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This document provides an overview of the life and works of Cicero, a prominent figure in Roman history. It details his political career, public speeches, and philosophical writings. The document discusses Cicero's role as a statesman and orator, focusing on critical aspects of Roman history.
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LA VITA Marco Tullio Cicerone nacque nel 106 a.C. ad Arpino, da una famiglia di possidenti terrieri dell’ordine equestre. Egli studiò a Roma con i migliori maestri greci di retorica e filosofia, e frequentò fin da giovane il Foro, dove divenne amico di Tito Pomponio Attico. Dal 79 al 77 a.C. studiò...
LA VITA Marco Tullio Cicerone nacque nel 106 a.C. ad Arpino, da una famiglia di possidenti terrieri dell’ordine equestre. Egli studiò a Roma con i migliori maestri greci di retorica e filosofia, e frequentò fin da giovane il Foro, dove divenne amico di Tito Pomponio Attico. Dal 79 al 77 a.C. studiò in Grecia e in Asia, frequentando le scuole filosofiche e di retorica più importanti di queste regioni. Nel 75 a.C. divenne questore in Sicilia, e l’anno dopo entrò per la prima volta in senato come homo novus. Nel 76 a.C. sposò Terenzia, che gli diede i figli Tullia e Marco. Nel 70 a.C. partecipò al processo contro l’ex governatore Gaio Verre, accusato di malgoverno, vincendo la causa contro Quinto Ortensio Ortalo, il più importante oratore di quel periodo. Divenne edile nel 69 a.C. e pretore nel 66 a.C., infine console nel 63 a.C.. Durante il suo consolato, Cicerone adottò posizioni conservatrici, schierandosi con gli optimates. La questione più complessa che dovete affrontare fu il processo a Catilina, che intendeva impadronirsi del potere con un colpo di Stato. La congiura fu scoperta da Cicerone. che pronunciò in tribunale la prima orazione “catilinaria”, costringendo Catilina a lasciare Roma. Arrestati altri cinque capi della congiura, Cicerone si pronunciò a favore della pena di morte. Con il rafforzarsi della parte popolare, e la creazione del primo triumvirato, l’autorità del Senato fu fortemente indebolita, e nel 58 a.C. Clodio condannò Cicerone all’esilio per aver mandato a morte senza processo i congiurati di Catilina. L’esilio durò sedici mesi, in Grecia, e solo nel 57 a.C. Cicerone poté far ritorno a Roma, grazie all’aiuto di Pompeo. In seguito a questa esperienza, Cicerone si avvicinò ai triumviri. Nel 52 a.C. assunse le difese di Milone, coinvolto nell’omicidio del cesariano Clodio, ma perse la causa. Nel 51 a.C. esercitò il ruolo di proconsole nella provincia della Cilicia, conducendo una campagna militare che si concluse con la conquista di una piccola città fortificata. Durante la guerra civile, Cicerone sperò di poter restare neutrale, condannando però il colpo di stato di Cesare. Si decise poi a partire per raggiungere i pompeiani in Grecia, ma si fermò a Durazzo, ammalato; dopo la sconfitta di Farsalo, nel 48 a.C., tornò in Italia, e nel 47 a.C. si riconciliò con Cesare. Durante la dittatura di Cesare, Cicerone si dedicò all’attività filosofica e letteraria. Nel 46 a.C. divorziò da Terenzia, e trovandosi in gravi difficoltà finanziarie, sposò la ricca Publilia. Nel 45 a.C. sua figlia Tullia morì di parto, il che fu considerato da Cicerone il dolore più grande della sua vita. Dopo l’uccisione di Cesare, Cicerone si schierò con i cesaricidi. Appoggiò il giovane Ottaviano, pensando di poterlo indurre a restaurare l’autorità del Senato, ma lo stesso giovane si stava servendo di lui per ottenere l’appoggio del Senato. Cicerone attaccò duramente Antonio nelle Filippiche, e quando nel 43 a.C. i due avversari si riavvicinarono, Cicerone fu scritto per primo nella lista di proscrizione. Nel 43 a.C. fu ucciso dai sicari di Antonio e Ottaviano nella sua villa di Formia. Cicerone è un politico e intellettuale che ebbe sempre al centro del proprio interesse le sorti della res publica, egli cerca di difendere le istituzioni repubblicane. Dal punto di