Appunti di Psicologia Generale pt1 per flash card PDF
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These notes cover fundamental concepts in general psychology, focusing on cognitive processes and the scientific method. They detail basic cognitive processes such as perception, attention, memory, and learning, and outline the role of inference and theory-building in the field. The text also describes different types of theories and the experimental method in psychology.
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Martedì 01/10 Introduzione - Psicologia generale: lo studio dei processi cognitivi elementari, che sono i mattoni costitutivi del nostro vivere ed agire nel mondo; - Processi cognitivi: schemi mentali che supportano la nostra vita quotidiana; i processi...
Martedì 01/10 Introduzione - Psicologia generale: lo studio dei processi cognitivi elementari, che sono i mattoni costitutivi del nostro vivere ed agire nel mondo; - Processi cognitivi: schemi mentali che supportano la nostra vita quotidiana; i processi cognitivi elementari sono percezione, attenzione, memoria, apprendimento, linguaggio, pensiero e ragionamento, emozioni e motivazione La psicologia è una scienza perché utilizziamo il metodo scienti co e non ci basiamo solamente sulla nostra esperienza. Il lavoro del nostro cervello è spesso inconsapevole; la psicologia fa delle inferenze (= fare delle ipotesi e delle teorie sulla base dei dati sperimentali, ossia di ciò che succede) su quello che succede nel cervello, cercando di creare delle relazioni causa-e etto per comprendere i processi mentali. Limiti della psicologia ad oggi: - Non sappiamo ancora prevedere il comportamento degli individui - Qual è la correlazione tra mente e cervello? - Che interattività c’è tra i livelli (cosa il cervello percepisce e cosa il cervello fa in risposta?) Oggi “va di moda” il riduzionismo, ossia la tendenza a spiegare tutto su basi siche e neuroscienti che. - Frattale: composizione geometrica dinamica che somiglia alle variazioni di forma di alcune entità naturali (es. neve, cristalli, foglie, ecc..); possono essere presenti in natura (es. cavolo romanesco) o elaborati al computer con un algoritmo (es. quello del video sulle slide) I frattali sono allo stesso tempo imprevedibili e familiari. Se conosco la formula generatrice (algoritmo), le con gurazioni di un frattale nei vari istanti di tempo divengono in verità facilmente prevedibili (o almeno più di quanto ci sembravano all’inizio). Riusciamo a spiegare allo stesso modo il comportamento umano sulla base delle regolarità che conosciamo dello stesso? Secondo la psicologia cognitiva (o generale) sì perché siamo tutti fatti della stessa pasta: lo psicologo cognitivista assume che il funzionamento del nostro cervello possa essere descritto come insiemi di regolarità Gli obiettivi della psicologia - Descrizione: cosa succede? —> osservazione e raccolta di dati - Spiegazione: perché succede? —> costruzione delle teorie psicologiche - Previsione e controllo: succederà di nuovo? —> prevedere e modi care un comportamento indesiderato Quasi mai un’indagine psicologica cerca di raggiungere tutti e 4 questi obiettivi. La psicologia dei processi cognitivi si occupa di descrivere il comportamento ed elaborare teorie per cercare di spiegarlo, e quindi di prevederlo (per questo “psicologia generale”) Tipi di teorie - Teoria ingenua: ogni spiegazione dei fatti basata su qualcosa che non è direttamente osservabile (es. mio fratello entra arrabbiato in casa e teorizzo che gli sia andato male l’esame, ma potrebbe aver tamponato; in quale contenitore c’è più acqua?; cade più veloce un sasso o una piuma?) —> supportate da una parte di evidenza (= esperienza personale) ma non dal metodo scienti co. - Teoria scienti ca (post-Galileo): spiegazione dei fatti basata sul metodo sperimentale. fi fi fi fi fi fi ff fi Metodo sperimentale - Metodo sperimentale: mira a stabilire una relazione sistematica tra almeno due variabili (= entità misurabili che variano): quando una delle due varia cosa succede all’altra? Ci sono due tipi di variabili: - Variabile indipendente: viene controllata o manipolata dallo sperimentatore - Variabile dipendente: quella su cui gli e etti della manipolazione della variabile indipendente possono ri ettersi; per lo psicologo la variabile dipendente è il comportamento umano e l’attività neurale. Esperimento - Esperimento: procedura con cui lo psicologo manipola la variabile indipendente per studiare gli e etti del cambiamento di questa sul comportamento umano (= variabile dipendente) Esempio: Ipotesi: Il rumore in uenza l’apprendimento Svolgimento: un partecipante viene fatto accomodare in una stanza e ha 30 minuti per studiare 5 pagine di un testo e poi fa un quiz; metà dei partecipanti sono in una stanza silenziosa, metà in una stanza rumorosa. Bisogna controllare i fattori esterni: dato che non posso controllare tutto, scelgo a caso a che condizione (silenzio o rumore) attribuire ad un partecipante. In ogni esperimento bisogna rispettare le seguenti condizioni: - Gruppi equivalenti di partecipanti (= stesso numero) - Trattare i partecipanti allo stesso modo in ogni aspetto —> stesso materiale, stessa procedura, stesso sperimentatore, … - Isolare (operazionalizzare) la variabile indipendente —> operazionalizzare = descrivere e chiarire bene la variabile indipendente (es. suoni della strada riprodotti a 60 decibel per 30 minuti oppure registrazione priva di suono superiore a 2 decibel per 30 minuti) - Misurare la risposta (operazionalizzare la variabile dipendente) e valutare se rispondono in modo diverso —> operazionalizzare = descrivere e chiarire bene la variabile indipendente (es. numero di domande, argomento, di coltà, …) ff fl fl ffi ff Mercoledì 02/10 Tipi di variabili indipendenti 1. Variabili oggettive (= manipolabili dallo sperimentatore al 100%), ad esempio: - Tipo di apprendimento - Frequenza della parola - Di coltà del percorso 2. Variabili soggettive (= non manipolabili dallo sperimentatore al 100% perché appartengono ai partecipanti e non posso assegnare casualmente i partecipanti) - Età - Tipologia di occupazione La variabile dello stimolo o soggettiva (indipendente) ha un e etto su una variabile comportamentale o psico siologica (dipendente) La di erenza tra condizioni Come si fa ad essere certi che la di erenza che si osserva tra i due gruppi sia “reale”? Immaginiamo di aver raccolto i dati su 100 partecipanti assegnati casualmente alle condizioni rumore o silenzio. Valutiamo quante domande corrette su 20 ha compilato ciascun partecipante. Gruppo 1 silenzio vs. gruppo 2 rumore Punteggi variabili punteggi variabili Faccio la media? No perchè la di erenza tra le medie da sola non signi ca nulla, infatti: - Non tiene conto della variabilità dei punteggi: due gruppi possono avere la stessa media, ma uno potrebbe avere punteggi molto più variabili rispetto all'altro - Non tiene conto degli outliers: la presenza di valori anomali (outliers) può distorcere la media —> un singolo punteggio estremamente alto o basso può spostare signi cativamente la media, non ri ettendo accuratamente il comportamento del gruppo. In sintesi, dipende tutto dalla variabilità interna. Bisogna tener conto del fatto che la variazione nei punteggi può discendere da due fonti: 1. Variazione tra i gruppi, indotta dalla variabile indipendente (conferma ipotesi) 2. Variazione entro ciascun gruppo, dovuta alle di erenze individuali (casuali) Quindi - Gra ci della distribuzione di frequenza (quante persone hanno risposto correttamente alla domanda 1, quante correttamente alla 2, ecc..); quasi sempre avrò tanti punteggi medi, e pochi estremamente bassi o estremamente alti - Sovrapposizione dei gra ci della distribuzione di frequenza Per vedere se è una di erenza signi cativa, devo guardare il rapporto critico di erenze tra le condizioni sperimentali (= variabilità