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Cito-Isto-Embrio_MZ_2022_23.pdf

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INDICE L01: Introduzione a cellule e tessuti………………………….………………………………………………………….pag.1 L02: Strumenti e metodi per l’osservazione………………………………………………………………………….pag.15 L03: Membrana plasmatica, REL………………………………………………………….……………………………….pag.31 L04: Golgi, REG, Lisosomi……………………………………………………………………………………………….…….p...

INDICE L01: Introduzione a cellule e tessuti………………………….………………………………………………………….pag.1 L02: Strumenti e metodi per l’osservazione………………………………………………………………………….pag.15 L03: Membrana plasmatica, REL………………………………………………………….……………………………….pag.31 L04: Golgi, REG, Lisosomi……………………………………………………………………………………………….…….pag.40 L05: Perossisomi, mitocondri……………………………………………………………………………………………….pag.50 L06: Citoscheletro……………………………………………………………………………………….……………………….pag.58 L07: Nucleo………………………………………………………………………………………………………………………….pag.70 L08: Ciclo cellulare e caratteristiche cellulari…………………………………………….………………………….pag.80 L09: Caratteristiche cellulari e tessuti………………………………………………….……………………………….pag.89 L10: Tessuto epiteliale……………………………………………………………………………………………..………….pag.99 L11: Ghiandole…………………………………………………………………………………………………………………….pag.119 L12: Tessuto connettivo: componente cellulare…………………………………………………………..……….pag.137 L13: Tessuto connettivo: matrice extracellulare……………………………………………………………………pag.148 L14: Tessuto cartilagineo……………………………………………………….…………………………………………….pag.154 L15: Tessuto osseo……………………………………………………………………..……………………………………….pag.162 L16: Osteogenesi, midollo osseo, sangue…………………………………………………………………………….pag.175 L17: Sangue, linfa, endotelio…………………………………………………………………………………….………….pag.189 L18: Parete vasale, tessuto muscolare………………………..……………………………………………………….pag.204 L19: Tessuto muscolare ……………………………………………………………………………..……………………….pag.214 L20: Tessuto muscolare e tessuto nervoso………….……………………………………………………………….pag.229 L21: Tessuto nervoso……………………………………………………………………………….………………………….pag.237 L22: Esercitazioni microscopio 1……………………………………………………………………………….….…….pag.252 L23: Tessuto nervoso………………………………………………………………………….……………………………….pag.262 L24: Esercitazioni microscopio 2………………………………………………………………………………………….pag.272 L25: Seminario dr. Pesce……………………………………………………………….…………………………………….pag.283 L26: Embriologia, mitosi……………………………………….…………………………………………………………….pag.289 L27: Meiosi……………………………………………………………………………………………………………..………….pag.298 L28: Spermatogenesi………………………………………………………………………………………………………….pag.307 L29: Ovogenesi………………………………………………………………………………………….……………………….pag.316 L30: Fecondazione…………………………………….……………………………………………………………………….pag.329 L31: I settimana di sviluppo……………………………………………….……………………………………………….pag.339 L32: II settimana di sviluppo……………………………………………………………………………………………….pag.346 L33: Gastrulazione, neurulazione……………………………………………………………………………………….pag.354 L34: III/IV settimana di sviluppo…………………………………………………..…………………………………….pag.369 L35: IV/VIII settimana di sviluppo……………………………………………………………………………………….pag.375 L36: Organogenesi 1…………………………………………………………………….…………………………………….pag.380 L37: Organogenesi 2…………………………………………………………………………………………………….…….pag.385 L01_27/02/2023 ISTOLOGIA E EMBRIOLOGIA - PROF.SSA RIVA PISCIOTTA_SBOBINATORE, PALUMBIERI_REVISORE Informazioni generali sul corso Professori Prof.ssa Federica Riva – citologia ed istologia Claudia Omes & Manuela Monti – embriologia Probabilmente non saranno registrate e caricate le lezioni, la Prof.ssa ha fatto intendere quasi sicuramente di no. Testi E. Casasco "Citologia Istologia" – la pubblicazione della nuova edizione è stata rimandata, l’attuale edizione risulta un po' troppo datata – da non prendere in considerazione secondo la prof.ssa, soprattutto per la parte di embriologia, proporranno qualcosa le altre professoresse. La prof.ssa consiglia uno qualsiasi dei seguenti testi, con la raccomandazione che sia un testo di istologia e non un atlante. Alcuni testi non vengono consigliati in quanto sono molto approfonditi: V. Monesi – Istologia (alcune sue nozioni sono estremamente dettagliate che ai fini dell’esame non vengono chieste) Ross, Pawlina – Istologia Testo e Atlante Rosati – Istologia Calligaro – Citologia e istologia funzionale Gartner – Istologia Kerr – Istologia funzionale Junqueira – Istologia Testo e Atlante Esame Non c’è salto d’appello. La parte di citologia, istologia ed embriologia è svolta all’interno dello stesso esame, vi è uno scritto di 30 domande a risposta multipla (in 30 minuti) relative a queste 3 parti, non si va sotto zero, ma viene annullata la risposta che si sbaglia e bisogna superare lo scritto per accedere all’orale (minimo 18/30). Il voto dello scritto non è determinante per l’orale che è svolto nei giorni successivi allo scritto. L’orale verterà su tutto il corso e l’osservazione dei vetrini, quindi parte pratica al microscopio con la descrizione del vetrino istologico, a cui poi seguirà l’interrogazione di citologia ed istologia con un docente e poi la parte di embriologia con altro docente della commissione, poi media delle prove per il voto finale. Istologia ed embriologia ufficialmente da quest’anno è propedeutico per Fisiologia. Esercitazioni Si svolgeranno tra aprile e maggio, le date saranno comunicate successivamente. Suddivisione in gruppi di 30 studenti per svolgere in un’unica giornata di 3 ore dalle 14 alle 15. Ciascuno avrò un microscopio e troverà in aula professori e tutor per imparare ad usare il microscopio, descrivere il vetrino, le strutture e l’organizzazione delle cellule ed imparare a capire come appare un tessuto sano al microscopio (obiettivo del corso). 1 Seminari Come integrazione del corso ci saranno dei seminari con il Dott. Maurizio Pesce (Tissue Enginnering Unit del Centro Cardiologico Monzino (MI)), che verrà a presentare una lezione in merito all’ingegnerizzazione e rigenerazione in terapia cardiovascolare. Il Dott. Pesce è un biologo che si occupa di Tissue Engineering che è l’applicazione sperimentale di ricerca di questi ultimi anni, che sta avendo un grande sviluppo nell’ambito della medicina rigenerativa. Probabilmente sarà organizzato tra aprile e maggio. Sondaggio in classe su cosa ci si aspetta dal corso. Raccomandazione della Prof.ssa di non trascurare l’embriologia, in quanto è alla base di tutto il percorso medico, di numerose patologie ecc… e di andare a leggere il Syllabus. Inizio lezione La lezione introduttiva prenderà in considerazione l’oggetto di studio del corso che sono le cellule e i tessuti i quali possono essere analizzati da vari punti di vista (Fig. 1). Da un punto di vista dell’organizzazione, i tessuti sono costituiti da un insieme di cellule che possono presentare origine embriologica comune (non necessariamente) e sono tutte volte allo sviluppo di una funzione comune per la costituzione dell’attività funzionale del tessuto. Vedremo tessuti di cellule che hanno subito un processo di differenziamento e di acquisizione di determinate caratteristiche di specializzazione e che di conseguenza hanno portato alla formazione di quel particolare tessuto. Parleremo poi di istogenesi, ossia lo sviluppo embrionale che porta alla formazione del tessuto, e di embriogenesi. Possiamo analizzare il tessuto in termini di classificazione (in istologia in particolar modo). Un tessuto può essere osservato dal punto di vista dell’aspetto morfologico, ossia della forma e della struttura, che sono assolutamente correlati alla funzione1. Data una forma, ossia una particolare organizzazione di cellule che costituiscono un tessuto, si ha la possibilità di svolgere quella particolare funzione: c’è una strettissima correlazione tra struttura e funzione e bisogna conoscere molto bene come è fatto un tessuto perché solo così si riesce a correlarlo alla forma. Per svolgere quella determinata attività il tessuto deve avere quella forma, se non ce l’ha, in seguito a determinate alterazioni, malformazioni, ecc... viene meno anche la funzione. Quindi c’è una stretta correlazione, bidirezionale. I tessuti li possiamo studiare anche per un aspetto clinico e terapeutico, perché un’alterazione ci permette di applicare la diagnostica istopatologica: osservando un tessuto alterato possiamo formulare delle ipotesi e fare la diagnosi. In clinica e diagnostica non possiamo avvalerci solo esclusivamente delle informazioni morfologiche, in quanto non sono sufficienti, ma sono comunque necessarie per effettuare una diagnosi. 1 Concetto importante per la Prof.ssa. Lo ripeterà più volte. 2 Parleremo di tessuti in termini di terapia cellulare e tissutale, di rigenerazione tissutale, di medicina rigenerativa e di diagnostica prenatale, e poi di tessuti a livello di analisi di ricerca (ad esempio per l’ingegneria tissutale). Dobbiamo conoscere la struttura di un tessuto per cercare di riprodurla (ad esempio in laboratorio) per venire incontro a quelle che sono le esigenze della medicina rigenerativa (dell’ingegneria tissutale in particolar modo) che ha l’obiettivo di ricreare la struttura di tessuti e organi biologicamente e funzionalmente simili a quelli naturali, per ovviare quelli che sono i limiti delle donazioni e trapianti degli organi. Conoscere il tessuto è importante anche per risolvere tutti i problemi associati all’istogenesi e allo sviluppo embrionale, che possono portare a displasie, neoplasie e a tutte le patologie e malformazioni a livello embriologico. Protoplasma Prima di iniziare qualsiasi corso associato a cellule e tessuti va fatto un recap dei concetti base. Tutti gli organismi viventi sono costituiti da un materiale definito protoplasma (Fig. 2), che a sua volta è costituito da macromolecole come lipidi, proteine, acidi nucleici e glucidi. Inoltre il protoplasma è costituito anche da un’elevata percentuale di acqua (80% circa in media). Presenta delle caratteristiche particolari, per cui può andare incontro ad attività di idratazione che in funzione delle molecole presenti all’interno determina la costituzione di una materia gelatinosa, cosiddetta sol-gel, che può variare in modo reversibile a seconda delle esigenze delle cellule2. Procarioti ed eucarioti Tutti gli organismi viventi (Fig. 3) presentano vari livelli di complessità, a partire dai virus e dai batteriofagi, viventi che si attivano andando ad infettare delle cellule ospiti superiori delle quali sfruttano soprattutto l’apparato metabolico, e all’interno delle quali sono in grado di riprodursi per replicazione3. Seguono i procarioti, capaci di vita indipendente, come batteri ed alghe, in grado di metabolizzare, riprodursi attraverso scissione e di mantenere una propria vita autonoma. Nella scala evolutiva seguono le cellule eucariotiche, che hanno dato origine a degli organismi unicellulari o pluricellulari decisamente più sviluppati. Comprendono protozoi, che sono unicellulari, e metazoi, che sono pluricellulari e in grado non solo di nascere, ma di metabolizzare e di riprodursi per mitosi per poi morire. 