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This document provides an overview of temperament, covering definitions from various theorists and exploring its biological and psychological aspects. It also discusses the role of temperament in children's development and behavior.

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TEMPERAMENTO Allport; Strelau (Teoria Regolativa del Temperamento): studioso polacco che riceve la formazione della scuola sovietica, ovvero quella dei russi (Vygotskij); Buss e Plomin; | Thomas e Chess; | Rothbart; in uenze della scuola norda...

TEMPERAMENTO Allport; Strelau (Teoria Regolativa del Temperamento): studioso polacco che riceve la formazione della scuola sovietica, ovvero quella dei russi (Vygotskij); Buss e Plomin; | Thomas e Chess; | Rothbart; in uenze della scuola nordamericana Kagan; | gli sviluppi… La personalità è determinata sia dai tratti temperamentali, sia dall’autoe cacia e dal modo in cui le persone elaborano le informazioni. Quindi la personalità conterrebbe anche parte dei tratti biologici, ovvero quelli temperamentali, che i ricercatori hanno studiato come variabile biologica. Infatti, il temperamento ha una natura biologica. Mentre nella personalità, alcuni teorici dei tratti dicono che i tratti sono biologicamente determinati (Mcrey e Costa), altri studiosi sono partiti dicendo che personalità e tratti sono qualcosa che si costruiscono nel tempo (Allport). Le linee di studio della personalità e del temperamento, per un lungo periodo, sono andate avanti in modo parallelo, per questo i ricercatori ci hanno messo un pò a capire se i tratti di personalità sono a qualche livello sovrapponibili a quelli del temperamento. Infatti, gli psicologi della personalità si sono occupati prevalentemente di popolazioni adulte, gli psicologi del temperamento invece studiavano i bambini piccolissimi (appena nati), proprio perché si ipotizzava l’origine biologica del temperamento. Le prime due linee teoriche di studio del temperamento sono state quelle di Thomas e Chess (anni 60) e di Mary Rothbart (poco dopo). Quando si ha a che fare con lo studio infantile si raccomanda negli studi di adottare un approccio MULTINFORMATORI e MULTIMETODO (più osservatori che osservano la stessa cosa e compilano check- list, osservazioni in tempo reale, questionari, interviste ai genitori…) TEMPERAMENTO: DEFINIZIONE E PRINCIPALI CONTRIBUTI DI RICERCA Se nello studio della personalità ci è voluto molto per arrivare ad una de nizione condivisa, gli studi sul temperamento si riescono ad accordare più velocemente. Un grandissimo contributo è stato fornito dalla de nizione di Allport, e successivamente gli studiosi del temperamento si sono accordati sulla de nizione di Bates, che è quella a cui più si fa riferimento. Il Temperamento consiste nelle di erenze individuali a base biologica rilevabili nel comportamento: →che compaiono molto precocemente; →sono relativamente stabili nel corso del tempo e in situazioni (sociali) diverse. (Dire che sono relativamente stabili permette di ammettere un eventuale cambiamento). Il temperamento coinvolge tre grandi aree: EMOZIONI, che riguardano la risposta emotiva/ la positività e negatività; ATTENZIONE; ATTIVITÀ MOTORIA, dove si registra il vigore/ la frequenza/ l’autoregolazione. Quindi, è come se fosse un potenziale biologico all’origine delle risposte che diamo a determinati stimoli (interni ed esterni). Si parla di di erenze di natura biologica all’origine, che nonostante siano all’origine, nel corso del tempo, possono portare ad esiti diversi da individuo a individuo. Abbiamo a che fare con aspetti sovrapponibili ad alcuni tratti. 0) IPPOCRATE è stato il primo in assoluto a parlare di temperamento, con i 4 temperamenti (melanconico, emmatico, collerico, sanguigno). 1) ALLPORT è stato uni tra i primi a parlare di temperamento, a ermando che questo si riferisce ai fenomeni caratteristici di un individuo rispetto alla natura emotiva, compresa la sua suscettibilità agli stimoli emotivi, la sua abituale forza e velocità di risposta, la qualità prevalente dell’umore e tutte quelle peculiarità che consentono la uttuazione e l’intensità dell’umore; questi fenomeni sono considerati dipendenti dalla costituzione e quindi in gran parte di origine ereditaria (quindi l’origine del temperamento per Allport è in gran parte ereditaria). Rispetto alle aree della de nizione utilizzata ad oggi, Allport non si era molto allontanato. fi fl fl fl fi ff ff ff ffi fi fi Questa de nizione si riferisce agli aspetti formali del comportamento, ovvero aspetti di reattività, di attività, di resistenza, di rapidità (e per questo rimanda alla de nizione di Thomas e Chess). Diversi livelli di reattività, attività, resistenza e rapidità nei vari bambini sono i fattori da considerare per descrivere le di erenze individuali iniziali (es. ci sono bambini che una volta appoggiati sul letto si muovono molto, altri che invece sono molto tranquilli e fermi, ci sono bambini che piangono tanto, altri che piangono poco…), sottolineando contemporaneamente la natura emotiva che muove questi fattori. 2) PAVLOV contribuisce agli studi sul temperamento perché avvia un’indagine sistematica sulle relazioni tra funzionamento del sistema nervoso e comportamento, individuando tre caratteristiche del SN: - Forza, che indica la capacità di lavoro delle cellule corticali; - Equilibrio, ovvero la relazione tra forza dei processi eccitatori e forza dei processi inibitori, che sono implicati nella risposta; - Mobilità, che è la capacità di alternare processi eccitatori ed inibitori in relazione ai cambiamenti dell’ambiente. (Possibile domanda in cui chiede chi è l’autore che raccoglie questi tre elementi). Abbiamo a che fare con processi di autoregolazione poiché si fa riferimento alla capacità dell’individuo di reagire o di inibire le proprie risposte. Esistono di erenze nella regolazione delle proprie risposte, in base a questi tre elementi ma anche in funzione del contesto ambientale (poiché la regolazione avviene anche di seguito a cambiamenti ambientali). 3) STRELAU, partendo dalle osservazioni di Pavlov, propone la Teoria Regolativa del Temperamento dove il temperamento corrisponde ad un insieme di caratteristiche stabili, determinate da meccanismi neurologici ed endocrini che sono presenti n dalla nascita e sono soggetti a lenti cambiamenti. L’idea di base è che le di erenze individuali del temperamento sono identi cabili nel livello di energia del comportamento (di erenze nell’attività e nella reattività di un individuo) e nelle caratteristiche temporali delle reazioni (di erenze in velocità, mobilità, durata, ritmicità). Bisogna però tenere di conto che le sue osservazioni sono state fatte su una popolazione adulta. Ciò vuol dire che lenti sono i cambiamenti che avvengono in una popolazione adulta, ma quando si è iniziato ad osservare i bambini si è notato come questi cambiamenti non fossero a atto lenti. Per questo è considerato un faro per gli studiosi nordamericani. 4) BUSS E PLOMIN, genetisti del comportamento, indagano l’ereditarietà, ovvero le basi ereditarie del temperamento, nell’ambito di studi longitudinali condotti soprattutto su coppie di gemelli. Assimilano il temperamento a tratti di personalità che non si acquisiscono dall’interazione con l’ambiente e che sono molto stabili (tratto di personalità=tratto temperamentale). Es. considerando i big ve, l’apertura mentale è un tratto di personalità molto lontano da una provenienza biologica/ereditaria. Es. considerando i big ve, l’energia/estroversione (che rimanda all’attività, all’entusiasmo, alla socievolezza) è un tratto di personalità più vicino ad avere una provenienza biologica/ereditaria. Non a caso Buss e Plomin parlano di Struttura EAS del temperamento: - Emozionalità: tendenza ad entrare facilmente in agitazione e sperimentare emozioni stressanti (es. paura, rabbia…); - Attività: ri ette i livelli di stimolazione ottimali dell’individuo e si manifesta nella forza e velocità dei movimenti; - Socievolezza: riguarda le tendenze a liative, come la preferenza a stare con gli altri e a ricercare grati cazioni sociali 5) THOMAS E CHESS, sono i primi ad osservare i pattern di reazione primari (“Primary reaction patterns”), grazie ad interviste longitudinali con genitori di bambini piccoli: STRUTTURA DEL TEMPERAMENTO: NEW YORK LONGITUDINAL STUDY (Thomas, Chess, Birch, Hertzig, & Korn, 1963). →È uno tra i primi studi (longitudinali) sul temperamento che ha come oggetto di studio gli schemi di reazione primaria; ed è fatto su un campione di 22 bambini dai 3 ai 6 mesi (il campione poco numeroso e dimostra quanto fosse la prima volta che si a rontava un tema del