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This document analyses the phenomenon of "vetrinizzazione", exploring how communication and social interaction are influenced by the display of products, spaces, and people. It traces the historical development of shop windows and showcases, and discusses the concept of the social sphere and private life. This text explores how the modern idea of 'hyper consumption' and social relations influenced by appearances apply across various societal contexts.
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Vetrinizzazione Vetri I e Il (Svil + vivere + privacy) La vetrinizzazione è l’adozione da parte dei principali ambiti sociali di quel particolare modello di comunicazione che contraddistingue dal Settecento le modalità comunicative delle vetrine. Si tratta di un processo che trasforma oggetti, luogh...
Vetrinizzazione Vetri I e Il (Svil + vivere + privacy) La vetrinizzazione è l’adozione da parte dei principali ambiti sociali di quel particolare modello di comunicazione che contraddistingue dal Settecento le modalità comunicative delle vetrine. Si tratta di un processo che trasforma oggetti, luoghi e persone in spettacoli da mostrare e osservare. Avviene quindi una trasformazione della società in una sorta di vetrina permanente, dove tutto è esposto per essere osservato: persone, spazi pubblici e prodotti diventano “vetrine” di sé stessi. Origini e sviluppo della vetrina Alcuni precursori avevano senso della spettacolarità come il teatro greco, l'arte della costruzione dei giardini, la prospettiva artistica rinascimentale e le Wunderkammer (le “camere delle meraviglie” realizzate dagli aristocratici europei nelle loro dimore). Le prime comparse di vetrine si datano al 700, nelle città composte da una clientela conosciuta e abituale a clienti ignoti, da legami sociali comunitari a relazioni con sconosciuti. La vetrina si afferma con la diffusione dei grandi magazzini nel XIX secolo: le vetrine diventano strumenti per esporre merci e attrarre consumatori. Le gallerie commerciali coperte, o passages, amplificano il concetto di vetrina in quanto la completa commercializzazione funziona attraverso la vetrinizzazione del prodotto. La scelta di acquisto del consumatore viene influenzata e i commercianti cominciano a percepire il potere di questa mezzo, utilizzandolo sempre di più. L'ampia diffusione del vetro a basso costo ha favorito la vetrinizzazione. I commercianti sono sempre più motivati a comprar è tra di lastre per allestire un vero e proprio spettacolo: l’illuminazione, il gioco di luce contribuiscono in maniera significativa. Questo porta la merce a non essere più considerata come un elemento passivo è anonimo, ma diventa parte dello spettacolo Con il concetto di vetrina vi è infatti un’innovazione: Ha dato origine a un particolare modello di comunicazione. Cambia la disposizione delle merci: non più nascoste alla vista e ammassate alla rinfusa in retrobottega inaccessibili al pubblico o in armadi chiusi da cui il venditore le preleva per magnificarle, ma esposte sia in vetrina sia all'interno del negozio per cercare di catturare lo sguardo e il desiderio dei clienti. Muta il ruolo del venditore che non è più intermediario tra il consumatore e la merce, ma il consumatore è emancipato, autonomo e competente nell’acquisto. L’arte dello sguardo La società è fortemente interessata ad osservare la vita degli altri, già con i reality vi era l’obiettivo di osservare cosa si facesse all’interno di essi, creando un clima di interesse nei confronti della vita privata di alcuni soggetti. Lo stesso ragionamento è applicabile per le merci: mentre prima il consumatore, acquistava un prodotto senza utilizzare lo sguardo ma basandosi sul consiglio del venditore, ora compra una merce grazie all’esposizione di essa, tramite l’utilizzo dello sguardo attraverso la vetrina. È importante quindi l’arte dello sguardo, l’uso della vista, la passione per