Economia Aziendale - Lezione PDF

Summary

Questo documento presenta una lezione introduttiva di economia aziendale, descrivendo l'impresa moderna come un sistema che combina risorse umane, materiali, immateriali e capitali per offrire beni e servizi sul mercato. Vengono discusse le diverse tipologie di imprese, gli input e gli output, e l'importanza del lavoro e del capitale di rischio nella creazione di ricchezza.

Full Transcript

PRIMA LEZIONE Che cos’è un’impresa moderna dal punto di vista aziendale? DEFINIZIONE= “L’impresa moderna è un’istituzione economica, un sistema aperto e dinamico che organizza e utilizza risorse umane (lavoro intellettuale e manuale, dipen...

PRIMA LEZIONE Che cos’è un’impresa moderna dal punto di vista aziendale? DEFINIZIONE= “L’impresa moderna è un’istituzione economica, un sistema aperto e dinamico che organizza e utilizza risorse umane (lavoro intellettuale e manuale, dipendenti e fornitori di servizi), risorse materiali (conoscenze tecnologiche, scienti che, commerciali, organizzative, immagine) e capitali ( sici e nanziari) collegati sia tra loro che con soggetti esterni, da relazioni orientate alla trasformazione di tipo economico e nalizzate all’ottenimento di beni e servizi da offrire sul mercato”. Un impresa moderna è un istituzione in cui noi combiniamo diversi fattori produttivi che sono: risorse umane, quindi sostanzialmente il lavoro in tutte le sue forme (lavoratori, dipendenti che collaborano per lo sviluppo dell’attività economica). risorse materiali, cioè materie prime, impianti, macchinari e tutto ciò che è tangibile. risorse immateriali, conoscenze tecnologiche, scienti che, commerciali, organizzative. capitali sici o nanziari, i capitali possono essere di prestito e di rischio. Il capitale di prestito viene messo dalle banche, le quali prestano dei soldi quando ne abbiamo bisogno (ovviamente poi si pagherà un tasso di interesse), il capitale di rischio invece è quello messo da un imprenditore. Un impresa moderna, dunque, è un istituzione che riesce a combinare tutte queste risorse tra loro. Negli ultimi anni si è assistito sempre di più ad imprese che sono riuscite a crescere ed avere successo facendo leva sulle risorse immateriali. Fino ad un po’ di anni fa era dif cile fare l’imprenditore se non si aveva un capitale di partenza con cui avviare l’attività economica, poiché tendenzialmente se vuoi costruire un’ impresa devi avere una quota di capitale di rischio; ad oggi se non hai almeno due o tre bilanci depositati non trovi una banca che ti fa un prestito. Infatti, capiamo bene che nel caso in cui non si hanno depositi è più dif cile farsi prestare capitali di prestito, ma in compenso vi è un grandissimo utilizzo di risorse immateriali. Facendo un esempio tangibile abbiamo i airbnb che non hanno la proprietà dell’immobile; dunque, si paga una quota ai proprietari di casa e il business cresce molto rapidamente. L’impresa svolge un’attività economica. Le tipologie di imprese: imprese manifatturiere, imprese che svolgono una produzione di merci, in italia è molto forte, l’alternativa può essere la produzione di servizi, in questo caso parliamo di imprese di trasporti, turistiche, di consulenza, della salute, dell’istruzione. imprese di negoziazione, dove le negoziazioni possono essere o di beni, in questo caso parliamo di imprese commerciali. Non si sta producendo nulla, si prende una cosa, la si sposta e magari la si vende dall’altra parte del mondo. Se la negoziazione riguarda capitali si parla di banche ed altri intermediari nanziari, se la negoziazione riguarda i rischi si parla di compagnie di assicurazione. Gli input hanno dei costi, gli output danno origine a dei ricavi. L’impresa è un istituto economico e sociale che trasforma risorse dette input in prodotti e servizi detti fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi output che hanno un valore di scambio sul mercato superiore a quello delle risorse di partenza. L’attività economica è il mezzo, invece il ne, l’obiettivo ultimo di un impresa dovrebbe essere la produzione di remunerazioni, vuol dire creare pro tto, utile, ricchezza. L’azienda svolge attività economica, produce e vende beni sul mercato ai consumatori, poi vi è l’obiettivo di avere una remunerazione, un pro tto. Cosa fa un’impresa e qual’è il risultato ottenuto? L’idea è che noi prendiamo una serie di fattori di produzione, risorse materiali, immateriali, lavoro, le combiniamo, le trasformiamo, e produciamo degli output che vendiamo nel mercato. Tutte le risorse di cui dovremmo avere bisogno per svolgere l’attività economica sono, materie prime e servizi, lavoro, impianti e macchinari; se facciamo ricorso al materiale di prestito si aggiungono anch’esse e per ultime le risorse pubbliche che alla ne vengono pagate anche dalle imposte. Tutte queste risorse servono per lo svolgimento dell’attività economica. Per le materie prime paghiamo un costo di acquisto, per i lavoratori paghiamo i salari e gli stipendi, alle banche paghiamo oneri nanziari ed interessi passivi. L’idea è che dobbiamo mettere dentro lo schema tutti i costi sostenuti per aver ottenuto tutte quelle risorse che ci sono servite per l’impresa; la somma dei costi sostenuti è il totale costi. Se riusciamo a generare un output e generiamo dei ricavi, vendiamo i prodotti sul mercato. L’obiettivo è la remunerazione, il pro tto, che si ottiene facendo ricavi meno costi, dunque dovremmo avere un risultato positivo. Con creazione di ricchezza si intende avere un utile, un pro tto alla ne dell’anno. Quali di queste risorse dette input sono più importanti delle altre per creare questo pro tto alla ne dell’anno? Le più importanti sono le condizioni primarie di produzione, cioè il lavoro e il capitale di rischio. Il lavoro sono le risorse umane; il lavoro diretto sono i dipendenti mentre quello indiretto sono professionisti che lavorano per noi. Il capitale di rischio fa parte delle risorse nanziarie. Se vuoi aprire un azienda vai dal notaio e presenti l’assegno, c’è un capitale di rischio MINIMO, di rischio perché se le cose non vanno bene perdi i soldi. “la possibilità di creare ricchezza dipende dal ruolo dell’imprenditore e dalla realizzazione di rapporti positivi con tutti i soggetti che hanno verso l’impresa una posizione di interesse e quindi una capacità di in uenza (fornitori, nanziatori)” Perché tra tutti questi fattori di produzione il lavoro e il capitale di rischio sono i più importanti? Noi viviamo in un mondo capitalistico dunque chi mette i soldi è più importante degli altri; il modello capitalista ha sempre detto che il capitale di rischio, tra tutti i fattori è quello che sta sopra gli altri, in quanto i capitalisti sono quelli che rischiano, invece tutti gli altri hanno uno stipendio, una remunerazione ssa, a ne mese. L’unico che rischia è chi mette il capitale di rischio; da qui il fatto che serve un capitale di rischio minimo per avviare l’impresa e se le cose vanno male il capitale serve per ricoprire le perdite, per questo il sistema capitalistico sostiene che il fattore più importante sono gli azionisti. Tuttavia, anche il lavoro dovrebbe stare allo stesso livello. Nel nostro paese il consiglio di amministrazione viene eletto solo dagli azionisti. Senza il lavoro probabilmente le imprese non esisterebbero, però in n dei conti concludiamo con il dire che il fattore più importante in Italia continua a rimanere il capitale di rischio, ma è così dappertutto? NO,Volkswagen è un impresa familiare, ma il fi fi fi fi fi fi fi fi fi fl fi fi fi fi fi fi consiglio di sorveglianza non viene eletto solo dalla famiglia come accadrebbe in Italia, ma viene eletto anche dai rappresentanti dei lavoratori; in Germania funziona cosi. SECONDA LEZIONE Tutti i fattori produttivi servono per lo svolgimento dell’attività economica, due di questi hanno una maggiore rilevanza ovvero il lavoro e il capitale di rischio, e sul piano ideologico il lavoro è equiparato al capitale di rischio. Ogni individuo ha dei bisogni da realizzare e per fare ciò qualcuno deve produrre i beni. Questi beni, detti prodotti, vengono prodotti dalle aziende. I bisogni vengono classi cati in varie tipologie e per analizzarli utilizziamo la piramide di Maslow, dove i bisogni che stanno alla base sono quelli principali, a mano a mano che si sale si arriva a soddisfare anche i bisogni accessori. È una piramide ideale alla cui base ci sono bisogni elementari come prendere uno stipendio alla ne del mese. bisogni di sicurezza sul lavoro, sicurezza sica, contratti di lavoro. bisogni di socialità riscoperto molto dopo il covid con lo smartworking. Riguardano la possibilità di interazione, di lavoro di gruppo e iniziative di socializzazione. bisogni di stima, cioè i bisogni di sentirci appagati, e sono soddisfatti dalle persone che abbiamo intorno. bisogni di realizzazione, ovvero noi ci sentiamo appagati per quello che facciamo; non sono gli altri che ci dicono quanto siamo bravi, ma noi stessi che ci sentiamo realizzati. Questo modello fa riferimento soprattutto ai bisogni in ambito lavorativo (domanda esame: i bisogni di socialità vengono dopo o prima i bisogni di stima? Vengono prima quelli di stima perché socialità vuol dire educazione). Presentiamo i beni che servono per soddisfare i bisogni, 1. Beni liberali, cioè quelli liberamente disponibili come il sole, l’aria. 2. Beni economici sono quelli che le imprese hanno interesse a produrre, possono essere utili e scarsi (merci e servizi), scarsi o utili dipende se le persone sono disposte a pagare per comprarli (ESCONO ALL’ESAME). beni essenziali VS voluttari, i primi sono quei beni indispensabili, i secondi sono quei beni per i quali si può fare a meno per soddisfare i bisogni perché sono secondari. complementari VS fungibili, complementari vuol dire che due beni devono essere consumati insieme per soddisfare un bisogno. Un esempio è il telefono venduto senza caricatore nella scatola, è un aumento di prezzo nascosto. Fungibili sono due beni perfettamente sostituibili tra loro, o uno o altro soddisfano i miei bisogni e posso scegliere. differenziabili VS commodity, un bene commodity è un bene che da qualsiasi fornitore lo compri è quello come l’energia elettrica. Mentre i beni differenziabili sono dei beni le cui caratteristiche del prodotto sono differenziabili. Per caratteristiche si intendono sia quelle materiali che immateriali; quindi bene differenziabile potrebbe essere