2 Sarà visto in dettaglio in Biochimica. 3 Argomento che non sarà trattato in questo corso ma in altre discipline. 3 Il fatto che si siano evoluti nella scala evolutiva le cellule eucariotiche, che hanno dato origine a tutti gli organismi pluricellulari eucariotici (tra cui anche l’uomo), è dovuto al fatto che rispetto ai batteri e ai procarioti, le cellule eucariotiche hanno un sistema di endomembrane interno, che ha permesso compartimentalizzare determinate funzioni. I procarioti sono degli organismi molto piccoli, hanno un ordine di grandezza in termini di diametro compreso più o meno tra 1 e 5 micron e mancano soprattutto di un di sistema di membrane, per cui hanno il loro materiale genetico libero nel citoplasma (si viene a costituire il nucleoide) non delimitato da un involucro nucleare; inoltre nel citoplasma abbiamo numerosissimi ribosomi che svolgono l’attività di trascrizione. I procarioti sono delle cellule relativamente semplici. A differenza dei procarioti, la cellula eucariotica (Fig. 4) è caratterizzata da dimensioni maggiori, circa 10 volte più grandi dell’ordine di grandezza dei procarioti. Sono delle cellule più voluminose, caratterizzate soprattutto da questo sistema di membrane che ha fatto sì che il materiale genetico in primis venisse racchiuso all’interno di un involucro, in modo tale che potesse svolgere in un modo non proprio indipendente ma separato dal resto del citoplasma determinate funzioni, acquisendo quindi un grado di specializzazione estremamente elevato che ha portato ad una evoluzione all’interno di quella che è l’attività della cellula. Questo sistema di membrane non solo è associato al materiale genetico ma anche a tutte le altre attività che poi si sono sviluppate all’interno della cellula: si sono creati degli organuli, come i mitocondri, i lisosomi, i vari apparati, che comunicano chiaramente all’interno della cellula e hanno un’interazione con le altre componenti, ma svolgono delle funzioni specializzate. Questa specializzazione ha portato ad un differenziamento, quindi all’acquisizione di determinate caratteristiche funzionali e ha permesso, ad oggi, di avere quei 1012 cellule del nostro organismo presenti in 200 tipi differenti (ad esempio l’uomo) che presentano delle caratteristiche morfologiche e funzionali ben specifiche. La cellula eucariotica grazie a questa compartimentazione ben definita, si è a sua volta evoluta e può essere distinta tra cellula vegetale e la cellula animale (Fig. 5). Entrambe le cellule sono eucariotiche e presentano una membrana cellulare e il nucleo, tuttavia dispongono anche di organuli caratteristici (non in comune): nel caso della cellula vegetale abbiamo i cloroplasti per l’attività di fotosintesi, piuttosto che i vacuoli, che invece non troviamo nella cellula animale, dove però vi sono delle strutture ben definite, come i mitocondri ed altri organuli che li distinguono dalle cellule vegetali. La professoressa sottolinea questo concetto della compartimentazione correlata al differenziamento e quindi ad un grado di specializzazione morfologica e 4 funzionale. Questo è il primo concetto alla base della citologia/istologia, e questo si affianca al fatto che l’aspetto morfologico e della descrizione della forma è correlato alla funzione L’evoluzione del dogma L’analisi delle cellule può essere eseguita a vari livelli. Fino a qualche decennio fa l’aspetto molecolare e genetico era riassunto in poche righe (Fig. 6): c’è la replicazione del DNA, a cui seguiva la trascrizione, l’RNA messaggero che poi portava alla traduzione e alla sintesi delle proteine. Ma ora non è proprio così: le ricerche effettuate a livello genetico e molecolare hanno portato ad individuare altre caratteristiche associate alla genetica, e quindi hanno un po' espanso il dogma dell’evoluzione, sottolineando soprattutto la presenza dei fattori epigenetici che intervengono nella modifica e controllo di tutti gli step, che portano alla definizione della cellula e al differenziamento (quindi l’assunzione di determinate funzioni da parte della cellula). Questo aspetto sottolinea che la ricerca e tutti i dogmi a cui noi facciamo riferimento sono in continua evoluzione in funzione anche di approfondimenti che si verificano grazie allo sviluppo di nuove tecnologie. Ad oggi nell’era della "-omica". Ci sono tantissime ricerche: proteomica, genomica, metabolomica, quindi vari settori che si occupano a vari livelli della cellula, dal punto di vista genetico, biochimico, fisiologico, fermo restando che da un punto di vista istologico e citologico la cellula deve essere conosciuta e descritta come struttura e forma. Gli aspetti storici ed evolutivi che hanno portato allo sviluppo della citologia e dell’istologia sono estremamente importanti, anche solo per il fatto che molti di questi ricercatori e medici di oggi sono passati da Pavia4. A partire da Galileo, che insieme ai fratelli Jansen ha contribuito allo sviluppo del microscopio, ossia di un sistema di lenti che potesse permettere di analizzare più in dettaglio la realtà che ci circonda. 4 La Prof.ssa invita a visitare il museo di medicina di Pavia. 5 Non si parlava ancora di cellule: dobbiamo aspettare Hook qualche anno dopo per definire la cellula come unità degli organismi viventi. Di fatto Galileo ha messo a punto questo sistema di ingrandimento per analizzare la realtà che ci circonda oltre quello che si può vedere ad occhio nudo, e questo introduce un altro concetto: il microscopio è lo strumento di elezione di questo corso. Impareremo a descrivere la forma delle cellule all’interno dei tessuti grazie al microscopio e vedremo oggi i vari tipi di microscopi che esistono e cosa ci permettono di osservare. Hook fu il primo che individuò la cellula come unità dei tessuti, poi abbiamo Schwann e Schleiden (biologi tedeschi) che definirono proprio la dottrina della cellula: tutti gli organismi sono costituiti da queste unità indipendenti, le cellule, tutte vicine tra loro ma dotate di attività indipendente, in grado di nascere, riprodursi, metabolizzare e poi morire; un concetto che poi venne ripreso da Virchow (medico tedesco, Fig. 8) che arrivò a dire che non solo tutti gli organismi sono costituiti da un’unica cellula ma che ogni cellula deriva da un’altra cellula, e anche questo è alla base della citologia e della istologia5. Questi rappresentano i concetti base di oggi, nonostante siano stati scoperti prima del 1600 e del 1800 da scienziati e ricercatori che per primi si occuparono delle cellule e dei tessuti in concomitanza con lo sviluppo dei microscopi, a partire da semplici sistemi di ingrandimento, fino ad arrivare a degli strumenti più sofisticati. Da qui nasce l’istologia6 intesa come una disciplina che solitamente è morfologica, perché descrive una forma, una struttura ma è limitativo ad oggi definirla esclusivamente morfologica. Storicamente nasce come una disciplina morfologica ma di fatto si avvale anche dei risultati delle analisi biochimiche, fisiologiche e molecolari per riuscire a descrivere nella totalità un tessuto. Un tessuto viene inteso come un insieme di cellule, spesso di derivazione embriologica comune, che partecipano allo sviluppo e allo svolgimento di una specifica funzione comune. La professoressa introduce un altro concetto fondamentale che venne sottolineato da Ruffini, istologo ed embriologo italiano: la forma è l’immagine plastica della funzione. Un cambiamento della forma determina un cambiamento della funzione, che non necessariamente è patologico, Di nuovo questo significa quanto sottolineato sul concetto di struttura e funzione. 5 TEORIA CELLULARE di VIRCHOW: La cellula è l’elemento basilare della maggior parte del materiale biologico e pertanto costituisce l’unità morfo-funzionale di tutti gli esseri viventi 6 ISTOLOGIA: ίστος= tessuto Studio dei tessuti che compongono gli organi e quindi delle strutture tissutali microscopiche e submicroscopiche che costituiscono gli organismi viventi; disciplina storicamente ed essenzialmente morfologica, che oggi utilizza anche tecniche molecolari e genetiche 6 L’istologia L’istologia ha quindi come obiettivo la conoscenza dell’organismo umano sotto il profilo morfologico e strutturale, che è presupposto necessario all’aspetto funzionale. E a questo si affianca poi uno studio chimico-fisico, uno studio biochimico delle macromolecole e di tutte le attività biologiche delle singole cellule e delle cellule all’interno dei tessuti. Perché studiare l’istologia quindi? Anche per un discorso di diagnosi isto-patologica. Per esempio, in Fig. 9 abbiamo dei villi intestinali con una determinata organizzazione delle cellule e con un epitelio molto particolare (Fig. 9 a sx); nel momento in cui abbiamo un’alterazione (Fig. 9 a dx) chiaramente avremo delle manifestazioni di mal assorbimento, delle alterazioni fisiologiche che corrispondono a delle alterazioni a livello di esame ottico e ad una alterazione morfologica del tessuto. Questo è un esempio banale, semplicissimo, ma di nuovo per stressare questo concetto che è struttura – funzione. I tessuti I tessuti7 vengono classificati in quattro grandi categorie in base a quelli che sono gli aspetti morfologici e funzionali che li accomunano. Abbiamo tessuti epiteliali, connettivali, muscolari e tessuto nervoso. Questi tessuti derivano chiaramente da un processo di istogenesi e di sviluppo embrionale, che porta alla formazione dei tessuti a partire proprio dal differenziamento dello zigote (la cellula fecondata), che porta via via a delle modificazioni dell’embrione e quindi poi alla formazione dei vari tessuti. Tessuti che poi vengono distinti in queste 4 classi principali e che a loro volta vengono suddivise in base ad una specifica funzione e ad una specifica forma, per quanto siano accomunati da delle caratteristiche all’interno della stessa classe (Fig. 10). Tessuti epiteliali Epiteli di rivestimento, tessuti che rivestono le superfici dell’organismo, sia esterne che interne e cavità interne che comunicano o non con l’esterno. Epiteli ghiandolari, che sono epiteli secernenti, anche in questo caso si distinguono in ghiandole esocrine e ghiandole endocrine, con particolari caratteristiche morfo-funzionali. Epiteli sensoriali che spesso sono associati ad epiteli particolarmente differenziati: sono quelli che hanno subito un processo di specializzazione talmente elevato nel corso dell’istogenesi per cui hanno assunto delle caratteristiche funzionali estremamente specifiche che li hanno resi quasi irriconoscibili come epiteli pur essendo degli epiteli per caratteristiche che poi vedremo. Tessuti trofoconnettivi 7 Il corso tratterà esclusivamente la classificazione dei tessuti umani. 