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Università degli Studi di Verona

Edoardo Demo

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economic history historical economics European economic development globalization

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This document explores the historical development of Western European economic dominance, analyzing trade practices and historical documents. It explores the factors behind the "Great Divergence," where European economies surged ahead of the rest of the world, and identifies the Industrial Revolution as a critical turning point. The document considers different perspectives on this historical phenomenon.

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Storia economica contemporanea Dott. Edoardo Demo Perché a un certo punto il sistema economico occidentale europeo si è imposto sul resto del mondo? Per rispondere a questa domanda, possiamo partire dall’analisi di alcune fonti scritte, c...

Storia economica contemporanea Dott. Edoardo Demo Perché a un certo punto il sistema economico occidentale europeo si è imposto sul resto del mondo? Per rispondere a questa domanda, possiamo partire dall’analisi di alcune fonti scritte, che dimostrano come alcune procedure economico-commerciali che utilizziamo oggi fossero gi presenti in età Medievale. ➔ Analizziamo una pagina di libro contabile del 1450, di origine vicentina, scritta in volgare italiano medievale. Il documento si presenta diviso in due parti, a sezioni contrapposte: a. Sezione sinistra = DE DARE: è la registrazione di una contrattazione commerciale tra un uomo d’affari veneto e un acquirente pugliese da Trani, riguardo dei tessuti di lana vicentina. Prima di acquistarli, il pugliese li controlla e chiede lo sconto per un difetto di fabbricazione. Ciò che è interessante qui è l’attività della negoziazione! b. Sezione destra = DE AVERE: registra le modalità con cui il debito verrà ripagato. La registrazione in partita doppia, di invenzione italiana, è l’unico modo per avere un controllo rigoroso degli affari. La vendita viene effettuata in un giorno unico, ma il debito viene pagato a rate. Questo aspetto di ritornare la somma dovuta in forma rateizzata, per la creazione di credito e debito, è anch’esso una forma di modernità. c. Possiamo notare inoltre che vengono citate tre banche presso le quali hanno un conto corrente aperto sia il debitore che il creditore. Altro elemento di modernità: il giroconto bancario! ➔ Analizziamo adesso un foglietto di carta del 1435, di un banchiere padovano, scritto in volgare veneto. Il documento consiste in una forma arcaica del nostro assegno bancario! Questo perché il creditore, nel foglio, autorizza il banchiere ad addebitare dal suo conto la somma dovuta al creditore, quando quest’ultimo si recherà in banca. Quindi, nonostante un gap tecnologico notevole rispetto alla realtà attuale, chi fa affari nel mondo preindustriale si ingegna per trovare il modo per ottimizzare il suo lavoro. I. LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE IN INGHILTERRA L’ascesa economica europea: un’introduzione I secoli dell’età moderna (XV-XVIII) hanno costituito per l’Europa quella che può essere definita una lunghissima pista di decollo che ha avuto un duplice esito: Una marcata accelerazione dello sviluppo economico interno all’Europa; Una significativa e inedita, all’inizio lenta poi sempre più evidente, divaricazione fra l’Europa e il resto del mondo; si manifesta così un fenomeno definito oggi «GRANDE DIVERGENZA». Possiamo paragonarla ad una “forbice” metaforica di sviluppo: il dente superiore è il mondo occidentale, che crescendo sempre di più si allontana dal resto del mondo. Il fenomeno è oggetto di discussione: Secondo alcuni, la grande divergenza fra Europa e Resto del Mondo (soprattutto fra Europa e le grandi civiltà dell’Asia) si sarebbe manifestata solo in seguito alla Rivoluzione Industriale. Fino a tutto il XVIII secolo la Cina continuava, infatti, a costituire la più grande e prospera economia mondiale. Secondo altri, ben prima della rivoluzione industriale il ruolo economico europeo non era marginale; al contrario, l’Europa aveva iniziato a coordinare il resto del