattico) ed abbassamento del pH della carne. Si può avere in carni conservate in atmosfere modificate per refrigerazione errata e conservazione prolungata. Gonfiore (blown pack): si osserva nei tagli sottovuoto con rigonfiamento della confezione per formazione di gas. È dovuta a sviluppo di microrganismi produttori di gas, anaerobi e talvolta psicrotrofi (lattobacilli eterofermentanti, clostridi). Si ha in caso di conservazione prolungata delle carni ed errata refrigerazione. Essiccamento e imbrunimento: colore bruno, aspetto asciutto in superficie. Si ha in carni refrigerate in celle con un’eccessiva ventilazione che provoca disidratazione del tessuto muscolare e ossidazione della mioglobina in metamioglobina. Irrancidimento: alterazione del colore (giallastro) e produzione di aldeidi e chetoni con odore anomalo (rancido). Coinvolge la componente lipidica ed è dovuta ad ossidazione degli acidi grassi insaturi a contatto con l’aria (più colpite le carni equine ed avicole). Sono fattori predisponenti: temperature di refrigerazione non ottimali; presenza di luce e metalli (Cu e Fe) che fungono da catalizzatori. È possibile il coinvolgimento di batteri lipolitici (liberano acidi grassi che poi sono ossidati). Si può avere anche nelle carni congelate. Bruciature da congelamento (freeezer burns): presenza di aree biancastre superficiali ed anomala consistenza (carni spugnose e tigliose). Si ha nelle carni congelate a causa di un ambiente troppo secco delle celle, con eccessiva disidratazione superficiale. Il colore chiaro è dovuto all’evaporazione dei cristalli di ghiaccio superficiali che lasciano piccole sacche di aria. Alterazioni cromatiche: dovute a sviluppo di germi cromogeni (es. Pseudomonas) oppure per formazione di colemioglobina (colore bruno-verdastro) per contatto della mioglobina con acqua ossigenata e perossidi prodotti da vari microrganismi. White striping: il white striping (termine inglese utilizzato per definire le striature bianche sui petti di pollo) è un difetto dovuto all’aumento di peso rapido cui sono sottoposti gli animali. L’anomalia riguarda quasi esclusivamente il petto, che è anche la parte più importante da un punto di vista commerciale. L’incremento sproporzionato del petto favorisce la formazione delle strisce bianche perché le fibre muscolari non ricevono sangue e ossigeno a sufficienza ed alcune s’infiammano e muoiono. Il loro posto è preso da strisce bianche di tessuto fibroso e grasso. Il difetto porta ad una minore qualità della carne. Infatti aumenta la parte grassa, con depositi di grasso intramuscolare, del tutto anomali in animali giovani, e il tessuto connettivo, che rende più dura e meno digeribile la carne. Carne macinate Carne macinate: carni disossate che sono state sottoposte a un’operazione di macinazione in frammenti e contengono meno dell’1% di sale. o Subisce solo l’operazione della triturazione. Preparazioni di carne: carni che hanno subito un’aggiunta di prodotti alimentari, condimenti, additivi o trattamenti, non sufficienti a modificare la struttura muscolo-fibrosa interna della carne e a eliminare le caratteristiche della carne fresca. o Prodotto spesso pronto per la cottura (es. polpettone, spiedino ecc), sono accomunate dall’aggiunta di ingredienti e il fatto che la carne mantiene le sue caratteristiche, aggiungo e basta. Prodotti a base di carne, prodotti trasformati risultanti dalla trasformazione di carne o dall’ulteriore trasformazione di tali prodotti trasformati in modo tale che la superficie di taglio permetta di constatare la scomparsa delle caratteristiche delle carni fresche. o (questi tre sono tre categorie distinte), hanno problematiche conservative perché vengono lavorati (lavorazioni più o meno importanti di modificazione) che possono alterare le caratteristiche del prodotto ulteriormente. Carni separate meccanicamente: prodotto ottenuto mediante rimozione della carne da ossa carnose dopo il disosso o da carcasse di pollame, utilizzando mezzi meccanici che conducono alla perdita o modificazione dalla struttura muscolo-fibrosa o Ottenute da ossa di avicoli o pesci, si tratta delle rimanenze di prodotto su ossa; ho una macchina in cui introduco ossa che poi stacca parti muscolari che una forma pasta di carne. Vengono utilizzate per polpette, wurstel, cordon-bleu, sono accomunate dal fatto che sono cotte o da sottoporre a cottura. Processo produttivo delle carne macinate Arrivo dei tagli anatomici disossati Rifilatura-pulizia pezzi Trituratura grossolana e miscelazione Macinatura Porzionatura confezionamento Pesatura ed etichettatura Refrigerazione Processo produttivo delle preparazioni di carne: Arrivo dei tagli anatomici disossati Rifilatura-pulizia pezzi Triturazione grossolana e miscelazione oppure taglio in pezzi o affettatura Macinatura e aggiunta additivi, aromi, altri prodotti alimentari Porzionatura Confezionamento Pesatura ed etichettatura Refrigerazione La materia prima delle carni macinate deve avere i seguenti requisiti: specie animale: sono ammesse tutte le specie da macello, ma le carni macinate a base di carne equina e avicola devono essere consumate solo previa cottura; parti anatomiche: possono essere utilizzati solo i muscoli scheletrici e le parti adipose annesse. Non è consentito l’uso di carni di rifilatura, carni separate meccanicamente, carni provenienti da testa (tranne i muscoli masseteri), carpo, tarso oppure frammenti