Appunti Storia dell'Architettura 2 PDF

Summary

Questo documento riassume la transizione dall'architettura classica al neoclassicismo, concentrandosi sul ruolo della Francia e sulle figure chiave del periodo illuminista; approfondisce concetti chiave come i cambiamenti dei materiali, l'influenza dell'illuminismo e le differenze tra architettura greca e romana. Gli architetti dell'illuminismo sono presentati come un gruppo di grandi architetti.

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Lezione 1 - 21/02/24 Dal Classico al Neoclassico É difficile stabilire con esattezza quando inizia la storia dell’Architettura Contemporanea. Gli storici individuano come data di inizio dell’Età Contempor...

Lezione 1 - 21/02/24 Dal Classico al Neoclassico É difficile stabilire con esattezza quando inizia la storia dell’Architettura Contemporanea. Gli storici individuano come data di inizio dell’Età Contemporanea il 1789: si tratta di una data simbolica, che rende però ragione delle trasformazioni epocali sche si compiono nell’ambito del XVIII secolo e che danno vita ad una fase storica radi- calmente diversa rispetto a quella dell’Età Moderna. Gli storici dell’Architettura si sono a lungo interrogati su quale fosse il momento dal quale si potesse parlare di Architettura Contemporanea: oggi si tende a far coincidere il periodo dell’Architettura Contemporanea con quello dell’Età Contemporanea. Fino agli anni Novanta tuttavia spesso l’architettura del periodo tra Ottocento e Novecento viene definita Architettura Moderna. Per i protagonisti del Movimento Moderno l’architettura mo- derna era quella da loro realizzata, che si opponeva alle tendenze ottocentesche e ai principi dell’Art Nouveau: moderno era quindi sinonimo di contemporaneo. Verso la metà del Novecento alcuni storici come Gideon o Hitchcock cominciarono a raccontare la storia dell’Architettura Moderna a partire dall’Ottocento, in quanto si rendono conto che esiste una sorta di continuità tra le due epoche: l’Ottocento è il periodo delle grandi scoperte scientifiche, del Positivismo, dell’impiego di nuovi materiali come il ferro e il calcestruzzo armato in ambito archi- tettonico; tutti questi elementi fanno sì che la storia del Novecento non possa essere considerata disgiunta da quella ottocentesca. La suddivisione in periodi della Storia dell’Architettura rimane quindi molto complessa: se si assume come crite- rio discriminante la tipologia di materiali impiegati il momento di svolta è da collocare durante l’Ottocento; non si può ignorare tuttavia il ruolo svolto da parte dell’Illuminismo nella nascita di una Storia dell’Architettura distinta dal passato, per cui molti storici come Francesco dal Cò, Alfredo Tafuri, Carlo Olmo e Roberto Gabetti cominciano a raccontare la Storia dell’Architettura Contemporanea a partire da metà Settecento. Negli anni ’80 lo storico dell’Architettura inglese Ryckvert pubblica un libro intitolato I primi moderni, affermando che i primi a mettere in discussione i principi enunciati da Vitruvio e a scardinare il sisitema di regole sovratem- porale che regola fino a quel momento l’architettura sono stati alcuni personaggi francesi tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento. A partire dal Settecento si diffondono i volumi a stampa, che consentono di far circolare maggiormente idee, progetti e disegni. Alcuni di questi libri contribuiscono a mettere in discussione il sistema di regole architettoniche derivate dalla cultura greco-romana. L’intellettuale francese Fréart de Chambray pubblica nel 1650 il libro Parallèle entre l’architecture antique et moderne, nel quale nota come ci sia una scollatura tra quello che dice il testo di Vitruvio rispetto a quanto tra- mandato dai monumenti antichi. Il testo di Vitruvio, scritto in età augustea, deriva dalla traduzione di testi greci e presenta un linguaggio spesso contorto e pieno di neologismi. Tutte le versioni dell’opera riscoperte durante l’Umanesimo inoltre non sono corredate da immagini: sono presenti le descrizioni dei vari elementi architettonici, ma non una loro rappresentazione visiva. Per questo motivo dare corpo alle descrizioni di Vitruvio è una delle grandi sfide che gli architetti rinascimentali (come Leon Battista Alberti, Palladio, Serlio) devono affrontare. Manca un’interpretazione veramente univoca dei modelli forniti da Vitruvio. Il Seicento è il secolo della cultura scientifica, dello sviluppo del metodo scientifico che presuppone di sottoporre a verifica le ipotesi: questo sottostrato cultu- rale fa sì che si inizino a porre nuove questioni anche in ambito architettonico. Fréart de Chambray ad esempio mette in evidenza come anche nei monumenti antichi si possa riscontrare una varietà di soluzioni architettoniche diverse tra loro: questo lo spinge ad ipotizzare che non esistano dei principi univoci che regolino l’architettura classica. La prima traduzione in francese dell’opera di Vitruvio viene realizzata dallo studioso Claude Perrault, che si diletta di architettura ma non svolge la professione di architetto, bensì quella di medico di corte. A lui viene assegnato il progetto per la facciata del fronte principale del Louvre. I primi architetti per così dire moderni si concentrano nella Francia di fine Seicento in un momento storico nel quale in Europa stanno cambiando i baricentri del potere economico, politico e culturale: l’Italia ha esercitato un ruolo di guida nella diffusione del classicismo rinascmentale, ma durante il Seicento la Francia si presenta come uno Stato forte, accentrato, il cui ruolo politico, al pari di quello culturale, sta cresendo in modo significativo, permettendole di assumere il ruolo di riferimento culturale. Nel 1671 a Parigi viene fondata l’Academie Royal d’Architecture, sul modello di quelle italiane del Rinascimento, come luogo deputato a dirimere il dibattito sull’Ar- chitettura. in virtù della propria egemonia culturale la Francia si stacca dai principi della cultura rinascimentale italiana e inizia ad affermare la propria autonomia, della quale è emblema il progetto per il colonnato del Louvre, per il quale viene rifiutato l’impiego dello stile barocco all’italiana proposto da Bernini, per mantenersi su uno stile più classico, con un sistema di colonne binate con trabeazione e timpano per risolvere la facciata. Nel 1673 Claude Perrault dà alla stampa un volume, corredato di tavole, dal titolo I dieci libri di Vitruvio corretti e tradotti: Vitruvio non è più un’autoritas indiscutibile, ma la sua opera può essere messa in dubbio, sottoposta 1 a critica e corretta. In una delle tavole viene raffigurata la nascita del capitello corinzio come tramandata dalla leggenda - secondo la quale esso deriva dalla forma di un cesto ricperto di figlie d’acanto - affiancata da due diverse versioni di capitello corinzio: uno con le caratteristiche descritte da Vitruvio, l’altro ripreso dal Pantheon: viene messo quindi in evidenza che non esiste un modo univoco di realizzare gli elementi architettonici classici. Perrault afferma inoltre che esiste una “bellezza positiva”, ovvero oggettiva, costituita da utilitas e firmitas, e una “bellezza arbitraria”, ovvero la venustas. Il sistema degli ordini è quindi convenzionale, fa parte della bellezza ar- bitraria, può essere messo in discussione e cambiato. Antoine Desgodetz, giovane membro dell’Accademia di Architettura, su incarico di quest’ultima viene inviato a Roma con l’incarico di misurare gli edifici antichi e riportare esattamente il sistema degli ordini, degli apparati decorativi e degli elementi costruttivi: questo lavoro dà vita all’opera Les édifices antiques de Rome mensurés très exactement, pubblicato nel 1682, che è frutto di un’attenta e precisa documentazione dell’esistente, gra- zie in un certo senso all’applicazione del metodo scientifico in ambito architettonico. Questo nuovo approccio “scientifico” all’architettura porterà alla nascita dell’archeologia e della storia dell’Architettura. Grazie alla stampa e alla circolazione delle tavole di Desgodetz altri studiosi sono in grado di conoscere i monumenti di Roma con esattezza senza recarsi sul posto a studiarli. Marc-Antoine Laugier continua l’opera di desacralizzazione di Vitruvio iniziata un secolo prima da Fréart de Chambray, attraverso il saggio Essay sur l’Architecture: il termine utilizzato, essay, ovvero saggio, indica la ri- nuncia a qualsiasi pretesa di fornire una verità oggettiva, sottolinando che si tratta di un’opinione personale. Il libro viene pubblicato nel 1753, mentre si sta diffondendo la cultura dei lumi: Laugier cerca di svolgere un’analisi architettonica mettendo in atto la stessa operazione fatta dagli intellettuali illuministi in tutti gli ambiti del sapere, ovvero l’eliminazione di qualsiasi convenzione e pensiero precostituito. Sul frontespizio del libro è raffigurata la personificazione dell’Architettura, che indica una capanna: ciò sta a simboleggiare che l’architettura, per potersi rinnovare, deve spogliarsi di tutto ciò che è superfluo e ripartire dall’essenziale, ovvero la capanna primitiva, co- stituita da elementi portanti verticali, un elemento orizzontale che la delimita e degli elementi obliqui che formano il tetto; tutto ciò che viene aggiunto è frutto della convenzione ed è superfluo, secondario. Laugiert afferma quindi che è possibile fare architettura anche senza ricorrere al sistema degli ordini. L’autore sostiene inoltre che tra architettura greca e romana quella più vicina al modello naturale (e quindi a suo parere da prederire) è la prima, poiché le colonne, che costituiscono gli elementi verticali, hanno funzione portante, così come avviene nella capanna primitiva. Al contrario, nell’architettura romana la parte che dà solidità strutturale all’edificio è affidata la muratura, mentre alla colonna viene assegnato solamente un valore ornamentale. Nella ricerca di un’architettura razionale il modello greco è quindi preferibile a quello romano. Questo processo di razionalizzazione architettonica tramite ad esempio la restituzione alla colonna di una funzione portante viene attuato anche da altri architetti della metà Settecento, come Jacques-Germain Soufflot, incaricato di dirigere il cantiere di Saint Geneviève, oggi conosciuta come Panthéon. L’edificio presenta un grande pronao esastilo con colonne corinzie sormontate da frontone, è dotato di un grande tamburo e di cupola, ma presenta degli elementi che sono emblematici dei cambiamenti dell’epoca: la pianta centrale a croce greca manifesta la volontà di razionalizzazione architettonica; la suddivisione in navate non è utilizzata soltanto per il piedicroce ma anche nel transetto e nel deambulatorio, creando un effetto di equiparazione tra i quattro bracci della croce e enfatizzando la centralità della pianta; Soufflot cerca inoltre di utilizzare il più possibile le colonne, restituendo loro il ruolo di elemento portante. Quando l’architetto deve descrivere la chiesa la definisce di stile “greco-gotico”: la cupola e il tamburo sono molto alti e per contrastare le spinte laterali vengono posti in corrispondenza della fascia d’attico dei piccoli archi rampanti, una soluzione costruttiva ripresa dall’architettura medievale. Tra il 1751 e il 1772 viene redatto, sotto la direzione di Diderot e d’Alembert, uno dei testi più significativi dell’Illuminismo, ovvero l’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri. All’interno dell’enciclopedia si trova anche la voce “Architettura”, redatta da Blondel, corredata di tavole, che illustrano le caratteristiche dei diversi ordini e presentano esempi positivi di edifici, tra cui il bagno penale di Brest, ovvero una prigione, presentato come esempio positivo in virtù della sua praticità e razionalità, espresse dal prospetto spoglio ed estremamente essenziale, privo di decorazioni. Gli architetti dell’Illuminismo o architetti rivoluzionari Il gruppo degli architetti illuministi è un gruppo minoritario che nasce e si sviluppa in Francia e i cui progetti molto di rado vengono effettivamente realizzati; ciononostate il gruppo conosce un grande successo di critica, soprat- tutto negli anni ’80 del Novecento, nel periodo in cui nasce il movimento del Postmodernismo. In particolare, il critico inglese Allan Braham scrive un libro intitolato L’architettura