genere e evidenzia la sua importanza). La procedura di riferimento utilizzata è un’intervista con genitori sui loro bimbi. fi fl fi ff ff fi ff fi ffi fi ff fi ff ff fi ff Secondo questi due psichiatri, il temperamento riguarda lo “stile” (=modo) del comportamento e svolge un’attività di mediazione nel rapporto dell’individuo con l’ambiente. Si fa riferimento allo stile, quindi a come un’individuo si comporta, e non ai contenuti/signi cati del comportamento (=il perché di un comportamento) che invece fanno riferimento alla personalità. Sin dall’inizio indicano l’importanza dell’interazione con l’ambiente, quindi tengono conto dell’espressione del temperamento nel contesto ambientale. Individuano 9 dimensioni temperamentali che variano di gradualità da bambino a bambino, e che rappresentano il primo tentativo di classi cazione delle caratteristiche del temperamento: - Livello di attività, componente motoria, ovvero il livello di attività sica e mentale di un bambino (dinamicità vs tranquillità); - Ritmicità, regolarità nelle routine quotidiane/funzioni biologiche come alimentazione, cicli sonno-veglia (adattarsi ad una routine vs non riuscire a farlo); - Approccio o Ritirata, avvicinamento o allontanamento davanti a situa/stimoli nuovi (curiosità vs di denza); - Adattabilità, facilità con cui un bimbo si adatta a cambiamenti/ a stimoli che cambiano (in poco tempo vs in più tempo); - Qualità dell’umore, tendenza ad essere più felice o più scontento, quindi ad avere un umore positivo o negativo; - Intensità, livello di energia delle reazioni o forza della reazione emotiva in situa particolari (reazioni intensamente forti sia in positivo che negativo vs reazioni moderate); - Distraibilità, facilità con cui un bambino viene distratto da stimoli esterni; - Sensibilità, che indica la soglia di responsività agli stimoli lievi, quindi la reazione di un bimbo a stimoli sici o ambientali, es. poca/tanta sensibilità a luci, suoni, rumori, temperature…; - Persistenza, riguarda il grado e la durata dell’attenzione e quindi rimanda alla capacità di persistere in determinato compito/lavoro nonostante le di coltà (persistenza vs arrendevolezza). A partire da questa prima tassonomia, altri studiosi hanno sviluppato degli strumenti (questionari) per poterle misurare e dalla misurazione sono poi emersi 3 pro li temperamentali: FACILE: bimbi che non hanno problemi ad adeguarsi a situazioni diverse, sono tranquilli/si fanno consolare facilmente e tendenzialmente hanno reazioni emotive positive (umore positivo). Si adattano facilmente alle routine e hanno cicli sonno-veglia, alimentari regolari (regolarità delle funzioni biologiche). Inoltre, non hanno elevata intensità nelle risposte → si adattano facilmente all’ambiente; DIFFICILE: bimbi che hanno problemi ad adattarsi o si adattano lentamente ed hanno reazioni emotive tendenzialmente negative (umore negativo). Hanno ritmi poco regolari (irregolarità delle funzioni biologiche). Inoltre, hanno elevata intensità delle risposte, con alti livelli di attività e pianto frequente con di coltà nel farsi consolare → di coltà ad adattarsi all’ambiente; LENTO A SCALDARSI: iniziale titubanza e di denza davanti alle novità, prime risposte negative e spaventate ma poi piano piano si integrano e si fanno consolare dal caregiver. Hanno reazioni di moderata intensità e una discreta regolarità dei ritmi. Questa prima tassonomia però è un pò grossolana ed è basata sulle osservazioni che i genitori riportano (infatti l’etichetta non riguarda le caratteristiche dei bambini, bensì le caratteristiche che i caregiver attribuiscono loro, e che denotano gli e etti del temperamento sulla persona che se ne prende cura). Si dovranno aspettare gli studi di Mary Rothbart per dei modelli temperamentali più accurati. Inoltre, Thomas e Chess, attraverso il concetto di Bontà di Adattamento spiegano in che modo il temperamento interagisce con l’ambiente. Tra temperamento e ambiente interpersonale c’è una reciproca in uenza: l’ambiente in uenza il temperamento del bambino e questo ultimo in uenza le valutazioni, gli atteggiamenti e il comportamento delle persone che sono intorno a lui. Si parla di Bontà di Adattamento quando c’è consonanza tra le caratteristiche temperamentali del bambino e le aspettative/richieste/opportunità provenienti dall’ambiente (match). Al contrario, si parla di Disadattamento quando non c’è consonanza (mismatch). Es. se un bambino lento a scaldarsi nasce in un contesto familiare dove i due genitori sono molto attivi ed energici, questi genitori in partenza hanno delle aspettative sul bimbo che si basano su come sono fatti loro. Potrebbero cercare di rendere attivo il bambino in un modo non consono con le sue caratteristiche di base→ si crea un mismatch tra quelle che sono le caratteristiche del genitore e quelle del bimbo. Oppure Es. L’insegnante con delle caratteristiche temperamentali emmatiche e moderate (lenta a scaldarsi), ha in classe dei bimbi con livelli di attività vario. Ma ciò che incide sulla valutazione dell’attività bambino sarà ciò che l’insegnante reputa un livello di attività moderato sulla base della sua esperienza e del suo modo di fi fl ffi ffi fl fi ff ffi ffi ffi fl fi fi fl fi essere→ si crea un match se le caratteristiche del bambino sono allineate con le caratteristiche e quindi credenze dell’insegnante, e viceversa. 6) KAGAN, parallelamente a Thomas e Chess, a erma che, più che guardare gli aspetti dimensionali (intensità e frequenza) delle risposte date nei questionari, bisogna adottare un’osservazione categoriale: quindi, pur mantenendo un medesimo pro lo temperamentale, l’espressione fenotipica può essere diversa:. Es. Se si valuta la reattività di un bambino, questa sarà identi cata da caratteristiche diverse in base alla fascia di età del bambino. Quindi la reattività può essere categorizzata secondo alcune caratteristiche che sono rintracciabili nel bambino in alcuni mesi, ma non in quelli successivi (e per rintracciarli nei mesi successivi ci saranno altre caratteristiche per categorizzarla) - i neonati davanti a stress e stimoli nuovi agitano le gambe e rispondono piangendo; - dai 14 ai 21 mesi davanti a stimoli/persone sconosciute ci si aspetta una risposta di paura; - a 4 anni e mezzo davanti a stimoli/persone sconosciute ci si aspetta che siano meno socievoli. Tra le varie categorie, nonostante cambiano nel tempo, c’è comunque un legame di continuità che permette di ricondurle alla dimensione originale. Usa un’osservazione qualitativamente più ra nata, basandosi sulle conoscenze emerse negli studi precedenti, ampliandole e migliorandole. 7) ROTHBART, nello sviluppare la sua teoria e i suoi studi longitudinali, è in uenzata da Allport, Strelau, Thomas e Chess. Però, a di erenza di Thomas e Chess, la Rothbart ha un livello di osservazione molto più so sticato perché non si basa su interviste fatte ai genitori dei bambini. Rothbart fa un po' il processo opposto a quello che hanno fatto gli psicologi della personalità. Gli psicologi della personalità hanno iniziato dalla popolazione adulta ad individuare i tratti di personalità e poi pian piano si sono spostati verso la popolazione in fase di sviluppo. E lei quindi inizia con gli studi nella primissima infanzia, seconda infanzia, adolescenza e poi età adulta. Per fare ciò sviluppa una famiglia di strumenti (=questionari) per misurare il temperamento nel corso dello sviluppo, no a raggiungere anche la misurazione del temperamento in età adulta. Le scale della Rothbart hanno item che sono formulazioni relative ad eventi/situazioni speci che, e riguardano la tendenza a fare qualcosa quando qualcos’altro ci sta impedendo, quindi misurano la forza volontaria che si mette per inibire una risposta dominante. Quando parliamo di misura del temperamento nella primissima infanzia evidentemente parliamo di questionari che vengono somministrati ai caregiver (=genitori, educatori…). In pre-adolescenza, in adolescenza e in età adulta si inizia a poter somministrare questionari per l'autovalutazione. Si può dire che, quando parliamo di osservazioni di età molto precoci, gli informatori sul temperamento dei bambini devono essere solitamente informatori esterni e multipli. Lavorando con fasce di età molto precoci, la Rothbart a anca all'uso di reti di questionari anche l’osservazione. Tratti di personalità e tratti temperamentali_ Qual è la distinzione sui grandi fattori della personalità e i fattori individuati dalla Rothbart? Quando parliamo di dimensioni temperamentali parliamo di dimensioni più ra nate che colgono aspetti speci ci, dimensioni che sono più sensibili e dettagliate, mentre il Big Five sono dimensioni ampie e che, per questo, vengono