Comportamento Prosociale PDF
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Questo documento fornisce una panoramica del comportamento prosociale, spiegando concetti come altruismo, selezione parentale e reciprocità. Il testo esplora le diverse teorie che cercano di spiegare questo tipo di comportamento, includendo aspetti psicologici ed evoluzionistici.
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CAPITOLO 10: IL COMPORTAMENTO PROSOCIALE Il comportamento prosociale è definito come una qualsiasi azione compiuta a beneficio di un altro. Tra i vari tipi di comportamento prosociale abbiamo l’altruismo ovvero un tentativo di aiutare gli altri senza tenere conto del proprio interesse o della propri...
CAPITOLO 10: IL COMPORTAMENTO PROSOCIALE Il comportamento prosociale è definito come una qualsiasi azione compiuta a beneficio di un altro. Tra i vari tipi di comportamento prosociale abbiamo l’altruismo ovvero un tentativo di aiutare gli altri senza tenere conto del proprio interesse o della propria sicurezza (come avere un guadagno). 1.1 La psicologia evoluzionista: istinti e geni Gli psicologi evoluzionisti hanno cercato di spiegare il comportamento prosociale in termini di fattori genetici che vengono trasmessi in accordo alla selezione naturale. Qui si pone un problema: come si può spiegare l’altruismo se l'obiettivo principale delle persone è la sopravvivenza? Gli psicologi dell’evoluzione hanno cercato di rispondere a questa domanda giustificando l’esistenza del comportamento prosociale attraverso la nozione di selezione parentale, ossia l'idea che i comportamenti che aiutano un consanguineo siano favoriti dalla selezione naturale. Questo perché i propri geni non vengono trasmessi solo attraverso la propria prole ma anche attraverso la discendenza di un consanguineo, questo giustificherebbe l’altruismo e il comportamento prosociale messo in atto nei confronti dei propri consanguinei (più la parentela è stretta più è probabile che vengano messi in atto comportamenti prosociali - supportato empiricamente). Nelle intenzioni degli psicologi evoluzionisti non rientra l’ipotesi che le persone sopportano consapevolmente l’importanza biologica del loro comportamento prima di decidere chi aiutare (non pensano consapevolmente se aiutare il fratello, il cugino o uno sconosciuto). Secondo questa teoria comunque i geni delle persone che seguono la regola dell’importanza biologica sopravvivranno con maggiori probabilità rispetto a chi non la rispetta. Un’ altra nozione usata da questi teorici per spiegare l’altruismo è la norma della reciprocità ovvero le persone aiutano gli altri con l’idea implicita che il loro comportamento verrà in futuro ricambiato. L’ipotesi alla base è che le persone che cooperano tra di loro hanno maggiori chances di sopravvivenza. Altri ricercatori ipotizzano che l’emozione della gratitudine si sia evoluta per regolare la norma della reciprocità, per cui se qualcuno ci aiuta proviamo gratitudine e siamo spinti ad aiutarlo a nostra volta. Alcuni teorici sostengono che la selezione si adoperi non solo a livello individuale ma anche a livello di gruppo: un gruppo con membri altruisti ha più probabilità di sopravvivere e di trasmettere i propri geni alle generazioni future. 1.2 Lo scambio sociale: i costi e le ricompense dell’aiutare Una teoria che cerca di spiegare il comportamento prosociale è la teoria dello scambio sociale. Questa teoria sostiene che le persone mettono in atto un comportamento prosociale per ottenere dei benefici (quando i profitti superano i costi) che possono essere di vario tipo: sapere che qualcuno ci aiuterà in futuro, aumentare la propria autostima, ottenere approvazione sociale ecc. Per questi teorici il comportamento altruistico privo di benefici per l'individuo non esiste. Inoltre il comportamento prosociale, secondo questa teoria, non si verifica se i costi superano i benefici. Ne deduciamo che gli atti prosociali, in questa chiave, comportano una duplice ricompensa, sia per chi riceve aiuto sia per chi lo dona. 1.3 Empatia e altruismo: la motivazione pura dell’aiuto Batson è il più grande sostenitore dell’idea che le persone spesso (non sempre) aiutano le persone unicamente in virtù della loro bontà d’animo. Secondo questo teorico, il puro altruismo entra in gioco quando proviamo empatia per una persona, ovvero quando avvertiamo parte del suo dolore. 