Introduzione alla Chimica - Chimica Raimo PDF

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Questo documento fornisce un'introduzione al corso di chimica, esplorando la composizione del corpo umano, il ciclo della vita e la tavola periodica degli elementi. L'autore presenta la chimica come una materia fondamentale per comprendere il mondo che ci circonda. Il documento spiega anche la tavola periodica, i suoi gruppi e periodi, le proprietà periodiche e la configurazione elettronica degli elementi.

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Introduzione al corso "La chimica è la materia più importante del mondo perché dà da mangiare ad una famiglia di Campobasso, La mia" cit. La Chimica è una delle materie fondamentali alla pari di Fisica e matematica in quanto definiscono tutto ciò che ci circonda e con cui abbiamo a che fare. Il nost...

Introduzione al corso "La chimica è la materia più importante del mondo perché dà da mangiare ad una famiglia di Campobasso, La mia" cit. La Chimica è una delle materie fondamentali alla pari di Fisica e matematica in quanto definiscono tutto ciò che ci circonda e con cui abbiamo a che fare. Il nostro corpo è formato da elementi chimici e loro interazioni, i principali elementi del corpo umano sono:  Ossigeno 65%;  Carbonio 18%;  Idrogeno 10%;  Azoto 3%;  Calcio 2%; Le principali molecole nel corpo sono:  Acqua;  Lipidi;  Proteine (di cui fanno parte gli enzimi, indispensabili per la sopravvivenza);  Acidi nucleici;  Vitamine; L’organo in cui avvengono la maggior parte delle reazioni chimiche è il fegato ed è per questo, che è una parte cruciale per la vita di una persona, più importante a livello vitale del cervello o del cuore. (biochimica sarà incentrata proprio su queste molecole) Ciclo della vita La vita sulla Terra è possibile grazie al Sole che in seguito a reazioni termonucleari irradia una minima parte dell'energia sulla Terra, alcuni organismi (piante) usano questa energia per organicare il carbonio e trasformare la CO2 dell'atmosfera in carboidrati e ossigeno, che poi verranno consumati da animali per il loro sostentamento, i quali produrranno come scarto la CO2 con cui il ciclo si ripete, questo ciclo è detto infatti virtuoso. Breve digressione sull’idea di sostanza chimica nella nostra società. Negli ultimi decenni si è diffuso il fenomeno della Chemofobia, infatti secondo alcune credenze popolari, tutto ciò che è chimico fa male. Ma in realtà ogni sostanza considerata naturale è anche chimica e perciò non ha senso incolpare le sostanze chimiche di tutti i mali dell’uomo, ad esempio il veleno del cobra è una “sostanza naturale” eppure uccide l’uomo. ciò che nuoce all’uomo non è la sostanza chimica ma bensì la sua composizione che può avere sia origine naturale che artificiale. (esempio: rivista nature, una pagina bianca dove si supponeva fossero indicati tutti i prodotti natural free). 1. La Tavola Periodica Ideata nel 1869 dal chimico russo Dmitrij Ivanovič Mendeleev; permette di mettere in ordine gli elementi della materia che ci circonda in ordine decrescente secondo il numero atomico ed in base alle loro proprietà chimico fisiche che seguono un andamento periodico, contava in principio 1 numerosi spazi vuoti per gli elementi previsti dalla teoria, alcuni dei quali sarebbero stati scoperti solo nella seconda metà del Novecento. gli elementi presi in considerazione nella tavola vengono definiti puri, e la loro combinazione causata da una continua ricerca della stabilità da forma a tutta la materia presente intorno a noi. (in generale tutto ciò che accade intorno a noi segue il concetto di stabilità ovvero, le reazioni biologiche o chimiche che siano, tendono a verificarsi per il raggiungimento di una maggiore stabilità “legge della termodinamica di stalin”). 1.1 Gruppi e periodi Gli elementi con proprietà chimico o fisiche simili sono riuniti verticalmente in gruppi (n.18) e presentano la stessa configurazione elettronica esterna. Gli elementi che hanno gli ultimi elettroni nello stesso livello energetico invece vengono collocati orizzontalmente lungo i periodi (n.7). Al momento della creazione della tavola periodica non esistevano tutti gli elementi in quanto ancora dovevano essere scoperti, perciò Mendeleev lasciò spazi tra i vari elementi, sostenendo che sarebbero stati riempiti da elementi con caratteristiche intermedie rispetto ad altri. L’unico elemento non naturale presente nella tavola è il Tecnezio, quindi un elemento artificiale. (spesso viene utilizzato come tracciatore per esami di radiodiagnostica). Gli elementi in basso sono elementi transuranici, ovvero elementi non naturali scoperti successivamente. La disposizione degli elementi permette di riconoscere gli elementi appartenenti ad un gruppo attraverso le loro caratteristiche chimiche e fisiche. Ad esempio, il primo e secondo gruppo, composti da elementi metallici (definiti tali per la loro tendenza a perdere elettroni), individuano gli Alcalini e Alcalino-terrosi. Proseguendo sulla tavola vi sono gli elementi di transizione, anch’essi metallici. Dal terzo all’ottavo gruppo sono presenti i semimetalli e non metalli; in questa parte della tavola periodica è presente una linea di demarcazione, a cavallo della quale sono presenti i semimetalli, (Boro, Silicio, Arsenico, Germanio, Arsenico, Antimonio, Tellurio, Astato) che presentano proprietà sia metalliche che non metalliche, in base all’elemento con cui si legano. 2 In particolare, tra i non metalli, quelli del sesto gruppo sono i Calcogeni, del settimo Alogeni e nell’ottavo vi sono i gas nobili (che non hanno bisogno di alcun elettrone in quanto hanno l’ottetto completo, quindi configurazione s2p6). Gli elementi della tavola periodica sono ordinati in ordine crescente di numero atomico, ovvero il loro numero di protoni (Z); il numero di protoni di ogni elemento non può variare, contrariamente al numero di elettroni o neutroni, e quando il numero di questi ultimi varia si formano gli isotopi. Ad esempio, l’Idrogeno e i suoi isotopi Deuterio (un protone e un neutrone) e Trizio (un protone e due neutroni). Quello che li contraddistingue è il peso atomico, ovvero la somma tra i protoni e i neutroni, misurato in u.m.a (dodicesima parte del carbonio-12). Il peso atomico scritto sotto ciascun elemento è dato dalla media ponderata del peso dei singoli isotopi (per questo motivo i valori non sono interi). 1.2 I Numeri Quantici Esistono quattro tipi di numeri quantici:  Il numero quantico principale, n, che identifica il livello energetico, assume valori interi positivi.  Il numero quantico secondario, l, indica quanti tipi di orbitali esistono per ogni livello energetico, assumendo valori da 0 a n-1.  Il numero quantico magnetico, m, indica il numero di orientazioni di un dato orbitale nello spazio, assumendo valori da -l a +l. ❖ Il numero di spin. 1.3 Le Proprietà Periodiche  L’elettronegatività, è una proprietà attribuita artificialmente agli elementi quando si combinano tra di loro (quando non si combinano non hanno propensione ad attrarre elettroni).  Il raggio atomico è la misura che va dalla parte centrale del nucleo alla parte più esterna dell’atomo. Il raggio atomico aumenta lungo il gruppo (l’ultimo elettrone è sempre più distante, per esempio il potassio ha raggio maggiore dell’idrogeno), diminuisce lungo il periodo (perchè l’attrazione a parità di distanza del nucleo con gli elettroni aumenta). 1.4 Configurazione Elettronica Regola del riempimento elettronico: 2 2(man mano che si aggiungono gli orbitali il numero di elettroni diventa maggiore). In ogni livello gli elettroni occupano degli spazi predeterminati che si chiamano orbitali; gli orbitali non sono strutture vere e proprie e fisiche, ma sono porzioni di spazio entro le quali gli elettroni hanno la massima probabilità di trovarsi. Questa regola è definita dalla equazione di Schrodinger, che appunto dice da un punto di vista probabilistico che spazio potrebbe occupare l’elettrone; tuttavia non è possibile avere la certezza 3 della posizione dell’elettrone assieme alla sua energia, come viene sottolineato dal principio di indeterminazione di Heisenberg. Il principio di esclusione di Pauli afferma che ogni orbitale può essere occupato al massimo da due elettroni, i quali tra di loro dovranno avere spin opposto. Spin = moto rotatorio dell’elettrone attorno al proprio asse, che può essere +½ o -½. PROPRIETÀ PERIODICHE Il raggio atomico Il raggio atomico lungo un gruppo aumenta perchè essendo gli elettroni di valenza disposti sempre più lontani dal nucleo il raggio atomico deve aumentare (possiamo rappresentare i livelli energetici come una piramide a più piani ciascuno rappresentante un livello, man mano che scendiamo gli elettroni sono disposti sempre più lontani dal nucleo), inoltre l’attrazione del nucleo nei confronti degli elettroni più esterni diminuisce per 2 motivi: 1. Gli elettroni più esterni sono molto più distanti dal nucleo, nonostante il nucleo abbia molti più protoni la forza attrattiva a quella distanza è davvero irrilevante. 2. La schermatura degli elettroni: ci sono tanti elettroni tra il nucleo e l’ultimo elettrone che schermano e quindi l’attrazione è molto minore. Per questi motivi, gli elettroni più esterni del litio, nonostante il nucleo sia dotato di soltanto tre protoni, sono molto più attratti rispetto per esempio al rubidio o al cesio che sono in fondo al gruppo. Lungo un periodo il raggio atomico diminuisce perchè a parità di distanza tra il nucleo e gli elettroni più esterni aumenta la carica del nucleo, perchè andando avanti lungo un periodo aumentano i protoni quindi metaforicamente la calamita, e dunque con una calamita più forte gli elettroni tendono a stare più concentrati verso il centro e quindi il raggio atomico diminuisce. Tutti gli elementi di uno stesso gruppo presentano proprietà molto simili, all’interno del periodo invece le caratteristiche di questi elementi variano gradualmente, passando da un elemento metallico (che costituisce quasi il 90% degli elementi presenti nella tavola periodica, che tendono a cedere elettroni) a elementi non metallici. Quando un elemento perde un elettrone (ci riferiamo ai metalli) o acquista uno o più elettroni (ci riferiamo ai non metalli, che si trovano all’estrema destra), il raggio dello ione (l’atomo è diventano ione cedendo o acquistando elettroni, in particolare se perde uno o più elettroni si chiamerà catione, se li acquista anione) non è più lo stesso. Ad esempio il potassio, che è un elemento metallico che ha l’ultimo elettrone nel quarto livello, nel momento in cui perde il suo ultimo elettrone è come se il suo ultimo livello non esistesse più, quindi il raggio di questo catione è più piccolo; questo succede anche perchè la forza di attrazione esercitata dai protoni sugli elettroni (che sono in numero minore rispetto ai protoni) è maggiore e quindi tendono ad avvicinarsi al nucleo. Per esempio il calcio, appartenente al secondo gruppo, può perdere due elettroni: quando perde un solo elettrone il raggio di questo ione sarebbe più piccolo rispetto al calcio puro, perché avendo un elettrone in meno,i protoni tendono ad attirarli di più; successivamente se togliamo un altro elettrone passiamo ad un altro livello e quindi il raggio diminuisce. Viceversa, gli anioni sono atomi che acquistano uno o più elettroni, ad esempio il cloro, prendendo un elettrone, il numero di protoni è minore rispetto agli elettroni e quindi gli elettroni tendono a distanziarsi sempre di più perché la forza di attrazione è minore, quindi il cloro ione ha un raggio 4 che è maggiore rispetto al cloro puro. Avendo una carica negativa in più il raggio tende ad essere un po’ più grande.Il nucleo perde la capacità di attrazione su un sovrannumero di cariche negative e quindi esse tendono a scappare. Stessa