Capitolo 4: Pregiudizio e Differenze Individuali PDF

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Michele Roccato

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pregiudizio psicologia sociale differenze individuali Genesi del pregiudizio

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Questo è un capitolo di un documento che spiega la genesi e le caratteristiche del pregiudizio. Analizza la relazione tra pregiudizio e caratteristiche individuali, confrontandoli con le influenze situazionali. Utilizza approcci psicologici, in particolare quelli della psicologia sociale, e presenta le idee di Kurt Lewin e Henri Tajfel.

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## Genesi del Pregiudizio ### Parte seconda #### **Pregiudizio e differenze individuali** * Michele Roccato #### **4.1 Introduzione** * Nel corso degli anni, la letteratura psicosociale sul pregiudizio si è focalizzata principalmente sul pregiudizio negativo. * Si tratta di un dato coerente con...

## Genesi del Pregiudizio ### Parte seconda #### **Pregiudizio e differenze individuali** * Michele Roccato #### **4.1 Introduzione** * Nel corso degli anni, la letteratura psicosociale sul pregiudizio si è focalizzata principalmente sul pregiudizio negativo. * Si tratta di un dato coerente con l'ottica della maggior parte degli approcci psicologici che, con eccezione dei lavori basati sui paradigmi della psicologia positiva, si concentrano principalmente su questioni problematiche. * Nello specifico, questa scelta è ancora meno sorprendente di quanto non potrebbe apparire a prima vista. * Gli studi sul pregiudizio si cominciano a diffondere a macchia d'olio in concomitanza con la Seconda guerra mondiale e con lo sterminio di milioni di persone che avevano come unica colpa l'appartenenza a una categoria sociale considerata "sbagliata" * Gli eventi tragici del fascismo e del nazismo hanno stimolato intere generazioni di psicologi sociali a interrogarsi su come fosse stato possibile un tanto vasto cedimento alle suggestioni dei regimi autoritari. * Non si trattava di un interesse guidato solo dalla curiosità scientifica o dallo sgomento provato da uomini e donne che, prima che ricercatori e ricercatrici, erano cittadini increduli per la tragedia che stava insanguinando un mondo in apparenza evoluto e civilizzato: lo dimostrano le vite di alcuni dei fondatori della psicologia sociale del pregiudizio e dei costrutti a esso legati, quali Kurt Lewin, che dovette fuggire negli Stati Uniti per salvarsi dal nazismo, e Henri Tajfel, che fu l'unico sopravvissuto della sua rete sociale, completamente sterminata durante la Shoah. * A fronte di questo elemento di continuità, nel corso degli anni alcune questioni sono andate modificandosi, talvolta anche piuttosto radicalmente, in una sorta di dinamica di flusso e riflusso non ancora terminata. * In questa sede ce ne interessano soprattutto due. * La prima concerne il focus principale sulle cause del pregiudizio: sono principalmente individuali o situazionali? * Il pregiudizio deriva soprattutto da stabili caratteristiche di carattere o di personalità degli individui che lo manifestano o da mutevoli caratteristiche dell'ambiente in cui esse si trovano? * In altre parole: per prevedere il livello di pregiudizio delle persone conta di più chi sono o dove si trovano? * La seconda riguarda la natura stessa del pregiudizio: è un fenomeno patologico o è il normale esito dei processi di elaborazione dell'informazione e del legittimo desiderio di avere una buona immagine di sé? * In altre parole: esiste una differenza fondamentale tra le persone che fa sì che alcune di esse siano patologicamente propense al pregiudizio e altre ne siano fortunatamente immuni? * Dedicheremo le prossime pagine ad analizzare come la psicologia sociale ha affrontato tali domande. #### **4.2 Individuo o situazione?