utilizzate meno frequentemente. La letteratura su questo è chiara: i BigFive rappresentano delle macro dimensioni, delle tendenze generali, mentre le caratteristiche e i tratti temperamentali sono delle dimensioni più fini e specifiche, che probabilmente servono anche alla costruzione di tratti di personalità più ampi. Quindi il temperamento viene prima e i tratti di personalità possono essere anche parte di una costruzione sociale. La base biologica di alcuni tratti individuati dalla Rothbard sono di sicuro interesse e rilevanza per lo sviluppo. De nizione di temperamento_ Rothbart e Bates (1998) de niscono il temperamento come le di erenze individuali a base costituzionale nella REATTIVITÀ e nell’AUTO-REGOLAZIONE, osservabili nei domini dell’emozionalità, dell’attività e dell’attenzione. Base costituzionale: il temperamento ha basi biologiche, ed è in uenzato nel tempo dalla ereditarietà, dalla maturazione e dall’esperienza. Esistono delle strutture speci che del sistema nervoso che regolano i sistemi di risposta: SNCPeriferico; Tono vagale e ritmi cardiaci; Livelli di cortisolo; Neuro-meccanismi legati allo stress. Le di erenze individuali si esprimono nel corso dello sviluppo attraverso i di erenti modi e tempi in cui giunge a maturazione la maggior parte dei sistemi. ffi fi fi ff fi ffi ff fi fi fi ffi ff fi fi fi fl ff fl ff Reattività e Autoregolazione: termini generali che organizzano il dominio del temperamento, costituiscono quelle che sono le basi biologiche. La REATTIVITÀ è la responsività ai cambiamenti interni ed esterni, che si manifestano a livello del sistema somatico, autonomo ed endocrino. Include: - Reazioni generali (es. emozione della paura, risposta cardiaca…) - Tendenze generali (es. emozionalità negativa…) Per misurare la reattività si valuta la latenza, la durata, l’intensità delle reazioni motorie, a ettive ed attentive (es. paura, rabbia, a ettività positiva). Le reazioni emotive possono includere anche tendenze all’azione (es. la paura predispone al freezing o all’attacco; l’emozionalità positiva predispone all’approccio). L’espressione o l’inibizione di queste tendenze comportamentali può a sua volta in uenzare le reazioni emotive. L’AUTOREGOLAZIONE riguarda le di erenze individuali nell’a ettività positiva e negativa, nell’attenzione, nell’attivazione e nell’inibizione del comportamento, che hanno lo scopo di modulare la reattività dell’individuo. L’EFFORTFUL CONTROL riveste una reale importanza nel corso dello sviluppo perché è il predittore di adattamento più avvalorato in diversi studi. È una dimensione che riguarda il controllo volontario con impegno, perché avviene in presenza di una capacità di inibire alcune risposte. Fanno parte dell’E ortful Control funzioni esecutive deputate alla piani cazione, al controllo e alla coordinazione del sistema cognitivo, correlate a diverse aree della corteccia prefrontale e ai relativi circuiti sotto-corticali. È costituito da tre dimensioni: - CONTROLLO ATTENTIVO (Attentional Control): è la capacità di focalizzare l'attenzione e al tempo stesso di spostarla quando occorre. Questa de nizione richiama l’attenzione sulla essibilità, ovvero quella capacità che ha a che fare con gli aspetti autoregolativi. (Es. quando il tratto della coscienziosità è troppo elevato l’individuo può arrivare ad alti livelli di rigidità e a non essere in grado di adattarsi o di essere essibile); - CONTROLLO ATTIVAZIONALE (Activation Control): riguarda la capacità di compiere un'azione quando esiste una forte tendenza a evitarla. È un costrutto più cognitivo poiché richiede livelli di impegno; - CONTROLLO INIBITORIO (Inhibitory Control): è la capacità di sopprimere risposte inappropriate, e quindi esprimere una reazione consona con il contesto. (Es. bassi livelli di controllo inibitorio possono far sì che una persona rida ad un funerale). Se la Reattività, quindi le reazioni emotive, può essere osservata sin dai primi mesi di vita, lo sviluppo di capacità di Controllo Volontario avviene nel corso della vita e va di pari passo con la maturazione del sistema nervoso, anche se esistono già dei precursori di questi elementi (es. quando il bambino piange impara in fretta che esistono delle strategie via via diverse per autoregolarsi: mamma, ciuccio, distrarsi…). Quindi, capacità Autoregolatorie sono presenti quando il bimbo è piccolo, ma si sviluppano gradualmente in concomitanza con la maturazione a livello neuro siologico. Lo sviluppo di queste capacità arriva no all'inizio dell'età adulta (perché ha a che fare con la corteccia prefrontale). In generale, ma specialmente quando si osservano variazioni nello sviluppo (atipicità), se l’ambiente è responsivo nei confronti del bambino, questo può offrire la possibilità di sviluppare al meglio le sue capacità autoregolatorie. Quando queste capacità sono deficitarie, intervenire per offrire ciò che manca al bambino diventa un intervento preventivo precoce, e l'interazione con l'ambiente diventa fondamentale. Il contesto fa la differenza. Rothbart e Bates (2006) a ermano che il temperamento descrive tendenze o disposizioni che non sono continuamente espresse, ma che richiedono precise condizioni che elicitano tali tendenze (es: i bambini paurosi non sono sempre inibiti, ma in situazioni nuove, improvvisi cambiamenti nella stimolazione, o segnali di punizione, sono particolarmente inclini a manifestare reazioni di paura; es: i bambini inclini alla frustrazione non sono sempre arrabbiati o irritati, ma quando qualcosa/qualcuno ostacola il raggiungimento del loro obiettivo, o c’è un fallimento delle loro aspettative, sono particolarmente inclini alla frustrazione). → nel corso del tempo gli aspetti reattivi e autoregolatevi del temperamento interagiscono sempre di più con le stimolazioni ambientali Struttura del temperamento_ A partire da Thomas e Chess, la Rothbart fa ricerche e studi sul temperamento che si concludono con una revisione della lista originale delle 9 dimensioni del temperamento individuate nel NYLS (New York Longitudinal Study). Questi studi sono fattoriali e vengono fatti su set di item molto ampi: A) Infant Studies; B) Childhood Studies… fi ff ff ff fl ff fl fi fi ff fi fl ff A) Dimensioni del temperamento in bambini neonati: si individuano i broad factors, ovvero fattori generali e le narrow dimensions, ovvero dimensioni speci che. EMOZIONALITÀ NEGATIVA → paura, rabbia, frustrazione/irritabilità, calo della reattività; ENERGIA/ESTROVERSIONE → approccio, sorriso e risata, reattività vocale, attività sica, piacere ad alta intensità, sensibilità percettiva; (emozionalità pos ≠ emozionalità neg) REGOLAZIONE → piacere a bassa intensità, coccolosità, consolabilità, durata dell’orientamento (?); RITMICITÀ B) Dimensioni del temperamento nei bambini: si cercano di studiare attraverso il CBQ (Children’s Behaviour Questionnaire). Questo questionario indaga 3 fattori temperamentali principali 1- Energia/Estroversione (Surgency/Extraversion): item che misurano l’approccio, il piacere ad alta intensità, l’attività, la timidezza (reverse). Si fa quindi rifermento all’estroversione e all’emozionalità positiva. 2- A ettività Negativa (Negative A ectivty): item che misurano la paura, la rabbia/frustrazione, il disagio, la tristezza, la consolabilità (reverse). Si fa quindi riferimento al nevroticissimo e all’emozionalità negativa. 3- E ortful Control: item che misurano il controllo inibitorio, la sensibilità percettiva, il piacere a bassa intensità e la capacità di concentrarsi. Si fa riferimento alla coscienziosità. La struttura del temperamento nei bambini è determinata dai broad factors e le rispettive narrow dimensions per descriverli. Temperamento e Big Five: E M O Z I O N A L I T À N E G AT I VA → NEVROTICISMO ENERGIA/ ESTROVERSIONE → ESTROVERSIONE EFFORTFUL CONTROL/ AUTO- REGOLAZIONE → COSCIENZIOSITÀ CONCORDANZA/ ADATTABILITÀ → AMICALITÀ C) Dimensioni del temperamento nella prima adolescenza: si cercano di studiare attraverso l’EATQ (Early Adolescent Temperament Questionnaire). Questo questionario indaga 4 dimensioni temperamentali. EMOZIONALITÀ NEGATIVA (NEGATIVE EMOTIONALITY) → paura, irritabilità, timidezza, tristezza EMOZIONALITÀ POSITIVA (POSITIVE EMOTIONALITY) → piacere ad alta e bassa intensità REATTIVITÀ (REACTIVITY) → sensibilità, reattività autonoma, attivazione AUTOREGOLAZIONE (SELF-REGULATION) → livello di attività, reattività autonoma, attivazione fi ff ff fi ff D) Dimensioni del temperamento in età adulta: si cercano di studiare attraverso l’ATQ (Adult Temperament Questionnaire), che indaga cinque dimensioni principali, che rimandano ai 5 grandi fattori della personalità (alcune dimensioni si sovrappongono come ad esempio quella