1 Secondo la teoria empatia-altruismo il fatto di mettere in atto comportamenti puramente altruistici dipende dal fatto di provare empatia o meno per la persona. Se provo empatia agirò in modo disinteressato rispetto ai miei guadagni, se non la provo allora entra in gioco la teoria dello scambio sociale, ovvero valuto tutti i benefici che potrei avere nell'aiutare la persona. E’ però difficile capire i motivi che portano a un comportamento prosociale. Un’interessante considerazione riguarda la definizione di “interesse personale”: - se è definito come una serie di benefici immediati e tangibili allora queste ricompense non sono le uniche motivazioni per le quali mostriamo aiuto. L’interesse personale, così definito, passa in secondo piano rispetto all’empatia. - se è definito comprendendo anche quella sensazione piacevole che si prova quando si aiuta gli altri e il senso di sollievo quando abbiamo alleviato il dolore altrui, allora questo tipo di altruismo può essere definito “egoista” (=il nostro interesse personale è comunque in primo piano). 2. LE DETERMINANTI PERSONALI DEL COMPORTAMENTO PROSOCIALE 2.1 Le differenze individuali: la personalità altruistica Oltre ai motivi di base che spiegano il comportamento prosociale ci sono anche delle determinanti personali, come la personalità. Alcune persone hanno una personalità altruistica, un insieme qualità che le spingono ad aiutare un altro individuo. Ci sono però anche altri fattori che entrano in gioco: le pressioni situazionali, il genere, la cultura, la religione e lo stato d’animo del momento. 2.2 Differenze di genere nel comportamento prosociale Esistono diverse regole, nelle diverse culture, che forniscono un modello da seguire per gli uomini e per le donne nel comportamento prosociale. Nelle culture occidentali gli uomini vengono influenzati ad assumere tratti come essere eroico o cavalleresco, mentre le donne vengono influenzate a allevare la prole e esternare affetto. Questo si manifesta nel comportamento di aiuto verso l’altro: gli uomini sono più propensi a compiere atti eroici mentre le donne hanno maggiore probabilità di fornire sostegno sociale agli amici, educare i figli e di fare volontariato che comporti l’aiuto verso l’altro. Queste tendenze sono validate anche in altre culture. 2.3 Differenze culturali nel comportamento prosociale Aiutiamo più facilmente qualcuno del nostro stesso gruppo (come etnia, età, genere ecc.) oppure non appartenente al nostro gruppo? Da un lato le evidenze suggeriscono che aiutiamo di più qualcuno appartenente al nostro stesso gruppo “ingroup” (=con cui ci identifichiamo) rispetto a qualcuno dell’ “outgroup”. Dall’altro lato spesso le persone oltrepassano i loro schemi e aiutano membri dell’ “outgroup” come sconosciuti o persone svantaggiate. Le persone aiutano sia i membri del proprio gruppo sia quelli fuori dal proprio gruppo, ma lo fanno per ragioni diverse: 1. aiutiamo le persone “ingroup” perché riusciamo a provare empatia con loro (=sono simili a noi) 2. aiutiamo le persone “outgroup” per sentirci bene con noi stessi o per fare buona impressione con gli altri (=abbiamo un beneficio) 2.4 Comportamento prosociale e religione La religione crea forti legami sociali e incoraggia ad aiutare il prossimo, ma soltanto se questo condivide gli stessi valori religiosi. Quando si manifesta la possibilità di aiutare qualcuno che non condivide gli stessi valori religiosi, gli individui religiosi si mostrano ostili. La religione è un esempio 2 di favoritismo verso l’ingroup, le persone provano più empatia verso chi è nel gruppo rispetto a chi è fuori dal gruppo. 