l’immagine (si sta sviluppando sempre di più una cultura visuale). La visibilità e l’apparenza diventano prioritarie rispetto ai contenuti e alla sostanza. Sono infatti gli occhi dei “consum-attori” ad avere il compito di catturare lo sguardo, hanno un potere seducente di esposizione. Lo specchio e la costruzione dell'immagine Inoltre, spostando l'attenzione dagli oggetti ai soggetti, occorre ricordare che se è vero che uomini e donne sono sempre stati attenti alla propria immagine, è soltanto a partire dal Seicento. La progressiva diffusione nelle case benestanti dello specchio, ha permesso la crescita di consapevolezza dell'importanza del proprio aspetto esteriore. Le persone offrono un'immagine di sé attraverso l'esposizione e l’ostentazione di: Oggetti dotati di un elevato valore economico e caratteristiche di visibilità riconosciuta ("Status symbol"): borse firmate, fuoristrada, smartphone etc. Un corpo esteticamente «bello e curato» (non solo abbigliamenti, ma anche tatuaggi, piercing, capelli, unghie, accessori). Sfera pubblica e sfera privata Con il 1800, lo sviluppo del processo occidentale di civilizzazione ha prodotto la necessità di una progressiva separazione tra la sfera pubblica e quella privata della vita umana. Si tratta però di un processo riguardante principalmente la borghesia, infatti prima dell'avvento al potere della borghesia, tutto avveniva per strada e la sicurezza degli individui era garantita dalla solidità dei legami comunitari esistenti. In seguito, con il diffondersi del benessere economico, questo modello si è esteso anche ai ceti popolari. Iper consumo L'iper consumo, ovvero la definizione dei modelli di consumo attuale, è un modello ad oggi applicato anche alle relazioni sociali. La spinta a rendersi sempre più attraenti agli occhi degli altri nasce proprio dalla coltivazione dell'arte dello sguardo che il concetto di vetrina ha portato con sé e che, nella logica della vetrinizzazione sociale, si è tradotto anche nell'ambito delle relazioni umane. Da qui la tendenza a tenersi sempre aggiornati ed ad avere le ultime novità alla mano, gli ultimi prodotti usciti. I soggetti diventano sempre più attraenti quanto più sono aggiornati alle ultime innovazioni di prodotto. Vetri III e IV (corpo + vet.digitale) Vetrinizzazione sociale Si è passati dal modello aristocratico al modello borghese: la vita privata viene considerata «Proprietà privata» (liberalismo): recinti, cancelli, etc. Nasce un concetto complesso di privacy (personali, dati sensibili…) accompagnato dal superamento barriera tra dimensione pubblica e privata: il privato viene esibito in pubblico quotidianamente Un esempio sono le conversazioni tramite cellulare che vengono effettuate senza problemi in luoghi affollati o l’esibizione di se stessi sui social media. Il racconto di aspetti della vita privata, l’esposizione pubblica di situazioni personali diventa «normale», ma soprattutto ottimale. “Vetrinizzarsi” non è infatti un semplice mostrarsi, ma comporta la possibilità di trattenere qualcosa per sé, di difendere la propria dimensione interiore. Gli attori sociali che si mettono in vetrina si espongono allo sguardo degli altri e non possono sottrarsi ad esso: tutto dev'essere esposto e non è possibile lasciare nascosti sentimenti, emozioni o desideri. Il mito della trasparenza La vetrina comunica attraverso la una trasparenza, il consumatore considera più veritiero il prodotto tanto più considera lo stesso prodotto come realtà. Vi è un chiaro parallelismo tra il vetro della vetrina e lo schermo dei dispositivi: così come un oggetto più viene esposto più viene considerato reale, allo stesso modo un individuo viene considerato altrettanto reale quanto più si espone sui social, sullo schermo di un dispositivo. L’esposizione tramite i social è un modo per comunicare la nostra identità, un modo per trasmettere fiducia negli altri individui. La nostra viene definita come la «Società della trasparenza»: