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These notes provide an overview of enzymes, their classification, and functions in biological processes. They discuss different types of enzymatic reactions and the role of enzymes in various metabolic pathways and converting energy. The notes also cover the concept of catalysis and enzyme kinetics.
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Rossitto/Maglie 11-Bioingegneria chimica (Boffitto) 3/11/2020 Ciascun numero identifica informazioni differenti. A. Il primo numero identifica il tipo di reazione che avviene attraverso un numero che può variare tra 1 a 6. Ossidoreduttasi: enzi...
Rossitto/Maglie 11-Bioingegneria chimica (Boffitto) 3/11/2020 Ciascun numero identifica informazioni differenti. A. Il primo numero identifica il tipo di reazione che avviene attraverso un numero che può variare tra 1 a 6. Ossidoreduttasi: enzimi che catalizzato delle reazioni di ossidoriduzione. Enzimi transferasi: che catalizzato reazioni di trasferimento di gruppi funzionali. Idrolasi: che catalizzano l’idrolisi di diversi tipi di legami chimici. Liasi: che catalizzano delle rotture di legame che però non avvengono attraverso l’idrolisi o l’ossidoriduzione. Isomerasi: che catalizzano delle reazioni di isomerizzazione che avvengono all’interno della molecola. Ligasi: comprendono tutti quegli enzimi che catalizzato il legame tra 2 molecole attraverso la formazione di un legame covalente. È importante saper riconoscere dal nome generico che tipo di reazione viene catalizzata, non è necessario sapere il numero a cui corrispondono. B. Il secondo numero dà informazioni sul tipo di substrato, sul tipo di molecola che viene trasferita o sulla natura di uno specifico legame che è coinvolto nella reazione. C. La lettera C è un numero che dà informazioni sulla natura del Co-substrato che viene coinvolto nella reazione. D. La lettera D è il numero individuale dell’enzima. Si tratta di un numero seriale arbitrario. Nelle slides a seguire vengono esplicitati a livello informativo gli enzimi che rientrano nelle varie categorie. 11 Rossitto/Maglie 11-Bioingegneria chimica (Boffitto) 3/11/2020 Queste slide sono un’idea delle categorie ma non è necessario che si ricordino i vari gruppi. Esempio Le transferasi hanno come primo numero il 2, il secondo numero varia da 1 a 8 a seconda del gruppo che viene trasferito. Esempio L’enzima chiamato alcol deidrogenasi nella nomenclatura tradizionale, nella EC viene identificato con il numero 111 27. È un enzima che appartiene alla categoria delle ossidoreduttasi: il primo numero è 1. Il secondo numero identifica la natura del gruppo su cui viene fatta l’azione: in questo caso la reazione avviene a carico dei gruppi CH-OH, identificato con il numero 1. Il terzo numero identifica il co-subtrato, ossia altre molecole che partecipano alla reazione catalizzata. La molecola che partecipa è la molecola NAD che viene identificata con il numero 1. (nicotinammìdeadenìndinucleotìde) è una macromolecola organica il cui ruolo biologico consiste nel trasferire gli elettroni, quindi nel permettere le ossido-riduzioni; essa svolge il suo importante ruolo tramite lo spostamento di atomi di idrogeno. Si tratta di una proteina che agisce su alcol primari e secondari. Nell'uomo e in molti altri animali il ruolo metabolico è quello di catabolizzare alcoli che altrimenti sarebbero tossici.) L’ultimo numero (il più difficile) è il numero seriale arbitrario che identifica l’enzima. 12 Rossitto/Maglie 11-Bioingegneria chimica (Boffitto) 3/11/2020 Esempio L’enzima nucleoside monofosfato chinasi. Catalizza questa reazione: Si trasferisce un gruppo fosforico dall’ ATP alla NMP, portando alla formazione di un nucleoside bifosfato NDP e ADP. -È una reazione che coinvolge un trasferimento. Ci si trova nella categoria delle transferasi che vengono identificate con il numero 2. -Il secondo numero identifica il tipo di gruppo che viene trasferito. C'è un trasferimento di un gruppo fosforico, che corrisponde al numero 7. -Il terzo numero è quello che definisce il co-substrato che corrisponde al 4. -Il quarto numero seriale è 4. Il numero seriale del enzima è: EC 2744. Funzioni degli enzimi Hanno la capacità di lavorare in successione e di essere elementi importanti nei pathway metabolici, in cui ogni prodotto di reazione diventa reagente della reazione successiva. Gli enzimi svolgono un ruolo importante nella digestione degli animali. Esempio: le amilasi e le proteasi a livello dei processi digestivi riducono le macromolecole portando all’ottenimento di unità semplici che possono essere poi assorbite a livello dell’intestino. Entrano in gioco nella traduzione di segnali e nella regolazione di processi biologici. Possono generare movimento, li vediamo coinvolti nel caso delle ATPasi nelle pompe ioniche, ossia in quelle macchine che permettono il trasporto attivo a livello delle membrane cellulari. Gli enzimi sono elementi presenti in alta concentrazione nei virus perché entrano in gioco nel meccanismo che permettono ai virus di infettare le cellule. Gli enzimi possono generare movimento e possono anche entrare in gioco nei meccanismi di conversione dell’energia: nello svolgere la loro attività di catalisi gli enzimi si ritrovano a determinare una conversione di energia da una forma all’altra, cosa che avviene quando gli enzimi sono coinvolti nei processi di generazione del movimento. Quello che fanno gli enzimi è catalizzare delle reazioni che portano alla conversione di un’energia di tipo chimico in una energia di tipo meccanico. Esempio: Nella contrazione muscolare l’energia che è immagazzinata nell’ATP è convertita dalla miosina in un’energia di tipo meccanico. In altri casi si ha un trasferimento di energia a livello delle pompe di membrana, dove l’energia immagazzinata nell’ATP viene sfruttata per generare un trasferimento di molecole o ioni secondo dei gradienti chimici o elettrici. 13 Rossitto/Maglie 11-Bioingegneria chimica (Boffitto) 3/11/2020 L’aumento di velocità che si osserva nelle reazioni in presenza di enzimi è superiore fino a un milione di volte della velocità che si avrebbe senza catalizzatore. La tabella presenta il grado di potenziamento della velocita. Ci sono dei potenziamenti di velocità che vanno da 10^5/ 10^6 fino all’ordine di 10^17. L’utilizzo dell’anidrasi carbonica fa sì che si ha un potenziamento della velocità di reazione di un fattore di 10 ^6. Questo è essenziale al fine di garantire la respirazione cellulare. L’anidrasi carbonica è un enzima che appartiene alla classe delle liasi, presente nei globuli rossi. Va a catalizzare questo tipo di reazione: È una reazione di equilibrio: l’equilibrio è spostato da una parte e dall’altra in base alla concentrazione di CO2. Laddove la concentrazione di C02 è bassa (ossia a livello dei polmoni) la reazione che prevale è quella che porta l’acido ad essere dissociato in CO2 + H2O. In questo modo l’anidride carbonica viene liberata. Dove la concentrazione di C02 è alta ossia a livello dei tessuti, l’anidride carbonica tende a reagire con l’acqua andando a formare dei carbonati che vengono poi trasportati dal sangue a livello dei polmoni dove la concentrazione di C02 è più bassa e quindi tendono a dissociare e ad essere liberati. 14 Prunotto/Vecchio 12 Biochimica (Boffito) 05/11/20 Gli enzimi In questa lezione si tratterà il proseguimento dei discorsi della lezione precedente ovvero l’introduzione a che cosa sono gli enzimi, quali sono le caratteristiche peculiari, la nomenclatura degli enzimi, esempi, funzioni degli enzimi all’interno dell’organismo, ruolo degli enzimi nei virus, nello svolgere queste funzioni spesso gli enzimi vanno a mediare l’inter conversione tra diverse forme di energia, gli enzimi svolgono un ruolo fondamentale nei processi biologici andando ad aumentarne significatamene la velocità (tabella dei potenziamenti delle velocità). L’esempio che descrive l’attività dell’enzima anidrasi carbonica è un perfetto esempio dell’attività di un enzima e di come l’attività di questo enzima sia essenziale per consentire ad un processo biologico di avvenire con cinetiche adeguate alla vita. L’anidrasi carbonica appartiene alla famiglia delle liasi, enzimi che vanno a rompere i legami con meccanismi diversi rispetto all’idrolisi e all’ossidoriduzione. È un enzima che si trova a livello dei globuli rossi e che è impegnato nella catalisi della seguente reazione. È una reazione di equilibrio, il cui equilibrio è spostato più da una parte rispetto all’altra a seconda della concentrazione di anidride carbonica: laddove la concentrazione di anidride carbonica è bassa (a livello dei polmoni) la reazione tende a procedere maggiormente da destra verso sinistra. Questo significa che l’acido tende a dissociarsi dando acqua più CO2,il che permette alla CO2 di essere liberata. Laddove, invece, la concentrazione di CO2 è molto alta (a livello dei tessuti) la reazione tende a procedere principalmente da sinistra verso destra, cioè l’anidride carbonica tende a legarsi con l’acqua dando origine ai carbonati che verranno poi trasportati verso i polmoni dal sangue. Quindi si tratta di un processo ciclico dove la reazione propende ad andare in un verso piuttosto che nell’altro a seconda della concentrazione dell’anidride carbonica che si ha nelle varie zone dell’organismo. Il fatto che la reazione sia catalizzata è essenziale per consentire al processo di respirazione, di eliminazione dell’anidride carbonica dall’organismo di avvenire con cinetiche adeguate per la sopravvivenza degli organismi. Ogni molecola di anidrasi carbonica è in grado di idratare, cioè di legarsi, di indurre la reazione CO2+H2O, con una cinetica molto elevata infatti ogni molecola è in grado di idratare 105 molecole di CO2 al secondo, il che comporta che la reazione catalizzata sia 107 volte più veloce rispetto alla reazione non catalizzata. In questo esempio si vede nella pratica come l’impiego di un enzima che va a catalizzare le reazioni sia essenziale al fine di consentire ad un processo biologico di avvenire con cinetiche adeguate per rispondere alle esigenze dell’organismo. Gli enzimi sono una particolare famiglia di proteine che presenta un elevato potere catalitico ed un’elevata specificità. A determinare questa elevata specificità e l’elevato potere catalitico degli enzimi è la loro struttura tridimensionale. Quindi le funzionalità che gli enzimi svolgono, il loro elevato potere catalitico e la loro specificità vanno correlati con la loro struttura tridimensionale. L’attività degli enzimi è determinata dal modo in cui le catene polipeptidiche che li costituiscono sono organizzate nello spazio. L’attività degli enzimi va correlata alla loro struttura quaternaria, qualora sia presente, il che implica che stiamo parlando di complessi proteici costituiti da più 1 Prunotto/Vecchio 12 Biochimica (Boffito) 05/11/20 subunità o qualora non sia presente la struttura quaternaria c’è comunque la struttura terziaria che va a