sistematica, es. di erenza media punteggi con rumore e media punteggi con silenzio) Rcritico = ————————————————————————————————————————————— variazione casuale tra i punteggi (= variabilità casuale) Quanto più è alto il rapporto critico, tanto più è probabile che quella di erenza che io osservo sia signi cativa. Il rapporto critico è una misura della variabilità all’interno e all’esterno delle condizioni sperimentali. ffi fi fi ff ff ff fi ff fi fi fl ff fi ff fi ff ff ff Gra camente, quasi sempre: - Più le due curve sono distanti, più il rapporto critico è maggiore (perchè ci sono grandi di erenze tra le condizioni sperimentali) - Più le curve sono vicine, più il rapporto critico è minore (perchè ci sono minime di erenze tra le condizioni sperimentali) Devo comunque tener sempre conto della variazione casuale dei punteggi Studi sperimentali e studi correlazionali Gli esperimenti possono essere: 1. Studi sperimentali —> lo sperimentatore manipola le variabili e stabilisce le condizioni sperimentali; se il rapporto critico è grande posso stabilire rapporto di causa-e etto tra le variabili 2. Studi correlazionali —> lo sperimentatore non manipola le variabili, ma le misura e veri ca se sono tra di loro in relazione, senza poter determinare se una causa l’altra o viceversa (es. autostima e successo negli studi universitari possono essere correlate ma non posso fare esperimenti perché non posso manipolare né quanta autostima né quanto successo ha una persona) La correlazione tra due variabili può essere: - Positiva: quando al crescere del valore di una variabile cresce anche il valore delle altre —> direttamente proporzionali - Negativa: quando al crescere del valore di una variabile, l’altra decresce —> inversamente proporzionali - Indipendente: ossia inesistente —> le variabili non sono correlate Il coe ciente di correlazione indica la forza della correlazione e si esprime con il valore r di Pearson che varia da: - 1= correlazione perfetta (in psicologia non esiste—> es. depressione e età: io non posso dire quanti anni hai sapendo quanto sei depresso o viceversa) - 0= assenza di correlazione Il verso della correlazione è invece indicato dal segno + o - Gra camente - Più i puntini sono sparsi, meno è forte la correlazione - Più i puntini sono vicini e tendono a formare una retta, più è forte la correlazione Vantaggi e svantaggi degli studi correlazionali Vantaggi: - Sono molto ecologici: non modi cano l’ambiente per misurare il comportamento, ma lo osservano nell’ambiente naturale - Sono indispensabili quando le variabili non si possono manipolare (ad esempio per motivi etici o pratici —> non posso bulicare gente a fumare per studiare l’e etto del fumo sulla durata della vita) Svantaggi: - Sono limitati: non danno indicazione sull’esistenza di una relazione causale tra le variabili —> sappiamo che variano insieme, ma non come e perché, magari anche per la presenza di altri fattori (es. non possiamo concludere che il fumo causa la morte delle persone [relazione causa-e etto] perché ci sono altri fattori che non possiamo controllare [= non possiamo controllare vita delle persone, tipo alimentazione o attività sica]) - Sono casuali (o spurie): quando abbiamo molti dati a disposizione è possibile che si trovino correlazioni molto forti ma del tutto casuali —> non sono correlate tra loro anche se lo sembrano (es. numero di suicidi per impiccagione, strangolamento e so ocazione correlati con i soldi che gli USA spendono in scienza, spazio e tecnologia —> variano insieme ma non si in uenzano a atto) ff fi fi fi ffi fl ff ff fi ff fi ff ff ff Giovedì 03/10 Il pensiero critico della vita quotidiana Nella vita quotidiana siamo sottoposti a tante informazioni, quindi è molto importante valutare in maniera critica quello che osserviamo o che ci viene detto. Spesso il nostro cervello utilizza infatti delle scorciatoie: - sempli cazioni - generalizzazioni La ricerca non è un processo lineare, ma un processo circolare composto di più fasi che si ripetono: 1. Formulazione di una teoria 2. Formulazione di un’ipotesi 3. Operazionalizzazione (= traduzione in variabili misurabili e osservabili per facilitarne lo studio e la veri ca empirica) delle ipotesi in un esperimento I risultati che derivano dall’esperimento confermano o smentiscono la teoria iniziale —> in ogni caso si torna al punto 1; in caso di smentita, dal punto 1 si ripassa al 2, poi al 3, e così via. N.B. Non bisogna per forza partire dalla teoria: se si nota una correlazione tra due variabili, si può iniziare dal risultato della correlazione e formulare l’ipotesi che deve essere confermata o smentita tramite degli esperimenti; ogni esperimento successivo, se riuscito, dovrebbe contribuire a ra nare e a ermare la teoria di volta in volta. Con quali metodi si studiano il comportamento e i processi cognitivi? 1. Psico sica: “scienza che cerca di mettere in relazione la misura sica con la sensazione che ogni stimolo produce in noi, e quindi di quanti care (= determinare la grandezza) della sensazione (= ricezione di uno stimolo esterno tramite un organo di senso) percepita (es. quanta luce ci deve essere perché una persona la veda? Quant’è la di erenza minima tra un peso e un altro peso per accorgermi della di erenza?)” 2. Cronometria mentale: “disciplina che si propone di indagare i processi cognitivi attraverso la misurazione della durata di esecuzione delle operazioni mentali (tempi di reazione TR)”; fu un metodo molto importante no a quando si è raggiunta la competenza tecnica che ci ha promesso di aggiungere a questa le nuove tecniche di neuroimmagine. Ecco degli esempi di applicazione del metodo: Esperimento di Donders - Compito A: decidere con quale mano premere un pulsante in riferimento al piede che aveva ricevuto la scossa (discriminazione dello stimolo + selezione della risposta) - Compito B: capire quale piede ha ricevuto la scossa (discriminazione dello stimolo) Donders ( siologo di inizio ‘900) riteneva erroneamente di poter misurare la durata di un’operazione mentale (= velocità con cui l’impulso elettrico dell’informazione corre lungo il nervo sensoriale e motorio) sottraendo il TR di un compito che comprendeva quell’operazione dal TR di un secondo compito che non la comprendeva; tuttavia questo non è accurato poichè si basa sull’errato presupposto che togliere o aggiungere un’operazione mentale a un compito non abbia alcuna conseguenza sullo svolgimento delle altre operazioni mentali che vengono messe in atto per risolverlo. Per cosa è utile oggi questo metodo? Con questo metodo è possibile confrontare più condizioni sperimentali che di eriscono solo per un elemento: confrontando il tempo di reazione tra questi posso fare delle inferenze rispetto a cosa cambia tra le due condizioni. Esperimento di Stroop I partecipanti vedono dei nomi di colori scritti con un inchiostro colorato e devono denominare il colore dell’inchiostro, ignorando la parola scritta. Il signi cato della parola può essere rispetto al colore dell’inchiostro: - congruente (es. ROSSO) - incongruente (es. VERDE) - neutro (es. XXXX) ff fi fi fi fi fi ffi ff fi fi fi ff ff Lo scopo dell’esperimento è di stabilire se il TR (= latenza nel denominare il colore dell’inchiostro) varia in funzione del tipo di condizione sperimentale (congruente, incongruente, neutra). Risultati - Condizione incongruente: TR + errori > - Condizione congruente: TR + errori < - Condizione neutra: Ci Cc Ne consegue che: Non siamo in grado di ignorare il signi cato di una parola scritta, nemmeno sforzandoci —> accedere al signi cato delle parole scritte a un processo del tutto automatico Questo esperimento dimostra quindi l’importanza e il potenziale d’applicazione della cronometria mentale Esperimento di Sternberg I partecipanti sentono una serie di numeri seguita, dopo una breve pausa, da un altro numero denominato “sonda”. Il compito dei partecipanti è decidere se il numero sonda