dell’età dei lumi, da Soufflot a Ledoux, mentre in un periodo precedente Emil Kaufmann pubblica uno scritto intitolato Gli architetti rivoluzionari, che, nell’edizio- ne italiana, esce con il sottotitolo Da Ledoux a Le Corbusier, affermando quindi che il processo di semplificazione formale iniziato nel Settecento dagli architetti illuministi venga portato avanti fino a diventare una delle linee guida 2 del Movimento Moderno. Kaufmann definisce gli architetti di questo periodo rivoluzionari non tanto per via delle loro idee politiche (molti degli architetti che vivono durante la Rivoluzione Francese lavorano per l’aristocrazia) quanto per il fatto che molti di loro si trovano ad operare nel periodo che va dagli anni ’60-’70 del Settecento fino ai primi dell’Ottocento, a cavallo quindi della Rivoluzione Francese. In questo periodo l’aristocrazia lascia le città per essere maggiormente protetta, alcuni architetti tra cui Ledoux vengono imprigionati per via dei loro legami con gli aristocratici e i cantieri edilizi sono totalmente fermi. Gli architetti si dedicano quindi alla stesura di progetti utopici, astratti, destinati a rimanere su carta. L’assenza di un committente e di vincoli concreti porta all’appli- cazione radicale della semplificazione delle forme e dei volumi. Kaufmann individua tre architetti rivoluzionari del periodo tra Settecento e Ottocento: Boullée, Ledoux e Lequeu. Progetto per un hotel particulier, Soufflot Progetto per un hotel particulier, Boullée L’hotel particulier è un tipo di palazzo monofamiliare, separato dalla strada da una corte d’onore e affacciato sul retro su un giardino. I prospetti mostrano il tentativo di semplificazione dell’apparato decorativo: le pareti sono lisce, con finestre ritagliate a filo di facciata e l’uso degli ordini, puramente simbolico, è limitato al pronao in fac- ciata. Gli architetti rivoluzionari, privati nel periodo successivo al 1789 di commesse, si dedicano a portare alle estre- me conseguenze il processo di semplificazione delle forme architettoniche, stendendo progetti che non sono destinati ad essere realizzati ma a costituire delle raccolte da pubblicare in libri. Boullée non riesce a dare alle stampe mentre è ancora in vita il suo libro, che viene pubblicato postumo con il titolo di Architettura, saggio sull’arte. Boullée è influenzato dal Sensismo ed è convinto che l’arte e l’architettura debbano suscitare emozioni nello spettatore attraverso le sensazioni: l’architettura evoca sensazioni ed emozioni tanto più forti quanto più puri sono i volumi che utilizza. Il ricorso a geometrie elementari è evidente anche in questo progetto per un museo di Boulée. Durante il periodo della Rivoluzione Francese si diffonde tra gli architetti l’interesse per la progettazione di grandi spazi pubblici e collettivi, come biblioteche, musei e sale per assemblee: in particolare il museo, visto come tempio del sapere, diventa il tema progettuale per eccellenza. Il museo è giocato sulla composizione di volumi centrali ed elementari: è presente un recinto quadrato all’interno del quale è inscritta una croce greca che costituisce le quattro gallerie espositive; all’interno della croce è posto un tempio monoptero circolare, dedicato alle Muse. Circoscritte al quadrato di base si trovano delle grandi esedre porticate. La prospettiva interna, realizzata guardando verso il centro da uno dei bracci della croce, mette in evidenza il grande senso di teatralità, accentuato dal contrasto tra il primo piano buio e la cascata di luce proveniente da un’apertura sul tetto del tempio monoptero al centro. Le dimensioni dell’edificio sono spropositate, enormi, irrealizzabili per le tecnologie dell’epoca. I volumi (cubi, cilindri, sfere) sono giustapposti, così come lo sono luci e ombre; anche le parti completamente spoglie sono accostate a quelle decorate, come avviene ad esempio nella volta a botte, priva di qualsiasi ornamento, che contrasta con le colonne arricchte di particolari. Questo edificio fornisce un chiaro esempio dei motivi che inducono Kau- fmann a definire gli architetti come Boulée rivoluzionari: non sempre adottano il sistema di decorazioni proprio dell’architettura classica e, anche quando lo utilizzano, spesso ciò avviene al di fuori delle regole, in particolare di proporzione, del classicismo. Anche in questo progetto di biblioteca gli elementi che costituiscono l’edificio sono sovradimensionati; Boullée fa ricorso inoltre a dettagli che spingeranno alcuni critici a parlare di “architettura parlante”, che utilizza cioè elementi inediti rispetto all’architettura tradizionale, che sono fortemente connotativi della destinazione d’uso dell’edificio. In questo caso, tutto il basamento non è fatto a bugnato ma è costituito da file parallele di libri, che costituiscono quindi l’architettura e connotano l’edificio sottolineandone la funzione di biblioteca. La volta cas- settonata e dotata di una fenditura centrale è sproporzionata rispetto al colonnato dorico. Il progetto più famoso di Boullée, manifesto dell’architettura illuminista, è quello per il cenotafio di Newton: il volume principale è una sfera, circoscritta da un basso corpo cilindrico, che rievoca il mausoleo di Adriano a Roma senza voler tuttavia rendere esplicitamente omaggio alla classicità. La composizione si articola in volumi puri, in gran parte spogli; all’esterno dell’edificio si trovano dei cipressi, che connotano l’edificio sottolineandone il legame con la dimensione funebre. Lo spazio interno è totalmente circolare; lo spessore murario della calotta è rastremato verso l’alto e la muratura presenta dei buchi che lasciano filtrare la luce esterna dando l’impressione che all’interno della struttura si trovi un cielo stellato. L’interno dell’edificio nelle intenzioni di Boullée è illuminato durante la notte, cosicché all’esterno con il buio la cupola appaia costellata di fori luminosi. Ledoux, a differenza di Boullée, riesce a vedere alcuni dei propri progetti realizzati prima dello scoppio della Rivoluzione, in particolare per alcune dogane e barriere daziali, che si caratterizzano per l’applicazione di un classicismo ridotto all’essenziale. Per via dei suoi legami con l’aristocrazia dopo il 1789 viene arrestato. Ledoux pubblica mentre è ancora in vita la sua raccolta di progetti con il titolo di L’architettura considerata sotto il rap- porto dell’arte, dei costumi e della legislazione. Tutti i suoi lavori si caratterizzano per la radicalità, l’uso di volumi puri giustapposti e del contrasto come elemento in grado di suscitare emozioni. 3 In questo progetto Ledoux affronta il tema dell’abitazione per un guardiano delle acque, realizzata tramite un cor- po cilindrico cavo, all’interno del quale passa l’acqua. Si tratta di un ulteriore caso di architettura parlante, nella quale sia la forma a tubo dell’edificio che la relazione con il contesto esplicitano la funzione alla quale è destinato. Ledoux si dedica ache alla progettazione di una casa per quattro artisti, formata da un corpo cubico di base con quattro torrette che esplicitano all’esterno la suddivisione dello spazio interno in quattro unità abitative. L’architet- to non ricorre agli ordini, l’edificio si presenta spoglio; è presente una tettoia che ripara gli accessi e ha un valore puramente funzionale, i muri sono lisce e le finestre prive di cornici e timpani. Questi disegni mostrano un progetto di Ledoux per una casa per due nuclei famigliari, con due unità collegate tra loro da un arco trionfale; sono presenti due grandi colonne che diventano un elmento connotativo, il cui signi- ficato è puramente simbolico e che vengono utilizzate al di fuori della grammatica del classicismo. Ledoux realizza anche progetti a scala urbana, come questo per una cittadella per le saline di Chaux, nel sud della Francia. In questo caso il progetto non è utopico ma destinato ad essere realmente realizzato. La cittadella deve avere spazi sia per il lavoro e la produzione che per la residenza degli operai: si tratta di una sorta di vil- laggio industriale ante litteram. Il processo di razionalizzazione attraverso l’uso di forme geometriche elmentari viene applicato alla scala del territorio: Ledoux inizialmente pensa uno spazio circolare, con un asse centrale sul quale affacciano gli edifici della direzione e i luoghi per la ricreazione, affianco ai quali si trovano le fabbriche. Le residenze per gli operai, ciascuna dotata di giardino sul retro, sono poste tutto intorno a raggiera. L’architettura in questo caso diventa il mezzo per un miglioramento dell’organizzazione sociale. Il progetto viene realizzato solo per metà a causa di una riduzione dei fondi stanziati. I prospetti degli edifici sono molto semplici, presentano solo alcuni elementi simbolici come le colonne bugnate dell’ingresso. Sulle pareti delle fabbriche si aprono degli oblò dai quali esce dell’acqua, a sottolineare la funzione degli edifici. Ledoux viene incaricato inoltre di sistemare il teatro di Besançon. L’architetto francese, così come molti altri durante l’Illuminismo, critica il teatro all’italiana, legato allo stile barocco, in funzione di un ritorno allo spazio ge- ometrico rigoroso del teatro alla greca, con la pianta a emiciclo. All’interno è possibile notare un gioco di rimandi tra l’occhio che guarda il teatro e il teatro che guarda l’occhio. Lequeu tra i tre architetti è quello del quale vengono realizzati meno progetti; possiede delle straordinarie doto di disegnatore, come si può osservare ad esempio in questo progetto per una sala per assemblee, costituita da una sfera perfetta, circoscritta da un elmento con piloni, che insieme sembrano alludere alla forma di una mongolfiera. Un edificio emblematico del gusto e delle tendenze del periodo illuminista è la zecca di Parigi, o Monnaie de Paris, progettato da Jacques-Denis Antoine. In corrispondenza dell’asse centrale sono poste delle colonne, mentre il resto del fabbricato si presenta liscio o decorato da un bugnato liscio in pietra di Parigi; le finestre sono sormontate da cimase. Anche se l’architettura costruita non raggiunge i livelli di radicalità dei progetti utopici degli architetti rivoluzionari è evidente un processo di razionalizzazione. Tra gli architetti illuministi che ricercano la semplificazione delle forme si può annoverare anche Jacques-Nico- las-Luois Durand, che negli anni tra fine Settecento e inizio Ottocento è professore di Architettura presso l’Ecole Politecnique, una scuola fondata negli anni successivi alla Rivoluzione con lo scopo di formare gli ingegneri. Du- rand basa la sua didattica sul principio di razionalizzazione dell’architettura, che deve rispondere a due principi: quello dell’economia, ovvero la riduzione al minimo della spesa, e quello della distribuzione più razionale. L’ar- chitetto pubblica due opere: una, detta il Grand Durand e intotlata Raccolte parallele degli edifici di tutti i generi, è un grande volume che presenta delle tavole sinottiche nelle quali gli edifici, apparteneneti a diversi luoghi ed epoche storiche, sono divisi per tipologia. Il Petit Durand, o Précis des leçons, è un testo didattico, che raccoglie le sue lezioni tenute al Politecnico e fornisce indicazioni su come comporre gli edifici. All’interno del volume viene anche trattato il cosiddetto “metodo Durand”, ovvero la creazione di una matrice composta di quadrati che cor- rispondono a moduli dimensionali sulla quale basarsi per progettare degli edifici razionali. Lezione 2 - 23/02/24 Milano napoleonica 1 In epoca napoleonica viene dato incarico agli astronomi di Brera di redigere una mappa dettagliata della città di Milano, opera completata nel 1814. La Pianta degli Astronomi di Brera consente di registrare quale fosse lo sviluppo urbanistico di milano al termine del regno di Napoleone. Nel 1796, otto anni dopo l’inizio della Rivoluzione Francese le truppe francesi entrano a Milano; la Francia è an- cora una repubblica e sta attraversando la fase del consolato. È impegnata su diversi fronti in uno scontro con le altre potenze europee, interessate a restaurare la monarchia. Il giovane Napoleone Bonaparte nel 1795-1796 viene inviato a guidare le truppe sul fronte italiano e riesce a vincere una serie di battaglie contro gli austriaci. Milano a partire dalla seconda metà del Cinquecento rimane