cosa nell’ossigeno che acquista due cariche negative: il raggio dello ione è ancora più grande rispetto all’ossigeno puro, perché ha due elettroni in più. L’ELETTRONEGATIVITÀ. E’ una proprietà adimensionale, a differenza per esempio dell’affinità elettronica e del potenziale di ionizzazione che sono proprietà fisiche che si misurano in chilocalorie o in chilojoule. Misura la tendenza che hanno gli atomi di prendersi gli elettroni di legame, la scala più diffusa è quella di Pauling, il quale facendo una serie di prove ha determinato il valore concettuale di elettronegatività di ogni elemento della tavola periodica. Se noi combinassimo elementi del I e II gruppo, che hanno elettronegatività molto bassa, con quelli del VI e VII gruppo, che hanno elettronegatività molto alta, gli elettroni passano da quelli che hanno una bassa elettronegatività a quelli che hanno un’elevata elettronegatività. L’elettronegatività la possiamo definire anche come una “avidità di elettroni”. Gli elementi dei primi gruppi hanno una bassa elettronegatività perché volendo somigliare ai gas nobili più vicini ( avendo configurazione elettronica esterna ideale, con ottetto completo 2p6) dovrebbe o acquistare tanti elettroni (cosa molto complicata) o perderne alcuni, cosa molto più facile. Questi elementi pur raggiungendo la stessa configurazione elettronica dei gas nobili non sono stabili come questi, ad esempio lo stronzio per raggiungere la stessa configurazione elettronica del gas nobile ha perso due elettroni e dunque alla fine si trova con doppia carica positiva e queste lo costringono a lavorare interagendo con altri elementi, a differenza dei gas nobili. Il fluoro invece, che ha configurazione esterna 2p5, dovrebbe o perdere 7 elettroni (cosa che non accade) o acquistarne uno soltanto, diventando ione floruro che ha raggiunto la stessa configurazione del neon,ma il neon è neutro con stabilità innata, mentre il fluoro avendo una carica negativa sarà costretto ad interagire sempre con le cariche positive. Domanda: perché anche il Kripton, lo Xenon e il Radon presentano elettronegatività, pur essendo dei gas nobili? Essendo gas nobili molto grandi, hanno gli ultimi elettroni molto distanti, quindi possono combinarsi con altri elementi. Ad esempio la kriptonite (CHE NON ESISTE) dovrebbe essere una combinazione molecolare del kripton stesso. I mattoncini di elettronegatività più alti sono tutti spostati a destra, mentre i mattoncini dell’elettronegatività più bassa sono a sinistra, e man mano che scendiamo su un gruppo sono sempre più bassi perchè aumenta la distanza tra il nucleo e l’elettrone che dovrebbe essere utilizzato. Il fluoro è l’elemento più elettronegativo perché la distanza tra il nucleo e gli ultimi elettroni è la minima possibile, c’è un nucleo abbastanza corposo con 7 cariche positive, quindi una forte attrazione. Importante ricordare gli elementi F, O ed N perché coinvolti nel legame ad idrogeno. 5 Il Legame Chimico. Il legame chimico è un qualcosa che appartiene alla combinazione di due o più elementi, che possono essere uguali o diversi tra loro. Gli elementi isolati non esistono o esistono in misura molto ridotta, come per esempio per i gas nobili (l’elio, l’argon, il neon). Solo ad alte quote potremmo trovare atomi di ossigeno libero O e non O2, solo però in condizioni di aria molto rarefatta, in tutti gli altri casi gli elementi tendono a combinarsi perché da una condizione di maggiore instabilità passano a una situazione di maggiore stabilità, sia perché si raggiunge una configurazione elettronica esterna migliore sia perché la combinazione di più elementi tra loro portano a strutture chiamate molecole che sono più stabili degli atomi singoli. Questa combinazione si chiama legame chimico. Queste strutture che si formano dalla combinazione di più elementi non possono essere chiamate ancora molecole. (l’acqua ossigenata o perossido di idrogeno, utilizzata quando riportiamo una ferita lacero contusa che sviluppando ossigeno uccide i batteri che sono anaerobi come il tetano,ma anche per le carie causate da batteri anaerobi. L’etano.) La Teoria Di Lewis. Gli elettroni più esterni sono chiamati elettroni di valenza e sono quelli studiati in questo percorso di chimica. Gli elettroni di valenza sono quelli coinvolti nella formazione di legami, se gli elettroni vengono trasferiti si ha un legame ionico: quando un atomo perde un elettrone si carica positivamente e diventa catione, quando l’altro acquista l’elettrone si carica negativamente e diventa anione, l’attrazione tra la carica positiva e quella negativa è di natura elettrostatica e prende il nome di legame ionico. Gli elettroni sono in condivisione quando nessuno dei due ha la forza di strappare all’altro l’elettrone. Questa condivisione tra due o più atomi prende il nome di legame covalente. Quindi il legame ionico è una spartizione, il più forte prende l’elettrone dal più debole (in base all’elettronegatività), mentre quando gli atomi hanno forza comparabile succede che condividono gli elettroni per raggiungere una massima stabilità. Tutti tendono a raggiungere la configurazione elettronica del gas nobile più vicino. Se pieghiamo su stessa la tavola periodica, notiamo che il primo elemento di un periodo tocca il gas nobile del periodo precedente: questo sta ad indicare quale configurazione elettronica quell’elemento tenderà a prendere, cedendo o acquistando elettroni. Esempio: il sodio è il primo del terzo periodo, perdendo un elettrone va al gas nobile del secondo periodo (il neon). Viceversa, l’azoto, il fluoro..tenderanno ad acquistare elettroni e assumere la configurazione elettronica del gas nobile più vicino dello stesso periodo. Tutti tendono a raggiungere l’ottetto, ci sono però delle eccezioni, per esempio i radicali liberi. Lewis dice che per un elemento bisogna ricordare gli elettroni di valenza e quindi scriverli all’esterno. Se abbiamo solo un elettrone lo scriviamo a destra per convenzione, se ha due elettroni devo distribuirli sul massimo spazio disponibile (REGOLA DI HUND: a parità di livello gli elettroni devono essere distribuiti nel massimo numero di orbitali disponibili.Può essere definita la “regola dei timidi”, come in un pullman ciascuno occupa uno dei due posti disponibili, quando 6 ormai è tutto semipieno devono per forza sedersi affianco a quelli già occupati). Quando sono tutti pieni abbiamo raggiunto l’ottetto completo.  Eccezioni Alla Regola Dell’Ottetto: radicali. Ad esempio l’ossido di azoto (NO) e il diossido di azoto (NO2) esistono ma non rispettano l’ottetto completo. L’N si combina con l’O, l’ossigeno completa l’ottetto (6 suoi elettroni più 2 in condivisione con l’azoto quindi l’ottetto è completo), mentre l’azoto ne ha 7, ha quindi un elettrone spaiato, questo tipo di molecola si dice radicalica, sono molto aggressive e vanno a reagire con altre molecole per strappare l’elettrone e raggiungere maggiore stabilità. Stessa cosa per l’NO2, con l’unica differenza che ci sono due O, uno a destra e uno a sinistra. L’ossido di azoto è un agente inquinante,capace di combinarsi con l’ossigeno nell’aria e formare il diossido di azoto che, a sua volta, si combina con l’acqua dando l’acido nitrico, uno dei più forti, motivo per il quale ci sono le piogge acide, formate da piogge cariche o di ossido di azoto o anidride solforosa o anidride solforica, agenti inquinanti corrosivi prodotti dalle industrie. I principali legami sono dunque quello ionico, interazione tra ioni dovuto all’acquisto di elettroni in maniera definitiva, il legame covalente, che è una condivisione di elettroni che porta sempre ad una maggiore stabilità degli elementi. Il cloruro di sodio, i sali non sono molecole e quindi neanche possiamo parlare di peso molecolare.Mentre nel legame covalente possiamo parlare di molecola, perché ci sono due elementi legati fisicamente tra di loro. Molto spesso anche con il legame covalente non possiamo parlare di molecola per esempio i vetri, formati da ossido di silicio combinato in maniera covalente ma reticolare, quindi non c’è la molecola di silicio ma il reticolo. E infine il legame metallico, presente nelle barre di oro, di ferro, di argento.. sono tutti legami uguali che si organizzano tra di loro per raggiungere la massima stabilità. Per prevedere che tipo di interazione ci sarà tra due elementi possiamo o vedere l’elettronegatività dell’elemento o il raggio atomico, infatti elementi troppo grandi non interagiscono con elementi piccolissimi e viceversa, solitamente interagiscono quegli elementi con dimensioni comparabili. Questa immagine riporta sull’asse delle ordinate, che varia da 0 a 3,3, la differenza di elettronegatività tra l’elemento A e l’elemento B. La differenza può essere enorme, ad esempio 3,3 (come tra il fluoro, con elettronegatività 4, e il francio, con elettronegatività 0,6), o possono essere piccole o addirittura uguali,come tra due elementi di ossigeno che hanno differenza di elettronegatività nulla (3,5-3,5=0). Se la differenza di elettronegatività va al di sopra di 1,7 7 (valore simbolico) il legame sarà ionico, e uno si prenderà l’elettrone dell’altro. Quando invece siamo ad un differenza di elettronegatività inferiore a 1,7, il tipo di interazione non è più una cessione definitiva di elettroni ma una compartecipazione, cioè gli elementi non sono così forti da cedere o acquistare definitivamente l’elettrone, e rimangono insieme in orbitali che avvolgono i due nuclei, detti orbitali molecolari. L’orbitale è una porzione di spazio in cui c’è la massima probabilità di trovare elettroni con una certa energia. Nel caso dell’orbitale molecolare avvolge i due nuclei, e all’interno ci possono stare al massimo due elettroni (principio di Pauli), e sono quelli messi in condivisione, uno appartenente all’elemento A e uno all’elemento B. Questi orbitali possono essere di doppia natura: sigma o pi greco. Legame Ionico E’ un’attrazione elettrostatica,tra ione positivo e ione negativo e viceversa. Osserviamo il legame ionico quando la differenza di elettronegatività è superiore a 1,7. Per esempio tra cloro e sodio, il sodio passa l’elettrone al cloro, in questo modo il sodio acquisisce la configurazione elettronica del gas nobile a esso più vicino e il cloro va incontro all’ottetto, il cloro si carica negativamente e il sodio positivamente. Le cariche di segno opposto o uguale si attraggono o respingono in dipendenza del quadrato della distanza, quindi a seconda dalla distanza l’attrazione o la repulsione sarà più forte o più debole; se sono troppo vicini la carica positiva e quella negativa non va bene perché a un certo punto si respingono i nuclei, quindi c’è una distanza minima aldilà della quale non si può andare. Aumentando la distanza, l’interazione elettrostatica è sempre più debole. Nell’acqua, lo ione cloro e quello sodio che prima costituivano un cristallo ionico, si sciolgono perché l’acqua è in grado di separare le cariche positive da quelle negative 80 volte meglio. Se io metto lo stesso sale nell’alcool si sciolgono di meno perchè l’alcol ha minori proprietà di mantenere separate le cariche. L’acqua ha quindi la proprietà di separare le cariche positive da quelle negative però fino a un certo punto. ESEMPI (cloruro di litio, un forte calmante, sostanza ionica perché c’è una differenza di elettronegatività tra il cloro e il litio che è di 2, il litio è piccolo e ha numero atomico 3 con il terzo elettrone nel secondo livello. Tutti quelli del primo gruppo, che iniziano dal litio e non dall’idrogeno, tendono a cedere elettroni ma essendo molto vicini al nucleo dall’altra parte ci vuole un atomo molto elettronegativo affinché riesca a strappargli un elettrone) L’H+ non esiste, solo a Ginevra nell’acceleratore di particelle, perché l’idrogeno ha un solo elettrone che non perderà mai. (le