era stato udito nella serie precedente premendo uno dei due tasti di risposta contrassegnati “Sì” e “No”. In metà delle prove il numero sonda era diverso da quelli presenti nella serie; inoltre la grandezza della serie variava a ogni prova. - Variabile indipendente dell’esperimento = quantità di numeri presentati e presenza/ assenza della sonda - Variabile dipendente dell’esperimento = TR, ossia tempo trascorso tra la presentazione del numero sonda e la pressione del tasto di risposta Risultati: - TR aumentano all’aumentare del numero di elementi della serie - TR risposte positive = TR risposte negative Conclusioni - La ricerca nella memoria è seriale (infatti il TR aumenta in modo proporzionale, però gli elemento aggiuntivo della serie) - I confronti vengono svolti in modo esaustivo (infatti i TR per le risposte negative non sono più brevi) fi fi Lunedì 07/10 La neuropsicologia Cenni storici e introduttivi - Neuropsicologia: “disciplina che studia le basi neurali delle funzioni mentali” Il metodo neuropsicologico classico nasce nella seconda metà del XIX secolo con lo studio della relazione tra disturbi del linguaggio e lesioni di aree speci che del cervello (Broca e Wernicke) —> il neurochirurgo ha bisogno di sapere che funzioni principali svolge la parte danneggiata/asportata Negli anni ‘70 nasce la neuropsicologia cognitiva. - Neuropsicologia cognitiva: “disciplina che studia il comportamento dei pazienti con disturbi psicologici in seguito a lesioni cerebrali allo scopo di capire meglio il funzionamento dei processi mentali normali” Lo studio della neuropsicologia cognitiva si basa sullo studio dei singoli pazienti: è di cile avere pazienti con la stessa lesione perché le lesioni cerebrali studiate sono sempre in zone diverse. Quali sono le lesioni cerebrali indagate? - Emorragie spontanee = a usso eccessivo di sangue - Ictus = mancanza di sangue Il principale strumento di indagine della neuropsicologia cognitiva è la dissociazione. - Dissociazione: “danno selettivo a una particolare componente del sistema cognitivo” L’esistenza di una dissociazione è interpretata come dimostrazione dell’esistenza di un modulo (= sistema speci co che risponde solo a stimoli di una particolare classe). Esempi di patologie dissociative - Agnosia: non è capace di elaborare e ricostruire l’oggetto nella sua testa a partire dalla visione, ma se lo tocca (tramite il tatto quindi) sì - Proposoagnosia: riconoscono gli oggetti ma non i volti (L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, Sacks) - Eminegligenza spaziale unilaterale: nessun problema di vista ma non sanno prestare attenzione a quello che succede a metà del campo visivo (= mangiano metà piatto perché non vedono l’altra) —> impossibilità di rivolgere attenzione a metà del campo visivo, quindi inconsapevoli di metà dello spazio - Afasia: problemi (espressivi o di comprensione) con il linguaggio —> disagio perchè no possibilità di comunicare, che è fondamentale per il benessere psicologico dell’uomo - Dislessia (acquisita dopo una lesione cerebrale, non innata): non so più leggere Tipi di dissociazione - Dissociazione semplice: si veri ca quando un paziente ha un de cit nel compito A (linguistico) ma ha una prestazione normale nel compito B (visivo-spaziale); ci suggerisce, mostra, che le due funzioni sono in qualche modo indipendenti, ma non necessariamente implica che siano del tutto separate (es. di coltà a leggere, ma non a parlare o scrivere —> non posso concludere che la lettura è separata dalle altre funzioni) Per essere certi che esista un’indipendenza funzionale delle aree e reti del cervello siano indipendenti l’una dall’altra parliamo di: - Dissociazione doppia: si veri ca quando un paziente A ha un de cit nel compito A (linguistico) ma una prestazione normale nel compito B (visivo-spaziale) e un paziente B ha un de cit nel compito B (visivo-spaziale) ma una prestazione normale nel compito A (linguistico); dimostra che i due compiti siano svolti da reti e aree separati del nostro cervello. Tuttavia bisogna tener conto del fatto che le parti del cervello sono estremamente collegate e interattive: esiste davvero indipendenza funzionale? Ultimamente si è abbandonata l’idea. fi fi ffl fi fi ffi fi fi fi ffi Tecniche della neuroimmagine (—> per visualizzare funzione e struttura del cervello): - Neuroimmagine funzionale: “tecnica che studia in vivo le funzioni neurali nel cervello umano”; si basa su tecniche di scansione computerizzata e visualizzazione dell’attività cerebrale 1. PET (positron emission tomography): si basa sul fatto che il usso sanguigno aumenta in quelle aree del cervello che sono attivate durante l’esecuzione di un compito cognitivo; per misurare il usso sanguigno si inietta un tracciante e si vede dove si distribuisce attraverso un campo elettromagnetico: le aree cerebrali con più tracce sono quelle maggiormente coinvolte. È impreciso perchè il cervello, mentre svolge l’attività cognitiva che gli richiediamo, segue e regola anche altre attività. Come si può risolvere il problema? Tecnica sottrattiva: PET a riposo; PET con compito; sottrazione delle due e vedo quale area in più era attiva Il primo studio PET: Peterson e coll (1988) Includeva 5 diverse condizioni: T0 = riposo T1 = lettura di parole T2 = ascolto di parole T3 = ripetizione di parole ascoltate T4 = generazione di un verbo correlato alla parola ascoltata (mela: mangiare) Aree di attivazione neurale (individuate mediante sottrazione) T1-T0 = aree visive coinvolte nella lettura di parole T2-T0 = aree uditive coinvolte nell’analisi e comprensione T3-T2 = aree coinvolte nella memoria (a breve termine) e articolazione delle parole T4-T3 = aree coinvolte nell’analisi semantica e generazione di parole È un metodo estremamente grezzo: bisogna migliorare le condizioni di controllo. 2. fMRI (risonanza magnetica funzionale): il usso sanguigno è misurato senza il tracciante radioattivo; si basa sul fatto che l’emoglobina nelle parti molto attivate cede una parte di ossigeno, diventando più magnetica (= risponde con più forza al campo magnetico del macchinario). Si lavora sempre con la tecnica sottrattiva. È stato possibile individuare la fusiforme face area (= speci ca per il riconoscimento dei volti) e la visual word form area (= speci ca per il riconoscimento delle parole e delle lettere scritte) Il vantaggio principale è che, non servendo il tracciante, è una tecnica meno impattante e meno invasiva, capace quindi di attirare più volontari. 3. FNIRS (spettroscopia del vicino infrarosso): utilizza la luce vicina agli infrarossi per misurare cambiamenti corticali nella concentrazione dell’emoglobina ossigenata e deossigenata. La luce vicina agli infrarossi può penetrare nella pelle e nel cranio e viene assorbita in modo diverso dall’emoglobina ossigenata rispetto a quella deossigenata. Vantaggi (= si usa molto con i neonati e bambini piccoli): - Molto silenziosa - Non richiede che il partecipante resti fermo e sdraiato in uno spazio ristretto Svantaggi: - può misurare l’attività solo di un paio di centimetri della super cie corticale di profondità È una tecnica più ecologica rispetto alla fMRI. fl fi fl fl fi fi 4. ERP (event related potential): ci permette di vedere quanto ci impiega il cervello a rispondere agli stimoli (e quindi se il cervello rileva degli stimoli) —> temporalmente molto accurata Nn (es. N1)= componente negativa Pn (es. P1) = componente positiva Vantaggi: - Si può misurare continuativamente ciò che accade nel cervello dopo la presentazione di uno stimolo - La risposta è molto veloce Svantaggi: - Non consente di localizzare con precisione l’origine dell’attività elettrica Tecniche di neurostimolazione (per modi care l’attività cerebrale): - Tecniche di neurostimolazione: consistono nella stimolazione di aree precise del cervello con delle leggere correnti elettriche. Se l’area stimolata è un “nodo” di una rete, la stimolazione