CHIMICA TEST D'INGRESSO.pdf

Loading...
Loading...
Loading...
Loading...
Loading...
Loading...
Loading...

Full Transcript

CHIMICA LA COMPOSIZIONE DELLA MATERIA L’oggetto di studio della chimica è la materia, la quale si può definire come tutto ciò che occupa spazio e ha una massa. MISCELE E SOSTANZE La materia è fatta di atomi, particelle piccolissime che possono combinarsi tra loro in modo diverso. Riguardo alla com...

CHIMICA LA COMPOSIZIONE DELLA MATERIA L’oggetto di studio della chimica è la materia, la quale si può definire come tutto ciò che occupa spazio e ha una massa. MISCELE E SOSTANZE La materia è fatta di atomi, particelle piccolissime che possono combinarsi tra loro in modo diverso. Riguardo alla composizione chimica la materia può essere sotto forma di:  Miscele (o miscugli); Una miscela è un insieme fisico di due o più sostanze e ha composizione variabile. Considerato che una fase è una porzione di sistema in cui le proprietà chimico – fisiche intensive sono identiche in ogni punto o variano con continuità, separata dal resto da superfici limitanti, in base alla possibilità di distinguerne i componenti, le miscele vengono divise in:  Eterogenee  formate da due o più fasi. Non hanno composizione uniforme in tutti i punti del campione e i componenti sono facilmente distinguibili. Esempi sono le rocce, il sangue e il latte.  Omogenee  formate da una sola fase. La composizione è uniforme in tutti i punti del campione e i componenti non sono distinguibili. Esempi sono l’acqua del mare, il vino e l’aria. Le miscele omogenee sono chiamate anche soluzioni. Separando una miscela nei suoi componenti con metodi fisici si ottengono sostanze pure. La scelta del metodo di separazione dipende dallo stato fisico dei componenti e dalle loro proprietà chimiche e fisiche. I metodi di separazione più utilizzati sono: 1. Filtrazione: permette di separare i componenti di una miscela eterogenea costituita da un liquido e un solido sfruttando la diversa dimensione delle particelle. Si realizza facendo passare la miscela attraverso un filtro di carta assorbente. 2. Distillazione: permette di separare i componenti di una miscela sfruttandone la diversa temperatura di ebollizione. La distillazione può essere: semplice (quando si separa un liquido da una soluzione solido - liquido) o frazionata (quando si separa un liquido da una soluzione di due o più liquidi). 3. Cromatografia: permette di separare i componenti della miscela sfruttando la diversa velocità con cui questi migrano attraverso un materiale di supporto sotto la spinta di un flusso di solvente. 4. Centrifugazione: permette di separare rapidamente i componenti della miscela grazie alla loro differenza di densità sfruttando la loro forza centrifuga. 5. Estrazione con solventi: si realizza sfruttando la solubilità di una sola delle sostanze della miscela in un determinato solvente.  Sostanze (o sostanze pure). - Una sostanza pura è una porzione di materia che ha composizione uniforme, costante e ben definita. A differenza di una miscela, una sostanza pura è formata da un solo tipo di unità fondamentale: un atomo (gas nobili), una molecola (sostanze covalenti) o la cella elementare di un reticolo cristallino tridimensionale (composti ionici). In base alla possibilità di scindere o meno una sostanza in componenti più semplici, si distinguono due tipi di sostanze: 1. Composti: possono essere scissi (con procedimenti chimici) in due o più sostanze più semplici, perché formati da atomi di tipo diverso legati tra loro a formare reticoli cristallini tridimensionali o particelle chiamate molecole. Si rappresentano con la formula chimica. Hanno composizione definita e costante. La molecola o l’unità formula è la parte più piccola che possiede le proprietà chimiche di quel composto. 2. Elementi o sostanze elementari: non possono essere ulteriormente scomposti in sostanze più semplici, perché formati da atomi uguali. Sono costituite da un unico tipo di componente; hanno composizione, proprietà fisiche e proprietà chimiche definite e costanti. I termini elemento e sostanza elementare sono di solito utilizzati in modo indifferente; anche se nella maggior parte dei casi questa approssimazione è accettabile, è importante avere chiaro che un elemento è un insieme di atomi con identiche caratteristiche, mentre una sostanza elementare è una sostanza pura formata da atomi dello stesso elemento. Gli elementi non possono essere composti in sostanze più semplici. Si rappresentano con un simbolo. Le proprietà fisiche dipendono dal comportamento di un elemento che possiede le proprietà chimiche di quell’elemento. Un atomo è la minima frazione di materia che conserva le caratteristiche chimiche ma non quelle fisiche dell’elemento, in quanto incapace di esistenza fisica indipendente. È costituito dalle particelle subatomiche (protoni, elettroni, neutroni); una molecola è la porzione più piccola di una sostanza pura che ne mantiene le proprietà chimiche e fisiche ed è capace di esistenza indipendente. Le molecole vengono rappresentate da molecole che sono di due tipi: I. Formula bruta = indica il numero di atomi di ogni elemento presenti nella molecola; II. Formula di struttura = mostra in quale modo i singoli atomi di un composto sono legati fra loro. Confronto tra le caratteristiche di una miscela e quelle di un composto MISCELA COMPOSTO I componenti presenti in qualsiasi rapporto di peso I componenti presenti secondo precisi rapporti in peso I componenti separabili con mezzi fisici I componenti separabili solo con reazioni chimiche Le miscele non sono rappresentabili con formula chimica Ha una formula chimica definita PRIMI MODELLI ATOMICI Il concetto di atomo è molto antico: già Democrito nel 400 a.C. aveva proposto una teoria atomica che conteneva tutte le idee fondamentali esposte nella teoria atomica di Dalton, la prima dotata di valore scientifico perché impostata su un sistema di misure, spiegazioni e previsioni. Le prove della reale esistenza degli atomi furono fornite (alla fine del XVIII secolo) dall’osservazione che la materia coinvolta nelle trasformazioni chimiche segue due leggi fondamentali: la legge di conservazione della massa e la legge delle proporzioni definite.  Legge di conservazione della massa (Lavoisier, 1783): in una reazione chimica, la somma delle masse delle sostanze reagenti è uguale alla somma delle masse delle sostanze prodotte. In una reazione chimica la massa totale non viene né creata né distrutta, bensì si conserva.  Legge delle proporzioni definite (Proust, 1799): in una sostanza pura, gli elementi che la costituiscono sono combinati secondo un rapporto in peso definito e costante. Quando due elementi reagiscono per formare un composto, essi reagiscono secondo rapporti definiti e costanti tra le loro masse. Per spiegare il comportamento della materia esposto da queste leggi, Dalton elaborò la teoria atomica che porta il suo nome. Grazie alla legge delle proporzioni definite di Proust si stabilisce una differenza fondamentale tra composti e miscugli: nei composti gli elementi sono sempre presenti nelle stesse proporzioni, indipendentemente dalla tecnica preparativa e dalla loro origine; invece, i miscugli hanno una composizione variabile che dipende proprio dalla preparazione e dall’origine delle sostanze costituenti. Immagine presa da Wikipedia La teoria atomica di Dalton dice che quando due elementi si combinano secondo rapporti diversi per formare composti diversi, le quantità di un elemento che si combinano con una stessa quantità dell’altro elemento stanno fra loro secondo rapporti espressi da numeri interi e piccoli. Tale teoria si basa su tre postulati: 1. Tutti gli elementi sono fatti di particelle piccolissime chiamate atomi: - Gli atomi di un elemento sono uguali tra loro e hanno le stesse proprietà chimiche; - Gli atomi di elementi diversi sono diversi e hanno proprietà diverse; 2. Nelle reazioni chimiche gli atomi conservano la loro identità; 3. Gli atomi degli elementi diversi si combinano fra loro formando composti. In un dato composto, il numero relativo e il tipo di atomi di ogni elemento sono costanti. Dalton formulò la sua teoria atomica sulla base delle leggi di Proust e di Lavoisier. Può essere riassunta in alcuni punti principali: - La materia è formata da atomi; - Gli atomi sono indivisibili; - Gli atomi di uno stesso elemento sono uguali. Atomi di elementi diversi sono diversi; - Gli atomi di un elemento non possono essere trasformati in atomi di altri elementi; - Gli atomi di un elemento si combinano interi, e non per frazioni di atomo, con atomi di altri elementi; - Gli atomi non possono essere né creati né distrutti, bensì si riferiscono interi da un composto ad un altro. Le leggi quantitative della chimica, dedotte da osservazioni di tipo macroscopico sul comportamento della materia, possono essere spiegate alla luce della teoria di Dalton:  La legge della conservazione della massa si spiega in base al postulato 2. Se gli atomi si conservano anche la loro massa si conserva;  La legge delle proporzioni definite si spiega facendo riferimento al postulato 3: se il rapporto tra gli atomi degli elementi presenti in un composto è fisso, lo è anche il rapporto in peso.  Legge delle proporzioni multiple (Dalton, 1803): conseguenza della teoria atomica di Dalton è la legge delle proporzioni multiple secondo la quale: quando due elementi si combinano tra loro per dare più di un composto, le quantità in peso di uno che si combinano con una quantità fissa dell’altro, stanno tra loro in rapporti semplici esprimibili mediante numeri interi piccoli. Nel modello di Rutherford (1911) l’atomo è costituito da:  Un nucleo centrale formato da particelle cariche positivamente, dette protoni, e particelle neutre, dette neutroni (scoperti dopo il 1930). Tali particelle sono chiamate anche nucleoni. Nel nucleo risiede la quasi totalità della massa dell’atomo;  Particelle cariche negativamente dette elettroni, in movimento intorno al nucleo uguale a quello dei protoni: l’atomo isolato è elettricamente neutro. Il rapporto fra la massa di un nucleone e quella di un elettrone è pari a 1833. Il rapporto fra il raggio atomico e il raggio nucleare è pari a 10000. Ogni atomo è caratterizzato da: - Z, numero atomico = numero di protoni contenuti nel nucleo (generalmente indicato in asso a sinistra del simbolo dell’elemento); - A, numero di massa = numero di neutroni e protoni contenuti nel nucleo, cioè il numero di nucleoni del nucleo (è generalmente indicato in alto a sinistra del simbolo dell’elemento). Tutti gli atomi con lo stesso numero atomico (Z) si comportano chimicamente nello stesso modo e sono classificati come atomi dello stesso elemento chimico. Un atomo (o molecola) può cedere o acquistare uno o più elettroni (processo di ionizzazione), perdendo così la propria neutralità elettrica e trasformandosi in uno ione. Un catione (ione positivo) è