Virus2 PDF - Introduzione ai Virus
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ITI Marconi
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Questa è un'introduzione ai virus, con un focus specificatamente di tipo biologico, e di tipo generale. Illustra le caratteristiche e le diverse forme di questi agenti patogeni.
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I VIRUS I virus la cui origine è misteriosa, non sono veri e propri viventi perché non fanno parte di nessun regno; sono parassiti endocellulari obbligati di piccole dimensioni (20-300 nm), per potersi riprodurre sfruttano le vie metaboliche, il corredo...
I VIRUS I virus la cui origine è misteriosa, non sono veri e propri viventi perché non fanno parte di nessun regno; sono parassiti endocellulari obbligati di piccole dimensioni (20-300 nm), per potersi riprodurre sfruttano le vie metaboliche, il corredo enzimatico e gli organuli della cellula parassitata. Alcuni virus, oltre che moltiplicarsi all’interno dell’ospite, hanno evoluto altre strategie di sopravvivenza, come quella di nascondersi al sistema immunitario dell’ospite prolungando nel tempo l’infezione o integrando il proprio genoma con quello della cellula ospite, in modo da essere trasmesso alle cellule figlie come un qualsiasi gene della cellula madre. Inoltre anch’essi, come avviene per altri organismi, sono in grado di mutare e rimescolare l’assetto dei propri geni andando incontro velocemente a cambiamenti genetici che li rendono più difficili da debellare (es: virus dell’influenza). Esistono virus che parassitano i batteri (batteriofagi), i protozoi e le piante, gli animali e i funghi. I virus sono molto dannosi, vivono grazie alle cellule che gli permettono la loro riproduzione e si distinguono in base al loro ospite in virus animali, vegetali e dell’uomo. Ogni virus umano attacca una specifica cellula o tessuto (per es. il virus della mononucleosi attacca solo i linfociti B). Le particelle virali all’esterno delle cellule ospiti prendono il nome di virioni, sono privi di attività metabolica e incapaci di riprodursi. Sono costituiti da una porzione centrale chiamata core formata da DNA o RNA (alcuni di loro possiedono anche enzimi che permettono alle cellule colpite di riprodurre i virus) circondato da un involucro proteico detto capside, che determina la forma del virione e protegge il genoma. Il capside è costituito da subunità proteiche dette capsomeri, a loro volta costituiti da 5-6 protomeri. Il core e il capside costituiscono il nucleocapside. Questi tipi di virus sono chiamati nudi per distinguerli da quelli rivestiti che hanno in più (al di sopra del capside) una membrana esterna chiamata pericapside, di natura glicolipoproteica, formato da residui della membrana della precedente cellula ospite. Su questo doppio strato fosfolipidico di origine cellulare, vi sono delle sporgenze chiamate peplomeri o spicole (glicoproteine), di origine virale che fungono da siti di attacco e da antigene. In generale il pericapside aiuta i virus ad entrare più facilmente nella cellula ospite ma li rende meno resistenti dei virus nudi alle condizioni ambientali per la maggiore suscettibilità ai solventi che sciolgono i lipidi, alla temperatura, al pH e agli agenti antimicrobici. Anche i virus nudi hanno siti di attacco sul capside. 1 La struttura del capside può essere diversa , per cui i virus assumono una configurazione geometrica diversa: · capside elicoidale · capside poliedrico · capside complesso I virus a capside elicoidale hanno un aspetto filamentoso di bastoncini rigidi o flessibili. L’acido nucleico a spirale è rivestito da un capside in cui i singoli protomeri sono disposti secondo le spire di un’elica. Un es. di virus che ha capside elicoidale è il virus del mosaico del tabacco (TMV), virus ad RNA che danneggia le foglie del tabacco (vedi libro pag 279 Fig. 10.1). Altri esempi sono i virus dell’influenza, del morbillo e il virus di Ebola. I virus con capside poliedrico hanno una struttura geometrica, spesso di tipo icosaedrica. L'icosaedro è una figura complessa con 30 spigoli, 12 vertici e 20 facce triangolari, ciascun triangolo costituito da capsomeri. Es. sono: l’herpes virus (labialis e varicella), virus della poliomelite e virus del raffreddore (adenovirus). I virus con capsidi complessi non hanno un’unica tipologia. La struttura più caratteristica è quella dei virus dei batteri (batteriofagi). Vedi libro pag. pag 280 Fig. 10.2 I virus dei batteri (batteriofagi) Hanno una struttura detta complessa, costituita da una testa icosaedrica che contiene il materiale genetico e una coda elicoidale cava costituita da proteine contrattili. La testa è unita alla coda attraverso il collare. La parte terminale della coda termina con la piastra basale in cui sono inserita fibre e spine che favoriscono l’attacco del fago sul batterio. Una volta avvenuto l’adesione il genoma virale passa all’interno della coda per contrazione e spinto dentro la cellula ospite. 