nelle comunità si conoscevano tutti, ad oggi, nelle realtà urbane si interagisce con «sconosciuti», si passa da legami forti e di aiuto a reti sociali di legami deboli. Si crea un “palcoscenico digitale/emozionale”: si riferisce alla possibilità di mostrare tutte le nostre sfaccettature, comprese quelle più intime ed emotive. Si tratta di un duplice processo che coinvolge sia i personaggi che le persone, in cui la possibilità di “vetrinizzarsi” consente a ciascuno di esprimere la propria forza, come se fosse un attore su un palcoscenico. Quando agiamo in questo modo, percepiamo di avere il controllo, come se fossimo in grado di gestire noi stessi. Questa dinamica avviene tramite lo schermo, che diventa il mezzo attraverso cui esponiamo le nostre emozioni, rendendo visibili le nostre parti più intime con una certa trasparenza. I personaggi, inizialmente considerati come “star”, vengono coinvolti in processi di vetrinizzazione e diventano oggetto di modelli economici. Da icone, si trasformano in attori delle piattaforme digitali, adattandosi ai nuovi tempi. Più sono autentici e genuini, più si avvicinano a una dimensione “mondana”, diventando sempre più parte integrante della cultura digitale. Vetrina digitale e self-branding Oggi è soprattutto all'interno di Internet che il processo di vetrinizzazione degli individui si va diffondendo. Il termine “Branding” significa costruire intorno ad un oggetto simbolico una comunicazione in grado di attirare il consumatore sui simboli e significati, su qualcosa di immateriale. E il Packaging permette di attribuire un valore funzionale al valore simbolico, esso si afferma con la cattura dello sguardo (CDO) I profili personali sono strumenti di autopromozione, dove si inserisce la propria foto migliore e si raccontano gli aspetti più socialmente attraenti di se stessi: esibizione di corpi «estetizzati». Le strategie di self branding consistono nel pubblicare contenuti di sé in grado di: Catturare l'attenzione Capacità di emozionare Ricevere approvazione Efficace per misurare l’approvazione del self branding è l’utilizzo di reazioni ed eventuali recensioni attraverso le KPI (Key Performance Indicators). Si tratta di indicatori che analizzano l’efficacia della performance.Noi tutti facciamo parte di questo sistema diventando delle micro-celebrità, e gli influencer non sono altro che delle merci in vetrina poste per vendere altra merce. Tra vetrina e schermo, la realtà dietro ad esso Lo schermo e la vetrina condividono lo stesso schema concettuale: Sono entrambi rettangoli Trasparenti Mettono in mostra Apparenza di «vero e reale» Hanno come obiettivo quello di coinvolgere il consumatore/utente (creando una fusione con lo spettatore) Con la neotelevisione degli anni '80 si lascia sempre più spazio al pubblico, il quale non viene più considerato solo «spettatore», ma protagonista. Gli schermi odierni sono in grado di dare vita ad una sensazione di fusione con lo spettatore che ha cominciato ad serie parte del palcoscenico televisivo, fino ad arrivare alla creazione dei reality show (i quali hanno successo in quanto gli individui trovano interesse nei confronti della vita privata di altri soggetti). Avviene così un passaggio: ciò che viene considerato reale si mescola con la percezione di trasparenza nelle conversazioni. Nella realtà, però, queste figure non sono veramente “reali”, ma suscitano un senso di apparenza e di trasparenza, creando un’illusione di verità che sembra autentica. Si passa così da una sensazione di trasparenza a una percezione di realtà, fino ad arrivare a quella che appare come una verità, sebbene spesso sia solo apparente. La società dell'intervista Foucault (1978) con il modello dell’intervista, che proviene dalla confessione cattolica, sostiene che molte pratiche quotidiane sono parte di comportamenti attraverso i quali gli individui tentano di ottenere una qualche purificazione con se stessi. Da questo modello deriva l’idea di