ossei; conservazione: le carni utilizzate possono essere refrigerate per un periodo massimo di 6 giorni dopo la macellazione (di 3 giorni per le carni avicole). Possono essere utilizzate anche carni congelate. Nelle carni macinate può essere aggiunto solo il sale alla concentrazione massima dell’1%. Le carni macinate, per le loro caratteristiche sono un prodotto “a rischio”. Infatti, la loro qualità viene protetta in modo rigoroso anche a livello normativo: il Reg. (CE) 1169/2011 prevede 4 categorie di qualità basate sui valori del tenore in grassi e del rapporto tra collagene e proteine totali. Le preparazioni di carne comprendono numerose e diverse tipologie di prodotti. Le carni utilizzate devono rispettare gli stessi requisiti delle carni macinate, ma è possibile utilizzare anche carni da rifilatura e carni separate meccanicamente, purché le preparazioni che ne derivano siano da consumarsi previa cottura. Inoltre, si possono utilizzare additivi (antiossidanti) allo scopo di mantenere la colorazione rossa della carne, ma non è consentito l’uso di nitriti. Le carni macinate e le preparazioni di carne sono molto deperibili dal punto di vista microbiologico a causa dei seguenti motivi: la macinazione provoca un aumento della carica microbica superficiale ed anche un aumento della superficie esposta; durante il taglio e la macinazione, si ha liberazione dei succhi cellulari, che rappresentano un ottimo substrato per la crescita microbica; durante le operazioni macinatura e taglio, nelle parti a contatto con le lame, si ha un lieve riscaldamento del prodotto (aumento sviluppo microbico con cambio temperatura). Ne consegue che queste carni hanno una shelf-life ridotta e possono essere a rischio, per la presenza di patogeni, specie se consumate crude o poco cotte. La normativa fissa precise prescrizioni circa: cariche microbiche: ricerca di germi indicatori d’igiene e germi patogeni, con analisi a cadenze stabilite dal produttore; igiene della lavorazione; applicazione del freddo (carni macinate: + 2°C; preparazioni di carne: + 4°C). Le carni separate meccanicamente (CSM) presenti oggi sul mercato sono soprattutto di origine avicola e suina. Presentano un notevole valore economico, permettendo l’uso anche di parti meno nobili della carcassa, di scarso valore commerciale. Vengono ottenute dalle carni aderenti alle ossa, macellate da non più di 5 giorni (7 giorni se macellate nella stessa struttura e 3 giorni se avicole), per mezzo di appositi macchinari. Non possono essere utilizzati: ossa di testa, zampe, coda, arti anteriori e posteriori nei mammiferi; zampe, pelle di collo e testa per i volatili. Una volta prodotte, le CSM devono essere utilizzate rapidamente e conservate refrigerate (max 24 ore) o congelate (max 3 mesi). Si tratta di carni molto deperibili, ad alto rischio per la possibile presenza di patogeni, poiché derivano da parti che possono essere fortemente contaminate. Vengono quindi applicati ad esse criteri di igiene di processo e di sicurezza alimentare che prevedono controlli microbiologici sul prodotto. Le CSM possono essere utilizzate, secondo la loro tipologia, per la produzione di preparazioni di carne da consumarsi previa cottura o per prodotti trattati termicamente. Vengono utilizzate soprattutto nei prodotti a base di carne cotti (es. wurstel). I prodotti a base di carne I prodotti trasformati risultanti dalla trasformazione di carne o dall’unteriore trasformazione di tali.. Per la preparazione di prodotti a base di carne non devono essere utilizzati: o gli organi dell’apparato genitale maschile e femminile, ad esclusione dei testicoli; o gli organi dell’apparato urinario, ad esclusione dei reni e della vescica; o la cartilagine della laringe, della trachea e dei bronchi extralobulari; o gli occhi e le palpebre; o il condotto auditivo esterno; o i tessuti cornei; o nei volatili, la testa - ad eccezione della cresta e delle orecchie, dei barbigli e della caruncola - l’esofago, il gozzo, gli intestini e gli organi dell’apparato genitale. La qualità dei prodotti a base di carne dipende da: 1. qualità delle materie prime utilizzate; 2. tipologia ed efficienza del procedimento a cui queste sono sottoposte e quindi tipo di interazione che si realizza tra materia prima e intervento tecnologico; 3. corretta conservazione del prodotto finito durante le fasi di deposito, trasporto e commercializzazione. Le carni in scatola Sono dei prodotti che oggi hanno rappresentato per anni un prodotto importantissimo perché c’era esigenza di portarsela dietro e poterla usare anche dopo molto tempo. La materia prima è spesso costituita da tagli magri di muscoli rossi di bovino; vengono utilizzati tagli anatomici disossati e spesso congelati. La carne viene disossata, toelettata, cotta, congelata e confezionata. Nello stabilimento di produzione della carne in scatola, prima della lavorazione, viene scongelata (spesso in acqua corrente). Viene portata a circa 3-5°C e poi tagliata e porzionata in funzione dei contenitori. Viene inserita nei contenitori (es. in banda stagnata) e poi addizionata con il liquido di governo, generalmente costituito da brodo vegetale contenente altri ingredienti (sale, miele, vino marsala, ecc.) e additivi (gelificanti, addensanti, esaltatori di sapidità), secondo la ricetta. I contenitori vengono poi chiusi ermeticamente e sterilizzati (in autoclave). Segue il raffreddamento, l’asciugatura e lo stoccaggio. Un