un atomo che ha perso uno o più elettroni esterni. Un anione (ione negativo) è un atomo che ha acquistato uno o più elettroni esterni. Nei processi chimici sono coinvolti solo gli elettroni: protoni e neutroni non partecipano. Nel modello atomico di Rutherford, chiamato anche modello planetario, l’atomo è costituito da un piccolissimo nucleo centrale in cui sono concentrate la carica positiva e quasi tutta la massa dell’atomo, e da elettroni che gli ruotano intorno a grande distanza su orbite circolari. Tale modello risulta però in disaccordo con la teoria elettromagnetica classica, secondo la quale una carica elettrica in movimento, come l’elettrone, dovrebbe perdere gradualmente energia, descrivendo orbite di raggio sempre più piccolo, fino a cadere sul nucleo. Bohr, nel modello di Bohr (1913), si basa sul modello di Rutherford e sulla teoria quantistica, proposta da Max Planck agli inizi del secolo scorso, per proporre un nuovo modello in cui si ipotizza l’esistenza di orbite stazionarie (o stati stazionari) nelle quali gli elettroni si muovono senza irradiare energia. Secondo questo modello, ogni orbita è posta a una distanza dal nucleo specifica e determinata (dipendente dal valore di n, che è un numero intero), ovvero le orbite sono quantizzate. Un elettrone appartiene a un’orbita stazionaria (cioè non emette energia) se il valore del suo momento angolare mvr è un multiplo intero di h/2π (h è la costante di Planck e vale 6,625x10-34 Jxs). Un elettrone appartiene quindi a un’orbita stazionaria, ovvero può muoversi indefinitamente senza ℎ irradiare, se vale la relazione 𝑚𝑣𝑟 = 𝑛 𝑥 2π : dove n, detto numero quantico principale, assume valori interi. Secondo il modello di Bohr; quindi:  L’energia di un elettrone in un atomo cresce al crescere di n;  La posizione dell’elettrone dipende dal suo contenuto energetico: più un elettrone è lontano dal nucleo, maggiore è la sua energia quindi gli elettroni più lontani dal nucleo sono quelli con n maggiore;  Un atomo può scambiare energia con l’esterno solo se un suo elettrone passa da un’orbita stazionaria all’altra. Se ciò avviene, l’energia scambiata è pari alla differenza di energia tra i due stati coinvolti nella transizione. Gli scambi di energia tra un atomo e l’ambiente che lo circonda avvengono per assorbimento, o emissione, di un fotone con energia pari a hv. Se un elettrone passa dallo stato n=2 allo stato n=1 si ha l’emissione di un fotone di energia pari a: E 2-E1=hv. Quando un elettrone passa da un’orbita a un’altra, emette o assorbe quantità discrete di energia, che corrispondono alle linee nette visibili negli spettri atomici. L’energia totale di ogni orbitale è quantizzata e dipende dal numero quantico n associato all’orbita stessa: 𝑍2𝑒 2 𝐸=− 2𝑛2 𝑎0  Z è il numero atomico, e la carica elementare, n il numero quantico e a0 il raggio di Bohr. Il raggio di Bohr rappresenta la distanza minima possibile fra elettroni e nucleo: questo spiega perché gli elettroni non vanno a scontrarsi con il nucleo. Come nel modello di Bohr, nel modello ondulatorio dell’atomo (1930) l’atomo è costituito da un nucleo (contenente protoni e neutroni) e da elettroni. In questo modello, però, il movimento degli elettroni intorno al nucleo può essere rappresentato solo ricorrendo al concetto di probabilità. Dentro l’atomo, l’elettrone si trova confinato in regioni di spazio (chiamate orbitali) nelle quali non è identificabile come particella fisica poiché si comporta come se fosse una “nuvola elettronica” più o meno densa. Principio di indeterminazione di Heisenberg  afferma che è impossibile conoscere simultaneamente e con una precisione grande a piacere la posizione e la velocità (o equivalentemente la quantità di moto) di una particella. Una conseguenza di tale principio è che per un elettrone in un atomo non si può parlare di traiettoria, ma solo di regione di spazio in cui è diversa da zero la probabilità di trovare l’elettrone in un dato istante; ciò a causa della naturale incertezza nella determinazione della sua posizione. Concetto di orbitale  con la meccanica ondulatoria, al concetto di orbita di un elettrone si sostituisce quello di orbitale. Dato un elettrone di energia prefissata, si definisce orbitale la regione di spazio intorno al nucleo ove esiste un’alta probabilità (almeno del 90%) di trovare l’elettrone dato. Ogni orbitale è identificato da una funzione matematica, detta funzione d’onda ψ, che assegna alle regioni di spazio attorno al nucleo la probabilità di trovare un elettrone dotato di una certa energia. Nella funzione d’onda ψ compaiono alcune costanti numeriche, dette numeri quantici. In generale si può affermare che: Ogni orbitale è univocamente determinato dai tre numeri quantici n, l, m; Ogni orbitale può ospitare al massimo due elettroni, che differiscono l’uno dall’altro nel valore del quarto numero quantico, ms; Orbitali che ospitano elettroni di pari energia si dicono isoenergetici, o degeneri (n ed l uguali); Lo stato di un elettrone in un atomo è univocamente determinato dai valori dei suoi quattro numeri quantici n, l, m, ms. Valori numerici e significato fisico dei numeri quantici  n = numero quantico principale, indica la dimensione dell’orbitale e quindi l’energia dell’elettrone, il livello (o strato o guscio) energetico. Il numero quantico principale n assume valori interi e positivi: un più elevato valore di n corrisponde a una maggior energia dell’orbitale.  Lo strato con n = 1 veniva detto anche strato K;  Lo strato con n = 2 veniva detto anche strato L;  Lo strato con n = 3 veniva detto anche strato M;  Lo strato con n = 4 veniva detto anche strato N.  l = numero quantico secondario, indica la forma dell’orbitale (quindi il momento angolare dell’elettrone) e rappresenta il sottolivello energetico. Per un certo valore di n, l può assumere valori da 0 a (n - 1). Ai diversi valori di l corrispondono orbitali di forma diversa; i sottolivelli (e quindi gli orbitali) sono denominati con lettere:  l = 0 sottolivello s (un orbitale);  l = 1 sottolivello p (tre orbitali);  l = 2 sottolivello d (cinque orbitali);  l = 3 sottolivello f (sette orbitali).  m = numero quantico magnetico, indica l’orientamento dell’orbitale nello spazio. m può assumere valori compresi fra –l e +l.  ms = numero quantico di spin, indica il senso di rotazione dell’elettrone introno al proprio asse; può assumere i valori di +1/2 e -1/2. Numero quantico Valori possibili Significato fisico n 1, 2, 3 … Energia dell’elettrone nell’orbitale; principale Dimensione dell’orbitale; Distanza dell’elettrone dal nucleo (livello) l Numero intero fra 0 e n – 1 Forme dell’orbitale; secondario (o angolare) Valori possibili 0, 1, 2, 3 (s, p, d, Energia dell’elettrone nell’orbitale; Distanza dell’elettrone dal nucleo. f) m Numero intero fra –l e +l Disposizione spaziale degli orbitali; magnetico Numero totale degli orbitali nel sottolivello. 1 1 Vero di rotazione dell’elettrone ms + 2; − 2 di spin attorno al proprio asse Gli orbitali di un atomo aventi lo stesso n appartengono allo stesso livello energetico. Gli orbitali con lo stesso l appartengono allo stesso sottolivello o sottostrato. Dato che ogni orbitale può ospitare al massimo due elettroni si ha che:  sottolivello s  al massimo 2 elettroni;  sottolivello p  al massimo 6 elettroni;  sottolivello d  al massimo 10 elettroni;  sottolivello f  al massimo 14 elettroni. Il livello energetico con numero quantico principale n contiene n2 orbitali (fino a n = 4) e può ospitare al massimo 2 n2 elettroni. DISPOSIZIONE DEGLI ELETTRONI NEGLI ATOMI Gli orbitali atomici si dispongono intorno all’atomo in modo tale da posizione gli elettroni in corrispondenza di specifiche distanze dal nucleo: i livelli e i sottolivelli. La distribuzione degli elettroni nei vari livelli e sottolivelli energetici di un atomo si rappresenta con una notazione indicata come configurazione elettronica. Per scrivere correttamente la configurazione elettronica occorre conoscere l’ordine con cui sono riempiti i vari orbitali. L’ordine di riempimento è basato su tre regole: principio di Aufbau; principio di esclusione di Pauli; principio della massima molteplicità (o regola di Hund). I. Principio di Aufbau: gli elettroni si dispongono in un atomo occupando prima gli orbitali liberi con energia minore. L’energia di un orbitale dipende in prima istanza dal suo numero quantico principale n e in secondo luogo dal suo numero quantico secondario l. l’energia di un orbitale aumenta all’aumentare di n; a parità di n l’energia degli orbitali aumenta all’aumentare di l. l’ordine di energia crescente per i primi otto sottolivelli è: 1s, 2s, 2p, 3s, 3p, 4s, 3d, 4p… si noti che il riempimento del quarto livello inizia prima del completamento del terzo. L’energia degli orbitali nd è infatti superiore a quella degli orbitali (n + 1)s. l’energia degli orbitali nf è superiore a quella degli orbitali (n + 1)p e (n + 1)s. II. Principio di esclusione di Pauli: in un atomo non possono coesistere due o più elettroni che abbiano i quattro numeri quantici uguali. Ogni orbitale può quindi ospitare al massimo due elettroni, che devono avere spin opposto. III. Principio della massima molteplicità (regola di Hund): se sono disponibili orbitali di pari energia (degeneri), gli elettroni si distribuiscono singolarmente, con spin paralleli (cioè tutti con ms = ½ oppure tutti con ms = - ½), sul numero massimo possibile di questi. Elemento Numero atomico Configurazione esterna H 1 1s1 He 2 1s2 Li 3 1 s22s1 Be 4 1 s22s2 B 5 1 s22s22p1 C 6 1 s22s22p2 N 7 1 s22s22p3 O 8 1 s22s22p4 F 9 1 s22s22p5 Ne 10 1 s22s22p6 Na 11 1 s22s22p23s1 Mg 12 1 s22s22p23s2 Al 13 1 s22s22p23s23p1 Si 14 1 s22s22p23s23p2 P 15 1 s22s22p23s23p3 S 16 1 s22s22p23s23p4 Cl 17 1 s22s22p23s23p5 Ar 18 1 s22s22p23s23p6 TAVOLA PERIODICA DEGLI ELEMENTI (o tavola di Mendeleev) Immagine presa da Wikipedia Ogni elemento chimico è individuato tramite un nome e un simbolo costituito da una o due lettere (generalmente ricavate dal nome inglese o latino), di cui la prima sempre maiuscola e la seconda sempre minuscola. La tavola periodica è uno schema ordinato di tutti gli elementi costituenti la materia. Il primo tentativo di ordinare gli elementi conosciuti si deve a Wolfgang Dobereiner nella prima metà dell’Ottocento: egli rilevò che a gruppi di tre, gli elementi presentavo notevoli somiglianze. Ipotizzò che la massa atomica dell’elemento centrale della triade potesse essere la media aritmetica delle masse atomiche degli altri due elementi. Mendeleev ideò la tavola periodica degli elementi, che ordinava gli elementi secondo il loro peso atomico e sfruttava la periodicità delle proprietà chimiche, per riunire negli stessi gruppi gli elementi con proprietà chimiche simili. Contava in principio 63 elementi noti e numerosi spazi vuoti per gli elementi previsti dalla teoria, alcuni dei quali sarebbero stati scoperti solo nella seconda metà del