palline grigie e verdi rappresentano ioni positivi circondati da ioni negativi e viceversa, non c’è quindi una vera interazione tra le due particelle, non so quali appartengono a uno e quali all’altro e in questo caso non posso parlare 8 della molecola di cloruro di sodio, ma posso solo dire che la formula minima cioè il minimo rapporto che c’è tra ioni sodio e ioni cloro è di 1 a 1, allo stesso modo tra magnesio e cloruro c’è un rapporto minimo di 1 di magnesio a 2 di cloro ma non posso identificare la molecola discreta, ma la posso solo individuare quando sono legati fisicamente tra di loro. Composti Ionici Con Uso Comune In Medicina (bicarbonato di sodio, solfato di bario usato per le radiografie dell’apparato gastroenterico). Il Legame Covalente Due o più elementi si uniscono attraverso una condivisione di uno o più elettroni. Un elemento interagendo con un altro, a parità o comunque con differenza di elettronegatività non molto marcata, nessuno dei due ha la capacità di cedere o acquistare definitivamente un elettrone, quindi li mettono in condivisione. Affinché avvenga questo legame devono essere comparati e avere piccole differenze di elettronegatività. Esempi: Quando due atomi di idrogeno si combinano tra di loro tenderebbero ad acquistare la configurazione elettronica del gas nobile più vicino (l’elio), quindi mettono insieme gli orbitali 1s che si fondano venendo a contatto originando un orbitale molecolare, dove all’interno ci sono due elettroni ognuno di un atomo di idrogeno. In questo modo, ogni atomo per un periodo di tempo istantaneo avrà un doppietto completo. E’ come se mettessimo in condivisione tra di noi un conto corrente da un milione di euro, che cambia di proprietà secondo per secondo; noi per quel secondo stiamo a posto con quel milione che abbiamo, quindi nell’arco della giornata per più volte ho una situazione di benessere e quindi conviene la compartecipazione. Tornando all’idrogeno si tratta di una condivisione simmetrica, perchè avendo stessa elettronegatività i due elettroni sono attratti con la stessa forza dai due nuclei, quindi simmetrici l’uno all’altro. Questo tipo di legame è detto legame covalente apolare o puro, non si crea una asimmetria. Stessa cosa tra due atomi di ossigeno , i due atomi si fondano tra di loro formano un orbitale molecolare a sovrapposizione totale quindi di tipo sigma. Gli altri due orbitali tanto vicino non possono andare altrimenti si respingono per vicinanza dei nuclei, si sovrappongono parzialmente formando un orbitale molecolare pi greco, in questo caso i due atomi si legano con un legame doppio. Anche in questo caso i due atomi sono uguali tra di loro e c’è una perfetta simmetria, è quindi una molecola covalente a-polare o pura con differenza di elettronegatività pari a zero. Tra due atomi di azoto si forma il primo orbitale da sovrapposizione totale, per quegli orbitali che sono sulla stessa linea formando un orbitale sigma, e tra quelli paralleli (px e py) si formano due orbitali a sovrapposizione parziale di tipo pi greco, quindi è un tipo di legame triplo (indicato con tre trattini) ed è un legame covalente a-polare perché c’è una simmetria degli elettroni tra i due atomi di azoto. Diversamente quando combiniamo l’idrogeno con il cloro (molto elettronegativo), si fondono l’orbitale s con quello p del cloro formando un orbitale molecolare con sovrapposizione totale (sigma), ma non osserviamo una distribuzione simmetrica ma gli elettroni vanno per lo più verso 9 quello più elettronegativo. Facendo un riproduzione dinamica dell’orbitale molecolare, gli elettroni faranno un giro più grande intorno al cloro e un giro più veloce intorno all’idrogeno, allora nel tempo gli elettroni staranno più dalla parte del cloro che da quella dell’idrogeno. Quindi siccome nel tempo la distribuzione non è simmetrica possiamo individuare nel tempo un polo dove c’è una carica leggermente negativa e un polo con carica leggermente negativa. Queste molecole si dicono covalenti polari, come ad esempio lo è l’acqua, che presenta una distribuzione degli elettroni che è asimmetrica, perché gli elettroni staranno più dalla parte dell’ossigeno che da quello dell’idrogeno. Molecole che daranno origine anche ai legami dipolo-dipolo. Quindi negli orbitali di tipo sigma due orbitali qualsiasi si compenetrano tra loro, mentre orbitali di tipo pi greco quando hanno una sovrapposizione di tipo parziale. Quando vediamo il triplo o il doppio legame uno dei due sarà sempre sigma gli altri, quelli in sovrannumero,sono sempre pi greco. Il tipo di legame dipende dalla differenza di elettronegatività: quando abbiamo piccole differenze si ha un legame covalente a-polare, man mano che aumenta questa differenza il legame diventa sempre più polare fino a diventare ionico. In alcuni casi si parla di percentuale ionica del legame, cioè non si può escludere che un legame che è di natura covalente per un periodo di tempo veda gli elettroni sempre dalla parte più elettronegativo. Ad esempio se il fluoro lega un elemento scarsamente elettronegativo attraverso un legame covalente, la differenza di elettronegatività è tale che per un 90/95% gli elettroni sono sempre dalla parte del fluoro e ogni tanto vanno dall’altro elemento. Possiamo parlare di interazione ionica anche se è di natura covalente. Il Legame Dativo E’ un legame covalente (il legame covalente è una condivisione di due elettroni in un orbitale molecolare) in cui, come nell’acido ipocloroso che diventa acido cloroso (HClO2) l’altro ossigeno, avendo raggiunto tutti gli altri elementi l’ottetto completo, non segue più la regola di Lewis e sposta l’elettrone formando due orbitali pieni e uno completamente vuoto. A questo punto si dispone difronte al cloro esponendo l’orbitale vuoto a questo e si fonde l’orbitale p vuoto con quello pieno del cloro formando un orbitale molecolare, dove c’è la coppia di elettroni quindi viene rispettata la regola covalente, ma il legame è di tipo dativo perché è un elemento che da entrambi gli elettroni. Nell’acido solforico non esiste nessun legame doppio, non c’è condivisione di 4 elettroni, ma sono legami dativi in cui ci sono due atomi condivisi. Il legame ionico è un’interazione elettrostatica tra due elementi che hanno una enorme differenza di elettronegatività; quindi, uno tende a cedere definitivamente uno o più elettroni e l’altro tende ad acquistare definitivamente uno o più elettroni. Tutti e due acquisiscono la configurazione elettronica del gas nobile a loro più vicino però rimangono con una carica che può essere o negativa o positiva, 10 e queste si attraggono. L’attrazione tra le cariche è ostacolata dal mezzo nel quale le cariche si trovano, ad esempio nell’acqua l’attrazione è circa 80 volte superiore che nel vuoto. Nel legame covalente si uniscono due o più atomi che non hanno una grande differenza di elettronegatività, a volte sono gli stessi atomi (Cl-Cl; H-H...), hanno le stesse caratteristiche elettroniche per questo tendono ad acquistare gli stessi elettroni, oppure ad avere la stessa elettronegatività. Nel legame covalente non si parla di acquisto o cessione degli elettroni, ma di condivisione. La condivisione di una o più coppie di elettroni porta alla formazione di orbitali molecolari, che sono proprio i famosi legami covalenti. Ogni orbitale, che sta intorno al nucleo o che è condiviso tra due nuclei, contiene al massimo due elettroni (principio di esclusione di Pauli). Esistono però degli orbitali particolari, orbitali di elettroni de-localizzati, che possono contenere 4/6/10 elettroni. Ma in generale quando si parla di orbitali molecolari, si intende una condivisione di DUE elettroni. Il legame dativo è un legame particolare, in quanto ci sono un DONATORE di doppietti e un ACCETTORE di doppietti. Si possono mettere insieme due atomi che presentano uno un orbitale completamente vuoto, e uno con l’orbitale con il doppietto completo, in questo modo noi possiamo avere quella che viene volgarmente chiamato “espansione dell’ottetto”, nel senso che è come se intorno ad un atomo ci fossero anziché massimo 8 elettroni, ce ne fossero 10. 1. Es. Acido Nitrico L’acido nitrico è una sostanza aggressiva che presenta come formula di struttura: Nell’acido nitrico, la cui formula bruta è HNO3, l’ossigeno ha 6 elettroni e l’idrogeno 1, sono legati tra di loro a formare un orbitale molecolare corrispondente ad un legame covalente asimmetrico (asimmetrico perché l’ossigeno è più elettronegativo), l’azoto ha 5 elettroni e l’ossigeno, che ne ha 6, per completare l’ottetto, si lega all’orbitale dell’azoto in cui c’è un solo elettrone, e forma un orbitale molecolare sigma (legame covalente quasi a-polare perché l’ossigeno ha elettronegatività 3,5 e l’azoto 3). L’ossigeno deve ancora completare l’ottetto, si lega quindi all’altro elettrone spaiato dell’azoto tramite un legame covalente di sovrapposizione parziale pi greco (regola di Hund: massima molteplicità). Si forma così un legame covalente doppio. Rimane ancora un ossigeno, apparentemente non c’è posto perché l’azoto ha raggiunto l’ottetto. L’ossigeno quindi, per potersi legare all’azoto, deve spendere un po’ di energia per far si che abbia tre orbitali pieni, ma facendo in questo modo, l’ossigeno espone nei confronti dell’azoto un orbitale completamente vuoto. L’azoto mette in condivisione il suo doppietto elettronico e forma un orbitale molecolare sigma con un doppietto elettronico condiviso, cioè un legame covalente dativo: azoto donatore, ossigeno accettore. Il legame dativo viene indicato con una freccia che parte dall’atomo donatore e va verso l’atomo accettore. 2. Es. Acido Fosforico Il fosforo è diverso dall’azoto, nonostante siano nello stesso gruppo; infatti, il fosforo si trova nel periodo successivo ed è quindi più grande, e proprio per questo non può formare i doppi legami. 11 L’unica molecola nella quale si suppone ci sia un doppio legame è l’acido meta-fosforico. L’acido fosforico H3PO4 è un acido triprotico, ovvero ha tre idrogeni salificabili, ovvero che possono essere ceduti, i tre idrogeni sono legati a 3 ossigeni attraverso legami covalenti. C’è poi il quarto ossigeno, che si riarrangia nella sua configurazione elettronica esterna e si espone con orbitale vuoto, si forma quindi un legame di tipo dativo. 3. Es. Acido Solforico Neanche lo zolfo per la sua grandezza non può formare doppi legami, quelli che può formare sono legami di tipo dativo. Nel caso dell’acido solforico (H2SO4), si formano due legami di tipo dativo tra lo zolfo e due ossigeni. Nel legame metallico due elementi di natura metallica, che possono essere diversi o uguali tra di loro, tendono a cedere elettroni, ma se tra i due nessuno li prende, perché entrambi tendono a cedere elettroni, succede che, gli elettroni esterni, invece che rimanere fissi in orbitali intorno al nucleo, orbitano intorno agli ultimi orbitali di TUTTI gli atomi di metallo presenti intorno a lui. La nuvola elettronica avvolge questi nuclei carichi positivamente, carichi positivamente perché gli elettroni si muovono verso l’esterno, quindi all’interno rimangono solo i cationi che rimangono uniti grazie agli elettroni. Non tutti i metalli hanno una consistenza rigida come quella del ferro, cromo, argento.., la minore consistenza è causata dal numero di elettroni che sono più esterni e fanno da collante. Ad esempio sodio e potassio elementari, sono molto simili all’argento, solo che se si prova a schiacciarli con un dito, il dito affonda, proprio perché avendo un solo elettrone di valenza nello strato più esterno, non garantiscono la stessa rigidità del cloro ad esempio, che ha 7 elettroni nello strato più esterno. 