per alcuni secoli sotto il dominio spagnolo; nel 1730-1731 passa agli austriaci ed entra a far parte del Regno d’Austria, sotto gli Asburgo. Rispetto alle con- dizioni durante le altre dominazioni straniere, l’ultimo periodo asburgico, a partire dal 1740 circa, è conosciuto come una fase di dispotismo illuminato: Maria Teresa d’Austria pima e il figlio Ferdinando d’Asburgo in seguito promuovono una serie di riforme sociali: viene imposta una maggiore tassazione degli aristocratici tramite l’in- troduzione del catasto, alcuni ordini religiosi vengono soppressi e lo stato si fa carico dell’istruzione dei cittadini e della sanità, aspetti prima di allora demandati quasi esclusivamente al clero. In questo periodo viene anche fondata l’Accademia di Brera e la città di Milano è interessato da un processo di generale modernizzazione. Dopo la cacciata degli Asburgo da Milano ad opera dei francesi del 1976 viene fondata la Repubblica Cisalpina (1797) e viene istituito un governo provvisorio; per tutta l’epoca napoleonica Milano e la Lombardia mantengono le caratteristiche di un protettorato: sono indipendenti ma di fatto vengono guidate dalla Francia. La Repubblica Cisalpina (che comprende altri territori oltre alla Lombardia) è retta da un triumvirato e ha come capitale Milano. Nell’aprile 1799, dopo che le truppe austro-russe riconquistano Milano, la Repubblica Cisalpina viene interrotta, per essere poi ripristinata da Napoleone, che riprende la città nel giugno del 1800 in seguito alla vittoria di Ma- rengo. Nel 1802 al Congresso di Lione viene sancita la trasformazione della Repubblica Cisalpina in Repubblica Italiana, con vicepresidente Francesco Melzi d’Eril e presidente Napoleone Bonaparte, nel frattempo diventato Primo Console in Francia con il colpo di stato del 1799. Nel dicembre del 1804 Napoleone si fa incoronare im- peratore dei Francesi e la Repubblica Italiana viene trasformata in Regno d’Italia, nel marzo del 1805. Il vicerè è Eugène de Beauharnais, figlio adottivo di Napoleone ed erede di quest’ultimo fino al 1811, quando nasce il figlio naturale dell’imperatore francese, avuto dalla seconda moglie Maria Luisa d’Austria, figlia dell’Imperatore d’Austria. Dal 1812 Napoleone comincia a subire le prime sconfitte, in particolare nella campagna in Russia, e nel 1814 l’Impero Francese crolla. Si apre quindi il Congresso di Vienna, che ridistribuisce i vari territori europei, restaurando i poteri così come erano prima dell’età napoleonica. Nasce quindi il Lombardo-Veneto, posto sotto la corona d’Austria. L’epoca napoleonica ha dei profondi effetti su Milano, sia dal punto di vista urbanistico che architettonico. La città è all’epoca di medie dimensioni ed in gran parte compresa nella cerchia delle mura medievali, circondate dal Naviglio Interno, del quale molti tratti verranno poi interrati agli inizi del Novecento. Al di fuori si trova una se- conda cerchia di mura bastionate, risalente al periodo della dominazione spagnola, che delimita il confine tra città e campagna. tra i due sistemi di fortificazioni rimangono numerose aree non ancora edificate. La circolarità del disegno urbano si interrompe in corrispondenza del Castello, che faceva parte di una sorta di cittadella fortificata e veniva utilizzato dagli austriaci come caserma e prigione. La cittadella viene smantellata per ragioni militari nel 1800: rimane così un’ampia area inedificata, dove vengono in seguito realizzate la piazza d’armi, l’arena, il Foro Bonaparte e la Porta del Sempione. La cerchia dei bastioni assume in epoca napoleonica un valore fortemente simbolico oltre che una rilevanza sul piano pratico. Le fortificazioni hanno perso infatti la loro finalità militare, poi- ché lo stato viene difeso ai confini, ma costituiscono il confine simbolico della città; le porte sono inoltre utili a fini daziari. Vengono riconfigurate per renderle più funzionali e enfatizzare il loro valore simbolico di ingresso alla città. Porta Romana È l’unica porta monumentale esistente nel 1796; risale a metà del Cinquecento, quando viene realizzata in forma di arco trionfale romano per celebrare l’ingresso nella città di Margherita d’Austria, sposa del re di Spagna, in quel momento sovrano della Lombardia. La porta è rappresentata in varie incisioni risalenti a epoche diverse: in una di queste è raffigurato l’ingresso delle truppe francesi a Milano, accolte dalla popolazione festante. Sulla porta è collocata la scritta: “Alla valorosa armata d’Italia”. Nell’opera è riportato anche un albero della libertà, collocato sui bastioni: si tratta di un elemento fortemente simbolico utilizzato dalla Francia durante la fase della repubblica ed è costituito da un’asta sormontata da un berretto frigio, ricorrente in tutta l’iconografia rivoluzionaria; in questo caso è presente anche un tricolore attaccato all’asta. Si può notare la differenza tra questa incisione, risalente al primo periodo della Repubblica Cisalpina, e quella realizzata nel 1805, quando Napoleone è stato incoronato im- peratore. Quest’ultima riprende un importante ciclo decorativo realizzato da Andrea Appiani, che raffigura i fasti di Napoleone. Anche in questo caso l’immagine ritrae l’ingresso dei francesi a Milano, ma, a differenza di quanto avviene nell’incisione del 1797, nella quale le persone che comopongono la folla festante appaiono essere tutte sullo stesso piano, senza distinzione di gerarchie, qui la composizione fa sì che ci sia una netta separazione tra il popolo che presenzia all’evento e i generali di Francia, tra cui Napoleone Bonaparte, che sfilano. Porta Romana non subisce modifiche nel corso del periodo napoleonico perché possiede già di per sè un ca- rattere monumentale. Mantiene la funzione di luogo simbolico, utilizzato in occasione di eventi solenni: spesso in questi casi la porta viene decorata con addobbi che vengono poi rimossi. Nel 1807, per celebrare l’ingresso di Napoleone in città, Porta Romana viene allestita con delle strutture effimere, tra cui una sestiga con la Vittoria che incorona l’imperatore. Porta Ticinese È una delle realizzazioni dell’età napoleonica: possiede un atrio trionfale, che ricorda il pronao di un tempio clas- sico e costituisce la porta d’ingresso alla città, e due caselli daziali ai lati. Viene realizzata a partire dal 1807 ad opera di uno dei maggiori architetti del periodo napoleonico, ovvero Luigi Cagnola. Porta Ticinese è quella da cui entrano i francesi nel 1800 dopo la battaglia di Marengo; all’indomani di questo evento un decreto della consul- ta di governo stabilisce che la porta sia rinominata Porta Marengo e venga ricostruita in forma monumentale. I maggiori architetti del tempo vengono invitati a presentare i propri progetti, tra i quali viene scelto quello di Luigi Canonica, architetto ticinese formatosi all’Accademia di Brera nel periodo nel quale vi insegna Giuseppe Pier- marini. Il progetto di Canonica propone le forme dell’arco trionfale a triplo fornice, con bassorilievi che rievocano la Battaglia di Marengo; sull’attico si trova la personificazione della Fama, mentre sui lati sono collocati i caselli daziali. Canonica presenta anche un’altra variante della porta, dotata di una lapide con una cimasa, che sarà l’unico elemento dei progetti dell’architetto effettivamente realizzato. La costruzione della porta infatti non viene portata a termine per motivi economici. Anche altri architetti partecipano al concorso per il rifacimento di porta Ticinese. Tra di essi c’è ad esempio Giuseppe Pistocchi, originario di Faenza e formatosi a Roma; è uno dei cosiddetti “architetti giacobini”, che cre- dono profondamente che la Francia consentirà all’Italia di portare avanti un processo di liberazione dal dominio straniero e di raggiungere l’indipendenza. Pistocchi concepisce l’idea di un arco che ospiti ai lati del passaggio centrale i locali per lo svolgimento delle operazioni doganali, senza bisogno di collocare dei caselli. L’architetto presenta quattro soluzioni, nelle quali è evidente la volontà di sperimentare, allontanandosi in parte dai principi del classicismo. Un altro dei partecipanti al concorso è Paolo Bargigli, architetto giacobino originario di Livorno: propone un arco trionfale con colonne binate e trabeazione; l’importante apparato decorativo comprende una statua che raffigura la Libertà, che tiene l’asta con il berretto frigio. Pietro Pestagalli, architettto del Ministero delle Finanaze, redige un progetto che non riguarda soltanto la co- struzione della porta ma tutto il rettifilo di quello che allora è chiamato Corso della cittadella e oggi è conosciuto come Corso di Porta Ticinese: la porta diventa il fulcro di una risistemazione alla scala urbana. Il nodo di Porta Ticinese è significativo, in quanto vi si affaccia la Piazza del Mercato (oggi Piazza 24 maggio), è a cavallo di una delle direttrici urbana e deve sopraelevare il canale che unisce la Darsena al Naviglio Interno. Il progetto di Pe- stagalli è più corretto dal punto di vista sintattico per quanto riguarda l’uso degli elementi classici: è presente un arco trionfale dorico, con una statua raffigurante la Fama che sormonta l’attico. Quando Napoleone si reca a Milano nel maggio 1805 per farsi incoronare re d’Italia, passa da Marengo, dove viene messa in scena una rievocazione della battaglia lì avvenuta, ed entra in città dal lato di Porta Ticinese, che tuttavia non è ancora stata realizzata, poiché Il progetto di Canonica rimane incompiuto: viene quindi allestita per l’occasione una struttura effimera, in legno, ancora una volta progettata da Canonica. Nel 1807 un’associazione di possidenti presenta un progetto per un “monumento per Milano”, da realizzare a proprie spese: le opzioni per tale monumento includono una porta in corrispondenza di Porta Ticinese, una a Porta Nuova e un colosso da collocare in una delle piazze principali della città. Uno dei possidenti è Luigi Ca- gnola, che redige anche alcuni disegni per le varie proposte: presenta un progetto per Porta Ticinese, nella quale propone un arco di trionfo ionico, che è in realtà una porta-ponte, collocata in corrispondenza del canale di colle- gamento tra darsena e Naviglio Interno. il progetto viene approvato e la porta viene realizzata tra il 1807 e il 1814. Porta Vercellina La porta viene smantellata nel 1860, oggi non è più esistente. Viene costruita su un progetto del 1805 di Luigi Canonica per accogliere Napoleone in occasione del suo ingresso in Italia: in realtà l’imperatore francese nel 1807 entrerà da Porta Ticinese. La porta non viene ultimata: alla fine dell’epoca napoleonica mancano ancora l’attico e il gruppo statuario che lo dovrebbe sormontare. Porta Nuova Lo sviluppo progettuale di Porta Nuova è piuttosto lungo: viene presentata una proposta da Pietro Pestagalli, che redige anche i disegni per Porta Comasina. Questo primo progetto non viene però realizzato. Cagnola nel 1807 propone due soluzioni, una con un arco uguale a quello poi realizzato per Porta Ticinese, l’altra con un arco a tre fornici. Nel 1810 viene dato l’incarico ad un nuovo progettista, Giuseppe Zanoia, diventato in quell’anno professore di Architettura all’Accademia di Brera: l’architetto propone un arco con un unico fornice collegato ai caselli dazieli, che si presentano come delle ali laterali porticate. Porta Orientale Oggi questa porta è conosciuta con il nome di Porta Venezia. In epoca napoleonica questo punto è uno snodo fondamentale all’interno della città e, nonostante si pensi di riprogettarlo, la realizzazione della nuova porta av- verrà solo negli anni della Restaurazione sul progetto di Rodolfo Vantini. Negli anni dell’ancien regime Piermarini presenta un progetto, ma della porta vengono realizzate solamente le fondamenta; in occasione delle grandi celebrazioni vengono collocati degli apparati decorativi effimeri. In occasione dei festeggiamenti per celebrare l’anniversario della Federazione della Repubblica Cisalpina nel 1797 Piermarini realizza il progetto per gli addobbi di Porta Orientale, che comprendono la personificazione della Repubblica o della Libertà con l’asta sormontata dal berretto frigio. La zona di Porta Orientale è, durante gli anni napoleonici, il luogo più utilizzato per feste e spettacoli pirotecnici. Anche Pistocchi propone un progetto per la porta, costituito