7 Connettivi propriamente detti, quei tessuti che connettono e che hanno anche la funzione trofica. Tessuti che hanno una funzione scheletrica, di sostegno, come il tessuto cartilagineo e tessuto osseo che sono sempre tessuti connettivali particolarmente specializzati in questa funzione, così come il sangue e la linfa che invece sono tessuti connettivali con una funzione trofica prevalentemente. Tessuto muscolare muscolare liscio muscolare striato scheletrico muscolare striato cardiaco Tessuto nervoso Caratterizzato dai neuroni che hanno la funzione di trasmissione dell’impulso nervoso, quindi del potenziale di azione, e da tutte le cellule gliali (apparentemente alcuni testi riportano come cellule accessorie8) che sono cellule che coadiuvano l’attività di trasmissione nervosa: hanno un’importanza fondamentale però non sono dedicate alla trasmissione dell’impulso ma aiutano comunque i neuroni a farlo. Viene richiamato il concetto che la materia vivente, quindi gli organismi (e le cellule in particolar modo), possono essere analizzati attraverso approcci differenti, che chiamano in causa le diverse discipline. Abbiamo la cellula che è l’unità strutturale e funzionale di tutti gli organismi viventi, che viene studiata dalla disciplina della citologia; poi possiamo entrare più nel dettaglio ed analizzare il nucleo, il citoplasma, le molecole e gli atomi affidandoci anche ad altre discipline, come la chimica, la biochimica, la fisica; visto che le cellule poi si organizzano in tessuti, essi possono essere studiati con l’istologia; i tessuti a loro volta si organizzano a costituire gli organi ed in seguito in apparati che invece sono oggetto di studio dell’anatomia che va di pari passo con l’istologia, la citologia, ecc…. Per quanto ciascuna disciplina si occupi del proprio aspetto, non dimentichiamo che tutto fa parte dell’organismo, quindi possiamo entrare nel dettaglio dell’aspetto citologico, dell’aspetto istologico, dell’aspetto genetico, ma non dobbiamo dimenticare che stiamo studiando una parte di un tutt’uno che dobbiamo poi considerare nell’insieme: diventiamo estremamente specializzati in un aspetto ma non dimentichiamo tutte le altre discipline che concorrono nell’analisi a vari livelli dell’organismo nel suo insieme. Strumenti e metodi per l’osservazione Ci approcciamo alla citologia e all’istologia utilizzando varie metodologie: possiamo effettuare delle analisi biochimiche, delle analisi morfo-funzionali perché tutto è collegato alla morfologia. Noi prendiamo in considerazione l’aspetto morfologico, che prevede l’utilizzo del microscopio perché la cellula non può essere apprezzata ad occhio nudo. In media le cellule dell’organismo umano hanno un diametro dell’ordine di grandezza di 20-30 micron, quindi una dimensione che l’occhio umano non può apprezzare direttamente: ad occhio nudo non riusciamo a vedere una cellula umana in generale, a meno che non sia una cellula uovo ma anche quella non riusciamo nell’insieme. La cellula uovo è la cellula più grande del nostro organismo, può arrivare fino a 8 Questa definizione non piace alla Prof.ssa. 8 120-150 micron, quindi a limite di quello che viene definito il limite di risoluzione dell’occhio umano (Fig. 11) che è di 0,1 mm (100 micron). Necessariamente, come hanno fatto tutti gli studiosi nel corso della storia, dobbiamo ricorrere ad uno strumento che possa ingrandire quello che ci circonda, e quindi ingrandire le nostre cellule: il microscopio. Per sviluppare la nostra analisi morfologica nel campo citologico ed istologico dobbiamo per prima cosa aver ben chiaro cosa andare a studiare; a quel punto dobbiamo conoscere i microscopi, per scegliere in funzione di ciò che vogliamo andare ad analizzare il microscopio corretto. Dobbiamo preparare il materiale biologico che deve essere processato per poter essere analizzato con quel determinato microscopio e quindi poi interpretare l’immagine. Come si scelgono i microscopi? L’occhio umano ha un limite di risoluzione di 0,1 mm. Cosa significa? Il limite di risoluzione è quella minima distanza tra due punti molto vicini che possono essere percepiti come distinti. L’occhio umano può vedere il capello che ha uno spessore di circa 100 micron, dopodiché se noi abbiamo un materiale più piccolo di questo non riusciamo più a distinguerlo e ad osservarlo ad occhio nudo. Come riportato in Fig. 12 non riusciamo a vedere oltre questa distanza, e quindi tutte le cellule umane non riusciamo a distinguerle ad eccezione della cellula uovo. Dobbiamo ricorrere all’utilizzo del microscopio, che ci permette di vedere in dettaglio e in modo risoluto, chiaro e definito punti tra loro ancor più vicini di 100 micron nel nostro oggetto di esame. Il microscopio, in genere, è caratterizzato da queste 3 caratteristiche fondamentali: Ingrandimento: il rapporto fra le dimensioni dell’immagine che vediamo e quelle dell’oggetto. Dipende dagli ingrandimenti che vengono forniti dal sistema di lenti. Il microscopio è dato da un sistema di lenti oculari e di lenti degli obiettivi: dal prodotto delle lenti degli obiettivi e delle lenti degli oculari noi abbiamo l’ingrandimento dell’immagine. Contrasto: il microscopio ci permette di vedere contrastate le varie immagini. Ciò dipende dal diverso assorbimento della luce delle varie strutture che si osservano e quindi può essere più o meno intenso a seconda anche dello spessore del nostro preparato. Se noi mettiamo sotto il microscopio un pezzettino di cute, non vediamo niente, perché è un pezzo molto spesso. Il materiale deve essere processato, assottigliato, per far sì che possa essere attraversato dalla luce e che ci sia un contrasto corretto tra varie strutture che noi osserviamo. Potere di risoluzione: è l’indice della ricchezza di particolari che si possono osservare nella struttura di un’immagine e che caratterizza proprio il microscopio. È la capacità di risolvere i dettagli più fini di un preparato, mostrando separati i punti che sono fra loro molto vicini. È inversamente proporzionale al limite di risoluzione che tanto più è piccolo il limite di risoluzione, cioè quei punti che sono tanto più vicini, tanto maggiore è il potere di risoluzione che deve avere il microscopio, cioè la capacità di arricchire, di consentire, di osservare i particolari minimi di questi punti in esame del nostro materiale. Il concetto del potere di risoluzione venne ripreso dal fisico tedesco Abbe, colui che portò alla ribalta la ditta Zeiss (ditta di ottica e di lenti) alla fine dell’800. La ditta Zeiss riuscì grazie ad Abbe ad avere un incremento in termini di vendite perché grazie a quella che prende il nome di “formula di Abbe” ( che sta alla base del potere di risoluzione di tutti i microscopi) vennero messi a punto dei microscopi estremamente sofisticati (Fig. 13). Questa formula dice che il potere di risoluzione è inversamente proporzionale al limite di risoluzione. 9 Il limite di risoluzione di fatto è una misura: è la distanza tra due punti che per il microscopio può essere espressa con questa formula. Lo schema (disegno in Fig. 13) fa riferimento all’obiettivo del microscopio: c’è un vetrino con il nostro preparato, e c’è la sorgente luminosa (le onde). Il limite di risoluzione (d) viene quindi calcolato come la costante 0,612 moltiplicata per la lunghezza d’onda (lambda), in questo caso della luce, fratto n (l’indice di rifrazione del mezzo interposto tra la lente dell’obiettivo ed il preparato che nella maggior parte dei casi è aria) fratto il seno di α, dove α è il semiangolo di apertura dell’obiettivo. Se α tende a 90° il sinα tende a 1 e se n è maggiore di 1 l’apertura della lente dell’obiettivo è abbastanza grande (N = n x sinα) e di conseguenza d è molto piccolo: significa che l’obiettivo del nostro strumento vede dei punti estremamente vicini tra loro e di conseguenza il potere di risoluzione dello strumento è molto alto. Quando aumenta? Quando il mezzo non è più aria ma ad esempio olio: una volta si usava l’olio di cedro, che venne introdotto da Amici, italiano di Modena, che aumentò il potere di risoluzione mettendo tra l’obiettivo ed il preparato una goccia d’olio. L’olio ha un indice di rifrazione che tende a 1,5 ed infatti riusciamo a vedere meglio. Questa formula, sfruttata dalla Zeiss e nella costruzione di strumenti più sofisticati, consentì di sviluppare anche gli studi di citologia ed istologia e quindi apprezzare quello che poi noi oggi conosciamo. Il potere di risoluzione dello strumento determina quindi il livello di dettaglio contenuto nell’immagine. Attenzione: l’ingrandimento invece non determina un aumento di risoluzione. Noi possiamo ingrandire, ma si sfoca. È il potere di risoluzione che di fatto concorre a mantenere la nitidezza di due punti in funzione del limite di risoluzione. Le caratteristiche del microscopio sono ingrandimento, contrasto e potere di risoluzione, però per osservare nel dettaglio l’immagine, per ingrandire in modo nitido devono essere presenti tutti e tre. Tipi di microscopia La maggior parte delle immagini che noi vedremo in questo corso saranno immagini ottenute in microscopia ottica con luce trasmessa e microscopia elettronica. Il microscopio ottico ha un limite di risoluzione di 0,2 micron. Al microscopio ottico in luce trasmessa si affiancano poi il microscopio a contrasto di fase e il microscopio ottico in campo scuro, che 10 è sempre un microscopio ottico in luce trasmessa dove si lavora su quello che è il condensatore (supporto posto sotto il tavolino portaoggetti e che consente di direzionare la luce che proviene dalla sorgente luminosa sul preparato in modo da mettere in evidenza delle strutture che hanno quasi una tridimensionalità). È la stessa immagine che qui vediamo colorata (Fig. 14, in alto a sinistra) ma con un contrasto di fase (Fig. 14, in alto al centro) e qui (Fig. 14, in alto a destra) invece in campo scuro, nel senso che si mette il fondo nero in modo tale da esaltare la cellula o il tessuto. Abbiamo altri microscopi, come lo stereomicroscopio che è una sorta di lente di ingrandimento che permette di osservare frammenti non sezionati di tessuti da poter lavorare e ritagliare quasi a livello chirurgico in frammenti, per poi arrivare al microscopio a fluorescenza che sfrutta invece la capacità di alcune sostanze di eccitarsi a determinate lunghezze d’onda e quindi di emettere ad altre lunghezze d’onda che sono fluorescenti (il microscopio a fluorescenza capta queste sostanze). Si utilizzano per marcare degli anticorpi con delle procedure chiamate immuno-marcature che sfruttano la capacità di alcuni anticorpi commerciali di andare a riconoscere specifici antigeni presenti sulle nostre cellule e sui nostri tessuti e quindi poi questi anticorpi sono coniugati a dei fluorocromi che emettono fluorescenza e che quindi ci permettono grazie al microscopio a fluorescenza di andare ad osservare la marcatura. Con lo stesso principio abbiamo anche il microscopio confocale, microscopio che sfrutta la fluorescenza ma che permette di scansionare, proprio come se fosse un laser, il nostro preparato e quindi ci permette di osservare dei preparati molto spessi, tridimensionali, attraverso questa scansione, che viene fatta fino a più o meno una profondità che varia dal microscopio confocale e dal potere di risoluzione del microscopio (in genere fino a 100 micron di spessore). Abbiamo poi microscopio elettronico che si basa sullo stesso principio del microscopio ottico a luce trasmessa. C’è un sistema non di lenti ma di magneti e la sorgente in questo caso non è una sorgente luminosa ma è un fascio di elettroni che va a colpire il nostro preparato e che fa sì che il limite di risoluzione dello strumento sia compreso tra 0,2 e 0,4 nm. Quindi un ordine di grandezza che è di 1000 volte più piccolo rispetto a quello del microscopio ottico, fornendo delle immagini in bianco e nero. E poi abbiamo altri microscopi molto più sofisticati di ultima generazione: il microscopio a forza atomica che permette di osservare a livello proprio atomico le superfici di strutture tridimensionali per analizzare interazioni a livello macromolecolare e a livello atomico oppure il microscopio a super risoluzione che è un’evoluzione del microscopio confocale e che permette anche di seguire in vivo i processi e le attività di determinate cellule. Domanda di uno studente: “i microscopi a contrasto di fase, confocali e a fluorescenza sono ottici?” Il contrasto di fase si. Il microscopio ottico, che comunemente si conosce, viene definito ottico a luce trasmessa e questo anche il microscopio a contrasto di fase, la cui analisi è permessa da un condensatore associato al tavolino portaoggetti del microscopio a luce trasmessa. Il microscopio confocale no: ha sempre degli oculari però sfrutta un sistema laser che va a colpire i fluorocromi o anche il tessuto stesso e quindi emette la fluorescenza che viene carpita dal microscopio. Poi abbiamo il microscopio elettronico che invece ha un principio di base uguale. Nel microscopio ottico normale abbiamo una sorgente luminosa emanata da una luce bianca che va a colpire il preparato, che deve essere sottile ed attraversabile dalla luce. La luce che colpisce il preparato viene captata dalle lenti degli obiettivi e poi attraverso un sistema di lenti, di prismi e di specchi raggiunge poi l’oculare. Nel caso della microscopia a contrasto di fase è uguale ma è dovuta al fatto che sotto al tavolino c’è un condensatore che fa in modo che la luce attraverso un’organizzazione di filtri vada a colpire non perfettamente coincidente il nostro preparato ma creando appunto un contrasto che ci dà la tridimensionalità. Il principio è analogo. Per quanto riguarda invece il microscopio elettronico si divide in TEM (a trasmissione) e SEM (a scansione) e si basa sul seguente principio: non abbiamo più la sorgente luminosa ma in questo caso abbiamo una sorgente di elettroni; non abbiamo più un sistema di lenti, di specchi, ma ci sono delle bobine magnetiche che indirizzano gli elettroni che devono essere mantenuti in una situazione a vuoto: non devono incontrare nulla sul loro percorso. Si fa bombardare direttamente il nostro preparato che a seconda delle tecnologie di microscopia o viene attraversato dagli elettroni o viene colpito sulla superficie dal fascio di elettroni e quindi poi si va a captare il rimbalzo degli elettroni sulla superficie. E questa è la distinzione tra TEM e SEM. 11 Il microscopio a fluorescenza apparentemente è come un microscopio ottico ma dentro c’è un laser che serve per andare ad apprezzare la fluorescenza, quindi per colpire il fluorocromo e poi per permettere allo strumento di carpire le lunghezze di eccitazione e di emissione. Il microscopio confocale si basa sempre sulla fluorescenza ma ha la funzione di andare a scansionare step by step fino a 100 micron tutto il nostro preparato e poi ricostruisce l’immagine che decisamente è un’immagine più nitida (Fig. 15 B). Questo vi interessa relativamente da un punto di vista tecnico ma vi interesserà probabilmente quando avrete il riscontro diagnostico di determinate strutture e dovete essere in grado di capire qual è lo strumento ideale, più adatto, per riuscire a cogliere determinati aspetti. Ci sono microscopi pluriloculari ed anche un sistema robotico che vengono utilizzati a livello di sale operatorie, dove bisogna essere in grado di osservare e poi dare le istruzioni al sistema robotizzato per intervenire. In Fig. 16 abbiamo la mucosa intestinale, i microvilli, come si osservano al microscopio ottico, con la colorazione ematossilina-eosina (Fig.16, in alto a sx), e come si osserva al microscopio elettronico (Fig. 16 in alto al centro). Le immagini sono in bianco e nero ma possono essere colorate con sistemi digitali di nuova generazione, ma di fatto appaiono come in contrasto in bianco e nero. Con l’ottica percepiamo l’immagine in base alla colorazione che scegliamo noi sul preparato istologico. Se in Fig.16, in alto a sx abbiamo tanti nuclei all’interno delle varie cellule, in Fig. 16 in alto al centro invece si osserva ogni singola cellula con un nucleo, si vede molto bene il nucleolo, e poi in cima queste estroflessioni citoplasmatiche che si chiamano microvilli. E poi invece la Fig. 16 in alto a dx è col SEM dove addirittura si vede proprio la tridimensionalità del preparato, si osservano i microvilli nella loro struttura tridimensionale. In Fig. 16 in basso al centro vi è il percorso che ha il fascio di elettroni per quanto riguarda il TEM che attraversa proprio il preparato e quindi ciò che noi vediamo è il contrasto in bianco e nero delle strutture più o meno spesse del preparato che vengono attraversate dagli elettroni. Anche che il materiale biologico deve essere preparato in modo particolare. Ciò è importante, perché anche se non farete i tecnici che preparano il materiale, sarete i medici che lo devono analizzare e quindi dovete dare anche delle indicazioni a chi lo prepara. Bisogna avere conoscenze anche su come si prepara il materiale. E poi con la SEM funziona allo stesso modo (Fig. 16 in basso a dx): in questo caso va a colpire il nostro preparato e poi c’è un rilevatore degli elettroni che rimbalzano e che vanno a colpire la superficie che conduce ad un sistema digitale che crea quella che è la struttura tridimensionale. 12 In Fig. 17 osserviamo la sezione di un testicolo dove si vedono (Fig. 17 M.O.) le varie cellule, ma non si vedono al centro, gli spermatogoni, le cellule del sertoli, ecc… In Fig. 17 T.E.M e S.E.M si vede con il microscopio elettronico e si vedono molto bene gli organuli all’interno ed anche il nucleo. Poi col SEM si vedono in questo caso tutte le cellule germinali, le cellule del sertoli sulla superficie. In Fig. 18 osserviamo altre cellule come appaiono a livello ultrastrutturale perché l’analisi con la microscopia elettronica permette un’analisi morfologica definita ultrastrutturale: avrete delle immagini strutturali col microscopio ottico, ultrastrutturali con quello elettronico. Si va al di là di quella che è la struttura morfologica ottenuta col microscopio ottico, e quindi si vedono queste immagini: in Fig. 18 sono cellule epiteliali molto vicine tra loro, si vede il nucleo, con l’involucro nucleare, all’interno la cromatina e in Fig. 18 a dx con un ingrandimento maggiore le due cellule contigue dove si vedono quelle che sono le giunzioni intercellulari che sono alla base della costituzione dei tessuti, la connessione fisica tra le cellule, apprezzabili col TEM. Col SEM possiamo apprezzare la tridimensionalità. Questo è un supporto di polipetano (Fig. 19) che è un biomateriale nato con l’ingegneria tissutale usato soprattutto in ortopedia per costruire delle matrici che mimano la matrice extracellulare delle cellule e su questi supporti vengono poi fatte crescere le cellule. Nell’immagine ad ingrandimento maggiore si vedono questi aggregati di cellule (esperimento fatto dalla Prof.ssa con cellule tumorali di tumore osseo per verificare la bontà della matrice realizzata). Questo per dire che se noi conosciamo la struttura del tessuto in parallelo ci sono ricercatori che si occupano ad esempio della tissue engineering quindi ricreare dei modelli, prima sperimentali e poi con fine applicativo, che minimino la struttura e il tessuto dell’organo nella sua tridimensionalità. 