anche il brand. Quando parliamo di differenziabilità parliamo spesso di caratteristiche intangibili. Che cosa implica essere un’azienda che produce un bene commodity o differenziabile? Se produco un bene differenziabile non sono sostituibile e magari riesco a chiedere un prezzo più alto. fi fi fi Con commodity non c’è competizione di prezzo, la benzina è uguale ovunque, dunque, la compro dove costa meno. di consumo VS strumentali, di solito i mercati sono di due tipologie, business to business e business to consumer. Business to business vuol dire che il nostro cliente a cui vendiamo il prodotto è un'altra azienda. Mentre, business to consumer prevede che il bene venga venduto direttamente al consumatore. Se il nostro bene viene venduto all’azienda stiamo vendendo beni strumentali, cioè beni che servono per produrre altri beni, se invece vendiamo i beni direttamente al consumatore nale questi sono i beni di consumo. ad utilizzo singolo VS durevoli, i primi esauriscono la loro utilità se vengono usati una volta, mentre i secondi no. a consumo individuale VS collettivo, i primi sono beni di cui posso usufruire solo individualmente, i secondi necessariamente in compagnia di qualcuno. privati VS pubblici, la de nizione negli anni è un po’ cambiata. Un tempo i beni privati erano quelli prodotti da un soggetto privato, mentre i beni pubblici erano prodotti da un soggetto pubblico. Ad oggi la de nizione di bene pubblico si basa sulla non escludibilità dal godimento; un bene è pubblico se non posso escludere una categoria di consumatori. I beni pubblici, dunque, sono disponibili a tutti ma non vuol dire che sono gratuiti (pensiamo al trasporto pubblico). GRUPPI SOCIALI Le persone quasi sempre non agiscono individualmente, ma agiscono in gruppo. I gruppi sociali sono composti da circa 4 o 5 persone. Dunque, una caratteristica dei gruppi sociali è il numero limitato di componenti. Il motivo per cui si formano i gruppi è perché l’obiettivo complessivo del gruppo potrebbe essere superiore all’obiettivo del singolo, rispetto alla somma degli obiettivi che le persone sarebbero in grado di ottenere individualmente. Questo può avvenire se le persone del gruppo sono animate da relazioni e comportamenti basati sulla ducia e non sull’opportunismo. I gruppi sociali si formano per due motivi principali: soddisfare i bisogni di socialità produrre risultati non attuabili con le risorse individuali. Dunque, i beni devono essere prodotti da qualcuno che svolge attività economica e af nché ci sia qualcuno che la svolge ci deve essere un imprenditore. Cosa signi ca essere imprenditore? “è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al ne della produzione o dello scambio di beni e di servizi,” “un’impresa è l’attività economica dell’imprenditore che mira a soddisfare dei bisogni, creando valore” Per creare ricchezza ci vogliono SKILLS IMPRENDITORIALI e un sistema produttivo che aiuti lo sviluppo. Il tema della leadership è molto importante. Noi adesso abbiamo parlato dell’imprenditoria, ma spesso le aziende molto grandi sono gestite da manager esterni e non dall’imprenditore in prima persona. In tante aziende vi è un amministratore delegato ovvero un soggetto che non appartiene alla proprietà. Alla ne, si crea ricchezza se vi è un leadership capace. Il leadership è capace se è in grado di comunicare le strategie di crescita o anche di chiedere sostegno ai collaboratori. fi fi fi fi fi fi fi fi CHI SONO I SOGGETTI CHE SVOLGONO ATTIVITÀ ECONOMICA? ci sono quattro tipologie di soggetti, detti istituti, che svolgono attività economica sul mercato. Questi quattro soggetti sono: famiglia, non ha nalità economiche. La nalità è l’appagamento dei bisogni delle persone che la compongono. impresa, è l’unico soggetto che ha nalità di tipo economico, poiché ha l’obiettivo di produrre ricchezza e realizzare un pro tto. stato, ha la nalità di produrre servizi per i cittadini. istituti non pro t, non hanno nalità economiche. “gli istituti sono le società umane che assumono caratteri di istituzioni” A ciascuno di questi quattro istituti, noi associamo l’azienda (L’azienda è l’ordine strettamente economico di un istituto - VIENE CHIESTO ALL’ESAME - è tutto ciò che ha un impatto economico sulla vita di un istituto) In particolare: 1. Alla famiglia si associa il termine azienda familiare. Analizzando la sfera economica di una famiglia saremmo interessati a capire come una famiglia spende i propri soldi, se ha un avanzo o dei risparmi, come spende questi avanzi. 2. all’impresa è associata l’azienda di produzione. 3. L’azienda pubblica all’istituto stato. 4. Agli istituti no pro t, l’azienda no pro t. AZIENDA FAMILIARE: è un impresa controllata da una famiglia, NON ALTRO. Studiamo gli istituti perché sono gli unici soggetti che svolgono attività economica. A ciascuno dei quattro istituti associando l’azienda corrispondente capiamo come studiare la loro sfera economica. Gli istituti svolgono attività economica o di produzione o di consumo (svolta da istituto famiglia e in parte istituto non pro t). L’impresa è qualsiasi soggetto che ha una partita IVA. GRANDE IMPRESA= impresa con più di 250 dipendenti. TERZA LEZIONE Gli istituti sono aggregazioni più ampie dei gruppi che si uniscono per svolgere attività economica. Le imprese sono le uniche ad avere una nalità economica. In particolare, analizzandole, la prima classi cazione riguarda la loro dimensione. DIMENSIONE IMPRESA Ci sono 4 milioni e mezzo di imprese per l’ISTAT. La prima classi cazione dell’impresa riguarda la dimensione, i dipendenti: microimprese o artigianali, meno di 10 dipendenti. piccola impresa, tra 10 e 50. fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi media impresa, tra 50 e 250. grande impresa, oltre i 250. All’aumentare della dimensione aumentano una serie di elementi come: il grado di industrializzazione dei processi produttivi, all’aumentare della dimensione, è più presente la componente produttiva e meno quella umana. Il grado di industrializzazione dei processi produttivi aumenta dunque con l’aumentare della dimensione. il potere di mercato signi ca quanto è grande la nostra impresa in relazione a quelle concorrenti, quanto siamo forti. il potere nanziario, fa riferimento al mondo delle banche e a chi ci presta i soldi; se siamo piccoli facciamo fatica a chiedere soldi poiché abbiamo poche garanzie. Se siamo grandi è diverso; più siamo solidi e più è facile chiedere soldi in prestito. la strutturazione dell’organizzazione, ci possono essere più linee di riporto prima di arrivare all’amministratore delegato. Adesso analizziamo le varie imprese classi cate in precedenza: MICROIMPRESE: è una modalità artigiana, c’è solo la componente manuale, sono 2500. PICCOLE MEDIE IMPRESE (PMI)= vanno da 10 a 249 dipendenti e sono la stragrande maggioranza. Ci sono diversi parametri quantitativi con i quali distinguiamo le PMI dalle grandi imprese, e sono: 1. FATTURATO, la somma dei ricavi è detta fatturato. 2. NUMERO DI ADDETTI, di solito la classe di addetti si usa meno del fatturato, ma perché? La comunità europea usa il numero degli addetti ma generalmente è usato poco perché potremmo avere imprese con pochi addetti che fatturano tantissimo. Ad oggi non è detto che se aumenti di fatturato aumenti di addetti poiché gli addetti costano tanti soldi. Prima si diceva che il fatturato aumentasse con gli addetti. Non abbiamo una de nizione standard di cosa sono gli addetti ma sappiamo che non sono proprio dipendenti. Gli addetti sono tutte le persone che con qualunque maniera contrattuale lavorano per l’azienda. 3. CAPITALE INVESTITO, intendiamo tutto ciò che è di proprietà dell’impresa, che ha un valore come macchinari o capannoni, tutto ciò in cui l’impresa ha investito. (ESEMPIO: Se la macchina me la sono comprata, sta nel capitale investito di virgi, se l’ho noleggiata non rientra, come non rientrano nemmeno i beni presi con il leasing, in quei casi è come se paghiamo un af tto per usarli). Dunque, il capitale investito misura una ricchezza tangibile di proprietà. Ad oggi però il mondo sta andando in una direzione diversa; ricordiamo che ormai la componente materiale va scemando e prevale la risorsa immateriale in quanto quella materiale costa troppi soldi. Se vogliamo crescere a livello dimensionale dobbiamo trovare una via che ci permette di crescere con meno soldi. 4. VALORE AGGIUNTO, è per certi versi il più corretto. Stiamo calcolando la ricchezza che ha creato la nostra impresa. Si calcola facendo FATTURATO (UGUALE AI RICAVI) – COSTO DEI FATTORI PRODUTTIVI (Input) ACQUISTATI DALL’ESTERNO = VALORE AGGIUNTO. Parliamo di costi dei fattori produttivi acquistati DALL’ESTERNO, dunque consideriamo solo una parte dei costi. Il valore aggiunto è il più corretto tra i parametri quantitativi ma è il meno utilizzato perché è complicato da calcolare. I più utilizzati sono fatturato e numero degli addetti. fi fi fi fi fi GRANDI IMPRESE, incorporano quattro caratteristiche: 1. il controllo è detenuto dalla direzione del consiglio di amministrazione integrato con i principali manager. Ci chiediamo, perché non è detenuto dalla proprietà? Perché nelle grandi imprese la proprietà molto spesso non è concentrata, essa può essere anche frammentata, o posso delegare a terzi la gestione quando l’azienda è complessa, dunque, la proprietà si separa dalla gestione. 2. il management gestiste l’azienda. 3. l’impresa mira all’indipendenza nanziaria, quelle piccole non l’hanno, quelle più grandi puntano ad andare avanti senza dipendere dalle banche; se voglio fare l’investimento lo faccio anche se la banca non mi da prestito. 