difetto tipico della carne in scatola, ma più in generale delle conserve in lattina, è il bombage, rappresentato da un vero e proprio rigonfiamento dei contenitori. Può essere di origine biologica, chimica o fisica. Il bombage di origine biologica è dovuto alla proliferazione di microrganismi anaerobi all’interno del contenitore e alla produzione di gas, spesso di odore nauseante. Le cause possono essere rappresentate da un insufficiente trattamento termico sterilizzante oppure dalla ricontaminazione del contenuto dopo il trattamento termico (es. per mancata ermeticità della confezione). Il bombage di origine chimica invece è legato a reazioni chimiche tra il contenuto ed il contenitore (es. in caso di alimento molto acidi), per imperfezioni della lattina. Si ha produzione di gas, che però è inodore (idrogeno) e si osserva corrosione interna del contenitore. Si ha in scatolette conservate troppo a lungo o imperfezioni della lattina (es. ha preso dei colpi, si creano delle rientranze, quindi si rompe lo strato che ricopriva l’interno della lamiera che va a contatto con l’alimento dando origine a reazioni chimiche come appunto la formazione di gas). Il bombage di origine fisica è invece dovuto ad un eccessivo riempimento della scatola, che risulta deformata. Non c’è produzione di gas e il contenuto è inalterato. Dopo incubazione, non si ha alcun peggioramento o cambiamento del difetto. È più frequente per prodotti con carne molto acide (patè) I prodotti di salumeria Classificazione I salumi sono prodotti a base di carne cruda o cotta, preparati con l'aggiunta di sale, talvolta grasso animale, erbe e spezie ed eventualmente altri ingredienti e conservanti. La tradizione di conservare le carni con l’impiego del sale è antichissima. In un sito archeologico etrusco vicino a Mantova (risalente al V secolo a.C.) sono stati ritrovati numerosi resti di ossa di animali di cui il 60% appartenenti alla specie suina. Dal loro studio è stata osservata l’assenza dei resti degli arti posteriori, ad indicare come già allora le cosce di maiale venissero salate e/o affumicate. Più tardi, Catone (II secolo a.C.), nel suo De Agricultura, fornisce la ‘ricetta‘ del prosciutto crudo a lunga stagionatura e conservazione. Oggi in Italia è presente una grandissima varietà di salumi, che differiscono tra loro in base alla materia prima utilizzata e/o al processo di lavorazione. I salumi si possono classificare in base alla materia prima e al processo produttivo: 1) Salumi a pezzo intero, preparati con un pezzo anatomico intero (es. coscia, spalla ecc.) salato; possono essere: a. Crudi stagionati i. affumicati es. speck ii. non affumicati (es. prosciutto crudo) b. cotti i. affumicati (es. prosciutto di Praga) ii. non affumicati (es. prosciutto cotto) 2) Insaccati, preparati con un impasto (miscela di carne magra, grasso, sale, altri ingredienti e additivi) inserito in un involucro di origine naturale o sintetica e di forma varia; possono essere: a. Freschi (da cuocere prima del consumo) (es. salsiccia fresca, cotechino) b. Crudi stagionati i. affumicati (es. salame ungherese) ii. non affumicati (es. salame Milano, salame Toscano) c. cotti i. affumicati (es. wurstel) ii. non affumicati (es. mortadella di Bologna) Solo il grasso suino riesce ad andare incontro alla stagionatura quindi viene utilizzato quello. Esistono però dei salumi che non rientrano in questa classificazione, come ad esempio la coppa piacentina che è un salume a pezzo intero, ma insaccato in un involucro naturale. Tra i salumi ci sono notevoli differenze anche per quanto riguarda la materia prima, spesso costituita da carne magra e grasso di suino, ma anche da carne magra di altre specie (es. carne bovina nella bresaola). Del suino si usano molte parti anatomiche (Fig.1). Dalla testa si ottiene una parte magra ed una grassa; dalla gola e dal guanciale si ottiene il grasso da utilizzare per il salame. Il lardo è lo strato di grasso presente sul dorso che può essere utilizzato come base anatomica per la preparazione del salume corrispondente oppure per la preparazione dei lardelli, cioè il grasso utilizzato in alcuni insaccati cotti e crudi. La coppa, utilizzata per l’omonimo salume e per il capocollo, è costituita dalla porzione superiore del collo e da una parte di spalla. Il lombo o lonza costituisce la parte centrale del busto ed è utilizzato per il salume omonimo a pezzo intero. Dalla spalla si ottiene il salume a pezzo intero detto “spalla” o “prosciutto di spalla”, oppure si suddivide in fesa e muscolo, che possono essere utilizzati per insaccati crudi o cotti. Dalla cotenna della zampa si ottiene l’involucro per lo zampone. La pancetta è la parte anteriore del costato; può essere utilizzata stesa o arrotolata per l’omonimo salume. Il grasso ritagliato è invece usato per il salame. Dagli arti posteriori si ottengono il prosciutto, il culatello, il fiocchetto e lo speck. In Italia molti salumi sono DOP o IGP (Fig.2). Il marchio DOP (Denominazione di Origine Protetta) è un riconoscimento europeo assegnato ai prodotti le cui fasi di produzione siano realizzate in un’area geografica delimitata e il cui processo produttivo sia rigorosamente conforme a un disciplinare di produzione preciso, nel rispetto di una ricetta tradizionale. Le caratteristiche del territorio, dal punto di vista geografico e umano (tecniche di produzione tramandate nel tempo, artigianalità e