descrivere come la macromolecola proteica è organizzata nello spazio. La catalisi La catalisi, cioè la vera e propria reazione che l’enzima va a catalizzare, non va a coinvolgere tutta la macromolecola proteica; infatti la zona della macromolecola in cui avviene la catalisi è molto piccola e tipicamente è costituita da un numero molto piccolo di residui amminoacidici (mediamente tre o quattro). Questa zona particolare della molecola dove si va a compiere attivamente la reazione catalizzata prende il nome di sito attivo. Come già detto in precedenza l’attività degli enzimi è determinata dalla loro tridimensionalità a livello di struttura terziaria ed eventualmente quaternaria se presente; questo riveste un ruolo molto importante nel determinare come gli enzimi interagiscono con i reagenti che devono entrare ad interagire con il sito attivo, di fatto però la catalisi (la reazione catalizzata) va a compiersi in una regione molto piccola che comprende pochi residui amminoacidici, cioè il sito attivo. Quindi a livello di un enzima attivo (l’enzima funzionante) c’è una regione particolare che si chiama sito attivo, che identifica la zona dell’enzima a livello della quale avviene la catalisi. Affinché la catalisi possa avvenire è necessario che entrino nel sito attivo i reagenti che verranno sottoposti a trasformazione tramite la reazione catalizzata. Questi reagenti, quando si parla di enzimi, vanno sotto il nome generale di substrati. In uscita dall’enzima si ha il prodotto che si genera al termine della reazione catalizzata che si chiama genericamente prodotto. Quindi a livello del sito attivo si ha l’ingresso dei substrati e la fuoriuscita dei prodotti. Dal punto di vista biologico, però, non si può avere all’interno dell’organismo sempre e solo esclusivamente degli enzimi attivi (per esempio gli enzimi coinvolti nel processo di coagulazione del sangue devono anche essere inattivi); questo per avere un controllo dei processi biologici e fare in modo che i processi biologici si manifestino solo all’occorrenza. Per questo esistono dei meccanismi che permettono di controllare la presenza di enzimi attivi all’interno del corpo e far si che essi siano presenti solo nel momento in cui effettivamente servono. Quindi prima di avere un enzima attivo esistono delle fasi che portano un precursore dell’enzima a diventare effettivamente un enzima attivo. Gli zimogeni Gli enzimi sono prodotti tramite un processo di sintesi proteica. La sintesi proteica che porterà step dopo step ad ottenere l’enzima attivo non dà in uscita direttamente l’enzima attivo, ma fornisce un precursore dell’enzima che si chiama zimogeno (o proenzima); quest’ultimo è un precursore inattivo dell’enzima ed è ciò che si ottiene in uscita dalla sintesi proteica. Lo zimogeno ha delle catene polipeptidiche che sono leggermente più lunghe rispetto a quella che sarà poi la catena polipeptidica dell’enzima e questo comporta che la proteina non sia capace di svolgere la propria funzione. Esistono gli zimogeni perché in circolo all’interno dell’organismo fa si 2 Prunotto/Vecchio 12 Biochimica (Boffito) 05/11/20 che all’occorrenza si possa avere velocemente l’enzima attivo senza dover aspettare che avvenga la sintesi proteica. Quindi l’esistenza degli zimogeni permette all’organismo di rispondere all’evenienza in maniera più rapida rispetto a partire dallo step di sintesi proteica. Gli zimogeni dal punto di vista della nomenclatura sono di solito caratterizzati dall’avere dei nomi che terminano con il suffisso –ogeno. Quindi per esempio il pepsinogeno, precursore inattivo della pepsina, è quell’enzima coinvolto nel meccanicismo di scomposizione delle proteine negli amminoacidi più semplici. In alternativa è possibile trovare zimogeni che hanno il nome che ha come prefisso pro-. Per esempio la proelastasi, che è precursore dell’enzima elastasi che è l’enzima che catalizza la reazione di degradazione della proteina elastina (proteina fibrosa). Nel momento in cui si attiva la cascata che deve portare all’ottenimento dell’enzima funzionante è necessario che lo zimogeno venga modificato in modo da avviarsi nel percorso che condurrà poi all’ottenimento dell’enzima attivo. Nel momento in cui lo zimogeno viene trasformato, quello che si ottiene prende il nome di apoenzima. L’apoenzima si ottiene a partire dallo zimogeno andandolo a modificare opportunatamente. Lo zimogeno nella sua catena polipeptidica ha un pezzo di catena in più rispetto a quella che ci dovrebbe essere, quindi, quando è necessario ottenere l’enzima attivo, viene eliminata questa porzione in più in modo tale da avviarlo verso la produzione dell’enzima attivo. Tipicamente il passaggio dallo zimogeno all’apoenzima avviene per rottura di legami peptidici (solitamente catalizzata da enzimi) che va a togliere ciò che non serve, quell’elemento di catena in più che impediva alla macromolecola di intraprendere la via verso l’ottenimento di una proteina funzionale. L’apoenzima non è detto che sia già un enzima attivo, perché esistono enzimi che dopo l’eliminazione di questa porzione aggiuntiva di catena sono già funzionali ed enzimi invece la cui funzionalità è determinata dall’accoppiamento della parte proteica con una parte non proteica. Quindi se l’enzima è costituito da una sola parte proteica lo zimogeno viene rotto opportunamente e si ottiene l’apoenzima, e quest’ultimo è già un enzima attivo. Nel caso in cui la macromolecola enzimatica sia, in realtà, raggiunta nel momento in cui la parte proteica si accoppia con una parte non proteica allora il percorso è quello schematizzato nell’immagine, in cui all’uscita dello zimogeno abbiamo l’apoenzima, quest’ultimo non è ancora funzionale quindi non ancora cataliticamente attivo; in particolare ci riferiamo alla porzione proteica di quello che sarà poi l’enzima attivo, per ottenere l’enzima attivo l’apoenzima si deve accoppiare con una parte non proteica che va genericamente viene chiamata gruppo prostetico. L’accoppiamento dell’apoenzima con questa parte non proteica dà origine all’enzima attivo che si può anche trovare con il nome generico di oloenzima. Quindi, a seconda della natura della macromolecola enzimatica, possiamo avere degli oloenzimi che comprendono soltanto una parte proteica (in questo caso l’enzima attivo coincide 3 Prunotto/Vecchio 12 Biochimica (Boffito) 05/11/20 con l’apoenzima) oppure abbiamo oloenzimi che comprendono una parte proteica e una parte non proteica: la parte proteica si chiama apoenzima, la parte non proteica si chiama gruppo prostetico. A seconda della natura di questa parte non proteica si parla di coenzimi o cofattori: i cofattori sono molecole di natura non proteica, tipicamente di natura ionica, quindi sono tendenzialmente degli ioni metallici, i coenzimi sono gruppi prostetici che si manifestano sotto forma di molecole organiche o metallo organiche. Nell’enzima attivo c’è il sito attivo, sito dove avviene la catalisi; alcuni enzimi presentano anche altri siti di interazione con l’ambiente circostante, detti siti allosterici all’interno dei quali gli enzimi possono alloggiare gli effettori allosterici. I siti allosterici sono siti particolari che funzionano come interruttori, quindi nel momento in cui effettori allosterici entrano all’interno del sito allosterico si può avere o attivazione o inibizione dell’enzima stesso, come se fossero elementi on/off che permettono ulteriormente di modulare l’attività degli enzimi. Nel momento in cui gli enzimi non servono più vanno verso la loro degradazione. I cofattori La tabella riporta degli esempi di gruppi prostetici, quindi di coenzimi (ad esempio coenzima A, biotina) e di ioni metallici (ad esempio ioni zinco, ioni nichel); a seconda della natura dell’enzima cambia il tipo di gruppo prostetico che è necessario affinché l’enzima diventi funzionale. Esistono degli enzimi per i quali non è necessario alcun cofattore, alcun gruppo prostetico, per consentirne l’attività: sono gli enzimi idrolitici, sono degli enzimi che non necessitano di alcun elemento aggiuntivo affinché possano svolgere la loro funzione, questo perché la catalisi che avviene a livello degli enzimi idrolitici richiede solo ed esclusivamente la presenza di acqua. La loro funzione è correlata solo ed esclusivamente alla presenza di acqua. 4 Prunotto/Vecchio 12 Biochimica (Boffito) 05/11/20 La specificità La specificità degli enzimi è relativa al fatto che gli enzimi sono capaci di riconoscere i substrati con cui vanno ad interagire, quindi hanno un’elevatissima specificità nei confronti dei substrati con cui interagiscono e hanno anche specificità in termini di reazione che avviene. Gli enzimi tra le varie reazioni possibili, vanno a catalizzare quella che è la reazione che deve avvenire e questo è molto importante nell’ottica di efficienza dei processi biologici, che in questo modo avvengono con la produzione dei prodotti desiderati evitando, quindi, delle reazioni secondarie che porterebbero all’ottenimento di prodotti non funzionali o non necessari. Si può parlare di stereospecificità, regioselettività e chemoselettività. Stereospecificità si fa riferimento alla proprietà delle reazioni chimiche di prediligere come reagente quindi come substrato un certo stereoisomero. Il termine stereospecificità fa riferimento alla capacità degli enzimi di riconoscere il substrato con cui vanno ad interagire, ed in particolare alla capacità di riconoscere tra stereoisomeri; in questo modo si avrà che può andare ad interagire con il sito attivo dell’enzima soltanto uno stereoisomero piuttosto che l’altro e questo è uno degli elementi che porta gli enzimi a saper riconosce i substrati con cui interagiscono, il tutto nell’ottica di ottenere i prodotti desiderati. Regioselettività caratteristica di una reazione chimica di procedere preferenzialmente con la rottura o la formazione di specifici legami chimici tra tutti quelli possibili. Questo porta di conseguenza alla produzione preferenziale di un certo prodotto rispetto ad altri. È la capacità degli enzimi di guidare le reazioni verso la rottura e la formazione di determinati legami rispetto ad altri e quindi all’ottenimento di specifici prodotti rispetto ad altri. La regioselettività fa, quindi, riferimento alla capacità degli enzimi di guidare le reazioni verso la retta via, tra le varie reazioni possibili, tra i vari prodotti che si possono ottenere, l’attività catalitica degli enzimi porta verso l’ottenimento preferenziale di un prodotto rispetto ad altri. Chemoselettività proprietà di un composto chimico di reagire preferenzialmente con alcuni gruppi funzionali. L’elevata specificità degli enzimi fa si che essi tendano a reagire preferenzialmente con certi gruppi funzionali rispetto ad altri; questo aspetto richiama all’attenzione il concetto della capacità degli enzimi di interagire con i substrati in maniera tale che i substrati abbiano l’orientamento ottimale, cioè nell’ottica che l’interazione avvenga a livello dei gruppi funzionali dove deve