globo in un sistema economico mondiale costruito su misura degli interessi dell’Europa stessa. Si potrebbe parlare quasi di una progressiva «europeizzazione» del resto del mondo. Quando avviene? La grande divergenza è un fenomeno presente per tutto l’Ottocento e il Novecento, ma con l’inizio XXI secolo inizia a rallentare (si avvicinano i “denti della forbice”. Il tasso di crescita del mondo occidentale si riduce significativamente ed emergono altre aree del mondo, in particolare l’Asia che, pur con tutta una serie di problemi, comincia a muoversi più velocemente. Oggi si parla dunque di CONVERGENZA ECONOMICA. Nello sviluppo del continente asiatico, la Cina ha riscontrato principalmente due problemi: (1) non è un paese libero, seppur capitalistico; (2) è paese che sta invecchiando in maniera preoccupante, al contrario dell’India, ad esempio, che oggi è il paese con l’età media più bassa e con il maggior numero di studenti STEM. Perché si verifica? Quali sono stati i principali punti di vista dei critici? La rivoluzione industriale, ossia l’adozione da parte dei paesi europei del carbone per generare vapore, ha fatto crescere il mondo occidentale molto più velocemente e in misura maggiore rispetto al resto del mondo. Secondo storici perlopiù europei e americani, la crescita del mondo occidentale ha inizio con il tardo Medioevo e il Rinascimento, periodo che possiamo definire come il “trampolino di lancio” dei paesi europei, necessario per poi saltare in alto con la rivoluzione industriale. Tuttavia, all’epoca, lo sviluppo del mondo asiatico è quanto meno parificabile a quello del mondo occidentale, motivo per cui secondo studiosi asiatici, questo “trampolino di lancio” non permette al mondo occidentale di superare come potenza economica la potenza che sapevano sprigionare alcune aree asiatiche. Nel corso del 1300-1400, gli europei affinano le tecniche di affari. Il loro modo di fare è altamente PRAGMATICO: ciò vuol dire che, nonostante non siano grandi inventori, sono capaci di migliorare le invenzioni degli altri. Ci sono 4 invenzioni non europee (in particolare cinesi) che sono state adattate alle esigenze europee: 1. La bussola; 2. La stampa a caratteri mobili: in precedenza, i manuscritti avevano dimensioni molto corpose ed erano difficilmente consultabili; con la stampa si rende più democratica la trasmissione del sapere, attraverso i libri tascabili. 3. La polvere da sparo: inventata per fini ludici (i fuochi d’artificio), gli europei la adattano per fini bellici (armi da fuoco). 4. L’orologio meccanico: inventato per usi domestici, gli europei li mettono sulle torri per scandire il tempo da lavoro ed affinare le tecniche produttive. Il più antico orologio meccanico attivo ancora oggi si trova a Chioggia. A queste possiamo aggiungere una quinta capacità, ossia quella di tenere la contabilità in modo efficiente: si cominciano ad usare le cifre arabe al posto di quelle romane, perché quest’ultime sono facilmente manipolabili. Tuttavia, se da un lato il pragmatismo europeo è ammirevole, dall’altro è sicuramente un PRAGMATISMO CINICO, in quanto gli europei hanno voluto espandersi, scoprire (o conquistare, secondo il punto di vista americano) nuove terre ed imporre il loro sistema economico come sistema vincente. In seguito alle GRANDI SCOPERTE GEOGRAFICHE (1492, la scoperta dell’America; 1497-99, prima circumnavigazione dell’Africa; 1519-1522, prima circumnavigazione del globo) gli europei si sono comportati in modi diversi nei confronti degli altri continenti: 1. Verso l’America/Oceania: gli europei si comportano da CONQUISTATORI = EUROPEIZZAZIONE TOTALE. Inizialmente, gli europei non vogliono occupare le civiltà autoctone che trovano (Aztechi, Maia, Inca), ma vogliono solo esplorare. Cominciano poi a notare la loro superiorità: a. Gli indigeni non conoscono i cavalli, che incutono timore. b. Non conoscono neanche la polvere da sparo, hanno un modo di fare guerra soprattutto di contatto (tramite delle clave di metallo), per cui poche migliaia di europei, con le armi da fuoco, riescono facilmente ad avere la meglio su milioni di amerindi. c. In più, gli europei hanno un’arma chimica inconsapevole, perché entrando in contatto con un continente mai visitato trasmettono delle malattie polmonari particolarmente contagiose (viceversa, gli amerindi trasmettono delle malattie veneree come la sifilide, che sono più difficilmente contagiose). Tali malattie provocheranno la morte di un numero di persone incalcolabile, ancor di più che le guerre. d. Gli europei si sostituiscono completamente alle popolazioni autoctone anche da un punto di vista linguistico, tant’è che le lingue parlate oggi nel continente americano sono europee (inglese, francese, spagnolo, portoghese). 