2 La cellula per essere parassitata da un virus deve essere sensibile, deve avere dei siti di riconoscimento e quindi di attacco, dove il virus aderisce; inoltre deve essere permissiva cioè essere in grado di replicare il virus, spesso non lo è in tutte le fasi del suo ciclo vitale ma lo è soprattutto nella fase S di sintesi: in questa fase la cellula replica il suo DNA e quindi è la fase in cui il virus trova un ambiente favorevole. I virus, a volte, se non trovano la cellula permissiva non producono infezione o si nascondono e aspettano il momento adatto, in cui il nostro organismo è più debole. Lo fanno i virus latenti e quelli che portano ai tumori. GENOMA VIRALE Il genoma virale può essere a DNA o a RNA, ma entrambi gli acidi nucleici non sono mai presenti contemporaneamente. Gli acidi nucleici virali sono composti da geni che codificano per proteine (del capside, enzimi…) e da geni di controllo (che codificano proteine di controllo che legandosi all’acido nucleico virale, attivano i geni della replicazione o li bloccano in caso d’integrazione del DNA virale al DNA della cellula ospite) e possono assumere diverse conformazioni. Le molecole di DNA e RNA possono essere a singolo filamento (ss) o a doppio filamento (ds), lineari o circolari, interi o segmentati (vedi libro pag 281 Fig. 10.6). I virus provvisti di genoma a RNA a singolo filamento possono essere suddivisi in due sottogruppi: 1. RNA a polarità positiva (filamento+) 2. RNA a polarità negativa (filamento-) Nei virus a RNA a polarità positiva (filamento+) l’RNA può essere utilizzato direttamente come RNA messaggero (mRNA) per la sintesi delle proteine virali nella cellula infettata. Nei virus a RNA a polarità negativa (filamento-) il loro RNA non può subito funzionare come messaggero e devono prima copiarlo in un filamento positivo. Per fare ciò, il virione deve possedere una trascrittasi (enzima RNA polimerasi-RNA dipendente), che è in grado di polimerizzare mRNA (necessario per la sintesi delle proteine virali) da uno stampo di RNA virale con singolo filamento -, tale trascrittasi deve inoltre essere avvolta nel virione insieme al genoma. Ricordiamoci, infatti, che le cellule eucariote parassitate da virus a RNA a singolo filamento - si trovano impossibilitate a copiare RNA virale, perché prive,sia nel nucleo che nel citoplasma, di specifici enzimi in grado di sintetizzare mRNA mediante trascrizione di una molecola di RNA, in quanto la trascrittasi presente nelle cellule eucariote è in grado di sintetizzare mRNA a partire dal DNA e non da RNA, infatti è una RNA polimerasi- DNA dipendente (ricorda il dogma centrale della biologia). 3 Quindi esiste da parte della cellula eucariota parassitata dal virus una difficoltà oggettiva a tradurre i genomi virali sia del tipo a RNA con filamento-, che gli RNA a doppio filamento. Solo i virus con genoma a DNA (di norma a doppio filamento), che possiedono enzimi idonei e che possono raggiungere il nucleo cellulare, riescono ad utilizzare il meccanismo di trascrizione cellulare per sintetizzare e tradurre i propri mRNA. I virus batterici contengono prevalentemente DNA a doppia elica, quelli vegetali RNA a singolo filamento, mentre nei virus animali sono presenti le diverse combinazioni strutturali. COME AVVIENE LA REPLICAZIONE VIRALE La riproduzione dei virus è il risultato di un processo che prevede la fabbricazione separata dei singoli componenti virali, acido nucleico e capside, e assemblaggio terminale degli stessi. Le informazioni sulle caratteristiche delle proteine virali (sia quelle a funzione enzimatica, sia quelle destinate a formare il capside) dipendono dal genoma virale, mentre l’energia e le materie prime occorrenti (aminoacidi,nucleotidi,…) e parte dei sistemi enzimatici sono forniti dalle cellule infettate. Sebbene i diversi gruppi virali utilizzino meccanismi di riproduzione specifici, in tutti i virus gli eventi fondamentali che caratterizzano il ciclo riproduttivo sono gli stessi e sono riassunti in diverse fasi, (vedi libro pag 284 Fig. 10.7) che sono: ADSORBIMENTO (fase di attacco) PENETRAZIONE SPOLIAZIONE (uncoating) REPLICAZIONE (sintesi dei componenti virali) ASSEMBLAGGIO O MONTAGGIO LIBERAZIONE Ia fase ADSORBIMENTO è la fase di attacco del virus alla cellula ospite. L'attacco richiede un riconoscimento specifico tra i recettori presenti nella cellula ospite e quelli del virus. Sugli involucri esterni dei virioni devono esserci dei componenti molecolari (proteine del capside, glicoproteine del pericapside, protuberanze,..) in