2.5 Gli effetti dell'umore sul comportamento prosociale Una variabile che predice la probabilità di aiutare gli altri (oltre a quelle che abbiamo già visto) è l'umore. Le persone di buon umore, che lo sono per diverse ragioni, sono più portate a compiere degli atti altruistici (=sentirsi bene, agire bene). In realtà si è visto che anche le persone con un umore negativo sono portate a gesti altruistici, in maggiore probabilità rispetto alle persone con un umore “normale”. Ad es. se si è tristi aiutare qualcuno può aiutare anche noi stessi a sentirci meglio e alleviare il nostro dolore. Questo fenomeno è chiamato “ipotesi del sollievo dello stato negativo” ed è un’applicazione della teoria dello scambio sociale (=aiutare qualcuno aiuta noi stessi a sentirci meglio). Anche un altro tipo di cattivo umore accresce l’altruismo: il senso di colpa. Le persone che si sentono in colpa per un gesto che hanno fatto, tendono a fare gesti altruistici per controbilanciare il gesto negativo che ha prodotto in loro il senso di colpa. 3. LE DETERMINANTI SITUAZIONALI DEL COMPORTAMENTO PROSOCIALE 3.1 Ambiente rurale o urbano Per capire il comportamento prosociale dobbiamo anche considerare la situazione in cui gli individui si trovano. Gli individui delle aree rurali sono più propense ad aiutare rispetto agli individui delle aree urbane. Questo fenomeno ha diverse spiegazioni. Una spiegazione è che gli individui che crescono nelle zone rurali imparano ad essere più socievoli, che porta ad avere più fiducia nell’altro e ad aiutarlo mentre i soggetti che crescono in città imparano a non fidarsi degli estranei e badare solo a sè (= dipende quindi dai valori che imparano). Milgram propose invece un’ altra spiegazione, che non riguarda i valori degli individui. La sua ipotesi è chiamata “ipotesi del sovraccarico urbano” che sostiene che le persone che vivono in città, siano costantemente bombardate di stimoli, con il risultato che pensano solo a sé stesse per evitare di essere sovraccaricate. Questa ipotesi ha avuto molto sostegno. 3.2 La mobilità residenziale Le persone che hanno vissuto per molto tempo in uno stesso luogo hanno maggiori probabilità di mettere in atto un comportamento prosociale verso la comunità (dato da diverse ragioni: maggiore attaccamento alla comunità, interesse per la propria reputazione ecc.). Di conseguenza, un’altra ragione per cui le persone aiutano meno in una grande città è data dalla mobilità residenziale (più elevata in città rispetto alle zone rurali). E’ molto più probabile che in città ci siano persone che si sono da poco trasferite e non hanno sviluppato ancora il senso di comunità. 3.3 Il numero di testimoni: l’effetto testimone Spesso le persone non offrono il loro aiuto non a causa di chi sono ma della situazione in cui si trovano. Secondo un effetto chiamato effetto testimone, ipotizzato da Latanè e Darley; maggiore è il numero di testimoni presenti durante un'emergenza minore è la probabilità che il soggetto aiuti la vittima. Perchè? La motivazione può risiedere nelle 5 fasi che le persone seguono prima di decidere se intervenire e aiutare una persona: 1) Notare un evento. A volte riconosciamo con chiarezza quando c’è un'emergenza, a volte no. Quando non riconosciamo che c’è un’emergenza non prestiamo aiuto al soggetto. Una semplice variabile che incide molto sul prestare o meno attenzione a una situazione di emergenza è la fretta: le persone di fretta sono meno attente alla situazione e più facilmente non riconosceranno una situazione come di emergenza (la fretta paradossalmente può sopraffare il tipo di persona che sei, ad es. appunto altruista). 