da un arco trionfale alla romana con arco ogivale gotico. All’indomani della vittoria nella battaglia di Marengo Napoleone decide di far smantellare le fortificazioni di epoca spagnola e di far aprire una strada, che verrà inaugurata nel 1805, detta Strada del Sempione, che costituisca un asse rivolto in direzione della Francia, tramite il quale far arrivare i cannoni in città. In onore della Battaglia di Marengo si decide di erigere una colonna trionfale: viene bandito un concorso aperto a tutti i cittadini e viene presentata una quarantina di progetti, alcuni solo scritti, altri anche illustrati. Il luogo nel quale erigere il nuovo monumento non è specificato, il bando del concorso stabilisce solamente che sarà posto in uno dei luoghi più frequentati della città. Alcuni dei partecipanti provano quindi a suggerire delle possibili col- locazioni. Il pittore-incisore Domenico Aspari presenta il progetto per una colonna posta su un alto basamento, che reca inciso la trascrizione del discorso con il quale Napoleone ha decretato di istituire nuovamente la Repub- blica Cisalpina; è presente anche una statua raffigurante il Genio della Vittoria coronato di alloro. Aspari prova a ipotizzare e rappresentare il luogo nel quale costruire la colonna: sullo sfondo del disegno è visibile l’area del Foro Bonaparte, con il Castello Sforzesco in lontananza, senza le torri, che saranno aggiunte in un’epoca successiva, e circondato dalle esplosioni delle mine che stanno facendo saltare la cittadella fortificata. Tra i partecipanti al concorso se ne distinguono in particolare due: Giuseppe Pistocchi e Giovanni Antonio Anto- lini; il primo porta l’idea di una colonna tortile, la cui spirale è una scala praticabile che si avvolge attorno al fusto della colonna, che costituisce a sua volta il tronco di una palma, che rievoca la vittoria di Napoleone in Egitto. Il progetto scelto è quello dell’architetto giacobino Antolini, che presenta due proposte: una consiste in una co- lonna dorica sormontata dalla statua di Napoleone e decorata da bassorilievi; l’altra è un monumento, costituito da una colonna tronca senza capitello e con un fregio dorico che funge da basamento, sulla quale è inciso il discorso di Napoleone e sulla quale sono raffigurate dodici figure che rappresentano i dodici dipartimenti della Repubblica Cisalpina. La colonna è situata su un basamento circolare e al di sopra della prima è situata la statua di Napoleone incoronato dalla Vittoria. Quest’ultima è la versione che viene scelta e si pensa inizialmente di rea- lizzarla nel Foro Bonaparte: Canova viene incaricato di produrre un gruppo scultoreo con l’imperatore francese incoronato dalla Vittoria, ma il lavoro non verrà mai eseguito. Nel dicembre 1800 Antolini presenta un progetto per un foro circolare, che costituisca un monumento a forma di piazza per celebrare la Battaglia di Marengo, da intitolare a Napoleone Bonaparte. La prima versione consiste in una piazza di dimensioni ridotte, al centro della quale non si trova il Castello ma un monumento celebrativo della battaglia, con la colonna sormontata dalla statua di Napoleone (la prima opzione da lui presentata al concorso) e circondata da quattro gruppi scultorei che sono la reiterazione del suo secondo progetto per il monumento cele- brativo della Battaglia di Marengo. Nel 1801 Antolini si reca in Francia a presentare il proprio progetto a Napole- one, che tuttavia fin da subito stabilisce la propria volontà di non demolire il Castello Sforzesco, che nel progetto definitivo viene quindi mantenuto al centro del foro. Non viene tuttavia eliminato il riferimento a Marengo: intorno al castello sono previsti infatti quattro gruppi statuari raffiguranti Napoleone incoronato dalla Vittoria. Quello del Foro Bonaparte è un progetto quasi utopico, poichè la sua effettiva realizzazione richiederebbe dieci anni di lavori e una spesa di cinquecento milioni di lire, un investimento economico che la Repubblica Cisalpina non è in grado do gestire. Il piano viene quindi approvato ma per realizzarlo sarebbe necessaria un’iniziativa privata, che si cerca di incentivare, concedendo il terreno gratuitamente e abbassando la tassazione sui materiali costruttivi. Non c’è tuttavia interesse ad investire nel progetto, che resta quindi irrealizzato. L’interesse per la piazza e i luoghi pubblici in generale è sintomo di un nuovo modo di concepire la relazione tra chi è al comando e il resto della popolazione: mentre la società dell’ancien régime si basava sull’idea del privilegio della classe dominanate, durante il regno di Napoleone, nonostante rimangano molti degli aspetti di un regime dittatoriale, avviene un processo di modernizzazione della concezione della società e nasce il concetto di cittadi- no in senso moderno, ovvero un individuo che possiede, davanti alla legge, gli stessi diritti e doveri di chiunque altro, indipendentemente dal rango sociale. Assieme all’idea di cittadino esiste quello di spazio pubblico, all’in- terno del quale si trovino i servizi per la popolazione. Anche il progetto per il Foro Bonaparte riguarda uno spazio pubblico, una grande piazza laica che consenta il raccoglimento della folla e che ospiti gli edifici pubblici a servizio della comunità. Antolini concepisce l’idea di due grandi emicicli, attorno ai quali si trovano diversi fabbricati: otto di questi sono pensati per essere sale per as- semblee, una per ogni rione della città di Milano. Sull’asse principale si affaccia un edificio per bagni pubblici, che presenta in facciata un pronao dorico con una statua raffigurante Nettuno alla guida di una quadriga; di fronte è collocata una dogana, dotata anche di un bacino marittimo: Antolini pensa infatti di far passare all’interno della piazza un canale circolare che funga da elemento di raccordo tra i due navigli e permetta alle imbarcazioni di giungere fino alla dogana nel Foro Bonaparte. Nella piazza sono previsti inoltre un museo, un tempio celebrativo dedicato alla Gloria, un teatro e. Tutti gli edifici sono raccordati da un porticato dorico, al quale sono affiancati altri fabbricati con botteghe al piano terra, magazzini nel seminterrato, e abitazioni al primo piano. Il monumento in onore della Battaglia di Marengo viene mantenuto e adibito a fontana. La prima pietra del foro viene posta simbolicamente nel 1801, in occasione delle celebrazioni per la Pace di Luneville. I lavori tuttavia non vengono mai fatti partire, sia per motivi economici che politici: nel 1802 infatti La Repubblica Cisalpina diventa Repubblica Italiana e il governo cambia. In precedenza Antolini poteva contare sull’appoggio di uno dei triumviri, Giuseppe Sommariva, del quale condivide la visione politica; con l’istituzione della Repubblica Italiana Francesco Melzi d’Eril punta a dare una svolta più moderata al governo, sostituendo gli elementi più apertamente rivoluzionari come Sommariva. Anche Antolini viene messo ai margini; Acquisisce invece grandissima rilevanza Luigi Canonica, al quale nel 1803 viene assegnato il compito di ideare un nuovo progetto per Foro Bonaparte, basato su alcuni punti: mantenere il castello, adibito a caserma, e realizzare una piazza d’armi nell’area adiacente, lottizzare il terreno davanti al castello e realizzarvi degli edifici privati destinati a commercio e residenza, creare una piazza principale di forma rettangolare con due esedre e altre due piazze secondarie, una ottagonale e una circolare. Anche in questo caso è necessaria per la realizzazione del progetto un’iniziativa privata, che però manca, perché la popolazione della città di Milano non è cresciuta in modo signi- ficativo in quegli anni e non c’è una particolare richiesta di nuove abitazioni o la necessità di edificare l’area al di fuori delle mura. Il verde gioca all’interno del progetto di Canonica un ruolo importante, poichè delimita gli spazi edificati. Canonica realizza anche, con l’intento di collocarla all’interno della piazza, una statua che raffigura Napoleone come Marte Pacificatore. Una volta ultimata, l’opera viene spedita a Parigi, dove viene esposta al Louvre. Rimane in Francia fino all’epoca della Restaurazione, quando la Francia la vende alla Corona d’Inghilterra che la dona al vincitore della Battaglia di Waterloo. Oggi l’originale è conservato a Londra, mentre una copia in bronzo è situata nel cortile della Pinacoteca di Brera. A Canova viene commissionata negli stessi anni anche una statua destinata a essere portata a Milano, raffigurante Teseo che sconfigge il Centauro: l’opera una volta ultimata rimane tuttavia a Roma. Quando Napoleone arriva a Milano nel 1805 per essere incoronato emana un decreto con il quale dà dispo- sizione di piantumare il Foro Bonaparte. Canova elabora quindi un nuovo progetto sulla base di queste nuove indicazioni: la piazza d’armi viene raddoppiata e assume forma quadrata invece che rettangolare e la porta del Sempione viene spostata nel punto in cui si trova ancora oggi; davanti al castello è previsto un disegno urbano a emicicli realizzato con le piante. Nel 1805 viene realizzato in via provvisoria, per accogliere Napoleone, un anfite- atro in legno: la struttura ha grande successo, tanto che si decide di renderla permanente ed erigerla in pietra e a Canonica viene assegnato il compito di redigere il progetto. L’arena possiede una forma particolare, che unisce due tipologie architettoniche dell’antichità: il circo e l’anfiteatro. Può ospitare molti generi di spettacolo e, così come i circhi romani, può essere allagata per consentire lo svolgimento delle naumachie. Durante l’epoca napoleonica matura una progettualità per la città di Milano che, anche quando non trova imme- diata applicazione, crea un immaginario che dà i suoi frutti negli anni successivi. Così avviene ad esempio per il Foro Bonaparte, che viene realizzato, con la divisione in emicicli così come si presenta oggi, attorno al 1880, quando tutta l’area viene lottizzata secondo il piano regolatore di Cesare Beruto. Si pensa anche, negli anni napoleonici, di collocare una porta in corrispondenza dell’asse del Sempione. Ven- gono presentati diversi progetti. La porta ideata da Antolini unisce l’elemento dell’arco romano a due propilei, di derivazione greca. Pistocchi propone invece una porta con un profilo merlato. È del 1807 la decisione di realiz- zare la porta con la forma dell’arco trionfale, riprendendo come modello quello realizzato come struttura effimera da Cagnola nel 1806 per i giardini pubblici di Porta Orientale in occasione del matrimonio del vicerè Eugenio di Beauharnais con la figlia dell’imperatore di Baviera. Il progetto ha grande successo, tanto che si pensa di erigere l’arco in pietra a Porta Orientale, ma lo stesso Cagnola si oppone all’idea, perché trova che la conformazione urbana non si presti a ospitare la sua opera. Si propone quindi di prendere il progetto di Cagnola come spunto per la realizzazione della Porta del Sempione. L’incarico viene dato a Cagnola, che apporta alcune modifiche al progetto. Mentre l’arco del 1806 è a un solo fornice, quello per la porta ne ha tre. L’arco viene dedicato alle vittorie di Napoleone e inizialmente è prevista sulla cima una sestiga guidata dall’imperatore. Nel 1814 la porta è realizzato solo fino al punto di imposta dell’arcata centrale. Oggi si può notare che fino a questo punto le deco- razioni sono di epoca napoleonica e celebrano i successi di Napoleone; quelle al di sopra invece, completate nel periodo della Restaurazione sotto il governo di Ferdinando. Alcuni gruppi scultorei, già commissionati agli artisti, vengono trasformati per essere più in linea con il sentimento politico del tempo: così l’ingresso di Napoleone a Milano diventa quello di Francesco Sforza, la Battaglia di Marengo diventa la Battaglia di Lipsia, vinta dagli austriaci. Il gruppo scultoreo sulla sommità ritrae invece la personificazione della Pace e reca un’iscrizione che recita “Alla pace restaurata”. Lezione 3 - 28/02/24 Classicismo e classicismi L’inizio del movimento artistico e letterario del Neoclassicismo è convenzionalmente collocato nel 1750, men- tre la sua fine viene fatta coincidere con il Congresso di Vienna, nel 1815, momento dal quale inizia invece ad affermarsi il Romanticismo. Non si tratta ovviemente di una cesura nettaa, in alcune