è in grado di modulare (= facilitare o inibire) l’e cacia della rete, determinando modi cazioni nelle risposte comportamentali e dei processi cognitivi ad essa (rete) correlati. A di erenza delle tecniche di neuroimmagine che permettono solo di stabilire una correlazione tra l'attività cerebrale e quella cognitiva: Permettono di stabilire una relazione di causalità tra aree del cervello e compiti cognitivi. - TMS (stimolazione magnetica transcranica): inibisce temporaneamente un’area del cervello sovrastimolandola con un campo magnetico transiente (= temporaneo) - che si origina da una bobina di rame posta sopra la testa del paziente - sullo scalpo mentre sta lavorando, permettendoci così di localizzare le parti del cervello fondamentali per portare a termine il compito che stiamo svolgendo Modelli di simulazione - Modelli simulativi: “modelli delle funzioni della mente umana espliciti dal punto di vista computazionale (= possono essere tradotti in un programma per computer che riproduca fedelmente il comportamento umano)”; questi modelli si utilizzando per: Interpretare i dati: comprendere i risultati ottenuti dalle tecniche di neuroimmagine Fare previsioni: simulare come il cervello potrebbe rispondere a determinati stimoli o condizioni Testare ipotesi: sperimentare con variabili e parametri che potrebbero non essere facilmente manipolabili in studi empirici —> se simulazione sa predire sulla base dei miei input e del mio algoritmo il comportamento, ho conferma di aver azzeccato teoria. I modelli simulativi sono un laboratorio sperimentale virtuale nel quale osservare i fenomeni (simulati) e manipolare le variabili per osservarne gli e etti P.S. Un’importante classe di modelli simulativi è costituita dalle reti neurali arti ciali, ossia da sistemi di elaborazione dell’informazione ispirati al funzionamento del cervello (es. ChatGPT). Ma questi modelli rispecchiano davvero il processo cognitivo umano? I bambini ad esempio per imparare il linguaggio hanno bisogno di molte meno parole rispetto a ChatGPT, che senza conoscere a miliardi non sarebbe in grado di formulare frasi. ff ffi fi ff fi fi Psico sica - Psico sica: “disciplina che studia le relazioni tra stimoli sici (es. luce, suono, pressione) e le percezioni sensoriali e le risposte psicologiche ad essi; mira a quanti care come le variazioni negli stimoli in uenzano le esperienze sensoriali e cognitive” Rappresenta il primo tentativo di misurare scienti camente la relazione spirito-corpo e di esprimerla matematicamente. La psico sica cerca di creare un ponte tra mondo sico e mondo fenomenico (= dentro la mia testa rappresento quello che succede nel mondo sico) Mondo sico : stimolo = mondo fenomenico : sensazione Quale la relazione tra mondo sico e mondo fenomenico? Parallelismo psico sico: “Mondo sico (= eventi sici) e fenomenico (= processi mentali) sono separati tra di loro e hanno leggi diverse, ma al variare di uno varia anche l’altro (= paralleli)” —> non c’è relazione causale tra essi, ma a ciascun cambiamento dei primi corrisponde un cambiamento puntuale dei secondi Sistemi sensoriali I sistemi sensoriali sono caratterizzati da due proprietà comuni: - Soglia assoluta: “minima intensità discriminabile dalla condizione in cui lo stimolo è assente” (es. quanto forte deve essere un odore per essere percebile?) - Soglia di erenziale (JND, just notable di erence): “minima quantità di cambiamento nell’intensità di uno stimolo necessaria a che lo stimolo sia percepito come diverso da uno stimolo di riferimento”; in altre parole, “minima di erenza d’intensità necessaria a nché si possano percepire due stimoli come diversi” (es. di quante tacche deve aumentare il volume della radio perché io mi accorga che è aumentato?) Come si misura la soglia assoluta? All’osservatore sono presentate una serie di stimoli di intensità diversa per più volte; l’osservatore per ciascuno dovrà dire se li percepisce oppure no. La soglia assoluta corrisponde a quel valore dello stimolo che viene percepito per metà delle volte (es. ci sono luci che a volte vengono viste e a volte no) - Curva psico sica: “range di intensità in cui gli stimoli possono essere percepiti; mostra che a intensità più basse gli stimoli vengono percepiti alcune volte e altre volte no, mentre all'aumentare dell'intensità c'è un incremento nella probabilità di percezione" —> tiene conto della variazione nella percezione in relazione all'intensità dello stimolo ffi fi fi fi fi ff fi fi fl fi fi ff fi fi fi fi ff fi fi Come si misura la soglia di erenziale? Esistono più metodi per misurarla; il più di uso è quello degli stimoli costanti. - Metodo degli stimoli costanti: l’osservatore confronta in una serie di prove uno stimolo standard con degli stimoli di confronto di intensità progressivamente maggiore; la soglia di erenziale rappresenta l’incremento dello stimolo di confronto necessario a elevare la percentuale di risposte «confronto > standard» dal livello del caso a un valore convenzionalmente indicativo di una discriminazione attendibile. - PES (punto di eguaglianza soggettiva): “punto di equiprobabilità delle risposte confronto>standard e confronto è come se rispondessi a caso - JND: “incremento di intensità dello stimolo di confronto necessario a elevare confronto>standard da 0,50 a 0,75 (es. di erenza di peso tra quando rispondo a caso e quando rispondo nel 75% dei casi rilevo una di erenza)” ff ff ff ff ff Martedì 08/10 - Legge di Weber Weber si accorse che la JND non è indipendente dall’intensità assoluta dello stimolo: per un peso di 100g bastano 2g per distinguere se è più pesante o meno; ma se il peso di riferimento è di 10kg, una di erenza di 2g non è percepibile. Esiste una diretta proporzionalità tra l’intensità dello stimo e la quantità d’incremento dello stesso necessaria per accorgersi di una di erenza: più l’intensità dello stimolo originale è alta, maggiore deve essere l’incremento per notare una di erenza La legge di Weber si esprime nella formula: ΔI/I = k Dove: - ΔI = incremento minimo d’intensità necessario per notare un cambiamento - I = intensità dello stimolo originale - k = costante caratteristica della modalità sensoriale (-> ce n’è una per i suoni, una per il peso, una per il tatto, …); un valore di k piccolo indica un’elevata sensibilità, mentre un valore di k grande una sensibilità scarsa Ne consegue che la JND non è costante, ma proporzionale all’intensità di riferimento N.B. Grazie alla legge di Weber è stato possibile stabilire le minime di erenze percebili (JND) per i vari tipi di stimoli sensoriali: Intensità della luce 8% Intensità del suono 5% Frequenza del suono 1% Concentrazione di un odore 15% Concentrazione di sale 20% Pesi sollevati 2% Scarica elettrica 1% Ma quali i limiti della legge di Weber? - È valida solo per intervalli speci ci di intensità: al di fuori di questi intervalli può non ri ettere correttamente la percezione, ossia non sempre descrive accuratamente la relazione tra stimolo e sensazione a intensità molto basse o molto alte - Non è applicabile a tutti i sensi: è stata originariamente formulata per alcuni sensi (come la vista e l'udito), ma non si applica altrettanto bene a tutti i sensi (es. percezione del dolore o delle sensazioni tattili) - Non tiene conto della soggettività: si basa su misurazioni oggettive degli stimoli e delle risposte, ma la percezione è intrinsecamente soggettiva (= la stessa intensità dello stimolo può essere percepita in modo diverso da persone diverse o anche dalla stessa persona in momenti diversi, a seconda dell’umore, delle esperienze pregresse o dell’attenzione) - Relazione non lineare: implica una relazione lineare tra la variazione dell'intensità dello stimolo e la percezione, ma in realtà la percezione umana è spesso non lineare e può seguire curve più complesse. - Non considera l'adattamento sensoriale: non tiene conto dell'adattamento (= fenomeno per cui la sensibilità