3. Geometria Delle Molecole Quando si mettono insieme 2 atomi, la molecola è sempre lineare (O2, HCl, HF…) non esistono altre forme al di fuori di questa. Quando gli elementi sono 3, si dispongono nello spazio in modo diverso, e dipende dall’intorno di ciascuno elemento che partecipa alla formazione della molecola, ovvero, quando si parla di configurazione elettronica, e ci si focalizza su elettroni esterni che si trovano all’interno di orbitali che hanno forme diverse (es. orbitale s è sferico, orbitale p è a doppio lobo..) e sono orientati in maniera diversa, tanto che il numero magnetico m ci dice in che modo sono orientati, ad esempio l’orbitale di tipo s non ha orientazione nello spazio, ma i tre orbitali con doppio lobo, sono orientati a formare i tre assi cartesiani x, y, z. Si dispongono in questo modo, perché le cariche negative degli elettroni si respingono e per questo devono essere disposte in modo tale da essere il più lontano possibile l’uno dall’altro. Quando questi orbitali sono orientati in un certo modo, l’orientazione tenderà a far si che gli elementi si leghino tra di loro, tenendo conto di certi tipi di angoli. Quindi, la forma delle molecole dipende in particolare da quello che è l’intorno dell’elemento centrale. TEORIA VSEPR (Valence Shell Electron Pair Repulsion- Repulsione tra elettroni presenti nel Gruppo di valenza): 12  AX2= A è l’elemento centrale e X2 stanno uno a sinistra e uno a destra, la geometria è lineare. La linea è perfetta quando l’atomo centrale ha gli orbitali comuni con, uno a destra e uno a sinistra, che sono in direzione opposta gli elementi ai lati. È il classico caso del Cloruro di Berillio (BeCl2), il berillio è l’elemento presente nel secondo gruppo che ha una configurazione esterna che è 2s2, quindi, invece che posizionarsi uno accanto all’altro (Be=), i due elettroni di valenza, si posizionano il più lontano possibile tra di loro, uno opposto all’altro (-Be-), l’angolo che ci sarà tra di loro sarà di 180°. In questo caso, nel Cloruro di Berillio, il Be lega due atomi di Fluoro, che hanno l’esigenza di prendere un elettrone ciascuno, formando una molecola lineare. Per l’Anidride Carbonica (CO2), la cosa è diversa, quando il Carbonio si lega ai due ossigeni, si deve tener conto che la configurazione elettronica del carbonio deve tenere gli elettroni alla massima distanza tra di loro e questa orientazione nello spazio degli orbitali dev’essere fatta in modo tale da favorire il legame: In questo caso l’ibridazione del carbonio è di tipo sp3, ovvero un orbitale s e 3 orbitali p si rimescolano tra di loro a formare 4 orbitali che hanno una forma intermedia tra quello s e quello p. Ma nel caso specifico dell’Anidride Carbonica questo non va bene, infatti il carbonio va incontro ad un’ibridazione che è di tipo sp, ovvero manda in ibridazione soltanto un orbitale di tipo s e un orbitale di tipo p, si formano due orbitali ibridi che per stare alla massima distanza dovranno stare uno opposto all’altro. Rimangono però altri due elettroni che non hanno partecipato, quindi erano orbitali di tipo p e lo sono rimasti, questi sono orientati secondo gli assi cartesiani x,y,z, ma poiché un orbitale p è ibridato, gli altri saranno ortogonali tra di loro. Adesso si dispongono gli ossigeni che hanno due orbitali pieni e due orbitali semi vuoti (o semi pieni). Si forma un doppio legame, formato da un orbitale p del carbonio e un orbitale semi vuoto dell’ossigeno che creano un legame sigma, e un altro legame che si va a creare tra l’altro orbitale p del carbonio e l’altro elettrone spaiato dell’ossigeno, che va a creare però un legame di sovrapposizione parziale pi greco. Il legame tra carbonio e ossigeno è polare. È una molecola LINEARE.  AX3 la lettera A rappresenta l’elemento centrale, ed è sulla lettera A che bisogna creare la configurazione elettronica esterna, ovvero in che modo sono disposti gli orbitali e se questo va incontro a ibridazione. Cosa importante: non è vero che solo il carbonio va incontro a ibridazione, vanno incontro a ibridazione tantissimi elementi (es. emoglobina, al centro c’è uno ione Ferro, questo ione a seconda di come è ibridato da delle caratteristiche particolari all’emoglobina, e consente a questa legare l’ossigeno). La struttura è TRIGONALE PLANARE, 13 Le palline bianche sono i tre orbitali che si orientano nello spazio a 120° l’uno dall’altro, ognuno di loro ospita un elettrone, e visto che sono sullo stesso piano, questa struttura è trigonale planare (es. triangolo equilatero). Le tre bisettrici che vanno dagli atomi esterni verso il centro rappresentano l’orientazione dei tre orbitali, orbitali di tipo s e di tipo p che sono ibridi tra di loro, infatti non esiste nessun tipo di orbitale secondo l’equazione di Schrodinger e i numeri quantici, che sono orientati nello spazio a 120° (orbitali p sono a 90° per formare x,y,z; orbitali s non hanno orientazione; gli orbitali d sono disposti in maniera diversa ma sono sempre alla stessa distanza tra di loro). L’ibridazione dell’atomo centrale è di tipo sp2, ovvero un orbitale s e due orbitali p si so o rimescolati tra di loro, formando tre orbitali iso-energetici, questi orbitali bisogna per forza disporli a 120° tra di loro, in modo che siano alla massima distanza. Questi tre orbitali possono interagire con un altro elemento per formare dei legami, per esempio nella struttura AX3, formano tre legami covalenti con tre elementi che presentano un elettrone spaiato nell’orbitale. Trifluoruro di Boro (BF3): il Boro è del terzo gruppo e si dispongono sempre il più lontano possibile, il boro ibridizza i tre orbitali più esterni, in modo da prepararli per la formazione del legame. Gli orbitali saranno ibridati sp2 e saranno disposti a 120° l’uno dall’altro a formare una struttura trigonale planare, ogni orbitale ospita un elettrone, al Fluoro occorre un elettrone per raggiungere l’ottetto, quindi si mettono insieme con tre legami di tipo sigma. La molecola di Trifluoruro di Boro è APOLARE perché, anche se le direzioni sono tutte diverse, seguendo la regola del parallelogramma (fisica), si noterà che tre momenti di polarità si annullano tra di loro. Quindi anche se la molecola è formata da legami POLARI è alla fine una molecola APOLARE. Anidride Solforica (SO3): lo Zolfo forma un primo legame doppio con l’Ossigeno e poi forma due legami Dativi con gli altri atomi di Ossigeno. La molecola risulta essere trigonale planare perché gli orbitali esterni dello Zolfo, prima di legarsi con gli Ossigeni vanno incontro a ibridazione. Quindi ci sono due orbitali con un elettrone, e due orbitali con un doppietto elettronico. Nell’ossigeno, l’orbitale di tipo p, ad esempio px, forma un orbitale molecolare, l’altro orbitale con un elettrone spaiato dello Zolfo, che risulta essere non ibridato, è ortogonale al piano, e contemporaneamente parallelo ad uno degli orbitali dell’ossigeno che ha un solo elettrone, e con questo forma un legame sigma di sovrapposizione parziale. Quindi tra zolfo e ossigeno si forma un doppio legame. Per gli altri ci sarà la formazione di due legami dativi, in cui lo zolfo è donatore e l’ossigeno accettore.  AX2E: la E rappresenta una coppia di elettroni che non partecipa al legame, quindi l’elemento centrale A si lega a due elementi tramite legami covalenti, ma a lui rimane una coppia di elettroni che non partecipa al legame. Anidride Solforosa (SO2): in questo caso la molecola è piegata a 120° perché lo Zolfo centrale, così come nell’Anidride Solforica, è sempre ibridato sp2, quindi, la forma degli orbitali gli permette dei legami che sono a 120°, non importa se ha un doppietto libero, la molecola risulta comunque piegata, non lineare. 14  AX4 l’elemento centrale A, si lega con quattro altri elementi. Metano (CH4): la molecola non è planare, ma tetraedrica, il metano planare non esiste, questo perché il carbonio, prima di legarsi agli elementi esterni, i suoi elettroni vanno incontro ad un ri- arrangiamento, che contempla la partecipazione di un orbitale s, ma anche di tutti e tre gli orbitali p, ognuno di questi orbitali, che contengono un elettrone carico negativamente, si orienterà lungo i vertici di un TETRAEDRO. Gli orbitali molecolari che si formano tra Carbonio e Idrogeno sono sigma. Le molecole AX4 sono tutte TRIDIMENSIONALI. Angolo di legame circa 109,5°.  AX3E Ammoniaca (NH3): anche l’ammoniaca risulta essere una molecola tridimensionale, molto simile al metano, infatti gli orbitali sono ibridati sp3, la differenza è che rimane un doppietto elettronico non condiviso che occupa un certo spazio (cariche negative devono stare lontane dagli altri orbitali), quindi la molecola di ammoniaca è tridimensionale, però, laddove la molecola di metano sembrava una piramide a base triangolare, anche questa ha la forma di una piramide, ma più corta, non va in alto, a causa dell’assenza di un quarto legame. Il doppietto elettronico non condiviso, per l’azoto è importantissimo, perché lo rende una BASE DI LEWIS, cioè un donatore di doppietti elettronici, si chiama Nucleofilo e va alla ricerca degli Elettrofili. Ad esempio, quando si mette l’ammoniaca in acqua, si prende un idrogeno dall’acqua e si forma lo Ione Ammonio (NH4+). Angolo di legame circa 107,5°, perché il doppietto non legato prende più spazio.  AX2E2: in questo tipo di molecola c’è l’elemento centrale A, due elementi ad esso legati e due doppietti elettronici liberi Acqua (H2O): l’acqua deve tutte le sue proprietà a questa forma, in particolare lo deve alla capacità dell’ossigeno di andare incontro a ibridazione. Così come per il carbonio e l’azoto, gli orbitali esterni dell’ossigeno devono andare incontro a ibridazione sp3, e si orientano nello spazio lungo i vertici di un tetraedro, la differenza è che qui sono due gli orbitali che hanno un doppietto pieno, e che quindi non partecipano ad un legame vero e proprio, mentre sono due gli orbitali che partecipano al legame con gli idrogeni. Angolo di legame circa 104,5°, perché i doppietti non legati prendono più spazio. METANO AMMONIACA ACQUA Le molecole presentano una distribuzione asimmetrica degli elettroni a seconda della differenza di elettronegatività degli elementi che partecipano al legame, finché si legano due elementi uguali, il legame è perfettamente simmetrico (gli elettroni sono condivisi al 50% tra i due elementi: nessuno è più forte dell’altro), la cosa è diversa quando si legano due elementi con diversa elettronegatività, ad esempio HCl, il cloro è più elettronegativo rispetto all’idrogeno, quindi della compartecipazione gli elettroni staranno più dalla parte del cloro che dalla parte dell’idrogeno, questa distribuzione asimmetrica determina la formazione di un polo delta meno (parziale carica negativa sul cloro) e delta più sull’idrogeno, di crea il DIPOLO, la molecola è quindi POLARE. Si chiama dipolo perché 15 si distingue un polo delta più e un polo delta meno, quando due molecole con la stessa polarità vengono a contatto tra di loro, questa si gira e fa più/meno, in modo da interagire elettrostaticamente, se l’energia di cui sono dotati è bassa, hanno anche la capacità di interagire per più tempo, se l’energia cinetica è alta non interagiscono. Più è intensa l’interazione tra le molecole, maggiore è la consistenza dello stato della materia che stiamo considerando, se le molecole hanno elevata energia cinetica e scarsissima interazione da un punto di vista dipolo-dipolo, le molecole si scontrano ma non interagiscono, questa caratteristica è tipica dello stato gassoso. Quando invece le molecole sono dotate di una scarsa o media energia cinetica ed hanno un elevata capacità di creare delle interazioni tra di loro, interazioni molto forti, di natura non solo elettrostatica, allora queste molecole interagiscono per un po’ più di tempo, poi si staccano e interagiscono con quella accanto, e fanno questo in continuazione, scivolano tra di loro, caratteristica dello stato liquido. Quando invece le molecole hanno scarsissima