grado di combaciare e legarsi con legami deboli a recettori presenti sulla superficie della cellula ospite (proteine o residui di carboidrati) che consentono l’adesione del virus alla cellula. I recettori cellulari che i virioni utilizzano per aderire all’ospite hanno normalmente altre funzioni che vengono sovvertite con il legame con il virus. La specificità dei 4 legami tra componenti virali e recettori cellulari spiega lo spettro, ampio o ristretto, di specie biologiche che un virus può infettare (specificità d’ospite) e l’instaurarsi dell’infezione solo in particolari organi e tessuti (specificità d’organo). Ad esempio il virus dell’influenza umana si lega a zuccheri presenti sulla superficie delle cellule delle alte vie respiratorie, il virus responsabile della mononucleosi (virus di Epstein-Barr) si assorbe sulla superficie dei linfociti B, l'AIDS parassita solo i linfociti T4 ed è facilitato da sostanze chiamate chemiochine. L’individuo che geneticamente è predisposto a produrre meno chemiochine è meno a rischio di contrarre l'AIDS. La comprensione del meccanismo dell’ assorbimento è molto importante perché può permettere sia di capire le differenze nella sensibilità alle infezioni virali sia favorire lo sviluppo di farmaci in grado di impedire l’accesso dei virus nelle cellule bersaglio. 2a fase PENETRAZIONE È la fase di passaggio del virus dalla superficie della cellula nel citoplasma della cellula ospite. La penetrazione può svolgersi secondo due modalità fondamentali che comportano o l’inoculazione del solo acido nucleico virale o l’ingresso dell’intero virione. Il primo caso è tipico dei batteriofagi, infatti la maggior parte di essi una volta attaccati al batterio lasciano il capside fuori dalla membrana e fanno entrare il proprio DNA. La penetrazione dell’acido nucleico è resa possibile nei fagi a struttura complessa della serie T pari (T2, T4…) dalla fissazione stabile del virione al batterio con le fibre e le spine della piastra basale e con la liberazione di lisozima (proteina con attività litica) che perfora la parete batterica facilitando per contrazione l’ingresso del DNA fagico nel citoplasma dell’ospite. I virus animali utilizzano la seconda modalità (ingresso dell’intero virione) utilizzando due diversi meccanismi: la fusione, tipica dei virus dotati di pericapside (rivestiti), in cui l’involucro membranoso della particella virale si fonde con la membrana cellulare dell’ospite, trasferendo all’interno della cellula l’intero nucleocapside ( es: herpesvirus); l’endocitosi, sia per i virioni nudi che rivestiti, in cui virus entrano per invaginazione della membrana con formazione di un vacuolo fagocitico. Le proteasi del vacuolo e il basso valore di pH inducono la demolizione degli strati più esterni del virione (capside e/o pericapside), lasciando uscire il genoma virale nel citoplasma (vedi libro pag 285 fig 10.8). Alcuni virus animali penetrano nelle cellule utilizzando meccanismi diversi, ne è un esempio il gruppo dei poliovirus, che durante la fase di adsorbimento subiscono cambiamenti strutturali che determinano la perdita del capside e l’ingresso del solo acido nucleico. I virus vegetali entrano più difficilmente all’interno delle piante per la presenza della parete, per cui infettano la pianta o attraverso lesioni presenti sulla superficie o animali vettori. 5 3a fase SPOLIAZIONE (uncoating) Comunque sia avvenuta la penetrazione, gli involucri virali sono degradati ad opera di proteasi (enzimi idrolitici) e per il pH acido, liberando così il genoma virale all’interno del citoplasma della cellula ospite. 4a fase REPLICAZIONE è la fase in cui il virus è dentro la cellula, il genoma virale sfrutta il macchinario (risorse biochimiche e metaboliche) della cellula per la sintesi dei vari componenti virali. Prima vengono espressi e codificati i geni virali precoci (geni i cui prodotti servono per la replicazione del genoma virale) e poi i geni virali tardivi (geni che, a seconda del virus, possono contenere l’informazione per la sintesi del capside e pericapside e per proteine utilizzabili nella fase di montaggio e fuoriuscita dei virioni dalle cellule infettate). Il virus deve prima di tutto costringere la cellula ad interrompere il suo metabolismo e lavorare per lui e per far questo può utilizzare varie strategie per esempio alcuni virus fanno così tanto RNA messaggero che la cellula ospite non ha più il tempo di produrre l'RNA della cellula stessa. Nelle cellule eucariote la sintesi delle proteine virali si svolge nel citoplasma (dove è localizzato l’apparato ribosomiale), mentre la trascrizione e la replicazione del genoma virale possono avere sedi diverse: per i virus a DNA è il nucleo della cellula, generalmente, per quelli a RNA è il