4. l’impresa punta all’autonomia decisionale, cioè non farsi in uenzare da soggetti esterni. Le grandi imprese sono quotate o non quotate Impresa quotata (quotata in borsa). Ma cosa vuol dire essere quotata in borsa? Il termine tecnico con cui ci quotiamo in borsa è OFFERTA PUBBLICA INIZIALE (IPO) cioè l’atto con cui ci rivolgiamo al mercato e offriamo una parte delle nostre azioni in vendita a dei soggetti detti investitori che potrebbero essere interessati a comprare le azioni della nostra azienda e dunque a diventare investitori. Una volta che siamo andati in borsa quelle azioni sono liberamente scambiate sul mercato. Il mercato è più liquido quando ci sono tante azioni, invece se sono poche abbiamo meno merce da scambiare, meno merce che può essere comprata e venduta, e questo dipende anche da quante azioni mettiamo sul mercato. Per andare in borsa un minimo di azioni sul mercato dobbiamo mettere. La borsa italiana da qualche anno si è fusa con la borsa francese diventando una liale della borsa francese chiamata Euronext grow. In questo sistema bisogna mettere 15% del valore delle azioni, mentre normalmente dobbiamo mettere sul mercato il 35% dell’impresa. VALORE DI MERCATO= N AZIONI X VALORE UNITARIO DI CIASCUNA AZIONE. Cosa vuol dire mettere le azioni sul mercato? Abbiamo due casi: O che è una semplice cessione di una parte delle azioni, dunque io ero proprietaria di 100 azioni e decido di andare in borsa, le legge mi dice che io dovrei quotare almeno il 15% delle azioni, ma decido di quotare il 20%, cosa succede? Sto vendendo le mie 20 azioni con la formula dell’offerta pubblica, il valore della nostra impresa prima era di 100 euro con 100 azioni, adesso avremo che resto proprietario dell’80% delle mie azioni, il restante 20% è acquistato da altri detto ottante(sono gli investitori che hanno acquistato le mie azioni e potranno venderle sul mercato). La seconda strada è fare un aumento di capitale sociale, cioè emissione di 20 nuove azioni, ma come si svolge e cosa comporta? Vengono emesse nuove azioni, ne metto altre 20; la quota quando vado in borsa non è di 100 ma 120. Io che sono FQ continuo ad avere 100 azioni ed il restante mercato avrà le 20 azioni di nuova immissione, più o meno il 20%. In questa strada io non ho messo in tasca un euro, 100 azioni avevo prima 100 ne ho adesso. Nel primo caso un pezzetto di azienda l’avevo monetizzata, 20 azioni su 100 le avevo vendute quindi qualcosa in tasca l’ho messa, qui non ho messo nulla in tasca; i soldi di chi ha comprato queste nuove 20 azioni sono andati in azienda e non sono andati nella tasca del proprietario. fl fi fl fi Poi vi sono le Imprese non quotate gestite direttamente dai proprietari. VANTAGGI DELLA QUOTAZIONE: utilizzo del capitale di rischio per lo sviluppo dell’impresa, è chiaro che siamo nella strada dell’aumento del capitale sociale dove abbiamo fatto un’emissione delle nuove azioni. La prima strada al mercato non piace infatti; come cresce senza investimento? Con la strada due hai messo dei soldi dentro l’azienda. facilitazione della crescita dimensionale per linee esterne, se voglio crescere per linee interne è possibile ma devo trovare il 20% di clienti nuovi che comprano prodotti, invece per linee esterne cioè acquisizioni, domani prendo una società in india la compro e mi sono comprato un pezzo di fatturato, io fatturo 20 lei 5, domani dopo che la compro fatturo 25. maggiore attrattività dell’impresa nei confronti di manager professionali, soprattutto nel PMI, il manager è l’imprenditore stesso nonché il proprietario. Egli sarà sicuramente una persona molto preparata ma per crescere ed andare sul mercato devi avere persone molto competenti. aumento della credibilità e dello standing, credibilità perché essere quotato in borsa vuol dire accettare di essere controllati; se sei quotato in borsa e ci sono degli investitori che hanno messo dei soldi nella mia azienda essi vogliono sapere ogni trimestre come procede la mia azienda, e questo mi da credibilità poiché aggiorno tutti sul mercato riguardo quello che sta facendo la mia impresa. spersonalizzazione dell’impresa, è chiaro che se sto dando la gestione dell’impresa a manager esterni, io imprenditore sto facendo un passo indietro; rimango magari a fare il proprietario ma ho chiamato un amministratore delegato esterno a gestire la mia azienda. L’idea è che quando vado in borsa trovo un manager più competente di me a gestire l’impresa. SVANTAGGI DELLA QUOTAZIONE: (sono svantaggi ma non per il mercato in quanto la scelta di quotarsi dipende dall’imprenditore FQ) la paura di affrontare il cambiamento, ho paura di andare in borsa italiana a discutere con gli investitori e magari non ho una conoscenza nanziaria. il timore di perdere il controllo a seguito di tentativi di takeover ostile, abbiamo detto che quotiamo il 20% delle mie azioni in borsa, ma potremmo dire che io domani emetto un massimo del 70% delle azioni; io divento un azionista di maggioranza relativa poiché sono l’azionista più grande ma ho solo il 30% delle mie azioni. Ciò mi permette di essere sereno perché in quel 70% c’è gente che ha investito ma non ha voglia di partecipare all’assemblea. Potrebbe esserci però la possibilità di perdere il controllo ovvero rischio di perdere la maggioranza dell’azienda. Qualcuno potrebbe mettere sul mercato un’azione superiore alla mia. È chiaro che l’azionista di maggioranza parte da una posizione di vantaggio in quanto se l’azionista di maggioranza si accorge che c’è qualcuno che sta rastrellando azioni sul mercato egli corre ai ripari. Quando un azionista comincia ad acquistare un pacchetto importante di azioni che per la normativa è 2%, l’azionista di maggioranza lo viene a sapere e dunque il takeover non nasce. Assoggettamento a provvedimenti disciplinari e sanzionatori degli organismi che vigilano sulle società quotate in borsa, ovvero la CONSOP; ogni volta che c’è un acquisto, vendita di azioni ci deve essere la comunicazione al mercato altrimenti vi è una sanzione. Oppure un altro reato molto conosciuto è quello dell’insider trading, cioè quando qualcuno inizia a fare operazioni di fi compravendita da un soggetto privilegiato perché magari è parente o qualcuno che essendo vicino all’azienda è a conoscenza di informazioni sensibili, quindi parliamo di qualcuno vicino che ha tratto vantaggio perché è venuto a conoscenza di importanti informazioni prima degli altri; se la CONSOP scopre una cosa del genere il soggetto viene sanzionato. Esempio; io avendo avuto conoscenza di queste informazioni prima degli altri, mi sono mosso prima, ho comprato le azioni ad un prezzo più basso, poi l’informazione è diventata pubblica ed il prezzo delle azioni è salito. Io così le rivendo e guadagno. Vulnerabilità dell’impresa alla variabilità congiunturale del mercato mobiliare, quando siamo quotati in borsa facciamo un operazione di OPI, il mercato fa una valutazione di quanto vale la nostra impresa. Ma questa valutazione non è sempre razionale. In pochi mesi la valutazione di un azienda può aumentare o diminuire, per questo si parla di variabilità congiunturale. L’impegno a remunerare periodicamente i titoli quotati, impegno non vuol dire che c’è un obbligo giuridico a pagare il dividendo; remunerare periodicamente i titoli quotati vuol dire redistribuire il dividendo. Ogni impresa alla ne dell’anno dovrebbe ottenere un utile e di questo utile dovrebbe decidere quanta parte distribuire ai soci sotto forma di dividendo. Quindi di solito la prassi è che ciascuna azienda comunica anticipatamente agli investitori che il PAYOUT ovvero la percentuale di utili distribuita ai soci sotto forma di dividendo è del 5% ad esempio. Ogni società poi decide se pagare o meno il dividendo. Questa scelta di pagare o meno, da cosa dipende? Lo fanno soprattutto le imprese che pensano di avere una forte opportunità di crescita; io ho un azienda da 10milioni e penso di arrivare a 50milioni, è chiaro che per arrivare a 50milioni devo fare investimenti e per fare investimento magari un po di soldi li ho raccolti durante l’ IPO ovvero quando mi sono quotato. Non pago il dividendo e utilizzo l’utile per fare l’investimento. Chi non ha grandi aspettative di crescita di solito paga sempre un dividendo stabile. Le due forme con cui gli azionisti guadagnano sono, il dividendo e la vendita delle azioni (capital game) cioè ho comprato l’azione oggi a 1 euro e domani la vendo a 1,50 euro. Concludiamo dunque con il dire che è possibile sacri care il dividendo, ma questo sacri cio deve essere compensato dal capital game, cioè l’aspettativa che quando vendo le azioni di questa azienda, esse saranno aumentate di valore e avrò ottenuto un grande guadagno rispetto al prezzo a cui le ho comprate e rispetto a quello a cui le ho vendute. Il capital game lo puoi ottenere solo se sei quotato in borsa. La tendenza ad un ridotto livello di trasparenza, quando si è quotati in borsa c’è un onere informativo a carico delle aziende quotate superiore rispetto ad un’ azienda privata o non quotata. Come si manifesta questo maggiore livello di trasparenza che le aziende quotate devono avere? Una società normale pubblica il bilancio una volta all’anno, quella quotata ogni 3 mesi. È uno svantaggio perché mettendoci nei panni dell’imprenditore, abituato ad un ridotto livello di trasparenza, se ogni volta ogni tre mesi deve spiegare tutto, egli si scoccia. Se ti quoti in borsa devi comunicare al mercato TUTTO quello che fai ed è questo che disincentiva a quotare in borsa. fi fi fi QUARTA In Italia abbiamo poche aziende quotate, con la precisione sono quasi 500, e tra queste 500 ne abbiamo 180 che sono piccole imprese con alta prospettiva di crescita. Un terzo sono banche e assicurazione, il resto sono quasi tutte aziende a controllo familiare. IMPRESE FAMILIARI: la maggior parte delle imprese nel nostro paese sono familiari. Si intende un’impresa dove una o due famiglie proprietarie detengono il controllo (50% più 1) C’è una forte sovrapposizione tra il patrimonio dell’azienda e il patrimonio della famiglia, ma cosa signi ca? Il patrimonio della famiglia molto spesso è l’impresa stessa perché là dentro ci ha messo tutto, dunque il patrimonio dell’imprenditore è l’azienda. Quando l’impresa ha una dif colta e servono dei soldi, la famiglia va alla banca che non presta soldi; ciò condiziona le scelte dell’impresa. Ma perché se un imprenditore vuole comprare una villa al mare la compra a nome dell’azienda? Ogni volta che distribuisco un euro di dividendo pago il 235 euro di tasse, quindi se distribuisco 100milioni di euro, in tasca me ne arrivano 74milioni, allora se li tengo dentro l’azienda sono 100milioni puliti, se li distribuisco diventano 74, allora meglio che la villa la lascio comprare all’azienda. CARATTERISTICHE DELLE IMPRESE FAMILIARI: 1. Ha un assetto di governo particolare, il CDA, cioè il consiglio di amministrazione dell’azienda che è l’organo che dovrebbe prendere le decisioni in un impresa e nelle imprese familiari è composto quasi esclusivamente dalle persone della famiglia e si fa la domenica a pranzo giorno durante il quale si discutono le strategie. 2. Il legame tra proprietà e strategia assume un carattere molto forte. 