energia cinetica, ma creano fortissime interazioni tra di loro, come nel caso del legame ionico, le molecole, o ioni, non sono in grado di abbandonare la propria posizione nello spazio e quindi interagiscono per sempre con le stesse molecole che hanno vicino, caratteristica dello stato solido. Alcune sostanze non possono essere considerate molecole, ad esempio i Sali non solo molecole, perché lì non c’è l’interazione fisica di condivisione di elettroni tra i due elementi, quello anionico e quello cationico, ma c’è un’interazione di natura elettrostatica (es. NaCl, AgCl, ecc… sono composti ionici, non molecole). In alcuni casi però la componente anionica è formata da legami veri e propri, ad esempio il Nitrato di Ammonio (NaNO3) ha NO3- che fa dei legami fisici con l’ossigeno ed è poi legato al sodio, quindi la parte anionica ha dei legami all’interno, ma tra la parte anionica e quella cationica l’interazione è elettrostatica, non c’è un legame vero e proprio. Così come abbiamo visto che per i composti ionici non c’è la molecola, anche per i composti molecolari ci sono delle sostanze che non presentano la molecola discreta, quelle che noi possiamo isolare, ad esempio il Silicio in SiO2, quello che costituisce il quarzo e la struttura portante del vetro, ha la stessa configurazione esterna del Carbonio, non può formare doppi legami ed è quindi costretto a formare quattro legami covalenti semplici con l’ossigeno, facendo così è come se la molecola non terminasse mai, perché gli elementi terminali si legano con due ossigeni, e ogni ossigeno deve reagire con un silicio, quindi noi possiamo trovare, in questa struttura RETICOLARE di natura molecolare, una formula minima, ovvero un rapporto minimo tra quanti silici e quanti ossigeni ci sono, i rapporto e 1:2 (1 silicio, 2 ossigeni). Non possiamo però identificare la molecola discreta, la molecola SiO2 non esiste, possiamo solo identificare il rapporto minimo. 9. Le soluzioni Una soluzione è un miscuglio omogeneo in cui è visibile una sola fase. All’interno della soluzione si può comunque riscontrare la presenza di più componenti: la componente più abbondante è convenzionalmente detta solvente mentre quella che vi è disciolta all’interno è detta soluto (non per forza uno solo). Per quanto riguarda le soluzioni, bisogna analizzare il motivo per il quale alcune componenti si sciolgono e altre no, considerando che a livello biologico la maggior parte delle reazioni avvengono in soluzione acquosa 16 (ricordare però che l’acqua non è il solvente universale altrimenti scioglierebbe qualsiasi cosa, ma è il solvente biologico universale) Quando effettuiamo una solubilizzazione, ad esempio di sale in acqua, questo per densità si deposita sul fondo e dopo diverso tempo si scioglie diventando invisibile. L’unico modo per rilevarne la presenza sarebbe assaggiare la soluzione. Spontaneamente, se una sostanza si scioglie in un’altra, tende ad occupare il maggiore spazio disponibile e quindi ad andare verso il massimo disordine (secondo la termodinamica). 9.1 Concentrazioni delle soluzioni Si può provare a fare un esperimento ponendo in un bicchiere contenente acqua, qualche goccia di mercurio cromo (o tintura di iodio), la colorazione della soluzione assume un colore rosaceo. Aggiungendo sempre più mercurio cromo, la soluzione assumerà una colorazione sempre più marcata e tendente al rosso. Attraverso questo esperimento possiamo definire il concetto di concentrazione della soluzione, definita come rapporto tra molecole di soluto e volume occupato da queste molecole nella soluzione. Quindi relativamente alla concentrazione di una soluzione si possono distinguere sostanze diluite, concentrate o sature (se si riscontra la presenza di un corpo di fondo, cioè di soluto indisciolto che si deposita sul fondo del recipiente). 9.2 Solubilità Non tutte le sostanze si sciolgono allo stesso modo all’interno di un solvente. Per la definizione “il simile scioglie il suo simile”, nei solventi polari si sciolgono bene soluti polari e nei solventi apolari si sciolgono bene soluti apolari (ovviamente non è detto che debbano sciogliersi per forza) I solventi su cui poniamo la nostra attenzione sono quelli polari, in particolare l’acqua (non dimenticare che l’acqua è il solvente biologico più importante) In acqua infatti, si possono sciogliere due tipi di sostanze: le sostanze che si sciolgono e rendono la soluzione finale incapace di condurre corrente (non elettrolitiche) e sostanze che si sciolgono e rendono la soluzione finale capace di condurre corrente (elettrolitiche). *I sali sono tutti elettroliti es. cloruro di sodio in acqua La grande differenza sta nel fatto che le sostanze elettrolitiche in acqua si sciolgono e si dissociano in ioni mentre le sostanze non elettrolitiche in acqua si sciolgono ma non si dissociano in ioni. Quindi sottoponendo ad un campo elettrico una soluzione composta da ioni (positivi e negativi) e acqua, verso il polo positivo si spostano gli ioni negativi e verso il polo negativo si spostano gli ioni positivi, generando quindi un campo elettrico. Inoltre, aggiungendo una sostanza polare in acqua, la prima cosa che si viene a verificare è l’interzione dipolo-dipolo in cui i dipoli positivi dell’acqua interagiscono con quelli negativi del soluto e viceversa. Vi è un altro fattore importante che influenza la solubilità delle sostanze in acqua: la possibilità di formare legami a idrogeno. Nel caso del glucosio ad esempio, che contiene molti gruppi OH, può formare tanti legami a idrogeno con l’acqua stessa. Si forma quindi un reticolo cristallino di molecole di acqua attorno ad ogni molecola di glucosio. Le molecole di acqua che si dispongono attorno ad ogni molecola di glucosio vanno ad agire su queste ultime con una particolare forza di attrazione. Poiché la forza di 17 attrazione tra le molecole di acqua è maggiore della forza di attrazione tra le molecole di glucosio, queste si separano e passano in soluzione; si dice che le molecole di glucosio sono state solvatate. Siccome le molecole di glucosio solvatate hanno una densità maggiore di quella dell’acqua, si dispongono sul fondo del recipiente dove creano una sorta di barriera protettiva nei confronti dell’acqua che è ancora libera da qualsiasi legame con lo zucchero stesso. Attraverso l’agitazione si pone lo zucchero in movimento e lo si rende quindi disponibile ad essere solvatato. Ponendo invece acido cloridrico (HCl; acido alogenidrico con legame covalente fortemente polare che non forma legami a idrogeno) in acqua, questo non forma legami a idrogeno in quanto l’idrogeno stesso è legato al cloro che è un elemento grande ed elettronegativo. Succede però che le molecole di acqua si dispongono attorno a questi dipoli in maniera tale che l’ossigeno dell’acqua sia vicino all’idrogeno dell’acido cloridrico e che l’idrogeno dell’acqua sia vicino al cloro dell’acido cloridrico. La forza di attrazione da parte dell’acqua sull’acido cloridrico è maggiore della forza che unisce cloro e idrogeno che quindi si distaccano; il cloro assume l’elettrone dell’idrogeno diventando quindi Cl- e viene completamente solvatato. L’elettrone che si libera dal cloro invece, non viene assunto dall’idrogeno (in quanto H+ non esiste) ma viene assimilato da una molecola d'acqua che diventa H3O+. Quanto sopra descritto rappresenta il sistema con cui una sostanza sciolta in acqua si dissocia in ioni: ione positivo e ione negativo. Tutti i sali si sciolgono in acqua tranne nel caso in cui la forza di attrazione tra gli ioni del sale è maggiore della forza con cui l’acqua agisce sul sale per provocare il distacco degli ioni (es. solfato di bario BaSO4; ossalato di calcio CaC2O4 che provoca calcoli ad esempio…) Affinché una sostanza si possa sciogliere in acqua devono intercorrere delle forze: legami a idrogeno; interazioni ioni-dipolo; interazioni tra gruppi carichi; forze di Van der Waals; interazioni idrofobiche. 9.3 Calcolo delle concentrazioni 1.3.1 Rapporto volume-volume È un tipo di rapporto variabile in quanto fa riferimento al volume, una grandezza che risente della variazione di temperatura. Ad esempio sciogliendo un liquido in un altro liquido. %volume/volume: Si intende quanti ml di soluto ci sono in 100ml di soluzione finale. Si usa per determinare ad esempio la gradazione alcolica di una bevanda o i volumi di acqua ossigenata (usata generalmente al 2%) 18 Rapporto peso-peso è un tipo di rapporto che non cambia mai in quanto è un rapporto tra masse e la massa non varia al variare della temperatura (a differenza del volume). Frazione Molare (x) se ho una soluzione costituita da due parti, una A e una B, la frazione molare del soluto A è uguale al rapporto tra le moli del soluto A e le moli totali della soluzione. A livello biologico, nelle soluzioni acquose, la frazione molare quasi uguale a 1 perché molto diluite. Molalità (m) è un modo di misurare la concentrazione come numero di moli di soluto presenti in un Kg di solvente (non soluzione) Rapporto peso-volume. Molarità (M) cioè numero di moli del soluto nel volume totale della soluzione. Non si può usare per tutte le soluzioni in quanto utilizza il volume che come già detto è variabile in funzione della temperatura. %peso/volume. Si calcola come grammi di soluto disciolti in 100ml di soluzione Si trova ad esempio nella soluzione fisiologica (soluzione con cloruro di sodio allo 0.9%) e nella glucosata. Tale concentrazione viene estratta tenendo conto delle proprietà osmotiche dei fluidi biologici 10. L’acqua L’acqua ha proprietà uniche in quanto all’interno dell’ambiente acquoso avvengono tutte le razioni metaboliche e biologiche. L’ibridazione sp3 della molecola le conferisce tutte le sue caratteristiche e l’importanza nell’interazione con le altre sostanze. Nella nostra specie l’acqua viene assimilata attraverso l’alimentazione ed espulsa attraverso feci e urine o attraverso l’espirazione (vapore acqueo). L’acqua è l’unica sostanza inorganica che si trova allo stato liquido in condizioni di temperatura e pressione ordinarie. é caratterizzata da proprietà fisiche singolari:  costante dielettrica: capacità dell’acqua di tenere separate cariche di segno opposto (che altrimenti si attrarrebbero). Se tentassimo di sciogliere il sale da cucina in alcool tipico, il sale si scioglierebbe in quantità minore perché l’alcool ha una costante dielettrica minore dell’acqua Per l’acqua pura è pari a 80;  elevata capacità termica: il fatto stesso che per riscaldare l’acqua serva molto calore fa in modo che le cellule non soffrano dello sbalzo termico e quindi non soffrano una elevata quantità di calore (stessa cosa vale per il raffreddamento); 19  elevato calore di evaporazione: l'acqua evaporando sottrae anche calore all’ambiente (ad esempio la sudorazione)  alta viscosità: la viscosità è una proprietà differente dalla densità in quanto rappresenta lo scorrimento di un liquido attraverso un tubo. L’acqua ha una viscosità elevata che influenza anche lo scorrimento del sangue attraverso i vasi (esempio alcool etilico)  elevato calore di fusione: si intende la protezione dal congelamento (stesso principio relativo all’elevata capacità termica);  elevata adesione e tensione superficiale: ad esempio bagnando un pezzo di scottex con acqua, questa tende ad espandersi per capillarità. la tensione superficiale influenza la forma sferica e piccola della goccia d’acqua. Una sostanza che diminuisce la tensione superficiale è il sapone. Una particolare caratteristica dell’acqua rispetto ad altre sostanze liquide (tipo il metano o l’acido solfidrico) è la differenza dei punti di fusione in quanto tra le molecole d’acqua si formano dei legami ad idrogeno che sono più forti rispetto a quelli dell’ammoniaca per esempio (nonostante anche questa li formi). La maggiore forza dei legami ad