** * Non stupisce che gli psicologi sociali, avendo cominciato a occuparsi sistematicamente del tema mentre Hitler e Mussolini dominavano sui rispettivi Paesi e mentre una guerra terrificante insanguinava il mondo intero e milioni di persone venivano sterminate a causa della loro appartenenza a inesistenti “razze inferiori”, abbiano cominciato a occuparsi del pregiudizio presupponendo che si trattasse dell'esito di processi individuali di natura psicopatologica. * Il principale riferimento in questo ambito è costituito dalla Personalità autoritaria (Adorno, Frenkel-Brunswik, Levinson, Sanford, 1950). * Finanziata dall'American Jewish Committee, si tratta di una monumentale ricerca (nell'edizione italiana costituita nientemeno che da 1382 pagine) che, partita come studio dei motivi psicologici dell'antisemitismo, si è trasformata, negli anni in cui è stata condotta, nel tentativo di individuare le cause della ricettività alle idee fasciste manifestate da milioni di persone "a prima vista" normali. * Le virgolette sono d'obbligo, dal momento che il presupposto fondamentale degli autori era, giustappunto, che la normalità dei potenziali fascisti fosse solo apparente. * Molto in breve, secondo Adorno e collaboratori (1950) il pregiudizio è l'esito di conflitti interni irrisolti derivanti dall'essere stati sistematicamente sottoposti, nell'infanzia, a stili di accudimento e di educazione rigidi e ciecamente punitivi (vedi anche capitolo 1). * Essere cresciuti in ambienti così disfunzionali, in famiglie di classe media spasmodicamente interessate allo status e caratterizzate da un padre dominante e da una madre fredda e repressiva, spingerebbe a sviluppare elevati livelli di aggressività nei confronti di genitori tanto incapaci di cogliere i più profondi e genuini bisogni dei propri figli. * Ricorrendo ad alcuni classici meccanismi di difesa studiati in ottica psicodinamica, tale aggressività, invece che essere riconosciuta come propria, mediante la proiezione sarebbe attribuita come caratteristica fondamentale degli outgroup. * Tramite lo spostamento, inoltre, essa sarebbe gestita indirizzandola contro comodi bersagli sanzionati negativamente a livello sociale, tipicamente i gruppi di minoranza più osteggiati e stigmatizzati. * L'interesse di Adorno e collaboratori (1950) era ovviamente concentrato sull'antisemitismo. * Nella loro ottica, come ogni tipo di pregiudizio, l'antisemitismo sarebbe l'epifenomeno di una più ampia personalità potenzialmente fascista, che tende a giacere acquattata nell'ombra, pronta a manifestarsi, in modo drammatico su larga scala, in risposta a specifiche condizioni ambientali (nel caso del nazismo, la tragica crisi economica, sociale e politica della Repubblica di Weimar). * Quello di Adorno e collaboratori (1950) è un approccio caratterizzato da una costellazione di debolezze teoriche e metodologiche tali da non aver lasciato quasi nulla alla moderna psicologia sociale del pregiudizio. * Lo abbiamo tuttavia presentato per inquadrare le prime idee sviluppate dalla psicologia sociale sull'origine del pregiudizio: in questa ottica, il pregiudizio non sarebbe altro che una stabile caratteristica psicopatologica dei singoli. * È un approccio per molti versi comodo e rassicurante perché, facendo pensare che alla base del pregiudizio si trovino stili genitoriali ciecamente punitivi, esperienze traumatiche e famiglie disfunzionali, porta facilmente a dividere in modo manicheo il mondo in due categorie fra loro impermeabili: da un lato "noi", persone sinceramente democratiche e prive di pregiudizio, e dall'altro "loro", patologiche minacce al vivere collettivo. * Questa consolante contrapposizione fra buoni e cattivi è peraltro testimoniata dal fatto che Adorno e collaboratori (1950) erano convinti che esistesse “una sola” sindrome autoritaria, contrapposta a una pletora di sindromi sinceramente democratiche. * Viene davvero da pensare che i ragionamenti degli autori fossero guidati, almeno in parte, dal bias dell'omogeneità dell'outgroup (vedi capitolo 5). * In questa logica, saremmo di fronte a un vero paradosso: le persone (convinte di essere) prive di pregiudizio rappresenterebbero in modo pregiudiziale le persone con alti livelli di pregiudizio. * Negli stessi anni, viene sviluppato un secondo approccio classico concentrato sull'individuo che abbandona l'ottica psicopatologica che orientava l'opera di Adorno e collaboratori (1950): si tratta dell'insieme di studi