citoplasma. La formazione dell’mRNA virale non si svolge, per tutti i virus, allo stesso modo perché dipende dal tipo di genoma (DNA o RNA) posseduto dalle varie particelle. Occorre quindi passare in rassegna i vari tipi di acidi nucleici virali per comprendere le modalità di sintesi dell’mRNA e di replicazione del genoma. Virus a DNA a doppio filamento Si replicano nel nucleo e la cellula mette a disposizione ciò che ha per poter trascrivere il DNA virale. Infatti i virus utilizzano l’RNA polimerasi cellulare per la sintesi degli mRNA e le proteine virali precoci (tra cui la DNA polimerasi virale che catalizza la replicazione del DNA virale). Un comportamento particolare è quello degli Hepadnavirus (tra cui anche il virus dell’epatite B) che hanno un DNA circolare, parzialmente a doppia elica, cui è associata la DNA polimerasi virale che, all’inizio della replicazione, completa il filamento più corto nella forma a doppia elica. Successivamente, dopo aver indotto la sintesi dell’enzima trascrittasi inversa, questo viene utilizzato per replicare il DNA virale usando come stampo l’mRNA virale trascritto, che viene copiato nel filamento complementare di DNA, a sua volta stampo per la ricostituzione della doppia elica. Virus a DNA a singolo filamento Le polimerasi cellulari permettono la conversione dell’elica singola in una forma replicativa a doppia elica che fa da stampo per la sintesi dell’mRNA virale e dei genomi ssDNA. 6 Virus a RNA a singolo filamento positivo L’elica dell’RNA virale funziona già da mRNA e viene letta dai ribosomi, i quali consentono la sintesi dell’enzima virale RNA polimerasi RNA dipendente, detto anche trascrittasi o replicasi, che catalizza la sintesi di un filamento RNA negativo (detto intermedio di duplicazione), che funziona da stampo nella formazione di più copie complementari di filamenti +, utilizzati come RNA genomico e mRNA per la sintesi di proteine virali. Virus a RNA a singolo filamento negativo Il genoma del virus a singolo filamento negativo non può essere utilizzato come messaggero dall’apparato molecolare della cellula. La prima esigenza, quindi, è quella che i virus devono possedere, incorporato nel virione, l’enzima RNA polimerasi RNA dipendente (trascrittasi) che trascrive il filamento - nel filamento complementare +, il quale potrà essere utilizzato con una duplice funzione: in parte fungerà da messaggero per guidare la sintesi delle proteine virali , in parte verrà utilizzato come intermedio di duplicazione per riformare il filamento – da inserire nei nuovi virus. Un virus a singolo filamento - che presenta caratteristiche particolari è quello dell’influenza. Possiede una trascrittasi in forma inattiva che necessita di essere innescata nel nucleo della cellula ospite e un genoma suddiviso in 7-8 segmenti differenti che codificano proteine diverse. È nel citoplasma che avvengono sia la trascrizione del genoma virale, sia la replicazione del genoma e il montaggio del nucleocapside. Virus a RNA a doppio filamento +/- Anche questi virus, non trovando sistemi cellulari capaci di utilizzare tale struttura come mRNA o come stampo per la replicazione dell’acido nucleico, posseggono una propria trascrittasi in grado di sintetizzare il filamento + che funge da mRNA e da intermedio di replicazione (es: i reovirus) Virus a RNA a singolo filamento positivo che si replicano attraverso un intermedio a DNA (Retroviridae) (vedi immagine dei virus ad RNA -famiglia Retroviridae nel file “Classificazione e tipi principali di virus” o libro pag 296 Fig 10.21 ) Pur essendo virus a RNA ss +, i retrovirus entrano dentro la cellula e fanno trasformare il proprio RNA in una molecola di DNA a doppia elica. Questo comportamento è possibile per la presenza nel virione di un enzima particolare chiamato trascrittasi inversa (DNA polimerasi - RNA dipendente), capace di invertire il flusso dell’informazione genetica (normalmente dal DNA all’RNA) permettendo la sintesi di un filamento di DNA a partire da uno stampo di RNA. Il processo di replicazione dei retrovirus inizia, quindi, dalla sintesi di un filamento di DNA negativo sullo stampo del filamento + di RNA con conseguente formazione di una molecola ibrida RNA-DNA. Successivamente, la stessa trascrittasi inversa (per mezzo di una sua subunità che svolge attività ribonucleasica) degrada il filamento + di RNA dell’ibrido, mentre il filamento - di DNA funge da stampo per la sintesi del filamento complementare +. A questo punto il DNA lineare del virus si integra nel genoma cellulare 7 (provirus) per mezzo di un enzima “integrasi” virale; da questo DNA integrato la cellula esprime il DNA virale trascrivendolo in mRNA che da una parte va a costruire le proteine, e dall'altra fa le copie dell'RNA + virale da poter mettere dentro i singoli capsidi. Potendo integrarsi nella cellula, i virus hanno la capacità di essere latenti e aspettano il momento giusto per poter attaccare. I virus a RNA sono più soggetti a mutazione rispetto a quelli a DNA e quindi è anche più difficile trovare il vaccino. 