a uno stimolo diminuisce dopo esposizioni prolungate) fl ff fi ff ff ff - Legge di Fechner Fechner si chiese se, dati tre stimoli sici di di erente intensità (es. 1, 2 e 3), quando percepiamo la di erenza tra lo stimolo di intensità 1 e quello di intensità 2, questa è uguale alla di erenza che percepiamo tra lo stimolo di intensità 2 e quello di intensità 3. Per rispondere mise in relazione la legge di Weber con la sensazione, arrivando alla conclusione che: Tutte le JND sono soggettivamente uguali Ne consegue che: - Il numero di JND sopra la soglia assoluta (= minima intensità discriminabile dalla condizione in cui lo stimolo è assente) può essere usato come misura della grandezza della sensazione evocata da uno stimolo - Con stimoli di piccola intensità basta che ci sia una minima di erenza a nché io la noti, mentre con stimoli di grandi intensità ci vuole più di erenza per percepirla Esempi - Amico che trasporta i libri: se un amico mi chiede di aiutarlo a trasportare dei libri e, uno alla volta, me li impila, mentre sentirò una gran di erenza di peso quando aggiunge il secondo libro, quando aggiungerà l’ultimo starò già sorreggendo talmente tanto peso che la sensazione di aumento di peso sarà molto inferiore - Ca è: se confronto la dolcezza di un ca è amaro con quella di un ca è con una bustina di zucchero noto una grande di erenza; se invece confronto la dolcezza di un ca è con 8 bustine di zucchero con quella di un ca è con 9 bustine di zucchero non noterò praticamente alcuna di erenza Quindi… Legge di Fechner La sensazione è proporzionale al logaritmo dell’intensità dello stimolo Che equivale a dire che: Il numero di JND è proporzionale al logaritmo della grandezza dello stimolo La legge di Fechner si esprime nella formula: S = c log(I) Dove S = grandezza della sensazione (= numero di JND) I = intensità dello stimolo c = costante (= inverso k di Weber) In realtà, poiché la legge di Weber è di per sé limitata ma costituisce la base per la legge di Fechner, in psico sica si considera un'unica legge (quella di Fechner) che collega l'intensità (Weber) alla sensazione (Fechner). In altre parole, Fechner ha tradotto la legge di Weber (= incremento dello stimolo necessario per percepire la di erenza e intensità stanno in proporzione) e la usa per descrivere la sensazione —> nella legge di Fechner c’è la legge di Weber ff ff ff fi ff ff ff fi ff ff ff ff ff ff ff ffi ff Ma quali sono i limiti della legge di Fechner? - Relazione logaritmica non universale: non si applica a tutti i tipi di stimoli e a tutti i sensi —> funziona bene per alcune modalità sensoriali (es. vista e udito), ma può risultare inadeguata per altre (es. tatto o percezione del dolore), dove le risposte percettive possono seguire leggi diverse - Non tiene conto della soggettività della percezione: si basa su misurazioni oggettive degli stimoli, ma la percezione è intrinsecamente soggettiva (= la stessa intensità dello stimolo può essere percepita in modo diverso da persone diverse o anche dalla stessa persona in momenti diversi, a seconda dell’umore, delle esperienze pregresse o dell’attenzione) - Variabilità individuale: ogni individuo può avere una sensibilità diversa agli stimoli, il che signi ca che la costante c nella formula può variare notevolmente da persona a persona —> è di cile applicare la legge in modo universale - Non considera l'adattamento sensoriale: non tiene conto dell'adattamento (= fenomeno per cui la sensibilità a uno stimolo diminuisce dopo esposizioni prolungate) - Limiti della soglia di percezione: non fornisce una spiegazione su come venga stabilita la soglia e non considera che un incremento di intensità, se inferiore a questa soglia, non genererà alcuna sensazione, rendendo quindi inapplicabile la relazione logaritmica proposta - Non linearità in certe condizioni: descriva una relazione logaritmica, ma ci sono situazioni in cui la percezione può seguire una relazione non lineare più complessa che non è rappresentata adeguatamente dalla formula - Legge di Stevens Weber e Fechner si concentrano sulla misurazione delle di erenze appena percettibili (JND) per inferire le sensazioni attraverso confronti tra stimoli. Al contrario, Stevens propone un approccio diverso, mirato a misurare direttamente la relazione tra stimoli e sensazioni (≠ psico sica classica di Weber e Fechner) utilizzando giudizi quantitativi espressi dagli osservatori, i quali stimano direttamente la loro sensazione associando un numero a ciascuno stimolo per rappresentarne l'intensità (es. quanto è forte questa luce da 1 a 100?) Con questo nuovo approccio, Stevens conclude che: L'intensità della sensazione è proporzionale all'intensità sica elevata a esponenti caratteristici per ciascuna modalità sensoriale Questa relazione può essere espressa come segue: S = min Dove: S = intensità della sensazione m = costante di proporzionalità (dipende dall’unità di misura) I = intensità dello stimolo n = esponente che varia a seconda della modalità sensoriale fi ffi fi fi ff N.B. Se n incremento improvviso e repentino (es. dolore: oltre un certo livello di intensità, il dolore passa da assente a insopportabile) Se n=1 —> la misurazione dello stimolo è molto precisa (es. lunghezza apparente) La legge di Stevens amplia ciò che posso misurare: la legge di Weber/Fechner funziona bene per gli stimoli a bassa intensità, mentre la legge di Stevens è più adatta per stimoli che variano ampiamente in intensità (es. dolore) Quali i limiti della legge di Stevens? - Non tiene conto della soggettività della percezione: si basa su misurazioni oggettive degli stimoli, ma la percezione è intrinsecamente soggettiva (= la stessa intensità dello stimolo può essere percepita in modo diverso da persone diverse o anche dalla stessa persona in momenti diversi, a seconda dell’umore, delle esperienze pregresse o dell’attenzione) - Condizioni estreme: in situazioni di stimoli estremi (molto molto bassi o molto molto alti), la legge di Stevens potrebbe non funzionare in modo ottimale —> in condizioni di sovraccarico sensoriale, la percezione può essere alterata e non seguire le relazioni previste dalla legge) - Di coltà di misurazione: anche se amplia le possibilità di misurazione rispetto alla legge di Weber-Fechner, la determinazione precisa delle costanti e degli esponenti è spesso complicata e può richiedere metodi sperimentali complessi. - Assunzioni di linearità: presuppone che la relazione tra intensità dello stimolo e sensazione sia esponenziale, ma in alcune situazioni la percezione può comportarsi in modi che non seguono questa regolarità - Stimoli complessi: quando si tratta di stimoli complessi o multidimensionali (es. musica) potrebbe non fornire una descrizione adeguata della percezione, poiché le interazioni tra le varie dimensioni possono in uenzare la sensazione in modi non prevedibili. ————————————————————————————————————————— PERCEZIONE La scienza psicologica mostra che l’esperienza che abbiamo della realtà è costruita momento per momento nel cervello di ognuno e che cervelli diversi possono esperire il mondo in modi diversi (= possiamo vivere esperienze di erenti di fronte allo stesso stimolo) Esempio Prendiamo ad esempio la lettura di un articolo di giornale o la visione di un lm: ognuno di noi avrà sensazioni, percezioni e ricordi diversi, oltre a pensieri distinti. È invece più di cile accettare che, mentre io vedo il verde, il mio amico possa percepire ciò che per me è rosso. Esistono esperienze condivise da quasi tutti e altre più soggettive. La ragione di ciò risiede nel fatto che, dal punto di vista siologico, siamo tutti simili e il nostro sistema è organizzato in modo analogo (da qui il funzionamento della medicina, possibile per via di questa sostanziale uniformità dell'anatomia). I limiti anatomici e siologici del sistema nervoso spiegano perché percepiamo cose simili; tuttavia, quanto più l'informazione è