manualità), consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori della zona produttiva prescritta. Il marchio IGP (Indicazione Geografica Protetta) garantisce la loro provenienza locale, ma è meno restrittivo rispetto al DOP, perché, per ottenere il marchio IGP, basta che una fase del processo di produzione avvenga nel territorio geografico di appartenenza. La tecnologia di produzione del prosciutto crudo In Italia esistono ben sei prosciutti (di Parma, San Daniele, di Carpegna, di Modena, Toscano, Berico-Euganeo) DOP, per i quali esistono disciplinari di produzione che descrivono, oltre alle caratteristiche della materia prima e del prodotto finito, anche il processo da seguire per l’ottenimento del prodotto certificato. Di seguito viene riportato la tecnologia standard per la produzione di un prosciutto crudo, che quindi presenta alcune differenze e/o peculiarità in caso di prodotti particolari o certificati- Per la produzione di prosciutto crudo vengono utilizzati suini di 10-12 mesi di età con un peso elevato, compreso tra i 150 e i 180 Kg. Tali animali forniscono carni che presentano un minore quantitativo di umidità, un’ottima copertura adiposa e una buona succosità. Le razze prevalenti sono la Large White o la Landrace, razze rustiche che sopportano notevoli accrescimenti. I pezzi anatomici utilizzati sono le cosce, che hanno un peso variabile tra i 10 e i 14 Kg. Fasi del processo Le cosce vengono tenute per almeno 24 ore in una cella a 0-2° per permettere una buona rifilatura; durante la fase di raffreddamento il prodotto subisce un primo calo di peso di circa l’1% Rifilatura della coscia: serve a conferire al prosciutto la caratteristica forma. La rifilatura si esegue asportando parte del grasso e della cotenna per un motivo anche tecnico, in quanto favorisce la successiva salagione Con la rifilatura la coscia perde grasso e muscolo per un 24% del suo peso; durante questa operazione le cosce che presentino imperfezioni anche minime vengono scartate. La coscia viene mossa bene e massaggiata affinchè fuoriesca il sangue residuo dalle vene (la sua presenza in stagionatura provocherebbe cattivo odore) Salatura dopo 30 minuti affinchè la carne si scaldi e il sale penetri meglio. Questa operazione è estremamente delicata e deve essere effettuata su cosce a temperatura giusta e uniforme; una coscia troppo fredda assorbe poco sale, una non abbastanza fredda può subire fenomeni di deterioramento Viene usato il sale grosso apposito con aggiunta di altri ingredienti (pepe, aglio, paprika, peperoncino ed eventuali additivi) Raffreddamento e stazionamento in cella a 4-6° con umidità del 70-80% (celle di primo sale) e poi massaggio per facilitare la penetrazione del sale. Non posso seccare troppo la carne quindi l’umidità è alta e non posso cuocere la carne in quanto ancora cruda quindi la temperatura è bassa. Dopo 7 giorni può essere realizzata una nuova salatura (celle di secondo sale) Dopo la seconda salatura si ha una perdita di peso del 4% Riposo: 60-80 giorni a secondo del peso, a 1-5° e 75% umidità Durante questa fase il proscituto deve respirare senza inumidirsi né seccarsi troppo. Il ricambio dell’aria nelle celle è molto frequente. Il sale assorbito penetra in profondità distribuendosi uniformemente all’interno della massa muscolare, e il calo di peso nel riposo è pari al 8/10% Lavaggio: si eseguono lavaggi in acqua fredda/tiepida per togliere eventuali cristalli di sale o impurità Si esegue la segatura dell’anchetta, ovvero dell’osso prominente. Asciugatura: avviene usufruendo delle condizioni ambientali naturali, nelle giornate di sole secche e ventilate, oppure in appositi asciugatoi in cui vengono debitamente sfruttati i movimenti convettivi dell’aria Le finestre vengono aperte a seconda delle condizioni dell’umidità interna, sia rispetto all’umidità climatica esterna che a quella del prodotto. Questa operazione deve permettere un asciugamento del prodotto graduale e quanto più possibile costante. Il calo di peso in questa fase è pari a 8/10% La coscia in cella di asciugatura è ad una T che va da 22° con umidità all’85% e scende gradualmente fino al 16% Dopo 7 giorni circa il prosciutto viene posto in una cella di stagionatura (T 16° con umidità 80%) In corso di stagionatura il calo di peso è di 5% Durante la fase di stagionatura si esegue una stuccatura sulla parte scoperta della carne, effettuata con la sugna (grasso suino presente intorno al rene) aggiunta di un po' di acqua, sale e pepe (alcuni spalmano olio sulla parte coperta di cotenna). La sugnatura svolge la funzione di ammorbidire gli strati muscolari superficiali evitando un asciugamento troppo rapido rispetto a quelli interni, pur consentendo un’ulteriore perdita di umidità. Durante la stagionatura, la qualità del prodotto e la buona applicazione delle condizioni di stagionatura vengono verificati con il sondaggio, effettuato utilizzando la fibula del cavallo, che viene inserita in vari punti, sentendo la consistenza e poi l’odore lasciato sulla sonda. Gli esperti che eseguono il sondaggio sono infatti addestrati a riconoscere sentori associati a particolari tipi di difetti. In caso di putrefazione profonda, è possibile percepire un odore caratteristico e, alla percussione, un suono timpanico, legato alla presenza di gas. Inoltre, al taglio, si osserva un’alterazione del colore, di solito più chiaro con macchie grigio-verdastre. L’osso assorbe gli