zone il Neoclassicismo sopravvive fino alla metà dell’Ottocento. Può sembrare paradossale che un movimento come il Neoclassicismo nasca dalla crisi del vitruvianesimo, ma è necessario considerare che per tutti i secoli precedenti e anche nel Settecento il modello più alto di Architettura è quello greco e romano; mancano inoltre alternative considerate di pari dignità: solamente con il Romanticismo inizieranno ad essere presi come riferimento altri stili architettonici, in particolare il Gotico. Nel Settecento inoltre l’interesse per il mondo classico è ravvivato da alcuni fenomeni, ad esempio la riscoperta delle città vesuviane. Il termine utilizzato per indicare il movimento, Neoclassicismo, indica la consapevolezza della rottura rispetto al passato ed è sintomatico di un nuovo modo, più critico, di guardare ai modelli classici: è un approccio estremamente diverso rispetto a quello adottato in epoca rinascimentale, dove si ricerca una sorta di continuità con l’arte e l’architettura classica. Il passato nel Settecento non appare più come una verità monolitica, ma come qualcosa di più complesso e plurale; tale pluralità implica la possibilità di scelta tra diverse opzioni, pur mantendo gli antichi come riferimento gli artisti e gli architetti neoclassici avvertono la possibilità di scegliere tra una varietà di modelli diversi. Questo processo iniziato Neoclassicismo porterà più avanti ad arpirsi ancora di più alla pluralità e a considerare ulteriori modelli, derivati dall’arte e l’architettura egizia, paleocristiana o gotica. Non è un caso che in questo periodo, con gli studi di Winckelmann, nasca una storia dell’arte che non considera più l’antichità come un blocco indivisibile ma come un insieme di esperienze e mo- ementi differenti. Nel suo libro, Storia dell’arte nell’antichità, lo storico teorizza una nuova periodizzazione della storia e suddivide la scultura greca in quattro fasi. Nel Settecento la maggiore possibilità di circolazione della stampa rispetto a quanto avveniva in precedenza consente la diffusione di nuovi modelli, in parte diversi da quelli del passato. Questo è anche il periodo della scoperta della cultura greca classica: fino a questo momento la conoscenza dell’arte e dell’architettura greca avviene tramite la mediazione dell’arte e dell’architettura romane. A partire dalla metà del Settecento, anche grazie all’introduzione della pratica del grand tour, si riscopre anche l’Oriente, con il quale si intensificano le rela- zioni. La Grecia classica assurge a modello assoluto di razionalità, dopo essere stata conosciuta per anni quasi esclusivamente tramite i libri illustrati di coloro che vi si erano recati e che la ritraevano in modo pittoresco. Matura anche un atteggiamento più scientifico nello studio di questa nuova realtà, i cui autori principali sono il francese Julienne David Leroy e gli inglesi James Stuart e Nicholas Revett. Leroy, tornato dal suo viaggio in Grecia, succede Blondel nel ruolo di professore all’Accademia di Parigi; allo studioso si deve la diffusione dell’interesse per il mondo greco che si diffonde in Francia negli anni ’70-’80 del Settecento. Il viaggio di Leroy in Grecia avviene tra il 1754-1755, periodo nel quale l’architetto produce una serie di schizzi; tornato in Francia, pubblica un volume intitolato Rovine dei più bei monumenti della Grecia, che esce in una prima versione nel 1758 e in una seconda, più completa, nel 1760. Il libro è articolato in due parti: nella prima, che è rivolta a un pubblico generico, si trova il racconto del viaggio, descritto in forma pittoresca e accompagnato da alcune illustrazioni che raffigurano lo stato effettivo degli edifici e dei monumenti; la seconda è invece destinata a artisti e architetti e contiene una restituzione ideale di come l’architettura era nel passato. Il volume si presenta quindi come una raccolta di modelli utilizzabili anche nella pratica progettuale. Nel 1762 Stuart e Revett, tornati dal viaggio in Grecia, dove erano stati inviati dalla Società dei dilettanti, danno alle stampe un altro libro, frutto di uno studio estremamente approfondito, intitolato Antichità di Atene, che nel- le intenzioni dovrebbe essere il primo di una serie di volumi. I disegni contenuti nell’opera sono estremamente precisi ed accurati, molto più dettagliati di quelli di Leroy, che i due inglesi accusano di aver fatto un lavoro ap- prossimativo. La riscoperta della Grecia non esaurisce l’interesse per i classicismi dell’epoca. Prende voce nel dibattito sull’an- tico anche Giovanni Battista Piranesi, che è in grado di interpretare la sensibilità e la problematicità del Sette- cento. Nel 1749-1750 pubblica una raccolta di stampe intitolata Le carceri: i suoi disegni mostrano un gusto per l’accumulazione, la molteplicità, la moltiplicazione dei punti di vista. C’è una sensibilità modernissima nella sua compulsività di produzione, il gioco di bianchi e neri è magistrale. Dà alle stampe un primo volume, Le antichità romane, nel 1756. è evidente dallo stile di disegno adottato dall’autore che non si tratta di un testo didattico. Il classicismo si basa sull’idea di equilibrio, proporzione: Piranesi, pur essendo uno strenuo difensore dell’arte e dell’architettura romane, le rappresenta in modo anti classico, creando un senso di eccesso, di spaesamento davanti alla grandezza del passato; in primo piano risaltano più gli elementi strutturali che i dettagli degli ordini. Nel 1761 esce il secondo volume di Piranesi intitolato Della magnificenza ed architettura dei Romani, che è una replica all’opera di Leroy: vengono messi a confronto una tavola dello studioso francese nella quale sono illustrati i dettagli dello ionico greco da un lato e dall’altro un campionario di capitelli romani, a sottolineare la maggiore capacità inventiva dei Romani rispetto ai Greci. Piranesi giustifica inoltre la preminenza dei primi sui secondi af- fermando che l’architettura romana deriva da quella etrusca, che cronologicamente viene prima della greca ed è quindi più vicina all’architettura naturale. Nel 1769 Piranesi realizza un volume intitolato Diverse maniere di ador- nare i camini, nel quale sono presenti elementi che sono sintomatici del nuovo interesse per l’arte e l’architettura egizie. Con questo volume l’architetto rivendica il diritto alla libertà espressiva: a questo scopo nel 1765 pubblica anche un dialogo intitolato Parere sull’Architettura, nel quale si confrontano Protopio, difensore dei principi vi- truviani, e Didascalo, portavoce delle istanze di libertà dell’architetto, che deve poter seguire la propria fantasia e deve poter scegliere tra i diversi modelli. Anche nei suoi progetti Piranesi cerca di rivendicare un certo gradi di libertà. Uno dei pochi realizzati è la facciata della chiesa di Santa Maria del Priorato a Roma, per la quale gli elementi architettonici utilizzati sono quelli dell’architettura tradizionale, ma sono presenti alcune caratteristiche inusuali e innovative: i capitelli non hanno una trabeazione, in corrispondenza del partito centrale è presente un grande oculo, le scanalature delle lesene sono interrotte da incisioni raffiguranti le spade dei Cavalieri dell’ordine di Malta. Anche la riscoperta delle rovine di Ercolano e Pompei, avvenuta grazie alla maturazione della cultura archeologi- ca del tempo, contribuisce a sancire nel Settecento il predominio della classicità in ambito artistico ed architet- tonico. Gli scvi iniziano a metà degli anni ’40 del Settecento e vengono promossi dai Borboni, che fanno anche realizzare a Portici uno dei primi musei archeologici destinati ad accogliere i reperti archeologici provenienti dalle due città. Con il Neoclassicismo cambia radicalmente la concezione che la cultura occidentale ha dell’antico. Durante il Rinascimento era possibile conoscerne i resti, che spesso consistevano in murature o edifici spogliati delle loro ricchezze. Le città vesuviane permettono di conoscere le pitture romane, fino ad allora note solamente tramite le descrizioni scritte degli autori dell’epoca, le suppellettili, i mobili. Il gusto del tempo è fortemente in- fluenzato da queste scoperte: vengono realizzati ispirandosi alla classicità non solo gli edifici, ma anche numerosi altri elementi, come il mobilio, le decorazioni interne delle abitazioni (che iniziano ad essere dipinti con pitture che richiamano quelle pompeiane) e il vestiario. Il Neoclassicismo propone forse per la prima volta quella stretta relazione tra cultura e arti applicate che sarà propria nei secoli successivi dell’Art Nouveau e del Movimento Mo- derno. In questo periodo viene anche prodotto un catalogo in più volumi, rimasto interrotto, dal titolo Le antichità di Ercolano esposte, che documenta uno per uno gli oggetti ritrovati. Questi volumi circolano in tutta Europa e costituiscono una raccolta di modelli. La riscoperta delle città vesuviane dà il via al collezionismo e al commercio di oggetti antichi e porta alla nascita di luoghi nei quali esporre i reperti venuti alla luce, ovvero i musei. L’idea di museo è strettamente legata ed è figlia della cultura Neoclassicista, come testimonia anche un quadro di Giovanni Paolo Pannini, Vedute di Roma antica, realizzato insieme ad un altro intitolato Vedute di Roma moderna. Nella prima opera il pittore rappresenta una galleria nella quale sono esposti reperti dell’antichità insieme a vedute di Roma antica. Anche Villa Albani è un importante centro di diffusione della cultura neoclassica nella Roma degli anni ’60 del Settecento: in questo periodo era bibliotecario della villa lo storico dell’arte Winkelmann, che qui matura la propria cultura storiografica. Papa Pio VI e Papa Clemente XII fanno allestire a museo una delle ali dei palazzi vaticani e vi espongono la col- lezione di antichità papale. Da questa iniziativa nasce negli anni ’80 del Settecento il Museo Pio Clementino, che è aperto al pubblico, a studiosi ed amatori ed è anche, dal punto di vista architettonico, uno dei primi esempi di stile neoclassico. La cultura neoclassica, nata da un momento di apertura e di arricchimento culturale, con il passare del tempo si irrigidisce sui propri principi, rifiutando di aprirsi a nuovi stimoli e arrivando ad assumere un carattere ecces- sivamente mimetico e imitativo. Uno dei primi libri a riportare l’attenzione sul Neoclassicismo, dopo un lungo periodo durante il quale il movimen- to viene considerato privo di particolare interesse, viene scritto dall’inglese Hugh Honour ed è pubblicato negli anni ’50 del Novecento con il titolo di Gusto neoclassico. L’opera pone sottolinea come il ritorno della cultura classica avvenuta nel periodo del Neoclassicismo sia frutto di una libera scelta e non si tratti di una soluzione adottata in mancanza di altri stimoli. L’autore sostiene inoltre che la grande forza del movimento consiste nel fatto che il Neoclassicismo è in primo luogo un’accezione morale e non un gusto estetico. A ciò che è classico viene riconosciuto un alto valore morale, che si nutre non soltanto di modelli architettonici ma di tutta la cultura e classica in generale. In Francia Neoclassicismo si associa anche ad una nuova ideologia politica, quella della repubblica prima e quella dell’impero poi: gli anni post rivoluzionari mitizzano la repubblica romana, dalla quale riprendono alcuni modelli e concetti; con l’incoronazione di Napoleone a imperatore viene invece maggiormente apprezzato il periodo imperiale romano. La storia del passato viene utilizzata con fini ideologici e politici dell’e- poca. All’indomani della Rivoluzione quindi la Francia si fa promotrice del gusto neoclassico anche per via del richiamo delle esperienze romane. Le ricadute della diffusione del Neoclassicismo sulla cittò si possono osservare ad esempio nella rue des Co- lonnes a Parigi, interessata dalle operazioni di lottizzazione urbana secondo i principi uniformi. Sulla spinta degli ideali egualitari portati dalla Rivoluzione, inizia ad acquisire importanza in ambito architettonico il tema delle case ad appartamenti, con piano terra commerciale. Questo genere di edifici sono l’elemento costitutivo della nuova città e devono rispondere a un criterio di ordine e razionalità. Quello di rue des Colonnes è uno dei primi esperimenti di tracciamento di una via che deve rispondere a un