dell’Estroversione, mentre altre si distinguono per esempio Orientino Sensitivity individuata dalla Rothbart non c’è in nessun altro questionario dei BigFive) AFFETTO NEGATIVO (NEGATIVE AFFECT) → paura, tristezza, disagio, frustrazione. - Paura in relazione all’anticipazione del disagio; - Tristezza in relazione all’abbassamento dell’umore e dell’energia derivante dall’esposizione alla so erenza, disappunto e perdita dell’oggetto; - Disagio che si origina dalle qualità sensoriali della stimolazione, inclusa l’intensità e la complessità dei sistemi di stimolazione visiva uditiva, gustativa e tattile; - Frustrazione in connessione all’interruzione di un compito o al blocco di un obiettivo. Quindi questi elementi possono dare delle informazioni più speci che rispetto al Nevroticismo del BigFive (sperimento disagio, tendo a diventare triste, sono solitamente triste, sono depresso…). ENERGIA/ ESTROVERSIONE (SURGENCY/ EXTRAVERSION) → socievolezza, a ettività positiva, piacere ad alta intensità. - Socievolezza riguarda il divertimento/piacere derivato dalle interazioni sociali e dallo stare con gli altri; - A ettività positiva riguarda la latenza, la soglia, l’intensità, la durata e la frequenza nell’esperienza del piacere (serve tanto/poco per evocare una risposta di piacere per me); - Piacere ad alta intensità riguarda il piacere connesso a situazioni in cui si sperimenta alta intensità, velocità, complessità, novità ed incongruità. In alcuni questionari di personalità che misurano i Big Five sarebbe collocato nell'Apertura Mentale, mentre qui è collocato nell’Estroversione. L’Estroversione è il tratto che possiamo con ampio consenso dire che ha un fondamento biologico sia come tratto di personalità sia come tratto temperamentale. Questo perché l'estroversione ha a che fare con quegli aspetti energetici del comportamento. Per la Rothbart è uno degli indicatori temperamentali più importanti già in fase neonatale perché in uenza il sorriso e la risata. Il sorriso e la risata sono i due indicatori dell'emozionalità positiva (e segnano già nelle prime fasi di vita le prime di erenze individuali: es. Ci sono quei bambini che al sorriso della madre rispondono più velocemente e appena uno li riguarda iniziano a sorridere). ASPETTI SENSORIALI E PERCETTIVI (ORIENTING SENSITIVITY) questa è una dimensione che non esiste in alcuna scala dei Big Five e riguarda quegli aspetti che sono ascrivibili agli elementi sensoriali e percettivi → sensibilità percettiva generale, sensibilità percettiva a ettiva, sensibilità associativa. - Sensibilità percettiva generale riguarda la capacità di rilevare stimoli deboli provenienti dal corpo e dall’ambiente (es. dettagli visivi di cilmente visibili raramente catturano la mia attenzione). Si ha quindi a che fare con una sensibilità a livello sensoriale, che riguarda il modo in cui le persone percettivamente sperimentano questi stimoli; - Sensibilità percettiva a ettiva riguarda la capacità di rilevare sensazioni di natura emotiva associate a basse stimolazioni (es. quando ascolto la musica di solito noto sottili aspetti emozionali); - Sensibilità associativa riguarda la capacità di sperimentare un’attività cognitiva che non è in relazione con gli stimoli esterni/ambientali (es. qualche volta ho pensieri, immagini nella mia testa che hanno poca connessione l'una con l’altra). AFFILIATIVENESS → emotional empathy, empathic guilt, social closeness. - Emotional empty, ovvero l’empatia emotiva, è la risposta a ettiva congruente con ciò che gli altri stanno provando; - Empathic guilt è il distress in risposta all’aver negativamente in uenzato gli altri (es. senso di colpa ogni volta che credo di aver ferito i sentimenti di qualcuno). Può essere considerata un insieme di emozioni morali che hanno a che fare meno con la biologia e forse più con le in uenze ambientali; - Social closeness, ovvero la vicinanza/prossimità sociale, riguarda sentimenti di calore, vicinanza e coinvolgimento con gli altri (ci sono persone con cui ci si sente più a ni/vicine). Si parla di empatia quando si prova immediatamente l’emozione provata dall’altro (solitamente si empatizza in situazioni negative). La simpatia o il distress personale sono le risposte che derivano dall'empatia. Infatti, una volta che si empatizza con qualcuno o qualcosa, dall’empatia possono derivare due risposte: una dove ci si preoccupa per l’altro e ciò porta a diventare prosociali, e una risposta di distress che invece porta ad essere egocentrati e riferiti a sé. ff ff ff ff ffi fl ff fl ff ffi fi fl ff Es. Vedo l'altro triste e sono anch'io triste. Per preoccupazione empatica, sono triste perché la sua tristezza mi evoca esperienze simili passate. Per esempio, un mio amico perde il genitore ed è triste. Io che ho perso i miei genitori empatizzo con lui, e sono triste per l'evento. Abbiamo la stessa tristezza, ma vado in ansia, in preoccupazione al ricordo della mia esperienza personale. Faccio qualcosa per il mio amico pensando a me/mi focalizzo su me stesso. La preoccupazione empatica è quindi è una risposta egocentrata. La simpatia (intesa come risposta simpatetica) è un decentramento io-altro, per cui una volta empatizzato, mi distacco da me, dai miei ricordi personali, e cerco invece di alleviare la tristezza dell’altro. Quindi preoccupazione empatica e simpatia sono due diramazioni possibili dell’empatia. Il primo livello dell'empatia è la risposta affettiva congruente, quindi l’empatia emotiva (il mio amico è triste, io sono triste). Il costrutto dell’affiliativenss della Rothbart non ha avuto un grande successo da un punto di vista di impiego del costrutto stesso. EFFORTFUL CONTROL è il costrutto più importante, ed è il predittore adattamento più avvalorato in diversi studi, ed è una reale importanza nel corso dello sviluppo → controllo attentivo, controllo inibitorio, controllo attivazionale. L'etichetta del controllo volontario, che rimanda allo sforzo (in inglese e ort=sforzo), ha a che fare con la Coscienziosità. Auto-somministrazione ATQ (dimensione e ortful control): 1- auto-somministrazione> 2- ricodi care item> 3- calcolare punteggi grezzi per ciascuna sotto-dimensione (i punteggi grezzi si ottengono sommando i punteggi indicati agli item)> 4- convertire i punteggi grezzi in punti z e t (standardizzati, ovvero punteggi che si esprimono in una scala standard). Gli item sono una serie di a ermazioni che le persone usano per descrivere se stesse, valutati su una scala Likert a 7 punti, che va da assolutamente falso, ad assolutamente vero, e che comprende la possibilità di non risposta (x= non applicabile). ff fi ff ff Esempi: Sono spesso in ritardo agli appuntamenti; Spesso faccio programmi che poi non porto a termine; È facile per me non mettermi a ridere in quelle situazioni in cui ridere sarebbe inopportuno; Se vengo interrotto o distratto, di solito, riesco a riportare facilmente la mia attenzione su quello che stavo facendo prima… Gli item possono essere formulati nella stessa direzione della dimensione che si sta misurando, o nella direzione opposta. Le dimensioni che fanno parte dell’E ortful Control sono: activation control, attentional control, inhibitory control. PROFILO MEDIO: - punteggi medi nelle due sottodimensioni di emozionalità negativa; - medio inhibitory control; - medio/medio-basso attentional control; - medio activational control. Pro lo sostanzialmente adattato: adeguato adattamento emotivo e buone capacità di inibizione comportamentale e attentive. Risposte e reazioni emotive di rabbia-frustrazione o tristezza non frequenti, umore tendenzialmente stabile e positivo. Adeguatamente in grado di inibire comportamenti e reazioni emotive inadeguate rispetto al contesto o all’ambiente, e in grado di mantenere l’attenzione focalizzata sul compito. Abilità di attivare comportamenti adattivi anche in assenza di motivazione a farlo su cienti. PROFILO EMOTIVO-REGOLATO: - punteggi alti in rabbia e tristezza; - medio/medio-alto di activational control; - medio in attentional control - medio-basso inhibitory control. Per quando riguarda il pro lo emozionale c’è una compromissione nella sfera emotiva ma un adattamento dal punto di vista regolatorio. Frequenti risposte emotive di rabbia e tristezza in risposta ai propri stati interni o agli stimoli ambientali; frequente frustrazione. Di coltà nell’inibire comportamenti inappropriati, ma adeguate capacità di intraprendere attività e comportamenti più funzionali. Livelli di concentrazione e di focus attentivo nella media. PROFILO EMOTIVO-DISREGOLATO: - punteggi alti sia in rabbia/frustrazione che tristezza; - punteggi molto bassi sulle capacità attentive; - bassi in activational e inhibitory control. Pro lo