complessa, tanto più aumentano le possibilità di interpretazioni soggettive ffi ffi fi fl ff fi fi Quindi… Percepire il mondo = costruire il mondo (attraverso le nostre elaborazioni mentali) L’espressione costruire il mondo potrebbe sembrare una licenza poetica, ma rappresenta esattamente ciò che accade. Certo ci pare strano! Ma questo solo perché questo processo è automatico (= dall’inizio dei tempi, noi umani abbiamo bisogno di elaborare velocemente le informazioni e li stimoli per analizzare la realtà circostante in cerca di pericoli da evitare) e il nostro cervello estremamente e ciente nel portarlo a termine —> non percepiamo la fatica del costruire. Paragone esplicativo Noi non abbiamo la sensazione di trovarci su una palla sospesa nel vuoto che ruota attorno all’equatore alla velocità di 1700km/h, eppure è così —> è controintuitivo, ma non signi ca che sia falso. Per convincerci di questo considereremo come esempli cativa la percezione visiva e a tal proposito partiremo: - dalle proprietà siche dello stimolo alla base della visione (la luce) - dalle proprietà anatomiche e siologiche del sistema sensoriale che cattura la luce e ci permette di vedere Cos’è la luce? La luce è una forma di energia elettromagnetica (simile a raggi nucleari, onde radio, raggi infrarossi …); quello che cambia è la lunghezza d’onda: - lunghezza d’onda ampia (km e metri) = onde radio - Lunghezza d’onda media (1 centimetro e 1 millimetro) = microonde e infrarossi - Lunghezza d’onda molto piccola (0.1-100 nanometri) = radiogra a, nucleare Tra le onde con lunghezza medie e molto bassa ci sono delle onde (da 400nano metri a 700 nanometri) che producono la luce (a seconda della lunghezza d’onda vedo colori diversi). Perchè siamo sensibili ad uno spettro così ridotto? Perché i primi occhi si sono sviluppati ed evoluti in animali che vivevano in acque melmose (= veniamo da an bi), e le radiazioni comprese fra i 400 e i 700 nanometri sono le uniche in grado di penetrare nell’acqua. Come si propaga la luce? La luce interagisce con il mondo in quattro modi fondamentali: 1. Di usione: quando la luce colpisce particelle (es. di polvere, fumo o vapore), viene dispersa in tutte le direzioni; la quantità di luce di usa per ciascuna lunghezza d'onda dipende dalla dimensione della particella (es. le particelle atmosferiche di ondono maggiormente le lunghezze d'onda più corte, come il blu —> vediamo il cielo blu; al contrario, particelle più grandi, come le gocce d'acqua nelle nuvole, di ondono tutte le lunghezze d'onda in modo più uniforme, risultando in una luce bianca) 2. Rifrazione: quando la luce passa attraverso una super cie, i raggi luminosi cambiano direzione a causa della di erenza di densità tra i mezzi (es. cannuccia in un bicchiere appare distorta). In certe condizioni, la rifrazione può causare un miraggio: l'aria vicina alla sabbia o all'asfalto rovente è più calda e meno densa rispetto agli strati superiori; questo provoca una curvatura dei raggi luminosi - che il nostro sistema visivo interpreta comunque come se viaggiassero in linea retta - che creano l’illusione di un oggetto —> possiamo vedere un'illusione di una pozzanghera d'acqua, anche se in realtà non c'è nulla lì 3. Assorbimento: quando un raggio di luce colpisce un oggetto, parte di quella luce viene assorbita dall'oggetto (es. man mano che ci immergiamo in acqua, la quantità di luce che raggiunge gli oggetti diminuisce, rendendoli meno visibili); se un oggetto assorbisse tutta la luce che lo colpisce e non ne ri ettesse alcuna, non sarebbe visibile all'occhio umano, poiché non emetterebbe luce ri essa. ff fi ffi fi ff fi fl fl ff fi fi fi ff ff fi 4. Ri essione: quando la luce colpisce un oggetto, essa viene parzialmente ri essa; è questa luce ri essa che, raggiungendo i nostri occhi, ci permette di vedere l'oggetto. Ogni oggetto può assorbire alcune lunghezze d'onda più di altre —> gli oggetti appaiono colorati perché ri ettono diverse lunghezze d'onda in misura diversa N.B. - Di usione ≠ ri essione perchè nella ri essione, la luce viene rimandata in una o più direzioni, ma sempre in modo controllato; nella di usione, la luce viene dispersa in molte direzioni senza un ordine speci co - Riusciamo a distinguere una super cie ruvida da una liscia perché la super cie ruvida ri ette la luce in molte direzioni (irregolare), mentre quella liscia ri ette la luce in modo più ordinato; lo specchio, essendo estremamente regolare, ri ette la luce in modo speculare, permettendo di formare immagini chiare e de nite fl fl ff fl fl fl fi fi fl fi ff fl fl fi fl Mercoledì 09/10 Com’è fatto l’occhio? L’occhio è alloggiato nell’orbita; tre coppie di muscoli gli consentono di spostarsi a destra e a sinistra, in alto e in basso e di ruotare, consentendogli così di ssare gli oggetti e inseguirli quando si spostano. Le membrane dell’occhio costituito da: - Sclera: bianco dell’occhio che serve a proteggere; nella parte frontale (= davanti alla pupilla) diventa trasparente - Coroide: secondo strato interno all’occhio; è un tappeto di cellule scure (= contenenti pigmenti scuri, es. melanina) che assorbono la luce in eccesso che altrimenti creerebbe riverberi —> migliora la qualità dell’immagine - Retina: sottilissima super cie che riveste internamente il fondo dell’occhio; è sensibile alla luce, quindi coglie e invia al sistema nervoso informazioni circa la luce che entra nell’occhio Com’è diviso l’occhio? L’occhio è diviso in due compartimenti: - Anteriore: riempito di umor acqueo (= soluzione salina che nutre le strutture che bagna e le depura dai prodotti di scarto —> funzione nutritiva e protettiva) - Posteriore: riempito di umor vitreo (= uido simile all’albume) —> funzione protettiva Le altre componenti dell’occhio - Cornea: struttura trasparente davanti alla pupilla; subisce la rifrazione della luce (= devia i raggi luminosi in ingresso per focalizzarli sulla retina) - Iride: parte colorata dell’occhio in mezzo all’occhio; il suo colore dipende dalla quantità di melanina contenuta nelle cellule (> cellule di melanina = occhio più scuro); la sua struttura è straordinariamente irregolare e casuale (—> si usa come metodo di riconoscimento automatico) - Pupilla: apertura centrale dell’iride; è capace di variare di diametro per regolare il passaggio di luce): quando l’illuminazione è su ciente si restringe, quando è scarsa si dilata; può variare di diametro anche sulla base dell’interesse e dell’attenzione - Cristallino: lente dietro la pupilla; devia i raggi luminosi che entrano nell’occhio - che hanno già subito una prima rifrazione dalla cornea - in modo che convergano esattamente sulla retina Come funziona il cristallino? - Accomodazione: “capacità del cristallino di diventare più o meno convesso per mettere a fuoco gli oggetti in corrispondenza della retina”; per rendere il cristallino convesso dobbiamo contrarre dei muscoli, di norma è piatto (privilegiata visione da lontano per ragioni evolutive) Quando il cristallino è piatto, c’è poca convergenza (= la luce viene poco deviata) —> mettiamo a fuoco oggetti lontani; se si avvicinano gli oggetti e il cristallino resta piatto lo vediamo sfocato Quando il cristallino è convesso aumenta la convergenza (= la luce viene deviata tanto) —> mettiamo a fuoco oggetti vicini; se si allontanano gli oggetti e il cristallino resta convesso lo vediamo sfocato La retina È l’organo cruciale per la vista. È formata da tre strati: - Primo strato (= più interno e vicino alla testa): fotorecettori; ricevono gli impulsi e li trasformano in un messaggio nervoso - Secondo strato: cellule bipolari; raccolgono i segnali inviati dai fotorecettori e li trasmettono alle cellule gangliari - Terzo strato: cellule gangliari; queste cellule elaborano i segnali visivi che ricevono e li inviano al cervello —> gli assoni di tutte queste cellule si uniscono a formare il nervo ottico fi fl ffi fi Contro-intuitivamente, i fotorecettori