vista politico fu un conservatore non intransigente nè indisponibile ai compromessi. Il suo pensiero rispecchia, in questo, il pragmatismo tipico della mentalità romana, perché mostra attenzione costante ai risvolti pratici delle posizioni ideologiche. L’ORATORIA CICERONIANA Della vastissima produzione oratoria risalente al periodo compreso tra il 130 e il 30 a.C. ci restano per intero soltanto le orazioni ciceroniane, che dimostrano la maturità raggiunta dai romani in questo genere letterario. I romani accolsero chiaramente l’apporto dell’elaborazione teorica e pratica dei greci. L’arte oratoria infatti si sviluppa in Grecia, in particolare ad Atene, grazie all’affermazione della democrazia, questa si evolve soprattutto grazie all’opera dei logografi e dei sofisti. Accanto all’oratoria giudiziaria si svilupparono nel V sec a.C. anche l’oratoria politica (finalizzata alla persuasione di un’assemblea chiamata a decidere su questioni di interesse pubblico) e quella epidittica (a cui appartengono i discorsi privi di scopi pratici, come l’elogio). I massimi rappresentanti dell’oratoria greca furono gli ateniesi Lisia, Demostene e Isocrate, Lisia scrive orazione giudiziarie, Demostene è il modello dell’oratoria politica e Isocrate si distinse nel genere epidittico e aprì una scuola di retorica. Anche a Roma durante l’età repubblicana l’oratoria svolgeva un ruolo fondamentale nella vita sociale e politica. Nel I sec a.C. nelle più importanti scuole greche di retorica frequentate dai giovani romani dominavano le tendenze stilistiche chiamate da Cicerone asiane, egli nel Brutus distingue due stili asiani: il primo contrassegnato da frasi brevi e spezzate e il secondo caratterizzato da un periodare ampio e complesso. I due stili hanno in comune l’alto grado di ornamentazione. In reazione alle tendenze asiane, a Roma si affermò nel I sec a.C. l’atticismo, che propugnava il ritorno alla purezza linguistica e alla semplicità. Anche Cicerone, come già avevano fatto gli autori greci e romani precedenti, curò personalmente la pubblicazione di molte sue orazioni, spesso rielaborandole e ampliandole rispetto ai discorsi realmente pronunciati. Gli scopi della pubblicazione erano chiaramente la propaganda politica, la difesa del proprio operato e il desiderio di ottenere gloria presso i contemporanei e i posteri. Nelle orazioni emerge la vasta cultura storica, giuridica e retorica di Cicerone, oltre che il talento naturale e la capacità di cambiare toni e registri. Si impongono anche la personalità brillante, l’arguzia, l’ironia e gli ideali dell’autore. Le orazioni di Cicerone rispecchiano infatti le sue idee e i suoi valori e sono inoltre preziosi documenti che gettano luce sulla storia politica, giuridica e sociale del tempo. Grazie alla cultura storica, giuridica e retorica l’autore assolve la prima funzione dell’oratoria, quella di docere ossia informare chiaramente e dimostrare la propria tesi razionalmente. Persegue anche la seconda funzione, quella di delectare, ossia conciliarsi le simpatie del pubblico e la terza cioè quella di movere, ossia trascinare gli uditori al consenso tramite mezzi emozionali. Le orazioni conservate per intero sono 58 oltre ai frammenti. Le orazioni giudiziarie -Le Verrinae, del 70 a.C., sono sette orazioni per il processo de repetundis intentato dai siciliani contro Gaio Verre, governatore in Sicilia dal 73 al 71 a.C.. Il corpus comprende: la divinatio in Caecilium, con cui Cicerone chiede il diritto di sostenere l’accusa contrapponendosi ad un certo Cecilio, che a suo avviso aveva l’intenzioni di favorire Verre; l’actio prima in Verrem, che è la requisitoria tenuta nel primo dibattito giudiziario dopo la quale Verre, senza aspettare la seconda fase, partì in volontario esilio; l’actio secunda in Verrem, costituito da cinque orazioni mai pronunciate ma pubblicate. Le Verrinae furono considerate già nell’antichità un capolavoro dell’ eloquenza, specialmente la divinatio e l’actio prima. -La Pro Archia Poeta del 62 a.C. fu pronunciata