3. La scarsa managerializzazione, parenti poco competenti vengono tirati dentro l’azienda e fanno anche carriera. Da fuori, i manager sanno già che quei posti saranno riservati ai familiari, e si fa fatica ad attrarre i manager bravi. 4. I processi di ricambio generazionale, manageriale e imprenditoriali “dif coltosi”, si dice che la prima generazione costruisce, la seconda mantiene, e la terza distrugge. Solo il 13% delle imprese familiari sopravvive alla terza generazione. 5. La relazione particolare con il territorio di origine e la relativa comunità locale, soprattutto le imprese che sono partite in un territorio continuano ad investire su quel territorio; la at e la Lavazza sono sempre state legate al territorio di origine cioè Torino, anche quando non è economicamente conveniente. Gli istituti che noi guardiamo sono quattro, IMPRESE PUBBLICHE= non hanno nalità economica e in teoria dovrebbero intervenire laddove un soggetto privato non ha convenienza a realizzare prodotti o produrre servizi. Quei settori dove dovrebbe essere più auspicabile la presenza pubblica sono: autostrade, infrastrutture, ferrovie, e settori a monopolio naturale. fi fi fi fi fi Un’impresa statale dovrebbe intervenire dove c’è un monopolio. IMPRESE NO PROFIT, in Italia uno dei modelli più diffuso è, 1. Impresa cooperativa, ci sono zone dell’Italia dette zone rosse a causa della forte presenza di tante cooperative, come l’Emilia Romagna, e sono abbastanza particolari, ma perché? Di solito i soci delle cooperative sono i dipendenti stessi, hanno una nalità mutualistica a condizione che la forza lavoro sia composta per almeno il 50% dei dipendenti, poi non hanno scopo di lucro e la caratteristica più forte è “una testa un voto”, ognuno conta uno, non c’è qualcuno che conta più degli altri, il voto dunque non è in base alla partecipazione. Poi ci sono tante altre imprese no pro t; la caratteristica è che non possono distribuire utile ai soci ovvero PUÒ REALIZZARE UTILE, NON PUÒ SOLO DISTRIBUIRLO, deve reinvestirlo nell’azienda per crescere. Devono svolgere attività di pubblica utilità, quello che è chiamato terzo settore. Un esempio di tipologia no pro t sono le fondazioni come quelle bancarie, la bocconi. La fondazione nasce perché qualcuno ha deciso di costruirla con una prima donazione iniziale abbondante, con un patrimonio iniziale destinato a uno scopo, chi è venuto dopo ha gestito ed ha accresciuto quel patrimonio. SOCIETÀ BENEFIT: sono società pro t a tutti gli effetti solo che nel loro statuto dell’azienda hanno dichiarato che la remunerazione non è l’unico obiettivo dell’azienda, ma si sono dati almeno un obiettivo di natura sociale in modo solenne; ma resta una società pro t. GRUPPI DI IMPRESE (c’è sempre all’esame) Dobbiamo avere almeno due o tre imprese, che fanno parte dello stesso gruppo perché sono legate da legami azionari, quindi ciascuna controlla il capitale dell’altra, e devono avere alcune caratteristiche. ESEMPIO= abbiamo una società detta holding che è detenuta al 100% dalla famiglia, ed ha sotto di sé l’azienda A controllata al 100%, B al 70%, C al 30% perché è quotata in borsa, e D all’80%. Dunque abbiamo una holding che non fa nulla, ha la titolarità, la proprietà del pacchetto di azioni delle società sottostanti, e magari quelle sottostanti sotto di se ne hanno altre, di solito a b c e d sono società che operano in business un po’ diversi. ESEMPIO GRUPPO DE AGOSTINI= Le famiglie proprietarie sono due, BOROLI- DRAGO, esse controllano il gruppo de agostini (holding), che sotto di sé ha quattro business principali (de agostini editore, comunicazioni, IGT cioè le lotterie ed il gaming, DEA CAPITAL che è un fondo di investimento). Dunque, sotto hanno 4 società che sono dei business completamente diversi. CARATTERISTICHE DEI GRUPPI DI IMPRESE: 2. molteplici entità giuridicamente distinte, poiché ciascuna di queste è una società autonoma 3. con degli obiettivi comuni, alla ne è vero che abbiamo quattro società sotto che magari operano in quattro settori diversi, ma la strategia è comune ed è quella della holding che decide cosa fare. 4. Processi decisionali uni cati, perché è vero che ciascuna delle società sotto avrà un suo consiglio di amministrazione, ma la holding prende le decisioni. 5. Piu della somma delle parti, facciamo che business A vale 1, B vale 1, C vale 1, D vale 1, il gruppo allora quanto vale? La holding non fa nulla, è una scatola vuota, detiene solo il controllo delle 4 società controllate sotto, e ciascuna di queste vale 1, fi fi fi fi fi fi fi quanto vale il gruppo? Il valore del gruppo dovrebbero essere più di 4, superiore alla somma delle parti, in certi casi il risultato è minore di 4 e allora il valore del gruppo non equivale nemmeno alla somma delle quattro società messe insieme. C’è convenienza ad avere un gruppo se, valutato complessivamente la somma è superiore ai valori delle società, ma spesso non è così e si veri ca il cosiddetto CORPORATE DISCOUNT. Dunque, se ci quotiamo in borsa il mercato non ci sta riconoscendo un surplus di valore; se avessimo quotato le quattro società individualmente, esse valevano quattro, ma se ci quotiamo con la holding il mercato dice che paghiamo 3,8; perché il mercato mi riconosce questo sconto (discount) del valore di gruppo? I mercati nanziari dicono che le famiglie proprietarie hanno deciso come comporre il portafoglio di società investendo in quello che vogliono, ma io che sono investitore non voglio investire in un portafoglio che ti sei creato tu perché io investo in ciò che voglio, compongo il mio portafoglio e non voglio che tu lo faccia per me; dunque, tu mi quoti separatamente A B C e D e decido io in quale società voglio investire, tutto ciò ha un costo però. Il mercato dice, perché devo sostenere questi costi? Io voglio investire tranquillamente, perché devo spendere i soldi della holding per pagare gli stipendi di coloro che fanno parte del consiglio di amministrazione? Da qui nasce il CORPORATE DISCOUNT. 6. Fusione dei capitali detto cash pooling, stiamo mettendo insieme i soldi delle varie società, la cassa è uni cata, poi ovviamente si fanno tutti i conti; questo meccanismo è molto conveniente soprattutto se c’è una forte stagionalità. Magari io ho bisogno di soldi nella prima parte dell’anno perché il mio business è ciclico e invece di andarli a chiedere alla banca vado nell’altra società del gruppo che ha soldi nel conto corrente, e tra 6 mesi magari sono io che presto soldi all’altra società. Abbiamo centralizzato la cassa, teniamo conto di chi ha preso cosa e di chi deve restituire, ma ci impedisce di evitare di rivolgersi alla banca. Questo meccanismo nei gruppi è molto utilizzato e ti permette di avere una certa indipendenza nanziaria. QUINTA Prima siamo partiti dall’idea che un’impresa dovrebbe creare ricchezza e adesso l’idea è che un’impresa dovrebbe creare valore per tutti gli stakeholder (portatori di interessi). La de nizione di governance si è evoluta; partendo dalla sua prima de nizione, la de niamo come un sistema di norme e vincoli che disciplinano i rapporti fra azionisti e manager perché quello è l’unico obiettivo dell’impresa (creare ricchezza per gli azionisti). Dunque inizialmente la governance disciplinava solo i rapporti tra azionisti e manager, poi la sua nalità d’impresa si è evoluta e la sua de nizione si è ampliata, arrivando a dire che dobbiamo tenere in conto il governo dell’impresa e il coordinamento degli interessi di tutti gli stakeholder. Questa è la de nizione a cui facciamo riferimento oggi. ESEMPIO DI GOVERNANCE Chi comanda oggi in Facebook? -Mark Zuckerberg, lui l’ha quotata in borsa, è l’amministratore delegato e comanda con una maggioranza del 17,18%. Uno degli strumenti di cui si discute in governance è; è vero che Mark ha il 17,18 delle azioni, ma in assemblea vota per il 50%. C’è dunque una separazione tra possesso e voto e viene meno il principio di “one share one vote”. fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi Infatti, nonostante lui abbia solo il 17,18 delle azioni vota per 3 volte le azioni che detiene, ma come è possibile ciò? Il fatto che ci sia un azionista che vota per due o per tre e qualcuno che non vota proprio (quando si è quotati in borsa ci sono diversi tipi di azioni e lui si è tenuto le azioni di tipo multiplo che danno diritto ad un voto multiplo, lo ha fatto quando si è quotato in borsa per essere sicuro di mantenere il controllo), ma è una cosa che può essere accettata? Al mercato non fa molto piacere ovviamente (soprattutto al mercato italiano), infatti da noi non è possibile, poiché il diritto è sempre stato proporzionale alle azioni che si avevano invece nel mondo americano non è così però. Non siamo ancora al voto multiplo, in Italia si parla di voto maggiorato, ma ci stiamo muovendo verso quella direzione, tanto che dieci anni fa, da noi, per la prima volta è stato fatto un patto, il quale stabiliva che c’è la possibilità di votare doppio nei casi in cui si detengono le azioni per più di 24 mesi, è stato un modo per premiare gli azionisti di lungo termine di restare nel capitale, poiché dopo 24 mesi voteranno doppio. Con quali risultati? -avere un azionista che vota per due o per tre, è stata una scelta positiva nel caso Facebook. FORME GIURIDICHE DI IMPRESA IMPRESE INDIVIDUALI, sono imprese con un dipendente, quelle che l’ISTAT chiama imprese individuali in realtà sono le partite iva, le partite iva sono dunque le imprese individuali, i liberi professionisti. In Italia sono circa due milioni e mezzo. SOCIETA DI PERSONE, sono attività a basso rischio. SOCIETA DI CAPITALI, 1. SRL, società a responsabilità limitata ed hanno un capitale minimo di 10.000 euro. Dal 2011 abbiamo anche l’SRLS cioè sempli cata che richiede un capitale sociale di almeno 1 euro per incentivare le startup, dunque, chiunque voglia avviare un’impresa la avvia senza capitale. 2. SPA, società per azioni che da un po’ di anni ha un capitale minimo di 50.000 euro, (ricordiamo che per andare in borsa dobbiamo necessariamente essere una società per azioni poiché è l’unica forma giuridica che permette di comprare e vendere azioni sul mercato). 3. SAPA, cioè società in accomandita per azioni, sono società che distinguono i soci in due tipologie con dei poteri ben differenziati tra loro, soci accomandanti(sono i soci nanziari), e soci accomandatari(hanno potere di gestione). 