5afase assemblaggio o montaggio le varie componenti del virus, ormai sintetizzate dalla cellula, vengono assemblate, a volte seguendo delle vere e proprie catene di montaggio, cioè i capsomeri vengono riuniti a formare il capside e al suo interno viene messa una copia dell’acido nucleico e gli enzimi, se ci sono, che serviranno al virus per il suo ciclo riproduttivo. Il sito di assemblaggio è, in generale, correlato con quello di replicazione del genoma, per cui molti virus a DNA vengono montati nel nucleo mentre molti virus a RNA nel citoplasma. A questo punto la cellula si trova piena di virus. 6afase liberazione è la fase in cui i virus assemblati abbandonano la cellula per trasferirsi nell’ambiente extracellulare, nel quale sono detti virioni. La maggior parte delle volte la cellula va incontro alla lisi liberando i virus, questa metodologia è utilizzata dai fagi (della serie T di E.coli) e dai virus nudi. Vi sono alcuni virus nudi che attraversano la membrana cellulare senza che questa subisca danni apparenti. Quelli rivestiti sono, invece, rilasciati per esocitosi o gemmazione (vedi libro pag 286 Fig. 10.9). Nell’esocitosi i virus neoformati acquisiscono l’envelope dalla membrana nucleare e dall'apparato di Golgi e in questo caso il rilascio dei virus da parte della cellula, non è associato a lisi. Questo rilascio è tipico per i virus a DNA con pericapside (envelope). Nella gemmazione il virus neoformato si avvicina alla parte interna della membrana plasmatica della cellula in cui sono state inserite specifiche proteine virali (glicoproteine) e la membrana cellulare modificata avvolge il nucleocapside formando una protuberanza verso l’esterno detta gemma che poi si stacca liberando il virus che così si è anche procurato il pericapside. Questo rilascio è tipico per i virus a RNA con pericapside (envelope). Nella maggior parte dei casi la moltiplicazione delle particelle virali danneggia la cellula ospite attraverso la distruzione del DNA cellulare, l’inibizione della sintesi degli acidi nucleici e delle proteine cellulari, l’alterazione della membrana plasmatica e dei lisosomi e anche quando i virus non uccidono la cellula infettata, i loro effetti sono spesso negativi. Negli organismi pluricellulari le lesioni alle cellule e ai tessuti provocate dai virus, visibili al microscopio ottico, sono indicate con l’espressione effetto citopatico. Oltre alla lisi delle cellule altri effetti citopatici sono: i cambiamenti delle morfologia 8 cellulare, l’accumulo di componenti virali o cellulari detti corpi di inclusione, la fusione di più cellule con formazione di sincizi o cellule giganti. Spesso i danni non sono direttamente provocati dai virus ma conseguenti alla distruzione delle cellule infettate da parte del sistema immunitario dell’ospite. RAPPORTI PARTICOLARI CHE INSTAURANO I VIRUS CON GLI OSPITI Nel rapporto che si stabilisce tra un virus e la cellula ospite non si verifica sempre la riproduzione delle particelle virali e la morte della cellula infettata, ma sono possibili altre relazioni in cui la moltiplicazione virale può essere assente o ridotta mentre la convivenza del virus nell’ospite si protrae nel tempo. Rientrano in queste interazioni: la lisogenia, che riguarda virus batterici (fagi), e i fenomeni della latenza e della trasformazione neoplastica, che coinvolgono, invece, i virus eucariotici. lisogenia per i fagi latenza trasformazione virus animali neoplastica LISOGENIA È stata la prima forma di permanenza dei virus all’interno delle cellule ospiti ad essere osservata. I fagi o batteriofagi sono virus che parassitano un determinato batterio, hanno una struttura complessa e la maggior parte di essi hanno un DNA a doppio filamento (es: i virus che parassitano Escherichia coli). La specificità tra fago e batterio è talmente alta che i virus vengono utilizzati per distinguere i batteri (tipizzazione fagica). Una volta che il fago è entrato all’interno della cellula batterica, la replicazione può svolgersi in due modi distinti ( vedi libro pag.288 fig.10.11) : il virus può trovare la cellula che lo replica attuando il ciclo litico, che si realizza con le fasi tipiche viste in precedenza, fino alla lisi e morte della cellula con liberazione dei virioni. Molti virus si riproducono esclusivamente attraverso il ciclo litico. oppure i virus attuano il ciclo lisogeno ovvero restano quiescenti all’interno delle cellule infettate integrando, con l’enzima integrasi, il proprio DNA