3 2) Interpretare l’evento come un’emergenza. Un altro aspetto dipende se la situazione in cui si trovano i soggetti è chiaramente un’emergenza oppure è ambigua (non capisco se una persona sta male o è ubriaca). In questo caso il numero di testimoni ha un effetto impattante: più testimoni ci sono in una situazione meno è probabile che si rendano conto che la situazione è un’emergenza (= succede a causa dell’influenza sociale informativa). Si può verificare uno stato di ignoranza collettiva nel quale i testimoni si confondo reciprocamente a causa della loro assenza di risposta, questo porta a credere che non vi sia alcun pericolo (=apatia collettiva). 3) Assunzione di responsabilità. Quando si ha capito che la situazione è un’emergenza bisogna anche valutare se aiutare la persona è responsabilità nostra o di qualcun altro. In questo caso la presenza di tanti testimoni porta a una diffusione di responsabilità per la quale nessuno percepisce un forte senso di responsabilità ad agire. La diffusione di responsabilità è probabile che avvenga anche quando le persone non riescono a capire se qualcun altro è già intervenuto. 4) Sapere come aiutare. Il quarto passaggio riguarda il fatto che la persona debba decidere quale sia la forma appropriata di aiuto. Se le persone non sanno quale forma di assistenza dare non saranno in grado di prestare loro aiuto. 5) Decidere di aiutare. Quando sappiamo come intervenire per aiutare una persona, possono comunque esserci dei motivi per cui decidiamo di non intervenire. Dobbiamo sempre valutare i costi del nostro aiuto (es. se vale la pena rischiare la nostra vita). 3.4 La diffusione di responsabilità nel cyberspazio Anche nello spazio digitale la diffusione di personalità agisce allo stesso modo. 3.5 La natura delle relazioni: di condivisione o di scambio Il comportamento prosociale cambia anche se la relazione tra due persone è una relazione di condivisione o di scambio. Nelle relazioni di scambio l'aiuto sembra essere guidato dalle ricompense dell’aiuto mentre nelle relazioni di condivisione le persone sono meno interessate a quello che 4 ricevono e più predisposte ad aiutare l’altro (quindi tendenzialmente siamo più propensi ad aiutare un amico che un estraneo). C’è un'eccezione a questa tendenza e riguarda il mantenimento della stima di sé: quando stiamo un svolgendo un compito per noi molto importante siamo più predisposti ad aiutare un estraneo rispetto ad un amico, perchè vedere un amico riuscire meglio di noi in un compito per noi molto importante ci fa male e danneggia la nostra autostima. 3.6 Gli effetti dei media: i videogame e i testi delle canzoni I videogames e le canzoni con messaggi prosociali aumentano il comportamento prosociale. Per due motivi: 1. aumenta l’empatia delle persone nei confronti di chi ha bisogno di aiuto 2. aumenta l’accessibilità a pensieri prosociali verso gli altri. 4. COME PUO’ ESSERE MIGLIORATO IL COMPORTAMENTO PROSOCIALE Premessa: a volte le persone non vogliono essere aiutate, e se vengono aiutate provano inadeguatezza e dipendenza. Il comportamento prosociale può essere migliorato in diversi modi. 4.1 Come aumentare la possibilità di intervento dei testimoni Dei buoni metodi per aumentare i comportamenti prosociali sono allenare i soggetti ad uscire dalla condizione di “testimoni passivi”, renderli coscienti dell’effetto testimone e della diffusione di responsabilità (=così da riuscire a contrastarli) e ricordare loro di fare sempre la cosa giusta e superare le loro inibizioni, che sorgono spontaneamente quando ci troviamo in situazioni impreviste e di emergenza. 4.2 Aumentare il volontariato Il volontariato è un’ importante risorsa sociale ma non deve essere imposto come obbligatorio. Le persone che si sentono obbligate a farlo tenderanno a non farlo spontaneamente in futuro (effetto di sovragiustificazione = le persone credono che il loro comportamento dipenda da una causa esterna obbligatoria sottovalutando le ragioni intrinseche per cui si sono avvicinati a quell’attività). 5