idrogeno dell’acqua è dovuta a due fattori: - la differenza di elettronegatività tra ossigeno e idrogeno sia maggiore della differenza di elettronegatività tra azoto e idrogeno: - l’ammoniaca presenta un solo doppietto elettronico libero su cui formare il legame a idrogeno, rispetto ai due doppietti elettronici disponibili nell’acqua. (ogni molecola d’acqua forma 4 legami a idrogeno: due come donatore e due come accettore) il numero di legami idrogeno a parità del numero di molecole è inferiore. Il legame a idrogeno è un legame covalente dativo e transitorio in cui un ossigeno che è un elemento piccolo e molto elettronegativo di una molecola A interagisce con l’idrogeno della molecola B che deve essere legato ad un elemento piccolo e molto elettronegativo. gli elettroni dell’orbitale molecolare si trovano maggiormente spostati verso l’azoto. Si crea quindi una condizione in cui l’idrogeno si trova in una condizione di carenza di elettroni nel suo orbitale di tipo s; quindi il donatore mette a disposizione il proprio doppietto elettronico legando quindi un idrogeno di un’altra molecola. Si crea quindi un legame dativo transitorio che si forma e distrugge in breve tempo. Nello stato solido le molecole non sono in grado di scivolare e muoversi dalla loro struttura ordinata, formano quindi legami a idrogeno (che sono comunque transitori) sempre tra le stesse molecole di acqua. Nello stato liquido è la somma dei legami a idrogeno che si formano in continuazione a determinare lo stato fisico. Nello stato di vapore le molecole hanno grande energia cinetica quindi i legami a idrogeno tra le molecole non fanno in tempo a formarsi 10.1 Interazione tra soluto e solvente Nell’acqua si possono sciogliere bene le sostanze polari. Dobbiamo osservare che quando sciogliamo gli ioni, le molecole d’acqua circondano gli anioni o i cationi e iniziano a separarli. Se la 20 forza di distacco esercitata dall’acqua è maggiore della forza che tiene uniti gli ioni, si ha la solvatazione. Se invece questa forza di distacco è bassa o comunque minore della forza che tiene unita la molecola ionica, osserviamo che la molecola non viene sciolta. La solvatazione delle sostanze non elettrolitiche è ottimale per le sostanze dipolari o contenenti gruppi che potrebbero formare legami a idrogeno con l’acqua (es. l’acetone per rimuovere lo smalto è derivato dallo scioglimento di propanone in acqua non cui forma legami a idrogeno) Il catione viene completamente circondato dalle molecole d'acqua che si dispongono con la parte negativa verso la molecola. La densità di carica influenza il numero di molecole di acqua che devono circondare un dato ione. Quindi il numero di molecole d’acqua che deve circondare uno ione con grande densità di carica è maggiore del numero di molecole necessarie a circondare ioni con bassa densità di carica. Questo principio determina anche la selettività del passaggio di determinate particelle attraverso i canali ionici biologiche. 10.2 Stabilizzazione delle molecole biologiche in soluzione acquosa Tutto ciò che avviene nel nostro corpo avviene per opera di enzimi che agiscono in soluzione acquosa e determinano la degradazione delle macromolecole. Anche le molecole biologiche sono soggette al concetto di solubilità; ad esempio l’olio e i grassi sono insolubili in ambiente acquosa in quanto sono sostanze apolari. Per ovviare a questo fenomeno nel nostro organismo sono presenti dei sistemi chimici che permettono a determinate sostanze insolubili in acqua di solubilizzarsi ugualmente, come l’effetto del sapone. Molte molecole organiche hanno funzione ossidrilica (ad esempio il glicerolo) e possono formare legami a idrogeno con l’acqua e quindi possono sciogliersi sebbene siano insolubili perchè a-polari. Anche l’aceto che contiene l’acido acetico (CH3COOH) interagisce con l’acqua formando numerosissimi legami a idrogeno. Il beta-di-glucopiranosio (glucosio con struttura ciclica a 6 termini che sta alla base di tutte le attività metaboliche) è molto solubile in acqua perchè contiene numerosi gruppi ossidrilici dipolari che formano legami a idrogeno con l’acqua. 21 Non è sufficiente che sia presente un legame fortemente polare per determinare la solubilità di una molecola in quanto i cristalli covalenti non si sciolgono in acqua; il fatto che la molecola dia un reticolo la rende insolubile nonostante la presenza di un forte momento dipolare. 10.3 Influenza del legame idrofobico È l’interazione che si viene a creare tra due molecole completamente apolari con la formazione di dipoli indotti che è molto effimera ma può diventare fondamentale in funzione della dimensione della dimensione della molecola. Una sostanza idrofoba non si scioglie in acqua perché le molecole d’acqua formano tra loro legami a idrogeno; l’aggiunta di sostanze idrofobe porta le molecole d’acqua a “proteggersi” da queste creando una rete (cluster) molto ordinata intorno a queste molecole idrofobe. Da una situazione in cui le molecole d’acqua si legavano tra loro casualmente si passa ad una situazione in cui le molecole d’acqua devono organizzarsi in maniera ben precisa attorno a questa sostanza idrofoba. Se si tentasse di sciogliere l’olio in acqua mescolando fortemente, si potrebbe osservare la formazione di cluster attorno ad ogni gocciolina d’olio. Si può quindi osservare che da una situazione di disordine (acqua pura liquida) si passa ad una situazione di ordine a causa della configurazione a rete (si va contro le leggi della termodinamica). Attendendo poco tempo si potrà notare che l’olio va su e l’acqua va giù in maniera naturale per differenza di densità; la superficie di contatto tra acqua e olio si limita al perimetro del recipiente, ovvero alla minor superficie possibile. A proposito di sostanze idrofobe ci si sofferma sul doppio strato lipidico delle membrane biologiche. I lipidi presenti nelle membrane presentano una testa polare carica negativamente idrofila (ama l’acqua) e due code apolari idrocarburiche idrofobe (odia l’acqua); questi lipidi si dispongono in maniera tale da disporre le Code idrofobiche all’interno e le teste idrofiliche all’esterno a contatto con l’acqua. Queste molecole con doppia natura si chiamano anfipatiche. 11. Proprietà delle soluzioni acquose Si possono distinguere in 2 tipologie diverse:  Proprietà indipendenti dalla natura del soluto: Dipendono solo dalla quantità del soluto presente in soluzione, indipendentemente da ciò che è il soluto (Acido, base, nutriente ecc) → Proprietà colligative;  Proprietà acido-base: proprietà delle soluzioni in cui il soluto interagisce con l’acqua e dà vita ad una soluzione caratterizzata da proprietà particolari, aumentando o diminuendo la concentrazione di determinati tipi di ioni che provengono dalla dissociazione dell’acqua. (L’acqua va incontro a dissociazione spontanea). Prima di trattare delle proprietà colligative, bisogna conoscere la definizione di ELETTROLITA. Elettrolita: Sostanza che quando viene inserita in soluzione, si scioglie e si dissocia producendo corrente elettrica. Solitamente sono spesso sali o sostanze con legame covalente fortemente polare, l’acqua circonda sia la carica negativa sia positiva, tirando a sé questi ioni (o frazioni di ioni), se la forza attrattiva dell’acqua è maggiore della forza attrattiva tra gli ioni o all’interno del legame covalente, si ottiene 22 la dissociazione: gli ioni positivi si spostano verso il polo negativo e quelli negativi verso il polo positivo. Non elettrolita: La sostanza che viene sciolta in soluzione non si dissocia e di conseguenza non conduce corrente elettrica, la sostanza rimane integra. (glicerolo, alcool, zucchero) La costante si chiama così perchè è costante a parità di temperatura. Cambiano solo al variare della temperatura. Esempi di elettroliti: Il cloruro di sodio sciolto in acqua è un conduttore di corrente, ma il cloruro di sodio solido non sciolto in acqua NON è un conduttore di corrente, perchè le cariche positive e negative occupano dei punti nello spazio (denominati nodi per i solidi cristallini) sui quali possono oscillare, ma non si possono allontanare, per cui se applico una differenza di potenziale al cloruro di sodio solido, questo non condurrà la corrente. Al contrario, se lo inserisco in soluzione acquosa, le cariche positive e negative vengono solvatate (quindi si separano) e se io sottopongo la soluzione a campo elettrico, gli ioni positivi andranno verso il polo negativo e quelli negativi verso il polo positivo. Tutto ciò che accade in chimica porta da una stato di minore stabilità a uno stato di maggior stabilità, ma non sempre la dissociazione porta a uno stato di maggiore stabilità, in quanto la sostanza da cui si stacca lo ione H+ (che diventa anione) potrebbe essere instabile e tende a riprendersi lo ione H+. Ma nel frattempo l’acqua continua a staccare lo ione H+, si crea quindi una situazione di perfetto equilibrio: la velocità con cui l’acqua tende a staccare lo ione H e l’anione tende a riprenderselo è uguale. (la velocità con la quale la sostanza tende a perdere lo ione è uguale alla velocità con cui la sostanza tende a riacquistarlo) Elettrolita forte: tutto ciò che si scioglie (o solubilizza) in soluzione, si dissocia. Elettrolita debole o non forte: immerso in soluzione, si scioglie ma non si dissocia totalmente (ad esempio se inserisco 100 g di soluto in soluzione, 20 g si dissociano e gli altri 80g si solubilizzano solo). 12. Costante di dissociazione Kdiss= ⎡⎢⎣ 3 −⎤⎥⎦[ ] +] [ 3 Questa formula riguarda la costante di dissociazione e ci permette di determinare in che rapporto si trovano le concentrazioni molari della sostanza indissociata (sciolta, ma non dissociata) con le concentrazioni molari di ciò che si dissocia. In chimica:  k minuscola: costanti cinetiche;  K maiuscola: costanti di equilibrio;  Parentesi quadre: indicano la concentrazione molare (n° di moli/volume soluzione) Nella formula abbiamo come esempio l’acido acetico in soluzione: Al numeratore sono presenti lo ione acetato e lo ione H+ → rappresentano ciò che si dissocia Al denominatore è presente la concentrazione molare dell’acido acetico Se inserisco in una soluzione acquosa 1000 molecole di acido acetico, queste si scioglieranno tutte, ma solo 40 si dissoceranno. Nella formula avremo quindi: Kdiss= [100040 ]  Quando 0 anidride carbonica solida che, in condizioni di temperatura e pressioni ordinarie, passa dallo stato solido allo stato di vapore direttamente senza passare per lo stato liquido. Infatti osservando il diagramma di stato della CO2 a pressione di 1 ATM l’anidride carbonica è presente a temperature bassissime sotto forma di solido, poi a -78 gradi c’è il passaggio da solido a gas senza passare per lo stato liquido. Bisogna esercitare pressioni molto forti di 10, 20, 29 30 atmosfere per riuscire a vedere il passaggio di stato da solido a liquido e poi a gassoso. Queste pressioni però sono molto elevate e si possono esercitare solo in condizioni non comuni). EFFETTO DEL SOLUTO SULLA TENSIONE DI VAPORE L’aggiunta di un soluto ad un solvente può avere degli effetti sulla tensione di vapore. Prima di capire il perché bisogna specificare che il soluto non è un soluto qualsiasi perché bisogna prendere in considerazione un soluto che non reagisca con il solvente e che sia non volatile ossia che, nelle condizioni in cui operiamo ossia temperatura e pressione ordinarie, non passi dallo stato di soluto in soluzione allo stato di vapore cioè non contribuisca a creare ulteriore tensione di vapore. Se si scioglie il cloruro di sodio (NaCl) nell’acqua , man mano che l’acqua passa dallo stato liquido allo stato di vapore andranno via solo le molecole di acqua ma non Na+ e Cl- in quanto non sono volatili a quelle temperature ma bisognerebbe portarli ad una temperatura di 700-800 gradi per farli passare