in difesa del poeta greco Aulo Licinio Archia, accusato di aver usurpato la cittadinanza romana. L’orazione sfocia poi in un’esaltazione della cultura e della poesia e Archia fu assolto, ma non scrisse il poema celebrativo che Cicerone si aspettava in cambio. -La Pro Sestio del 56 a.C. è a difesa di Sestio, il tribuno della plebe che l’anno prima si era adoperato per il suo ritorno dall’esilio, egli era accusato di aver organizzato bande armate da opporre a quelle di Clodio. Sestio fu assolto ed è un’orazione particolarmente importante per l’analisi che Cicerone vi conduce della situazione politica interna di Roma in quegli anni. -La Pro Caelio del 56 a.C. è a difesa del giovane Marco Celio Rufo, egli era accusato dalla sua ex amante Clodia (la sorella di Clodio e con ogni probabilità la Lesbia di Catulllo) di aver rubato dei gioielli e di aver tentato di farla avvelenare. Cicerone sfoga il suo odio verso Clodio attaccando la sorella, presentandola come una donna corrotta e dissoluta. -La Pro Milone del 52 a.C. è a difesa di Milone, l’assassino di Clodio. Secondo gli antichi era una delle orazioni migliori di Cicerone ma l’imputato fu nel finale condannato. Le orazioni deliberative -Durante il suo consolato Cicerone si impegnò contro una proposta di riforma agraria presentata da un tribuno della plebe. Le tre orazioni De Lege Agraria del 63 a.C. furono un successo poiché la legge fu ritirata. -Risalgono all’anno del consolato, il 63 a.C., anche le Catilinariae. Sono quattro discorsi pronunciati in occasione della scoperta e della repressione della congiura di Catilina tra il novembre e il dicembre del 63. La prima e la quarta furono tenute dal console in senato, la seconda e la terza davanti al popolo; furono tutte rielaborate successivamente e pubblicate nel 60 a.C., tutto è finalizzato al coinvolgimento emotivo dell’uditorio. La prima Catilinaria fu pronunciata in senato l’8 novembre, questa denunciava il piano eversivo di Catilina e lo invitava a lasciare Roma, raggiungendo le truppe che aveva raccolto in Toscana, e venire allo scoperto. Al termine della seduta Catilina lasciò la città. Il giorno seguente venne pronunciata la seconda Catilinaria di fronte al popolo, Cicerone, dopo aver annunciato la fuga di Catilina, ricostruisce i piani del complotto e descrive i suoi complici; nonostante il tono esultante trapela la preoccupazione di Cicerone per la presenza dei congiurati in città. La terza venne pronunciata il 3 dicembre quando l’oratore aveva già ricevuto il titolo “salvatore della patria”, egli informò il popolo dell’arresto dei congiurati presenti a Roma. La quarta Catilinaria è pronunciata in senato il 5 dicembre durante la seduta per decidere la sorte degli avversari: o la pena esemplare o l’esilio. Il console è propenso alla pena di morte per stroncare definitivamente ogni tentativo di rivolta. -Tra le orazioni pronunciate al ritorno dall’esilio nel 57 a.C. si segnalano i discorsi di ringraziamento e autocelebrativi. -Risalgono invece al periodo successivo alla morte di Cesare le Philippicae. Queste sono 14 discorsi che Cicerone pronunciò tra il 44 e il 43 a.C. con l’intento di far dichiarare Antonio nemico pubblico. Nell’antichità erano chiamate anche Antonianae e devono il nome di Philippicae all’accostamento, fatto da Cicerone stesso in una lettera a Bruto, alle celebri orazioni di Demostene contro Filippo II di Macedonia. Si avvicinano a queste per il grande vigore e impeto polemico. Lo stile delle orazioni Lo stile di Cicerone come oratore è molto simile a quello di Demostene, estremamente vario, duttile e multiforme: tende alla solennità, sconfinando talora nella ridondanza ma è capace, all’occorrenza, di brevità ed essenzialità. L’organizzazione sintattica del periodo è complessa e armoniosa, con l’uso della cosiddetta concinnitas: c’è abbondanza di proposizioni subordinate e il periodo è costruito su una rete di corrispondenze equilibrate e simmetriche. Assumono grande importanza anche l’eufonia e il ritmo, così come