Novecento. Nella tavola periodica, gli elementi sono incasellati in ordine di numero atomico crescente in file orizzontali, andando a capo quando inizia il riempimento di un nuovo livello energetico. Ogni riga orizzontale è detta periodo e corrisponde al riempimento degli orbitali di un livello. Ogni colonna è detta gruppo. Gli elementi di uno stesso gruppo hanno la stessa configurazione elettronica esterna, ovvero lo stesso numero di elettroni nel livello energetico esterno: questo viene definito livello o guscio di valenza e gli elettroni che vi risiedono sono detti elettroni di valenza. Ogni elemento viene rappresentato sulla tavola periodica con un simbolo formato da una o due lettere. Attorno al simbolo sono presenti diversi numeri. In alto a destra generalmente è presente il numero atomico, mentre in alto a sinistra la massa atomica. È possibile trovare anche il valore dell’elettronegatività e dell’energia di prima ionizzazione. Potrebbero essere presenti anche i valori dei possibili stati di ossidazione e la configurazione elettronica. I periodi sono 7 (corrispondenti ai sette livelli energetici) e sono indicati con numeri arabi. I gruppi sono invece tradizionalmente indicati con numeri romani e con la lettera A (8 gruppi) o B (10 gruppi). Gli elementi dei gruppi A sono chiamati elementi rappresentativi e hanno gli elettroni più esterni negli orbitali s o p. Gli elementi dei gruppi B sono detti elementi di transizione e hanno il sottolivello d parzialmente riempito. Nel sesto e nel settimo periodo sono inserite due file di elementi chiamati elementi di transizione interna (lantanidi e attinidi), caratterizzati dal sottolivello f parzialmente riempito. I gruppi vanno a determinare ciò che va a succedere negli strati di valenza. Strato di valenza  orbita elettronica più esterna. Gli elettroni che si trovano sull’ultimo strato vengono definiti elettroni di valenza. Gli elementi di uno stesso gruppo presentano una disposizione simile degli elettroni più esterni. Gli elettroni di valenza determinano le caratteristiche chimiche di un elemento. Per evitare equivoci causati dal fatto che nella tavola periodica esistono gruppi A e gruppi B, la IUPAC ha proposto una numerazione dei gruppi basata su un numero progressivo da 1 a 18: così I A e II A diventano 1 e 2; III B, IV B, V B, VI B, VII B, VIII B, I B e II B vanno da 3 a 12; III A, IV A, V A, VI A, VII A e VIII A (o gruppo 0) da 13 a 18. Attualmente sono in uso entrambi i sistemi. La tavola periodica può essere anche suddivisa in blocchi: blocco s  gruppi 1 (I A) e 2 (II A); elementi che hanno l’ultimo elettrone in un orbitale s blocco p  gruppi 13-18 (III A – VIII A); elementi che hanno l’ultimo elettrone in un orbitale p blocco d  gruppi 3-12 (gruppi B); elementi che hanno l’ultimo elettrone in un orbitale d blocco f  elementi che hanno l’ultimo elettrone in un orbitale f Come si determina la configurazione elettronica esterna > la configurazione elettronica esterna corrisponde alla disposizione dei soli elettroni di valenza. È importante distinguere due casi: gli elementi rappresentativi e gli elementi di transizione. Il numero di elettrone di valenza degli elementi rappresentativi appartenenti ai gruppi I A – VIII A corrisponde al gruppo di appartenenza. Il livello di valenza, nei gruppi rappresentativi, è caratterizzato dal progressivo riempimento degli orbitali s e p (il primo tipo ospita al massimo due elettroni e il secondo sei elettroni). Gli elementi del gruppo I A avranno un elettrone di valenza disposto nel sottolivello s, gli elementi del gruppo II A avranno due elettroni di valenza disposti nel sottolivello s; dal gruppo III A al gruppo VIII A inizia il progressivo riempimento del sottolivello p. I metalli di transizione costituiscono un blocco di elementi posto, a partire dal 4° periodo, fra il gruppo II A e III A; sono suddivisi in gruppi indicati con la lettera B. Mentre il livello di valenza, dei gruppi rappresentativi, è caratterizzato dal riempimento degli orbitali s e p, nei metalli di transizione è in via di riempimento il sottolivello d. La base logica del sistema periodico sta nella periodicità della configurazione elettronica esterna degli atomi che si riflette nella periodicità delle loro proprietà chimiche. Le proprietà chimiche degli atomi sono determinate in prima istanza dalla configurazione elettroniche dello strato più esterno che contiene elettroni. Dimensione atomica (raggio atomico): secondo il modello ondulatorio, la nube elettronica non ha un confine ben definito; non è quindi possibile determinare con precisione il confine di un atomo. Generalmente, i raggi atomici sono dedotti da misure di distanza tra i centri di atomi adiacenti: per convenzione, infatti il raggio atomico è definito come la metà della distanza tra i nuclei di due atomi dello stesso elemento in una molecola biatomica (raggio covalente). La dimensione atomica aumenta lungo i gruppi dall’alto verso il basso, perché in un gruppo, dall’alto verso il basso, aumenta il valore di n, quindi il guscio orbitalico in corso di riempimento è più distante dal nucleo. La dimensione atomica diminuisce da sinistra a destra lungo i periodi, perché procedendo da sinistra a destra aumenta il numero di protoni nel nucleo e quindi la capacità di attrazione del nucleo nei confronti del guscio che è in corso nel riempimento. È la metà della distanza minima di avvicinamento tra due atomi dello stesso elemento. È quindi una misura delle dimensioni dei suoi atomi. È una grandezza difficilmente definibile in quanto in un atomo non esiste un confine netto: la probabilità di trovare un elettrone diminuisce all’aumentare della distanza dal nucleo ma non è mai zero. Il raggio atomo aumenta lungo un gruppo e diminuisce lungo un periodo. Potenziale (o energia) di ionizzazione (EI) = il potenziale di ionizzazione è l’energia necessaria per sottrarre un elettrone a un atomo, ottenendo un catione. Si definisce energia di prima ionizzazione l’energia necessaria per strappare l’elettrone più esterno a un atomo neutro (allo stato gassoso) ed energia di seconda ionizzazione l’energia necessaria per trappare l’elettrone più esterno a un catione con carica +1. L’energia di ionizzazione cui si fa normalmente riferimento è l’energia di prima ionizzazione, grandezza che varia nella tavola periodica in modo opposto a quello della dimensione atomica: aumenta quindi lungo i periodi e diminuisce lungo i gruppi. Considerando la seconda, la terza e le successive ionizzazioni, togliere elettroni a un atomo diventa sempre più difficile, perché occorre allontanare cariche negative da un corpo la cui carica positiva aumenta a ogni successiva ionizzazione. Per ciascun elemento, l’energia di prima ionizzazione presenta il valore più basso, mentre le energie delle successive ionizzazioni aumentano come previsto, ma gli incrementi mostrano salti bruschi in corrispondenza di particolari elettroni. energia necessaria per riuscire a strappare un elettrone da un elemento; viene espressa in kJ/mol. Si può considerare come l’energia associata alla reazione di formazione del catione a partire dall’elemento neutro. Aumenta lungo i periodi (da sinistra a destra) e aumenta salendo lungo i gruppi (dal basso verso l’alto). Nel 1932 Pauling fu il primo a proporre una scala di elettronegatività. Indipendentemente dalla scala prescelta i valori di elettronegatività mostrano un andamento abbastanza regolare lungo la tavola periodica degli elementi. È determinata da fattori come la carica nucleare (più protoni ha un atomo, più attrarrà gli elettroni) e il numero e posizione degli altri elettroni presenti nei vari orbitali atomici (più elettroni ha un atomo, più sono lontani dal nucleo gli elettroni di valenza, che saranno quindi soggetti a una minor attrazione da parte del nucleo, sia perché più lontani, sia perché schermarti dagli altri elettroni presenti negli orbitali a energia inferiore). Affinità elettronica (AE)  energia che si libera quando un atomo neutro acquista un elettrone, trasformandosi in un anione: il suo modulo aumenta lungo i periodi e diminuisce lungo i gruppi. È l’energia associata alla reazione di formazione dell’anione a partire dall’elemento neutro. Elettronegatività  tendenza dell’atomo ad attirare su di sé gli elettroni di legame. Aumenta lungo i periodi e diminuisce lungo i gruppi. L’elettronegatività è una grandezza a dimensionale il cui valore si esprime mediante una scala che va da 0 a 4. L’elettronegatività dei gas nobili è 0 per definizione. Tra gli altri elementi, il più elettronegativo è il fluoro (F) con 4,0 e il meno elettronegativo è il cesio (Cs) con 0,7. Misura la sua tendenza ad attrarre gli elettroni di legame da un altro elemento. L’elettronegatività aumenta lungo un periodo e diminuisce lungo un gruppo. La struttura di Lewis permette di rappresentare la struttura elettronica dello strato di valenza degli elementi dei gruppi principali. In base alle proprietà chimiche, gli elementi della tavola periodica possono essere classificati in tre gruppi: metalli, non metalli e semimetalli. - Metalli  sono localizzati a sinistra della linea spezzata che va dal boro all’astato nella tavola periodica. I metalli hanno pochi elettroni nel livello esterno, bassa energia di ionizzazione, bassa affinità elettronica, bassa elettronegatività e formano facilmente ioni positivi. A temperatura ambiente sono generalmente solidi, hanno punti di fusione e densità elevati, sono duttili, malleabili, lucenti e hanno alta conducibilità termica ed elettrica (il carattere metallico diminuisce lungo un periodo da sinistra e destra e aumenta lungo un gruppo dall’alto verso il basso). L’idrogeno (H) è un caso particolare: pur avendo una configurazione elettronica da metallo, possiede le caratteristiche di un non – metallo. - Non metalli  sono localizzati a destra della linea spezzata che va dal boro all’astato nella tavola periodica. Ai non metalli mancano pochi elettroni per completare il livello esterno e hanno alta energia di ionizzazione, alta affinità elettronica e alta elettronegatività, formano quindi facilmente ioni negativi. Non sono né duttili, né malleabili né lucenti e hanno bassa conducibilità termica ed elettrica. Sono caratterizzati dalla loro bassa conducibilità elettrica e termica e dalla tendenza a formare ioni negativi (anioni) in soluzioni acquose. Molti di essi sono componenti fondamentali di molecole biologiche. - Semimetalli  sono localizzati a cavallo della linea spezzata che divide i metalli dai non metalli e hanno proprietà intermedie tra quelle degli altri due gruppi. La loro reattività chimica dipende dall’atomo con cui si legano. Gli elementi classificati come semimetalli sono: boro (B), silicio (Si), germanio (Ge), arsenico (As), antimonio (Sb) e tellurio (Te). Alcuni gruppi della tavola periodica hanno denominazioni proprie: 1. I A o 1: metalli alcalini  combinati con acqua formano composti alcalini (basici). Nei loro composti assumono invariabilmente numero di ossidazione +1; 2. II A o 2: metalli alcalino – terrosi  proprietà simili ai metalli alcalini: combinati con acqua formano composti alcalini (basici). Nei loro composti assumono invariabilmente numero di ossidazione +2; 3. Elementi di transizione  detti anche metalli di transizione o metalli del blocco d, sono quaranta elementi chimici, tutti metallici. Le loro proprietà chimiche rappresentano una transizione graduale tra gli elementi dei gruppi principali. La loro configurazione elettronica gli conferisce proprietà uniche, come ad esempio la capacità di formare composti colorati e la capacità di avere più di uno stato di ossidazione; 4. VII A o 17: alogeni  il nome deriva dalla parola greca “halos”, che significa sale. Ciò riflette il fatto che questi elementi si trovano spesso sotto forma di Sali in natura. Formano legami con elementi sia metallici che non metallici; 5. VIII A o 18: gas nobili  gli atomi di questi elementi hanno lo strato esterno di elettroni completamente riempito, questo comporta una stabilità elettronica così elevata che tendono a reagire con altri atomi per formare legami chimici. Sono chiamati perché hanno una tendenza molto bassa a reagire con altri elementi. 