13 E quindi anche questo approccio in microscopia elettronica, SEM in questo caso, permette di analizzare appunto la tridimensionalità. Sempre con il SEM è possibile osservare la struttura di cellule come gli eritrociti, colorati digitalmente, proprio per apprezzare la forma a disco biconcavo. Perché è a disco biconcavo e non sferico? Tutto quello che in citologia ed istologia sono introflessioni o estroflessioni servono ad aumentare la superficie. Tutto ciò che entra, tutto ciò che esce aumenta la superficie. Se noi prendiamo un palloncino e lo gonfiamo, o una sfera, se noi lo schiacciamo, il volume resta sempre uguale, però in quel caso aumenta la superficie. Lo stesso nel caso dell’eritrocita: rispetto a tutte le altre cellule, oltre a non avere il nucleo nelle cellule animali, può andare in contro a queste convessità per far si che aumenti la superficie e questo favorisce ovviamente gli scambi gassosi. Aumento di superficie a parità di volume, aumento gli scambi gassosi. Non a caso l’eritrocita ha proprio la funzione di trasportare i gas respiratori, e questo è un altro esempio di quanto sia importante la forma. Ricordate che in natura come sappiamo nulla è al caso: se c’è un macchinario della natura che ci permette di esser sani nel momento in cui si alterna noi sappiamo che cambiano un po' di cose. Ma partiamo dalla forma: se si altera questa forma, lo vedremo quando parleremo del sangue, abbiamo tutta una serie di patologie, anemie falciformi, vi è meno il trasporto corretto dell’ossigeno, proprio perché non abbiamo più questa forma.Anche col microscopio ottico riusciremo ad analizzare uno striscio di sangue e vedere la forma a disco biconcavo quasi come il SEM. Esiste il microscopio a forza atomica, più aumenta il potere di risoluzione, più aumentano i costi, tanto più sono sofisticati tanto più chiaramente aumenta il costo. A vederli sembrano dei microscopi normali, ma c’è un impianto di analisi estremamente sofisticato. Ricordare specchietto di Fig. 20. 14 L02_01/03/2023 ISTOLOGIA, CITOLOGIA ED EMBRIOLOGIA – PROF.SSA RIVA SCLAFANI_SBOBINATORE, NEGRUSER_REVISORE RIPASSO ARGOMENTI DELLA LEZIONE PRECEDENTE Nella scorsa lezione è stato presentato lo strumento d’elezione per l’apprendimento dell’istologia, ovvero il microscopio. Durante i laboratori verrà utilizzato il microscopio ottico a luce trasmessa in campo chiaro. È costituito da due oculari, che hanno la possibilità di shiftare in modo tale da trovare la giusta distanza tra gli occhi. Vi è poi lo stativo (la struttura portante del microscopio) che consente di spostare il microscopio, il quale va sollevato e non trascinato, dato che all’interno vi è un sistema di lenti e di specchi che rischiano di alterarsi. Il revolver presenta gli obiettivi che vanno da quello più piccolo (5x) a quelli via via più grandi (ad esempio 10x, 40x, 100x). L’obiettivo 100x permette di diminuire il limite di risoluzione (d) e quindi di avere un maggiore potere di risoluzione, soprattutto nel caso in cui venga utilizzato l’olio d’immersione 1 come mezzo interposto tra l’obiettivo e il preparato2. Uno dei limiti nell'osservazione di una sezione istologica al microscopio è correlare ciò che si osserva, ovvero una fettina bidimensionale, ad una struttura tridimensionale. Il vetrino viene posizionato nel tavolino porta-oggetti dove troviamo un’apertura grazie alla quale la luce, che ha come sorgente una lampadina 3, riuscirà a colpire il campione. Vi sono delle rotelle che permettono movimenti traslazionali (avanti-indietro, destra-sinistra) in modo tale che la fettina corrisponda perfettamente all’apertura che si trova nel tavolino porta-oggetti, così che venga colpita perfettamente dalla luce. La microscopia in contrasto di fase e in campo scuro sono entrambe delle microscopie ottiche ma con la grande opportunità di modificare la direzione della luce sul preparato grazie ad un condensatore. In questo modo l’immagine è migliorata dal punto di vista del contrasto, assumendo sembianze tridimensionali. Un altro aspetto importante, quando ci si approccia al microscopio, è trovare il fuoco. Questo si trova sempre utilizzando un basso ingrandimento dell’obiettivo (5x) che ci fornisce un quadro generale ed ampio del nostro preparato. Il fuoco si trova muovendo la vite macrometrica, che permette ampi spostamenti del tavolino porta-oggetti, e la vite micrometrica, per la messa a fuoco nel dettaglio. Una volta trovato il fuoco, bisogna girare con delicatezza il revolver degli obiettivi per entrare nel dettaglio del tessuto e fare piccoli aggiustamenti al fuoco, se necessario, man mano che cambiamo obiettivo. I microscopi nascono inizialmente come lenti di ingrandimento: sistemi ad un’unica lente con la funzione di ingrandire l’oggetto. L’olandese Anton van Leeuwenhoek ha messo a punto un microscopio iniziale da cui ha preso origine tutto lo sviluppo della microscopia. Robert Hooke, invece, grazie a degli esperimenti sulla corteccia di sughero, ha definito per primo le cellule come unità ripetute che costituiscono i tessuti. Nel microscopio ottico l’aspetto importante è il percorso della luce che colpisce il tessuto. Il tessuto deve essere preparato e sezionato in modo che possa essere attraversato dalla luce. Grazie alle 1 I mezzi di immersione sono usati per la microscopia ad alta risoluzione con gli obiettivi oltre 40x. Questi liquidi oleosi vengono posizionati tra la superficie del campione e le lenti del microscopio e vengono utilizzati per diminuire il limite di risoluzione (d) e aumentare il potere risolutivo. Per la spiegazione specifica del fenomeno consultare la sbobina della prima lezione. 2 La professoressa sottolinea che, nonostante il nostro sia un corso di medicina e non per tecnici di laboratorio, è importante sapere come si prepara un vetrino per dare le giuste informazioni a chi lo preparerà per noi. Può capitare che siano i medici stessi a preparare il vetrino, ad esempio per lo striscio di sangue o per il PAP test. 3 Nei primi microscopi veniva utilizzata la candela come fonte di luce. 15 lenti degli obiettivi, l’immagine viene trasferita agli oculari attraverso un sistema interno di lenti e prismi che consente il passaggio e la riflessione della luce stessa. Le tre caratteristiche fondamentali del microscopio sono: l’ingrandimento, il contrasto e il potere di risoluzione4. Il microscopio ottico ha un limite di risoluzione di 0,2 micron. Ricordiamo che il potere di risoluzione è inversamente proporzionale al limite di risoluzione, questo significa che più il limite di risoluzione è piccolo più il potere di risoluzione del microscopio è alto. Il microscopio elettronico, da un punto di vista del principio ottico, ha un funzionamento simile al microscopio ottico, ciò che varia è il tipo di sorgente. La sorgente non è una sorgente luminosa ma un fascio di elettroni che, mantenuto all’interno di una colonna a vuoto, va a colpire il preparato. Nel microscopio elettronico a trasmissione il fascio di elettroni attraversa il preparato. Nel microscopio elettronico a scansione il fascio di elettroni colpisce il preparato, successivamente gli elettroni, che riflettono sulla superficie, rimbalzano all’indietro per poi essere captati da un sistema rilevatore secondario, il quale, riproduce l’immagine su un monitor. (L’immagine del microscopio elettronico è tendenziamente in bianco e nero). Tra i microscopi ottici sono inclusi anche il microscopio a fluorescenza, il microscopio confocale, il microscopio a luce trasmessa (luce bianca, in contrasto di fase, in campo scuro o interferenziale). Questi microscopi hanno un limite di risoluzione fino a 0,2 micron. Tra i microscopi elettronici vi sono quelli a scansione, a trasmissione e il microscopio crioelettronico. Questi microscopi hanno un limite di risoluzione di 0,2 - 0,4 nanometri, arrivano dunque a livello atomico. Il microscopio crioelettronico, inventato da Jacques Dubochet, Joachim Franck e Richard Henderson, è uno strumento ad altissima risoluzione che sfrutta la caratteristica chimica di determinate sostanze di poter essere vitrificate (ovvero congelate molto velocemente) grazie a quantità elevate di crioprotettori. In questo modo si preserva la loro forma naturale ed è possibile osservare nel dettaglio le relazioni spaziali tra le diverse molecole. I campioni dunque vengono osservati congelati. Poi vi è la microscopia ad espansione: una microscopia ottica dove, grazie ad una modifica che viene attuata su un materiale, viene diminuito il limite di risoluzione e di conseguenza viene aumentato il potere di risoluzione. Il materiale biologico subisce una serie di processi di gelificazione grazie all’utilizzo di determinate sostanze che gelificano e sono in grado di essere in parte distrutte lasciando spazio all’acqua. In questo modo la sostanza può essere ingrandita isometricamente (ovvero mantenendo i giusti rapporti dimensionali della sostanza) grazie all’assorbimento di acqua e all’espansione del preparato, permettendo così un aumento di risoluzione senza l’utilizzo di strumenti sofisticati. La microscopia virtuale è un approccio utile per la didattica e viene utilizzato in campo clinico e diagnostico: permette l’acquisizione sequenziale di un numero molto elevato di vetrini istologici, che vengono osservati, fotografati e inseriti in un server da cui possono essere recuperati e osservati come se fossimo direttamente al microscopio. Un medico, attraverso il suo computer, riesce ad osservare un determinato preparato, acquisto a distanza, nei dettagli aumentando anche la risoluzione. TECNICHE ISTOLOGICHE E DI ANALISI MORFOLOGICA Per essere in grado di osservare correttamente e descrivere un vetrino istologico, dobbiamo avere ben chiaro l’obiettivo della nostra osservazione e dobbiamo aver scelto il microscopio adatto. E’ necessario, a questo punto, preparare il materiale biologico per poter procedere all’analisi morfologica. Un tessuto può essere analizzato attraverso due metodi: 4 La capacità di un microscopio di distinguere due punti molto vicini tra loro, andando oltre il potere di risoluzione dell’occhio umano (pari a 0,1 mm). 16 - osservazione in vivo: la situazione ideale è quella di osservare un tessuto in vivo (a fresco). In questo caso le cellule, in coltura, possono essere osservate attraverso un microscopio invertito5, in cui gli obiettivi sono posti al di sotto di una sorgente luminosa. Il vantaggio di questo metodo è la possibilità di seguire le caratteristiche dinamiche del preparato e di vedere come si comportano le cellule6. I limiti di questo metodo sono la mancanza di contrasto e la difficoltà di sopravvivenza del materiale vivente. Infatti, per quanto a livello della sperimentazione laboratoriale vengano utilizzate linee cellulari modificate a livello dei telomeri (e che concettualmente sarebbero immortali), le cellule hanno un tempo di vita limitato e ad un certo punto muoiono. Un tessuto, lasciato all’aria, inizia una serie di processi di autolisi e decomposizione. In un terreno di coltura permane più a lungo ma comunque per un tempo limitato, poiché successivamente iniziano processi di degradazione perché è un frammento istologico che non si trova all’interno della sua condizione fisiologica, ovvero nel corpo. 