sono in fondo. Ne deriva che gli assoni devono bucare lo strato dei fotorecettori; in quel punto la retina è insensibile alla luce (= macula cieca). Non ce ne accorgiamo perché il nostro cervello ricostruisce in modo completamente automatico e senza sforzo il buco nero —> non abbiamo la percezione di non vedere un campo visivo in modo omogeneo Perché l’occhio è così? Perché avevamo gli occhi dietro. Le altre parti della retina - Macula cieca: zona in cui il nervo ottico esce dall’occhio - Fovea: area della retina in corrispondenza del fuoco del cristallino; quando ssiamo un oggetto i nostri occhi lo mettono a fuoco sulla fovea, perchè è l’unico punto della retina in cui siamo privi delle cellule bipolari e gangliari, così che la luce arriva direttamente ai fotorecettori Fotorecettori Ne esistono due tipi: - Bastoncelli —> attivi quando c’è poca luce; non sono in grado di distinguere i diversi colori, né di riprodurre un’immagine dettagliata (visione notturna); sono sulla parte periferica della retina, non ci sono in corrispondenza della fovea - Coni —> attivi quando c’è molta luce; permettono visione dei colori e riproducono l’immagine in ogni piccolo dettaglio (visione diurna); sono sulla fovea, non ci sono in corrispondenza delle aree periferiche della retina Data la distribuzione di coni bastoncelli, ne consegue che: - La sensibilità alla luce è maggiore nella periferia della retina rispetto alla parte centrale - L’acuità visiva (= accuratezza nella visione) è maggiore nella parte centrale della retina rispetto alla periferia Dall’occhio al cervello: come vediamo? I segnali elettrici generati da coni e bastoncelli ripercorrono la retina all’indietro (cellule bipolari —> cellule gangliari) e vengono trasmessi al cervello lungo il nervo ottico Convergenza tra recettori e cellule gangliari - Bastoncelli: alta convergenza le con cellule gangliari, ma bassa acuità (es. tre bastoncelli attivano una cellula gangliare) —> i segnali deboli provenienti da più cellule vengono combinati in un unico segnale importante; questo implica un’immagine meno dettagliata e a bassa risoluzione, ma consente di essere molto sensibili alla luce, e quindi è la visione notturna - Coni: bassa convergenza con cellule gangliari, alta acuità (es. tre coni attivano tre cellule gangliari) —> questo implica un’immagine più dettagliata e colorata, ad alta risoluzione, ma anche l’incapacità di vedere al buio Percorso dell’informazione visiva Le bre del nervo ottico si incrociano nel chiasma ottico, transitano per il corpo genicolato laterale e arrivano alla corteccia visiva (nel lobo occipitale). - Corpo genicolato laterale: l’informazione visiva viene ulteriormente elaborata (≠ stazione passiva) - Chiasma: il 50% delle bre provenienti dalla retina si incrocia qui; il risultato è che le parti dei due occhi che vedono la stessa area mandano le proprie bre allo stesso emisfero del cervello Esempio: Se un oggetto si trova sul lato destro del nostro campo visivo, l'immagine di quell'oggetto colpirà la parte temporale (laterale) dell'occhio destro e la parte nasale (mediale) dell'occhio sinistro; questa disposizione comporta che l'informazione viene inviata solo all'emisfero destro del cervello. fi fi fi fi Tuttavia, in realtà il cervello integra le informazioni provenienti da entrambi gli occhi per formare un'unica immagine coerente e tridimensionale del mondo che ci circonda. In sintesi, la luce segue questo percorso: retina —> nervo ottico (—> chiasma) —> corpo genicolato laterale —> corteccia visiva La visione dei colori Come vediamo i colori? Vediamo i colori perché abbiamo un apparato visivo che ci permette di tradurre in segnali neurali di tipo diverso lunghezze d’onda diverse. Questo è il motivo per cui noi vediamo margherite bianche e erba verde; ma le mucche vedono margherite bianche e erba gialla, e le api vedono margherite azzurre e erba gialla. Ne consegue che: Gli oggetti NON sono colorati Che cos’è quindi il colore? Il colore è un’esperienza puramente soggettiva che dipende dal tipo di luce ri essa dagli oggetti e dalle proprietà visive dell’apparato che elabora quella luce Il colore è un’esperienza che c’è solo nel nostro cervello, non è una caratteristica dell’oggetto! Es. Verde = esperienza percettiva a Rosso = esperienza percettiva b Il prisma di Newton Il primo intuire che gli oggetti non sono colorati fu Isaak Newton nel 1666. Per provarlo, Newton fece in modo che un sottile fascio di luce solare attraversasse un prisma di vetro: uscendo dal prisma, la luce si scomponeva a formare un arcobaleno di colori (uguale spettro). Newton dedusse che la luce del sole (detta anche luce bianca) non è pura, ma composta di colori diversi. Risultati - Quando un oggetto ri ette in maniera omogenea tutte le lunghezze d’onda —> l’oggetto appare bianco - Quando un oggetto assorbe quasi (= altrimenti non potremmo vederlo) tutto lo spettro —> l’oggetto appare nero - Quando un oggetto assorbe una parte dello spettro e ne ri ette un’altra parte —> l’oggetto appare colorato (del colore della luce ri essa) Mescolanza additiva - Mescolanza additiva: “principio che descrive come i colori si combinano quando sono creati attraverso la sovrapposizione di luci di diverse lunghezze d'onda” I colori primari della luce bianca sono rosso, verde e blu. La somma di questi tre colori dà il bianco; l’assenza di questi tre dà il nero. fl fl fl fl Mescolanza sottrattiva - Mescolanza sottrattiva: “principio che descrive come i colori si combinano attraverso l’assorbimento della luce” —> a di erenza delle luci, i pigmenti danno origine a la mescolanza sottrattiva, perché assorbono (“sottraggono”) parte della luce che li colpisce Esempio Mescolo giallo e blu, dà verde perché la parte gialla assorbe il blu e la parte blu assorbe il giallo —> solo il verde viene ri esso da entrambi N.B. - Quando parliamo di colore della luce ri essa, non dobbiamo pensare che i raggi luminosi siano di per sé colorati (sono come le onde radio i raggi X): il colore è legato alla capacità di certi raggi di creare determinate reazioni nel nostro sistema nervoso. - Vediamo bianco e nero quando tutte le lunghezze d’onda sono ri esse in maniera omogenea; vediamo i colori quando una super cie ri ette le lunghezze d’onda in maniera disomogenea (tante di una lunghezza d’onda e poche di un’altra lunghezza d’onda). Come si di erenziano i colori? I colori si di erenziano l’uno dall’altro sulla base di tre caratteristiche distinte: 1. Tinta: la qualità che permette di distinguere il verde dal rosso, dal giallo, dal blu eccetera; la grandezza sica corrispondente alla tinta è la lunghezza d’onda 2. Chiarezza: quanto il colore è chiaro o scuro; la grandezza sica corrispondente alla chiarezza e la quantità di luce ri essa 3. Saturazione: quanto il colore è vivido (intenso, puro) o pallido (sbiadito, scolorito) ff ff fi fl fl ff fl fi fl fi fl Giovedì 10/10 Le basi siologiche della visione L’esperienza del colore è collegata a una proprietà sica della luce: la lunghezza d’onda. Se l’occhio rispondesse in modo identico a tutte le lunghezze d’onda, il mondo apparirebbe in bianco (= ri ette tanta luce) e nero (= ri ette poca luce). Il problema è quindi quello di tradurre lunghezze d’onda diverse in risposte neurali diverse. Teoria tricomatrica dei colori Esistono tre tipi di fotorecettori sensibili alla lunghezza d’onda (= coni): - Coni blu (rispondono alle onde corte): sensibili da 400 a 500 nanometri - Coni verdi (rispondono alle onde medie): sensibilità bassa a 400, si alza attorno ai 530, decade verso i 600 - Coni rossi (rispondono alle onde lunghe): sensibilità bassa a 400, si alza attorno ai 570, decade verso i 700 Una luce di una lunghezza d’onda x attiva tutti e tre i tipi in proporzioni diverse (= le curve di sensibilità dei coni sono parzialmente sovrapposte); le proporzioni determinano quale colore che percepiamo. Teoria degli opposti (quadricromatica) Ai