2. Verso l’Africa: gli europei si comportano come SFRUTTATORI DELLE RISORSE = EUROPEIZZAZIONE PARZIALE. Gli europei si insediano inizialmente solo per fini commerciali, e si fermano sulle coste perché non dispongono della tecnologia necessaria per penetrare nella parte più interni. Nella seconda metà dell’Ottocento, ciò si trasformerà in Imperialismo Coloniale, un’occupazione militare il cui fine è intraeuropeo, ossia di egemonia politica. La “merce” più importante furono gli uomini, gli schiavi, la forza lavoro per le miniere e le piantagioni. In questo caso, le lingue locali si sono mantenute anche se hanno subito l’influenza europea. Fattori che determinano cambiamenti demografici: a. Migrazioni: solitamente si va alla ricerca di vita migliore, ma in questo caso è una migrazione coatta, imposta. Gli schiavi vengono trasportati sulle coste da mercanti arabi o da vincitori di lotte tra tribù africane. b. Matrimoni: più presto si sposano le donne, più possibilità hanno di fare figli. 3. Verso l’Asia: gli europei SCENDONO A PATTI COMMERCIALI = NO EUROPEIZZAZIONE. In questo continente, gli europei trovano civiltà molto avanzate. Molti sovrani asiatici mettono i loro affari nelle mani degli Europei, che si inseriscono sia nei traffici internazionali che in quelli interasiatici: l’economia asiatica in questo modo dipende dall’Europa. Ad esempio, una delle più grandi ricchezze, la produzione di cotone, che era impossibile in Europa per le condizioni climatiche, viene svolta importando la materia prima, lavorandola e rivendendola ai mercanti indiani. Anche se blandamente, gli europei dominano anche questo continente: i primi veri organizzatori dell’attività economica. La Rivoluzione Industriale - un’introduzione La rivoluzione industriale è un vero e proprio snodo interpretativo per l’evoluzione economica dei paesi occidentali. Nella storiografia più recente è stata messa in discussione la visione di un netto vantaggio dell’economia europea ancor prima della rivoluzione industriale. È tuttavia evidente che il fenomeno di crescita economica europeo è un fenomeno non improvviso e che i movimenti globali vengono innescati e governati dall’Europa atlantica. I potenziali grandi rivali dell’Europa (come l’impero ottomano o l’impero cinese) sembrano aver sottovalutato gravemente il rischio di lasciare in mani europee i traffici oceanici. In sostanza, la globalizzazione moderna viene forgiata dall’Europa atlantica a propria immagine e somiglianza e fa sicuramente da base alla Rivoluzione industriale, l’evento che spingerà in avanti nello sviluppo alcune parti del continente europeo come nessuna altra parte del globo. Fino ai primi anni del 2000, la rivoluzione industriale è stata interpretata in maniera diversa. 1. Anni ‘60-70: la rivoluzione è analizzata come un fenomeno INTRAEUROPEO, senza confrontarlo on l’esterno (se non con gli USA). Gli studiosi vedono nel fenomeno fondamentali elementi di discontinuità, cioè rappresentava un cambiamento radicale rispetto all’Europa preindustriale. 2. Anni ‘80-90: grazie agli studi sull’evoluzione del sistema capitalistico tra Tardo Medioevo e Rinascimento, la chiave di lettura (ancora intraeuropea) era di forte continuità con il passato. Ci si è resi conto che l’Europa conosce, sì, la rivoluzione industriale, ma che questa si basa su basi economiche preesistenti. 3. Dall’emergere della globalizzazione, non ha senso analizzare la rivoluzione solo in chiave occidentale, ma è importante vedere come essa si pone rispetto agli altri continenti. La nuova chiave di lettura GLOBALE è tornata a parlare di DISCONTINUITÀ con il passato, perché la rivoluzione rappresenta il successo del modello economico occidentale sul resto del mondo. Si tratta quindi di una netta cesura con il passato, con quel momento in cui il mondo asiatico riusciva a competere con l’Occidente. Per analizzare il fenomeno della rivoluzione industriale inglese, è fondamentale innanzitutto considerare un insieme di aspetti. 