7 Per quanto riguarda l’analisi istologica questo metodo è troppo limitativo. - osservazione di preparati stabili: per osservare un vetrino istologico si ricorre alla tecnica dei preparati stabili che ci consente di fissare le attività fisiologiche, morfologiche e vitali del tessuto in modo tale che si mantenga inalterato permanentemente8. Questa tecnica prende anche il nome di tecnica di osservazione per trasparenza perché il frammento viene processato per arrivare ad un preparato istologico sottile, che può essere attraversato dalla luce e che possiede, grazie al suo minimo spessore, un contrasto ottimale per la messa in evidenza delle strutture. Figura 1 In questa immagine si osserva la differenza al microscopio ottico di cellule in osservazione diretta in vivo e di cellule osservate attraverso la tecnica dei preparati stabili. Le cellule osservate sono fibroblasti, cellule tipiche dei tessuti connettivi propriamente detti. Nell’immagine in alto a sinistra abbiamo un’osservazione diretta in vivo e con contrasto di fase e riusciamo a distinguere bene il nucleo, i nucleoli e gli organuli citoplasmatici. L’immagine in alto a destra è sempre ottenuta per osservazione diretta in campo chiaro, senza nessun tipo di contrasto e con una risoluzione inferiore. Nei preparati stabili (immagini in basso) si riescono ad apprezzare dettagli maggiori. PREPARAZIONE DEL CAMPIONE BIOLOGICO Per ottenere un preparato fissato a partire da un campione biologico (ad esempio un frammento bioptico, ottenuto tramite biopsia) bisogna seguire una serie di step sequenziali, a senso unico: - fissazione; - inclusione; - sezionamento; - colorazione; - osservazione. Fissazione La fissazione è un processo che consente di bloccare i processi vitali e tutte le attività dinamiche e metaboliche del tessuto in un determinato momento: in questo modo “fissiamo” il tessuto nel tempo rendendolo 5 Anche il microscopio confocale permette di analizzare preparati in vivo, oltre a quelli fissati. 6 Si parla di cellule e non di tessuti. Il tessuto, in quanto tale, ha uno spessore maggiore. Se poniamo un frammento di cute e lo osserviamo al microscopio, per quanto sottile sia, non riusciamo a vedere nulla. 7 Questo spiega perché i trapianti d’organo debbano essere eseguiti in un tempo breve perché poi iniziano processi di alterazioni fisiologia e morfologica. 8 In istituto sono ancora osservabili i vetrini di Camillo Golgi. 17 permanente. Prima avviene la fissazione e prima vengono bloccati i processi di autolisi9. Possono essere utilizzati vari fissativi: - fissativi chimici: soluzioni che contengono sostanze di varia natura (come alcoli o aldeidi). Per i preparati istologici il fissativo d’elezione è la formaldeide. Se il fissativo è di natura chimica il campione viene immerso direttamente nel fissativo. - fissativi fisici: un esempio è la temperatura. Per la fissazione possono essere utilizzate sia alte che basse temperature. Per fissare il sangue sul vetrino, ad esempio, viene utilizzata una sorgente di calore (spesso una fiamma di Bunsen) che fissa tutte le attività di degradazione. Allo stesso modo, anche il congelamento, attraverso vapori di azoto e azoto liquido, viene utilizzato per fissare le strutture.10 Un metodo di fissazione particolare è il freeze-etching: il frammento viene sottoposto ad una alternanza di fissazioni a basse temperature in vapori di azoto (-140/-150 °C) e successivamente viene colpito con un martelletto per aprire la struttura tridimensionale. Viene poi fatta evaporare tutta l’acqua e il frammento viene ricoperto da una deposizione di metalli, che consentono di realizzare una sorta di stampo. Il materiale organico viene eliminato e rimane lo stampo che può essere osservato con la microscopia elettronica (metodo di osservazione ad alta risoluzione). Questo ci permette di osservare il calco di un materiale che sarebbe andato incontro ad una degenerazione e che non sarebbe stato osservabile nei dettagli con una fissazione normale. I fissativi devono essere scelti in base a ciò che deve essere osservato: non tutti i fissativi sono ottimali per l’osservazione di una determinata struttura. Inclusione Una volta fissato il materiale organico, dobbiamo renderlo osservabile al microscopio. Sappiamo che il protoplasma è ricco d’acqua, che lo rende “molle”, e dobbiamo dunque eliminarla, attraverso diversi passaggi, per indurire il materiale biologico e ottenere un frammento più rigido in grado di essere sezionato. - Il primo passaggio è di disidratazione [Figura 2]: bisogna togliere tutta l’acqua contenuta nel frammento bioptico. Questo avviene immergendo il frammento all’interno di vaschette contenenti soluzioni di alcoli in scala di concentrazione crescente da un alcol a 50° fino all’alcol assoluto. L’alcol disidrata in modo graduale il tessuto, in questo modo l’acqua contenuta nel tessuto viene sostituita dall’alcol. Figura 2 - Il frammento viene successivamente immerso nello xilolo, che corrisponde al solvente del materiale che poi verrà utilizzato per indurire il frammento, ovvero la paraffina. - Dopo lo xilolo viene messo in paraffina fusa, una cera che ha la capacità di sciogliersi col calore e che è in grado di sciogliersi anche nello xilolo. La paraffina ha la funzione di andare ad occupare tutti gli spazi che prima erano occupati dall’acqua. Riportando il tutto a temperatura ambiente il frammento si indurisce. 9 Ad esempio, un chirurgo in sala operatoria deve essere molto veloce nel prendere il frammento biologico e consegnarlo al tecnico che procederà con la fissazione. 10 Questo tipo di fissazione viene frequentemente utilizzata per le estemporanee in chirurgia perché è molto veloce. 18 La criticità di questa fase è il corretto orientamento del frammento bioptico che verrà successivamente sezionato. Il blocchetto viene posizionato su un microtomo, uno strumento simile ad una affettatrice, per essere tagliato. In funzione del piano di taglio e di ciò che vogliamo vedere, dobbiamo includere il pezzettino nella paraffina orientandolo già nel modo corretto. La paraffina, che viene sezionata tramite l’utilizzo di lame di metallo, è il mezzo di inclusione della microscopia ottica. Nella microscopia elettronica, invece, vengono utilizzate, come mezzo di inclusione, delle resine che essendo più dure vengono tagliate con delle lame di diamante. Sezionamento Il frammento, dopo essere stato indurito deve essere sezionato in fettine estremamente sottili tramite l’utilizzo di strumenti simili ad affettatrici. Il microtomo taglia delle fettine con spessore che varia da 3,5 a 10 micron. L’ultramicrotomo taglia delle fettine con uno spessore di circa 150 nanometri, per la microscopia elettronica. Il criostato è sempre uno strumento di taglio che lavora a basse temperature e si usa per il frammento bioptico fissato per congelamento. La procedura è la seguente [Figura 3]: il blocchetto viene posizionato su un braccio mobile e viene tagliato da una lama affinché si ottenga una sorta di nastro di sezioni sequenziali. Le sezioni vengono sollevate dalla lama con un pennellino e vengono poi distese in un bagnetto termostatato a 37° in modo tale che la paraffina e la fettina riescano a distendersi meglio. A questo punto le fettine vengono posizionate sul vetrino. Per quanto riguarda l’ultramicrotomo, essendo le fettine estremamente delicate, la lama di diamante è in contatto diretto con una vaschetta contenente acqua, dove si distendono in sequenza le fettine. Queste vengono raccolte non con un vetrino ma con delle reticelle rotonde,con un diametro di 3 mm, costituite da una griglia che permette, durante l’osservazione con microscopio elettronico, di orientarsi sulla sezione. Quando le sezioni vengono posizionate sul vetrino o sulla reticella bisogna fare molta attenzione perché ogni minima alterazione sarà poi osservabile al microscopio. Figura 3 Il punto critico di questo procedimento è l’orientamento: dal sezionamento si potranno ottenere delle fettine che possono essere tagliate in vario modo secondo vari piani di taglio. Nella Figura 4, nell'immagine a destra, viene riportato come esempio un uovo sodo e diversi piani di taglio che ci permettono di osservare cose diverse. Quando dobbiamo effettuare dei tagli dobbiamo quindi pensare a come è la struttura tridimensionale di quello che vogliamo andare ad osservare. L’esempio classico riportato per capire questo concetto è quello dell’arancia che può essere riconducibile al corpuscolo renale di un nefrone. Il corpuscolo renale è una struttura sferica costituita da un glomerulo, ovvero un gomitolo di arterie centrali, circondato da uno spazio vuoto 11 e da una struttura epiteliale che è la capsula di Bowman. [Figura 5] 11 La prof.ssa fa una digressione parlando dei fissativi. La scelta del fissativo è importante perché non tutti i fissativi sono ottimali per quello che dobbiamo osservare: ad esempio la formaldeide e tutti gli alcoli non fissano i lipidi. Quindi, osservando delle cellule adipose, le vedremo come delle cellule che fisiologicamente contengono una goccia lipidica ma su un preparato istologico trattato con alcoli quella goccia si scioglie e risulterà quindi una porzione circolare bianca, otticamente vuota. 