disregolato-compromesso: compromesso sia nell’area dell’autoregolazione che in quella emotiva. Frequenti risposte emotive di rabbia e tristezza in risposta ai propri stati interni o agli stimoli ambientali; frequente frustrazione e incapacità di gestirla. Livelli di attenzione e focalizzazione sui compiti molto bassi, incapacità di riuscire a rimanere concentrati e portare avanti attività e compiti. Incapacità di inibire comportamenti inappropriati («impulsività»), e incapacità ad intraprendere attività e comportamenti più funzionali ffi fi fi ffi fi ff PREVENZIONE E PROMOZIONE Nel 1957 all’interno dell’ambito medico, a seguito della scoperta dei primi vaccini per combattere virus mortali, c è la prima classificazione della Prevenzione in: - Prevenzione primaria → ha come obiettivo la diminuzione del numero di nuovi casi di un disturbo o di una malattia in un determinato periodo di tempo (incidenza). Quindi, questa agisce sulla presenza di nuovi casi. - Prevenzione secondaria → mira, viceversa, alla diminuzione della percentuale di casi identificati della malattia nella popolazione (prevalenza). - Prevenzione terziaria → puntava alla diminuzione della disabilità associata alla malattia. Quindi, si contempla un’azione anche su quei casi che hanno già sviluppato la malattia Questa classificazione serve per comprendere su chi agire, per quanto tempo e dove incidere. Dato che faceva riferimento unicamente a modelli uni-causali (=trovare il gene che causa la malattia) perché prevedeva di trovare il gene che causa la malattia e quindi trovare un’unica causa della malattia, questa prima classificazione viene cambiata. Sia in medicina che in psicologia c’è un passaggio da modelli uni-causali a multi-causali, dove si previene agendo attraverso la molteplicità dei fattori di rischio e di protezione. Quindi, ad oggi, si fa riferimento a modelli teorici che hanno a che fare con la multi-causalità. Per sviluppare un intervento di prevenzione è necessario comprendere quali siano i fattori di rischio e protezione che possono influenzare l’insorgenza di un problema → si utilizza un nuovo paradigma. Questa nuova classificazione prevede una distinzione netta tra prevenzione e trattamento, ovvero deve essere fatta su persone che come dice Gordon (1983) “al momento non sperimentano alcuna sofferenza” (si elimina la prevenzione terziaria). La nuova classificazione proposta dall’OMS prevede 3 tipi di interventi preventivi: - Universali (Universal Prevention): generalmente si applicano prima che i fattori di rischio si stabilizzino. Abbiamo quindi bisogno di conoscenze sui fattori di rischio. Contemplano azioni di prevenzione rivolte ad intere popolazioni di bambini o di giovani di una scuola o di un'area geografica. - Selettivi (Selettive Prevention): si applicano su popolazioni a “rischio”. Prevedono azioni di prevenzione multi-componenziali, come quelle sul contesto familiare e, in modo congiunto, su quello scolastico e del pari (es. intervengo in un quartiere molto delinquenziale da più punti di vista). - Indicati (Indicated Prevention): si applicano prioritariamente su soggetti che presentano un quadro multi-problematico e pertanto a elevato rischio di futuro disadattamento. Prevedono azioni mirate a livello individuale e di gruppo, preferibilmente in differenti contesti (famiglia, scuola, pari, territorio). Deve essere un intervento intensivo. Questa tipologia di intervento viene stabilita dall’Istituto di Medicina Americano nel 1994 e l’OMS lo assimila prontamente. SCIENZA DELLA PREVENZIONE Si inaugura così una nuova disciplina chiamata Scienza della Prevenzione. Questa disciplina prevede l’incontro di studiosi di varie discipline che cercheranno: di studiare sistematicamente i fattori di rischio e protezione; di capire come valutare la teoria di riferimento di un programma di intervento (valutazione “theory-based”). Ciò significa avere chiaro dove agisce l’intervento preventivo e quali risultati aspettarsi, si studiano i meccanismi che possono condurre all’esito negativo Di intervenire nella scuola, nella famiglia e nella comunità: si cerca di capire quali possano essere gli interventi più efficaci. La Scienza della Prevenzione ha come obiettivo la prevenzione o la moderazione del malessere, quindi cerca di prevenire esiti negativi, e per farlo la Scienza della Prevenzione è focalizzata principalmente sullo studio sistematico dei fattori di rischio e di protezione. Si lega intimamente con la ricerca e si occupa: - del disagio, la sua prevalenza e la sua evoluzione; - dei fattori specifici e meccanismi di rischio e di protezione → quindi si occupa delle categorie specifiche dei fattori di rischio (fattori di rischio/protezione = variabili statiche: es. vivere in un quartiere degradato espone al rischio di delinquenza perché potrebbe esserci una cultura della delinquenza), ma anche dei meccanismi di rischio e protezione (meccanismo = processi: es. ciò che interviene tra il fattore di rischio e la delinquenza, quindi la povertà, il quartiere degradato, l’aggregazione con pari devianti) - degli interventi più efficaci; - della diffusione dei programmi di intervento preventivo. CATEGORIE DI FATTORI DI RISCHIO (dall’individuo → al contesto) 1. Fattori costituzionali: complicanze perinatali, sbilanciamenti neurochimici, malattie organiche e deficit sensoriali; 2. Fattori legati allo sviluppo delle abilità: basse capacità cognitive e sociali, deficit dell’attenzione, deficit nelle abilità di lettura e nelle attività abituali; 3. Fattori legati alla sfera delle emozioni: difficoltà nell’espressione e scarso controllo delle emozioni, bassa stima di sé e bassa maturità emotiva; 4. Fattori familiari: basso livello socio-economico, storie di disturbi psichici, ampiezza del nucleo familiare, storie di abuso, eventi di vita stressanti, disorganizzazione familiare, distorsione della comunicazione, conflitti e scadenti legami con i genitori; 5. Fattori interpersonali: rifiuto da parte dei coetanei, alienazione, isolamento; 6. Fattori scolastici: scarso coinvolgimento nelle attività scolastiche e fallimento scolastico; 7. Fattori ambientali: quartieri disagiati, povertà estrema, discriminazioni razziali e disoccupazione. I Compiti di Sviluppo sono tutte quelle conquiste e quelle capacità psico-fisiche e sociali fondamentali che devono essere acquisite in ogni fase della vita per uno sviluppo normale e sano. Poiché lo sviluppo è in gran parte cumulativo, è probabile che l’incapacità di padroneggiare i compiti di sviluppo in una fase inibisca le fasi successive. Ecco di seguito elencati i principali compiti di sviluppo per ogni fase di sviluppo, con i rispettivi fattori di rischio: FASE DI SVILUPPO COMPITI DI SVILUPPO FATTORI DI RISCHIO STRATEGIE PREVENTIVE Prenatale/ Perinatale Sviluppo sico e - Genitori che fanno - Supporto familiare (gravidanza-1 anno) neurologico abuso di sostanze - Madre adolescente - Cure genitoriali inadatte e insu cienti - Problemi alla nascita - Prematuri Infanzia (1-3 anni) - Regolazione - Disturbi - Parental training dell’umore dell’attaccamento - Educazione - Attaccamento - Sviluppo di tempestiva - Sviluppo comportamenti dell’autonomia inappropriati - Senso di sé - Isolamento sociale - Parenting inappropriato Seconda Infanzia (3-5 - separazione dalla - Parenting - Child training anni) - quindi Preschool madre inappropriato - Teacher training - Preparazione per la - Problemi scuola comportamentali - Socializzazione - Di coltà a - Peer relationships socializzare - Impulsività - Disattenzione Fanciullezza (6-10 anni) - Adattamento - Fallimento scolastico - Peer group training scolastico - Mancanza di controllo - Peer relationships familiare - Esperienze di - Disciplina successo e fallimento inconsistente - Ri uto dei pari fi ffi fi ffi FASE DI SVILUPPO COMPITI DI SVILUPPO FATTORI DI RISCHIO STRATEGIE PREVENTIVE Pre-adolescenza e - De nizione - Gravidanza in - Programmi anti- Adolescenza (10-19 dell’identità adolescenza bullismo anni) - Crescita - Comportamenti risk- - Comunità di supporto dell’autonomia in taking per giovani nelle contesti di conformità - Disoccupazione scuole tra pari - Mancanza di supporto - Sviluppo di un familiare sistema di valori - Compagnie antisociali - Relazioni intime Adultità (20+ anni) - Ruoli e responsabilità - Disoccupazione - Sviluppo sociale ed da adulti - Povertà economico - Non avere una casa - Costruzione di reti - Isolamento sociale sociali La maggior parte degli studi che si sono occupati di sviluppare interventi di prevenzione con bambini e adolescenti, si sono occupati in modo molto consistente di comportamenti aggressivi e antisociali (delinquenza e violenza, abuso di sostanze…). Prevenzione universale, selettiva