odori e li rilascia lentamente, permettendo all’operatore di sentirli bene (con la sonda di metallo non è possibile perché non assorbe gli odori). In caso di alterazioni, a seconda del momento della stagionatura, può decidere se (nel caso di difetto eclatante) gettarlo o (per difetti minimi) tagliare quei pezzi (ma non è più IGP o DOP, ma un prosciutto di seconda scelta o renderlo un ingrediente di prodotti alimentari) Controllo qualità materia prima è essenziale: misuro pH per vedere se è basso potrebbe essere da scartare, posso vedere se ci sono emorragie su parte scoperta della coscia (causata da traumi di animali previa macellazione) I difetti che portano a proliferazione interna legata a errori nelle conservazioni sono possibili nel prosciutto crudo. Prosciutto cotto Per il prosciutto cotto, il salume più venduto e consumato in Italia, è presente un’ampia gamma di prodotti, diversificati in base alla qualità e quindi anche al valore commerciale, essenzialmente in base alla materia prima utilizzata. Infatti, la coscia di maiale, che rappresenta sempre la base anatomica di questo salume, può provenire da 3 categorie di suini: suino pesante (es. di razze Large White e Landrace), di 150-170 Kg di peso e 10-12 mesi di età, utilizzato per la produzione di salumi crudi tipici, ma anche prosciutto cotto senza polifosfati di alta qualità. suino medio/pesante (es. razze Landrace Belga, Hampshire, Duroc, Pietrain), di 120-130 Kg di peso e età 8-10 mesi di età, utilizzato per prosciutto cotto senza polifosfati, di buona qualità. suino leggero (da ibridi o incroci di razze selezionate), di 95-105 Kg di peso e 6-8 mesi di età; utilizzato per prosciutto cotto di qualità medio-bassa. Non abbiamo DOP o IGP Processo produttivo: Selezione per peso e pH delle cosce da lavorare. Disosso a mano e toelettatura (eliminazione dei tendini). o Qui i difetti sono più accettabili perché essendo un prodotto disossato la coscia viene comunque aperta, ergo posso già fare una toalettatura Siringatura della salamoia che viene iniettata con aghi e costituiti da acqua, sale, nitriti, marsala, rum (per dare accezione aromatica) e fruttosio (sempre sale, spezie e nitriti, il resto sono personali) o La salamoia contiene, oltre ad acqua e sale, anche altri ingredienti (es. spezie e aromi) e additivi consentiti (es. nitriti, polifosfati). I polifosfati sono additivi costituiti da polimeri dello ione fosfato ad azione emulsionante, addensante, gelificante e stabilizzante. Agiscono aumentando la capacità di ritenzione idrica e la tenerezza della carne. Questi additivi, ad alte dosi, possono essere neurotossici; inoltre provocano uno squilibrio nel rapporto Ca/P, con sequestro di Ca e conseguente deplezione ossea (ritardi nello sviluppo nei giovani e osteoporosi negli anziani). Viene fatto con macchine ‘mille aghi’ che fanno delle iniezioni di salamoia. Talvolta intenerimento in “inteneritori” a cilindri e lamelle. Zangolatura (in apparecchi detti zangole), effettuata per eliminare gli effetti del trauma meccanico provocato dall’ago della siringatrice; comporta il massaggio, un migliore assorbimento della salamoia e l’estrazione proteica. Dura da 24 a 72 ore, alternando 20 minuti di lavoro con 80 minuti di pausa. Avviene a temperatura controllata, bassa (sui 10 gradi) perché devo contenere la proliferazione microbica. Stampaggio, cioè inserimento manuale in stampi di alluminio o acciaio; le cosce disossate vengono compattate all’interno dello stampo, talvolta aggiungendo la cotenna; spesso viene inserito un involucro in materiale adatto al trattamento termico. La fase di stampaggio ha due scopi principali: dare la forma prosciutto cotto ed evitare che si formino cavitazioni gelatinose all'interno del prosciutto cotto durante la cottura, quando, ad un naturale calo peso, fa seguito una riduzione del volume del prosciutto. Cottura in forno (diversi tipi: tramite docciatura di acqua, ad aria o a vapore). Il trattamento termico deve avvenire in modo tale da avere una temperatura a cuore di 70°C +/- 2°C. La durata del trattamento è variabile con il peso del prodotto (1-1,5 ore per Kg di prodotto). Raffreddamento in cella a 0° C fino a raggiungere 4° C (circa 24 ore). Disistampaggio, cioè rimozione del prosciutto e dell’involucro di cottura dallo stampo. Toelettattura e confezionamento in sottovuoto del prodotto intero o in tranci (fase molto delicata che viene eseguita in ambienti controllati per evitare contaminazioni). Pastorizzazione in autoclave per circa 15 minuti a 105°C. Raffreddamento e successivo incartonamento per lo stoccaggio Confezionamento può essere fatto a tranci, prodotto intero (sottovuoto) o affettato (atmosfera modificata). Se confezionato in budello cellulosico: affumicatura per prosciutto di Praga Se arrostimento: prosciutto arrosto o Sono comunque entrambi successivi alla cottura classica La tecnologia di produzione degli insaccati Si tratta di prodotto carneo formato da una miscela di carne cruda, tritata più o meno finemente, di grasso suino tritato o tagliato a pezzetti, il tutto addizionato di sale, zuccheri, spezie, eventuali starter e additivi, confezionato in un involucro (budello) naturale o artificiale. Si possono consumare dopo la cottura (salsiccia) oppure crudi, nel caso degli insaccati stagionati (salame) o di alcuni insaccati cotti (mortadella). In un insaccato distinguiamo: ❖ Involucro - conferisce forma al prodotto, ha azione