effettivamente avvenire la catalisi. Accanto ad enzimi che presentano questa elevata specificità è, tuttavia, possibile individuare anche una discreta famiglia di enzimi che hanno specificità relativamente più bassa. Questo è un elemento importante perché il fatto che esistano enzimi più duttili, più versatili (perché non hanno caratteristiche restrittive determinate dalle proprietà di specificità) fa si che sia possibile nei processi evolutivi la definizione di nuovi pathways metabolici, di nuovi processi biologici che possono poi andare ad ottimizzarsi. Questo è possibile perché ho a disposizione macromolecole che hanno ancora una discreta versatilità, duttilità e che quindi non hanno i paletti così fermi 5 Prunotto/Vecchio 12 Biochimica (Boffito) 05/11/20 come sono gli enzimi caratterizzati da elevata specificità che si manifesta in stereospecificità, regioselettività e chemoselettività. Un esempio di enzima altamente specifico è la DNA polimerasi. È un enzima che appartiene alla categoria delle transferasi e che va a catalizzare la reazione che porta all’aggiunta sequenziale di deossiribonucleotidi a una catena polinucleotidica in crescita. Questo enzima è un enzima altamente specifico la cui attività è diretta dal filamento stampo, cioè in base alle informazioni contenute nel template (nello stampo) la DNA polimerasi va a catalizzare l’aggiunta dei vari deossinucleotidi alla catena in crescita. Quindi è un enzima altamente specifico la cui attività è diretta da uno stampo e l’elevata specificità e selettività di questo enzima fa si che esso vada ad introdurre un nucleotide sbagliato nella catena nascente di DNA meno di una volta su un milione. Altro esempio di enzimi altamente specifici sono gli enzimi proteolitici che caratterizzano la proteolisi, cioè l’idrolisi di un legame peptidico. Erano già presenti nel metodo di sovrapposizione dei peptidi che si può utilizzare quando si va a ricostruire la struttura primaria di catene peptidiche. Questi enzimi sono specifici perché riescono a distinguere tra legami peptidici diversi, ma riescono a riconoscere i residui amminoacidici che sono coinvolti nella formazione del legame peptidico e quindi nel sapere riconoscere quali sono i residui coinvolti sono anche capaci di discriminare tra un legame peptidico e l’altro e quindi riescono ad andare a tagliare selettivamente solo legami peptidici che coinvolgono certi residui amminoacidici lasciano completamente integri gli altri. Altri esempi sono la tripsina (enzima digestivo) che catalizza l’idrolisi solo di legami peptidici e sulla cui parte carbossilica ci sono residui di lisina ed arginina. La trombina (enzima che partecipa alla coagulazione del sangue) è ancora più specifica della tripsina e catalizza l’idrolisi dei legami Arg-Gly soltanto in specifiche sequenze peptidiche. La trombina è una idrolasi che catalizza il taglio selettivo dei legami Arg-Gly del fibrinogeno per formare la fibrina. 6 Prunotto/Vecchio 12 Biochimica (Boffito) 05/11/20 Complesso enzima substrato Come detto in precedenza si ha la macromolecola enzimatica, quindi l’enzima attivo, all’interno del quale è presente una regione particolare molto piccola, il sito attivo all’interno del quale avviene la catalisi. Quindi a livello del sito attivo si ha l’interazione tra enzima e substrato tale per cui avvenga la catalisi che porterà poi alla formazione del prodotto della reazione. Quali sono le principali caratteristiche del sito attivo? Occupa una parte relativamente piccola dell’enzima, solitamente un numero ristretto di amminoacidi (alcuni 3 o 4 amminoacidi) rispetto a quelli della molecola enzimatica. Il sito attivo si manifesta come un’entità tridimensionale che è costituita da residui amminoacidici che derivano da parti diverse della sequenza lineare. Questo significa, prima di tutto, che l’organizzazione della catena nello spazio fa si che il sito attivo non sia un qualcosa di planare ma abbia una propria tridimensionalità; in particolare un’altra caratteristica che accomuna il sito attivo della maggior parte degli enzimi è il fatto che i residui amminoacidici che vanno a costituire il sito attivo non sono residui amminoacidici posti in sequenza uno dopo l’altro quindi significa che nel ripiegamento della catena quello che poi è il sito attivo non è costituito da residui che sono nella sequenza lineare, ma proprio per effetto del ripiegamento che la catena ha, si ritrova che la porzione che effettivamente è il sito attivo sia in realtà costituito da residui amminoacidici non vicini tra loro in termini di sequenza lineare; questo è possibile perché la catena polipeptidica si organizza nello spazio con dei ripiegamenti e quindi nei ripiegamenti si trovano vicini residui amminoacidici che vedendo la catena srotolata non lo sarebbero. Il fatto che il sito attivo sia un’entità tridimensionale fa si che la si può associare ad una cavità o fenditura, aspetto molto importante perché la natura a cavità fenditura del sito attivo fa si che si vada a creare una zona appartata in cui la catalisi avviene, c’è quindi una zona protetta all’interno della quale avviene la catalisi e che tutto ciò che non è funzionale alla catalisi non ci rientra. L’acqua è tipicamente esclusa dai siti attivi, perché in molte reazioni l’acqua può essere un elemento di disturbo che potrebbe condurre verso reazione indesiderate. L’acqua è esclusa sempre dal sito attivo, a meno che non sia essa stessa un elemento determinante della reazione catalizzata, cosa che avviene ad esempio negli enzimi idrolitici, dove la presenza dell’acqua è una condizione essenziale affinché la reazione di idrolisi possa avvenire. Il fatto che l’acqua possa essere esclusa dai siti attivi di tutti quegli enzimi in cui l’acqua non serve ai fini della catalisi deriva dalla natura tendenzialmente idrofobica di questi siti attivi. Come interagiscono i substrati a livello dei siti attivi? L’interazione dei substrati con l’enzima a livello dei siti attivi avviene attraverso un certo numero di interazioni deboli; la specificità del legame che si va a creare tra substrato e sito attivo va ricercata nella precisa disposizione degli atomi a livello del sito attivo. Affinché il sito attivo dell’enzima possa interagire con il substrato, a livello chimico gli atomi sul sito attivo che vanno ad interfacciarsi con il substrato devono avere una disposizione ben precisa, così come i substrati che entrano all’interno del sito attivo devono avere una conformazione, un orientamento ottimale affinché l’interazione possa avvenire. 7 Prunotto/Vecchio 12 Biochimica (Boffito) 05/11/20 Come avviene poi l’interazione? Il sito attivo espone specifici gruppi, specifici atomi, secondo una organizzazione ottimale e successivamente i substrati entrano all’interno del sito attivo secondo un orientamento ottimale per far si che l’interazione possa avvenire. Per descrivere il modo in cui il sito attivo dell’enzima interagisce con il substrato sono state introdotte negli anni diverse teorie, due più famose. La prima, che è la più vecchia e ormai sorpassata, è una teoria che risale alla fine dell’88 ed è la teoria della chiave serratura. Secondo questa teoria si deve immaginare il sito attivo degli enzimi come un’entità estremamente rigida con una geometria ben definita; una conformazione molecolare estremamente rigida entra il nostro substrato che va ad incastrarsi sul sito attivo, questo perché c’è una totale complementarietà tra enzima e substrato dovuta a conformazioni molecolari molto rigide; si chiama la teoria della chiave serratura perché la complementarietà tra enzima e substrato è associabile alla complementarietà della chiave con una serratura. Quindi, graficamente c’è una perfetta complementarietà tra substrato e sito attivo. Negli anni questa teoria è stata sorpassata dalla teoria dell’ipotesi dell’adattamento indotto; si è arrivati a questa conclusione attraverso l’analisi di risultati di test sperimentali che hanno portato a dire che in realtà esiste una stretta complementarietà tra enzima e substrato, ma le conformazioni molecolari non sono estremamente rigide. Secondo l’ipotesi dell’adattamento indotto, infatti, la complementarietà che esiste tra enzima e substrato è associabile a quella del guanto con la mano. Significa che gli enzimi hanno dentro di sé l’informazione del tipo di substrato con cui devono andare ad interagire, ma il loro sito attivo non è un sito attivo rigido. Quindi graficamente il sito attivo ha una certa configurazione, poi nel momento in cui arriva il substrato corretto il sito attivo modifica la sua conformazione in modo tale da alloggiare il substrato correttamente. Non si ha più un’associazione statica rigida, ma tra sito attivo ed enzima si ha un’associazione dinamica, dove il sito attivo modifica la propria conformazione nel momento in 8 Prunotto/Vecchio 12 Biochimica (Boffito) 05/11/20 cui incontra il substrato con cui deve andare ad interagire. Come nella vita quotidiana avviene tra mano e guanto. Come si è arrivati a dire che l’associazione tra enzima e substrato avviene in questo modo? Attraverso delle analisi sperimentali e in particolare attraverso analisi spettroscopiche e di cristallografie a raggi x che hanno permesso di vedere come, durante l’interazione tra enzima e substrato ci siano delle riorganizzazioni spaziali, cioè ci siano dei gruppi, degli atomi che cambiano la loro posizione. Quindi il fatto stesso che si sia visto uno spostamento nella posizione dei gruppi funzionali degli atomi ha dato prova che non si ha di fronte qualcosa di estremamente rigido che si associa, ma lo fa senza nessun tipo di adattamento. L’enzima ha comunque dentro di sé l’informazione di quale è il substrato con cui lui deve interagire, quindi il fatto che non ci sia complementarietà rigida non è un problema nella misura in cui l’enzima andrà a cambiare la conformazione del suo sito attivo solo se incontra il substrato corretto. In sostanza il sito attivo sa che tipo di conformazione dovrà assumere nel momento in cui incontra il substrato, quindi non è il substrato che plasma la geometria del sito attivo, ma si adatta nel momento dell’incontro, quindi non c’è il rischio che ci siano più substrati che entrano nell’enzima, perché se non arriva il substrato corretto non si ha la possibilità di formazione del complesso. Inoltre, essendoci una fenditura, solo ciò che ha una fenditura adeguata per entrare nella fenditura può poi andare in profondità ad incontrarsi con il sito attivo. Tra substrati simili si potrebbe avere questo rischio ma in realtà la macromolecola ha dentro di sé l’informazione di quale sia tra i substrati simili quello corretto e che tipo di interazioni si devono instaurare. È una macchina molecolare che funziona benissimo ad altissima efficienza che sa benissimo con chi deve interagire e con chi no e se entra qualcosa non corretto non avviene l’interazione. Le analisi spettroscopiche e in cristallografia a raggi x hanno supportato questa teoria dell’adattamento indotto