apertura del privato nei social media: Quando un individuo si confessa, si aspetta che dall’altra parte ci siano domande, commenti e riflessioni. Si tratta di un modello espositivo: più un soggetto è trasparente, più accresce la sua credibilità. I primi dispositivi che consolidano questo modello sono i blog, che seguono un formato diaristico. In questo modo, attraverso il diario, si raccontano eventi quotidiani o qualsiasi altra esperienza personale. Osservazione reciproca Nella società dell’osservazione, il “guardare” e il “vedere” stanno acquisendo un’importanza sempre maggiore, sostituendo spesso il dialogo e la comunicazione verbale. In questo contesto, si applicano metodi di osservazione per conoscere, dando vita a un processo di decodificazione: ciò che mostriamo diventa il prezzo da pagare per accedere e visualizzare i contenuti altrui. Gli strumenti di comunicazione contemporanei, infatti, favoriscono un confronto continuo con gli altri: attraverso di essi sappiamo cosa fanno gli altri e, viceversa, gli altri sanno cosa facciamo noi. In questo scenario, l’osservazione precede il dialogo, e chi è osservato tende a essere più disponibile a osservare gli altri. Ci sono diversi tipi di “sguardi” che interagiscono in questo sistema: Gli sguardi del pubblico connesso: osservano, reagiscono e agiscono, creando un’interazione continua. Gli sguardi delle grandi corporate: le piattaforme digitali, che possiedono i dati e monitorano le nostre vite, trasformandole in “dati” utilizzabili. Gli sguardi delle aziende che pianificano la pubblicità online: sfruttano i dati per mirare alle azioni del pubblico. In questo sistema, l’osservazione diventa una forma di conoscenza e interazione costante, dove ogni sguardo contribuisce a plasmare il comportamento e la realtà digitale di ognuno. Capitalismo di sorveglianza Oggi ci troviamo di fronte a persone che “parlano”, ovvero che si espongono volontariamente alle tecnologie di sorveglianza imposte dal capitalismo contemporaneo. Viviamo in una società in cui gli individui partecipano attivamente a processi in cui vengono osservati, contribuendo così al buon esito delle pratiche di sorveglianza che li riguardano. In questo contesto, chi è osservato, a sua volta, diventa osservatore, creando un circolo reciproco di visibilità e monitoraggio. Il modello economico odierno si basa su piattaforme digitali e algoritmi, che hanno l’obiettivo di prevedere e influenzare il comportamento degli utenti, con lo scopo di ottenere profitto. In questo sistema, l’esposizione dei propri dati è considerata il “prezzo” da pagare per poter mostrare il proprio sé, entrando a far parte di un processo che valorizza l’esperienza umana come materia prima. In altre parole, le nostre vite, i nostri comportamenti e le nostre emozioni diventano dati da sfruttare, mentre noi stessi, consapevolmente o meno, partecipiamo a questa dinamica di visibilità e sorveglianza. Vetri V e VI (Selfie + Politica) Il corpo è una parte fondamentale di noi che ci accompagna sempre. La consapevolezza della nostra corporeità si sviluppa quando l’aspetto esteriore, attraverso uno specchio o una “vetrina”, comunica qualcosa agli altri. Alcuni aspetti del corpo sono più evidenti e gestibili, come la capacità di adattarsi ai canoni sociali e di “gestirsi” come se fossimo manager di noi stessi. Self branding: il corpo diventa un mezzo per “vendere” noi stessi, con valenze simboliche. Un esempio di questi canoni sociali è il concetto di “giovane è bello”, che riflette la paura dell’invecchiamento e il desiderio di combattere contro il processo di invecchiamento stesso, utilizzando altri modi per esprimere il nostro essere. Il successo del selfie Una delle principali forme di fotografia oggi è quella che facciamo su noi stessi: il selfie. Questa fotografia del nostro volto è particolarmente potente nella comunicazione, poiché il volto è la parte del corpo che simbolicamente ha maggiore capacità comunicativa. Molti selfie hanno come protagonista il viso, ma anche lo sfondo in cui vengono scattati gioca un ruolo importante. Gli sfondi possono essere di due tipi: 1) Privato: il selfie racconta momenti della nostra vita privata, spesso ambientati in casa, legittimando la gestione della comunicazione di questi aspetti intimi. 