1.1 - I fattori demografici L’espansione demografica del XVIII secolo è un vero e proprio enigma. È un fenomeno che avviene dapprima in Gran Bretagna, poi più lentamente nel resto d’Europa. La popolazione britannica cresce più che in qualunque area d’Europa grazie alla riduzione del tasso di mortalità e qualche cambiamento nel tasso di natalità. Quando si parla di sviluppo demografico, è bene tenere in considerazione 4 fattori: natalità, mortalità, migrazioni e matrimoni. I primi tre hanno un valore importante ancora oggi, mentre l’ultimo, sebbene prima fosse significativo, ha perso di importanza. La riduzione del tasso di mortalità: un fenomeno di lungo periodo ▪ Miglioramento dell’alimentazione sia per l’introduzione di certe nuove colture e la loro diffusione (patata e mais), sia per la disponibilità di più prodotti dovuta anche al miglioramento dei trasporti. ▪ Miglioramento dell’igiene, soprattutto durante l’Ottocento. Nelle città si ammodernano reti idriche, fognature, si cura maggiormente la pulizia delle strade. Aumenta il numero di case costruite in muratura e si riduce la prassi di vivere in commistione con gli animali da allevamento. Cresce l’igiene personale con un maggior uso del sapone (la diffusione dell’acqua corrente arriverà negli anni ’50) e dei tessuti di cotone più facili da lavare (al contrario della lana che si infeltrisce). ▪ Primi (scarsi) progressi nella medicina: importante è la scoperta del vaccino del vaiolo (1796); migliora la preparazione medica e soprattutto quella ostetrica. I poteri pubblici cominciarono a sostenere di più la pratica medica e a divulgarla con trattati destinati ai ceti popolari. ▪ In alcuni paesi europei tra metà ‘700 e metà ‘800 inizia a diminuire, fino a dimezzarsi, la mortalità nel primo anno di vita. L’aspettativa di vita media della popolazione, tuttavia, si alza di poco. Quindi non si può dire che la rivoluzione industriale abbia generato uno stato di benessere generale, cosa che si raggiungerà solo con la rivoluzione dei consumi di massa, avvenuta negli USA negli anni ’10-20 e in Europa negli anni ’50-60. Il tasso di natalità ▪ Secondo alcuni studiosi, la più probabile spiegazione sembra essere un generale abbassamento presso le classi intermedie dell’età al matrimonio, direttamente collegato ai cambiamenti avvenuti nel sistema economico inglese. Matrimoni precoci corrispondono ad un’estensione del periodo di fertilità e quindi, in teoria, più alti tassi di natalità. ▪ In Inghilterra e Galles cresce notevolmente l’urbanesimo: il lavoro diventa più sicuro (remunerazione a tempo, non a prestazione) e il 50% della popolazione vive in città; questo fenomeno si accompagna alla diffusione della famiglia nucleare (≠ famiglia patriarcale), perché entrambi i genitori lavorano e si allontanano dalla famiglia. Per alcuni storici, il semplice aumento della popolazione avrebbe determinato un’accresciuta domanda di beni manufatti e quindi uno stimolo per lo sviluppo dell’industria. Altre chiavi di lettura, ritenute oggi di maggior peso, pongono viceversa l’accento su una somma di fattori diversi. In sostanza, non è il semplice aumento demografico a determinare la rivoluzione industriale. Un altro dei problemi per il quale non si può ancora parlare di benessere generale è la dieta alimentare. La maggior parte della popolazione aveva un reddito appena sufficiente a comprare da mangiare. Pochi potevano permettersi di acquistare carne o pesce; gli alimenti più consumati erano cereali e, con la scoperta dell’America, il mais e le patate, che permettono di migliorare in maniera decisiva la quantità di disponibilità di cibo e di vincere le carestie e le crisi di sussistenza. Rimane però il problema della qualità: consumando sempre gli stessi alimenti (ad es. la polenta, facile da realizzare con questi prodotti), l’apporto vitaminico è totalmente sbilanciato, fattore che sta alla base del sorgere di molte malattie. In più, i cereali sono solo