6. Lantanidi  sono un gruppo di 15 elementi. Sono anche chiamati terre rare e sono utilizzati in molte applicazioni tecnologiche. 7. Attinidi  sono un gruppo di 15 elementi radioattivi e si decompongono spontaneamente emettendo particelle α e β. A causa della loro instabilità nucleare, sono di interesse principalmente per la loro chimica e fisica nucleare. Potenziale di ionizzazione Affinità elettronica Elettronegatività Metalli Basso Bassa Bassa Non metalli Alto Alta Alta Gas nobili Molto alto Nulla Nulla Proprietà degli elementi variano con regolarità lungo la tavola periodica in base alla variazione periodica della configurazione elettronica. ISOTOPI immagine presa da Wikipedia Isotopi = atomi aventi lo stesso numero atomico (atomi dello stesso elemento), ma diverso numero di massa perché contenenti un diverso numero di neutroni. Un determinato isotopo si rappresenta scrivendo in alto a sinistra il numero di massa e in basso a sinistra il numero atomico vicino al simbolo dell’elemento. Gli isotopi di un elemento occupano lo stesso posto nella tavola periodica e hanno lo stesso nome. L’unico elemento i cui isotopi hanno un nome proprio è l’idrogeno che ha tre isotopi: i. Idrogeno o Prozio (1 protone; 0 neutroni); ii. Deuterio (1 protone; 1 neutrone); iii. Trizio (1 protone; 2 neutroni). La maggior parte degli elementi possiede due o più isotopi stabili; gli isotopi instabili sono radioattivi ed emettono radiazioni α, β e γ per stabilizzarsi. Avendo lo stesso numero di protoni, e quindi di elettroni, gli isotopi di un dato elemento hanno le stesse proprietà chimiche. Avendo diverso numero di massa, gli isotopi di un dato elemento hanno diversa massa atomica. MASSA ATOMICA E MASSA MOLECOLARE Si definisce unità di massa atomica (u.m.a. o u) la quantità di materia pari a 1/12 della massa di un atomo di isotopo 12 del carbonio a cui è stata attribuita, per convenzione, una massa pari 12. 1 u.m.a. = 1,67 ∙ 10-27 kg = 1,67 ∙ 10-24 g La massa atomica relativa di un elemento (detta anche massa atomica) è pari al rapporto fra la massa assoluta dell’atomo e l’unità di massa atomica. Questa grandezza si trova spesso indicata come peso atomico. Si può trovare abbreviata in modi diversi, fra cui MA, PA e mr. i valori di massa atomica di ciascun elemento sono riportati sulla tavola periodica degli elementi. Questi valori sono il risultato della media della massa dei diversi isotopi di un elemento, tenuto conto dell’abbondanza relativa di ogni isotopo in natura. La massa molecolare relativa è uguale alla soma delle masse atomiche degli atomi che costituiscono la molecola, ognuna moltiplicata per il rispettivo indice. È spesso indicata come peso molecolare. In forma abbreviata si trova M, MM o PM. Se si considerano composti ionici, che non sono costituiti da molecole distinte, si utilizza il peso formula (PF), corrispondente alla somma dei pesi atomici degli atomi che compaiono nella formula minima, ognuno moltiplicato per il rispettivo indice. Generalmente però, anche se sarebbe corretto utilizzare il peso formula, il termine massa molecolare o peso molecolare viene utilizzato per tutte le sostanze chimiche. IL CONCETTO DI MOLE La mole è la quantità di materia che contiene un numero di entità elementari pari al numero di atomi presenti in 12 grammi di carbonio-12. È l’unità di misura fondamentale del Sistema Internazionale. Una mole di qualsiasi sostanza contiene 6,02 x 10 23 unità elementari di quella sostanza. Il numero 6,02 ∙ 1023 è detto numero di Avogadro (NA). da questa definizione deriva che una mole (mol) di un elemento (o di un composto) corrisponde alla quantità di sostanza il cui peso, espresso in grammi, è pari numericamente al suo peso atomico (o peso molecolare o peso formula). Utilizzando la massa molecolare in senso generico, per tutti i tipi di composti, possiamo dire che la massa di una mole di una sostanza, indicata come massa molare (o peso molare), corrisponde numericamente alla massa molecolare e può essere indicata con la stesa simbologia (MM o PM) ed espressa in g/mol. Il termine mole oggi viene utilizzato per qualsiasi tipo di unità elementare: atomo, molecola, ione o formula. In alcuni casi si possono trovare formule ormai in disuso, per esempio grammoatomo per indicare una mole di atomi. Calcolo del numero di moli  mediante una semplice formula è possibile calcolare a quante moli corrisponde una data massa di sostanza (in grammi) e viceversa. Il numero di moli (n) si calcola dividendo la massa data (m) per la massa di una mole della sostanza considerata, indicata genericamente come peso molare, PM, ed espressa in g/mol. 𝑚(𝑔) 𝑛 = 𝑃𝑀 (𝑔/𝑚𝑜𝑙) La legge di Avogadro stabilisce che a parità di condizioni di pressione e temperatura, volumi uguali di gas diversi contengono un ugual numero di molecole (e quindi anche un ugual numero di moli). In condizioni di temperatura = 0 °C e pressione = 1 atm, una mole di qualsiasi gas occupa un volume di 22,4 litri. (In chimica le condizioni di temperatura = 0 °C e pressione = 1 atm sono note come condizioni standard. In alcuni casi, però, queste stesse condizioni sono anche indicate come normali, mentre in alcuni settori specifici, come termochimica e termodinamica, le condizioni standard indicano una temperatura pari a 25 °C) La materia ha tre stati di aggregazione: 1. Stato solido = stato condensato, dotato di forma e volume propri; strutture caratterizzate da ordine a corto raggio (fra particelle adiacenti) e ordine a lungo raggio (a distanze superiori, nelle tre dimensioni dello spazio); solidi cristallini  strutture altamente ordinate e simmetriche chiamate reticoli cristallini. La più piccola unità ripetitiva è la cella elementare. I solidi non sono comprimibili. 2. Stato liquido = stato condensato dotato di volume proprio, ma non di forma propria. Gli atomi o le molecole possono scorrere gli uni sugli altri. Viscosità  proprietà di un liquido che indica la resistenza allo scorrimento da esso incontrata. I fluidi non sono comprimibili. 3. Stato gassoso = stato non condensato; privo di forma e volume propri. Le particelle possono occupare tutto lo spazio a disposizione. Le particelle di gas urtano le pareti del recipiente che le contiene e generano una pressione. Sono fluidi comprimibili: possono essere costretti a occupare un volume minore. I passaggi di stato sono dei fenomeni fisici, detti anche transizioni di fase. I gas perfetti, o ideali, ubbidiscono ad alcune leggi sperimentali, dove le temperature T sono misurate in kelvin.  Legge di Boyle (T = costante)  P ∙ V = costante  Legge di Charles (P = costante)  V/T = costante  Legge di Gay-Lussac (V = costante)  P/T = costante Le tre leggi si riassumono nell’equazione di stato dei gas perfetti (o legge di Clapeyron) che lega tra loro i valori delle funzioni di stato di un gas perfetto: P x V = n x R x T, dove T è la temperatura espressa in kelvin, n è il numero di moli e R è la costante di stato dei gas perfetti e vale: 𝐽 𝑙𝑖𝑡𝑟𝑖 𝑥 𝑎𝑡𝑚 R = 8,318 𝐾 𝑥 𝑚𝑜𝑙𝑒 = 0,082 𝐾 𝑥 𝑚𝑜𝑙𝑒 FORMULE CHIMICHE Ogni sostanza può essere rappresentata nel modo più semplice attraverso una formula chimica, formata dai simboli degli elementi costituenti, che ne indica la composizione qualitativa (quali elementi fanno parte della sostanza) e quantitativa (il rapporto di combinazione tra gli elementi). Esistono diversi tipi di formule. I. La formula bruta (o grezza) indica esclusivamente il tipo e il numero di atomi che compongono la molecola, senza mostrare come questi sono legati tra loro. La formula viene scritta ponendo uno dopo l’altro, generalmente in ordine crescente di elettronegatività, i simboli degli elementi che formano il composto. Il rapporto quantitativo (stechiometrico) tra essi evidenzia associando a ogni simbolo un indice numerico che rappresenta il numero di atomi di un dato elemento contenuti in una molecola (o in formula minima) del composto. La formula bruta può essere espressa come:  Formula minima  indica il rapporto minimo di combinazione tra gli elementi nel composto;  Formula molecolare  indica il rapporto effettivo di combinazione tra gli elementi in una molecola. II. La formula di struttura indica la disposizione spaziale degli atomi nella molecola, mostrando come gli atomi sono legati tra loro e con quale tipo di legame. I composti possono essere suddivisi in due gruppi: molecolari e ionici. I composti molecolari sono formati da molecole; i composti ionici sono formati da ioni positivi e negativi organizzati in modo tale da formare reticoli cristallini tridimensionali. La formula di un composto molecolare è generalmente espressa come formula molecolare (con qualche eccezione, come i polimeri), quella di un composto ionico è sempre una formula minima. CHIMICA NUCLEARE Per determinare la formula chimica di un composto è conoscerne la composizione qualitativa, cioè gli elementi di cui è costituito, e quantitativa, vale a dire la percentuale in peso di ogni elemento. Nota la composizione percentuale si può ricavare il rapporto atomico di combinazione tra gli elementi e risalire così alla formula minima del composto. Calcolo della formula molecolare  per calcolare la formula molecolare di un composto è necessario conoscerne l formula minima e il peso molecolare, quindi si moltiplicano gli indici ricavati della formula minima per un valore pari al rapporto fra il peso molecolare e il peso formula della formula minima. Nota la formula molecolare di un composto è possibile calcolarne la composizione percentuale, ovvero la percentuale in peso di ogni elemento X presente nel composto. 