nel cromosoma batterico, rimanendo inattivi. Il genoma virale integrato prende il nome di profago, viene replicato come un qualsiasi gene batterico e trasmesso alle progenie con la divisione cellulare (condizione di lisogenia). I batteri che ospitano il fago sono detti lisogeni, mentre fago 9 temperato indica un virus in grado di originare un ciclo lisogeno. Alcuni fattori ambientali che danneggiano il DNA virale (raggi UV, sostanze chimiche,…), possono provocare il distacco del profago dal cromosoma batterico e indurre la ripresa del ciclo litico. Da studi effettuati sui fagi sembra che la lisogenia si attiva quando i batteri sono soggetti all’infezione da parte di molte particelle fagiche e quando i nutrienti per i batteri sono scarsi. Per i batteriofagi la lisogenia rappresenta una forma di attesa di tempi migliori non essendo conveniente una replicazione che potrebbe portare all’eliminazione delle cellule in cui riprodursi. Inoltre la lisogenia può essere importante perché permette la ricombinazione genetica attraverso il trasferimento orizzontale dei geni batterici mediato da virus (trasduzione) e rappresenta anche un mezzo per fare acquisire ai batteri geni virali che possono risultare vantaggiosi ai batteri stessi. Quest’ultimo fenomeno è detto conversione fagica. Ad esempio, i ceppi virulenti di Corynebacterium diphtheriae, responsabile della difterite, sono quelli lisogenizzati dal fago β, un fago temperato che fornisce ai batteri, rendendoli virulenti, il gene tox, contenente l’informazione per la sintesi della tossina difterica. LATENZA o infezione latente indica la presenza negli animali di virus che alternano a brevi periodi riproduttivi, lunghi intervalli di tempo in cui rimangono nascosti. Latenti sono quei virus che, entrati dentro la cellula, riescono a inserire il proprio DNA nel DNA della cellula ospite (sempre mediante l’integrasi) e restano nascosti senza farsi replicare (virus a DNA e retrovirus). I virus latenti più comuni sono l'herpes simplex di tipo 1 (HSV1 o HHV1) detto anche labialis perché si forma essenzialmente sulle labbra e provoca la formazione di vescicole e lesioni sulla cute, poi sparisce ma in realtà rimane latente nei gangli nervosi sensitivi (in particolare del trigemino) e aspetta il momento opportuno per ripresentarsi; la sua ricomparsa è dovuta o ad un abbassamento delle difese immunitarie o a condizioni di stress o a un’ esposizione alle radiazioni solari. Un altro herpes importante è l'herpes zoster (varicella), che da adulto può dare il fuoco di S. Antonio: questo virus si nasconde nella fascia lombare. TRASFORMAZIONE NEOPLASTICA La permanenza di alcuni virus nelle cellule ospiti può provocare la trasformazione di cellule normali in cellule tumorali o neoplastiche. I virus trasformanti o oncogeni inducono la cellula ospite a diventare cancerogena (tumore). Cosa è un tumore? È una degenerazione della cellula, una mutazione, più mutazioni per indurre la cellula a diventare tumorale. La cellula neoplastica si duplica molto più velocemente di quella normale, è caratterizzata dalla capacità di riprodursi in modo abnorme e forma masse cellulari (tumori) che alterano il funzionamento di organi e tessuti. Attualmente si conoscono diversi virus, sia a DNA che a RNA, in grado di provocare tumori negli animali e di modificare, in senso tumorale , cellule fatte 10 crescere in coltura. Anche nell’uomo vi sono tumori di origine virale tipo alcune forme di leucemia, il carcinoma all’utero, il tumore al fegato. I virus che manifestano la capacità di indurre un tumore sono detti virus oncogeni, mentre l’induzione dei tumori in vitro è detta trasformazione cellulare. Le alterazioni del DNA provocate da questi virus riguardano alcuni geni detti oncogèni (geni che causano tumori), normalmente presenti nel genoma cellulare ma regolarmente e costantemente repressi. Anche altri agenti, tipo radiazioni e molte sostanze chimiche ad azione mutagena, sono in grado di attivare oncogèni silenti nell’organismo. Si conoscono diverse modalità, secondo cui i virus oncogeni, dopo aver inserito il proprio genoma nel DNA dell’ospite, modificano la struttura e l’espressione dei geni dell’ospite, alterandone il normale ritmo di crescita. Un meccanismo diffuso di oncogenesi virale consiste nella presenza di oncogèni nel DNA virale che codificano la sintesi di proteine in grado di alterare la proliferazione cellulare e indurre la modificazione neoplastica. Comportamenti di questo tipo sono stati osservati sia in virus oncogeni a DNA che a RNA (es: retrovirus del sarcoma di Rous, causa del tumore dei polli). I virus che contengono oncogèni sono ad alto potere trasformante. La seconda modalità con cui i virus inducono la trasformazione tumorale è nota come mutagenesi