perché si è visto che durante le interazioni che avvengono tra enzima e substrato si manifestano variazioni nel posizionamento reciproco degli atomi dei gruppi, il che implica che ci sia qualcosa che si sposta che si modifica. L’associazione e l’interazione tra enzima e substrato porta alla formazione di complessi in cui l’enzima ed il substrato sono associati tra loro e che porta poi alla possibilità di avere la reazione catalizzata e quindi la formazione di quello che sarà il prodotto. Quindi la teoria che descrive come avvengono le reazioni catalizzate dagli enzimi parte dal presupposto che l’interazione tra enzima e substrato comporti la formazione di un 9 Prunotto/Vecchio 12 Biochimica (Boffito) 05/11/20 complesso, complesso “es” (complesso enzima-substrato), questo complesso rimane associato per il tempo necessario affinché avvenga al catalisi. Si procede per stadi intermedi. Cosa ha portato a dire che gli enzimi e i substrati si associano tra di loro e restano tali finché la catalisi non è terminata? Il fatto che le reazioni catalizzate da enzimi possano rappresentare un effetto di saturazione. Questo significa che se si va ad analizzare l’andamento della velocità della reazione in funzione della concentrazione di substrato nelle reazioni catalizzate si ha un raggiungimento di una velocità massima. Per esempio si ipotizzi di avere un boccettone con dentro 10 enzimi, a seconda della quantità di substrato che si mette all’interno del boccettone la reazione avverrà con una certa velocità. Se si mettono 3 substrati, si ottiene una certa velocità. Se se ne mettono 7, si ottiene una velocità più alta. Se se ne mettono 15, sempre avendo 10 enzimi, si andrà a saturazione perché tutti i 10 enzimi lavorano sui substrati, ma non riescono ad accoppiare un numero di enzimi sufficienti per lavorare contemporaneamente su tutti i substrati. Se invece di 15 substrati se ne mettessero 100, il risultato sarebbe lo stesso, perché si ha molto substrato in eccesso rispetto agli enzimi e di conseguenza si raggiunge la massima capacità che gli enzimi hanno di incrementare la velocità delle reazioni. Il fatto che gli enzimi debbano associarsi con i substrati affinché la catalisi possa avvenire è un elemento che porta al fenomeno di saturazione che si manifesta per quantità di substrato molto alte in eccesso rispetto alla quantità di enzima che si ha. Se i complessi non si formassero, la velocità tenderebbe ad aumentare all’aumentare della quantità di substrato senza raggiungere un valore di plateau. Avere un plateau implica che si può portare la capacità di lavorare degli enzimi a saturazione e la saturazione la si raggiunge nel momento in cui tutti gli enzimi sono associati ad un substrato e quindi non è più presente nessun enzima libero che può interagire con altri substrati. L’energia libera Come lavorano effettivamente gli enzimi sull’andamento delle reazioni? Si prenda in considerazione il grafico della coordinata di reazione. Il grafico va a riportare l’andamento dell’energia libera G in funzione dell’andamento della reazione. In tutte le reazioni chimiche si hanno come punto di partenza dei reagenti e come punto di arrivo dei prodotti. I reagenti sono i substrati che avranno una certa energia libera e si avrà anche una certa energia libera sui prodotti. L’andamento che la reazione segue è un andamento come quello nella figura sotto. Si parte dall’energia libera dei reagenti, si raggiunge uno stato di transizione che è posizionato nel punto di massimo e poi l’energia libera diminuisce verso la formazione dei prodotti. Lo stato di transizione è uno stato a massima energia, che è una condizione necessaria affinché la reazione possa procedere verso la formazione dei prodotti; quindi affinché la reazione possa avvenire è 10 Prunotto/Vecchio 12 Biochimica (Boffito) 05/11/20 necessario che venga superato il gap energetico che esiste tra i substrati e gli stati di transizione. Questo gap prende il nome di ΔG++ ed è l’energia di attivazione, gli enzimi vanno ad abbassare questa energia di attivazione. In presenza di un enzima la curva diminuisce (curva verde), l’energia di attivazione diminuisce e quindi ci si ritrova nella condizione di poter più facilmente superare il gap energetico che porta al passaggio agli stati di transizione che poi converge verso la possibilità di ottenere i prodotti. L’energia libera dei substrati e dei prodotti rimane sempre la stessa. La differenza tra l’energia libera dei substrati e dei prodotti viene chiamata ΔG, dove ΔG = Gp-Gs ed è l’elemento che determina se le reazioni possono essere definite come reazioni all’equilibrio (ΔG=0), spontanee/esoergonica (ΔG0). L’azione degli enzimi non va a toccare minimamente le energie libere di substrati e prodotti ma va ad abbassare quella degli stati di transizione quindi di fatto il ΔG della reazione non viene alterato. Gli enzimi vanno ad aumentare la velocità sia della reazione diretta che della reazione inversa di una stessa entità andando a velocizzare il raggiungimento dell’equilibrio della reazione. Dalla termodinamica si ha la formula [𝐶 ][𝐷] ∆𝐺 = ∆𝐺 0 + 𝑅𝑇 ln( [𝐴][𝐵] I termini [A], [B], [C], [D] derivano dall’aver considerato una reazione generica i cui i reagenti sono [A] e [B] e i prodotti sono [C] e [D]. R è la costante dei gas e T è la temperatura in kelvin. G 0 è la variazione di energia libera standard, dove le condizioni standard sono concentrazione 1 molare e pressione di 1 atm. 11 Prunotto/Vecchio 12 Biochimica (Boffito) 05/11/20 Essendo, però, in biochimica e non in termodinamica, usiamo ΔG’ invece che ΔG0, indicando che si fa riferimento alla variazione di energia libera standard biochimica, dove le condizioni standard biochimiche non fanno riferimento alla concentrazione (come in termodinamica) ma fanno riferimento al pH pari a 7. La formula diventa quindi [𝐶 ][𝐷 ] ∆𝐺 = ∆𝐺 ′ + 𝑅𝑇 ln( [𝐴][𝐵 ] Domande: come si chiama l’enzima senza gruppo prostetico? Quando non c’è gruppo prostetico bisogna immaginare che non ci sia la parte non proteica e quindi quando viene tagliato lo zimogeno, la parte in eccesso diventa apoenzima, ma questo apoenzima corrisponde già ad un enzima attivo. Quindi in assenza di gruppo prostetico l’apoenzima o l’enzima attivo vanno a coincidere. qual è la definizione di effettore allosterico? Gli effettori allosterici sono delle particolari molecole che vanno ad alloggiarsi all’interno dei siti allosterici e funzionano come attivatori o disattivatori. Quindi sono molecole che entrano all’interno dei siti allosterici determinando meccanismi di attivazione o disattivazione dell’enzima attivo. cosa si intende con oloenzima? Con oloenzima si definiscono tutti gli enzimi attivi, quindi quando non c’è la parte proteica l’oloenzima coincide con l’apoenzima, quando invece c’è la parte non proteica l’oloenzima è la combinazione di apoenzima e gruppo prostetico. 12 Manfreda/Paggetti 13 Bioingegneria chimica (Boffito) 10/11/2020 LA CINETICA ENZIMATICA Studiare la cinetica enzimatica significa studiare la velocità di catalisi e vedere come essa cambia al variare della concentrazione di substrato che va ad interfacciarsi con l’enzima. È importante studiarla perché in questo modo si può poi comprendere il meccanismo con cui avvengono le reazioni catalizzate, misurare la presenza degli enzimi in vivo, intervenire sui meccanismi di regolazione dell’attività catalitica degli enzimi in modo che si possa modulare. Di conseguenza, conoscendo i meccanismi delle reazioni e sapendo in che modo si può intervenire per modularle, si possono progettare nuovi farmaci, sviluppare nuovi approcci terapeutici che vanno proprio ad agire su come gli enzimi catalizzano i processi che avvengono all’interno dell’organismo. Si avrà un grafico in cui in ascissa la concentrazione del substrato [S] e in ordinata V0, ossia la velocità all’istante iniziale della reazione. Un enzima che catalizza una reazione non sposta gli equilibri della reazione, ma semplicemente velocizza il raggiungimento dell’equilibro, andando ad aumentare le velocità sia della reazione diretta che della reazione inversa della stessa quantità. Studiare la cinematica enzimatica significa riportare la velocità iniziale della reazione in funzione della concentrazione di substrato. Si riporta, quindi, la velocità che la reazione ha nella fase iniziale cioè quando la reazione procede esclusivamente in un verso, cioè dai reagenti (substrati) verso i prodotti. Ci si mette in una condizione in cui la reazione inversa, che è la reazione che porterebbe i prodotti ad essere riconvertiti in substrati, è trascurabile. Come si ottengono i punti la cui interpolazione dà poi origine alla cinetica enzimatica? Se si facesse sperimentalmente, si dovrebbero svolgere una serie di esperimenti in cui si tiene fissa la quantità di enzima all’interno del sistema e si varia la quantità di substrato: è come se si avessero tanti contenitori in cui avviene la reazione catalizzata e dentro ad ogni contenitore si ha sempre la stessa quantità di enzima ma diversa quantità di substrato. Per ognuna di queste reazioni si valuta la velocità V0. Dal contenitore 1 si estrapola un valore V1 che è la V0 cioè velocità iniziale della reazione nelle condizioni di analisi definite dal contenitore di reazione 1. Dal contenitore 2 si otterrà un’altra velocità iniziale, che si chiamerà V2, che sarà diversa da V1 perché cambia il rapporto quantitativo tra il substrato e l’enzima. Dal contenitore 3 verrà fuori un’altra velocità V3, e così via. Tutte queste velocità sono correlate ad una certa concentrazione di substrato: [S]1, [S]2 e [S]3. 1 Manfreda/Paggetti 13 Bioingegneria chimica (Boffito) 10/11/2020 Facendo questi tre esperimenti, si sono individuati tre punti della curva V0 in funzione di [S]. Adesso si possono mettere nel piano cartesiano e costruire quindi la curva della cinetica enzimatica: la curva ha tipicamente (ma non esclusivamente) un andamento di questo tipo. L’andamento è a iperbole quadrata e si vede che la presenza di enzimi che catalizzano la reazione è l’elemento che determina la presenza di un effetto di saturazione delle reazioni catalizzate. La velocità V0 tende ad un valore asintotico massimo Vmax di saturazione: dietro la presenza e l’attività degli enzimi c’è la formazione di complessi enzima-substrato. Si può anche aumentare di tantissimo la concentrazione di substrato mantenendo una quantità di fissa di enzimi: una volta che tutti gli enzimi sono impegnati nella formazione di complessi con il substrato si raggiunge la massima velocità catalitica raggiungibile. Questo implica che ci sia questo effetto di saturazione, ossia la velocità che tende a un valore massimo. Per valori di concentrazione di substrato bassi, quindi nella regione iniziale della curva, tra la velocità V0 e la concentrazione di substrato c’è una relazione di proporzionalità diretta. La velocità inizialmente cresce molto rapidamente all’aumentare della concentrazione di S, ma poi rallenta il suo incremento man mano che si aumenta la concentrazione, fino a tendere al valore asintotico Vmax (ovvero il valore a cui l’iperbole quadrata va a tendere). Esiste un altro valore caratteristico delle curve di cinetica enzimatica che è KM, costante di Michaelis-Menten, che è un valore particolare di [S] e corrisponde al valore di concentrazione di !!"