𝑚𝑎𝑠𝑠𝑎 𝑑𝑖 𝑋 𝑖𝑛 𝑢𝑛𝑎 𝑚𝑜𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑜𝑠𝑡𝑜 % 𝑒𝑙𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑋 = ∙ 100 𝑚𝑎𝑠𝑠𝑎 𝑚𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑑𝑖 𝑢𝑛 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑜𝑠𝑡𝑜 La chimica nucleare riguarda le reazioni nucleari, cioè quelle che coinvolgono il nucleo degli atomi. In una reazione chimica sono coinvolti solo gli elettroni di valenza; reagenti e prodotti contengono gli stessi elementi. In una reazione nucleare sono coinvolti i nuclei dei reagenti; i prodotti sono costituiti da elementi diversi da quelli di partenza, quindi varia la massa. Viene consumata o prodotta una grande quantità di energia. Nel corso di una reazione di decadimento radioattivo, il nucleo di un isotopo instabile si trasforma in un nucleo stabile emettendo allo stesso tempo particelle α, β o radiazioni γ. La datazione tramite isotopi radioattivi si basa sul fatto che questi atomi, nel corso del tempo, emettono radiazioni e si trasformano in atomi diversi. Ogni isotopo radioattivo ha un caratteristico tempo di dimezzamento: noto questo parametro, andando a misurare in un campione la quantità di uno specifico isotopo radioattivo, è possibile stabilire a quando risale il campione considerato. Nel corso di una reazione nucleare indotta un nuclide stabile, bombardato con protoni, neutroni, elettroni o positroni (elettroni positivi) si trasforma in altro nuclide, stabile o instabile. Una reazione nucleare è bilanciata quando: Ʃ (Z) reagenti = Ʃ (Z) prodotti e Ʃ (A) reagenti = Ʃ (A) prodotti La massa di un nuclide è sempre di poco inferiore alla somma delle masse dei vari costituenti (elettroni e nucleoni). L’energia prodotta è data da: E = 931,5 (MeV u.m.a.-1) ∙ Δm (u.m.a.) I LEGAMI CHIMICI Solo i gas nobili si trovano in natura allo stato monoatomico. Gli altri atomi isolati sono estremamente instabili e tendono a legarsi tra loro attraverso i legami chimici per formare sostanze pure, ovvero sostanze elementari o composti. Escludendo i metalli allo stato elementare, le sostanze pure possono essere di due tipi: molecolari o ioniche. Le sostanze molecolari sono formate da molecole, i composti ionici da aggregati di ioni positivi e negativi, organizzati in reticoli cristallini tridimensionali. Nonostante l’enorme numero di combinazioni possibili fra gli atomi, non sono tutte realizzabili: un composto si forma solo se la sua energia potenziale è minore dei singoli atomi che lo costituiscono. Soltanto se due atomi liberano energia durante il processo di formazione del composto si forma il legame chimico. Due o più atomi si uniscono tramite un legame chimico perché l’insieme di atomi che si forma ha energia minore degli atomi separati ed è quindi più stabile. ELETTRONI DI VALENZA E SIMBOLI DI LEWIS Nella formazione dei legami chimici sono coinvolti solo gli elettroni, in particolare gli elettroni contenuti nel livello energetico più esterno, chiamati elettroni di valenza. Per gli elementi dei gruppi A, il numero di elettroni di valenza è uguale al numero del gruppo cui un elemento appartiene. Gli elettroni di valenza di un elemento possono essere rappresentati graficamente mediante il simbolo di Lewis, costituito dal simbolo chimico dell’elemento circondato da un numero di punti pari al suo numero di elettroni di valenza. REGOLA DELL’OTTETTO La configurazione elettronica esterna dei gas nobili (s2p6) è chiamata ottetto. Tale configurazione è esternamente stabile ed è responsabili dell’inerzia chimica dei gas nobili. La regola dell’ottetto afferma che gli atomi, nella formazione di legami (covalenti, dativi o ionici), tendono a raggiungere tale configurazione elettronica mediante: A. Condivisione di elettroni  formazione di un legame covalente; B. Perdita o acquisto di elettroni  formazione di un legame ionico. La regola dell’ottetto non è però valida universalmente; non vale, per esempio, per gli elementi di transizione. Ogni atomo tende a cedere, acquisire o mettere in comune gli elettroni di valenza per raggiungere la configurazione elettronica del gas nobile più vicino. Siccome ogni elemento tende ad avere lo strato di valenza pieno (con 8 elettroni) cercherà di fare dei legami con altri atomi per raggiungere questa configurazione. Idrogeno ed elio riempiono il loro strato di valenza con 2 elettroni (seguono la regola del “duetto”). Un atomo raggiunge il massimo della stabilità acquistando, cedendo o condividendo elettroni con un altro atomo in modo da raggiungere l’ottetto nella sua configurazione elettronica esterna, simile a quella del gas nobile nella posizione più vicina nella tavola periodica. ENERGIA DI LEGAMI La formazione di un legame chimico è un fenomeno spontaneo, che avviene in accordo con il principio fisico secondo il quale ogni sistema tende a raggiungere uno stato di minima energia potenziale, a cui corrisponde la massima stabilità. Una molecola generica A – B si forma se la sua energia è minore dell’energia totale dei due atomi A e B isolati. Quando i due atomi si legano, si libera quindi una certa quantità di energia, pari alla differenza di energia tra lo stato iniziale e quello finale. L’energia che si libera dall’atto della formazione di un legame, o che bisogna fornire dall’esterno per romperlo, è detta energia di legame. La forza di un legame è proporzionale al valore dell’energia di legame. Un legame tra due o più atomi si forma se i due atomi legati insieme sono più stabili rispetto a quando sono soli. Inoltre i legami si formano seguendo la regola dell’ottetto. Nonostante l’enorme numero di combinazioni possibili fra gli atomi, non tutte sono realizzabili: soltanto se due atomi liberano energia durante il processo di formazione del composto si forma il legame chimico. L’energia che serve per far stare insieme due atomi che si trovano bene insieme è minore di quella che servirebbe per farli stare da soli. Gli atomi si legano insieme perché sono più stabili rispetto a quando sono distanti. Attrazione e repulsione sono bilanciate. I legami chimici si dividono in legami tra atomi (intramolecolari) e legami tra molecole (intermolecolari). I legami intramolecolari si dividono in covalente, ionico e metallico. Il legame covalente si divide in singolo, multiplo [puro (apolare o omopolare – differenza di elettronegatività minore di 0,4) o polare (eteropolare – differenza di elettronegatività tra 0,4 e 1,9)], dativo. Tra i legami intermolecolari si ha il legame idrogeno, il legame dipolo – dipolo [dipolo permanente – dipolo permanente (forza di Keesom)], legame dipolo permanente [dipolo indotto (forza di Debye)] e infine il legame dipolo istantaneo [dipolo indotto (forza di London)]. Questi legami intermolecolari sono molto deboli e vengono chiamate forze di interazione. LEGAME COVALENTE Un legame covalente si forma quando due atomi con elettronegatività uguale o simile mettono in comune uno o più elettroni spaiati ciascuno, in nomo da raggiungere entrambi l’ottetto, o secondo una visione più moderna, una configurazione elettronica stabile. La coppia condivisa appartiene simultaneamente a entrambi gli atomi. Un legame covalente è costituito da una coppia di elettroni condivisa da due atomi; si forma tra atomi la cui differenza di elettronegatività sia inferiore a 1,7. Se i due atomi sono identici il legame è covalente puro. Gli elettroni sono messi in compartecipazione per raggiungere l’ottetto e appartengono in contemporanea a entrambi gli atomi che li condividono. È caratteristico delle molecole diatomiche, ma la tendenza a mettere in comune elettroni si manifesta anche atra atomi di natura diversa. La lunghezza di legame è la distanza che intercorre tra i nuclei di due atomi uniti da un legame covalente; aumenta all’aumentare delle dimensioni atomiche e al diminuire della forza di legame. Perché il legame si formi, due atomi devono avvicinarsi a sufficienza. Man mano che i due atomi si avvicinano gli elettroni dell’uno iniziano a risentire anche della forza di attrazione elettrostatica esercitata dal nucleo dell’altro, e viceversa. Contemporaneamente, però, inizia a esercitare il suo effetto anche la forza di repulsione che si manifesta sia tra i due nuclei, carichi positivamente, sia tra le due nuvole elettroniche dei due atomi. La distanza tra i due nuclei in corrispondenza della quale si instaura un equilibrio tra le forze attrattive nucleo – elettroni e le forze repulsive nucleo – nucleo ed elettroni – elettroni rappresenta la lunghezza del legame, si misura in Å (angstrom) e si determina sperimentalmente. L’energia in corrispondenza di questo minimo è l’energia di legame: si determina sperimentalmente e viene di solito espressa in kcal/mol. L’energia di legame è la quantità di energia che è necessario fornire a una mole di sostanza per rompere il legame fra i suoi atomi. Tanto maggiore è l’energia di legame, tanto più stabile è il composto, tanto è più forte il legame che si è instaurato tra gli atomi. È l’energia che si deve fornire per rompere il legame. La lunghezza del legame è proporzionale al raggio degli atomi legati, e inversamente proporzionali alla forza (e quindi all’energia) del legame. Il legame covalente è direzionale. La distribuzione delle coppie di elettroni condivisi (doppietti di legame) e non condivisi (doppietti non partecipanti al legame, chiamati anche doppietti solitari) in una molecola può essere rappresentata mediante la sua struttura di Lewis. In base al numero di coppie condivise (o doppietti condivisi) il legame covalente tra due atomi può essere: semplice [formato da una coppia di elettroni condivisi]; doppio [formato da due coppie di elettroni condivisi]; triplo [formato da tre coppie di elettroni condivisi]. Il numero di coppie di elettroni di legame viene detto ordine di legame. Maggiore è l’ordine di legame, maggiore è la forza complessiva che tiene uniti gli atomi e quindi maggiore l’energia complessiva di legame e più breve la distanza di legame. Il legame covalente può essere: 1. Singolo: se è condivisa una sola coppia di elettroni; 2. Doppio: se sono condivise due coppie di elettroni; 3. Triplo: se sono condivise tre coppie di elettroni. Quando si forma un legame covalente, due orbitali atomici si sovrappongono e si fondono formando un orbitale molecolare, di energia e forma diversa rispetto agli orbitali di partenza. Un orbitale molecolare è la regione di spazio occupata da una coppia di elettroni di legame che circonda entrambi i nuclei dei atomi legati. La forma dell’orbitale molecolare dipende dal tipo di orbitali atomici di partenza e dalla loro modalità di sovrapposizione:  Se la sovrapposizione è frontale (testa/testa) si forma un nucleo covalente σ, formato da un orbitale che circonda da ogni parte l’asse che congiunge i due nuclei;  Se la sovrapposizione è laterale (fianco/fianco) si forma un legame π, formato da un orbitale a due lobi giacente su un piano che contiene la congiungente i due nuclei. Il legame π si forma solo per sovrapposizione