per inserzione. In questo caso le particelle virali non posseggono oncogèni ma agiscono attivando proto-oncogèni cellulari.1 Lo sviluppo del tumore, infatti, sarebbe causato dall’inserimento del genoma virale vicino ad un proto-oncogène cellulare, stimolandone la trascrizione. Un’ ipotesi di questo tipo potrebbe spiegare il lento potere trasformante di certi virus, perché l’induzione del tumore richiede l’inserimento del genoma virale, non in un punto qualsiasi del DNA cellulare, ma solo vicino ad un proto-oncogène e la probabilità che ciò avvenga è bassa. L’origine virale di alcuni tumori umani ha reso possibile adottare, come strumento di prevenzione del tumore, l’impiego della vaccinazione. Il primo vaccino sviluppato è quello contro l’epatite B, che protegge anche dal carcinoma epatocellulare, conseguente all’infezione cronica dell’HBV ma esistono anche vaccini contro il papilloma virus umano (HPV) causa del carcinoma alla cervice uterina. 1 La capacità delle cellule neoplastiche di riprodursi in modo illimitato è connessa all’alterazione dei meccanismi regolativi del ciclo cellulare e dipende, in particolare, da mutazioni di due gruppi di geni, i proto-oncogeni e gli oncosoppressori, le cui funzioni vengono, rispettivamente aumentate e ridotte. 11 DIFESE DALLE MALATTIE VIRALI Una volta avvenuta la penetrazione del virus, le cellule cercano di interferire con il ciclo riproduttivo virale impedendo l’espressioni dei geni virali e resistendo alla lisi. Le cellule batteriche per opporsi all’attacco dei batteriofagi (che sono per la maggior parte a DNA a doppia elica) utilizzano le endonucleasi (enzimi di restrizione), enzimi che tagliano il DNA in piccoli pezzi a livello di sequenze specifiche di poche basi. I batteri stessi per resistere alle endonucleasi si proteggono con la metilazione (aggiunta di gruppi metilici) ai nucleotidi del proprio DNA impedendo l'azione delle nucleasi. Le cellule dei mammiferi posseggono diversi sistemi di difesa nei confronti dei microrganismi patogeni. Tra questi c’è la produzione di interferoni (IFN), sostanze di natura proteica, sintetizzate e secrete da cellule esposte al virus, che servono per proteggere altre cellule, a loro volta infettate. Ci sono tre tipi principali di interferoni umani: · interferoni alfa, fabbricati dai leucociti · interferoni beta, sintetizzati dai fibroblasti · interferoni gamma, formati dai linfociti In condizioni normali le cellule non producono interferone, ma in presenza di appropriati induttori (soprattutto i virus a RNA) questo viene secreto dalle cellule produttrici. Gli interferoni hanno proprietà antivirali in quanto inibiscono le fasi di assemblaggio del virus che non è più in grado di riprodursi (uccidono i virus) (vedi libro pag 299 fig 10.22), anche se alcuni di essi, tipo adenovirus e il virus di Epstein-Barr, sono in grado di bloccare gli effetti antivirali dell’interferone. Gli interferoni, inoltre, potenziano la risposta immunitaria e inibiscono la proliferazione cellulare. Potrebbero essere per questo farmaci ideali per la cura sia di infezioni virali che di tumori. In realtà, il loro utilizzo è limitato ad alcune patologie (come l’epatite C e il sarcoma di Kaposi) a causa dei diversi effetti collaterali. Gli interferoni sono ospiti-specifici, riconoscendo solo recettori di membrana di cellule della stessa specie che li ha prodotti, quindi, non possono essere impiegati in terapia umana interferoni sintetizzati da altri mammiferi, come ad esempio, i maiali. Per le esigenze farmacologiche si producono interferoni ricombinanti, ottenuti mediante il clonaggio di geni umani in Escherichia Coli. 12 DIAGNOSI DELLE MALATTIE VIRALI La diagnosi di laboratorio delle infezioni e delle malattie virali può essere fatta con: · metodi diretti · metodi indiretti Tra i primi (metodi diretti) i più importanti sono: l’osservazione al microscopio, la coltivazione e le tecniche molecolari. Essendo i virus molto piccoli si deve utilizzare il microscopio elettronico (identificazione del virus direttamente sul materiale patologico); in quanto con il microscopio ottico posso solo osservare le alterazioni delle colture cellulari infettate che sono comunemente indicate come effetto citopatico (CPE) oppure la presenza di inclusioni. Possiamo osservare un cambiamento nelle dimensioni, oppure all’interno della cellula ci sono sostanze ( inclusioni) che normalmente non sono presenti, oppure si ha la presenza di sincizi (le cellule si attaccano l’una all’altra). La presenza del virus si può evidenziare, anche, sfruttando il fatto che alcuni di loro presentano sulla superficie recettori capaci di legare i globuli rossi (metodi di emoagglutinazione ed emoassorbimento). La condizione di parassiti endocellulari obbligati