4. società bene t come la cooperativa, le fondazioni. Se vogliamo fare impresa le alternative sono due, società di persone e di capitali. La differenza tra società di persone e società di capitali è che, nelle seconde vi è un autonomia patrimoniale perfetta, ciò signi ca che dei debiti contratti dalla società risponde solo la società con il suo patrimonio e non anche i soci, nella prima rispondono anche i proprietari con il loro patrimonio. Se vogliamo avviare un’impresa e cominciamo ad avere un certo grado di rischio bisogna andare verso la società di capitale, che in molti casi ha un capitale sociale minimo obbligatorio, e siamo sicuri che più del capitale sociale iniziale che abbiamo conferito non possiamo perdere. ASSETTI PROPRIETARI DELLE IMPRESE 1. CHIUSI, c’è un soggetto, una famiglia proprietaria che ha il 100% delle quote, non può essere quotata in borsa. fi fi fi fi 2. A PROPRIETÀ CONCENTRATA, pochi soggetti che detengono elevate quote del capitale, abbiamo un socio di maggioranza che può essere del 51 se siamo un’impresa quotata, o del 30 se non siamo quotate. 3. A PROPRIETÀ FRAMMENTATA, abbiamo tanti soggetti che detengono piccole quote del capitale, in quelle molto frammentate nessun azionista ha una quota superiore al 5%. NATURA DEGLI AZIONISTI AZIONISTI DI MAGGIORANZA E DI MINORANZA. azionista industriale e nanziario, l’azionista nanziario non ha nessuna conoscenza speci ca del business, investe soldi nelle imprese che ritiene più redditizie, hanno capitali da investire e decidono semplicemente in che settore investire in base alla convenienza economica, quello industriale ha un ottima conoscenza del business. (quello di Facebook è un azionista nanziario ad esempio). Private equality e venture capitalist, i venture capitalist sono soggetti che investono in startup (dunque il capitale investito sarà nettamente inferiore, perché sono soggetti che ragionano in termini di portafoglio, investono in tantissime startup sperando che una di esse un giorno diventerà importante e ricoprirà tutti i soldi persi nelle altre startup), i primi invece investono in imprese che sono già mature, sono sul mercato da molti anni, individuando però quelle che hanno un grande potenziale di crescita. IMPRESE A PROPRIETÀ FRAMMENTATA Dette public company, sono imprese che hanno una proprietà molto frammentata, nessun azionista ha una quota superiore al 5%, il capitale è suddivido tra tantissimi azionisti. Abbiamo l’assemblea degli azionisti, dove gli azionisti sono tanti piccoli investitori con quote piccole che non sono in grado di esercitare il controllo sull’impresa. Ma quali sono gli organi di governo dell’impresa? L’assemblea degli azionisti e il consiglio di amministrazione (CDA), nominato dall’assemblea degli azionisti. Il cda di solito nomina e controlla l’operato dei manager della nostra azienda. Dunque, c’è una completa separazione tra proprietà e controllo, gli azionisti sono talmente piccoli che non avranno mai il potere di controllare l’operato dei manager, dunque lo delegano al cda. La proprietà è dell’assemblea degli azionisti, che delegano il controllo sull’operato dei manager ad un organo esterno, cda. Quest’idea della separazione tra proprietà e controllo è tipica del mondo anglossasone. IMPRESE A PROPRIETÀ CONCENTRATA Abbiamo sempre l’assemblea degli azionisti, c’è un azionista con una maggioranza assoluta o relativa del capitale; dunque, distinguiamo azionisti di maggioranza (51%) e azionisti di minoranza (49%) all’interno della nostra assemblea. L’assemblea degli azionisti nomina il cda e almeno uno o più persone dette azionisti di maggioranza siedono anche nel cda. I manager si sovrappongono agli altri due gruppi, dunque abbiamo almeno una persona che contemporaneamente è l’azionista di maggioranza, membro del cda ed è l’amministratore delegato. C’è una completa sovrapposizione dei tre organi; abbiamo un’azionista di maggioranza che siede nella cda ed è anche amministratore delegato, che dunque ha un in uenza molto dominante nell’impresa. I modelli di governance andando avanti si sono concentrati su due domande, Quale dei due modelli è migliore tra proprietà frammentata e proprietà concentrata? fl fi fi fi fi - Chiaramente il modello delle imprese a proprietà concentrata, però dal punto di vista della governance, quale modello è migliore? Quale permette l’allocazione del capitale, promuove gli equilibri delle gestioni, crea valore e fa si che l’impresa duri nel tempo? Gli studi dicono che entrambi hanno aspetti negativi. Anche il modello a proprietà concentrata che teoricamente dovrebbe funzionare meglio della public company ha aspetti negativi; un esempio è la storia di Parmalat. Gli azionisti, coloro che hanno la proprietà del gruppo Parmalat sono dei francesi che comprarono l’azienda dopo questo fallimento. Prima del cambio di proprietà essa presentava un modello a proprietà frammentata dove c’era un’azionista che era anche presidente e amministratore delegato dell’azienda. STORIA PARMALAT= questi due signori sono andati in borsa, si sono fatti dare molti capitali e tutti i soldi che hanno chiesto alla banca in prestito sono stati usati per nanziare attività che in buona parte non sono andate a buon ne. Poi si è arrivati al fallimento e essi si sono dichiarati non colpevoli dicendo che sono stati vittime delle banche. I soldi non sono mai stati trovati alla ne. Un altro esempio è il caso Theranos. DIVERSI MODELLI DI AMMINISTRAZIONE E CONTROLLO DI UN’IMPRESA - TRADIZIONALE, è quello universalmente adottato dalle nostre società perché è quello che c’è da sempre in Italia, ma con la riforma del diritto societario del 2003 anche il nostro ordinamento ha introdotto la possibilità di adottare il modello dualistico e monistico che però sono scarsamente utilizzati. Parte dall’assemblea degli azionisti che nomina il cda, in più il nostro ordinamento prevede un organo di controllo nominato sempre dall’assemblea degli azionisti che è il collegio sindacale. Il collegio sindacale è un organo indipendente. Se siamo quotati in borsa oltre al collegio sindacale vi è un altro soggetto detto società di revisione (società esterna che opera sul mercato) che controlla e certi ca il nostro bilancio di esercizio. - DUALISTICO, è tipico dei paesi del Nord Europa (Germania,Olanda), abbiamo sempre l’assemblea degli azionisti che nomina il consiglio di sorveglianza e il consiglio di gestione. Se dovessimo fare un paragone con il modello tradizionale, diremmo che il consiglio di sorveglianza è un organo ibrido poiché da una parte è un organo di controllo, dunque fa un po’ le veci del collegio sindacale, e dall’altra è un organo di supervisione strategica. Invece il consiglio di gestione è come un cda ed è ibrido poiché da una parte svolge il ruolo del collegio sindacale, dall’altra de nisce la strategia nel medio lungo termine, che di solito lo fa il cda, dunque è un cda più operativo. Una caratteristica di questo modello è che separa molto la proprietà dell’impresa della gestione. Non permette alla proprietà di avere un ruolo diretto nella gestione come invece avviene nel modello tradizionale. Si addice poco al nostro paese poiché gli azionisti da noi vogliono operare in prima persona nella gestione delle imprese, qui prima dei soci viene il consiglio di sorveglianza, da noi i soci vogliono avere una forte in uenza nel controllo delle società, la gestione la vogliono seguire da vicino. Questo modello allontana la proprietà dal consiglio di amministrazione. - MONISTICO, abbiamo l’assemblea degli azionisti, poi abbiamo il cda che al suo interno ha il comitato per il controllo interno (AUDIT) che svolge le funzioni di controllo, questo è tipico del mondo anglosassone. Ma che criticità e vantaggi ha questo modello rispetto al nostro? Questo è un modello meno sicuro, espone a rischi più elevati ed è molto più facile commettere operazione scorrette nel controllo delle società, infatti, questo modello in Italia non è utilizzato. È debole fi fi fi fl fi fi internamente per quanto riguarda il controllo, ma è tipico dei paesi anglosassoni dove il controllo esterno è molto forte. Le imprese dovrebbero creare ricchezza, l’obiettivo dovrebbe essere quello di massimizzare il pro tto, questa idea di fondo è detta TEORIA NEOCLASSICA. Le tre ipotesi alla base di questa teoria sono, per comprenderle facciamo un esempio, è come quando noi siamo venuti a Milano a cercare appartamento, ci mettiamo nei panni del soggetto decisore 1. UNICO SOGGETTO DECISORE, non ci facciamo in uenzare da nessuno, ha deciso solo senza l’in uenza di genitori e amici 2. PERFETTA RAZIONALITÀ , è stato in grado di analizzare tutte le situazioni, tutte le opzioni che aveva a disposizione, tutti i quartieri di Milano, la sicurezza, la metro, ha preso la decisione più razionale possibile 3. PERFETTA INFORMAZIONE, ha deciso sapendo tutti gli appartamenti a disposizione a Milano, perfettamente informato sulla situazione Ma quali sono i limiti dell’impostazione neoclassica? Se queste tre ipotesi non vanno bene, la teoria nemmeno va bene, infatti è stata molto criticata. Nell’articolazione delle critiche si è parlato di concorrenza imperfetta (che a noi non interessa), e sono state argomentate molto critiche inerenti alla struttura interna dell’impresa, che è ciò che analizzeremo, MODELLO MANAGERIALE, dice che alla ne le decisioni dentro le aziende vengono prese dai manager, per cui noi dobbiamo studiare il comportamento dei manager se vogliamo capire l’obiettivo, la nalità dell’impresa MODELLO COMPORTAMENTISTA, richiama gli stakeholder, dice che il risultato dell’impresa non è solo il risultato di quello che decide il proprietario o il manager, ma è il risultato di una serie di altri attori che chiamiamo stakeholder. Due studiosi (berle e means) dicono che la separazione tra proprietà e controllo nelle società per azioni rappresenta un problema di agenzia, quando hanno detto ciò avevano in mente il modello della Public Economy, ma cosa si intende per problema di agenzia? Si parte del contratto di agenzia; un soggetto detto agente svolge un’attività nell’interesse di un altro soggetto detto principale, il quale concede un potere di agire in nome e per conto suo. Il principale dunque delega la gestione ad un altro soggetto. Ma chi è il principale e chi è l’agente? Principale è chi ha il potere, e gli agenti sono i manager, coloro a cui la proprietà ha delegato il potere di prendere le decisioni in nome e per conto loro. Dunque, il rapporto di agenzia è tra azionisti e manager, non a caso la de nizione di governance è che essa si occupa di de nire il sistema di norme e vincoli che disciplina i rapporti tra gli azionisti e i manager. Questo rapporto di agenzia è problematico per via di tre fattori: 1. Discrezionalità dell’agente, se i manager hanno una delega quasi illimitata nel decidere cosa fare, l’importante è che raggiungono il risultato, sul come fare sono liberi di decidere. 