laterale di orbitali p. A causa della maggiore sovrapposizione degli orbitali il legame σ è più forte del legame π. Un legame covalente semplice è sempre di tipo σ. Il legame doppio è formato da un legame σ e un legame π. Il legame triplo è formato da un legame σ e due legami π. POLARITÀ DEL LEGAME COVALENTE In base alla differenza di elettronegatività tra gli atomi legati, il legame covalente può essere puro (o omopolare) oppure polare (o eteropolare). Legame covalente puro  si forma tra atomi con elettronegatività uguale o simile. È caratterizzato da una condivisione equa della coppia di elettroni di legame, quindi la nuvola elettronica dell’orbitale molecolare è simmetrica e non si ha nessuna separazione di carica elettrica. Legame covalente polare si forma tra atomi diversi con piccola differenza di elettronegatività (generalmente compresa tra 0,4 e 1,7). È caratterizzato da una condivisione non equa della coppia di elettroni di legame quindi la nuvola elettronica dell’orbitale è distorta e più densa verso l’elemento più elettronegativo; si ha infatti un parziale trasferimento del doppietto di legame dall’atomo meno elettronegativo, che acquista una carica parziale positiva, a quello più elettronegativo, che acquista una carica parziale negativa. Gli elettroni non si trovano più al centro fra i due atomi, ma sono spostati più verso l’atomo di maggiore elettronegatività su cui si forma una parziale carica negativa. L’altro atomo acquisisce una parziale carica positiva. La molecola prende il nome di dipolo. LEGAME DATIVO (O DI COORDINAZIONE) Il legame dativo è un tipo particolare di legame covalente, e come tale, costituito da due elettroni condivisi tra due atomi. Mentre nel legame covalente i due elettroni nel doppietto sono forniti ciascuno da un atomo, nel legame dativo i due elettroni provengono entrambi dallo stesso atomo (donatore) che li condivide con l’altro atomo (accettore). Il legame si forma tra un atomo (atomo donatore) che dispone di almeno un doppietto solitario (detto anche coppia solitaria o doppietto non condiviso o coppia di non legame e una specie chimica che ha (o può ottenere) un orbitale vuoto (accettore). Il legame si indica graficamente con una freccia diretta dal donatore verso l’accettore. I composti di coordinazione si formano quando un metallo, o uno ione metallico, viene circondato da atomi donatori di elettroni. IBRIDAZIONE E ORBITALI IBRIDI In natura è molto comune incontrare sostanze in cui gli atomi formano un numero di legame covalenti superiore al numero di elettroni spaiati posseduti e/o presentano geometrie incompatibili con le geometrie degli orbitali atomici; ciò si può spiegare ammettendo l’esistenza del processo di ibridazione che porta alla formazione degli orbitali ibridi. L’ibridazione consiste nella combinazione degli orbitali atomici esterni, a diversa energia, di un atomo, con formazione di un ugual numero di orbitali atomici isoenergetici, detti appunto orbitali ibridi. IBRIDAZIONE SP3 Si ha ibridazione sp3 quando un orbitale s e tre orbitale p di uno stesso atomo si combinano formando quattro orbitali ibridi isoenergetici sp3 diretti verso i vertici di un tetraedro regolare con angoli di circa 109°. IBRIDAZIONE SP2 Si ha ibridazione sp2 quando due orbitali p e un orbitale s di uno stesso atomo si combinano formando tre orbitali isoenergetici sp2 disposti a 120° gli uni dagli altri. IBRIDAZIONE SP L’ibridazione sp coinvolge un orbitale di tipo p e un orbitale di tipo s e porta alla formazione di due orbitali ibridi isoenergetici sp disposti a 180°. La spontaneità del processo di ibridazione deriva dal fatto che, in tutti i casi, comporta un aumento della stabilità delle molecole ottenibili da atomi ibridati, poiché rende possibile la formazione di un maggior numero di legami e una distribuzione ottimale nello spazio delle cariche e delle masse. Gli orbitali ibridi sono orbitali atomici e NON molecolari. RISONANZA E DELOCALIZZAZIONE ELETTRONICA Per alcune sostanze (ioni o molecole) è possibile scrivere più di una formula di struttura; questo fenomeno prende il nome di risonanza e si incontra nelle sostanze in cui esiste un sistema di elettroni π esteso a più di due atomi. Le diverse formule possibili sono chiamate forme limite di risonanza (o forme mesomere) e si separano con una freccia a due punte; la sostanza reale ha una struttura intermedia tra quella delle forme limite ed è chiamata ibrido di risonanza. Per energia di risonanza si intende la differenza di energia tra l’ibrido di risonanza (la molecola reale) e la forma limite più stabile. La risonanza è dovuta al fatto che gli elettroni del legame π, anziché essere condivisi, formano un orbitale molecolare π delocalizzato, esteso a tutti e tre gli atomi. Il benzene è un idrocarburo ciclico avente formula bruta C 6H6: i sei atomi di carbonio si trovano ai vertici di un esagono e sono ibridati sp2, ciascun atomo di carbonio possiede quindi tre orbitali ibridi sp2 e un orbitale p puro. Dei tre orbitali ibridi, due vengono utilizzati per formare legami σ con i due atomi di carbonio adiacenti, mentre il terzo viene impiegato per legare l’atomo di idrogeno. I sei elettroni presenti nei sei orbitali p sono delocalizzati in due nubi elettroniche cicliche che si trovano una sopra l’altra sotto il piano formato da sei atomi di carbonio. In termini di formula di struttura, il benzene è quindi un ibrido di risonanza tra due forme limite. L’energia di risonanza del benzene è di circa -36 kcal/mole rispetto all’ipotetica molecola di cicloesatriene, idrocarburo ciclico a sei atomi C contenente tre doppi legami alternati a tre legami semplici, che non esiste proprio perché avrebbe energia più alta della molecola reale, il benzene, ibrido di risonanza fra le due possibili forme. Ibridazione e delocalizzazione degli elettroni π (risonanza) concorrono ad aumentare la stabilità della molecola. GEOMETRIA MOLECOLARE (TEORIA VSPER) La geometria di una molecola (o di uno ione poliatomico) dipende dal numero e dal tipo di doppietti elettronici (di legame o solitari) che circondano l’atomo centrale; tale geometria può essere prevista in base alla teoria della repulsione tra le coppie di elettroni del livello di valenza, o teoria VSPER (dall’inglese Valence Shell Electron Pair Repulsion). La teoria VSPER stabilisce che i doppietti elettronici del livello di valenza si dispongono alla massima distanza possibile gli uni dagli altri, in modo da minimizzare la pressione elettrostatica tra di essi. Per applicare il metodo VSPER, e quindi prevedere la geometria delle molecole, è necessario contare il numero di doppietti di elettroni solitari e il numero di atomi (quindi di doppietti condivisi) intorno all’atomo centrale; il numero totale di doppietti solitari + doppietti condivisi è detto numero sterico (NS). A differenti valori di NS corrispondono diverse geometrie molecolari. Ogni molecola può essere rappresentata con la formula generica AXmEn, dove A rappresenta l’atomo centrale, X il numero di atomi legati all’atomo centrale ed E le coppie di elettroni solitarie presenti sull’atomo centrale. Il numero sterico (NS) corrisponde a (n + m). La presenza di coppie di elettroni solitarie (chiamate anche coppie non condivise) ha l’effetto di schiacciare l’angolo di legame come conseguenza delle forze di repulsione in gioco. I principi fondamentali della teoria VSEPR sono: - La disposizione degli atomi in una molecola dipende dal numero totale di coppie elettroniche di valenza che circondano l’atomo centrale; - Le coppie elettroniche, avendo uguale segno, si respingono e si collocano alla maggiore distanza possibile le une dalle altre. Le coppie di elettroni liberi hanno un comportamento simile a quello delle coppie condivise, ma la repulsione tra le coppie elettroniche libere è maggiore di quella tra coppie elettroniche condivise. Nel caso di coppie elettroniche libere, la forma della molecola tiene conto anche del doppietto elettronico. I legami covalenti doppi e tripli valgono come un legame singolo ai fini della geometria molecolare. NS Angolo di legame Formula generica Formula geometrica 2 180° AX2 Lineare 3 120° AX3 Trigonale planare AX2E Angolare AX4 Tetraedrica 4 109,5° AX3E Piramide trigonale AX2E2 angolare AX5 Trigonale bipiramidale 5 90°, 120° e 180° AX4E Ad altalena AX3E2 A forma di T AX2E3 Lineare AX6 Ottaedrica 6 90° e 180° AX5E Piramide a base quadrata AX4E2 Planare quadrata POLARITÀ DELLE MOLECOLE Una molecola è polare se possiede un momento dipolare netto. Il momento dipolare è una grandezza vettoriale che si indica con μ, la cui unità di misura è debye (D). Il vettore momento dipolare ha:  Direzione: quella data dal legame in questione;  Verso: per convenzione, il verso va dall’atomo meno elettronegativo all’atomo più elettronegativo  Modulo (o intensità): dato dalla differenza di elettronegatività tra gli atomi che partecipano al legame. Il fatto che una molecola sia polare o non lo sia, dipende dalla polarità dei legami chimici in essa presenti e dalla geometria molecolare.  Molecole contenenti solo legami covalenti puri sono sempre non polari (o apolari).  Molecole contenenti legami covalenti polari possono essere polari o non polari. Dato che il momento dipolare netto di una molecola è la somma vettoriale dei singoli momenti dipolari, caratterizzati, oltre che dall’intensità (o modulo), anche dal verso e dalla direzione.  Una molecola formata da due atomi legati da un legame polare è sempre polare.  