e specifica rivolta alle principali aree implicate nel disagio giovanile: a) L’abuso di sostanze, quali alcol, tabacco e altre droghe; b) La delinquenza giovanile e violenza, con particolare riferimento ai comportamenti aggressivi e antisociali. Queste tipologie di interventi hanno ricevuto una valutazione dell’efficacia, ovvero si sono dimostrati essere degli interventi Goal Standard (?), detti anche interventi basati sull’evidenza. Infatti, sono interventi che sono stati valutati e che effettivamente, dopo essere stati messi in atto, producevano un cambio a livello comportamentale. Parallelamente all’emergere di questi studi di valutazione dell’efficacia degli interventi, si è acquisito anche molta conoscenza sui fattori di protezione. Così facendo, la tipologia di interventi appena descritta, inizia ad essere messa in discussione perché, nonostante producesse cambiamenti comportamentali, questi non venivano mantenuti a lungo termine. FATTORI DI PROTEZIONE → sviluppo di capacità Il focus si sposta dal negativo al positivo. Infatti, per poter mantenere i cambiamenti nel corso del tempo ci si inizia ad interrogare su quali siano i fattori di protezione, ovvero quelle variabili che possano promuovere una sorta di resilienza/resistenza ai fattori di rischio, e che possano ostacolare l’insorgere del disturbo. I fattori di protezione permettono di promuovere la resistenza e ostacolano l’insorgenza di disturbi perché hanno: - Effetti diretti sul disagio, ovvero possono direttamente contrastare aspetti negativi (es. comportamenti prosociali contrastano direttamente quelli aggressivi); - Effetti sui fattori di rischio, ovvero su quei fattori che possono essere gli “antecedenti” del disagio; - Effetti sulla catena di effetti indiretti dei fattori di rischio; - Effetti sull’insorgenza dei fattori di rischio stessi. Ci si inizia a rendere conto della necessità di fare investimenti per capire quali siano fattori e meccanismi di protezione. Ci sono principalmente due tipologie di fattori di protezione: a) Caratteristiche individuali: temperamento (l’effortful-control è il fattore temperamentale di protezione più importante a tutti i livelli, sia a livello di comportamenti esternalizzanti che internalizzanti), disposizioni, abilità che possono attutire gli effetti degli eventi stressanti. b) Caratteristiche dell’ambiente: supporto sociale, educazione, supervisione, controllo da parte dei genitori, qualità dei legami familiari, modelli prosociali di comportamento. fi DAI FATTORI AI MECCANISMI (ovvero i processi) Si passa dai fattori ai meccanismi quando si riesce a comprendere se un fattore ha un effetto compensatorio (processo di compensazione) o se ha un effetto di protezione (processo di protezione) COMPENSATORY EFFECT: Il rischio di un effetto negativo di una data variabile si riduce grazie all’effetto positivo di un’altra variabile. Quindi un fattore di protezione è in grado di ridurre l’effetto negativo del fattore di rischio. L’ “Additive Compensatory Effect” (=Compensatore Additivo) corrisponde all’effetto principale e opposto a quello prodotto dal fattore di rischio. Ovvero quando il fattore di protezione produce un effetto opposto a quello prodotto dal fattore di rischio. PROTECTIVE EFFECT: Si produce un effetto favorevole di un fattore di protezione soltanto per soggetti ad alto rischio. Il “Protettive Affect” corrisponde ad un’interazione tra il fattore di protezione e il fattore di rischio. Quindi si realizza un intervento sui fattori protettivi solo per i soggetti ad alto rischio. (Quando un intervento va a favore di soggetti a rischio, ha un livello di intervento Selettivo). Quando un fattore di protezione agisce soprattutto sui soggetti ad alto rischio, si dice che ha un ruolo di moderazione. MEDIAZIONE (ovvero spiegare la natura del rapporto tra variabili) Es. Il quartiere ad alta povertà è un fattore di rischio per lo sviluppo di problemi delinquenziali. Un processo relazionale di aggregazione tra pari devianti può influire sullo sviluppo di problemi delinquenziali. Si parla di mediazione perché si trova una correlazione tra alta povertà e delinquenza che è spiegata da una terza variabile (aggregazione con pari devianti) Non tutti i poveri sono delinquenti, per questo bisogna identificare un processo che possa spiegare questa correlazione. Quindi l’alta povertà incide sulla delinquenza soprattutto grazie all’aggregazione con pari devianti. Questa è una variabile processuale, perché racconta un processo. Fattore di mediazione → variabile che spiega e chiarisce la correlazione (n.b. non abbiamo mai a che fare con un’unica variabile, perché raramente una sola variabile spiega tutto). MODERAZIONE (ovvero quando avviene un’interazione) Es. Il quartiere ad alta povertà porta alla delinquenza soprattutto in quei soggetti ad alto rischio di aggregarsi con pari devianti (maschi). In quelli a basso rischio non si registra aggregazione, quindi ciò che cambia è l’entità. Se si ipotizza una moderazione, ci si dovrà aspettare: - alta povertà> alto rischio di aggregazione pari devianti> alto rischio delinquenza; - alta povertà> basso rischio di aggregazione pari devianti> basso rischio delinquenza. Sono variabili di moderazione: il genere, l’età, l’effortful- control… Fattore di moderazione → variabile che interagisce nella correlazione (modera) VALUTAZIONE “theory-based” Nell’intervento preventivo è importante avvalersi di modelli di valutazione adeguati al programma di prevenzione. In funzione di questo scopo è indispensabile l’uso di un modello teorico di riferimento che specifichi obiettivi e risultati a breve e a lungo termine. È importante inoltre distinguere gli effetti di un programma che possono essere: a) la qualità dell’implementazione; b) gli effetti a breve termine e a lungo termine. La valutazione della qualità dell’implementazione Accerta se il programma implementato è stato disseminato come originariamente programmato. Ad esempio, in un programma volto a promuovere le competenze genitoriali in un gruppo di madri ad alto rischio, un indicatore dell’implementazione è la percentuale delle madri a rischio partecipanti al programma e il loro numero di presenze alle sessioni. La valutazione degli effetti a breve e lungo termine Accerta se le azioni di prevenzione hanno prodotto il cambiamento ipotizzato in relazione ad alcune variabili ritenute essenziali per i futuri esiti a lungo termine. È importante distinguere i due tipi di effetti ed essere consapevoli di quali siano i cambiamenti attesi nel breve termine e quali nel lungo termine. Per esempio, in un programma di prevenzione della delinquenza, lo sviluppo delle competenze sociali può rappresentare un obiettivo a breve termine, mentre la riduzione del coinvolgimento in comportamenti delinquenziali è l’obiettivo a lungo termine, che andrà valutato successivamente. COSA VALUTARE in un intervento Riguarda il contenuto della valutazione: esiste infatti una gerarchia di domande a cui la valutazione dovrebbe dare risposta. Il punto di partenza è la valutazione del comportamento/problematica a cui il programma è indirizzato, per poi verificare se la concatenazione azioni-effetti ipotizzata dalla teoria di riferimento siano replicabili nella popolazione che ha partecipato all’intervento. In questa fase si dovrebbe riuscire a identificare i meccanismi che dovrebbero rendere conto al meglio degli effetti del programma. Infine è necessario chiedersi se ha funzionato/fallito qualche elemento indispensabile nella fase dell’implementazione, per capire se le metodologie individuate possono essere utili. La domanda di ricerca può essere: - Sugli esiti: L’esito adattivo (positivo) è aumentato a livello medio nella popolazione target dopo l’intervento? L’esito disadattivo (negativo) è diminuito a livello medio nella popolazione target dopo l’intervento? Ci sono altri esiti adattivi/disadattivi che l’intervento ha migliorato o contrastato? - Sulla forza delle teorie sottostanti: Attraverso quali meccanismi ha agito l’intervento? Le variabili predittive ipotizzate sono state influenzate dall’intervento? Le variabili predittive ipotizzate hanno predetto un’aumento/contrasto degli esiti adattivi/disadattivi ipotizzati? - Sulla popolazione target: Per chi è stato più efficace l’intervento? Ci sono differenze di genere connesse all’efficacia dell’intervento? L’intervento è stato più efficace per coloro che prima di esso si trovavano in condizioni di rischio? - Sull’implementazione: Quale è stato il grado di esposizione al programma? Tutti i partecipanti hanno partecipato alle medesime attività? Ci sono effetti dell’efficacia dell’intervento connessi a queste eventuali differenze? Ci sono effetti sull’efficacia