protettiva (dall’insudiciamento e dall’aria) e, negli insaccati stagionati, anche azione diretta sulle caratteristiche organolettiche del prodotto, in particolare il gusto. Deve essere permeabile, resistente ed elastico, in modo da aderire perfettamente all’impasto. Può essere naturale o artificiale. Il budello svolge una funzione importante durante la stagionatura, favorendo l’anaerobiosi, limitando le perdite di umidità e fungendo da barriera naturale contro eventuali contaminazioni esterne. o Il budello naturale è ottenuto da visceri/parti anatomiche di bovini, suini, equini ed ovini (es. sezioni di intestino, sacco pericardico, vescica, sierosa del grasso perirenale, mucosa esofago, cotenna arti anteriori). Sono adatti per gli scambi che avvengono nei salumi stagionati, sono resistenti. Come difetti abbiamo il fatto che gli animali non sono tutti uguali, quindi possono essere variabili e posso avere delle imperfezioni. o L’involucro artificiale invece può essere prodotto a partire fibre cellulosiche, da parti anatomiche di animali da macello incollate o ricostituite (es. collagene) oppure può essere di origine sintetica. Gli artificiali si preferiscono ai naturali per la regolarità del loro calibro, la mancanza di flora microbica, l’assenza di odori sgradevoli e di grassi che potrebbero comportare un irrancidimento del prodotto. ❖ Impasto, costituito da carne magra (suina, bovina, ecc) grasso suino (sempre grasso suino! Soprattuto IGP e DOP, perché ci da stabilità conservativa; stanno provando a sostituirlo ma è complesso) e concia (sale, spezie, additivi, eventuale starter mescolati tra di loro) o Il sale viene aggiunto in quantità variabile (dal 2 al 4% circa) e ha azione conservante (riduzione aw, selezione della flora microbica) e sulle caratteristiche organolettiche (azione legante e sul sapore o Spezie e aromi o zuccheri (glucosio, saccarosio e lattosio) sono aggiunti nei salumi stagionati (fermentati), perché rappresentano una fonte nutritiva subito disponibile per i batteri lattici fermentanti. o Additivi, tra quelli consentiti i più importanti sono i nitrati e nitriti ▪ Potassio nitrito E249 ▪ Sodio nitrito E250 ▪ Sodio nitrato E251 ▪ Potassio nitrato E252 I nitrati vengono addizionati come riserva, poiché sono convertiti nella forma attiva di nitriti da alcuni microrganismi nitrato-riduttasi, come ad es. le Micrococcaceae e, in particolare gli stafilococchi, che posseggono l’enzima nitrato-riduttasi che, a pH 5,2, riesce a compiere il passaggio da nitrati a nitriti. Possono essere utilizzati nelle quantità prescritte per legge e hanno le seguenti funzioni: ▪ conservante - l'azione non si esplica direttamente, ma dopo riduzione, in seguito all'azione dei cocchi sviluppatisi nell'impasto, del nitrato in nitrito e di questo, per riduzione chimica spontanea, in ossido nitrico. È un’azione batteriostatica nei confronti di alcuni microrganismi ed un’azione antiossidante, di prevenzione dell’irrancidimento. La prima è svolta dall’ossido nitrico, che inibisce lo sviluppo di numerosi microrganismi, selezionando la microflora batterica utile: l’effetto inibitorio riguarda in particolare i clostridi (Clostridium botulinum). ▪ stabilizzante il colore - per reazione chimica spontanea in mezzo acido, si ha la conversione dei nitriti (NO2-) in acido nitroso (HNO2) che poi si converte in ossido nitrico (NO), la forma attiva, importante per la stabilizzazione del colore in quanto si lega alla mioglobina presente nella carne formando la nitrosomioglobina colorata di rosso. La nitrosomioglobina, nei prodotti sufficientemente salati e acidi, durante la stagionatura, si denatura a nitrosomiocromogeno rosso brillante, per l’azione denaturante del sale sulle proteine; nei prodotti cotti la nitrosomioglobina si denatura per effetto del calore, trasformandosi in nitrosomiocromogeno, di colore rosa. ▪ miglioramento del gusto - danno luogo a prodotti di degradazione e a composti complessi responsabili del sapore tipico dei prodotti salnitrati (effetto Perigo). ▪ Effetti indesiderati: Formazione di nitrosammine: i nitriti, reagendo con le ammine (presenti soprattutto negli alimenti proteici) danno luogo a nitrosammine, che hanno azione cancerogena. Queste sostanze si formano già nella cavità orale per opera di alcuni enzimi salivari, nello stomaco l’ambiente acido ne favorisce ulteriormente la formazione Formazione di metaemoglobina: hanno la capacità di legarsi all’emoglobina trasformandola in metaemoglobina e riducendo di conseguenza il trasporto di ossigeno ai tessuti Un altro additivo aggiunto negli insaccati è l’acido ascorbico (E 300 acido L-ascorbico; E 301 sodio L- ascorbato; E 302 calcio L-ascorbato), che presenta azione antiossidante e favorisce la presa di colore. Riducono i nitriti dando luogo alla formazione di acido deidroascorbico e di ossido d’azoto, ciò consente una rapida trasformazione della mioglobina in nitrosomioglobina. Per questa funzione sono definiti acceleratori del colore. Nei salami fermentati è ammessa l’aggiunta di colture di “avviamento” o starter. La maggior parte di queste colture sono basate sui batteri lattici (Lactobacillus o Pediococcus), per assicurare una rapida acidificazione, e sulle Micrococcaceae (Kocuria o Staphylococcus), per avere un buon profilo sensoriale. I ceppi starter sono aggiunti all’impasto in modo da realizzare una concentrazione microbica di almeno un milione di cellule