2) Pubblico: il selfie viene scattato in luoghi pubblici, accessibili a tutti. Quando facciamo selfie, ne scattiamo diversi per scegliere quello che meglio rispecchia la nostra idea di bellezza e gusti personali. Spesso, prima di pubblicarli, li modifichiamo tramite editing, e poi li condividiamo, aspettando reazioni e possibili interazioni. Il selfie certifica la nostra presenza in un flusso di comunicazione online, creando una sorta di “presenza” che è, però, effimera, poiché quando il selfie viene pubblicato, è già passato. Si può dire che il selfie “cronicizza” la vetrinizzazione, dando l’illusione di trasparenza e autenticità. Non c’è un fotografo che media l’immagine, siamo noi stessi a “metterci in vetrina”, senza un intermediario. La fotografia ha avuto storicamente il ruolo di esorcizzare l’idea della morte, offrendo una sorta di immortalità attraverso i ricordi. Nel corso dei secoli, l’umanità ha cercato di fermare il tempo con monumenti, ritratti e autoritratti, inizialmente appannaggio di élite sociali. Con l’avvento della fotografia, però, questa possibilità è diventata accessibile a tutti, e la fotografia ha permesso alle persone di catturare momenti da ricordare, esternandosi e vedendosi riflessi nel “vetro” della pellicola. Il selfie rappresenta un’apparente cattura della realtà, un momento che però è già passato nel momento in cui viene immortalato. Con il digitale, il selfie è diventato un atto immediatamente manipolabile e riproducibile, dando l’impressione di una “vita” che può essere costantemente rifatta, modificata e condivisa. Quando condividiamo un selfie, ci esponiamo al giudizio di chi lo guarda, attivamente o passivamente, nelle piattaforme digitali. Questi scatti sono visti come auto-ritratti identitari, poiché c’è un legame fisico e simbolico tra chi scatta e ciò che la fotografia rappresenta. Il selfie ci permette di raccontare la nostra vita, un bisogno umano che risponde alla paura di essere dimenticati. Ma questo racconto è anche effimero: potrebbe essere ignorato o svanire nel nulla, creando un paradosso tra il desiderio di essere visti e la possibilità che nessuno se ne accorga. Uno degli aspetti critici dei selfie e dei social media è che vengono accusati di alimentare il narcisismo. Tuttavia, questa è una visione riduttiva: i social non creano il narcisismo, sono solo un riflesso di dinamiche sociali già esistenti. Politica e media Il fenomeno della vetrinizzazione digitale si estende anche alla politica, che ha risposto alla crisi del contatto diretto con gli elettori, dovuta alla crescente mediatizzazione, con un uso sempre più strategico dei media. Ad esempio, politici come Mussolini sono stati pionieri nel comprendere l’importanza della comunicazione mediatica. Con l’arrivo della televisione, i leader politici sono stati obbligati a confrontarsi con la vetrinizzazione, utilizzando immagini e linguaggi accessibili a un pubblico di massa. Un esempio di “brand politico” è Silvio Berlusconi, che ha saputo costruire un’immagine di sé giovane e vincente attraverso una comunicazione populistica e un linguaggio leggero. Questa capacità di essere mediatizzati è diventata un elemento chiave per il successo politico, tanto che un politico mediatizzato può essere considerato come un “brand”, la cui immagine deve rimanere sempre fresca e riconoscibile, come un prodotto sugli scaffali di un supermercato. Infine, esempi come Barack Obama e Donald Trump, dimostrano come la politica moderna si sia trasformata in un gioco di immagini e comunicazione, dove l’apparenza e la capacità di interagire con il pubblico sono diventate determinanti per il successo.