gli ornamenti del discorso, presenti soprattutto negli esordi, nelle perorazioni e negli elogi. LA PROSA RETORICA, POLITICA E FILOSOFICA Cicerone scrisse numerose opere in prosa di argomento retorico, politico e filosofico. Nell’antichità infatti la filosofia era intesa come amore per la sapienza e abbracciava diversi campi d’indagine. In Grecia i primi testi sono generalmente in poesia ma già in epoca antica vi furono alcuni filosofi che scrissero in prosa per un pubblico più ristretto. A dare una svolta decisiva alla letteratura filosofica fu Platone. Egli inaugura la tradizione del dialogo, alcuni dialoghi platonici sono in forma drammatica (presentano solo le battute dei personaggi che prendono parola alternandosi) mentre altri sono inseriti in una cornice narrativa. Nelle opere tarde Platone abbandona il dialogo scegliendo la forma del trattato. Anche Aristotele, discepolo di Platone, scelse la forma del dialogo in alcune opere non conservate ma si differenziò dando la parola anche a personaggi viventi. Le opere conservate sono quelle esoteriche, trattati specialistici ricavati da appunti di lezioni che erano destinati ad un pubblico ristretto e privi di alcun ornamento stilistico. Anche alcuni filosofi stoici ed Epicuro scelsero la forma del trattato. Le prime opere filosofiche in latino e il De Rerum Natura di Lucrezio non sono tra i modelli di Cicerone, che si rifà esclusivamente alla tradizione greca, non essendovi, a suo giudizio, modelli degno nell’ambito latino. Cicerone nei suoi dialoghi espone le diverse posizioni delle scuole filosofiche sui principali problemi. I dialoghi sono tutti narrativi e si differenziano da quelli platonici per l’inserzione di poemi, la presenza dell’autore come interlocutore, lo sviluppo del dialogo in giorni e luoghi diversi e la prevalenza di lunghi discorsi. La prosa retorica Cicerone affiancò sempre alla pratica dell’oratoria una riflessione teorica, affrontando tutti gli aspetti dell’arte della parola. Le opere nate da quest’impegno (ad esclusione del giovanile De inventione, mai portato a termine) non sono manuali che forniscono competenze tecniche ma riflessioni di ampio respiro che toccano tutti gli aspetti dell’attività oratoria, di vitale importanza in uno stato repubblicano. Cicerone prende posizione contro chi sosteneva che il perfetto oratore si formasse solo per mezzo di regole ed esercizi ma anche contro chi riteneva fossero sufficienti anche solo le doti naturali. Afferma l’ideale di un oratore impegnato a fondo nella vita pubblica ma fornito al contempo di una ricchissima cultura. Tra le principali opere retoriche hanno forma di dialogo il De Oratore e il Brutus, mentre l’Orator è un trattato. -Il De Oratore è diviso in tre libri e fu composto nel 55 a.C., i protagonisti del dialogo sono Lucio Licinio Crasso e Marco Antonio, che Cicerone considerava i più eminenti oratori della generazione precedente la sua. Egli immagina che il dialogo abbia avuto luogo nella villa di Crasso a Tuscolo nel 91 a.C.. Nel libro I Crasso presenta e sviluppa la tesi di fondo: nessuno potrà mai essere considerato un oratore perfetto se non avrà acquisito una conoscenza approfondita di tutti gli argomenti più importanti e di tutte le discipline. Nel libro II si passa alla trattazione delle parti della retorica. Antonio parla dell’inventio (ricerca argomenti), della dispositio (ordine di esposizione degli argomenti) e della memoria (tecniche di memorizzazione). Nel libro III l’esposizione è affidata nuovamente a Crasso che espone l’elocutio (i precetti relativi allo stile) trattando l’ornatus, l’elaborazione stilistica da attuare con l’uso di figure retoriche e l’actio (il modo in cui l’oratore deve porgere il discorso). Il De Oratore è sicuramente il dialogo ciceroniano scritto con maggior cura formale. Nel 46 a.C. Cicerone riprese gli argomenti del De Oratore in altre due opere, il Brutus e l’Orator. -Il Brutus, in forma di dialogo, ha come interlocutori Cicerone (che svolge il dialogo in prima persona) e gli