19 Dalla descrizione ci rendiamo conto che la struttura è appunto riconducibile a quella di un’arancia. Guardando l’immagine capiamo come le varie strutture vadano tagliate a seconda di cosa noi vogliamo vedere. Figura 4 Figura 5 Colorazione La fetta ottenuta è in bianco e nero e osservandola al microscopio vediamo zone più chiare e zone più scure ma non riusciamo ad apprezzarne la struttura. Bisogna quindi ricorrere a delle colorazioni che ci permettano di mettere in evidenza le varie strutture citologiche ed istologiche. La sezione viene sottoposta ad un processo di reidratazione, ovvero ad una scala discendente di alcoli, dall'alcool assoluto sino all’acqua. Successivamente viene sottoposta a colorazione, in genere con coloranti acquosi. Esistono numerosi coloranti: - coloranti naturali: derivano dalle piante o dagli animali. Tra questi vi è l'ematossilina: uno dei coloranti d’elezione per la preparazione di un comune preparato istologico. È un colorante blu estratto da una pianta, si tratta di un colorante basico che quindi va a legarsi con sostanze acide come gli acidi nucleici (DNA, RNA). Le strutture colorate dall’ematossilina di blu all’interno della cellula saranno dunque il nucleo e i ribosomi. - coloranti sintetici: vengono sintetizzati in laboratorio. Tra questi vi è l’eosina, un colorante rosa/arancione di natura acida che va a colorare le strutture basiche, principalmente le proteine. Dalla combinazione dell’ematossilina e dell’eosina si ottiene una miscela che rappresenta il colorante d’elezione per colorare i vetrini istologici 12. Questi due coloranti sfruttano le caratteristiche acido-base delle sostanze che costituiscono le cellule. - coloranti metacromatici: sono dei coloranti che cambiano il proprio colore in funzione delle caratteristiche delle molecole che vanno a colorare. Ad esempio, l’Alcian blu è un colorante blu che può andare a modificare il suo colore in funzione di ciò che va a colorare. Le colorazioni possono ulteriormente distinguersi in: - vitali: vengono utilizzate direttamente sulle cellule, sui tessuti in vivo o su frammenti bioptici ex vivo che sono ancora mantenuti vitali. 12 La maggior parte delle immagini proposte durante il corso di istologia saranno colorate con ematossilina-eosina, per mettere in evidenza il nucleo e le strutture citoplasmatiche, riuscendo a descrivere al meglio la morfologia delle cellule e dei tessuti. 20 Sono dei coloranti poco tossici 13. Un esempio è il trypan blue che viene utilizzato in vivo per distinguere le cellule vive da quelle morte: se le cellule sono morte e hanno dunque la membrana plasmatica alterata lo assorbono, se sono vive restano birifrangenti e non assorbono il colorante. - sopravitali: vengono utilizzate nei tessuti vivi in condizioni ex vivo 14. Un esempio è il verde janus utilizzato per verificare l’attività dei mitocondri. Questo colorante sfrutta il processo di ossidoriduzione del mitocondrio stesso: se una cellula è viva assume questo colorante di colore verde mentre, nel momento in cui il mitocondrio inizia a diminuire la sua attività metabolica si ha un’ossidazione e quindi da verde il colore passa a rosso. Vi sono poi tutta una serie di colorazioni per i vetrini stabili: esistono colorazioni semplici date dall’utilizzo di un solo colorante oppure, si può ricorrere a combinazioni di coloranti (miscele) per mettere in contrasto varie strutture. Alcune tra le miscele più utilizzate sono: - l’ematossilina-eosina; - il May-Grunwald-Giemsa, utilizzata per lo striscio di sangue 15; - il metodo Azan, che è una modificazione della tricromica di Mallory, metodo di colorazione utilizzato per l’osservazione delle fibre collagene; - l’impregnazione argentica, un tipo di colorazione nera messa appunto da Golgi che comprende sali di argento e mette in evidenza la struttura dei neuroni, ancora oggi utilizzata per il tessuto nervoso. Ematossilina-eosina L’ematossilina-eosina, come abbiamo detto, è il metodo di colorazione d’elezione. L'ematossilina è un colorante basico blu/viola che colora le sostanze acide. Quando verrà descritto un vetrino, le strutture che si colorano con ematossilina vengono indicate come strutture basofile, ovvero strutture acide che hanno affinità con il colorante basico (il nucleo e i ribosomi sono basofili). L’eosina è un colorante acido rosa/arancione che ha affinità per le sostanze basiche, principalmente le proteine. Le proteine sono dunque una componente acidofila o eosinofila e sono basiche. Figura 6 13 Quasi tutti i coloranti hanno un elevato grado di tossicità per le cellule. 14 Questa definizione non è stata fornita dalla prof.ssa, ma è stata aggiunta per una maggiore chiarezza 15 Si parla di striscio perché il sangue è un tessuto liquido connettivo, che quindi non può essere sezionato, e pertanto viene strisciato. 21 In fig.6 possiamo osservare una stessa sezione di acini pancreatici. Nella prima immagine viene utilizzata solo l’ematossilina e viene messo in risalto il nucleo in blu e anche la porzione perinucleare. Al centro, la stessa sezione è colorata solamente con eosina: il nucleo non è più distinguibile ma si vede bene il citoplasma. Dal “merge”, quindi dall’uso in contemporanea di questi due coloranti, riusciamo a ricavare delle informazioni importanti sulla struttura e l’organizzazione delle cellule all’interno del tessuto. Nell’ultima immagine a destra riusciamo ad apprezzare la forma delle cellule, la presenza del nucleo, dove la cromatina è abbastanza dispersa: da questo capiamo che si tratta di eucromatina, ovvero una cromatina attiva con intensa attività proteo-sintetica. Questo è dimostrato anche il fatto che nel citoplasma è presente una zona perinucleare basofila molto abbondante che ci permette di dire che è presente una struttura ricca di ribosomi, il reticolo citoplasmatico granulare, che si sviluppa attorno al nucleo e che ha come funzione principale quella di sintetizzare proteine destinate ad essere secrete. Azan-Mallory Un’altra colorazione importante è quella Azan-Mallory in cui i nuclei vengono colorati di rosso, il citoplasma di arancione, le mucine e le fibre collagene di blu [Figura 7]. Figura 7 Figura 8 Nella fig. 8 vediamo rappresentata la sezione di un villo intestinale, sottoposta a due colorazioni differenti. In alto la sezione è stata colorata con l’ematossilina- eosina: notiamo i nuclei viola e il citoplasma di un colore più rosato. Vediamo che abbiamo cellule tutte vicine tra loro intervallate da cellule più gonfie e tondeggianti. Nell’immagine in basso la sezione è stata colorata con l’Azan-Mallory: vediamo i nuclei rossi, il citoplasma arancione, le mucine e le fibre di collagene blu. Quelle cellule rigonfie che nell’ematossilina-eosina erano bianche, utilizzando l’Azan-Mallory, si sono colorate di blu. Possiamo dire che queste sono cellule mucipare, che producono muco, e che sono interposte tra gli enterociti che costituiscono l’epitelio intestinale. Siamo in grado di fare queste descrizioni grazie alle informazioni che otteniamo dalle colorazioni che sfruttano le caratteristiche chimiche. 22 Figura 9 L’immagine rappresenta un’estemporanea, ottenuta con il criostato. Si osserva una struttura, a livello dell’intestino, colorata con blu di metilene, un altro colorante che mette in evidenza la struttura. Questo permette al chirurgo di osservare l’estemporanea e capire se ha effettuato una dissezione completa guardando i margini. L’immagine a destra rappresenta lo stesso tessuto, che però è stato fissato e colorato con ematossilina-eosina. May-Grunwald-Giemsa Un’altra tipologia di colorazione è il May-Grunwald-Giemsa, una miscela di coloranti che comprende l’eosina, il blu di metilene che è simile all’ematossilina ed è a base di alcol (svolge funzione di fissativo), e il giemsa. Figura 10 Questa colorazione è tipicamente utilizzata per uno striscio di sangue. Si prosegue nel seguente modo [Figura 11]: 1. con un pungidito viene prelevata una goccia di sangue, che viene posizionata vicino al margine del vetrino; 2. si posiziona un altro vetrino porta-oggetti davanti alla goccia con un'inclinazione di 30°/45°, in modo tale che per via della tensione superficiale la goccia aderisca al vetrino; 3. successivamente, con un movimento né troppo lento né troppo rapido, si procede strisciando in senso opposto. Nella goccia di sangue vi è il tessuto nella sua tridimensionalità se strisciamo in modo scorretto distruggiamo le cellule. Quando si striscia non bisogna aspettare troppo perché si rischia l’agglutinazione, ma non bisogna essere troppo veloci perché si rischia l’esclusione dei globuli rossi. 4. Una volta ottenuto lo striscio di sangue questo viene posizionato su una fiamma (fiamma Bunsen) che permette la fissazione; 5. Viene poi sottoposto a colorazione con il colorante May-Grunwald-Giemsa. Vista la presenza alcolica del blu di metilene abbiamo una sorta di post-fissazione oltre che di colorazione; 6. Il vetrino viene infine osservato nella sua tridimensionalità al microscopio. 23 Figura 11 Dopo la colorazione vi è la parte dell’osservazione, che è la più importante e che verrà analizzata durante il corso. L’indagine morfologica è accompagnata da tutta una serie di colorazioni che sfruttano la presenza di macromolecole e la loro attività. Partendo dalle indicazioni biochimiche si mette in risalto la presenza o meno delle sostanze nei tessuti. All'interno dell’indagine morfologica, oltre alla colorazione del vetrino istologico, vi sono le tecniche di istochimica. ISTOCHIMICA L’indagine istochimica è stata messa a punto dal medico e naturalista Paul Ehrlich 16. L'istochimica consiste nell’individuazione e localizzazione di determinate sostanze sia all’interno delle cellule che nell’ambiente extracellulare. In genere questi metodi istochimici vengono utilizzati quando la popolazione cellulare è eterogenea e quindi una semplice colorazione (ad esempio con ematossilina-eosina) non permette di mettere in risalto la presenza di determinate sostanze. Condizione necessaria per la realizzazione di queste colorazioni istochimiche è il fatto che la reazione che si ottiene, e quindi l'utilizzo di quella determinata sostanza, deve essere specifico per quella determinata macromolecola che si vuole verificare. Bisogna utilizzare una sostanza che combinata con la macromolecola offre un prodotto di reazione che può essere facilmente identificabile, mediante l’uso di coloranti che identificano il prodotto di reazione. Il prodotto di reazione deve essere localizzato esattamente nel sito in cui si trova la macromolecola17 Per i carboidrati si procede con la reazione istochimica PAS18, associata spesso all’utilizzo del colorante Alcian blu. Questa reazione porta alla trasformazione dei gruppi glicolici in gruppi aldeidici, i quali vengono successivamente colorati di rosso. Figura 12 In fig.12 possiamo osservare una sezione di corpuscolo renale. Abbiamo la visualizzazione dei carboidrati in rosso/magenta all’interno della membrana plasmatica che circonda la capsula di Bowman del corpuscolo renale. 16 I testi riportano che è stato il primo ad aver identificato il metodo della chemioterapia: scoprì che utilizzando delle sostanze chimiche si potevano risolvere o rallentare determinate patologie. 