2. Asimmetria informativa, l’agente ha più informazione del principale. 3. Remunerazione dell’agente non dipendente dal risultato, i manager alla ne hanno uno stipendio sso; dunque, perché si dovrebbero sforzare se lo stipendio non cambia? sono dipendenti privilegiati ma sempre dipendenti. Ma ci dobbiamo preoccupare di avere aziende gestite da manager, se è possibile che facciano i furbi date queste tre motivazioni? Cosa possiamo fare per far si che questi fi fi fl fi fi fi fl fi fi rapporti tra azionisti e manager siano corretti e che gli i manager lavorino nell’esclusivo interesse degli azionisti? SESTA Nella public company il rapporto di agenzia è tra principale e agente. La teoria neoclassica è basata su tre ipotesi non realistiche, e le critiche argomentate fanno riferimento alla, concorrenza imperfetta (teorie che dicono che i mercati non sono in concorrenza perfetta) struttura interna con il modello manageriale e modello comportamentista. La teoria di governance si è preoccupata di dire, “come facciamo ad essere sicuri che i manager lavorino nell’interesse degli azionisti?”. Il rapporto di agenzia produce dei problemi di agenzia che hanno dei costi di agenzia, perché per risolverli e far si che ci sia un allineamento perfetto di interessi tra azionisti e manager dobbiamo sostenere dei costi, che sono 1. di monitoraggio (vogliamo sorvegliare e monitorare da vicino l’operato dei manager) 2. di incentivazione (ci siamo detti che la remunerazione dell’agente è ssa, non dipende dal risultato, dunque, non ci si impegna molto, se fosse variabile tramite un meccanismo di incentivazione magari i manager lavorerebbero nell’esclusivo interesse del principale cioè l’azionista). MODELLO A PROPRIETÀ CONCENTRATA= Nel modello a proprietà concentrata non ci può essere il problema di agenzia visto che azionista e manager sono la stessa persona, ma allora c’è un completo allineamento di interessi? Nella proprietà concentrata c’è per de nizione, ma potrebbe esserci un disallineamento di interessi tra azionisti di maggioranza e di minoranza, i primi sono dentro l’azienda all’interno del cda, i secondi sono esterni. I primi essendo consiglieri di amministratori e manager sono a conoscenza di tante più informazioni; dunque, il problema si sposta sul rapporto tra azionisti di minoranza e maggioranza. Questo rapporto può dare origine a dei problemi di agenzia, in quanto gli azionisti di maggioranza potrebbero mettere in atto azioni a discapito degli azionisti di minoranza ed è detto problema di agenzia di secondo tipo, nella public company si dice di primo tipo (tra azionisti e manager). Tra problema di agenzia di primo e di secondo tipo, quale è più grave? Non c’è una risposta. (Nel caso Parmalat c’è stato un problema di agenzia di secondo tipo). TEORIA DI CREAZIONE DEL VALORE La letteratura ha fatto grandi passi avanti, dopo un secolo dalla teoria neoclassica (teoria di creazione del pro tto) si passa alla teoria di creazione del valore (anni 70/80), che ha le seguenti caratteristiche, L’obiettivo dell’impresa non dovrebbe essere creare pro tto, bensì creare valore del capitale economico, potremmo avere aziende che chiudono l’anno in perdita e non stanno facendo pro tto, ma se guardiamo il valore del capitale economico la situazione è buona; dunque, i pro tti guardano ad oggi o al passato, il capitale economico guarda al futuro, è la capacità dell’azienda di produrre utile nei prossimi anni. fi fi fi fi fi fi Il pro tto è de nito al livello d’impresa, esso è una misura contabile (ricavi- costi), quando parliamo di valore di capitale economico è una misura de nita a livello degli azionisti. Dunque, i manager dovrebbero creare valore per i propri azionisti e non pro tto. TEORIA DEGLI STAKEHOLDER Poi c’è stato un nuovo cambio, all’inizio degli anni 80 c’è la teoria degli stakeholder che ha affermato qualcosa di diverso, noi dobbiamo creare valore ma non solo per gli azionisti (shareholders), ma dobbiamo creare valore per TUTTI gli stakeholder. Si gli azionisti sono importanti, ma non sono al centro di tutto, dobbiamo creare valore anche per i dipendenti, per i lavoratori, per i clienti. Ma come è stata accolta questa teoria? Era più corretta la teoria neoclassica? La teoria degli stakeholder partiva da un assunto; se noi non creiamo valore per i nostri clienti, per i nostri fornitori niamo fuori mercato. Se non creiamo valore per tutti niamo per non creare valore nemmeno per gli azionisti. Andare incontro a tutti gli stakeholder è complicato, infatti abbiamo due o tre critiche contro questa teoria, chi difendeva la teoria neoclassica aveva tre importanti argomentazioni contro la teoria degli stakeholder 1. L’obiettivo, qualunque esso sia, era e debba essere unico (creare valore per gli azionisti), se sorgono trade-off i manager non hanno indicazioni da seguire, ciò signi ca che dobbiamo dare un solo obiettivo ai manager, e la teoria degli stakeholder ne dava più di uno perché diceva che si doveva creare valore per tutti gli stakeholder. L’obiettivo deve essere unico altrimenti i manager vanno in confusione o devono decidere quale obiettivo devi privilegiare, se proprio dobbiamo deciderne uno solo deve essere quello di creare valore per gli azionisti a discapito degli altri. 2. Gli stakeholder che non sono tutelati dal punto di vista giuridico da norme giuridiche sono gli azionisti, è ovvio che se ci dobbiamo preoccupare di qualcuno dobbiamo preoccuparci di loro, sono gli unici che rischiano di non avere un remunerazione, è variabile e calcolata in via residuale 3. Se stai facendo l’interesse degli azionisti, cioè la creazione di ricchezza, alla ne stai creando ricchezza per tutti indirettamente. Queste critiche sono state molto forti, per cui la sintesi a cui si arrivò fu che l’obiettivo supremo rimane la massimizzazione del valore degli azionisti, ma il mantenimento di relazione armoniche con l’ambiente è da considerarsi un fattore agevolante. Quindi gli azionisti rimangono un gradino sopra gli altri, ma non possiamo ignorare gli altri stakeholder; dunque, quando riusciamo a creare valore condiviso per tutti bene, se dobbiamo scegliere privilegiamo gli azionisti. Inizialmente la sostenibilità era qualcosa di molto simile alla lantropia, l’azienda ha fatto così tanti soldi, puoi prendere un pezzo di soldi e distribuirli agli altri stakeholder sul mercato, faccio donazioni, iniziative a favore dei dipendenti. Oggi l’idea è che chi vorrebbe lavorare sulla sostenibilità dovrebbe creare valore soddisfacendo le istanze anche degli altri stakeholder. Dunque ancora il tema della creazione di valore per gli azionisti sta un gradino sopra il concetto di sostenibilità. Tutti gli stakeholder li dividiamo in fi fi fi fi fi fi fi fi fi Interni Esterni, che si dividono in primari e secondari. Tra i primari non abbiamo solo i concorrenti attuali ma anche i potenziali, che potrebbero diventare concorrenti in un futuro prossimo. CASO THERANOS= non è un azienda quotata, ma una startup. Sicuramente ci sono stati dei soggetti che hanno aiutato Elizabeth Holmes a fare ciò che ha fatto, questi soggetti non sono banche a differenza del caso Parmalat, ma le hanno comunque dato una mano. Aveva venti anni ed è riuscita a farsi prestare soldi da investitori privati; gli azionisti a cui lei ha chiesto soldi li chiamiamo ventur capitalist. L’idea di theranos è partita nel 2005, i primi dubbi sono arrivati nel 2015, e dopo poco è venuto fuori che questo apparecchietto non funzionava (doveva permettere di fare tantissime analisi del sangue in un solo colpo, lei sosteneva che bastava una goccia di sangue, dunque non erano più necessari i prelievi). La prima fase di theranos è stata vissuta nell’ombra, si faceva prestare soldi e lavorava in silenzio, stava mettendo a punto questo apparecchio detto Edison, poi va in mercato con un accordo stipulato con una catena di farmacie “Walgreen” nel 2013, questo è stato l’accordo commerciale con cui è andata sul mercato. Ma come mai ha aspettato 8 anni per andare sul mercato? E perché è andata sul mercato sapendo che l’idea non funzionava? In tanti già dicevano che i risultati delle analisi non erano molto af dabili, ma lei è comunque andata avanti per altri due anni. Lo scandalo si è scoperto grazie all’articolo di un giornalista che è riuscito ad attirare l’attenzione su di sé. Lei ha provato a non far uscire l’articolo nel Wall street journal, ma alla ne è uscito lo stesso. Siamo in un altro mondo rispetto al caso Parmalat, non è quotata in borsa, è una startup, i prestiti vengono chiesti a soggetti privati. Incide un fattore psicologico (la paura degli aghi), incide il fattore prezzo (lei prometteva cifre bassissime) e dunque nella mente dei potenziali clienti sembrava un macchinario straordinario. Negli anni 2000 l’idea era che l’imprenditore rivoluzionario che arriva e stravolge il mondo è visto in senso positivo, da noi invece assolutamente NO. Finche parliamo della collettività si è lasciata trascinare dal modello di Steve jobs, ma è riuscita a convincere importanti investitori a metterci la faccia chiedendo prestiti, come ha fatto? Nel 2021 è stata condannata a 11 anni. Come è possibile che abbia potuto per 12 anni coinvolgere personalità così importanti? Ambizione, capacità affabulatoria, era brava a convincere gli interlocutori Complicità di vari manager e dipendenti a nascondere i problemi Mitizzazione degli stereotipi, Una governance debole, tutto girava su di lei, uno degli anelli deboli di questo caso è la cda, poiché lei ha coinvolto persone importanti di una certa età che avevano poco da perdere, con grande carisma, e hanno visto lei come un modo per rimanere al centro dell’attenzione, lei si è comprata la reputazione dell’azienda sul mercato facendo entrare persone importanti nel cda. Sistema di controlli esterni carente, la de nizione di governance ha una duplice prospettiva, esterna e interna, la prima fa riferimento a quei soggetti che avrebbero dovuto controllare; infatti, non è possibile che