per grammo e devono essere selezionati seguendo, sia criteri di sicurezza (ceppi non patogeni e non tossinogeni), sia criteri di efficienza tecnologica ed economica. Infatti, tali ceppi, non solo devono essere in grado di svilupparsi nelle condizioni ecologiche del processo produttivo, ma devono essere in possesso della più alta competitività nelle condizioni nelle quali si trovano ad operare. Le colture starter hanno il principale compito di guidare in modo programmabile il processo fermentativo, durante il quale producono quei composti che sono propri del gruppo o della specie d’appartenenza. L’attività degli starter prosegue con l’autolisi spontanea delle cellule microbiche, che avviene al termine del loro sviluppo e si protrae per lungo tempo, determinando conseguenze importanti sulla qualità del prodotto. Per favorire la fioritura delle muffe sul budello nei salami fermentati possono essere aggiunte all’impasto oppure nell’ambiente di stagionatura le colture di ifomiceti, Penicillium chrysogenum e P. nalgiovense. Fasi del processo produttivo di un insaccato stagionato (salame): Controllo e preparazione delle carni e del grasso; Triturazione delle carni e triturazione o taglio del grasso (secondo il tipo di salame); Preparazione dell’impasto (carne + grasso + concia); (a volte c’è anche lo step del riposo dell’impasto, viene steso e messo in cella a temperatura da 0-2° max 24h) Insaccamento mediante insaccatrici sottovuoto (sparano impasto all’interno del budello); Asciugatura (a temperature di ca 27°C e poi di 18-22°C), dopo l’insacco i salami vengono portati e lasciati circa una settimana nelle camere d’asciugamento a temperatura e U.R. controllate, per consentire loro di perdere buona parte dell’acqua. Nei salumi fermentati, già dai primi giorni, ha luogo la proliferazione microbica. Appena completato l’insacco, nell’impasto comincia lo sviluppo dei batteri alotolleranti presenti in maggior numero, i micrococchi, che, essendo aerobi obbligati, sviluppano fino a che non si esaurisce l’ossigeno. Successivamente, prendono il sopravvento gli stafilococchi, anaerobi facoltativi, che hanno un’attività più duratura.I batteri lattici sono presenti nell’impasto in numero inferiore e quindi il loro sviluppo comincia tardivamente rispetto a quello delle Micrococcaceae. Quando iniziano a svilupparsi, grazie all’azione acidificante e alla possibile produzione di molecole antimicrobiche, prendono il sopravvento e diventano dominanti (già dopo 24 ore dall’insacco); il loro sviluppo si prolunga fino a quando sono presenti zuccheri disponibili nell’impasto. Il processo di fermentazione lattica porta ad un sensibile abbassamento del pH (valori < 5,0): l’entità e la velocità del processo fermentativo dipendono dal tipo di colture starter, dalla presenza e dalla quantità di zuccheri nell’impasto, dalla temperatura e dall’U.R. delle celle d’asciugamento. L’abbassamento del pH favorisce la stabilità microbiologica del prodotto, in quanto i microrganismi alterativi, degradativi e patogeni vengono inibiti, mentre si ha lo sviluppo dei batteri utili. Si ha anche il raggiungimento del punto isoelettrico (≈ 5,2) delle proteine della carne (punto in cui le proteine trattengono meno acqua) con la formazione di un gel proteico che determina la struttura del prodotto e favorisce la perdita di umidità. Come ultimo aspetto dell’abbassamento del pH, si ha la conversione dei nitriti (NaNO2) in ossido nitrico (NO), fondamentale per la stabilizzazione del colore. Inoltre, il prodotto perde umidità e di conseguenza l’aw diminuisce. Anche l’aw, come il pH, è un fattore di controllo per molti microrganismi indesiderati: con valori inferiori a 0,97, infatti, molti batteri degradativi non riescono a sopravvivere. Verso la fine dell’asciugatura iniziano anche a comparire le muffe sulla superficie esterna del budello. 1° fase della fermentazione Modificazione popolazione batterica (micrococcaceae), consumo di ossigeno, riduzione dei nitrati, lipolisi 2° fase della fermentazione Batteri lattici, produzione di acido lattico e batteriocine, aumento perdita di umidità, diminuzione di pH, modificazione delle proteine 3° fase della fermentazione Muffe, regolazione dell’asciugature (lenta e omogenea), metabolizzazione acido lattico, aumento pH, idrolisi delle proteine/lipolisi Stagionatura – i salami sono spostati nelle camere di maturazione per il tempo necessario, a seconda del tipo e delle dimensioni del prodotto, dove rimangono fino alla completa stagionatura. Questa fase, che può durare anche molti mesi, è caratterizzata da un’intensa attività microbica che si affianca alle attività dovute agli enzimi endogeni della carne (lipasi e proteasi). La proteolisi enzimatica libera peptidi e aminoacidi responsabili dell’aroma. Le lipasi tissutali provocano l’idrolisi parziale dei grassi e la produzione di acidi grassi liberi, aldeidi, chetoni, sostanza che partecipano anch’esse alla formazione dell’aroma. Durante questo periodo, si ha il pieno sviluppo delle muffe sulla superficie esterna del salame. La presenza di muffe all’esterno del prodotto ha una duplice funzione: quella di regolare gli scambi idrici tra le diverse parti del prodotto (determinando un ulteriore abbassamento dell’aw) e di abbassare l’acidità (disacidificazione): le muffe, infatti, entrano nel prodotto tramite le ife, cercando nutrimento; lo trovano nell’acido lattico, che man mano viene utilizzato