livelli successivi del sistema visivo, i messaggi provenienti dai fotorecettori vengono organizzati e rielaborati già nelle cellule gangliari della retina. È stato dimostrato che alcune cellule gangliari sono antagonistiche rispetto ad altre, a seconda del colore che le attiva/inibisce. - Teoria degli opposti: “i colori sono percepiti attraverso sistemi antagonisti, in cui i colori vengono rappresentati da coppie di opposti (rosso-verde, giallo/blu); questo implica che le cellule nel sistema visivo umano non rispondono ai colori in modo indipendente, ma piuttosto lavorano in modo antagonista (es. un neurone può essere attivato dalla luce rossa e inibito dalla luce verde). fi fl fl fi L’organizzazione in termini di colori antagonisti continua anche a livelli successivi di attivazione: le cellule della corteggia visiva hanno proprietà ancora più complesse. Esempio La risposta di una cellula ad un dischetto rosso - aumenta se attorno al dischetto rosso c’è un anello verde - diminuisce se attorno al dischetto rosso c’è un anello arancione I colori sono visti in funzione degli altri colori Perchè rosso e verde sono antagonisti? Per ragioni evolutive: se noi non distinguessimo rosso (= bacche) da verde (= foglia) sarebbe di cile trovare da mangiare. È infatti un’ipotesi che i primati si siano evoluti in uomini anche perché sono gli unici mammiferi ad aver sviluppato il sistema rosso/verde, che gli ha permesso di nutrirsi con facilità Perchè vediamo i colori? Perchè in un mondo colorato è più facile mangiare che in un mondo in bianco e nero. Contrasto simultaneo - Contrasto simultaneo: “fenomeno visivo che illustra i principi della teoria dell'opponente, evidenziando come i colori interagiscano e in uenzino la nostra percezione visiva tramite meccanismi di attivazione e inibizione” Esperimento anelli concentrici Fisicamente questi due anelli hanno lo stesso Senza sfondo, vediamo i due anelli per colore. L’anello piccolo appare rossastro perchè quello che sono: identici si trova su sfondo blu; l’anello grande appare bluastro perchè si trova su sfondo rosso. Il cervello aumenta il contrasto di colore quando un colore è vicino ad una zona di un altro colore grazie a sistemi antagonisti —> esaltazione della di erenza tra colori (= contrasto ffi fl ff Esperimento del cubo di Rubik Tutte queste mattonelle sono sicamente grigie, Senza sfondo, vediamo le facce del cubo come possiamo controllare nascondendo i per quello che sono: identiche colori vicini Quindi se togliamo la possibilità d’interpretare l’immagine al cervello, vediamo il colore grigio in entrambi i casi Il colore di una zona non dipende solo dalle onde ri esse da quella zona, ma dipende dall’insieme dell’immagine —> vediamo la scena in modo globale, non per singoli elementi. Adattamento - Adattamento cromatico: “processo attraverso il quale il sistema visivo si adegua a variazioni nelle condizioni di illuminazione o nei colori predominanti nell'ambiente circostante, permettendo una percezione più costante e stabile, indipendentemente dalle variazioni nelle condizioni luminose e cromatiche”; si veri ca quando si osserva una scena con un colore dominante per un periodo prolungato e il sistema visivo tende ad "abituarsi" a quel colore, riducendo la sensibilità a esso e in uenzando la percezione dei colori successivi. Esperimento adattamento croce bianca fra dischi rosso e verde Fissate la crocetta bianca fra il disco arancio e quello verde per una decina di secondi almeno. Alla pressione di un tasto, i due dischi verranno sostituiti da due dischi gialli. Risultati Per un attimo, il disco giallo a sinistra (preceduto dal disco arancio) è apparso verdolino, mentre il disco giallo a destra (preceduto dal disco verde) è apparso aranciato. Spiegazione Questo è un esempio di adattamento, ovvero di diminuzione della sensibilità a un dato stimolo in seguito a esposizione prolungata a quello stimolo: l’adattamento al disco verde fi fl fl fi ha diminuito la vostra sensibilità al verde; il giallo appare quindi meno verde e più rosso, cioè aranciato. L’adattamento è alla base del fenomeno delle immagini consecutive. Immagini consecutive - Immagini consecutive: “e etto visivo che si veri ca quando, dopo aver ssato un'immagine o un colore per un lungo periodo, si percepisce una persistenza dell'immagine anche dopo aver distolto lo sguardo”; questo accade perché i neuroni responsabili della percezione del colore si "stancano" e, quando si guarda un'altra super cie, si vedono colori complementari. In sintesi, le immagini consecutive mostrano come il sistema visivo conserva temporaneamente le informazioni visive. Esperimento immagini consecutive Fissate la crocetta bianca per una ventina di secondi. Alla pressione di un tasto, comparirà uno sfondo neutro (acromatico). Continuate a ssare la crocetta. Risultati - L’adattamento al disco verde ha causato la comparsa di un disco rosato: questo particolare rosa è il complementare di questo particolare verde - l’adattamento al disco arancio ha causato la comparsa di un disco azzurrino: questo particolare azzurro è il complementare di questo particolare arancio Spiegazione L’adattamento a un colore produce l’immagine consecutiva del colore complementare: - L’adattamento al verde produce l’immagine consecutiva rossastra, perché sbilancia il sistema rosso-verde - L’adattamento al giallo produce un’immagine consecutiva bluastra, perché sbilancia il sistema giallo-blu Assimilazione Assimilazione: “fenomeno per cui la percezione di un colore o di un oggetto viene in uenzata dai colori o dagli oggetti circostanti, portando a una modi ca apparente delle loro caratteristiche”; si veri ca quando un colore appare alterato o diverso a causa della presenza di colori adiacenti, creando un e etto di fusione o integrazione visiva Esperimento Nella foto, il rosso aranciato e il rosso magenta sono in realtà identici, come possiamo dimostrare cancellando gli altri colori. fl fi fi fi ff ff fi fi fi Quando il rosso è circondato da verde prende verde, quando è circondato da viola prende viola —> sembrano diversi In presenza di linee sottili, la di erenza fra i colori di due super ci vicine non viene aumentata, ma ridotta. Costanza di colore Come mai allora i colori rimangono uguali (es. pomodori non cambiano colore a seconda del colore del piatto o del sacchetto di carta)? Il colore di un oggetto dipende dalla gamma di lunghezze d’onda che l’oggetto ri ette, ma questa dipende a sua volta dalla gamma di lunghezze d’onda che lo illumina. Esempio Spettro ri esso da un pezzo di carta bianca Spettro ri esso da un pezzo di carta bianca sotto una luce al neon sotto una lampadina al tungsteno I due spettri non sono uguali! Ad esempio, la carta bianca ri ette molte più lunghezze d’onda corte (blu) sotto la luce al neon che sotto la lampadina al tungsteno. Eppure normalmente non ci accorgiamo di questi cambiamenti: sotto luci diverse, la carta rimane bianca, le foglie verdi e i pomodori rossi. Questo è per via della:. - Costanza di colore: “fenomeno per cui il colore degli oggetti tende a rimanere percepito come costante, anche quando varia la composizione spettrale della luce che li illumina”; è dovuto principalmente al fatto che il sistema visivo umano compensa le variazioni di illuminazione, mantenendo relativamente invariata la percezione del colore. Questo è dovuto soprattutto al fatto che anche in diverse condizioni di illuminazione, il rapporto spettrale tra gli oggetti della scena rimane costante, permettendo così di riconoscere il colore degli oggetti in modo coerente (es. indipendentemente dalla natura della luce, e quindi dalla composizione spettrale dell’oggetto illuminato, il cielo rimarrà sempre più chiaro dell’oceano) Anomalie nella visione dei colori In alcune persone, delle famiglie di coni (rosso, blu o giallo) non funzionano —> daltonismo (= malattia genetica più frequente nei maschi) fi fl fl fl ff fl