# substrato per cui la velocità di reazione V0 è pari a. " Come si ottiene l’equazione che descrive l’andamento di questa iperbole quadrata? "!"# ∙ [&] L’equazione dell’iperbole quadrata è: !! = ($ )[&] V0 e [S] sono i valori riportati in ordinata e in ascissa; Vmax e KM sono i parametri che permettono di caratterizzare e definire la cinetica enzimatica. Vmax è la velocità massima a cui l’iperbole tende, mentre KM è un particolare valore di concentrazione del substrato in corrispondenza del quale il !!"# valore della velocità V0 è uguale a. " Questo significa che quando la velocità è Vmax si hanno tutti i siti attivi dell’enzima presente complessati con il substrato, quindi si ha l’effetto di saturazione; invece, quando [S]= KM, ossia !!"# !# % , si ha che il 50% dei siti attivi dell’enzima sono occupati da substrato: per il 50% l’enzima " è impegnato nella formazione di complessi enzima-substrato, chiamati complessi ES. Adesso si vedono i passaggi che hanno portato alla definizione dell’equazione della cinetica enzimatica, definita da Michaelis-Menten. Non tutti gli enzimi seguono questa cinetica, ma la maggior parte degli enzimi presenti all’interno degli organismi la rispettano. 2 Manfreda/Paggetti 13 Bioingegneria chimica (Boffito) 10/11/2020 Il punto focale su cui si basa la definizione di questa cinetica è la formazione dei complessi ES, quindi sull’ipotesi che gli enzimi e i substrati nel momento in cui si incontrano vadano ad originare dei complessi enzima-substrato. Quindi si parte da un sistema in cui sono presenti enzima e substrato E+S, i quali complessano nei complessi ES e lo fanno con una costante di velocità K1. I complessi ES così formati possono tornare indietro con una costante di velocità K-1, cioè dividersi e ritornare nella configurazione iniziale di E+S oppure possono procedere verso la formazione del prodotto P e la liberazione dell’enzima E: nel momento in cui la reazione procede verso la formazione del prodotto l’enzima non viene consumato ma vede di nuovo il suo sito attivo libero e disponibile per andare a catalizzare un’altra reazione. La formazione del prodotto avviene con una costante di velocità K2. In questa reazione non si grafica la freccia in rosso, che avrebbe costante di velocità K-2: non si considera questa reazione inversa, che porterebbe il prodotto a tornare indietro verso il substrato, perché si è detto che descrivere la cinetica enzimatica significa mettersi sotto l’ipotesi di considerare solo la velocità iniziale delle reazioni tale per cui l’unica reazione che avviene è quella che dai substrati porta verso i prodotti, mentre la reazione inversa non avviene. Ciò è assicurato dal fatto che ci si mette nella condizione di misurare gli stati iniziali della reazione, ossia quegli stati in cui la concentrazione di prodotto è molto bassa e quindi la reazione tende ad andare da sinistra verso destra, piuttosto che tornare indietro da destra verso sinistra. Pertanto, l’ipotesi che si fa è che la concentrazione di P sia minore del 5% ([P] < 5%): questo assicura che la reazione inversa che da P riporta indietro possa essere definita trascurabile. L’obiettivo ultimo della cinetica enzimatica è quello di descrivere l’andamento della velocità V0. *[+] In questo caso si ha: !! = = $- ∙ ['(].1 *, &$ Quindi andando a considerare la reazione "# %& ' + ", la velocità di formazione di P è la costante di velocità della reazione moltiplicata per il substrato che dà origine a P, ovvero i complessi ES (reagenti). In quest’espressione c’è però un problema: V0 è stata definita in funzione di [ES], ma essendo i complessi ES degli intermedi di reazione non sono né isolabili né quantificabili. Questo implica che la formula così definita non si può utilizzare perché contiene i complessi che esistono (perché ci sono delle evidenze scientifiche che dimostrano la loro esistenza) ma essendo dei transitori di reazione non possono essere isolati e, di conseguenza, quantificati. Pertanto, i prossimi passaggi cercano di esprimere il termine [ES] in funzione di variabili note, cioè variabili che si conoscono e che si possono quantificare. 1 Prodotto tra la costante di velocità della reazione per la concentrazione dei reagenti. 3 Manfreda/Paggetti 13 Bioingegneria chimica (Boffito) 10/11/2020 Un’altra ipotesi che sottende alla definizione della cinetica enzimatica è l’ipotesi di stato stazionario. Questo ipotesi implica che la velocità di formazione di ES, quindi dei complessi intermedi, è uguale alla velocità di scissione di ES. Si consideri ora la velocità di formazione di ES: il complesso si può formare partendo da E+S, con una costante di velocità K1 mentre dall’altra parte non si può formare ES perché non si sta considerando la reazione inversa che da P+E forma ES. La velocità di formazione di ES si può definire come !'()* = *+ ∙ ["] ∙ [#]. Adesso si passa alla velocità di scissione di ES: la velocità di scissione è data dalla somma di due contributi perché ES si può rompere portando alla formazione del prodotto con una costante di velocità K2 ma si può rompere anche con costante di velocità K-1 tornando indietro ad E+S. La velocità di scissione di ES è quindi data da: !,-.,, = */+ ∙ ["#] + *" ∙ ["#]. Il primo termine riguarda la reazione che porta ES a rompersi tornando a E+S. Il secondo termine riguarda la velocità di scissione di ES che avviene con costante di velocità K2 che porta ES verso la formazione del prodotto e la liberazione dell’enzima. Una volta definiti i due termini, velocità di formazione e velocità di scissione, nell’ottica di ottenere l’equazione della cinetica di Michaelis Menten, si devono eguagliare (questo è possibile perché si è sotto l’ipotesi di stato stazionario): *+ ∙ ["] ∙ [#] = (*/+ + *" ) ∙ ["#] Da qui poi si può definire il rapporto: ["] ∙ [#] */+ + *" = = *0 ["#] *+ il quale definisce KM, ossia la costante di Michaelis Menten. Pertanto, passando sotto l’ipotesi di stato stazionario, che ci permette di eguagliare le velocità di formazione e di scissione di ES, si definisce la costante di Michaelis Menten (che è uno dei parametri caratteristici delle reazioni catalizzate) come il prodotto tra la concentrazione di enzima e la concentrazione di substrato, tutto quanto diviso per la concentrazione dei complessi enzima-substrato. Partendo da questa definizione della costante di Michaelis Menten si arriverà ad esplicitare ES in funzione di altri parametri. L’idea è di rielaborare la formula in modo da esplicitare ES, per poi arrivare a introdurre nella formula iniziale (!# = *" ∙ ["#]) un’espressione di ES che si riesce a conoscere o manipolare (perché conterrà al suo interno parametri noti o comunque misurabili). ∙ Partendo da *0 = si può esplicitare [ES]: ["][#] ["#] = *0 KM è un parametro caratteristico del sistema ed è una costante; [S] è la concentrazione di substrato; [E] è la concentrazione di enzima libero, cioè la concentrazione di enzima che non è impegnato nella formazione di ES. 4 Manfreda/Paggetti 13 Bioingegneria chimica (Boffito) 10/11/2020 Siccome ES non si può quantificare, anche l’enzima libero E è difficile da quantificare. Quindi in sostanza possiamo definire [E] come la differenza tra la concentrazione di enzima totale e la concentrazione di ES: ["] = ["]6 − ["#] L’enzima totale è quello che si mette all’inizio della reazione all’interno del contenitore: una parte di enzima totale si impegnerà con i substrati per formare i complessi ES, un’altra parte invece darà origine a E, ossia l’enzima libero che non si impegna nella formazione dei complessi. (% 1 [0&])∙ [&] Quindi si può scrivere: $. = [0&] Si ricordi che l’obiettivo è quello di esprimere [ES] in funzione di cose note. Infatti, il termine [E], insieme al termine [ES], non si può conoscere perché l’enzima libero è quella porzione di enzima che non è complessata: ma se non si può sapere la quantità di enzima complessato, di conseguenza non si può conoscere la quantità di enzima libero. L’idea è quella di esplicitare l’enzima libero come la differenza tra l’enzima totale, cosa che io conosco perché so quanto enzima metto nel mio sistema, meno i complessi [ES]. % ∙ [&] A questo punto si può scrivere: ['(] = ($ ) [&] Quest’espressione mette [ES] in funzione di parametri noti: infatti [E]t e [S] si conoscono perché sono note le quantità iniziali di enzima e di substrato che si mettono all’interno del contenitore di reazione. A questo punto si può inserire quest’espressione di [ES] all’interno di !# = *" ∙ ["#] e ottenere: 28 9 17 = 2: + Manca un ultimo passaggio, ossia la definizione !*;< = *" ∙ ["]6. La velocità massima si ha nelle condizioni di saturazione, cioè quando tutto l’enzima presente è impegnato nella formazione dei complessi ES. Questo significa che la concentrazione di enzima libero [E] è nulla. Pertanto, in questa situazione, [E]t è proprio uguale a [ES]. Allora si può scrivere !# = *" ∙ ["#] = *" ∙ ["]6. Ma poiché quest’uguaglianza vale in condizioni di saturazione, ossia quando V0 = Vmax, si può scrivere: !*;< = *" ∙ ["]6. Riscrivendo tutta l’espressione si ottiene l’equazione dell’iperbole quadrata vista all’inizio: 1=>? ∙ 17 = 2: + Con i vari passaggi è stato possibile vedere come è stata definita l’equazione dell’iperbole quadrata che descrive la cinetica di tutti gli enzimi che seguono la cinetica di Michaelis Menten. N.B. I passaggi sono svolti nel dettaglio al fondo del documento. 5 Manfreda/Paggetti 13 Bioingegneria chimica (Boffito) 10/11/2020 ANALISI DELLA CINETICA DI MICHAELIS MENTEN +!"# ∙ [,] !* = -$.[,] - Se [S] affinità). Infatti, se KM è piccolo serve meno substrato affinché si possa !!"# raggiungere !# % , quindi i complessi si formano " più facilmente e più velocemente perché sono più affini. Quindi si raggiunge la massima velocità catalitica per concentrazioni di [S] più basse. 2 Si vedrà meglio ad esercitazione. 6 Manfreda/Paggetti 13 Bioingegneria chimica (Boffito) 10/11/2020 Il sistema in rosso ha una sua velocità Vmax e una sua KM. Considerando invece il sistema in verde, si vede che una KM più piccola implica maggiore affinità e quindi si ha bisogno di meno substrato !!"# per raggiungere una velocità pari a. " Ricapitolando, KM è una misura dell’affinità tra enzima e substrato, cioè un valore caratteristico di ogni coppia ES ed è funzione dei parametri ambientali. Un altro parametro che si può usare per caratterizzare il sistema è Kcat, che è definita come n° di turnover o costante catalitica. Kcat ci dà informazione sulla velocità di catalisi: dice quanti atti reattivi vengono compiuti da ogni sito attivo in condizioni di saturazione nell’unità di tempo: !*;< *-;6 = 5676 877696/ABC.