dell’intervento connessi allo staff? Possibili domande per la valutazione di un programma di prevenzione del comportamento aggressivo: - Esiti: I comportamenti aggressivi (o comportamenti di tipo esternalizzante) sono stati ridotti nei partecipanti dell’intervento? Sono state sviluppate migliori competenze emotive negli studenti? Il clima di classe è migliorato? L’intervento ha avuto effetti su altri esiti comportamentali? - Forza delle teorie sottostanti: Le principali determinanti che contrastano il comportamento aggressivo considerate nell’intervento presentano un miglioramento dopo l’ intervento (competenze socio-emotive)? Questi determinanti sono stati veri veicoli di cambiamento a livello comportamentale? Ci sono differenze di genere nei nessi concettuali e nei meccanismi attraverso cui il programma ha agito? - Popolazione target: Il programma ha agito meglio sui ragazzi o sulle ragazze? Il programma ha avuto degli effetti migliori per coloro che presentano livelli iniziali più alti di comportamento aggressivo o per quelli con livelli più bassi? Il programma ha agito su coloro che in partenza presentavano caratteristiche di personalità (st. emotiva) più favorevoli al comportamento aggressivo? Ci sono differenze di genere o di status socioeconomico nei nessi concettuali e nei meccanismi attraverso cui il programma eventualmente ha agito? - Implementazione: Qual è stato il grado di esposizione al programma per ciascuna delle classi partecipanti? Qual è il numero e la qualità delle attività svolte per ciascuna classe dai ricercatori? Quale la quantità e qualità delle attività svolte dagli insegnanti per ciascuna classe? Alcune classi hanno avuto esiti migliori rispetto ad altre a parità di altre condizioni? Quali in questo caso le differenze nell’ implementazione del programma? QUANDO e COME VALUTARE un intervento Per esaminare la realtà sociale, si utilizzano sempre più metodologie qualitative e quantitative in modo congiunto o in alternanza, in quanto racchiudono vari metodi eterogenei. Si deve tener presente che nella valutazione di programmi di promozione del benessere e prevenzione del disagio, la comunità scientifica tende a prediligere metodi della ricerca quantitativa, in quanto capaci di evidenziare gli effetti osservabili e, quindi, generalizzatili, degli interventi. Le metodologie che permettono di dimostrare che la partecipazione ad un intervento produca effetti sul comportamento che si intende promuovere variano in funzione del livello di controllo che si riesce ad esercitare sulle variabili in esame: il metodo sperimentale è quello che garantisce maggior controllo. Il disegno sperimentale più semplice prevede generalmente una valutazione iniziale (pre-test) e una finale (post-test) e il confronto tra tra il gruppo che partecipa all’intervento, ovvero quello sperimentale, e il gruppo che non partecipa, chiamato di controllo. Partecipanti devono essere assegnati casualmente ai due gruppi. Una variabile più complessa è costituita dai disegni che valutano contestualmente l’efficacia di più tipologie di intervento. In questo caso ci sono più gruppi sperimentali, e nonostante cerchino di raggiungere gli stessi obiettivi, si differenziano perché gli interventi adottano metodologie diverse. Qui, tutti irruppi sperimentali, sia nel pre-test che post- test, saranno confrontati con il gruppo di controllo. Il vantaggio di questi interventi riguarda la ricchezza di informazioni sulle metodologie di promozione più efficaci. Un altro disegno sperimentale, molto usato, è quello che prevede solo il post-test. Differisce dai precedenti perché assume che l’assegnazione casuale dei soggetti ai due gruppi (sperimentale e di controllo) assicuri la loro similarità prima dell’intervento. Alla fine dell’intervento il ricercatore valuterà se l’intervento ha avuto un effetto significativo, e lo farà confrontando il gruppo sperimentale con quello di controllo. L’assenza del pre-test produce vantaggi in termini di budget (tirchioniii), però non consente di determinare il grado di cambiamento I molti casi l’assegnazione dei soggetti ad un gruppo sperimentale/controllo può essere molto difficile o onerosa. Adottare il metodo quasi-sperimentale può essere un modo per ovviare a tali problemi: assicura la validità dei risultati evitando l’assegnazione casuale dei soggetti ad un gruppo. Il disegno che viene usato con maggiore frequenza è quello con un gruppo di controllo, caratterizzato dalla presenza di soggetti che appartengono ad unità già precostruite. Per verificare se il comportamento in esame nel gruppo di controllo e sperimentale era simile o differiva già prima dell’intervento, sarà molto importante effettuare il confronto tra pre-test dei gruppi. Nei programmi che incidono sui cambiamenti comportamentali è importante la valutazione follow- up, ovvero la valutazione dei cambiamenti a lungo tempo. Questa permette di constatare quanto essi siano stabili, al fine di verificare la consistenza dell’intervento. L’ultimo esempio riguarda i disegni a serie temporali, in cui è presente solo il gruppo sottoposto all’intervento. Sono interventi molto usati quando non è possibile reperire un gruppo di controllo. Qui, si effettuano diverse rilevazioni del comportamento in esame, con scadenze ben definite, sia prima che dopo l’intervento → COME VALUTARE un intervento Caratteristiche dei programmi efficaci: PROSPETTIVE TEORICHE E APPROCCI Esistono molteplici Programmi di Prevenzione sviluppati a livello internazionale, ma solo una piccola parte includono dei sistemi di valutazione rigorosa che rappresentino un’evidenza di efficacia. Tra i programmi efficaci soltanto pochi hanno dimostrato di possedere caratteristiche adeguate alla loro disseminazione. I programmi che dimostrano la loro efficacia e che hanno i requisiti per la disseminazione, vengono considerati Programmi Modello. I tre programmi di intervento descritti di seguito sono tra i primi che cercano di promuovere l’adattamento e il benessere e non cercano di prevenire il disagio. C’è un cambiamento di paradigma che porta all’adozione di un approccio positivo: invece di formare interventi per persone con disturbi, iniziare a crearli per la parte di popolazione senza, nel tentativo di promuovere l’adattamento (cercando quindi di anticipare la formazione di problemi). → prevenire non è promuovere → promuovere è sempre prevenire 1) Positive Youth Development (PYD) → Programma che si basa su una concezione positiva dello sviluppo dei giovani, dove le risorse e le potenzialità di sviluppo autonomo favoriscono l’affermazione dei giovani e li mettono in condizione di superare eventuali difficoltà. Quindi è fondamentale capire quali siano i punti di forza per poi focalizzarsi su quelli. Si tende a pensare che l’adolescenza/giovinezza sia il periodo dove gli individui siano maggiormente a rischio, ma in realtà è un periodo estremamente utile perché ci sono finestre di plasticità cerebrale importanti. Quindi gli adolescenti, avendo una forte sensibilità alle influenze esterne, hanno tante potenzialità: come possono essere influenzati per le cose negative, possono essere influenzati anche per quelle positive (oh bischero che aspetti ad intervenire!). C’è una forte importanza delle intenzioni reciprocamente benefiche persona-ambiente. OBIETTIVI del PYD: - Sviluppare legami con la famiglia, il gruppo dei pari la scuola, la comunità o la cultura di appartenenza; - Rafforzare la resilienza e la capacità di adattamento; - Promuovere competenze sociali, emotive, cognitive, comportamentali e morali; - Favorire l‘autodeterminazione; - Promuovere la spiritualità; - Sviluppare l’autoefficacia; - Costruire un’identità chiara e positiva; - Accrescere l'ottimismo e le aspettative verso il futuro; - Fornire riconoscimenti per i comportamenti positivi; - Rafforzare le norme prosociali e fornire opportunità per azioni prosociali. 2) Positive Psychology (moral values) Good character come fattore per promuovere il benessere personale Virtù umane/morali legate da gentilezza, correttezza, amore, gratitudine come fattori importanti per il benessere personale e sociale. 