e teorizzazioni presentati da Allport (1954) nella Natura del pregiudizio, il cui secondo capitolo si intitola emblematicamente “La normalità del pregiudizio". * In breve, secondo Allport (che in parte precorre l'ottica di Tajfel, che verrà trattata nel capitolo 6), alla base del pregiudizio risiede una serie di processi e di dinamiche cognitive assolutamente fisiologica: la normale predisposizione verso questo da parte degli individui sarebbe infatti "strettamente legata alla tendenza a formulare generalizzazioni, concetti, categorie, il cui contenuto rappresenta una semplificazione del mondo d'esperienza" (Allport, 1954, p. 39). * Tuttavia, anche per Allport esisterebbe una "personalità prevenuta", che si struttura tipicamente in reazione a quella che l'autore chiama una "fondamentale insicurez- #### **4.3 Il ruolo dei cinque grandi fattori di personalità** * Il modello dei cinque grandi fattori di personalità (o Big Five) è stato sviluppato da McCrae e Costa (1996) a partire dagli anni Ottanta del secolo. * Le analisi condotte dai due ricercatori e dai loro collaboratori mostrano che l'enorme costellazione di differenze individuali che caratterizza gli individui può essere riassunta in cinque fattori fondamentali: l'Estroversione (che dà conto della tendenza alla socievolezza e alla loquacità in opposizione alla timidezza e alla passività sociale), l'Apertura all'esperienza (che dà conto della tendenza a essere innovativi e anticonformisti in opposizione all'essere superficiali e convenzionali), l'Amichevolezza (che è esemplificata dall'essere gentili e cortesi in opposizione a essere rudi e rigidi nelle relazioni interpersonali), la Coscienziosità (che dà conto dell'essere organizzati e scrupolosi in opposizione a essere disorganizzati e inaffidabili) e il Nevroticismo (che si concretizza nell'essere volubili e ansiosi in opposizione a essere rilassati e calmi). * Si tratta indubbiamente del modello più utilizzato e accreditato nella psicologia della personalità contemporanea. * Lo è al punto che è stato utilizzato per spiegare una grandissima costellazione di costrutti, che spaziano dalla propensione al suicidio alle performance come venditori, dalle ore passate a giocare ai videogame alle preferenze alimentari. * Non stupisce che tale modello sia stato usato anche per spiegare il pregiudizio, né che lo abbia fatto con grande successo. * Le ricerche convergono nel mostrare che i fattori cruciali in gioco sono l'Apertura all'esperienza e l'Amichevolezza, associate negativamente con il pregiudizio, e la Coscienziosità, associata positivamente con esso. In valore assoluto, le associazioni sono tipicamente comprese fra r = .20 er = .30, il che implica che ognuno di questi tratti spiega circa fra il 4% e il 9% della variabilità del pregiudizio. * Si tratta di risultati tutt'altro che sorprendenti, se si pensa a che cosa accomuna questi tre fattori con il pregiudizio. * La scarsa Apertura e la scarsa Amichevolezza condividono con esso la forte tendenza a seguire rigidamente le norme sociali e a conformarsi ai detti culturali dominanti, oltre che a sopprimere automaticamente l'attivazione del pregiudizio. * La Coscienziosità e il pregiudizio condividono invece la mentalità rigida e la tendenza a valutare negativamente le altre persone. * Fin qui gli studi che hanno indagato le relazioni dirette fra Big Five e pregiudizio. * Su di loro si è innestato un interessante filone di approfondimenti, dedicato al tentativo di mostrare "perché” i cinque grandi fattori di personalità spiegano il pregiudizio. * A esso è dedicato il prossimo sottoparagrafo. #### **4.3.1 Big Five, orientamento ideologico e pregiudizio** * Gli approcci dedicati a spiegare le ragioni del legame fra Big Five e pregiudizio si basano su studi in cui sono stati messi empiricamente alla prova modelli di mediazione come quello presentato in figura 4.1, che concettualizza i Big Five come variabili indipendenti, il pregiudizio come variabile dipendente e l'orientamento ideologico come mediatore, ossia come una variabile che è, allo stesso tempo, effetto dei Big Five e causa del pregiudizio. * Basate sulle teorizzazioni e gli studi di