amici Attico e Bruto. Dopo un sintetico excursus sull’oratoria greca, Cicerone sviluppa una grandiosa storia dell’oratoria romana, presentando circa 200 oratori. L’opera ci permette di ricostruire le principali tendenze delle scuole di retorica presso cui i romani si formavano: sono proprio quelle atticiste a ricevere l’invettiva di Cicerone che rimprovera la loro povertà e inefficacia dello stile. -Anche l’Orator è dedicato a Bruto, il trattato è un’esposizione continua, fatta in prima persona da Cicerone, dello stile oratorio riprendendo la teoria esposta nel terzo libro del De Oratore. Le parti nuove sono l’esposizione delle differenze dello stile oratorio e quello di filosofi, storici e poeti, la distinzione di tre livelli stilistici (umile, medio e sublime) e l’ampia trattazione della prosa ritmica. La prosa politica Cicerone accompagna anche alla prassi politica una riflessione teorica, sviluppando in modo personale spunti offerti dalla filosofia greca. Le opere filosofico-politiche di Cicerone sono simili tra loro nell’impostazione di fondo, orientata alla soluzione di problemi concreti, l’autore offre strumenti concettuali e filosofici per difendere le istituzioni repubblicane. -Nel 54 a.C. compose il De Republica, in cui discusse l’organizzazione dello stato, la miglior forma di governo e le istituzioni politiche romane. Il dialogo, in sei libri, si presenta ispirato sin dal titolo al precedente di Platone ma Cicerone, col pragmatismo che lo contraddistingue, non si propone di delineare una forma di stato ideale. Egli affronta i problemi politico-istituzionali concretamente e storicamente. Restano i primi due libri, frammenti degli altri tre e la parte finale del libro VI, il Somnium Scipionis, tramandata per l’interesse che suscitò nel Medioevo. Il protagonista del dialogo è Publio Cornelio Scipione Emiliano, l’uomo politico più ammirato da Cicerone, che proiettò su di lui i propri ideali. L’introduzione narrativa presenta Scipione impegnato nel 129 a.C. in una conversazione con un gruppo di amici, tra cui Gaio Lelio. Nel libro I Scipione da la sua definizione di res publica, per lui è “cosa del popolo”. Presenta poi e discute le tre forme di governo - monarchia, aristocrazia e democrazia - e le loro rispettive degenerazioni: tirannide, oligarchia e demagogia. Dopo aver affermato la superiorità della monarchia rispetto alle altre forme di governo semplici, Scipione sostiene che la costituzione migliore è quella mista: essa assomma i vantaggi ed evita i difetti di tutte e tre le forme di governo semplici. Esempio eccellente di tale forma mista è la costituzione romana. Nel libro II sono delineati l’origine e lo sviluppo dello stato romano, con particolare attenzione alle riforme. Il libro III, molto lacunoso, trattava della giustizia, la virtù politica per eccellenza: mentre il filosofo Carneade criticava la sopraffazione dei deboli ad opera di Roma, Lelio assumeva la difesa della giustizia naturale, sostenendo la legittimità morale del dominio di Roma in quanto esercitato a vantaggio dei popoli sottoposti. Sono quasi interamente perduti il libro IV, dedicato alla formazione del buon cittadino, e il V, in cui era delineata la figura del governante perfetto. Del libro VI si conserva solo il finale, il Somnium Scipionis. Scipione Emiliano racconta un sogno in cui gli era apparso Scipione l’Africano, questi, dove avergli predetto le imprese gloriose e la morte prematura, gli aveva mostrato lo spettacolo grandioso delle sfere celesti e la dimora celeste che i benefattori della patria raggiungono quando l’anima si libera dalla prigione del corpo. Il testo venne molto apprezzato nel Medioevo per lo spirito religioso che lo pervade, il sentimento principale però è quello politico, viene infatti celebrato il senso di dedizione allo stato come valore supremo. -Il De Legibus, scritto tra il 52 e il 51 a.C. doveva essere un completamento del De Republica, si conservano tre libri ma l’opera forse rimase incompiuta. Gli interlocutori sono Cicerone