disegno uniforme. I privati che comprano i lotti devono rispettare determinati criteri per edificarvi, in modo tale che i fabbricati si uniformassero al disegno di insieme. Questo approccio è dovuto alla nascita di una diversa concezione dello spazio pubblico, per il quale è la comunità che deve stabilire le regole. Non sono più solo committente e architetto che contribuiscono a definire la forma e l’aspetto della città: nascono le commissioni edilizie e gli interventi sullo spazio urbano vengono regolati da organismi di controllo che appartengono alla comunità. Nel 1791 si tiene a Parigi la Festa della Federazione al Campo di Marte, per la quale viene fatto un allestimento che sperimenta con le forme dell’arco trionfale e del circo: le feste erano l’occasione per mettere alla prova delle strategie e dei modelli da utilizzare poi eventualmente sulla città. Parigi viene considerata la “nuova Atene”: la grandezza dell’architettura greca è stata possibile poiché in Grecia c’era la democrazia, per cui tra tutte le città europee Parigi è la sola, in virtù del proprio regime politico, che può aspirare a creare un’arte che raggiunga tale grandezza. I modelli utilizzati a Parigi si diffondono poi in tutti i paesi che entrano nella sfera di influenza della Francia. Nel 1792-1793 una commissione di artisti inizia a dedicarsi alla pianificazione urbana, arrivando a redigere il Plan des Artistes, che prevede tra gli altri interventi dei nuovi assi, in particolare quello est-ovest. Il piano urbanistico non impone ancora un vincolo tuttavia, non si è ancora dotato di strumenti come l’esproprio. Napoleone nel 1798 indice la Campagna d’Egitto, che ha sia un fine militare (combattere gli inglesi) che civi- le: partono per questa spedizione anche alcuni sapienti, che hanno il compito di disegnare i monumenti e gli edifici egizi. Il loro lavoro viene poi raccolto in un volume intitolato Viaggio nel Basso e nell’Alto Egitto durante le campagne del generale Bonaparte, pubblicato nel 1802. In Francia si diffonde in quegli anni l’interesse per l’arte e la cultura egizia e anche in architettura, per realizzazioni minori, si assiste alla ripresa di modelli egizi. A Parigi viene creato il Passage du Caire, un passaggio coperto dedicato alle vittorie del Cairo, che presenta un frontespizio con due capitelli atorici, che recano la figura della dea Ator e della foglia di palma. I passage sono uno degli elementi urbanistici introdotti tra Settecento e Ottocento e nascono perché ai privati che lottizzano un appezzamento di terreno viene imposto il vincolo di ricavare un passaggio pedonale, inizialmente all’aperto e in seguito coperto. Questi interventi sono possibile grazie alla soppressione di alcuni conventi di proprietà del clero. Nella seconda metà del Settecento si diffonde l’uso di aprire le collezioni d’arte e oggetti antichi al pubblico: tra gli altri, anche Luigi XVI permette di visitare le collezioni conservate al palazzo del Louvre. Dopo la decapitazione del re, il patrimonio contenuto nel palazzo viene considerato di proprietà del popolo e il museo con il tempo si amplia. Le conquiste dell’epoca napoleonica sono accompagnate dalla spoliazione delle opere d’arte dei paesi conquistati, che le cedono come tributo militare. Questa pratica viene criticata da alcuni dei contemporanei, come Quatremère de Quincy, che sostengono che le opere debbano rimanere dove sono nate. Le opere di cui la Francia si appropria non finiscono tuttavia in collezioni private, ma vengono esposte nei musei, quanto più importanti quanto l’opera è considerata di valore: in questo modo si crea un sistema museale sul territorio per il quale le opere vengono fatte arrivare anche nei piccoli musei di provincia. Il Museo del Louvre e il frutto anche di un grande esperimento museale iniziato a partire dagli anni della Rivoluzio- ne e che costituisce uno dei primi esempi di museo moderno. I due architetti che si occupano dell’ampliamento del Louvre sono Charles Percier e Pierre Fontaine: a loro si deve inoltre la risistemazione dei palazzi imperiali, l’Arco del Carrousell, in cima al quale si trova la Quadriga di cavalli di Venezia. Lavorano anche al collegamento tra Louvre e Tuileries tramite una galleria, che sarà poi sviluppata negli anni della Restaurazione, e progettano rue de Livoly, a ridosso del Louvre, una delle prime in Europa ad essere sviluppata secondo un disegno regolare neoclassico; progettano anche la facciata tipo per i palazzi che vi si affacciano, che presentano un piano terra porticato con botteghe sormontate da mezzanini e residenze ai piani superiori. è di Percier e Fontaine anche il progetto, rimasto irrealizzato, del Palazzo del re di Roma, destinato al figlio di Napoleone e Maria Luisa. I due architetti danno alle stampe nel 1801 anche un volume intitolato Raccolta di decorazioni interne, che contiene una serie di progetti di arredamento, alcuni effettivamente realizzati, altri di invenzione: questa opera mette in evidenza come anche il campo delle arti applicate sia di competenza dell’architetto. Negli anni napoleonici inizia ad essere utilizzato il ferro in architettura, in particolare per la realizzazione delle coperture dei passage. Uno dei primi architetti a servirsi di questa nuova tecnologia è Jean-Baptiste Rondelet pubblica un libro intitolato Trattato teorico e pratico dell’arte del costruire, uno dei primi manuali nel quale viene descritta la tecnica per costruire. L’architetto interviene sul Panthéon a Parigi, per risolvere alcuni problemi di cedimento strutturale, e inserisce delle staffe metalliche per legare tra di loro le pietre delle murature. Il Neoclassicismo in Inghilterra ha tra i suoi esponenti Robert Adam, che promuove negli anni ’60 una spedizione in Dalmazia epubblica una raccolta di tavole dal titolo Rovine del palazzo dell’imperatore Diocleziano a Spalato in Dalmazia, nella quale tenta di restituire la ricchezza di dettagli dell’architettura delle regioni orientali dell’Impero Romano: il Palazzo di Spalato è il primo a presentare il sistema dell’arco su colonne, che rompe con la cultura del classicismo e dà l’avvio all’architettura medievale. Adam si occupa anche di progettare Kedleston Hall, la residenza di un collezionista che possiede anche una parte adibita a museo privato e sormontata da una cupola e presenta il partito centrale in facciata in forma di arco trionfale. Ciò che distingue il Neoclassicismo sette-otto- centesco rispetto ai classicismi del passato e che si può ritrovare anche nei lavori di Adam è l’impiego di colori, l’attenzione posta ai rapporti di superficie e ai valori cromatici. Un altro dei protagonisti del Neoclassicismo inglese è John Nesh, importante anche sul piano dell’urbanistica con la realizzazione di Reagent Street, che viene portato a termine a fatica e subisce una serie di modifiche al suo percorso a causa delle resistenze dei proprietari degli edifici che si trovano sul tracciato iniialmente ipotizzato, che si risfiutano di vendere. Questo fatto è sintomatico del cambiamento avvenuto nei processi di trasformazione urbanistica, che non vengono più imposti dall’alto senza possibilità di trattazione. Le città inglesi si avvalgono anche degli edifici a terrazza, costituiti da un corpo arretrato destinato agli apparta- menti piuttosto spoglio e da un elemento in primo piano che costituisce la facciata, trattato con una certa enfasi e con il ricorso a elementi come archi e colonne. Anche John Soane fa parte degli architetti neoclassici inglesi: realizza tutto il quartiere della City, progettando anche gli interni della Banca d’Inghilterra. Il Neoclassicismo si diffonde anche nelle parti più remote dell’Europa: l’architetto italiano Giacomo Quarenghi viene chiamato a progettare la nuova San Pietroburgo di Caterina II, interprete del processo di “occidentalizza- zione” della Russia iniziata dal marito Pietro III. Quarenghi realizza il progetto per l’Accademia delle Scienze e per l’Istituto Smol’nyj a San Pietroburgo. In Italia, a Possagno, Canova realizza una chiesa con pronao dorico che rievoca il Partenone e con un corpo che riprende il Pantheon e costituisce quindi un tentativo di unire due grandi modelli dell’architettura greca e romana. Il tempio di Possagno è un esempio di un Neoclassicismo tardo, che risulta ormai un po’ irrigidito. Anche il Walhalla, realizzato da Leo von Klenze nei pressi di Latisbona, appartiene all’ultimo periodo del Neo- classicismo: si tratta di un edificio dedicato ai caduti nelle battaglie contro Napoleone ed è una riproposizione- dogmatica del modello del Partenone, del quale riprende anche le colonne senza base, il triglifo d’angolo e la variazione dell’intercolumnio. Lezione 4 - 01/03/24 Milano napoleonica 2 Piazza Duomo Negli anni napoleonici piazza Duomo non si presenta come oggi: la Galleria viene costruita all’indomani dell’Unità d’Italia da Giuseppe Mengoni. Nel Settecento la piazza ha ancora una forma irregolare, a imbuto, a causa della presenza di due elementi architettonici: il portico dei Figini, di epoca tardo medievale, e l’isolato del Rebecchino, che si presenta in uno stato piuttosto fatiscente. Già in età napoleonica si ipotizza un ampliamento e regola- rizzazione di piazza Duomo. Comunicante con questa c’è anche lo slargo di Palazzo Reale, ancora esistente, che si presenta già come piazzetta reale, creata durante il periodo di dominio austriaco da Piermarini, che ha riconfigurato la facciata del palazzo, demolendone un’ala per aprire il cortile e trasformarlo in piazza. Il Duomo a fine Settecento si presenta ancora incompleto: sono stati realizzati la parte bassa, il tiburio con la Madonnina ma mancano il sistema di guglie e la facciata, della quale è stato realizzato solo il primo registro, costruito agli inizi del Seicento su un progetto tardo cinquecentesco di Pellegrino Tibaldi. La conformazione irregolare di piazza Duomo è ritenuta inadeguata già da secoli alla sua funzione: nel Cinque- cento Vincenzo Sereni ha realizzato un disegno proponendo una forma regolare per la piazza. Durante il periodo napoleonico si intende regolarizzare la piazza sia per ragioni di decoro che igieniche, ma il problema verrà risolto solo successivamente. È più che altro la cultura architettonica a porsi tale problema, poichè mancano delle vere e proprie disposizioni governative in tal senso. Già durante il periodo repubblicano (e fino al 1814) Giuseppe Pistocchi elabora una serie di progetti per Piazza Duomo. In uno dei disegni prodotti al tempo della Repubblica Cisalpina propone un corpo edilizio con impianto a U porticato che costiruisce un recinto che delimita la piazza. L’edificio è destinato ad accogliere le istituzioni della nuova repubblica: ci sono due aule, dotate di gradonate, da destinare alle due camere che detengono il potere legislativo, ovvero il Consiglio dei Seniori e il Consiglio degli Iuniori. Un’altra opzione prevede ancora un corpo ad U di maggiori dimensioni, da destinare a sede istituzionale: nelle intenzioni dell’architetto deve ospitare sei ministeri. In realtà alle nuove istituzioni della repubblica vengono destinati nella maggior parte dei casi palazzi già esistenti, disponibili grazie alla demanializzazione del patrimonio religioso. In un altro dei suoi progetti, datato al 1800-1801, Pistocchi inserisce degli elementi a carattere cele- brativo: due archi trionfali all’ingresso della piazza e una colonna a forma di palma al centro (che ha proposto in occasione del concorso del 1800 per la colonna celebrativa della Battaglia di Marengo). Rappresenta anche il fronte del nuovo edificio prospiciente il Duomo, di stile neoclassico, con un doppio porticato, dorico al piano terra e ionico al primo piano, coronato nel corpo centrale da un grande timpano con una raffigurazione a bassorilievi. Pistocchi prevede anche una nuova facciata per il Duomo con un doppio registro goticheggiante. L’architetto chiama piazza Duomo “foro”, in aperta polemica con Antolini, che ha proposto la realizzazione del Foro Bona- parte in una zona meno centrale della città. Con il passare del tempo Pistocchi rinuncia all’idea di spostare le istituzioni della Repubblica in Piazza Duomo, nella quale pensa invece di collocare funzioni commerciali e resi- denziali. Gli spazi al piano terra del corpo a U, che viene mantenuto, sono