*; Questo è valido nell’ipotesi che esistano degli enzimi che presentano più di un sito attivo. Dal punto di vista dimensionale la velocità è espressa in [mol/s] mentre il denominatore (moli di sito attivo presenti su ogni enzima) è espresso in [mol]. Pertanto, la Kcat ha le dimensioni di una frequenza, ossia [1/s] e dice quante volte viene compiuto l’atto catalitico nell’unità di tempo e quindi dà una misura della capacità dell’enzima di svolgere la catalisi ed è definita in condizioni di saturazione, cioè mettendo Vmax al numeratore. La combinazione di Kcat con KM ci permette di ottenere informazioni sull’efficienza complessiva dell’enzima, che va a tener conto sia della sua capacità catalitica (quanti atti reattivi è capace di compiere nell’unità di tempo) sia dell’affinità che esiste tra enzima e substrato. Pertanto, se si vuole parlare in termini generali dell’efficienza di un enzima si fa il rapporto tra Kcat e KM: *-;6 :;;68 :=>6?8 = *0 Se vengono chieste informazioni sull’affinità si fa riferimento alla KM , invece si parla di capacità catalitica si fa riferimento alla Kcat , se si parla di efficienza di un enzima si fa riferimento al loro rapporto. &&"' Si ha maggiore efficienza quando questo rapporto è grande (> , > BCCDEDBFGH ). Questo &% perché più Kcat è grande, meglio è, in quanto si ha a che fare con un enzima che svolge bene la catalisi ed è molto veloce. Al tempo stesso, è meglio quando KM ha un valore piccolo. Esiste un valore massimo di K1 (che si ricorda essere la costante di velocità della reazione che porta l’enzima e il substrato a legarsi tra loro per formare i complessi ES), che è dell’ordine di 108-109 (M·s)-1, che caratterizza quegli enzimi che sono definiti enzimi perfetti: svolgono la catalisi in modo perfetto. Si ha a che fare, quindi, con degli enzimi che ogni volta che incontrano un substrato vanno a catalizzare la reazione: lo scontro tra E ed S porta sempre alla formazione del 7 Manfreda/Paggetti 13 Bioingegneria chimica (Boffito) 10/11/2020 complesso e quindi alla generazione dei prodotti. Questo limite di efficienza esiste dal momento che esiste un limite legato alla diffusione che le molecole possono avere all’interno dei mezzi. Domanda: Si conoscono gli ordini di grandezza di KM, Kcat ed efficienza per quanto riguarda gli enzimi perfetti? Risposta: Quando il rapporto Kcat / KM (ovvero l’efficienza di un enzima) è dell’ordine di 10^8, quindi lo stesso ordine di K1, si è al limite del controllo diffusionale, cioè nella condizione di efficienza massima. Quindi ogni volta che c’è uno scontro tra un enzima e un substrato si manifesta la catalisi. A definire il fatto che si è raggiunta la perfezione non sono i singoli valori di Kcat e di KM ma il loro rapporto, perché l’efficienza è funzione della combinazione dei due parametri. I singoli parametri invece danno informazioni sull’affinità (KM) e sul potere catalitico (Kcat). Per quanto riguarda la KM i valori che può assumere sono estremamente variabili tra 10^-1 e 10^-7: più è piccolo più enzima e substrato sono affini. !!"# ∙ Ritornando all’espressione dell’iperbole quadrata: !# = &% D Per caratterizzare in maniera univoca e completa un sistema catalizzato da un enzima, si devono definire Vmax e KM. Il problema che si deve affrontare è il fatto che considerando l’iperbole, non si riesce a definire facilmente Vmax, poiché è un valore a cui l’iperbole tende senza mai raggiungerlo perfettamente. Il fatto di non poter definire con esattezza Vmax implica che non si può !!"# conoscere neanche " e quindi definire in maniera completa anche KM. Usando, quindi, l’equazione dell’iperbole di Michaelis-Menten (abbreviato M-M) non si arrivano a definire con esattezza i parametri caratteristici del sistema e ciò implica che si deve adottare qualche espediente per poterli caratterizzare e calcolare. Per questo motivo, l’iperbole di Michaeli-Menten può essere sottoposta a delle rielaborazioni che portano ad avere delle forme linearizzate della cinetica enzimatica. Dalla forma linearizzate si può, tramite l’intersezione delle rette con gli assi, definire quanto valgono precisamente Vmax e KM. Esistono due linearizzazioni: Linearizzazione di LINEWEAVER BURK (L-B): è una forma di linearizzazione che passa attraverso i reciproci. Si parte dall’equazione di Michaelis Menten e se ne fa il reciproco, ottenendo: 1 *0 1 1 = ∙ + !# !*;< [#] !*;< Definendo 1⁄!# = J : 1⁄[#] = L si ha proprio l’equazione di una retta. Questa retta va a intersecarsi con l’asse x nel punto − 1⁄*0. mentre con l’asse y in corrispondenza di 1⁄!*;< e la pendenza è *0 ⁄!*;<. 8 Manfreda/Paggetti 13 Bioingegneria chimica (Boffito) 10/11/2020 Linearizzazione di EADIE – HOFSTEE (E-H) l’equazione della retta è !# !# = !*;< − *0 ∙ [#] Si definiscono !# = J : !# ⁄[#] = L. Tale retta interseca l’asse delle ascisse in coordinata !*;< ⁄*0 ; l’asse delle ordinate in Vmax e ha una pendenza pari a -KM. Pertanto, conoscendo le intersezioni con gli assi, posso definire Vmax e KM con precisione, quindi caratterizzare in maniera completa il sistema. Non c’è un vincolo su quale delle due linearizzazioni utilizzare. 9 CINETICA ENZIMATICA: equazione di Michaelis-Menten vmax [ S ] v0 K m [S ] la concentrazione di enzima libero, cioè non impegnato nella formazione di complessi ES (1) (2) esprimo vo in funzione di vo/[S] Longo/Bruno 14 Bioingegneria Chimica (Boffito) 12/11/20 Precisazione sulla lezione precedente La Kcat, detta numero di turnover o costante catalitica, è definita in situazioni di saturazione, infatti si esprime in funzione di Vmax, ovvero la velocità massima, e di una quantità detta siti attivi/enzima. Il denominatore di questa formula potrebbe trarre in inganno: si intendono le moli di sito attivo presenti nel sistema. Cioè si devono tenere in considerazione le moli complessivamente presenti di sito attivo nel sistema che si sta analizzando, questo significa che se un enzima ha un unico sito attivo, allora, dire quante sono le moli di sito attivo corrisponde a dire quante sono le moli di enzima, perché tra enzima e sito attivo c’è un rapporto 1:1. Se invece ogni enzima ha due siti attivi la quantità di siti attivi non è uguale alla quantità di enzimi, bensì è doppia, quindi al denominatore bisogna riportare quanti sono i siti attivi espressi in moli (in modo da semplificarsi col numeratore che si esprime in moli al secondo) tenendo in considerazione il rapporto che esiste tra enzima e sito attivo. CINETICA ENZIMATICA Inibizione enzimatica Si vedrà come cambia la cinetica enzimatica quando ci sono molecole che modificano l’attività degli enzimi, nello specifico si studia l’inibizione enzimatica. L’inibizione enzimatica può essere di 2 tipi: irreversibile o reversibile (approcci di inibizione completamente differenti): 1 Longo/Bruno 14 Bioingegneria Chimica (Boffito) 12/11/20 l’inibizione irreversibile può avvenire attraverso l’utilizzo di specifiche molecole che interagiscono con l’enzima modificandone l’attività e l’interazione di queste molecole inibitrici può avvenire o tramite la formazione di legami covalenti oppure tramite legami non covalenti ma caratterizzati da una elevata stabilità, cioè delle interazioni che non portano alla formazione di veri e propri legami chimici covalenti, ma comunque molto stabili. Lavorano in questo modo molti farmaci, che interagiscono con gli enzimi coinvolti nei processi biologici modulandone l’attività, per esempio l’aspirina che inibisce l’attività dell’enzima che catalizza la prima tappa del pathway metabolico che porta l’essere umano a provare il dolore. esiste anche una forma di inibizione reversibile, su cui è importante concentrarsi. È una forma di inibizione dove la molecola che svolge il lavoro di inibitore si lega in modo reversibile all’enzima e ne diminuisce l’attività catalitica. L’inibizione reversibile implica delle interazioni reversibili e che possono essere eliminate. Spesso l’inibizione reversibile coinvolge delle molecole che funzionano da inibitori e che hanno una struttura molto simile a quella del substrato, quindi se l’enzima ha il suo sito attivo, lì dentro può entrare il substrato corretto oppure l’inibitore. In particolare, sebbene il sito attivo sia una cavità/fenditura dove può entrare solo il substrato perché tutto ciò che non è substrato non riesce ad entrare anche per una questione di geometria, quando l’inibitore ha una geometria molto simile a quella del substrato può entrare nel sito ed il problema è che nel momento in cui entra l’inibitore al posto del substrato corretto, esso interagisce con il sito attivo rendendolo non più funzionale. Questa, in particolare, è una delle forme di inibizione reversibile che si possono osservare. l’inibitore reversibile è una molecola che è strutturalmente simile al substrato e che quindi può entrare nel sito attivo al suo posto, dando però origine ad un’azione di inibizione dell’attività catalitica del sito attivo e quindi ad una riduzione della velocità con cui avviene la catalisi. L’inibizione reversibile si può dividere in casi differenti in base al modo in cui avviene l’interazione fra inibitore ed enzima. L’inibizione può essere: competitiva, non competitiva, incompetitiva, mista. Le prime 3 ora saranno descritte nel dettaglio, per quanto riguarda l’inibizione mista, in generale, è quando si ha un’inibizione reversibile che però non si riesce a catalogare in nessuno dei tre casi precedenti o meglio, è caratterizzata da un mix di effetti diversi provenienti dalle altre forme di inibizione. 2 Longo/Bruno 14 Bioingegneria Chimica (Boffito) 12/11/20 Inibizione competitiva L’inibizione competitiva è una inibizione che implica l’esistenza di una forma di competizione, che si manifesta tra l’inibitore e il substrato al fine di entrare del sito attivo. Quindi si tratta della situazione usata come esempio prima: un enzima dotato di sito attivo in cui possono entrare sia il substrato che l’inibitore. Quando entra l’inibitore, esso inibisce l’attività del sito stesso e ne modifica la cinetica enzimatica. Nel caso in cui il substrato riesca ad entrare all’interno del sito attivo si formano i complessi ES (visti nelle lezioni precedenti: il loro raggiungimento è essenziale per ottenere la formazione dei prodotti). Se invece nel sito attivo entrano gli inibitori si formano i complessi EI, che sono complessi non produttivi, cioè non danno origine a un prodotto. Come agisce un inibitore competitivo sulla cinetica enzimatica? O equivalentemente, che tipo di variazioni possono avvenire sui parametri carattersitici del sistema su Km e Vmax ? Il parametro che porta dentro delle informazioni sull’affinità fra enzima e substrato è la costante di Michaelis-Menten Km. La competizione causa delle variazioni nell’affinità (il fatto stesso che l’enzima possa legare due cose implica che l’affinità nei confronti del substrato sia cambiata), in particolare la Km*1 è maggiore della Km dello stesso sistema in assenza di inibitore. Questo è dovuto al fatto che una Km più grande implica un’affinità minore: il fatto che un enzima possa non legarsi solamente al substrato, ma possa legare anche un inibitore, fa sì che la sua affinità diminuisca e quindi Km aumenta. Invece la Vmax* rimane uguale alla Vmax. Per capirlo si usa l’esempio in figura: nel primo caso c’è un sistema con 3 molecole di enzima, 2 inibitori e 2 substrati, nel secondo caso c’è lo stesso sistema, però con una quantità di substrato molto più grande. Mentre nel primo caso la competizione è alla pari fra inibitori e substrati, nel secondo la situazione è molto diversa: c’è un eccesso di substrato rispetto all’inibitore e questo fa sì che l’enzima nel sistema si possa trovare nella condizione di incontrare più facilmente una molecola di substrato rispetto a una molecola di inibitore (proprio per una probabilità di incontro). Questo comporta che per quantità di S molto grandi, di fatto, il contributo derivante dalla presenza dell’inibitore può essere trascurato, proprio perché essendo S in grandissimo eccesso rispetto ad I, esso tende ad accoppiarsi con l’enzima al posto dell’inibitore. Per questo si può dire che la velocità massima in presenza di inibitore è uguale alla velocità massima in sua assenza. Quindi una forma di inibizione di questo tipo è teoricamente eliminabile aumentando significativamente la quantità di S all’interno del sistema. 