17 Viene data per scontata la conoscenza delle macromolecole e delle loro strutture e caratteristiche. 18 Acronimo per l’acido periodico di Schiff. 24 Figura 13 In fig.13 si osserva un villo intestinale dove le mucine assumono una colorazione rossa 19. Questa reazione istochimica è specifica per le sostanze glucidiche contenute nella mucina prodotta dalla cellula mucipare caliciformi. Figura 14 In fig. 14 si ha la sezione di un lobulo epatico del fegato. Gli epatociti sono allineati a raggiera attorno alla vena centrale. Il glicogeno è messo in evidenza dalla Pas attraverso un colore rosso (immagine a sinistra). A destra vi è una sezione sequenziale dello stesso frammento bioptico che funge da controllo: è stata preventivamente trattata con amilasi (un enzima che degrada il glicogeno) e poi sottoposta alla stessa colorazione. In questo caso, tramite la Pas, non viene trovato il glicogeno perché è stato completamente digerito dall’amilasi: ci appare con un citoplasma privo di glicogeno. Per i lipidi vi è una complicazione in quanto un comune preparato istologico li scioglie. Se vogliamo avere la certezza che all’interno dell’adipocita vi siano i trigliceridi si può ricorrere ad una fissazione a criostato, attraverso l’utilizzo di vapori d’azoto, per poi passare ad una colorazione specifica per i lipidi: il red oil. Figura 15 In fig.15 vi è una colorazione con ematossilina-eosina di adipociti 20. Con questa colorazione si vede, al loro interno, uno spazio circolare che appare otticamente vuoto dato che i lipidi si sono sciolti. 19 Ricordiamo che le mucine, con l’utilizzo della colorazione Azan-Mallory apparivano blu. 20 Gli adipociti sono cellule molto grandi che arrivano ad avere anche 100 micron di diametro. 25 Figura 16 In fig.16, con la colorazione attraverso red oil (immagine a destra) si può osservare un nucleo, il sottile perimetro citoplasmatico e una grossa goccia che contiene lipidi, colorati di rosso. Se vengono colorati con l’osmio gli adipociti vengono colorati di nero prima di essere sottoposti alla scala alcolica (immagine a sinistra). Per le proteine ci sono una serie di reazioni: abbiamo il metodo di Bennet (per i gruppi sulfidrilici) oppure reazioni enzimi-istochimiche che sfruttano la presenza di determinate attività enzimatiche, fornendo un substrato, in modo da ottenere il prodotto di reazione. Questo prodotto può essere colorato e si deposita in corrispondenza della sostanza di interesse. Per il DNA vi è la reazione di Feulgen [Figura 17] , che offre delle informazioni rapide su varie forme di ploidia della cellula. Questa reazione è specifica per il DNA (non per l’RNA) e mette in evidenza i vari gruppi aldeidici che si formano in seguito all’idrolisi acida e che si coloreranno di rosso magenta. Di conseguenza il DNA sarà colorato di rosso: questo ci permette di avere un’informazione qualitativa sulla presenza o meno di ploidie e anche di effettuare un’analisi quantitativa in base alla presenza e all’intensità della colorazione che si ottiene. Figura 17 IMMUNOISTOCHIMICA Si tratta delle tecniche più all'avanguardia e più utilizzate ad oggi perché sono state accompagnate dalle tecniche di sviluppo per la sintesi mediata di anticorpi commerciali. Sono delle tecniche altamente sensibili per valutare la presenza di specifici antigeni (che possono essere citoplasmatici, nucleari o di membrana), sfruttando degli anticorpi selettivi e specifici per quel determinato antigene. L’anticorpo, in genere, è associato ad un agente rivelatore, che può essere un fluorocromo 21, oppure un enzima che, se associato ad un substrato, crea un prodotto di reazione. Si possono anche utilizzare come agenti rivelatori dei metalli pesanti, come delle biglie d’oro. Si viene a creare un complesso tra l’antigene di interesse e l’anticorpo comprato commercialmente associato ad un marcatore che permette di rivelarlo. È un principio molto semplice e molto utilizzato: è il metodo d’elezione per le analisi istologiche e citologiche. Può essere utilizzato con due metodiche differenti [Figura 18]: - immunoistochimica diretta: viene utilizzato un anticorpo estremamente selettivo per il determinato antigene che vogliamo analizzare e che è associato direttamente ad un marker. Questo ci permette di avere un’estrema specificità in questo legame antigene-anticorpo. 21 Una sostanza che emette fluorescenza. 26 Questa tecnica però, se non abbiamo degli strumenti sofisticati per rilevare il complesso antigene- anticorpo, non può essere utilizzata in alcuni settori proprio perché abbiamo tendenzialmente un segnale molto basso di questo legame 22. - immunoistochimica indiretta 23: è la tecnica più utilizzata; si sfrutta sempre il principio antigene- anticorpo ma vengono utilizzati due anticorpi. Abbiamo un anticorpo primario, che è specifico per l’antigene e un anticorpo secondario che fa da ponte24, a cui è associato un marcatore che riconosce in modo specifico l’anticorpo primario. L’anticorpo primario viene riconosciuto e circondato da molte molecole di anticorpo secondario, che sono a loro volta associate a dei fluorocromi. Assistiamo all’amplificazione del segnale che rende più facile la rilevazione del complesso antigene- anticorpo. Questo metodo è un po' meno specifico, perché l’anticorpo secondario può riconoscere più punti dell’anticorpo primario. Figura 18 Figura 19 Questa è una immunomarcatura per la proteina p63, che è una proteina associata alla staminalità delle cellule. In questo caso ci sono delle cellule dello strato basale dell’epidermide con il nucleo positivo perché viene utilizzato un anticorpo anti-p63 che ha riconosciuto l’antigene. È stata poi utilizzata la dav 25 per la rivelazione. 22 A meno che non abbiamo dei sistemi ottici di microscopia molto sofisticati che ci permette di rilevarlo. 23 Chiamata anche immunofluorescenza indiretta se si usano dei fluorocromi. 24 Per questo motivo questa reazione viene anche chiamata reazione bridge (a ponte) 25 La professoressa non specifica di cosa si tratta. 27 Figura 20 In questo caso viene rappresentata una sezione di epidermide dove è stata effettuata un’immunomarcatura per le citocheratine, delle proteine citoplasmatiche. Vengono utilizzati anticorpi anti-citocheratina. Questa immagine si ottiene con dei marcatori enzimatici. Figura 2126 Nell'immagine vediamo una sezione di epidermide dove è stata effettuata un’immunofluorescenza: le citocheratine sono state individuate con l’anticorpo specifico per le citocheratine però si è utilizzato un anticorpo secondario legato ad un fluorocromo. IBRIDAZIONE IN SITU È una tecnica di rilevazione di sezioni di DNA e di RNA che sfrutta l’utilizzo di probes (sonde), ovvero di piccole sequenze complementari a quelle di interesse. Queste sono marcate a loro volta con dei marcatori fluorescenti 27 che ci permettono di individuare quella sequenza di DNA di interesse all’interno della cellule. Una volta come marker di rilevazione si utilizzavano dei marker radioattivi, adesso si utilizzano sonde fluorescenti. Per analisi di questo tipo oggi si parla di cish o fish, un metodo che permette di analizzare sino al singolo gene della sequenza. Se abbiamo una sezione istologica, possiamo effettuare un’ibridazione in situ di determinate sequenze di DNA e possiamo capire se ci sono delle alterazioni strutturali a livello genetico da correlare a informazioni genetiche, fisiologiche e funzionali. Si è parlato fino ad ora di marcature su tessuto che è stato fissato ma che mantiene la propria organizzazione morfologica. L’analisi è effettuata in maniera più dettagliata nel caso di previa distruzione del tessuto: questo ci permette di ottenere informazioni aggiuntive a quelle che sono le indicazioni morfologiche. 26 L’immagine è stata proiettata solo a lezione, non è presente sulle slide. 27 Digossigenina, biotina o fluorocromi. 28 TECNICHE BIOCHIMICHE Sono tecniche, con approccio biochimico, che portano ad ottenere un northern, western o southern blot. E’ una tecnica che si utilizza per analizzare le proteine o fattori proteici contenuti nelle singole cellule di un tessuto. Il tessuto viene sottoposto a disgregazione per omogeneizzazione: si ottengono le singole cellule disgregate. Le cellule a loro volta vengono lisate e si ottiene un pool proteico. Il pool proteico viene fatto correre in un sistema di gel per separare, per mezzo di un campo elettrico, le proteine e andarle ad analizzare nuovamente con un procedimento di immunomarcatura utilizzando anticorpi specifici per quelle determinate proteine. In questo caso non abbiamo più informazioni sulla morfologia della cellula e della localizzazione. Figura 22 CITOMETRIA A FLUSSO È un sistema di analisi di cellule in sospensione. Non abbiamo un tessuto ma, abbiamo un omogenato di singole cellule che vengono marcate con dei fluorocromi (o con un anticorpo specifico per quel determinato antigene) a cui è associato un fluorocromo. Vengono poi analizzate dal citometro, un apparecchio particolare che analizza ogni singola cellula che viene colpita da un raggio laser permettendoci di ottenere due informazioni importanti: - un’informazione qualitativa sulla dimensione e sulla superficie della cellula 28; - un’informazione quantitativa sulla presenza o meno di determinati antigeni, e quindi di determinate proteine e cluster di differenziamento, che caratterizzano la superficie di molti leucociti e permettono di avere molte informazioni dell'espressione di quella proteina, anche rispetto allo stato del ciclo cellulare. Abbiamo anche delle informazioni rispetto alla ploidia in base al contenuto del DNA. Attraverso sistemi digitali si ottengono immagini [Figura 23] che danno indicazioni sul contenuto di DNA dopo che le cellule sono state marcate con il propidio, un intercalare del DNA. Dall’analisi del DNA, in questo caso, si vede che la maggior parte delle cellule si trova in fase G1 del ciclo cellulare. L’informazione viene analizzata per singola cellula ma alla fine abbiamo informazioni sull’intera popolazione cellulare. 28 Se abbiamo, ad esempio, un campione ematico possiamo distinguere delle popolazioni dei vari linfociti o leucociti (ecc.) anche in funzione della forma: questo raggio laser colpendo la superficie della cellula e

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