destinati quindi a negozi, mentre quelli al primo piano alla residenza. Realizza diverse versioni di questa nuova proposta. Disegna anche un sistema di snodi, passaggi e gallerie che collega la piazza ai percorsi urbani circostanti. Nel 1805 il Duomo, da sempre luogo di grandi cerimonie funebri e religiose, è il teatro dell’incoronazione di Na- poleone a re d’Italia. Viene incoronato non dal Papa, come è avvenuto in Francia, ma dal cardinale Caprara, dalle mani del quale prende la corona, mettendosela da sè sulla testa. Per la cerimonia Napoleone utilizza la Corona di ferro, conservata a Monza, utilizzata nell’Alto Medioevo dai Longobardi, presentandosi come legittimo erede dei re d’Italia. In Duomo viene allestito un emiciclo a baldacchino con stemmi e allegorie delle Virtù che fa da cornice a una sorta di esedra. C’è una gradonata per gli ospiti più importanti e altre sedute per funzionari di rango infe- riore. L’allestimento è opera di Luigi Canonica che, già nominato Architetto della Sovriontendenza Nazionale alle fabbriche durante la Repubblica, a seguito dell’incoronazione diventa Architetto Reale. Progetta per l’occasione anche il trono, fiancheggiato da due leoni, simile a quello realizzato da Percier e Fontaine per l’incoronazione di Napoleone a imperatore in Francia. Il neo incoronato re emana un decreto per il completamento della facciata del Duomo, con un progetto che comporti una spesa che sia circa la metà di quella dell’ultimo progetto approvato. Impone inoltre alla Fabbrica del Duomo, l’organismo fondato da Gian Galeazzo Visconti e deputato alla realizzazione della cattedrale, di ven- dere alcune delle proprie proprietà per finanziare i lavori. Ai fondi così ottenuti si aggiungono quelli stanziati dal governo napoleonico. Oltre alle guglie e al sistema di falconature, rifatte alla fine dell’Ottocento in stile gotico, il resto degli elementi mancanti completati in epoca napoleonica è visibile tutt’oggi. Il primo registro della facciata, l’unico già realizzato, è frutto di un progetto di Pellegrino Tibaldi, tipicamente manierista, realizzato sotto Federico Borromeo. A partire dal Seicento e fino all’arrivo di Napoleone la Fabbrica del Duomo ha portato avanti un di- battito per decidere se completare la facciata in stile moderno (ovvero rinascimentale) oppure in stile gotico, per armonizzarla con il resto dell’edificio. Già da metà Settecento Carlo Buzzi, un architetto della Fabbrica del Duo- mo, suggerisce un “progetto in Gotico misto”, ovvero mantenendo il registro inferiore ma cercando di arrivare al gotico, soluzione che verrà adottata in seguito anche da Carlo Amati, che riesce a unire il Classicismo al Gotico. L’ultimo progetto proposto alla fine del Settecento è pensato da Leopoldo Pollack, architetto della Fabbbrica del Duomo e allievo di Piermarini a Brera, oltre che autore di Villa Bonaparte. Pollack ipotizza una facciata che mantenga gli elementi classici, inserendoli in archi ciechi a sesto acuto; inserisce anche dei contrafforti coronati da guglie e collegati da arcate ogvali. Nel 1806 è necessario nominare un nuovo architetto della Fabbrica del Duomo e viene scelto Giuseppe Zanoia, dal 1805 professore di Architettura a Brera, che però declina l’invito a occuparsi del progetto per la facciata della cattedrale, delegando il compito al giovane assistente Carlo Amati. Quest’ultimo critica ed elimina le grandi arcate cieche e i contrafforti di Pollack, mantiene le finestre alla romana nel secondo registro, mentre quelle del terso registro e il rosone sono apertamente gotiche. Quest’ultimo pro- getto è quello che viene realizzato, impiegando circa vent’anni. Amati inventa anche un sistema di ponteggi in legno per eseguire i lavori, che vengono tolti nel 1811. Per l’ultimo registro non viene utilizzato il marmo di Can- doglia, ma di quello di Ornavasso, di qualità inferiore, per cui alla fine dell’Ottocento questa parte si presenta in uno stato di degrado e viene quindi restaurata. La facciata di Amati viene molto criticata, tanto che negli anni ’80 dell’Ottocento il Comune di Milano prima e la Fabbrica del Duomo poi bandiscono due concorsi, pensando di demolirla e ricostruirla interamente in stile Gotico. L’iniziativa tuttavia non viene portata a termine, anche a causa della morte del vincitore del concorso. In epoca napoleonica viene completato inoltre inoltre il sistema di guglie dei fronti laterali: vengono coinvolti nel cantiere del Duomo, a tale scopo, numerosi scultori milanesi, impegnati nello stesso periodo anche nella realizzazione dell’Arco del Sempione. Su una delle guglie si trova anche una statua di San Napoleone, figura istituita per volontà dell’imperatore francese. Il rifacimento della facciata del Duomo fa sì che si pensi anche a un rifacimento della piazza antistante. Ci sono diverse ipotesi per un suo abbellimento, alcune che prevedono solamente di collocarvi dei nuovi monumenti, altre che consistono in una riorganizzazione generale dello spazio. Della prima categoria fa parte un progetto di Paolo Bargigli, che nel 1806 presenta tre progetti, due per altre parti della città e uno per piazza Duomo, nella quale pensa di collocare una colonna tortile sulla quale sono incise le gesta di Napoleone, dotata di un basamen- to con trofei militari e sormontata dalla statua del re. Pistocchi presenta invece una piazza di forma rettangolare con un edificio a forma di U, archi trionfali di accesso e una colonna, centrale rispetto alle due testate del corpo a U. Quest’ultimo nelle sue intenzioni dovrebbe essere dedicato ad alcune istituzioni civili, come l’associazione dei notai o dei commercianti, oltre che essere adibito a residenza. Spesso questo edificio possiede un corpo con una facciata molto semplice, quasi spoglia, mentre la parte porticata risulta essere più decorata e presenta un ricorso agli ordini. In uno degli ultimi progetti Pistocchi ritorna all’idea di un edificio con funzione commerciale al piano terra e residenziale a quelli superiori, rinunciando alla schermatura del colonnato, privilegiando la sovrap- posizione di piani e facendo riferimento a un classicismo di matrice rinascimentale. Palazzo Reale Delle trasformazioni napoleoniche di Palazzo Reale rimane poco, perché nel 1943 i bombardamenti danneg- giano in modo estremamente grave gli interni; la facciata, realizzata da Piermarini riesce però ad essere salvata. Ferdinanado II, foglio di Maria Teresa d’Austria e ultimo governatore di Milano prima dell’arrivo di Napoleone, fa sistemare il palazzo da Piermarini per renderlo adatto ad ospitare la sua corte. La facciata ideata dall’archi- tetto presenta le caratteristiche tipiche di un classicismo lombardo estremamente sobrio, con lesene corinzie dall’aggetto ridotto, finestre sormontate da timpani solo in corrispondenza del primo piano, la fascia più bassa bugnata, un attico rialzato e delle paraste in corrispondenza del corpo centrale. I francesi avvertono la necessità di adattare il palazzo, che cambia nome da Palazzo Arciducale e diventa dapprima Palazzo Nazionale durante gli anni della repubblica e, in seguito all’incoronazione di Napoleone, Palazzo Reale. Durante la fase repubbli- cana il palazzo viene destinato ad alcune istituzioni, come il Senato. Le modifiche apportate all’edificio durante gli anni napoleonici, affidate a Luigi Canonica, hanno lo scopo di adattarlo alle linee guida stabilite dall’etichetta per i palazzi reali, che prevede una serie di stanze con una collocazione precisa. Lo spazio è articolato in unità funionali, definite “appartamenti”, tre dei quali assolutamente indispensabili: l’appartamento di rappresentanza o di parata, che funge da sala del trono, che viene collocato nell’agolo sul primo cortile, dove si trovano già le sale degli arazzi, sistemate da Piermarini. Da qui si può accedere alla Sala del Consiglio di Stato e alla Sala delle ca- riatidi. A questa sala negli anni napoleonici viene anche aggiunta una parte affacciata sulla piazza, divisa in Sala dei ministri, Sala del trono, Sala dei principi e Gabinetto di lavoro dell’imperatore, dotata di balcone. L’etichetta prescrive inoltre che ci fosse un appartamento per l’imperatore, costituito da una parte di onore, con funzione cerimoniale, e una ordinaria, dove l’imperatore abita. Tali indicazioni a Milano non vengono seguite in modo rigido. Al piano nobile è collocato anche l’appartamento dell’imperatrice. La Sala delle cariatidi contiene delle sculture in legno e gesso che sorreggono la balconata e, in età napoleonica, viene installato sulla ringhiera in ferro che corre tutto attorno alla sala un ciclo pittorico realizzato da Andrea Appiani raffigurante i fasti di Napoleone, realizzato a tempera monocroma. Il pittore presenta anche un bozzetto per la decorazione della volta, con Giove in trono che vince sui giganti. Tutto il ciclo decorativo del palazzo si basa sulla comparazione tra Napoleone e il dio, al quale rimandano anche il simbolo dell’aquila e del fulmine, ricorrenti nelle decorazioni di Palazzo Reale. La Sala dei ministri realizzata negli anni napoleonici si caratterizza per una volta ellittica ribassata decorata con un motivo a losanghe, che è stata ricostruita negli anni ’80 del Novecento ed è oggi visibile. Al centro della volta nel 1810 Appiani realizza una pittura che raffigura Imene, in onore delle nozze di Napoleone. Nella Sala del trono si trovano invece degli stucchi che rappresentano le Virtù e un dipinto di Appiani che raffigura l’apoetosi di Napo- leone, seduto in trono con l’aquila e le Vittorie alate che lo portano in trionfo. L’affresco si è in parte conservato. Canonica progetta invece, per collocarli a Palazzo Reale, il trono, affiancato da due leoni, e il baldacchino, sor- retto da aste militari, con un dado con elmo piumato. La tappezzeria della sala è verde con stelle argentate, che sono i colori scelti per il Regno d’Italia. Per la Sala dei ministri Appiani realizza un dipinto nel quale la Storia che vince sul Tempo, mentre per quella dei principi o delle udienze raffigura le diverse parti del mondo. Dopo il 1807 vengono sistemate anche le stanze adibite a cavallerizza, creando la Sala delle colonne. Eugenio di Beauharnais fa realizzare per sè e la moglie Augusta Amalia una nuova camera da letto con dei bagni molto moderni, con acqua a corrente. A partire dal 1808 si apre la seconda campagna di lavori e si decide di ampliare Palazzo Reale, rinunciando al giardino e creando sul retro una nuova zona di servizi, con cavallerizza, scuderie, rimesse per le carrozze e abitazioni per gli inservienti. Quest’area viene conclusa negli anni della Restaurazione e costituisce l’ala del palazzo affacciata su via Larga, demolita nei primi anni del Novecento per realizzare uno degli edifici del Comune. All’interno del palazzo si trova anche la Sala delle quattro colonne, nella quale erano esposti dipinti della famiglia reale, di ministri e degli uomini illustri del Regno d’Italia. Gli arredi delle stanze sono in quello che viene poi definito stile Impero, caratterizzato dall’uso di legni con decorazioni in bronzo dorato. Brera Il palazzo dell’Accademia di Brera è un ex convento dei gesuiti, soppresso da Maria Teresa d’Austria e destinato a istituzioni culturali. Vi viene collocata la nuova Accademia, con le scuole di Architettura (affidata a Piermarini), Scultura e Pittura, la Biblioteca Braidense, l’osservatorio astronomico e l’orto botanico. Brera diventa quindi una cittadella della cultura e delle arti, ruolo che mantiene anche durante l’epoca napoleonica, tanto che il palazzo viene rinominato Palazzo delle Scienze e delle Arti. Al centro del cortile ddell’edificio si trova la copia in bronzo della statua di Napoleone come Marte Pacificatore realizzata da Canova nel 1806. Eugenio di Beauharnais, dopo che l’originale in marmo viene spedito in Francia, vuole avere una copia dell’opera. Canova realizza inizialmente delle versioni in gesso e quella definitiva in bronzo arriva a Milano nel 1812. si apre un dibattito su dove collocare la statua, poichè si ritiene che non sia appropriato esporre una raffigurazione dell’imperatore nudo in pubblico. Mentre si cerca di trovare una soluzione la statua rimane nei locali di Brera. Nel 1814 crolla l’impero e la questione viene dimenticata. La statua diventa nuovamente oggetto