1 Si noti che da ora in poi l’apice * indica la presenza di inibitore. 3 Longo/Bruno 14 Bioingegneria Chimica (Boffito) 12/11/20 Come viene modificato il sistema in termini di equazione di Michaelis-Menten? E ed S si possono accoppiare con costante di velocità K1 dando origine ai complessi ES, che possono tornare indietro con costante K-1, oppure possono proseguire con K2 dando origine a P+E. Anche in questo caso non si considera la reazione che porta P indietro perché ci si pone nella condizione di valutare la velocità iniziale quindi essendo la concentrazione di P è molto bassa, la reazione che porta P indietro è trascurabile. C’è però anche l’inibitore che può legarsi all’enzima dando i complessi EI. Bisogna considerare anche questo flusso di reazioni, che quando porta alla formazione di EI lo fa con velocità K3 e quando porta alla scissione di EI in E+I lo fa velocità K-3. I complessi EI sono complessi non produttivi, quindi la loro formazione non porta al manifestarsi di altre reazioni. Considerando la parte orizzontale del sistema, cioè il flusso di reazioni senza l’inibitore, si può definire la Km come prodotto della concentrazione dell’enzima libero e della concentrazione del substrato, tutto fratto la concentrazione dei complessi ES. In modo analogo nel sistema inibito si può definire un’altra costante, detta KI (costante di dissociazione dell’inibitore), che si può scrivere come si vede a destra, ed è ricavata a partire dal ramo verticale delle reazioni di sopra. Rispetto a quanto visto nella lezione precedente cambia la definizione di enzima totale, che diventa la somma della concentrazione di 3 elementi, dato che è possibile avere una frazione di enzima libero (non complessato), una frazione di enzima impegnato nei complessi ES e una frazione di enzima nei complessi EI. In particolare, si scrive: [E]T = [E] + [ES] + [EI]. Partendo dalla nuova definizione di [E]T e dalla definizione di Km e KI si può usare lo stesso approccio già visto per arrivare a definire la velocità enzimatica, cioè si deve utilizzare la formula V0 = K2∙[ES]. 2 2 Nell’immagine sono illustrati i passaggi principali che ora saranno discussi, ma per la dimostrazione integrale fare riferimento ai file caricati dalla professoressa su Dropbox (vale anche per le dimostrazioni successive). 4 Longo/Bruno 14 Bioingegneria Chimica (Boffito) 12/11/20 Si parte della nuova definizione di [E]T (vedi schema di sopra) e l’obiettivo è ottenere un’espressione di [ES] in funzione di qualcosa di noto. Si sostituisce la concentrazione di EI usando l’inverso della formula della KI e si riscrive l’enzima totale raccogliendo [E] e ottenendo una quantità fra parentesi detta α. α è una costante del sistema che risulta essere sempre maggiore di 1 (perché somma di 1 + termine positivo). In questo modo si può esprimere [E] come il rapporto fra la differenza [E]T -[ES] e la costante α. Questa definizione di [E] si sostituisce quindi nella definizione di Km, da cui si ricava poi la nuova espressione di [ES]. A questo punto, avendo [ES] in funzione di quantità note, la si mette a sistema con la formula di V0. Si nota che la quantità K2∙[E]T (si ha in condizione di saturazione) è Vmax, di conseguenza si ottiene la formula della velocità enzimatica. Confrontando la formula ottenuta con la formula di MM in assenza di inibitore, in questo caso si può chiamare la velocità massima Vmax* e il prodotto (α∙Km), Km*. Ricapitolando: si parte da [E]T, si sostituisce [EI], si esplicita [E] per poi definire [ES]. Questo è il metodo che si adotta in tutte le forme di inibizione, indipendentemente dal fatto che sia competitiva, non competitiva, incompentitiva per arrivare a capire la relazione che sussiste tra i parametri del sistema non inibito Km e Vmax e i parametri del sistema inibito Vmax* e Km*. In questo caso quindi, di inibizione competitiva, ritornano le condizioni viste all’inizio: la velocità massima resta uguale mentre la costante aumenta, per il fattore α. Domanda: “l’approssimazione Vmax = Vmax* non è valida nel caso in cui sia presente molto più substrato rispetto all’inibitore?” Sì, ma il fatto stesso di trovarsi in corrispondenza della velocità massima rende implicito il fatto di avere molto più substrato dell’inibitore. L’inibitore è una quantità fissa e quando si ha una velocità pari a Vmax è implicito che la concentrazione del substrato sia estremamente grande, S tende ad infinito. Osservazione: ogni tipo di inibitore ha un effetto diverso sul sistema in analisi. Osservazione: quando si parla di enzima libero si intende un enzima che non è impegnato nella formazione di complessi. 5 Longo/Bruno 14 Bioingegneria Chimica (Boffito) 12/11/20 Come cambiano le curve di MM, LB ed EH in presenza dell’inibitore competitivo? Tenendo a mente le relazioni già scritte di Vmax e Km si confrontano i grafici puramente qualitativi di Michaelis-Menten con e senza l’inibitore. Si ricorda che l’andamento della funzione MM è un’iperbole quadrata.3 Si parte dall’iperbole senza inibitore, che è caratterizzata da una certa Vmax e una certa Km. Per disegnare l’iperbole con l’inibitore bisogna ricordare che manterrà lo stesso asintoto (tende allo stesso valore di Vmax), ma che salirà in modo più lento, dato che Km* è maggiore rispetto a Km. Invece per quanto riguarda le forme di linearizzazione LB ed EH: Nella linearizzazione LB si traccia una retta che interseca lungo l’asse delle ascisse l’antireciproco di Km e lungo l’asse delle ordinate il reciproco di Vmax. In presenza di un inibitore competitivo l’intersezione con l’asse delle ordinate resta uguale, mentre quella lungo l’asse delle ascisse si avvicina allo zero (dato che Km* aumenta, lo fa anche il suo antireciproco). Si ottiene quindi una retta che è ruotata in senso antiorario rispetto alla prima. Nella linearizzazione EH si traccia una retta che interseca lungo l’asse delle ascisse il rapporto fra Vmax e Km e lungo l’asse delle ordinate Vmax. In presenza di un inibitore competitivo, l’intersezione con l’asse delle ordinate resta uguale, mentre quella lungo l’asse delle ascisse diminuisce, poiché il denominatore Km* aumenta. In questo modo si ottiene una retta che scende più rapidamente. 3 Si specifica che i grafici che potranno essere richiesti all’esame saranno puramente qualitativi, è importante però che le relazioni fra i grafici con e senza inibitore siano corretti. 6 Longo/Bruno 14 Bioingegneria Chimica (Boffito) 12/11/20 Dunque, ragionando su come cambiano i parametri sugli assi in base al tipo di inibitore è facile ricavare questi grafici. Inibizione non competitiva L’inibizione non competitiva implica che non c’è una competizione all’interno del sistema, cioè l’enzima può legare sia il substrato che l’inibitore contemporaneamente perché l’inibitore e il substrato non competono per interagire con l’enzima. Questo è possibile perché l’enzima presenta due siti: un sito attivo che ospita il substrato e un secondo sito in cui può entrare l’inibitore e quindi non si ha competizione perché substrato ed inibitore seguono ciascuno una propria strada dal momento che interagiscono con l’enzima in siti differenti. Di conseguenza si possono formare tre tipi diversi di complessi enzimatici: si può legare l’enzima al substrato e così si formano i complessi ES, oppure si può legare l’enzima con gli inibitori (complessi EI), oppure se l’enzima lega entrambi contemporaneamente si ottengono i complessi ESI. Sia i complessi EI che quelli ESI sono non produttivi, cioè non portano all’ottenimento di un prodotto. In questo caso, i parametri caratteristici del sistema cambiano anche in base al fatto che l’enzima possa legare contemporaneamente substrato e inibitore e che non ci sia una competizione tra inibitore e substrato, questo implica che questa forma di inibizione non altera la tendenza dell’enzima a legare il substrato, l’affinità fra enzima e substrato è quindi costante. Tuttavia, in questo caso l’inibizione influisce sulla velocità massima, che diminuisce in presenza dell’inibitore. Siccome substrato ed inibitore seguono ognuno una sua strada, non c’è la possibilità di trascurare l’attività dell’inibitore in alcun modo, anche aumentando S all’infinito il sito dell’inibitore sarà sempre disponibile, quindi anche in condizioni di saturazione non si riesce a raggiungere la velocità massima che si ha senza inibitore proprio perché se si mette tanto S, il S continuerà ad entrare nel suo sito attivo ma non andrà ad ostacolare l’attività di I, che potrà entrare nel suo sito all’interno dell’enzima indipendentemente dalla quantità di S che si ha all’interno del sistema. In termini di cinetica resta il flusso di reazioni caratteristico del sistema non inibito che porta alla formazione del prodotto (la linea orizzontale). Essendoci l’inibitore non competitivo però, ci sarà anche un altro flusso in verticale, composto da E ed I che danno i 7 Longo/Bruno 14 Bioingegneria Chimica (Boffito) 12/11/20 complessi EI. Oltre a questa ramificazione già vista per l’inibitore competitivo ci sono altre possibilità: da ES si possono ottenere i complessi ESI, la formazione di questi complessi quindi può avvenire quando ci sono già dei complessi ES e arriva un inibitore nel proprio sito, quest’associazione avviene sempre con una velocità di formazione K3 (e una di distacco K-3). Inoltre, così come l’inibitore può entrare nei complessi ES, il substrato può entrare nei complessi EI, in questo caso la velocità di associazione è K1 (e di dissociazione K-1). Rispetto all’inibizione precedente c’è una maggiore variabilità di associazioni che possono manifestarsi. In questo caso [E]T risulta essere la somma di quattro termini: [E]T = [E] + [EI] + [ES] + [ESI]. Come prima, per arrivare a una definizione di V0, l’obiettivo è di ottenere un’espressione di [ES] in funzione di grandezze note e che si possa mettere a sistema con la definizione di V0 (V0 = K2∙[ES]). Di nuovo per fare le varie sostituzioni si usano le definizioni della Km (che è uguale a prima) e della KI, che in questo caso si può esprimere in due modi diversi. Infatti la KI è la costante di dissociazione dell’inibitore e si può definire sul primo ramo verticale (ed è uguale al caso dell’inibitore competitivo), oppure sul secondo ramo verticale. In realtà anche la Km si potrebbe definire sul secondo ramo orizzontale, in funzione di [EI], [I] ed [ESI], ma non conviene usare quella definizione perché ne risulterebbero un sacco di sostituzioni. Il punto di partenza è analogo a prima: si sostituiscono [ESI] ed [EI] usando formule che si derivano dalla KI, dopo di che si esplicita l’enzima [E] che si mette dentro Km e si esplicita la [ES] che si legge in figura (si noti che α è la stessa costante vista nel caso precedente). La formula di [ES] ottenuta si utilizza nella formula di V0 e si ottiene la nuova espressione della velocità. Come prima K2∙[E]T definisce Vmax cioè la velocità massima in assenza di inibitore. Riscrivendo V0 con quest’ultima sostituzione si nota che si possono raccogliere Vmax* e Km*. Si ottengono quindi le stesse condizioni dette all’inizio: la velocità massima diminuisce con l’inibitore e la costante di velocità non cambia. 