stesso, suo fratello Quinto e l’amico Attico. Vengono illustrate l’origine naturale del diritto per poi passare all’esame di numerosissime leggi romane. La prosa filosofica Cicerone si dedicò alla stesura delle sue opere filosofiche negli ultimi anni della sua esistenza, tra il 45 e il 44 a.C., quando fu costretto a ritirarsi quasi completamente dalla vita pubblica. L’attività filosofica gli da la possibilità di giovare ancora ai concittadini, mettendo a disposizione in lingua latino il grande patrimonio filosofico greco. L’autore presenta e discute le varie dottrine filosofiche mediante una rassegna delle diverse opinioni, usando il metodo dossografico. Questo modo di procedere non risponde solo a un’esigenza divulgativa, Cicerone vuole anche operare una sintesi critica dei risultati ottenuti dal pensiero filosofico greco. Cicerone sceglie poi quella che gli appare più convincente. Le scuole che riscuotono maggiormente il suo favore sono quella accademica e quella stoica. L’ideale dell’humanitas ciceroniana ci appare una sintesi complessa e originale del pensiero filosofico greco e della politica romana. L’uomo è superiore a tutti gli altri esseri per il dono della ragione, l’uomo vero assoggetta tutte le passioni al dominio della ragione, l’acquisizione di una vasta cultura enciclopedica è indispensabile per conoscere a fondo se stessi e il mondo e l’uomo deve essere animato da rispetto e tolleranza (che esprimono l’ideale del decorum). Inoltre, il dovere di rendersi utili alla società è preminente rispetto a tutti gli altri e i riconoscimenti esteriori non sono da disprezzare ma non costituiscono il movente o lo scopo dell’azione. -La Consolatio e l’Hortensius furono le prime due opere, la prima la scrisse per consolarsi della morte della figlia Tullia, la seconda è un dialogo con protagonista Quinto Ortensio Ortalo che contiene un’esortazione alla filosofia. -Negli Academici Cicerone affronta il problema della conoscenza, il titolo deriva dal fatto che l’autore aderisce alla posizione della scuola accademica per cui non esiste un criterio oggettivo per distinguere con certezza assoluta il vero o il falso ma è possibile avvicinarsi alla verità. Cicerone affronta poi i problemi morali in due opere, una sull’etica teorica e una sull’etica pratica. -Il De finibus bonorum et malorum riguarda lo scopo supremo della vita, che costituisce per l’uomo il sommo bene. Nel libro I un amico di Cicerone, Torquato, espone la dottrina epicurea che identifica il sommo bene come piacere e il sommo male come dolore. Nel libro II Cicerone confuta Epicuro, rilevando contraddizioni nella sua dottrina. Nei libri III e IV viene confutata invece la dottrina stoica da Catone Uticense e da Cicerone, nel suo eccessivo rigore sfocia in affermazioni paradossali come dire che il dolore non è un male. L’ultimo libro espone la dottrina accademica, che corrisponde al pensiero dell’autore: la felicità consiste nella virtù, che è completa quando ai beni spirituali si aggiungono i beni del corpo. -Le Tuscolanae disputationes si presentano come un contraddittorio tra Cicerone e un interlocutore anonimo, il tutto è ridotto allo schema essenziale di domanda-risposta. Nel libro I Cicerone affronta il tema della paura della morte, che per lui non è un male. Il libro II tratta della sopportazione del dolore fisico, il III della lotta contro l’afflizione, il IV dei rimedi alle altre passioni e infine il V dimostra che la virtù basta da sola ad assicurare la felicità. Nelle Tuscolanae l’autore dimostra di propendere verso la dottrina stoica, l’opera è molto curata stilisticamente. Seguono poi tre opere di filosofia della religione. -De natura deorum, dove, in tre libri, vengono confutate la tesi stoica ed epicurea sulla natura degli dei. -Nel De divinatione, in due libri l’autore respinge la fede della divinazione. -Il De fato, molto lacunoso, affronta il tema del destino e della volontà umana. Ci sono poi due opere, notevoli per i pregi stilistici, che trattano argomenti specifici di