John Duckitt (per una revisione vedi Sibley, Duckitt, 2008), queste ricerche si sono concentrate principalmente su due variabili ideologiche: l"autoritarismo di destra" (Right-Wing Authoritarianism, RWA; Altemeyer, 1996) e l'orientamento alla “dominanza sociale” (Social Dominance Orientation, SDO; Sidanius, Pratto, 1999). * L’rwa è stato concettualizzato da Altemeyer (1996) per dare conto dell "autoritarismo dei seguaci”, ossia della tendenza delle persone a desiderare di sottomettersi ai leader autoritari. * Il costrutto è definito come la “covariazione”, nelle stesse persone, di tre gruppi di atteggiamenti: (1) la sottomissione autoritaria (una forte tendenza a sottomettersi alle autorità costituite, tipicamente percepite come legittime in quanto tali); (2) il convenzionalismo (una forte tendenza a aderire alle convenzioni #### **4.4 Il ruolo della "triade oscura"** * Più recentemente, alcuni ricercatori hanno recuperato, almeno in parte, l'antica ottica psicopatologica al pregiudizio, sviluppando un approccio incentrato su una specifica e un po' inquietante costellazione di tratti individuali. * È la cosiddetta triade oscura (dark triad), costituita da narcisismo, psicopatia e machiavellismo, il cui studio, inizialmente condotto nelle popolazioni cliniche, negli ultimi anni è stato esteso all'analisi della popolazione generale, focalizzandosi su persone subcliniche. * Ecco perché abbiamo detto che l'antica ottica psicopatologica è stata recuperata, ma solo in parte. * Nelle popolazioni subcliniche, le persone con tratti narcisistici tendono ad avere un'autostima eccessiva e in buona parte infondata, che le porta a essere dominanti e a sentirsi superiori e a guardare a sé stesse con un notevole senso di grandiosità; quelle con tratti psicopatici tendono a essere impulsive, scarsamente empatiche e a percepire molto negativa-mente gli altri individui; quelle machiavelliche sono di solito subdole, ingannevoli e propense a perseguire i propri obiettivi manipolando o sfruttando le altre persone senza sentirsi in colpa. * Anche in questo caso, qualche item delle scale volte a rilevare empiricamente i tre costrutti aiuterà a cogliere il loro significato psicologico (tabella 4.1). * Dal punto di vista concettuale, la logica fondamentale dell'approccio è che, quando compresenti, i tre costrutti che definiscono la triade oscura sono accomunati al pregiudizio da una natura fondamentalmente #### **4.5 Le sfide della ricerca contemporanea** * Nelle prossime pagine presentiamo due interessanti filoni di studio sulle relazioni fra le differenze individuali e il pregiudizio sviluppati recentemente. * Dedicati rispettivamente al ruolo della sensibilità al disgusto e a quello dei geni, sono approcci molto diversi fra di loro e sicuramente minoritari rispetto a quelli che abbiamo trattato fin qui, senza essere per questo meno rilevanti. * Al contrario, costituiscono le basi di possibili sviluppi davvero intriganti per chi si occupa delle questioni cui è dedicato il volume. #### **4.5.1 Il ruolo del disgusto intergruppi** * È dall'antica Natura del pregiudizio di Allport (1954), ripetutamente citata non solo in questo capitolo ma in tutto il volume, che gli psicologi sociali si concentrano sulle relazioni fra le emozioni e il pregiudizio (vedi capitolo 7). * Il focus si è finora indirizzato soprattutto sull'ansia e sulla paura suscitate dall'outgroup: come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, è ormai assodato che i gruppi che spaventano (per es., perché mettono in discussione i valori tradizionali o l'organizzazione gerarchica della società) stimolano il pregiudizio nei loro confronti. * Più recentemente, tuttavia, la ricerca si è ampliata concentrandosi anche sul ruolo che il disgusto per l'outgroup gioca nel suscitare il pregiudizio. * Caratterizzato da repulsione, ritiro ed evitamento dovuti al contatto (reale o immaginato) con un oggetto potenzialmente pericoloso, il disgusto è una delle emozioni fondamentali provata dagli esseri umani e dagli altri animali. * Secondo gli psicologi evolutivi, il disgusto è un efficentissimo segnale di allarme, che ci indica senza alcuna ambiguità che è