8 Longo/Bruno 14 Bioingegneria Chimica (Boffito) 12/11/20 Di seguito si osserva come cambiano i grafici con e senza I, si parte da quello di M-M. Si traccia nuovamente prima il grafico in assenza di inibitore e poi quello con l’inibitore. Il secondo deve avere la stessa Km del primo, tuttavia deve avere una velocità di salita minore, quindi un asintoto più basso. In particolare, si parte dall’ascissa di Km, si segna un’ordinata corrispondente minore rispetto a quella della curva nera e di conseguenza si riporta anche il doppio di quell’ordinata. In questo modo si sono definite Vmax*/2 e Vmax*. Quest’ultima sarà l’asintoto, di valore minore rispetto al precedente. A questo punto è possibile tracciare il nuovo ramo di iperbole. Per quanto riguarda i grafici delle linearizzazioni LB ed EH: Nella linearizzazione L-B, come già visto, la retta incontra l’asse delle ascisse in corrispondenza dell’antireciproco di Km e l’asse delle ordinate in corrispondenza del reciproco di Vmax. Con la presenza dell’inibitore Km* resta uguale, quindi il punto d’intersezione con l’asse delle ascisse resta lo stesso, invece, siccome Vmax* è minore di Vmax, il reciproco sarà maggiore, quindi la nuova retta incontra l’asse delle ordinate in un punto più alto. La nuova retta sarà quindi ruotata in verso antiorario rispetto alla prima. Nella linearizzazione E-H le intersezioni sono quelle già viste. In questo caso, poiché la velocità massima si riduce, l’intersezione con l’asse delle ordinate diminuisce. Sull’asse delle ascisse il numeratore del rapporto diminuisce (Vmax*) mentre il denominatore (Km*) resta lo stesso, questo significa che il rapporto complessivamente diminuisce, ma la quantità è la stessa dell’asse delle ordinate. Spostandosi della stessa quantità su entrambi gli assi si ottiene una retta parallela a quella precedente. 9 Longo/Bruno 14 Bioingegneria Chimica (Boffito) 12/11/20 Inibizione incompetitiva L’inibizione incompetitiva è un’inibizione particolare, in cui l’inibitore può interagire con l’enzima solo quando questo è già complessato con i substrati nel complesso ES. Quindi, l’unico tipo di complesso che coinvolge l’inibitore è il complesso ESI, i complessi EI non si possono formare. In termini di flussi di reazioni possibili resta la linea orizzontale che porta alla formazione dei prodotti. La via di reazione E + I è impossibile, l’unico modo in cui l’inibitore si può complessare è quando ci sono già i complessi ES per portare alla formazione dei complessi ESI con costante di velocità K3 che possono poi dissociare con costante K-3. I complessi ESI sono non produttivi. In questo caso la [E]T sarà la somma di tre elementi: [E]T = [E] + [ES] + [ESI]. Anche in questo caso per arrivare all’espressione della velocità si parte dalla sua definizione (V0 = K2∙[ES]) e dalle espressioni di Km e KI che si ricavano dallo schema delle reazioni possibili. In particolare Km resta sempre uguale e KI si definisce utilizzando il ramo verticale. A questo punto si ragiona esattamente come per i casi precedenti e facendo tutte le sostituzioni si ottiene che nell’inibizione incompetitiva variano sia la velocità massima che la costante di velocità. In particolare, si ottiene che sia la velocità massima sia la costante di velocità si riducono di un fattore α (che è definito sempre nello stesso modo). In questo tipo di inibizione più substrato si inserisce più si favorisce la formazione dei complessi ES, più si favorisce anche la formazione dei complessi ESI. Il fatto che Km* sia minore implica un aumento di affinità tra enzima e substrato e anche questo è verificato, in accordo con l’azione di questo inibitore: l’inibitore incompetitivo determina un aumento dell’affinità fra enzima e substrato in modo che i complessi ES si formino più facilmente e allora cresce la probabilità che si vadano a formare i complessi ESI non produttivi. Ciò che resta costante in questo tipo di inibizione sono i rapporti fra le due quantità con inibitore e senza inibitore. 10 Longo/Bruno 14 Bioingegneria Chimica (Boffito) 12/11/20 Come cambiano i grafici? Per quanto riguarda il grafico MM diventa molto difficile far vedere le variazioni che si manifestano, perché si dovrebbe riuscire, facendo delle curve qualitative, a far vedere che la Vmax* diminuisce di un certo fattore e allo stesso tempo anche Km* diminuisce di uno stesso fattore. In questo caso quindi si rappresentano semplicemente due curve, una con una velocità massima più alta e una con velocità massima più bassa. La seconda curva è sulla parte iniziale molto vicina alla prima e successivamente tende verso valori diversi. Per quanto riguarda le linearizzazioni L-B ed E-H: Il grafico L-B ha l’andamento già osservato. In questo caso sia Vmax* che Km* diminuiscono, quindi i loro reciproci aumentano, in particolare la velocità aumenta allontanandosi dall’origine, mentre la costante, trattandosi in realtà di un antireciproco, diminuisce, l’effetto però è che anche questa quantità si allontana dall’origine. In particolare, l’entità di variazione delle intersezioni con i due assi è la stessa, di conseguenza si ottiene una nuova retta parallela alla precedente. Il grafico di E-H, partendo dal solito andamento, avrà un’intersezione con l’asse delle ordinate che si abbassa, mentre quella con l’asse delle ascisse resta costante. Si ottiene quindi una retta che mantiene un’intersezione ma si abbassa sull’altra.4 5 4 Tutti i grafici visti in questa lezione si trovano anche nel file Dropbox “lezioni_enzimi_PART 2 e 3”. 5 Ci sono due slide, sempre dallo stesso file, che non sono state trattate durante la lezione ma di cui è caldamente raccomandata la lettura: quelle sugli enzimi allosterici e quelli regolatori (slide 20 e 21). 11 Kaur/Palladino 15 Bioingegneria chimica (Carmagnola) 17/11/2020 CENNI DI CHIMICA ORGANICA Le aldeidi e i chetoni sono due gruppi caratterizzati dalla presenza del gruppo funzionale carbonile. Il carbonile è il gruppo in cui il carbonio, ibridato sp2, si lega ad un atomo di ossigeno attraverso un doppio legame. Poiché l’ossigeno è più elettronegativo rispetto al carbonio, gli elettroni del legame tra carbonio e ossigeno sono spostati verso l’ossigeno. Quindi, il doppio legame è un legame fortemente polare e il carbonio risulta essere debolmente caricato con carica positiva, comportandosi così come un elettrofilo. Ciò sarà utile successivamente per comprendere le reazioni che possono fare le aldeidi, chetoni e monosaccaridi. La differenza tra aldeidi e chetoni è che nelle aldeidi il carbonio del gruppo carbonile è sempre legato ad un atomo di idrogeno, quindi si avrà sempre il carbonio che forma un doppio legame con l’ossigeno e poi si lega all’idrogeno. Ci sarà un legame libero che sarà costituito o da un gruppo alchilico o da un gruppo arilico. Nel caso dei chetoni, invece, il carbonio del gruppo carbonile è legato a gruppi alchilici o arilici, oppure ad un gruppo alchilico e l’altro arilico. Si possono formare le seguenti quattro strutture: Quindi, ricapitolando le aldeidi e i chetoni hanno entrambi il carbonio legato tramite un doppio legame all’ossigeno ma nel caso delle aldeidi il carbonio è sempre legato ad un idrogeno, nel caso dei chetoni no. 1 Kaur/Palladino 15 Bioingegneria chimica (Carmagnola) 17/11/2020 REAZIONI DI ALDEIDI E CHETONI La reattività delle aldeidi e dei chetoni è data sostanzialmente da due fattori: dalla polarizzazione dovuta all’ossigeno, che essendo più elettronegativo del carbonio rende il legame polare; dalla presenza del doppio legame. Il carbonio del gruppo carbonile ha una parziale carica positiva, quindi è un agente elettrofilo. Costituisce un punto di attacco per tutti gli agenti nucleofili in reazione di addizione nucleofila in cui viene rotto il doppio legame tra carbonio e ossigeno. Gli elettrofili sono specie chimiche con una parziale o totale carica positiva oppure con un ottetto incompleto. I nucleofili sono specie chimiche con una parziale o completa carica negativa oppure hanno un doppietto elettronico disponibile. Un elettrofilo tende a reagire con un nucleofilo nella reazione di addizione nucleofila. Oltre alla reazione di addizione nucleofila che è data dalle caratteristiche del gruppo carbonile, possono avvenire altre due reazioni: riduzione e ossidazione. In generale i chetoni sono meno reattivi delle aldeidi per due motivi: A causa del loro ingombro sterico, le aldeidi hanno sicuramente un idrogeno legato al carbonio, quindi i chetoni sono gruppi più grossi; I chetoni hanno legato al carbonio del doppio legame due gruppi alchilici o arilici, questi due gruppi sono elettron-donatori e neutralizzano parzialmente la carica positiva del carbonio. In generale, quindi, tra aldeidi e chetoni i più reattivi sono le aldeidi. Le aldeidi e i chetoni possono fare tre reazioni: addizione nucleofila, ossidazione, riduzione. ADDIZIONE NUCLEOFICA La più comune tra le reazioni nucleofile e in particolare quella che interessa la chimica dei carboidrati è la reazione di addizione con un alcol, avviene sempre in presenza di un catalizzatore acido. Essendo l’alcool un nucleofilo debole, esso ha bisogno della presenza degli ioni H+ per riuscire ad attaccare il carbonio del gruppo carbonilico, che è un elettrofilo. La reazione nucleofila classica che serve per capire la chimica dei monosaccaridi è la reazione nucleofila tra un’aldeide, un chetone ed un alcool. I prodotti di questa reazione sono nel caso delle aldeidi un EMIACETALE e nel caso dei chetoni un EMICHETALE. Si tratta di com