da uno stato in soluzione ad uno stato di vapore. Quindi Na e Cl rimangono come soluto nella soluzione. Per questo motivo quando si mette a bollire l’acqua con il sale in una pentola, man mano che l’acqua evapora la concentrazione di NaCl aumenta. Ma perché l’aggiunta del soluto provoca l’abbassamento della tensione di vapore? La particella di soluto messa al pelo libero, essendo non volatile, non può passare allo stato di vapore. La presenza del soluto non volatile e che non reagisce con le particelle del solvente, fa si che, a parità di temperatura, la tensione di vapore si abbassi perché una parte di molecole di acqua che prima poteva passare allo stato di vapore non ci passa più in quanto il loro spazio è occupato dall’invasore ( il soluto). Se la tensione di vapore è inferiore di conseguenza osserviamo che la curva di demarcazione fra stato liquido e stato di vapore non è più la stessa. L’acqua comincia a bollire ad una temperatura superiore ai 100 gradi centigradi. Se aggiungo ancora più soluto che occupa ancor di più il pelo libero dell’acqua, l’effetto è amplificato quindi la tensione di vapore sarà ancora più bassa e il passaggio di stato tra liquido e vapore avverrà temperature più elevate perché, bisognerà fornire più calore per fare in modo che le molecole abbiano più energia cinetica per passare allo stato di vapore e si possa arrivare ad una tensione di vapore che eguagli quella atmosferica. In conclusione la tensione di vapore di una soluzione contenente un soluto non volatile sarà minore di quella del solvente puro. Questo perché alla superficie della soluzione sono presenti delle molecole di soluto che, diversamente dal solvente, non hanno alcuna tendenza ad evaporare. Da ciò deriva l'innalzamento ebullioscopico ma anche l’abbassamento crioscopico = l’acqua con un soluto ( es sale) congela ad una temperatura più bassa rispetto a quella normale perché le particelle di soluto impediscono alle molecole di acqua di organizzarsi in maniera ordinata come se il soluto creasse disordine nella disposizione ordinata del ghiaccio. Bisogna abbassare quindi ancora di più l’energia cinetica affinché inizino ad esserci interazioni più stabili e si arrivi al solido. Quindi sia l’abbassamento crioscopico e innalzamento ebullioscopico sono dipendenti dalle particelle di soluto presenti nella soluzione = più particelle si inseriscono nella soluzione più si avrà un innalzamento ebulloscopico o abbassamento della temperatura di congelamento. Queste due proprietà dunque dipendono direttamente dalla tensione di vapore. 30 ESPERIMENTO CHE DIMOSTRA L’ABBASSAMENTO DELLA TENSIONE DI VAPORE(FIG 5) Si supponga di avere due soluzioni a differenti concentrazioni (blu chiaro e blu scuro) caratterizzate da un soluto non volatile: le due soluzioni sono allo stesso livello e alla stessa temperatura sotto una campana di vetro. Nel caso di un liquido in equilibrio dinamico con il suo vapore si avrà che la velocità di vaporizzazione è uguale alla velocità di condensazione: quando viene aggiunto un soluto non volatile, però, le particelle di soluto interferiscono con la capacità delle particelle di solvente di evaporare; quindi, la velocità di vaporizzazione è perciò diminuita rispetto a quella del solvente puro. La variazione nella velocità di vaporizzazione crea uno sbilanciamento: la velocità di condensazione ora è maggiore della velocità di vaporizzazione. L’effetto netto è che alcune molecole che erano nella fase gassosa condensano nel liquido; di conseguenza, il numero di molecole nella fase gassosa si riduce e ciò causa la diminuzione della velocità di condensazione. Alla fine, le due velocità ritornano uguali, ma soltanto dopo che la concentrazione delle molecole di solvente nella fase gassosa è diminuita. Si raggiunge quindi un equilibrio con due soluzioni con la stessa concentrazione. EFFETTO DELL’ALTITUDINE SULLA TEMPERATURA DI EBOLLIZIONE Man mano che l’altitudine aumenta, la pressione atmosferica diminuisce. Diminuisce quindi la pressione ( tensione di vapore) che deve raggiungere una sostanza per passare dallo stato liquido allo stato di vapore. Dunque la temperatura di ebollizione diminuisce. La lezione precedente abbiamo trattato le proprietà colligative ed abbiamo più volte ricordato che esse sono legate NON alla natura della/e sostanza/e in analisi, bensì al NUMERO DI PARTICELLE (siano esse ioni, molecole…) presenti in soluzione. Pertanto sarà necessario distinguere le soluzioni elettrolitiche da quelle non elettrolitiche (la differenza tra le 2 è stata precedentemente trattata). Al fine di avere un’idea di quale sia l’effettivo numero di particelle presenti in soluzione è necessario far riferimento al rapporto fra la concentrazione effettiva di particelle presenti in soluzione e la concentrazione teorica. i = Ceffettiva/ Cteorica 31 Prendendo, ad esempio, 1000 molecole di glucosio (C6H12O6) e ponendole in acqua, tali molecole saranno COMPLETAMENTE SOLVATATE dall’acqua per la formazione di legami a idrogeno ma NON SI DISSOCIANO AFFATTO, infatti il glucosio è un NON ELETTROLITA (esso infatti ha α=0). Qualora invece ponessimo 1000 molecole di acido cloridrico (HCl), che si ricorda essere un elettrolita forte, in acqua, esso si DISSOCIA in H+ (che non esiste così riportato ma comunemente accettato per convenzione) e Cl- (dunque saranno 2 le particelle per ogni molecola di HCl posta in soluzione!). Va da sé che le 1000 molecole di HCl avranno un effetto completamente differente, a parità di volume, sulla soluzione rispetto alle 1000 di glucosio. La “i” sopra riportata è detta “indice di Van’t Hoff” e il suo valore si ottiene tramite tale formula: i = [1+α(n-1)] Da Ricordare che:  α è l’indice di dissociazione e che è un valore compreso tra 0 e 1;  n è l’indice di dislocazione; Seguono alcuni esempi con l’intento di chiarificare il calcolo dell’indice di dislocazione:  HCl →(H+) + (Cl-), essendosi dissociato in 2 particelle (in questo caso ioni) allora n=2  CaCl2 →(Ca++) + 2Cl- n=3;  H3PO4 →(3H+) + (PO4---) n=4. L’indice di dislocazione “n” pertanto, fornisce informazioni riguardo al numero che una sostanza genera durante la sua dissociazione. Si prendano dunque in esame i 2 casi estremi (dunque una sostanza non elettrolita e un elettrolita forte). Nel primo caso α=0 e, sostituendo i dati nell’equazione avremo che: i =[1+0]= 1 Potremmo dire che “tanto ne metto, tanto ne trovo”. Quindi se metto 2000 particelle di glicerolo ne troverò sempre 2000, poiché esso non da origine a nessuna dissociazione (appunto α=0).  Nel caso del cloruro di sodio (NaCl), notissimo elettrolita forte, α=1 mentre n=2: i =[1+1(2-1)]=2 si noti che, nel caso di elettroliti forti, il coefficiente di Van’t Hoff è identico all’indice di dislocazione n. Quella che invece potremmo definire come “terra di mezzo”, cioè che va da 1 ad n rappresenta l’insieme di valori del coefficiente di Van’t Hoff degli altri elettroliti (comunemente detti “deboli”). Es. CH3COOH (acido acetico) →(CH3COO-) + (H+) n=2 Sostituendo i valori nella già nota equazione avremo che: i= [1+0.5(2-1)] = 1.5 * *ATTENZIONE: il valore di α, 0.5, è un valore del tutto arbitrario utilizzato a fini esplicativi poiché esso varia al variare della concentrazione (dunque non è un valore fisso). 32 Tornando nuovamente alla trattazione delle proprietà colligative è necessario ricordare che i soluti di cui parliamo NON sono VOLATILI (es. zucchero), come già affermato durante la precedente lezione. Innalzamento Ebullioscopico è l’aumento della temperatura che si registra per poter portare una soluzione all’ebollizione. Se parliamo quindi, come spesso capiterà, di soluzioni acquose, ebbene l’acqua ad una pressione esterna di 1atm bolle a 100 ⁰C ma, aggiungendo del soluto non volatile, notiamo che la tensione di vapore diminuisce a parità di temperatura (come spiegato durante la lezione precedente, consultare il diagramma di stato dell’acqua) perché anche il “pelo libero” (strato più superficiale dell’acqua) è occupato da molecole di soluto che, non potendo evaporare, sottraggono potenziale alle molecole d’acqua che evaporando generano pressione sulle pareti del sistema preso in analisi. Si noti dunque che, in presenza di soluto, la temperatura di ebollizione non è più 100⁰ ma sarà leggermente superiore (in base a quanta sostanza abbiamo sciolto, più ne mettiamo e maggiore sarà l’innalzamento ebullioscopico). La formula da utilizzare (che a dire il vero sarà poco rilevante nel corso dei nostri studi) è la seguente: ΔTeb = Keb · m · i  Δ è la differenza tra la temperatura dell’acqua pura e la temperatura dell’acqua con soluto;  Keb è la costante di ebollizione della sostanza che stiamo utilizzando (nel caso dell’acqua è 0,52);  m è la molalità (che essendo un rapporto tra masse non varia al variare della temperatura). Se infatti si utilizzasse la molarità (M), la temperatura la varierebbe eccome avendo essa effetti sul volume della soluzione.  i è l’ormai noto coefficiente di Van’t Hoff. Osservazioni: Maggiore è la quantità di soluto presente in soluzione e maggiore sarà la temperatura di ebollizione. In passato si è detto infatti che durante i passaggi di stato la temperatura resta costante, ma nel caso, ad esempio, di acqua e sale, questo non varrà poiché, man mano che l’acqua evapora la soluzione sarà sempre più concentrata e varietà quel prodotto su riportato “m ∙ i” che va sotto il nome di “numero di OSMOLI” (cioè di particelle attive presenti in soluzione). Si comprende pertanto che l’evaporazione del sistema “acqua-sale” preso in esame NON AVVIENE A TEMPERATURA COSTANTE ma ci sarà un aumento della temperatura di ebollizione. L’ ABBASSAMENTO CRIOSCOPICO (gr. κρύος "gelo" e σκοπέω "guardo") è invece la differenza tra la temperatura di congelamento di una soluzione e la temperatura di congelamento del solvente. L’aggiunta di un soluto non volatile all’interno di un solvente porta a un notevole disordine, “allontanando” dunque il sistema da quello stato di ordine necessario da raggiungere per passare allo stato solido, sarà dunque necessario abbassare ulteriormente la temperatura del sistema. Graficamente parlando l’abbassamento crioscopico è da considerarsi come un prolungamento della 33 curva della tensione di vapore. Anche in questo caso, ahimè, bisogna tenere a mente una formula (molto simile a quella dell’innalzamento ebullioscopico), ovvero: ΔTc = Kc ∙ m ∙ i Dove: Kc per l’acqua vale 1,86 (ma ovviamente presenta valori specifici per ogni solvente) EFFETTO UMIDITÀ Questo concetto è alla base del blocco della lezione definito come “termoregolazione ed evaporazione” ed è importante in quanto di notevole interesse in ambito medico. È noto a tutti infatti che noi esseri umani abbiamo un sistema metabolico che produce calore (anche per il “semplice” fatto che è necessario mantenere l’omeostasi). Uno dei processi alla base di questa regolazione è la SUDORAZIONE: attraverso l’evaporazione dell’acqua attraverso i pori presenti sulla nostra pelle, l’acqua stessa sottrae calore all’ambiente e, facendo questo, ci viene conferita una sensazione di “freschezza” ma c’è un problema che è rappresentato dal DOVE sto sudando. Nella nostra atmosfera, è contenuta una certa quantità di acqua (misurata mediante il parametro detto umidità: numero di grammi di acqua contenuto in un metro cubo di aria). Esiste ovviamente una quantità massima di acqua contenibile in quel metro cubo oltre la quale l’aria risulta essere satura di acqua e comincia a “gocciolare” (il famoso PUNTO DI RUGGIADA). Ecco, tornando al corpo umano, quando noi sudiamo, il vapor acqueo che abbandona i nostri pori viene sospeso nell’aria che ci circonda e, in base al livello di umidità presente, l’acqua del nostro potrà essere accolta (e quindi non si condensa) o “respinta” dal sistema (condensa=sudore). Tuttavia la quantità dell’acqua che può essere sospesa nel sistema analizzato (metro cubo o la stanza in cui ci troviamo) aumenta all’aumentare della temperatura. Es. Se a 0 ⁰C in un metro cubo d’aria posso mettere fino a 10g di acqua, a 40 ⁰C potrei metterne 100 di grammi! Il nostro corpo tuttavia utilizza molteplici metodi per scambiare calore con l’esterno, oltre infatti la sudorazione ha anche l’IRRAGGIAMENTO e la RESPIRAZIONE (come similmente accade per i cani quando li vediamo effettuare quel peculiare gesto di cacciare la lingua per una più efficace ventilazione). Sappiamo che la ventilazione si compone di due momenti successivi: ISPIRAZIONE ed ESPIRAZIONE. Nel momento in cui espiriamo noi immettiamo in corpo una certa quantità di acqua e ovviamente cacciamo la maggiore quantità possibile di acqua a 37 ⁰C quando espiriamo. Emettendo più acqua di quanta ne immettiamo noi sottraiamo calore e quindi, in un certo senso, ci rinfrenschiamo (abbassiamo la temperatura corporea). Un altro concetto importante è quello di umidità relativa: come già detto al variare della temperatura varia anche la quantità di acqua che può essere contenuta in un dato volume d’aria, l’umidità relativa è quel fattore che va da 0 a 100 che ci permette di capire quanta acqua c’è nell’aria che ci circonda (a una data temperatura). Es. umidità relativa: 3% (significa che dell’acqua che, potenzialmente, potrei mettere in quel metro cubo di aria a quella temperatura, io ne sto mettendo solo il 3%). Quando quindi l’umidità relativa è uguale al 100% significa che è stato raggiunto quel valore oltre il quale l’acqua condenserebbe (ergo noi suderemmo). Perché di notte sudiamo più che di giorno? 