la fund and drag abbia autorizzato per due anni a fare analisi con quello strumento, non avranno fatto abbastanza controlli. Dopo che tu hai convinto il primo, quello dopo si da sapendo che hai già fi fi fi fi convinto qualcuno di importante, vuol dire che la ragazza è af dabile, mi do pure io, basta convincere i primi, e poi è una catena Coinvolgimento di soggetti in uenti, come ex segretari di stato (Ramesh “Sunny” non si è capito se fosse il suo amento, la ha introdotto in questo mondo). Modello interpretativo utile per altri fallimenti 1. Motivazione 2. Opportunità 3. Scelta SETTIMA La letteratura di corporate governance si è preoccupata di evitare i problemi di agenzia e gli strumenti per evitarli sono de niti strumenti esterni ed interni di corporate governance. Strumenti interni: 1. La concentrazione proprietaria: in questo caso parliamo di un problema di agenzia di primo tipo fra azionisti e manager. Per risolverlo, passiamo ad una proprietà concentrata con un’azionista di maggioranza. La concentrazione proprietaria può assumere tre forme; di controllo assoluto (quando un’azionista ha il 50 % più uno delle azioni), di controllo di minoranza (quando un’impresa quotata comunemente accetta una soglia del 30% per avere il controllo di un’azienda), oppure patto di sindacato(prevede che una serie di soggetti che singolarmente non avrebbero potere decisionale, mettendosi insieme votano e decidono come se fossero un unico soggetto di maggioranza). Il patto di sindacato è regolato dal codice civile per cui è una forma usata per esercitare controllo sull’azienda. È vero che il controllo di maggioranza elimina il problema di agenzia di primo tipo, ma spunta un altro problema chiamato problema di agenzia di secondo tipo. Quando si dice che sarebbe conveniente avere una società concentrata, risolviamo il problema di primo tipo ma ne spunta un altro. Se partendo dall’ipotesi che sia preferibile il problema di secondo tipo, come si fa a disincentivare che ci sia un’azionista di maggioranza nell’impresa, che sorvegli da vicino l’operato del manager e magari non ci sia questo problema di secondo tipo così grave?. Si dice che per agevolare il controllo di un’azionista di maggioranza, lo strumento utilizzato è quello denominato controllo piramidale. Esempio: l’azionista di controllo non compra il 51 % delle azioni nella società operativa x ma crea una serie di holding a cascata (a,b,c), l’una delle quali controlla il 51 % della holding di sotto. Questo è chiamato controllo piramidale, dove viene esercitato il controllo in maniera indiretta tramite una serie di holding. Allora perché un’azionista di controllo dovrebbe avere un’ interesse a creare un controllo piramidale invece di comprarsi il 51% della società? Perché con il controllo piramidale riusciamo a risparmiare tanti soldi e il capitale di rischio poiché stiamo facendo leva sugli azionisti di minoranza che ci mettono il 49% dei soldi. Facciamo un’ esempio numerico dove abbiamo numericamente l’azionista di maggioranza che risparmia un sacco di soldi per il controllo dell’azienda. Per cui si parte dall’azionista di controllo cha ha il 51%, percentuale che corrisponde a 51 euro, per sottoscrivere il capitale della holding. Se è stato messo il 51 % dall’azionista di maggioranza, vuol dire che ci sono degli azionisti di minoranza che hanno messo il restante 49 % pari a 49 euro. Vuol dire che la holding nasce con un capitale di rischio di 100 euro. La holding usa i propri 100 euro di capitale di rischio per sottoscrivere il 51 % del capitale della holding b. Per cui, l’azionista di maggioranza ci mette 100 euro(era il capitale di rischio che aveva) per sottoscrivere il 51 % del capitale della holding b e a sua volta ci sono fl fi fi fi degli azionisti di minoranza che sottoscrivono il restante 49 % del capitale, avremmo così 98 euro. Per cui la holding b nasce con capitale di rischio pari a 198 euro. Vuol dire che la holding b a sua volta utilizzerà 198 euro di capitale di rischio che ha raccolto per sottoscrivere il 51 % della holding c e quindi si raccoglie il 49% di capitale dagli azionisti di minoranza, quindi avremmo 388 euro. Quindi la holding c ha un capitale di rischio di 388 euro. Si arriva alla società operativa x dove l’azionista di maggioranza con la holding c ci mette 388 euro per sottoscrivere il 51 %, ci saranno altri azionisti di minoranza che mettono il 49% del capitale ovvero 372. Per cui la società operativa x avrà un capitale di rischio pari a 760 euro. Grazie al controllo piramidale, siamo riusciti ad avere il controllo di una società operativa x che ha 760 euro di capitale di rischio quando noi in realtà ne abbiamo messi solo 51. Se non avessimo creato il controllo piramidale avremmo dovuto mettere il 51 % di 760. Gli azionisti di minoranza insieme hanno messo 709 euro e non hanno nemmeno il controllo. Mentre l’azionista di maggioranza ha il controllo e ha messo meno soldi. RAPPORTO DI POSSESSO INTEGRATO, si calcola in due modi: 1. Moltiplicare fra di loro le varie percentuali di controllo(moltiplicare il 51 %). 2. Esso esprime la percentuale realmente detenuta dall’azionista di controllo che ha messo 51 euro di 760 euro e quindi intorno al 6,76% di capitale di rischio(si fa il rapporto fra le due somme). LEVA AZIONARIA, è calcolata come il 51% diviso il rapporto di possesso integrato; il risultato è un indice, indica il numero di volte secondo il quale gli azionisti di maggioranza avrebbero dovuto aumentare il proprio investimento per avere il controllo della società. Hanno messo il 6,76 % del capitale, in assenza di un controllo piramidale, avrebbero dovuto moltiplicare per tot volte l’investimento che hanno fatto, per avere la maggioranza. Per il calcolo della leva azionaria quando le percentuali sono diverse a tutti i livelli, bisogna prendere la quota in x, quindi la quota all’ultimo livello della catena di controllo. È realistico il controllo piramidale? Quando abbiamo parlato dei gruppi, essi hanno un valore molto spesso minore di 4 perché vi è il corporate discount. La struttura di 4 holding ha dei costi che il mercato non vuole vedere e quindi se io fossi investitore di minoranza investirei nella parte bassa della struttura perché le holding giù sono delle scatole vuote e non fanno nulla e perché è meglio stare più vicini alla fonte dove arrivano i dividendi, così si è sicuri che non c’è un corporate discount. Se nel controllo piramidale ci sono aziende quotate ciò ampli ca il potere dell’azionista di maggioranza. 2. Sistemi di incentivazione manageriale: il rapporto di agenzia di primo tipo ha 3 tratti tipici tra cui la remunerazione ssa dei manager. Tramite questo strumento si fa si che la remunerazione del manager sia in parte ssa e in parte variabile. Questi sistemi di incentivazione ci dicono che dovremmo trasformare una parte importante della remunerazione di un’amministratore delegato in una remunerazione variabile; quanto può essere variabile? 50% e 70%. Questo variabile si suddivide in due forme: o è un programma di bonus o incentivo azionario. Il programma di bonus vuol dire che se alla ne dell’anno l’azienda ha performato bene e ciò viene veri cato tramite i bilanci, gli diamo 200k di bonus e ci sono delle misure operative cui viene agganciato il bonus raggiunto dall’amministratore delegato. Nel mondo anglosassone si è fatto uso degli incentivi azionari i quali sono dei programmi che danno il diritto e non l’obbligo di acquistare delle azioni di una società a un dato prezzo chiamato prezzo di esercizio. Esempio: le nostre azioni in borsa quotano un euro e noi stiamo dicendo al nostro amministratore delegato di comprare nei prossimi tre anni le azioni della nostra società ad un prezzo deciso che di solito è il prezzo corrente in borsa. Se le azioni oggi valgono un euro, noi gli diamo la possibilità di comprarle ad un euro per i prossimi tre anni. L’incentivo sarà fortissimo se il prezzo delle azioni nei prossimi tre anni dovesse salire poiché si rivendono ad un prezzo più elevato. Questi sistemi di incentivazione non provocano perdite per l’impresa poiché comunque vada, se il prezzo delle azioni sale o fi fi fi fi fi scende in borsa, l’azienda non ci rimette mai. Se l’impresa non ha niente da guadagnare, vuol dire che a livello teorico si è liberi di assegnare in maniera illimitata questi piani di incentivazione, perché l’impresa non ha nulla da perdere. La perdita generata dai piani di incentivazione si chiama costo di diluizione sopportato dagli altri azionisti dell’azienda. Calcolo del costo di diluizione: teniamo in considerazione il valore di capitale economico che vale 100 euro(ogni azione vale 1 euro e ci sono 100 azioni). Abbiamo deciso di lanciare un piano di incentivazione a favore dell’amministratore delegato, che ha diritto ad esercitare il diritto di opzione su 10 azioni al prezzo di 1 euro. Questo piano ha funzionato e quindi il prezzo delle azioni dopo un anno è salito del 10%. Vuol dire che il nuovo prezzo di borsa delle azioni è diventato 1,1 un anno dopo. A questo punto l’amministratore delegato, essendo stato bravo, potrà esercitare il piano di incentivazione. Il numero delle azioni post esercizio diritto di opzione è 100 più 10 nuove azioni.E quindi il valore del capitale economico è pari a 120 poiché quelle di prima valgono 110(100 per 1,1) e 10 sono quelle di nuova emissione. Post esercizio del piano il prezzo unitario delle azioni è diventato: 120 (valore del capitale economico) diviso 110 (numero delle azioni)= 1,09. Il costo di diluizione è pari a: 0,01 (1,1 prezzo corrente delle azioni pre piano di incentivazione) - 1,09( il valore unitario post esercizio del piano). Di solito nella realtà nessun azionista si lamenta del costo di diluizione poiché è un costo minimo e un’azionista di minoranza non si lamenterà mai perché ci ha guadagnato; siamo partiti da una roba che valeva un euro, quindi poco e siamo arrivati a 1,1. RISCHIO DEI PIANI DI INCENTIVAZIONE: manipolazione dei risultati poiché vi è un grande incentivo a far vedere che l’azienda sta performando bene in quanto aumenta il prezzo delle azioni. Per cui vi è incentivo a far vedere che l’azienda va molto meglio di quanto in realtà stia facendo. Quale correttivo viene applicato ai piani di incentivazione per ovviare a tale problema? Si mette un lock up( hai diritto a comprare le azioni ad 1 euro ma non puoi venderle il giorno dopo, le devi tenere per almeno due o tre anni. Per cui se hai fatto qualcosa nel breve termine per far schizzare il prezzo sul mercato, tu resti azionista per i prossimi tre anni prima di poterle vendere). 