filosofia morale. -Nel Cato maior de senectute Cicerone immagina che Catone il Censore all’età di 84 anni dialoghi con i suoi due amici Scipione Emiliano e Gaio Lelio facendo un elogio della vecchiaia, mettendo in evidenza i vantaggi e i piaceri che questa arreca all’uomo virtuoso. -Il Laelius de amicitia è dedicato al carissimo amica Attico, nel dialogo Gaio Lelio rievoca la luminosa figura di Scipione Emiliano e tratta dell’amicizia, che sussiste soltanto tra uomini virtuosi. -I tre libri del De Officis del 44 a.C. sono l’ultima opera filosofica di Cicerone, è un trattato sui doveri dell’uomo politico, Cicerone usa come fonte Panezio. Nel libro I viene chiarito il concetto di honestum, cioè di bene morale, in relazione al quale si stabiliscono i doveri. Il bene si esplica con quattro virtù fondamentali: sapienza, giustizia, fortezza e temperanza. Il libro II è invece dedicato all’utile. Dimostra che i retti comportamenti si stabiliscono in base ai criteri dell’utile. Nel terzo e ultimo libro affronta il conflitto tra l’onesto e l’utile. Per Cicerone questo conflitto è solo apparente. L’opera è illustrata da numerosissimi esempi tratti dalla vita quotidiana, Cicerone con quest’opera spera di potersi inserire nuovamente nella vita politica scrivendo dopo la morte di Giulio Cesare. Lo stile del filosofo si distingue da quello dell’oratore perché non deve movere, il discorso si elabora attraverso argomenti razionali non suscitando emozioni a fini di persuasione. Lo stile dei dialoghi e dei trattati è più semplice di quello delle orazioni e più vicino ai modi del sermo. Cicerone però sfrutta procedimenti oratori per sostenere le proprie argomentazioni filosofiche e non esita a ricorrere talvolta allo stile elevato. Egli crea il lessico tecnico-filosofico latino ricorrendo non tanto a grecismi o neologismi, quanto all’adozione di perifrasi e vocaboli, già presenti in latino, il cui campo semantico si estese per includere nuove accezioni specificamente filosofiche. Un’ulteriore difficoltà fu data dalla mancanza in latino dell’articolo determinativo che permetteva di trasformare aggettivi, verbi e interi sintagmi in concetti astratti, Cicerone dovette ovviare al problema ricorrendo a perifrasi o creando vocaboli astratti. IL GENERE EPISTOLOGRAFICO Cicerone è autore delle prime lettere private latine che ci siano pervenute. Tra il V e il IV secolo a.C. in Grecia si diffuse l’abitudine di scrivere lettere aperte, che continuò in età ellenistica. Nel I secolo a.C. l’epistolografia divenne un vero e proprio genere letterario, il tono della lettera doveva essere commisurato alla figura del destinatario e alla circostanza della comunicazione, il sermo epistolarium deve essere quello cotidianus. Di Cicerone si è conservato un imponente corpus di epistole comprendente 864 lettere risalenti agli anni dal 68 al 43 a.C. di cui circa 90 sono risposte che l’autore ricevette. Sono divise in quattro raccolte. -16 libri di Epistulae ad Atticum, scritte all’amico più caro di tutta la vita. -16 libri di Epistulae ad familiares, scritte a parenti e amici. -3 libri di Epistulae ad Quintum fratem, scritte al fratello Quinto. -2 libri di Epistulae ad Marcum Brutum, scritti dopo la morte di Cesare a Bruto nel 43 a.C.. Le lettere furono pubblicate dopo la morte dell’autore, la raccolta ad Attico fu pubblicata dall’amico stesso mentre le altre probabilmente dal libero Tirone. Le epistole di Cicerone rappresentano una vera miniera di notizie di carattere storico oltre che un documento umano, esse tuttavia non sono sempre espressione diretta di ciò che l’autore pensava. Alcune infatti si presentano come lettere aperte, composte per essere divulgate; Cicerone inoltre si preoccupa sempre della sua immagine politica e si attiene ai modelli propri della comunicazione epistolare. Una tipica lettera aperta è quella che apre la raccolta al fratello Quinto, che tratta del buon governo di una provincia, è composta con grande cura formale e stile solenne. Un altro esempio è la lettera a