34 Ebbene, durante il giorno (es. a 40 ⁰C) c’è una certa umidità assoluta che viene mantenuta identica anche durante la notte, ma la temperatura scende (es. a 20⁰C) e quella stessa quantità di acqua che a 40 ⁰C rimaneva sospesa nell’aria a 20 ⁰C raggiungerà quel 100% di umidità relativa. In tale condizione il nostro sistema di termoregolazione va “in panne” in quanto non più in grado di garantire all’acqua di passare allo stato di vapore fa sì che si sudi più copiosamente. L’umidità relativa è importante anche per il meteo perché strettamente correlata alla probabilità di precipitazione. DIFFUSIONE La diffusione è un fenomeno naturale e, potremmo dire, “di giustizia sociale” perché si tratta del movimento di una sostanza da dove essa è più concentrata a dove lo è meno, creando così un equilibrio totale della concentrazione della sostanza.  Es. aprendo una lattina di gas (da campeggio) accade che il gas che è concentrato maggiormente nella lattina esce e occupa il massimo volume possibile poiché esso tende ad uno stato entropico di massimo disordine.  Es 2. (il prof. proietta l’immagine di una membrana permeabile sia al solvente che al soluto) Collegando due vasche separate da questa membrana senza che io faccia qualsiasi cosa l’intera soluzione (soluti + solvente) si sposterà dalla vasca in cui la soluzione è più concentrata a quella in cui essa è meno concentrata per arrivare in una condizione di equilibrio dinamico in cui sia il livello (in senso di volume occupato dalla soluzione liquida) nelle 2 vasche, sia la concentrazione sono UGUALI, e saranno uguali anche le velocità con cui le particelle si muovono da un lato e dall’altro. -Esiste però un fenomeno altrettanto naturale ma leggermente più complesso di questo: (il prof mostra la diapositiva di una membrana SEMI permeabile o permeabile solo al solvente). In tal caso noteremo che il movimento più veloce è quello effettuato dall’acqua (solvente) da dove ESSA STESSA è presente in quantità maggiori alla vasca in cui è presente meno acqua (o più semplicemente dall’acqua pura all’acqua con soluto). Ma questo porta ad un equilibrio “anomalo” perché la vasca in cui si è spostata l’acqua presenterà un livello molto più alto di acqua rispetto all’altra, andando in tal modo contro la legge di Stevino (o “principio dei vasi comunicanti”). Abbiamo più volte ribadito l’importanza, nell’ambito delle proprietà colligative non tanto della natura dei soluti quanto più del numero delle particelle e, nella fattispecie della frazione molare dell’acqua (che è alla base di tutto). La frazione molare della sola acqua è 1 perché il numero di moli di acqua in acqua sono uguali (1000/1000=1) ma aggiungendo sale essa diminuisce (es. 10 di sale/1000 di acqua= 0.01 →minore di 1). A spostarsi dunque in questo caso è SOLO l’acqua perché la membrana è impermeabile al/ai soluto/i LA PRESSIONE OSMOTICA è un concetto estremamente importante per voi, futuri medici, perché i nostri fluidi biologici (LIC, LEC, sangue etc…) sono retti da sistemi di osmoregolazione. Sin dai tempi del liceo avrete sentito parlare di questo parametro associandolo alla classica immagine di due vasi comunicanti contenenti uno acqua e l’altro una soluzione concentrata e avrete notato quell’anomalia cui si accennava prima (livelli diversi di acqua nei 2 vasi comunicanti). Se, 35 poniamo il caso, noi non volessimo far salire il livello della colonna d’acqua basterebbe esercitare una pressione che sia uguale e contraria alla pressione osmotica. È opportuno specificare che i soluti a cui faremo accenno d’ora in avanti non sono solo il solito cloruro di sodio ma possono essere colloidi (diametro > 1nm) come le proteine che per altro sono cariche e che, a loro volta, esercitano una pressione osmotica detta, in questo caso specifico, pressione ONCOTICA. Tale parametro è direttamente proporzionale alla concentrazione del soluto, infatti il metodo di calcolo della pressione osmotica fa riferimento a questa formula qui: π= M ∙ i ∙ R ∙ T * *questa formula viene fuori da quest’altra notissima: π∙V=n∙R∙T (equazione di stato dei gas perfetti) (si noti che portando al denominatore il volume si ottiene n/V che altro non è che la concentrazione molare M) *“M∙ i” rappresenta le OSMOLI: cioè il numero di particelle per volume di soluzione * π si misura in atm. (il professore mostra una slide che riporta una tabella contenente i valori di pressione osmotica di 3 soluzioni contenenti 1M rispettivamente di glucosio , cloruro di sodio e fosfato di sodio) La differenza alla base dei 3 diversi comportamenti delle soluzioni risiede nel coefficiente di Van’t Hoff che, nel caso del glucosio è pari a 1; nel caso del cloruro di sodio è uguale a 2 e, infine, nel caso del fosfato di sodio è 4 e questo incide sul numero di osmoli e, di conseguenza, sulla pressione osmotica delle tre soluzioni. Ci si ricordi che nei nostri fluidi biologici sono molteplici i soluti e che ognuno di essi esercita una sua pressione, che va sommata a quelle delle altre componenti! A tal proposito va chiarito il concetto di soluzioni ISOSMOTICHE, IPOSMOTICHE e IPEROSMOTICHE. Per comprenderlo vi rimando al concetto di iniezioni, le quali, possono essere praticate per via endovenosa o intramuscolare e il discriminante tra le 2 è rappresentato dalla pressione osmotica del fluido biologico umano per eccellenza: il sangue.  Vengono iniettate per via endovenosa quelle soluzioni con la stessa pressione osmotica del nostro sangue (isosmotiche);  Vengono iniettate per via intramuscolare tutte quelle soluzioni con pressione osmotica differente da quella del nostro sangue (se è più alta si dice soluzione iperosmotica, se è più bassa si dice iposmotica). Qualora, malauguratamente, si inietti per via endovenosa in un paziente una soluzione ipotonica, questi andrà incontro ad uno shock osmotico poiché l’acqua tenderà ad entrare nelle cellule portandole a lisi (esplosione). Viceversa, somministrando una flebo con elevata concentrazione salina (iperosmotica) succederà che l’acqua andrà dalle cellule (crenazione) verso il liquido biologico e quindi provocherà in egual misura uno shock osmotico. (Esempio di lievissimo shock osmotico è l’ecchimosi o livido che sorge a seguito di un’iniezione intramuscolare). 36 OSMOMETRIA è una branca della scienza (chimica/ medica e non) che misura ciò che accade quando mettiamo in relazione un determinato sistema con soluzioni particolari (es.globulo rosso)  SOLUZIONE ISOTONICA: mantiene la sua forma canonica;  SOLUZIONE IPOTONICA: l’acqua tende ad entrare nel globulo rosso che si “gonfia” fino alla lisi (esami per il favismo);  SOLUZIONE IPERTONICA: l’acqua tende a passare più velocemente dal globulo rosso verso l’esterno → si raggrinsisce (crenazione) Quali sono le soluzioni fisiologiche? Sono quelle soluzioni sterili e a pH controllato che possono essere somministrate endovena, di solito presentano una concentrazione di NaCl pari a 0.9% perchè dividendo [0.9 grammi/peso di una mole di NaCl]/[100ml∙ R∙ i∙ T]= PRESSIONE OSMOTICA SANGUE. La concentrazione di glucosio invece è pari al 5%. Tuttavia in presenza di edemi si utilizzano, al fine di riassorbirli, soluzioni iperosmotiche di mannitolo. (accenni alla lezione successiva: pressione oncontica esercitata dalle proteine del sangue.) In ambito sanitario a cosa serve sapere la pressione osmotica? È importante perché noi siamo fatti di acqua e al suo interno sono sciolti dei soluti che esercitano, nei confronti dei compartimenti con cui confinano, delle forze che portano allo spostamento di masse di solvente. Più che di una forza si tratta di una pressione, la pressione osmotica. Spendiamo un sacco di energia per mantenere tutti i nostri comparti ad una pressione osmotica costante (vedremo l’osmo-regolazione). A mantenere la pressione osmotica dei nostri fili biologici sempre costante ad un valore intorno a 300 mOsm è il rene. Apriamo una piccola parentesi su quello che è l’equilibrio di Gibbs-Donnan (non è argomento di esame) Quando ci sono due comparti separati tra di loro da una membrana semipermeabile diremo che questa faccia passare solo solventi. In realtà le cellule sono dotate anche di canali che permettono lo scambio di soluti, in particolare di ioni. Ci sono, però, delle particelle osmoticamente attive che non possono essere trasferite anche attraverso questi fori delle membrane. Queste particelle sono le proteine, le quali, a pH fisiologico (intorno a 7), presentano delle cariche nette che possono essere positive o negative, la maggior parte sono negative. Le proteine svolgono un ruolo importante nel ruolo della pressione osmotica perché sono delle particelle colloidali disciolte in una soluzione e, come tutti i soluti, esercitano tale pressione. Riassumendo questo concetto: L’equilibrio di Gibbs-Donnan dice che se abbiamo due cellule separate da una membrana attraverso cui possono passare soluti e solvente ma non proteine, allora nella parte in cui queste proteine sono in numero maggiore, si esercita una pressione osmotica maggiore che determina un richiamo di acqua. 37 16. Funzione delle proteine all’interno del nostro fluido circolare(sangue) Noi abbiamo un sistema circolatorio che porta il sangue nei tessuti periferici dal cuore. Il calibro di queste arterie diventa sempre più piccolo e in questo modo aumenta sempre più la pressione. La pressione osmotica dovuta ai soluti presenti nel sangue arterioso è maggiore rispetto all’esterno del capillare. La pressione è maggiore nell’arteriola che fuori, quindi i fluidi tendono ad uscire. C’è un’uscita netta di solvente, soluti e sostanze nutritive per i tessuti. Dall’arteriola si arriva alla venula, dove c’è un bilancio tra pressione interna ed esterna. Anche se non si vede un movimento netto di soluti e solvente lo scambio in realtà c’è anche qui, ad essere differente è la velocità con cui escono che è pari a quella con cui entrano. Nella parte venosa la pressione arteriosa esercitata su questo liquido sta diminuendo a causa dello ‘scarico’ di prima ma la pressione interna è maggiore di quella esterna perché nel sangue sono rima

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