3) Socio-Emotional learning (SEL) → Pratiche che mirano a sviluppare e promuovere abilità. Sviluppo delle abilità dei giovani di riconoscere e gestire le emozioni, di prendersi cura degli altri, di stabilire relazioni positive e di gestire situazioni scolastiche difficili Studio sistematico dell’efficacia dei programmi school-based. Complessivamente possiamo distinguere: a) programmi universali che sono finalizzati principalmente alla promozione del benessere di bambini e adolescenti; b) programmi finalizzati alla prevenzione dei problemi esternalizzanti (problemi comportamentali, violenza, delinquenza e uso di sostanze); c) programmi finalizzati alla prevenzione dei problemi internalizzanti (ansia, depressione, suicidio); d) programmi volti alla tutela della salute mentale e fisica del bambino; e) Programmi volti alla prevenzione dell'insuccesso formativo e dell’abbandono. Questa distinzione è più una scelta convenzionale per mettere ordine a quanto è possibile rintracciare in letteratura piuttosto che una effettiva distinzione tra i programmi. Alcuni programmi rivolti alla prevenzione dei problemi di comportamento hanno degli effetti positivi anche sui problemi internalizzanti, cosi come programmi che abbiamo indicato come orientati alla prevenzione dell'insuccesso formativo hanno effetti positivi nel ridurre i problemi comportamentali o l'uso di sostanze. Anche l'identificazione di programmi volti alla promozione del benessere interamente orientate a promuovere abilità hanno tra le loro finalità la riduzione del rischi. COMPORTAMENTI PROSOCIALI come predatori dell’adattamento Comportamenti Prosociali: comportamenti volontari volti a beneficiare un'altra persona (quindi aiutare, prendersi cura, condividere, consolare…). L’ Agire Prosociale, secondo la teoria social cognitiva, è determinato dall’organizzazione di diverse strutture psicologiche che operano in concerto, includendo: - Predisposizioni personali: riguardano l’amicalità e i tratti di personalità, quindi quello che la persona “ha”; - Valori individuali: sono valori di auto-trascendenza, quindi quello che la persona “vuole”; - Convinzioni di autoefficacia: quindi quello che una persona “può fare”. È necessario promuovere questa tipologia di comportamenti perché hanno un forte rilievo nella fase adolescenziale. Ogni fascia di età prevede degli interventi mirati che si basano sui compiti di sviluppo e sui fattori di rischio/protezione previsti per quella fascia d’età. Perché intervenire proprio sulla prosocialità? Uscendo da un'ottica che evidentemente non può essere quella del “è necessario promuoverla per essere buoni”, bisogna adottarne una che riguarda “quali vantaggi personali possiamo ottenere nell’essere buoni?”. Nella letteratura è emerso è che i comportamenti prosociali (= prendersi cura, aiutare l’altro, essere orientato verso qualcosa/qualcuno che non sono io) portano benefici non solo alla persona che viene aiutata e di cui ci si prendere cura, ma anche all’attore stesso, ovvero chi mette in atto i comportamenti prosociali. Inoltre, sono state evidenziate relazioni tra prosocialità e rendimento scolastico, mettendo in evidenza come la prosocialità (sia nei bambini che negli adolescenti) è un fattore che promuove e sostiene migliori risultati scolatici. In particolare, in questo articolo, la prosocialità è valutata da differenti punti di vista (multi-informatori: insegnanti, compagni, autovalutazioni). Si può osservare come a distanza di sei anni (3 elementare→3 media) la prosocialità porta ancora dei vantaggi in terza media, sia in termini di migliori risultati scolastici, sia in termini di migliore qualità di relazione con i compagni. Inoltre, la prosocialità ha mantenuto livelli elevati non solo a distanza di 6 anni (bambino→adolescente), ma anche poi successivamente (adolescente →giovane adulto). Oltre alla relazione tra prosocialità e rendimento scolastico, emerge una relazione tra: Comportamento prosociale e benessere: buoni livelli di prosocialità aumentano la felicità; Comportamento prosociale e autostima (come valuto me stesso): la prosocialità nel corso del tempo sostiene il nostro livello di autostima perché ci permette di entrare in relazione con gli altri, creando anche un feedback positivo su noi stessi. Alti livelli di prosocialità sono connessi con buoni livelli di autostima, ma non sempre vale la correlazione opposta, quindi non necessariamente alti livelli di autostima portano ad essere più prosociali. (n.b. in questo articolo non viene tenuto di conto di variabili come tratti di personalità, SES, e altre dimensioni che potrebbero essere rilevanti nell’influenzare lo sviluppo dell’individuo). Questi dati mostrano come, già quando il bambino è piccolo, interventi sulla promozione della prosocialità portano migliori risultati rispetto a quelli di prevenzione dell’aggressività. Questa conclusione viene dedotta poiché si osserva che l’aggressività nel corso del tempo non sembra essere un potente predittore di esiti di sviluppo futuri. Nei bambini, più che prevenire, diventa importante promuovere competenze e capacità. Infatti essere prosociali richiede: Competenze emotive, in quanto non posso farmi stravolgere dalla difficoltà dell’altro, altrimenti non riesco ad avvicinarmi; Capacità empatiche di comprensione di ciò che sente l’altro; Capacità relazionali, perché per aiutare qualcuno devo capire come farlo. Quindi ci sono una serie di dati che evidenziano come la prosocialità sia una risorsa rispetto: alle relazioni, al successo scolastico, al benessere personale. Queste tre macrocategorie che dimostrano l’importanza di lavorare sulla prosocialità degli individui. PROGRAMMA CEPIDEA È un intervento universale di promozione, che è implementato nelle scuole e rivolto ai giovani adolescenti. Ha come focus centrale la promozione dei comportamenti prosociali. Nasce a partire dall’assenza in letteratura di un programma volto interamente a promuovere i comportamenti prosociali nello specifico, piuttosto che promuovere in generale i comportamenti sociali positivi nei preadolescenti non a rischio. Adotta un metodo sperimentale, consentendo così di stabilire una relazione di causa-effetto tra l’intervento (CEPIDEA) e il comportamento che si intende promuovere (comportamento prosociale); Questo intervento è stato sviluppato sul territorio di Genzano, in una scuola secondaria di primo grado; Questo intervento considera il comportamento prosociale come l’esito dello sviluppo di una serie di capacità indispensabili (vedi componenti del programma). Quindi, intorno al 2008 nasce il PROGRAMMA CEPIDEA (Competenze Emotive e Prosociali per l’Intervento sui Disturbi Esternalizzanti degli Adolescenti) nel tentativo di creare un intervento rivolto agli adolescenti, proprio perché la lettura esistente riportava una maggiore efficacia degli interventi sui bambini piccoli o sugli adolescenti. Inoltre, in adolescenza l’esperienza con i pari diventa centrale, si registra un distaccamento dalla famiglia, e a maggior ragione diventa utile lavorare sulla prosocialità. COMPONENENTI DEL PROGRAMMA: - Valori prosociali; - Capacità di regolazione emotiva; - Capacità di perspective-taking; - Capacità di comunicazione interpersonale; - Impegno. → Tutte le componenti e le strategie sono volte interamente alla promozione dei comportamenti prosociali STRATEGIE DEL PROGRAMMA: - Problem solving, discussione di gruppo; - Videomodeling; - Role playing, esperienze di padronanza; - Compiti a casa e coinvolgimento dei genitori; - Feedback di gruppo. METODOLOGIE DEL PROGRAMMA: 14 laboratori prosociali per classe: staff di ricercatori (psicologo) + appoggio degli insegnanti. In classe lo psicologo, grazie all’aiuto degli insegnanti fa fare dei lavori di gruppo. 21 lezioni prosociali (5/6 per classe): insegnanti + appoggio dello staff di ricercatori. L’attore dell’intervento sono gli insegnanti, che a seguito di una formazione curricolare, hanno utilizzato contenuti curricolari (matematica, scienze, storia…) per promuovere le componenti della prosocialità. In questo intervento è utile non solo la frequenza ma anche l’utilizzo di pratiche attive che coinvolgano gli studenti. Per quanto riguarda i valori prosociali, una parte dell’intervento deve lavorare sullo sviluppo della prosocialità come componente di base, un’altra parte invece deve lavorare sulla dimensione valoriale, che permette di sviluppare valori di auto-trascendenza (dare priorità al benessere dell’altro). L’intervento promuove sia alcuni valori che alcune capacità: per fare ciò ha unito due filoni in letteratura che sono sempre stati separati: - Character Education→ educazione valoriale - SEL (Social Emotional Learning)→ ovvero lo sviluppo delle capacità socio-emotive Inoltre, la regolazione delle emozioni, viene intesa sia come capacità di gestione dello stress e delle emozioni negative, sia come capacità di esprimere emozioni positive Implementazione pervasiva del programma: dirigente scolastico → coordinatore formazione docenti → collegio dei docenti → genitore+coordinatori di classe → partecipazione dello staff ai consigli di classe → studenti. In tutto questo ci deve essere una formazione degli insegnanti e un monitoraggio del loro lavoro.

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