indispensabile allontanarci da stimoli potenzialmente nocivi, offensivi o addirittura anche fatali (per es., animali velenosi, cibi contaminati, sostanze dannose ecc.). * Fin qui tutto bene. Le cose si complicano e diventano più interessanti in ottica psicosociale, quando proviamo disgusto per alcune persone in funzione della loro appartenenza a specifiche categorie sociali, specie se sanzionate in modo negativo dalla società. * In questi casi, l'idea di fondo è che in quelle circostanze sperimentiamo una sorta di disgusto intergruppi, che avrebbe la funzione di difenderci dal contatto con individui sgradevoli o da cui sentiamo di correre il rischio di essere contaminati perché potenzialmente fonte di malattia o perché detentori di valori e credenze che percepiamo come nocivi. * Uno degli esiti di questo disgusto intergruppi sarebbe il pregiudizio nei confronti di chi ce lo scatena. * Nell'ottica del modello del contenuto dello stereotipo, trattato nel capitolo 2, le categorie più a rischio di essere oggetto di disgusto intergruppi sono quelle stereotipicamente considerate basse sia in calore sia in competenza (tipicamente, i tossicodipendenti, gli alcolisti e i senzatetto). * Il senso del disgusto che proviamo per gli outgroup può essere compreso alla luce dell'idea che ci possiamo difendere dai pericoli che provengono dall'ambiente grazie a un “sistema immunitario comportamentale": si tratta di un complesso di meccanismi cognitivi, affettivi e comportamentali che prevengono il contatto con organismi patogeni come batteri e virus. * Tale sistema funziona innescando reazioni di protezione dai segnali di pericolo individuati nell'ambiente, attivandosi anche in risposta a stimoli sociali. * Coerentemente con la sua funzione protettiva, è tarato in modo da massimizzare la prudenza: tende insomma a sbagliare incorrendo in falsi positivi (individuando cioè come pericolosi stimoli ambientali innocui) più che in falsi negativi (individuando cioè come innocui stimoli pericolosi), portandoci a generalizzare l'allarme a una pletora di stimoli sociali anche totalmente inoffensivi. * In questa logica, la principale causa del pregiudizio sarebbe la vulnerabilità percepita delle persone che lo sviluppano. * Dal punto di vista evolutivo, si tratta di un risultato tutt'altro che sorprendente: gli outgroup (specie quelli che conosciamo poco) potrebbero infatti essere portatori di elementi patogeni da cui è vitale difendere l'ingroup. * Idea tutt'altro che peregrina, se pensiamo che alcune affascinanti ricerche storiche (prima fra tutte quella riportata nel meraviglioso Armi, acciaio e malattie di Jared Diamond, 1997) hanno evidenziato come la conquista del Nuovo Mondo da parte degli europei dipese, prima ancora che dalla loro forza militare, dalle nuove malattie che essi portarono nel nuovo continente, abitato da persone il cui sistema immunitario non era attrezzato a combatterle. * Sembra essere questo eccesso di prudenza la principale ragione del nostro pregiudizio verso outgroup obiettivamente non minacciosi, come quelli composti dalle persone disabili, da quelle obese e da quelle anziane. * La prova più convincente della tendenza a generalizzare (potenzialmente in modo improprio) la protezione manifestata dal sistema immunitario comportamentale è probabilmente il fatto che siamo inclini a manifestare pregiudizio perfino nei confronti di gruppi che non esistono, come hanno elegantemente dimostrato Zakrzewska, Olofsson, Torun e collaboratori (2019) in un ingegnoso esperimento sul pregiudizio nei confronti degli abitanti di un fantomatico Paese chiamato "Dhrashnee”. * Questo per quanto ci accomuna tutti e tutte. * La ricerca ha tuttavia mostrato che ognuno di noi ha una soglia personale di sensibilità al disgusto per sostanze, cibi e animali potenzialmente nocivi, in buona parte derivante da cause genetiche. * Coerentemente con questo, differenze individuali di base emergono anche per quel che concerne la sensibilità al disgusto intergruppi. * Le persone con alta sensibilità al disgusto intergruppi tendono a provare una viscerale ripugnanza per le credenze e le pratiche degli outgroup e, coerentemente con essa, agiscono con il fine di evitare di esserne contaminate, per esempio opponendosi alle politiche che promuovono il contatto fra i gruppi e favorendo quelle che #### **4.5.2 Il pregiudizio ha base genetica?