e consumato, determinando un progressivo innalzamento del pH. Modificazioni aspetto (in stagionatura): essiccamento budello patina batteri, lieviti e muffe Retrazione del budello Consistenza sodo-elastica Coesione dell’impasto, tenuta dalla fetta Modificazioni aw: Da 0,98 a 0,93 con la salatura Da 0,93 a 0,90 con la distribuzione uniforme del sale Da 0,90 a 0,86-0,83 con l’essiccamento Modificazione del pH Il ph scende durante la maturazione per la formazione di acidi organici (acido lattico) derivante dal metabolismo degli zuccheri ad opera di cocchi e lattici Inibizione dei deterioranti Selezione flora batterica utile Coagulazione delle proteine solubizzate Abbassamento del pH verso P.I. Con rilascio di acqua e disidratazione più rapida Modificazione degli zuccheri La rapida scissione degli zuccheri si verifica con la formazione del colore in 24-48h. Agenti: lattobacilli (flora dominante) e cocchi Prodotti: acido lattico, fumarico, malico, acetico, citrico, ossalico; diacetile, acenoino, etanolo. Alla fine della stagionatura, il salame si presenta con un budello essiccato, ritratto e ricoperto da muffe; il salame ha consistenza soda ed elastica e, al taglio, presenta la coesione dell'impasto e la tenuta della fetta. Il valore di aw raggiunge valori di 0,86-0,83. Industrie dei prodotti ittici a. Definizioni Le seguenti definizioni sono tratte dalla normativa europea (Reg, (CE) 853/2004). Prodotti della pesca: tutti gli animali marini o di acqua dolce (ad eccezione dei molluschi bivalvi vivi, echinodermi vivi, tunicati vivi e gasteropodi marini vivi e di tutti i mammiferi, rettili e rane), selvatici o di allevamento, e tutte le forme, parti e prodotti commestibili di tali animali. Molluschi: molluschi bivalvi vivi, echinodermi vivi, tunicati vivi e gasteropodi marini vivi destinati al consumo umano. Molluschi bivalvi: i molluschi lamellibranchi filtratori. Prodotti della pesca freschi: i prodotti della pesca non trasformati, interi o preparati, compresi i prodotti imballati sottovuoto o in atmosfera modificata che, ai fini della conservazione, non hanno subito alcun trattamento diverso dalla refrigerazione, inteso a garantirne la conservazione. Prodotti della pesca preparati: i prodotti della pesca non trasformati sottoposti ad una operazione che ne abbia modificato l'integrità anatomica, quali l'eviscerazione, la decapitazione, l'affettatura, la sfilettatura e la tritatura. Prodotti della pesca trasformati: i prodotti trasformati risultanti dalla trasformazione di prodotti della pesca o dall’ulteriore trasformazione di detti prodotti trasformati. b. Conservabilità dei prodotti ittici e valutazione della qualità I prodotti della pesca sono in genere altamente deperibili. La conservabilità di questi prodotti è influenzata da numerosi fattori, sia endogeni che esogeni. Fattori endogeni: Composizione chimica del muscolo - Nei pesci ci sono ridotte quantità di glicogeno muscolare e questo provoca, oltre che una veloce risoluzione del rigor mortis, anche una scarsa acidificazione muscolare. In conseguenza, si ha una minore inibizione dei batteri alteranti. La scarsa acidificazione è dovuta anche all’alta quantità di sostanze alcalinizzanti naturalmente presenti nel muscolo. In base all’acidificazione post-mortem si possono distinguere: pesci ad acidificazione «intensa» (pH finale 5,4-6), rappresentati dai pesci a carni rosse (es. tonno); pesci ad acidificazione media (pH finale 6-6,2), rappresentati dai pesci a carni bianche (es. Gadidi); pesci ad acidificazione scarsa (pH finale 6,2-6,4), in genere pesci di acqua dolce (es. trota). Le attività microbiche post-mortali nel muscolo sono inoltre favorite dall’alto contenuto di acqua (specie nei pesci a carne bianca) e dalla scarsa presenza di tessuto connettivo. Inoltre, è elevata la concentrazione di polipeptidi e aminoacidi liberi, il cui utilizzo, da parte dei batteri, determina la comparsa di metaboliti responsabili di odori sgradevoli (indolo, idrogeno solforato) e anche di sostanze tossiche per l’uomo (amine biogene). Tra queste sostanze azotate è da ricordare l’ossido di trimetilammina (TMA-O) normalmente presente nel muscolo di pesci, specialmente se a carne bianca. L’TMA-O, durante la conservazione, viene trasformato da alcune specie batteriche in trimetilammina-azoto (TMA-N), responsabile del tipico odore di stantio del pesce non fresco. La TMA-N viene quindi ritenuta un indicatore di scadimento qualitativo dei prodotti della pesca, in particolare di alterazione di origine microbica. Conformazione e struttura dei tessuti - Le principali fonti di contaminazione sono la cute, le branchie e l’intestino. Quindi nei pesci «piatti» (es. sogliola) prevarranno le contaminazioni di origine cutanea, mentre nei pesci «circolari» prevarrà l’origine intestinale. Anche la presenza di muco superficiale rallenta l’avanzamento transcutaneo dei microrganismi. Inoltre, i pesci di più grandi dimensioni sono contaminati meno velocemente. Corredo enzimatico muscolare ed intestinale - Le abitudini alimentari e il tipo di dieta possono influenzare la conservabilità, perché comportano un differente corredo enzimatico a livello intestinale, di tipo proteolitico e lipolitico, che, durante la conservazione, può attaccare i tessuti vicini, progredendo verso la muscolatura e contribuendo così al suo deterioramento. Infatti, questi enzimi, unitamente alle proteasi muscolari e a quelle di ori