Una molecola formata da più di due atomi legati da legami polari è polare solo se i singoli dipoli non si annullano a vicenda. Occorre quindi applicare le regole della somma vettoriale per stabilire se la sommatoria dei momenti dipolari di tutti i legami della molecola risulta diversa da zero (in questo caso la molecola è polare poiché vi è un momento dipolare totale), oppure se la sommatoria risulta nulla (in questo caso la molecola è apolare). Regole semplificate per determinare la polarità di una molecola  prima di tutto è necessario identificare la geometria molecolare con la teoria VSEPR; poi si procede nel modo seguente: Se la molecola è lineare (NS = 2) e l’atomo centrale della molecola è legato a due atomi uguali, la molecola è apolare. In tutti gli altri casi è polare. Se la molecola è trigonale (NS = 3) e l’atomo centrale della molecola è legato a tre atomi uguali, la molecola è apolare. In tutti gli altri casi polare. Se la molecola è tetraedrica (NS = 4) e l’atomo centrale della molecola è legato a quattro atomi uguali, la molecola è apolare. In tutti gli altri casi è polare. LEGAME IONICO Il legame ionico si forma tra due atomi con elevata differenza di elettronegatività in seguito al trasferimento di uno o più elettroni di valenza dell’atomo meno elettronegativo a quello più elettronegativo, con formazione di due ioni di carica elettrica opposta. Il legame acquista carattere ionico superiore al 50% quando la differenza di elettronegatività tra gli atomi coinvolti è superiore a 1,7. Un legame ionico è un’attrazione di tipo elettrostatico tra due ioni di carica elettrica opposta. Tipicamente il legame ionico si forma tra un metallo (poco elettronegativo) e un non metallo (o un’altra specie poliatomica contenente un atomo molto elettronegativo). Quando gli atomi del metallo cedono uno o più elettroni al non metallo, trasformandosi rispettivamente in ioni positivi (cationi) e ioni negativi (anioni). Nel caso del legame ionico non si formano né orbitali molecolari, né molecole; la forza del legame ionico è puramente elettrostatica. Il legame ionico è adirezionale. Una volta formatosi, lo ione negativo assume la configurazione del gas nobile successivo, mentre lo ione positivo assume quella del gas nobile che lo precede nella tavola periodica. Anziché da molecole, i composti ionici sono formati da un insieme di ioni di carica opposta, disposti in modo tale da formare un reticolo cristallino tridimensionale in cui sono minime le forze di repulsione tra gli ioni della stessa carica e massime le forze attrattive tra ioni di carica opposta. I composti ionici, per questo motivo, sono invariabilmente solidi. La formula bruta di un composto ionico non rappresenta quindi la composizione di una molecola, ma è semplicemente una formula minima, ovvero una formula che indica il rapporto minimo secondo cui si combinano i cationi e gli anioni affinché si abbia un insieme elettricamente neutro. L’energia liberata all’atto della formazione del reticolo cristallino per effetto dell’interazione elettrostatica degli ioni positivi con tutti gli ioni negativi del cristallo, e viceversa, prende il nome di energia reticolare. L’energia reticolare dipende dalla natura degli ioni che compongono il cristallo: aumenta all’aumentare della carica degli ioni e al diminuire delle loro dimensioni. I composti ionici hanno alta temperatura di fusione ed ebollizione e conducono la corrente elettrica allo stato fuso e in soluzione acquosa. La temperatura di fusione di un solido cristallino è tanto più alta quanto più alta è la sua energia reticolare. Anche le sostanze pure di tipo covalente (come il ghiaccio o lo zucchero), quando si presentano allo stato solido, sono organizzate in un reticolo cristallino tridimensionale. Le forze che tengono insieme le molecole nel reticolo sono in questo caso dovute ai legami intermolecolari, molto più deboli del legame ionico. Per questo motivo fondere un solido covalente richiede molta meno energia di quella necessaria per fondere un composto ionico. Gli ioni in un composto ionico sono disposti secondo uno schema ben preciso e possono dare luogo a un reticolo cristallino. La formula dei composti ionici indica il rapporto di combinazione tra ioni positivi e negativi e rappresenta la molecola di un composto. I composti ionici hanno alti punti di fusione, sono solidi a temperatura ambiente, sono buoni conduttori di elettricità sia allo stato fuso che in soluzione. Confronto tra legame ionico e legame covalente ESEMPIO DIFFERENZA DI TIPO DI LEGAME FORZA DEL LEGAME ELETTRONEGATIVITÀ DOVUTA A H–H 0 Covalente puro Orbitale molecolare H – Cl 0,9 Covalente polare Orbitale molecolare e orbitale elettrostatica NaCl 2,2 Ionico Attrazione elettrostatica Per convenzione, il legame fra due atomi diversi si considera ionico quando la differenza di elettronegatività è maggiori di 1,7; covalente polare quando la differenza è minore. In realtà, il passaggio da un tipo di legame all’altro è graduale e quando la differenza di elettronegatività è compresa fra 1,7 e 1,9 la definizione del legame è incerta. LEGAME METALLICO A temperatura ambiente tutti i metalli, tranne il mercurio, sono solidi in cui gli atomi sono disposti in modo ordinato nelle tre dimensioni dello spazio a formare un reticolo cristallino. Il legame tra gli atomi del metallo nel cristallo non né ionico, né covalente. I metalli hanno bassa elettronegatività e bassa energia di ionizzazione; tendono quindi a cedere con facilità i loro elettroni di valenza, trasformandosi in cationi. Un pezzo di metallo viene considerato un insieme di cationi che hanno espulso i loro elettroni di valenza e non un insieme di atomi neutri; gli elettroni perduti, messi in comuni fra tutti gli ioni e delocalizzati su un orbitale esteso a tutto il metallo, possono muoversi liberamente in tutto il campione. Le proprietà fisiche dei metalli, tra cui l’elevata conduttività elettrica e termica, la duttilità e la malleabilità, sono giustificate dalla mobilità degli elettroni. L’attrazione che si esercita tra i cationi del reticolo cristallino e gli elettroni di valenza delocalizzati costituisce il legame metallico. Il legame ha quindi carattere sia elettrostatico che covalente ed è adirezionale. Tanto più forte è il legame metallico, tanto più numerosi sono gli elettroni mobili. La mobilità degli elettroni più esterni conferisce le caratteristiche proprietà metalliche: lucentezza, conducibilità termica ed elettrica, malleabilità e duttilità. Caratteristiche dei legami forti LEGAME COVALENTE LEGAME IONICO LEGAME METALLICO Si stabilisce tra non metalli Si stabilisce tra metalli e Si stabilisce tra metalli non metalli Condivisione di elettroni Trasferimento di elettroni Espulsione degli elettroni di (sovrapposizione degli orbitali) dal metallo al non metallo valenza  condivisione degli  formazione di ioni  formazione di orbitali elettroni in un orbitale esteso a molecolari tutta la massa del metallo Legame direzionale Legame adirezionale Legame adirezionale Legame σ (sovrapposizione frontale) Legame π (sovrapposizione laterale) Formazione di molecole Formazione di reticoli Formazione di reticoli cristallini cristallini ionici (solidi a T metallici (solidi a T ambiente, ambienti) eccetto Hg) Sostanze rappresentate da Sostanze rappresentate da Sostanze rappresentate dai formule molecolari formule minime simboli degli elementi (metalli) Puro – Polare – dativo Natura elettrostatica Malleabilità/Duttilità/Conduttività Ibridazione/Polarità/Risonanza elettrica e termica LEGAMI INTERMOLECOLARI Le molecole in un solido o in un liquido interagiscono tra loro attraverso i legami intermolecolari: forze attrattive molto più deboli dei legami che uniscono gli atomi nelle molecole. I legami intermolecolari comprendono:  Le interazioni dipolo – dipolo;  Le forze di dispersione (dette anche forze di London);  Il legame a idrogeno;  Le interazioni ione – dipolo. Con le forze di Van der Waals si indicano, in senso generico, interazioni di natura elettrostatica molto deboli tra molecole (sono infatti legami intermolecolari). A differenza del legame ionico, legame forte di natura elettrostatica che avviene fra un catione e un anione, le forze di Van der Waals avvengono principalmente fra molecole neutre (polari o apolari). Alcuni testi includono tra queste sol le forze di dispersione (in questo caso coincidono con le forze di London); per altri, invece, le forze di Van der Waals comprendono anche le altre deboli interazioni intermolecolari. Lo stato di aggregazione di un composto molecolare è determinato proprio dalla forza e dal numero dei legami intermolecolari. Il calore assorbito da una sostanza come l’acqua per fondere o per evaporare è connesso con la rottura di questi legami. Quando si fonde un composto ionico si rompe il reticolo cristallino. Quando si fonde un composto molecolare si rompono forze di dispersione, interazioni dipolo – dipolo o legami a idrogeno, quindi nel primo caso è necessario un maggiore dispendio di energia; infatti, i composti ionici hanno generalmente temperature di fusione molto alte. Interazioni dipolo – dipolo Le interazioni dipolo – dipolo sono forze di attrazione che si instaurano tra molecole polari. Tali molecole si comportano come dipoli elettrici spontanei e permanenti, e si attirano reciprocamente orientandosi con l’estremità positiva di un dipolo vicina all’estremità negativa di un dipolo vicino. Forze di dispersione Le forze di dispersione sono forze di attrazione estremamente deboli legate alla formazione di dipoli temporanei, anche in molecole di per sé non polari, causati dal rapido moto degli elettroni intorno al nucleo. Nelle molecole apolari è infatti la posizione media degli elettroni a rendere la molecola apolare. Nei singoli istanti, invece, la nuvola elettronica può essere spostata ora verso un atomo, ora verso l’altro, trasformando la molecola in un dipolo temporaneo. I dipoli temporanei interagiscono con le nuvole elettroniche delle molecole vicine polarizzandole (provocando cioè la formazione di dipoli indotti) e stabilendo con esse deboli forze attrattive. Le forze di dispersione sono dunque interazioni di tipo attrattivo (stabilizzanti) che si instaurano tra un dipolo temporaneo e i dipoli indotti circostanti. Le forze di dispersione si instaurano tra tutti i tipi di molecole, sia polari che apolari, e sono tanto più intense quanto più facilmente la nube elettronica dell’orbitale molecola può essere distorta. L’intensità delle forze di dispersione aumenta all’aumentare del PM, della superficie di contatto e del numero di elettroni presenti nella molecola. LEGAME A IDROGENO Il legame a idrogeno è un’interazione elettrostatica tra un atomo di idrogeno legato con legame covalente a un atomo elettronegativo (F, O o N) e il doppietto solitario di un atomo molto elettronegativo (F, O o N) di una molecola adiacente (legame a idrogeno intermolecolare) o della stessa molecola (legame a idrogeno intramolecolare). Il legame a idrogeno è un particolare tipo di interazione dipolo – dipolo ed è la più forte tra le forze di attrazione intermolecolari. Si presenta nelle molecole contenenti raggruppamenti del tipo H – F; H – O; H – N quindi esiste legame a idrogeno nell’acido fluoridrico (HF), nell’ammoniaca (NH3) e nell’acqua (H2O). Le molecole unite da legami a idrogeno hanno punti di ebollizione notevolmente superiori a quelli di molecole di analoga massa molecolare che non formano però legami a idrogeno. Il legame a idrogeno è un legame direzionale. Immagine presa da Wikipedia LE PROPRIETÀ DELL’ACQUA La presenza del legame a idrogeno nell’H2O determina importanti conseguenze:  La massima densità dell’acqua è a 4 °C;  L’acqua aumenta di volume nel passaggio da liquido a solido;  A temperatura ambiente l’acqua è liquida e non gassosa. Allo stato solido, più molecole di acqua legate insieme con legami a idrogeno si dispongono secondo un anello esagonale caratteristico dei cristalli di ghiaccio. La chiusura delle molecole d’acqua in anelli, che caratterizza lo stato solido, spiega l’anomala diminuzione della densità dell’acqua (aumento di volume) nel passaggio di stato liquido  solido. Esempi di legami intermolecolari presenti in diverse sostanze Molecola Polare/non Interazione Legame a Forze di PM Punto di polare dipolo – dipolo idrogeno dispersione ebollizione °C N2 Non polare