3. Controllo interno: gli organi che esercitano il controllo interno li abbiamo menzionati. Il controllo può essere di: legittimità ovvero rispetto della legge, procedurale ovvero il rispetto delle procedure interne, contabile ovvero la correttezza del bilancio di esercizio. Il codice civile dice che il bilancio di esercizio debba essere veritiero e corretto. Strumenti esterni che sono meccanismi di mercato che dovrebbero creare un’ incentivo per prevenire azioni di cattiva condotta del manager. Essi sono: 1.Mercato per il controllo: che cosa si intende? Si intende la possibilità che arrivi qualcuno che si prende il controllo della nostra azienda e avviene in casi di cattiva gestione della stessa; quindi magari l’azienda è sottovalutata in borsa( in borsa vale 100 mila mentre l’investitore pensa che se fosse gestita bene valga 200 mila; è chiaro che egli ha un grandissimo interesse a prendere il controllo dell’azienda poiché pensa che sia sottovaluta). Se i mercati per il controllo funzionassero bene, dovrebbe esserci sempre l’opportunità che avvenga un take over e quindi l’amministratore delegato si deve comportare sempre bene, deve effettuare delle scelte nell’interesse degli azionisti. Quando arriva un’azionista che a seguito della condotta dell’amministratore delegato si prende l’azienda, la prima cosa che fa è sostituire l’amministratore delegato. 2.Leverage buyout, è una tecnica di acquisizione utilizzata per favorire l’acquisizione di un’azienda. È un’operazione di nanza pura, è uno strumento che dovrebbe agevolare il take over ostile. Prevede diverse fasi: Fase 1: c’è un potenziale investitore interessato a prendere il controllo dell’azienda sottovalutata sul mercato. Si crea una società veicolo, una scatola vuota, creata ad hoc per lanciare l’acquisizione per il controllo e chiediamo dei soldi in prestito alle banche, in fi quanto l’acquisizione costa. Bisogna anche sostenere un prezzo di controllo per convincere gli altri azionisti a venderci le proprie azioni. La fase 1 è problematica in quanto la società veicolo è nuova e quindi non ha garanzie per cui è dif cile chiedere soldi in prestito dalle banche. Fase 2: viene lanciata l’acquisizione sull’azienda sottovaluta chiamata target ed essa va buon ne, per cui ho convinto il 50 % degli azionisti della società target a vendermi le proprie azioni. Fase 3: noi mettiamo insieme la società veicolo con la società target, le sommiamo e diventano un’unica società. Noi siamo stati accorti ad aver trovato una società sul mercato sottovalutata ma che aveva una buona disponibilità di cassa, per cui se l’acquisizione va in porto il giorno dopo, io ripago i debiti contratti, tramite la cassa della società target, con le banche poiché esse avevano dato soldi alla società veicolo. Vuol dire che questa acquisizione non mi è costata nulla poiché i soldi per lanciare l’acquisizione me li hanno dati le banche, i debiti li ho ripagati con i soldi della società target per cui alla ne ho il controllo della società target senza aver pagato nulla. Se l’acquisizione non va in porto e non ottengo la maggioranza ci sono delle azioni che io ho pagato in più del valore reale di borsa e che me ne faccio di queste azioni? Se il giorno dopo l’acquisizione non va in porto il prezzo delle azioni ritornerà come prima e io avrò un un pacchetto di azioni che ho pagato in più e non so che farmene. Inoltre, ho pagato tali azioni anche con i soldi delle banche. ESEMPIO,CASO PARMALAT: quando Parmalat è stata rimessa sul mercato, gli obbligazionisti di Parmalat, che avevano perso soldi, sono diventati nuovi azionisti della Parmalat per cercare di recuperare i propri soldi. Quando la Parmalat ritorna sul mercato, essa si presentava come una public company, poiché i nuovi azionisti erano tutti risparmiatori truffati. Il gruppo lactalis ha comprato Parmalat con questo meccanismo: Parmalat aveva un miliardo di cassa e la maggior parte dei soldi derivavano da Enrico Bonti che fece causa a tutte le principali banche americane per il comportamento fraudolento ed esse pagarono senza esser condannate. Allora, il gruppo lactalis volle fare un leverage buyout su Parmalat e gli azionisti aderirono all’offerta di acquisto del gruppo, nonostante Enrico Bondi disse che sarebbe stata un’operazione pericolosa per gli azionisti, ma magari essi truffati non vedevano l’ora di riavere indietro i soldi. Quindi, quando si è presentata la famiglia Bognelli sono corsi tutti a vendere. Il gruppo ripagò una buona parte del debito per comprare la Parmalat con la cassa di Parmalat. OTTAVA Strumenti esterni di governance: 3. Attivismo degli investitori istituzionali e degli azionisti di minoranza: Anche se abbiamo investitori con quote piccole del capitale essi potrebbero interessarsi alla gestione e vorrebbero controllare da vicino l’operato dei manager, ma perché dovrebbero farlo ed in quali forme? Ci siamo detto che in assemblea non riescono a prevalere le loro idee, allora come fanno? L’idea è che si gioca la partita dal punto di vista mediatico, quindi si cerca di aprire una comunicazione con l’amministratore delegato in cui provano a fargli capire che per creare valore sarebbe utile fare certe operazioni. Se non venissero ascoltati potrebbero creare qualche ripercussione. Da noi l’attivismo degli investitori è qualcosa di molto raro, nei sistemi anglosassoni invece, prevale l’idea che quando un investitore non è soddisfatto di un amministratore delegato vende e smobilizza senza problemi. In questo caso stavamo parlando dell’attivismo degli investitori istituzionali mentre l’opposto è un atteggiamento passivo che è de nito adottare una politica di fi fi fi fi portafoglio orientata all’indexing; l’investitore storico decide quale indice di borsa seguire e decide di allocare il proprio budget a disposizione seguendo l’indice di borsa. ESEMPIO: ho un budget da investire, vedo quando pesa ad esempio Mediaset, e pesa il 2%, allora prendo il 2% del mio budget e lo metto in Mediaset, alloco il mio budget a disposizione seguendo quell’indice, se l’indice fa più 5%, il mio investimento fa più 5 perché ho replicato quell’indice; sono disinteressato a cosa fa l’amministratore, se è bravo o no. Questo è il cosiddetto indexing. Dunque, da noi gli attivisti sono pochi e prevale l’indexing. 4. Il debito: L’idea è che se un’azienda ha molto debito da pagare, l’amministratore delegato non si può permettere strategie non ef cienti. Tipicamente prima chi si comprava un’azienda a fondo di investimento la comprava a debito, ma dopo la crisi del 2008 queste operazioni a forte debito non ci sono quasi più. Le aziende che performano oggi sono quelle più capitalizzate, che hanno capitale di rischio invece del debito. 5. La reputazione: Gli amministratori delegati svolgono molto bene il loro compito perché domani dovrebbero andare a fare gli amministratori delegati o top manager in un'altra azienda. Se vuoi una carriera importante, passando ad un’azienda migliore, devi lavorare bene. Sommati a quelli interni, questi strumenti dovrebbero evitare gli scandali che abbiamo visto con Parmalat e Theranos. STRUTTURE ORGANIZZATIVE DELLE IMPRESE: Bisogna de nire la struttura organizzativa di un impresa ovvero: 1. Stabilire quali sono i criteri di suddivisione del lavoro, ne vediamo sostanzialmente due, e sono: Per compiti/processi, detto specializzazione del lavoro. Per prodotti/aree geogra che. In base al criterio che usiamo abbiamo quattro possibili strutture organizzative: sono elementari, funzionali, divisionali, ed in ne a matrice. 2. Decidere come coordinare le attività che si traduce in delega VS gerarchia; oggi l’idea di avere una struttura fortemente gerarchica è stata abbandonata poiché sono molto lente dinanzi al cambiamento, andare su una struttura un po’ più piatta basata sulla delega è molto più rapido. 3. De nire attività e compiti; le attività e compiti che assegniamo ad una persona sono dette mansioni e i mansionari sono dei documenti dove vengono speci cate le mansioni che deve sostenere ciascuna persona. STRUTTURA ORGANIZZATIVA SEMPLICE O ELEMENTARE: Caratterizzata da un forte accentramento del governo di impresa, abbiamo un imprenditore e nelle caselle sotto abbiamo organi esecutivi che non sono dei manager bensì impiegati. Essa è una funzione adatta alle imprese artigianali poiché non abbiamo il manager ma abbiamo un imprenditore che fa tutto. Il criterio di suddivisione del lavoro che utilizziamo in questo caso quale è? Nessuno, il criterio si comincia a porre quando abbiamo una prima linea manageriale che in questo caso non c’è. fi fi fi fi fi fi STRUTTURA FUNZIONALE: Abbiamo l’amministratore delegato, le funzioni di staff sono risorse umane chiamate AFC che sta per AMMINISTRAZIONE, FINANZA E CONTROLLO. Poi sotto abbiamo le funzioni di produzione, di acquisto, di ricerca e di sviluppo e la funzione commerciale (che comprende la funzione marketing e quella delle vendite). Questa appena descritta è la prima linea manageriale. Dunque, rispetto a prima abbiamo un manager responsabile di produzione, uno del commerciale, uno di acquisti, poi sotto ci sono team di persone che lavorano. Quale è il criterio di suddivisione in questo caso? Per compiti e processi, prevale il criterio di specializzazione e lavoro. VANTAGGIO: ha come criterio guida la forte specializzazione del lavoro; quando le persone sono molto specializzate nel lavoro che fanno, gli esiti saranno molto positivi ed impiegano meno tempo a fare il loro lavoro. Dunque, facilita le economie di scala che sono dette EDS. Vi è un altro vantaggio ovvero facilita gli obiettivi funzionali. Se l’amministratore delegato deve raggiungere l’obiettivo di creare valore, dovrà assegnare degli obiettivi alla prima manageriale che ha sotto di se, dunque deve assegnare obiettivi ai 4 manager, ma quali assegna per essere sicuri che remano tutti nella stessa direzione? Nell’area marketing voglio sapere quanto hai venduto, monitoro le vendite, nell’area della produzione quanti scarti o prodotti difettosi abbiamo tirato fuori nella giornata. Anche assegnando tutti questi obiettivi siamo sicuri che stiamo remano tutti nella stessa direzione e che stiamo massimizzando l’utile? Non siamo così sicuri; se io ved

Use Quizgecko on...
Browser
Browser