non permette la coltivazione dei virus nei normali terreni di coltura per batteriologia, per cui sono coltivabili solo su tessuti vivi che possono essere rappresentati da cavie, uova fecondate e colture cellulari. Quando si usano piccole cavie, in cui viene inoculato il virus, o si valuta la comparsa dei sintomi della malattia o gli animali vengono sacrificati per la ricerca dei virus nei tessuti. Nelle uova embrionate si inocula il virus nella cavità allantoidea o amniotica, cui segue la morte dell’embrione o la formazione di pustole o lesioni. La tecnica più diffusa è quella che utilizza le colture cellulari. Quest’ultime sono ottenute coltivando cellule di tessuti animali (spesso epiteliali) in terreni liquidi perfettamente bilanciati nei nutrienti e nei fattori di crescita, in presenza di antibiotici e antimicotici (per evitare la contaminazione microbica), in condizioni ambientali costantemente controllate. Le cellule delle colture possono provenire da tessuti o organi che vengono frammentati e trattati con enzimi proteolitici (che agiscono sulle proteine della matrice extracellulare) che separano le cellule dal tessuto. Le cellule messe in coltura, generalmente, non crescono in sospensione come i batteri, ma sedimentano e aderiscono al fondo del contenitore. Si forma un tessuto monostratificato, poi, non essendoci più spazio per espandersi, cessano di dividersi (inibizione da contatto). Le colture cellulari che provengono direttamente dalla dissociazione di un tessuto o di un organo e possono contenere tipi di cellule differenti, si chiamano colture primarie. Purtroppo molte di queste colture non si mantengono indefinitamente e dopo un certo numero di generazioni muoiono. Per questo 13 motivo, oggi si impiegano colture di cellule rese immortali attraverso tecniche di manipolazione genetica o provenienti da tessuti tumorali e quindi capaci di riprodursi più velocemente e per un tempo indefinito (colture continue). I tessuti tumorali li prendo da tessuti già ammalati della cervice uterina, dal carcinoma della laringe oppure da un tessuto sano che viene fatto ammalare con radiazioni; queste cellule vengono poi nutrite e conservate a pH ottimale. Molto utilizzate nei laboratori di ricerca sono le cellule cancerose denominate HeLa, dal nome di Henrietta Lacks, una donna morta di tumore nel 1951, da cui furono prelevate le cellule e da cui discendono quelle attuali. Per quanto riguarda la presenza dei virus batteriofagi si utilizza la tecnica delle placche di lisi batterica. L’ultimo metodo diretto, le tecniche molecolari, permette di rilevare un virus anche in assenza di una sua moltiplicazione. Si basa sull’utilizzo di sonde geniche che vanno a ricercare la presenza dell’acido nucleico specifico del virus. Queste sonde sono frammenti dei singoli filamenti di DNA o RNA dei virus, marcati con isotopi radioattivi, che hanno sequenze complementari a specifiche sequenze geniche del virus ricercato nei campioni di tessuto patologico, che se messi a contatto con il campione sospetto, si legano al virus se c’è, evidenziandolo. Un’altra tecnica molecolare è l’amplificazione genica, in grado di amplificare gli acidi nucleici virali presenti in tessuti o altro materiale infetto (PCR, RT-PCR). I metodi diretti (isolamento e identificazione del virus in animali vivi, uova embrionate o colture cellulari) richiedono laboratori attrezzati e di elevata sicurezza. I secondi (metodi indiretti) si basano sulla dimostrazione in vitro della formazione dei complessi antigene-anticorpo, saggiando il siero del paziente infetto con un antigene virale noto in quanto devo ritrovare nel suo siero gli anticorpi contro lo specifico virus. Il riscontro di anticorpi specifici può significare una precedente infezione, ma non indica quando essa è avvenuta. Per essere sicuri che un infezione sia in atto o sia recente deve esserci una sieroconversione, cioè un aumento di quattro volte del titolo anticorpale tra il titolo determinato nel siero ottenuto nella fase acuta della malattia e il titolo determinato nel siero ottenuto nella fase di convalescenza. Gli anticorpi (così come gli antigeni) possono essere messi in evidenza con numerosi test sierologici, fra i quali i più diffusi sono: saggi immunoenzimatici (EIA, ELISA); metodi radioimmunologici (RIA); saggio Western-blot; immunofluorescenza;… I metodi indiretti di tipo sierologico volto alla ricerca di anticorpi antivirus nel siero del paziente (sierodiagnosi), oppure la ricerca di antigeni virali nel sangue del paziente (antigenemia) o nei materiali patologici sono quelli più utilizzati, spesso affiancati a test di conferma basati su indagini molecolari per la ricerca di porzioni di genoma virale direttamente nei campioni di materiale patologico. 14