No No Si 28,01 -210,03 NH3 Polare Si Si Si 17,03 -33,43 CO Polare Si No Si 28,01 -191,5 CO2 Non polare No No Si 44,01 -78,5 HCl Polare Si No Si 33,46 -85,05 H2O Polare Si Si Si 16,01 100,0 H2S Polare Si No Si 34,08 -60,2 CH4 Non polare No No Si 16,04 -161,7 CHCl3 polare Si No Si 119,38 61,26 A pressione atmosferica, ciascun composto è caratterizzato da una temperatura di ebollizione (passaggio da liquido a gassoso) e da una temperatura di fusione (passaggio da solido a liquido). I composti che a temperatura ambiente si presentano allo stato gassoso (come N 2, NH3, CO, CO2, HCl, H2S, CH4) hanno temperature di ebollizione negative, mentre altre sostanze (come H2O e CHCl3) hanno temperature di ebollizione più elevate e quindi a temperatura ambiente si trovano allo stato liquido (oppure solido). CLASSIFICAZIONE DEI LEGAMI CHIMICI  Legami con formazione di orbitali molecolari i) Covalente Apolare Polare Dativo A elettroni delocalizzati (risonanza)  Legami intermedi A. Metallico B. A idrogeno  Legami elettrostatici i. Forze di dispersione ii. Dipolo – dipolo iii. Ione – dipolo Il legame a idrogeno, le forze di dispersione, i legami dipolo – dipolo e ione – dipolo sono legami intermolecolari, i restanti sono legami interatomici. ALLOTROPIA E POLIMORFISMO Quando uno stesso elemento presenta due forme che differiscono per la struttura molecolare o per il modo in cui sono concatenati gli atomi, queste due forme hanno caratteristiche fisiche e chimiche diverse: si parla di allotropia. Quando, invece, una sostanza si presenta in forme che differiscono solo per la struttura cristallina, si parla di dimorfismo o, più in generale, di polimorfismo (le forme differiscono solo in alcune proprietà fisiche come il punto di fusione e la densità). COMPOSTI INORGANICI E NOMENCLATURA La nomenclatura chimica è l’insieme dei nomi e delle sostanze chimiche classificate con criteri sistematici. a. Nomenclatura IUPAC  sistema internazionale approvato nel 1919 ed applicato a tutto il mondo scientifico. b. Nomenclatura tradizionale  nomenclatura classica che prende in considerazione i nomi delle sostanze chimiche come sono sempre stati conosciuti. Questa nomenclatura non tiene conto della composizione chimica, ma solo il nome storico e comune NUMERO DI OSSIDAZIONE È importante calcolare il numero di ossidazione di un atomo per comprendere i processi che si verificano durante le reazioni chimiche, in particolare nel corso delle reazioni di ossidoriduzione. Dato un atomo legato ad altri atomi (uguali o diversi) in una sostanza, il suo stato di ossidazione o numero di ossidazione (N.O.) corrisponde al numero delle cariche che l’atomo formalmente assumerebbe se i doppietti elettronici di legame venissero di volta in volta assegnati all’atomo più elettronegativo tra quelli coinvolti. Rappresenta la carica che ogni atomo, in una molecola o in uno ione poliatomico, assumerebbe se gli elettroni di legame fossero assegnati all’atomo più elettronegativo. Per determinare i N.O. si può quindi ricorrere alle formule di struttura. Spesso il numero di ossidazione di un atomo può essere calcolato dalla semplice formula bruta (senza la necessità di conoscere la formula di struttura) attraverso le seguenti regole: a. Tutte le sostanze allo stato elementari hanno numero di ossidazione nullo; b. Il numero di ossidazione di uno ione monoatomico è uguale alla carica dello ione; c. La somma dei numeri di ossidazione di tutti gli atomi presenti in una molecola neutra è pari a 0, mentre in uno ione poliatomico è pari alla carica dello ione; d. Il N.O. dell’idrogeno è +1, tranne che nei composti con i metalli (idruri) in cui è -1; e. Nella maggior parte dei composti il N.O. dell’ossigeno è -2. Nei perossidi, in cui vi è un legame O – O, il N.O. è -1; in OF2 il N.O. è +2; f. Il N.O. degli elementi del gruppo I A è +1, il N.O. degli elementi del gruppo II A è +2; g. Il N.O. degli elementi del gruppo III A è +3. Un elemento non può avere un numero di ossidazione maggiore del numero del suo gruppo di appartenenza. Non esistono numeri di ossidazione maggiori di +7. A volte, quando si costruiscono le formule dei composti chimici, si parla di valenza, intendendo il numero di elettroni di un atomo impegnati nella formazione di legami. La valenza è un numero sempre positivo, che assume gli stessi valori numerici del numero di ossidazione, il quale però è dotato di segno positivo o negativo perché tiene conto della diversa tendenza ad attrarre gli elettroni di legame. COMPOSTI INORGANICI  Composti binari = idracidi, idruri, Sali degli idracidi; ossidi (basici e acidi);  Composti ternari = idrossidi; ossiacidi; Sali degli ossiacidi;  Composti quaternari = Sali idrogenati degli ossiacidi. COMPOSTI BINARI I composti binari sono quelli formati dalla combinazione di due soli elementi diversi. In generale, si può affermare che i metalli reagiscono con i non metalli per formare composti ionici; i non metalli reagiscono fra loro per formare composti covalenti. Possono essere costituti da due non metalli, oppure da un metallo ed un non metallo. Si assegna un indice ai simboli chimici in modo che la somma algebrica dei numeri di ossidazione sia pari a zero.  Con ossigeno  ossidi, perossidi, superossidi;  Senza ossigeno  idruri, idracidi, Sali degli idracidi. Per scrivere correttamente la formula di un generico composto si seguono alcune regole precise:  Il catione o l’elemento meno elettronegativo (con numero di ossidazione positivo) deve essere scritto prima dell’anione o dell’elemento più elettronegativo (con numero di ossidazione negativo);  Gli indici al piede degli elementi devono produrre un’unità formula elettricamente neutra;  Gli indici al piede devono essere i numeri interi più piccoli possibile. Per quanto riguarda la nomenclatura, il nome di un composto di questo tipo si ottiene indicando prima l’unità negativa e poi quella positiva. Il nome dell’unità negativa si assegna aggiungendo la desinenza –uro alla radice del nome dell’elemento più elettronegativo. Fanno eccezione i composti con O, indicati come ossidi, e non ossigen-uri. Al nome dell’unità negativa si fa seguire il nome dell’elemento scritto per primo nella formula, preceduto dalla preposizione di. L’unità positiva è spesso rappresentata da un metallo che, in molti casi, può presentare due diversi numeri di ossidazione (la maggior parte dei metalli di transizione e alcuni gruppi IV A e V A). In questo caso è necessario distinguere i diversi composti che un dato metallo può firmare insieme a un non metallo. Le regole di nomenclatura che sono state stabilite dalla IUPAC (ovvero International Union of Pure and Applied Chemistry) prevedono l’uso dei prefissi numerali greci (mono-, di-, tri-) per indicare i rapporti numerici fra gli atomi. Viene utilizzata molto anche la notazione di Stock, secondo la quale si indica il numero di ossidazione del metallo fra parentesi, utilizzando i numeri romani. Infine, viene utilizzata la nomenclatura tradizionale, in base alla quale i due casi si distinguono aggiungendo la desinenza –oso quando il metallo ha il numero di ossidazione minore, o la desinenza –ico quando presenta il numero di ossidazione maggiore. OSSIDI BASICI E ACIDI Ossidi  composti binati formati dalla combinazione di uno dei vari elementi (tranne i gas nobili e il fluoro) con l’ossigeno. Si preparano per reazione diretta dell’elemento con l’ossigeno. La formula si scrive anteponendo al simbolo dell’ossigeno quello dell’elemento con cui è combinato e attribuendo gli indici opportuni in base al numero di ossidazione di quest’ultimo (il numero di ossidazione dell’ossigeno è pari a -2). Esistono due tipi di ossidi: ossidi dei metalli (ossidi basici o semplicemente ossidi) e ossidi dei non metalli (ossidi acidi o anidridi). Gli ossidi basici sono composti ionici binari formati da un catione metallico (Mx+) e dallo ione ossido (O2-). Se il metallo presenta un solo numero di ossidazione, il nome del composto è ossido di seguito dal nome del metallo. Se il metallo (presente in forma ionica) può presentare due numeri di ossidazione diversi, viene indicato secondo la nomenclatura IUPAC con i prefissi numerali greci, oppure con la notazione di Stock (numeri romani) o, infine secondo la nomenclatura tradizionale con le desinenze –oso e –ico. Catione Formula Formula Nomenclatura Notazione di Nomenclatura generale esempio tradizionale Stock IUPAC M+ M2O Na2O Ossido di sodio Ossido di sodio Ossido di disodio M2+ MO FeO Ossido ferroso Ossido di ferro (II) Ossido di ferro Ossido piomboso Ossido di piombo Ossido di piombo PbO (II) M3+ M2O3 Al2O3 Ossido di alluminio Ossido di alluminio Triossido di Ossido ferrico Ossido di ferro (III) dialluminio Fe2O3 Triossido di diferro M4+ MO2 PbO3 Ossido piombico Ossido di piombo Dissodio di piombo (IV) Gli ossidi acidi sono composti binari covalenti formati da un non metallo (o da un metallo di transizione con alto numero di ossidazione) e ossigeno. Secondo la nomenclatura IUPAC, il nome del composto è ossido di seguito dal nome dell’elemento, utilizzando prefissi numerali (mono-, bi-, tri-, tetra-, penta-) per indicare quanti atomi di ossigeno e quanti del non metallo sono contenuti nella molecola considerata. In base alla nomenclatura tradizionale, se il non metallo forma un solo ossido acido (un solo stato di ossidazione) il nome del composto è anidride, seguito dalla radice del non metallo a cui va aggiunta la desinenza –ica. Se il non metallo forma anidridi con due diversi numeri di ossidazione, quando presenta il N.O. minore viene indicato con la desinenza –oso, altrimenti –ico. In presenza di tre o quattro diversi possibili numeri di ossidazione, i prefissi e desinenze utilizzati sono: ipo-…-oso per il minore, -oso per il secondo N.O., -ico per il terzo ed eventualmente per-…ico per il più elevato fra quattro possibili numeri di ossidazione. Formula Numero di ossidazione Nomenclatura Nomenclatura IUPAC tradizionale CO +2 Anidride carboniosa Ossido di carbonio CO2 +4 Anidride carbonica Biossido di carbonio N2O3 +3 Anidride nitrosa Triossido di biazoto N2O5 +5 Anidride nitrica Pentossido di biazoto P2O3 +3 Anidride fosforosa Triossido di bifosforo P2O5 +5 Anidride fosforica Pentossido di bifosforo SO2 +4 Anidride solforosa Biossido di zolfo SO3 +6 Anidride solforica Triossido di zolfo Per ricavare la formula di un composto di cui si conosce il nome, o, viceversa, attribuire il nome alla formula di un composto, spesso è possibile utilizzare il metodo del “minimo comune multiplo” fra le valenze. Quando i numeri di ossidazione sono più di 2, si usano i prefissi IPO e PER. IDRURI E IDRACIDI Gli idruri sono composti binari in cui uno dei due elementi è l’idrogeno (H) e viene scritto per ultimo. Si distinguono in idruri metallici e idruri covalenti. Secondo la nomenclatura IUPAC, il nome dell’idruro è idruro di + nome del metallo o non metallo. Negli id

Use Quizgecko on...
Browser
Browser