di interesse nel 1860, quando Napoleone III, nipote di Napoleone e diventato nel frattempo imperatore del secondo impero in Francia, sconfigge gli austriaci a Magen- ta, riuscendo a strappare all’Austria il Lombardo-Veneto che viene consegnato ai Savoia. In omaggio ai francesi l’opera di Canova viene tirata fuori dal palazzo e posta al centro del cortile e viene anche realizzata un’iscrizione sull’Arco della Pace che celebra Napoleone III. Negli anni napoleonici si pensa di realizzare un museo nazionale, sull’esempio del Louvre e Eugenio di Beau- harnais fa realizzare le Gallerie Nazionali. L’Accademia ha una sua pinacoteca, destinata ai propri allievi, che condivide i propri spazi con le Gallerie Nazionali. Questo ha suscitato una certa ambiguità nel corso del tempo, dvuta anche al fatto che all’arrivo degli austriaci a Milano il direttore di Brera affermi che le gallerie siano sempre appartenute all’Accademia. Queste nascono non come museo didattico, ma come museo nazionale e infatti vi confluiscono i grandi capolavori del Regno d’Italia. Con il ritorno degli austriaci le Gallerie Nazionali passano ef- fettivamente sotto il controllo di Brera e Appiani ne diventa direttore. Per reaizzare il museo in epoca napoleonica la ex chiesa del convento gesuita viene divisa in due piani: al piano terra vengono collocati i reperti archeologici, più antichi, mentre al primo piano la pinacoteca e uno dei quattro stampi in gesso di Canova per la statua di Napoleone come Marte Pacificatore. Questa trasformazione è opera di Luigi Giraldoni, che realizza un sistema di sale comunicanti, esistenti tutt’ora. Sotto Napoleone l’Accademia viene riconfigurata con un corpo accademico e un potenziamento delle varie Scuole, alle quali vengono aggiunte quella di Anatomia e Prospettiva. Gli accademici di Brera vengono consul- tati in merito alle questioni architettoniche e di belle arti di Milano e non solo. I grandi concorsi indetti da Brera, spesso puramente accademici, attirano artisti e architetti da tutto il Regno d’Italia, e affrontano grandi temi di istituzione pubblica, scelti in molti casi tenendo conto delle esigenze effettive della città, nonostante i progetti non fossero destinati a essere realizzati. Nel 1805 il tema del concorso è un progetto per un orfanotrofio, nel 1806 viene affrontato il tema del museo, nel 1807 quello del palazzo reale, nel 1810 agli architetti viene chiesto di ideare una galleria per i quadri dei ministri e dei grandi ufficiali del Regno, nel 1811 il tema è il carcere, nel 1812 i bagni pubblici, nel 1813 un pensionato per gli invalidi di guerra, nel 1814 un ponte trionfale coperto. Lezione 6 - 10/03/24 Dal Neoclassicismo all’eclettismo Il Romanticismo è un fenomeno cultrale ad ampio spettro, che riguarda l’arte, la letteratura, l’architettura, la musica e numerosi altri ambiti. Spesso il Romanticismo viene visto come l’antitesi del Classicismo, che ha come modello l’antichità greca e romana e si basa sul principio di equilibrio e medietas. I Romantici esaltano invece il sentimento più che la ragione, l’eccesso in contrasto con l’equilibrio e rivolgono la loro attenzione al periodo storico del Medioevo, visto invece in modo estremamente negativo dagli artisti e intellettuali neoclassici. Jean-Auguste-Dominique Angres realizza nel 1813 un quadro per Napoleone, che si può considerare emble- matico dei cambiamenti in ambito artistico che avvengono in questo periodo e della convivenza di due correnti, quella del Neoclassicismo e quella pre-romantica. Il quadro si intitola Il sogno di Ossian, il bardo al quale viene attribuito il grande ciclo delle leggende del nord. Non solo il tema, ma anche la resa pittorica manifestano un cambiamento nella sensibilità artistica dell’autore, che, pur essendo allievo di David, si distacca dai principi ne- oclassici. È evidente all’interno dell’opera la ricerca dell’impatto emotivo, tramite un uso scenografico della luce, che mette in risalto la figura di Oassian in primo piano; anche il fatto che venga rappresentato un sogno anticipa l’interesse per l’interiorità e i sentimenti umani proprio del Romanticismo. La mitizzazione del Medioevo e della cultura medievale, in particolar modo la spiritualità porta anche a una ri- valutazione del patrimonio architettonico di questo periodo, in particolare le cattedrali. Dopo il tentativo di omo- geinizzazione e omologazione portato avanti da Napoleone con le sue conquiste si diffondono in tutta Europa sentimenti di forte nazionalismo e ricerca di una identità nazionale che giustifichi anche l’unità politica, in partico- lar modo in Italia e Germania. Anche il teatro contribuisce alla diffusione degli ideali romantici: si diffonde infatti a inizio Ottocento la convinzione che le scenografie per gli spettacoli debbano tenere conto dell’epoca storica nella quale la vicenda si svolge. Le ambientazioni non sono quindi solo di gusto neoclassico, ma inizia a essere rappresentato anche il mondo medievale. Uno dei più importanti architetti romantici tedeschi è Karl Friedrich Schinkel, che riceve una formazione classi- cista ma inizia ad aprirsi alla sensibilità romantica, che inizia a riversare nelle sue opere di architettura e pittura. Riveste un ruolo importante, in particolare nella città di Berlino, poiché nel 1815 viene nominato Oberbaurat, ovvero consigliere per l’edilizia del sovrano Federico Guglielmo III, che intende ampliare la città che si appresta a diventare la capitale del Regno di Prussia. A Schinkel viene dato l’incarico di ripensare la città, costruendo una serie di edifici. L’architetto progetta il ponte che consente al viale principale di Berlino di raggiungere la piazza dall’altro lato del canale, dove si trovano la cattedrale, il palazzo reale e il museo, anch’esso opera di Schinkel. Sede della guardia del re, che ospita i caselli daziari e caselli per le guardie che sorvegliano il ponte. L’edificio è in stile neoclassico, vengono utilizzate colonne doriche senza base, estremamente sobrie e severe. Il re vuole far realizzare anche un grande museo, oggi chiamato Altes Museum, conisderato uno dei capolavori della cultura neoclassica. Anche la Germania ha partecipato alle campagne archeologiche in Grecia e possiede numerosi reperti trovano una nuova collocazione nel museo di Schinkel. L’edificio si articola su due piani: al piano terra sono conservati ireperti archeologici, mentre al primo piano i dipinti. L’architetto mescola tra loro modelli diversi: il museo è dotato di un peristilio con colonne ioniche di ordine gigante. La zona centrale emerge rispetto al perimetro collonnato; è presente un grande scalone e la sala circolare principale è coronata da una cupola con oculo centrale, chiaro riferimento al Partenone. L’Altes Museum è un chiaro esempio di architettura eclettica. Il termine eclettismo, deriva dal verbo greco ekleghein, scegliere, e viene utilizzato per la prima volta in ambito filosofico per identificare quei filosofi che non si riconoscono in una specifica scuola, ma prendono diversi aspetti da ciascuna. Nell’Ottocento il termine passa in ambito architettonico, per indicare la pratica di prendere diversi modelli mescolandoli tra loro. Negli anni ’20-’30 dell’Ottocento Schinkel inizia ad aprirsi ad altre suggestioni stilistiche per i progetti degli edi- fici che hanno un carattere meno aulico. Il ricorso agli ordini non sempre è necessario, in certi casi in virtù della destinazione d’uso degli edifici è possibile per Schinkel sperimentare nuovi modelli. In particolare è possibile notare come in alcuni dei suoi progetti inizi a non fare più ricorso a un classicismo ortodosso, ma ad uno stile più moderno, meno contrassegnato dagli ordini, con alcuni riferimenti ai caratteri del Rinascimento. La ripresa di altri stili è visibile ad esempio nella Friedrichswerdersche Kirche, una cappella regia collegata al palazzo reale, nella zona centrale di Berlino. Dal momento che si tratta di un edificio religioso non è necessario aderire ai principi neoclassici. Sebbene non si possa ancora parlare di architettura neogotica, le due torri coronate da pinnacoli in corrispondenza della facciata, le finestre ad arco acuto, le monofore in serie e gli archetti pensili fanno riferimento allo stile gotico. La scelta di modelli esterni al classicismo è evidente anche nella Bauakademie, ideata per essere la sede dell’Ac- cademia. Schinkel realizza un progetto moderno, con una facciata con mattoni faccia a vista e paraste che scandiscono il prospetto, finestre tripartite e sormontate da cimasa che vengono ripresi dall’architettura rina- scimentale. In questo periodo comincia il vero e proprio eclettismo, non applicato soltanto a edifici di minore importanza ma applicato a tutti le tipologie edilizie. Gli architetti scelgono di volta in volta lo stile da adottare, a seconda della destinazione del loro progetto. In Germania nel 1828 Heinrich Hübsch scrive un opuscolo intitolato In quale stile dobbiamo costruire? Nell’Otto- cento si stanno consolidando diversi modelli, tra i quali gli arcihitetti possono scegliere e ci si inizia a interrogare quale stile sia adatto a ciascuna tipologia di edificio. C’è ancora una gerarchia tra i vari stili, lo stile Neoclassico viene considerato come quello più solenne ed è generalmente preferito per i grandi edifici pubblici. I progetti di Schinkel sono fortemente connotati dal colore e ciò testimonia l’influenza delle recenti scoperte in ambito archeologico: tra gli anni ’20 e ‘30 dell’Ottocento si arriva infatti a comprendere che gli edifici e le sculture antiche erano in realtà policrome, a differenza di quanto si è creduto fino a quel momento. Un altro architetto tedesco emblematico del passaggio verso l’eclettismo è Leo von Klenze, noto soprattutto per il progetto della Gliptoteca (considerato uno dei modelli per eccellenza di museo) e dei Propilei a Monaco. La Gliptoteca è un edificio totalmente neoclassico, pensato come un recinto quadrato che si apre su una corte, con pareti cieche intervallate da nicchie sormontate da un timpano; il museo prende luce dalla corte centrale; l’ingresso ha una forma che ricorda un pronao ottastilo ionico sormontato da trabeazione e ha un frontone con bassorilievi. Per realizzare il ciclo di decorazioni del museo vengono chiamati i più illustri della Baviera. L’architetto realizza anche un palazzo residenziale per Eugenio di Beauharnais, che, dopo aver perso la corona di re d’Italia si è rifugiato nel paese natale della moglie, dove viene insignito del titolo di Duca di. Per progettare il palazzo Leo von Klenze si rifà a Palazzo Farnese a Roma, riproponendo quindi modelli tipologici propri del Rinascimento italiano. Anche l’Alte Pinakothek è opera di von Klenze: l’edificio non è destinato a ospitare reperti dell’antichità classi- ca, per cui non è necessario attenersi strettamente ai principi del classicismo. La pinacoteca è concepita sul modello della galleria, con uno sviluppo longitudinale, e contiene le opere delle due maggiorni correnti pittoriche della storia, quella italiana e quella tedesca. Il ciclo decorativo rappresenta l’evoluzione della pittura, a partire dal Duecento e fino a Raffaello per l’Italia e a Dürer per la Germania. L’edificio riprende modelli rinascimentali, in particolare alcuni elementi richiamano Palazzo Pitti a Firenze. Nell’Ottocento si diffonde il gusto pittoresco, che è una tendenza estetica contrapposta al sublime che punta a suscitare emozioni piacevoli, come quelle provocate da un bel quadro che presenta immagini variegate. Nel Settecento questo gusto è strettamente legato alla nascita del giardino pittoresco, o giardino all’inglese. Con il Rinascimento italiano si diffonde l’idea del giardino all’italiana, che presenta viali rettilinei, aiuole geometri- che e una generale ricerca di linearità e regolarità; simile a quello all’italiana è il giardino alla francese (ad esempio quello di Versailles) con corsi d’acqua rettilinei, viali simmetrici e regolari e dominato da principi di ordine, sim- metria e geometria. Nell’Inghilterra del Settecento inizia a diffondersi un nuovo gusto che porta alla nascita del giardino paesaggistico, pittoresco o all’inglese. Il giardino è qualcosa di costruito ma va reso piacevole, deve essere variegato e men

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