Luceio, che costituisce un piccolo trattato sulle caratteristiche di un’opera storica, Cicerone inserisce numerosi e dotti riferimenti letterari e usa uno stile elaborato. Il Cicerone vero e spontaneo è quello delle lettere ad Attico dove la confidenza e la piena fiducia rivelano le debolezze e limiti dell’autore, come la tendenza al lamento. Nelle lettere emergono anche la vitalità del personaggio e la sua brillante capacità descrittiva, esse costituiscono un raro documento del linguaggio colloquiale. Le caratteristiche principali di questo linguaggio sono la paratassi, l’uso di neologismi, diminutivi e numerosi grecismi. Questi ultimi rispecchiano l’abitudine dei romani colti, perfettamente bilingui, di ricorrere al greco in contesti non formali. Le Verrine 3. Gaio Eio è messinese, questo me lo concederanno sicuramente tutti coloro che si sono recati a Maessina, distintissimo in tutte le cose in quella città. La sua casa è la migliore di Messina, senza dubbio la più conosciuta e aperta ai nostri concittadini e molto ospitale. Quella casa prima del suo arrivo era così decorata da essere anche ornamento della città; infatti la stessa Messina, che è distinta per la posizione, le mura e il porto, è priva e libera di tutte quell cose da cui egli è dilettato realmente. Paradigmi: -accedo, accedis, accessi, accessum, ere -concedo, concedis, concessi, concessum, ere -delecto, as, avi, atum, are 4. Da Eio si trovava un santuario antichissimo di grande prestigio ereditato dagli antenati nella casa, in questo c’erano quattro bellissime statute di ottima manifattura, grande notorietà, che non solo potevano deliziare quell’uomo ingegnoso e intelligente, ma in verità anche ciascuno di noi, coloro che lui chiama ignoranti, una era il Cupido marmoreo di Prassitele; certamente ho imparato, mentre facevo l’inchiesta contro di lui, i nomi degli artisti. Suppongo che sia lo stesso artista che fece allo stesso modo il Cupido che si trova a Tespie, proprio per il quale visitano Tespie; poiché non c’è alcun altro motivo di visitarla. E propio Lucio Mummio, mentre portava via le Tespiadi, che si trovano presso il tempio della felicità, e le altre statue profane da quella città, non toccò questo Cupido marmoreo, poichè era consacrato. Paradigmi: -delecto, as, avi, atum, are -disco, discis, didici, ere -possum, potes, potui, posse -inquiro, is, inquisii, inquisitum, ere -viso, visis, visi, visum, ere -tollo, is, sustuli, sublatum, ere -attingo, is, attigi, attactum, attingere 5. Ma per tornare a quel santuario, c’era quella statua del Cupido marmoreo di cui parlo, dall’altra parte una di Ercole bronzeo, forgiato egregiamente. Si diceva fosse di Mirone, come penso, certamente. Allo stesso modo, davanti a questi dei c’erano due piccoli altari, che possono far capire a chiunque il valore sacro del santuario. C’erano inoltre due statute di bronzo, in verità non grandisisme ma di squisita bellezza, dall’aspetto e dal portamento di fanciulle, che con le mani sollevate tenevano sulle teste degli oggetti sacri, come usanza delle ragazze ateniesi; si chiamano appunto Canefore; ma di quale artista, chi? Chi mai? Ricordi bene! Dicevano che fosse Policleto. Quando qualcuno di noi arrivava a Messina, era usanza visitarle; ogni giorno permettavano di visitarle a tutti; la casa non era un onore tanto per il padrone ma per tutta la città. Paradigmi: -redeo, is, ii, itum, ire -tollo, is sustuli, sublatum, ere -sustineo, es, sustinui, sustentum, ere -voco, as, avi, atum, are -admoneo, mones, monui, monitum, ēre -dico, dicis, dixi, dictum, ere -soleo, es, solitus sum, solitum, ēre -pateo, es, patui, ēre Altri brani p649 L’elogio della costituzione mista (De Republica) p668 La scelta di scrivere in latino un trattato di filosofia (Tuscolanae disputationes) p670 L’elogio della filosofia (Tuscolanae diputationes) p678 L’interesse del singolo coincide con quello della società (De officiis) p687 Ludi di cattivo gusto e seccature forensi (Ad familiares) p689 Una cognata bisbetica (Ad Atticum)