** * La seconda sfida dei moderni approcci al pregiudizio centrati sulle variabili individuali si concentra sull'analisi delle sue possibili origini genetiche. * Si tratta di un approccio decisamente minoritario, complesso, affascinante e disseminato di difficoltà metodologiche davvero rilevanti. * Per chi ragiona in ottica psicosociale, inoltre, si tratta di un filone di studi sfidante, sorprendente e almeno un po' disturbante, perché siamo abituati a pensare ai costrutti di cui ci occupiamo facendoli risalire principalmente alle interazioni fra variabili psicologiche e variabili ambientali e non certo al patrimonio genetico delle persone. * Una breve, indispensabile digressione metodologica. L'unità di analisi classicamente utilizzata per inferire l'influenza che i geni esercitano sui costrutti psicosociali, compreso il pregiudizio, è costituita da tre diversi tipi di diadi fraterne: i gemelli monozigoti, i gemelli eterozigoti e i comuni fratelli biologici. * I gemelli monozigoti, essendo concepiti da un singolo ovulo fecondato da un singolo spermatozoo, condividono il 100% del patrimonio genetico; come i fratelli biologici, i gemelli eterozigoti, essendo generati da due differenti ovuli fecondati da due diversi spermatozoi, condividono solo il 50% del patrimonio genetico. #### **4.6 Conclusioni** * All'inizio di questo capitolo, abbiamo notato che, dopo lunghi anni in cui ha tentato di spiegare il pregiudizio concentrandosi soprattutto su variabili individuali, attualmente la psicologia sociale si focalizza soprattutto su variabili contestuali, ambientali e culturali. * Giunti al termine di queste pagine, crediamo di aver argomentato a sufficienza che, nello sviluppo individuale del pregiudizio, anche le differenze individuali contano. * Alcune di loro (quelle che derivano dal patrimonio genetico individuale) sono sostanzialmente immutabili. * Altre (quelle che derivano dalla personalità) sono modificabili, anche se solo parzialmente. * Altre ancora (quelle che attengono alla sfera della visione del mondo) possono cambiare anche radicalmente, specialmente in funzione delle caratteristiche del contesto (principalmente la sua minacciosità) e delle specifiche esperienze che facciamo con gli outgroup (principalmente la frequenza e la qualità dei contatti che abbiamo con esso, come mostrato nel capitolo 14). * Ma le differenze individuali non esauriscono le cause del pregiudizio, come viene ampiamente esposto nel resto del volume. * Di conseguenza, una delle sfide più interessanti per chi fa ricerca in questo ambito è l'analisi integrata del pregiudizio, costruita articolando fra loro la dimensione biologica, quella psicologica e quella psicosociale. * In seconda battuta, abbiamo iniziato questo capitolo notando che i primi autori che si sono occupati di pregiudizio con ottica individuale hanno distinto abbastanza rigidamente fra un ingroup di persone aperte, tolleranti e sinceramente democratiche da un outgroup di persone chiuse, cariche di pregiudizio e addirittura minacciose per l'organizzazione democratica dei Paesi occidentali. * Gli approcci psicosociali contemporanei rifiutano questa visione paradossalmente consolante, anche quando si concentrano sulle differenze individuali alla base del pregiudizio. * Coerentemente con i lavori più convincenti condotti in ottica psicoso-ciale, da quelli di Tajfel (cui è dedicato il capitolo 6) in poi, essi hanno smesso di distinguere rigidamente fra "buoni" e "cattivi", concentrando-si su differenze individuali perfettamente normali o al massimo di ordine subclinico. * Nel corso degli anni, insomma, l'immagine della persona che, a causa delle sue stabili caratteristiche individuali, manifesta pregiudizio si è fatta molto più sfaccettata e articolata, diventando dunque decisamente più interessante e, per certi versi, meno rassicurante. * Il che, in ottica psicosociale, è sovente una cosa assai buona.

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