utili a colmare la fame, ma non danno abbastanza energia per sostenere lo sforzo fisico dei lavori nei campi. In questo modo, chi doveva svolgere attività fisica pesante necessitava di comprendere nella propria dieta alimenti ad alto contenuto di zuccheri, come il vino. Chiaramente la conseguenza è una bassa aspettativa di vita. 1.2 - Il ruolo dell’espansione commerciale Un altro fattore che ha influito in maniera decisiva nella crescita industriale inglese: l’espansione del commercio internazionale. ▪ Oggi l’asserzione che il commercio estero produceva ricchezza e accumulava il capitale necessario all’industrializzazione europea non regge del tutto. Non vi è alcuna prova che i proventi del commercio internazionale inglese venissero reinvestiti proprio nella manifattura. ▪ Il commercio estero in generale, e quello coloniale in particolare, rivestivano senza dubbio un ruolo importante nell’espandere la capacità del mercato di fornire beni di consumo, ma di per sé non possono spiegare il motivo della contemporanea crescita della domanda di beni di consumo. ▪ Sembra, quindi, che il contributo dell’espansione del commercio extraeuropeo alla crescita economica inglese (ed europea) nel XVIII secolo si possa ricondurre all’asserzione secondo cui il commercio estero era «una condizione necessaria, ma non sufficiente per la crescita economica». ▪ È sicuramente una condizione necessaria nel momento in cui pensiamo che: o Già a partire con il tardo XVI secolo ed ancor più nel secolo successivo, la produzione industriale inglese si inserisce in una struttura commerciale globale, con ampio accesso a materie prime e mercati di sbocco per i prodotti finiti; o Tra il 1650 ed il 1800 l’Inghilterra vince tutte le guerre commerciali (unica eccezione quella con i coloni americani), in particolare quelle con i competitors più pericolosi: Olanda e Francia. Ogni vittoria coincide con un ampliamento dei propri domini imperiali. Nell’Ottocento, non c’è NESSUN paese in grado di competere con l’Inghilterra. * o L’adozione di una politica mercantilistica: è fondamentale che gli export siano maggiori degli import. * All’inizio, l’area più sviluppata era l’Italia settentrionale, ma a seguito di una serie di fattori (il flusso commerciale che si sposta dal Mediterraneo agli Oceani; la riforma protestante; le pesti che colpiscono fortemente l’area mediterranea), il paese regredisce. In una prima fase, il posto dell’Italia viene occupato da Spagna e Portogallo. Grazie alle risorse coloniali, la Spagna avrebbe potuto essere una grande ricchezza mondiale, ma fa un errore strategico devastante [“paradosso della Spagna”]: non usa le risorse per far crescere la propria economia, ma per far guerra o per comprare i beni necessari da Inglesi e Olandesi. Inghilterra e Olanda si contendono dunque la supremazia. Entrambi hanno creato una nuova tipologia giuridica di società (le società per azioni = le Compagnie delle Indie Orientali Inglese/Olandese) e hanno un sistema di organizzazione della mercatura innovativo. L’Inghilterra vince la guerra emanando atti di navigazione: normative che stabiliscono che tutti gli entranti nel paese devono essere esclusivamente navi inglesi. Inoltre, fino alla Seconda guerra mondiale, lo spazio aereo inglese non è stato minacciato da nessuno, grazie a un’eccezionale barriera difensiva, ossia il canale della Manica. Con l’utilizzo delle prime armi di distruzione di massa, però, Londra verrà bombardata. 1.3 - Il mercato interno Se importante è il ruolo del commercio estero, non di poco rilievo è anche la capacità dell’Inghilterra di creare precocemente un mercato interno omogeneo. L’Inghilterra è stato il primo paese a poter dire di controllare il proprio mercato interno, cioè a consentire l’ingresso solo di alcuni prodotti controllati e di organizzare un grande sistema infrastrutturale (l’isola non è particolarmente ampia: nessun punto di essa dista più di 100 miglia dal mare). Tale risultato viene ottenuto grazie ad un deciso miglioramento delle vie di comunicazione e dei trasporti, attraverso 3 passaggi fondamentali: 1. Le strade: le strade inglesi, ancora in pieno Settecento, erano considerate tra le peggiori in Europa. È fondamentale mettere in connessione le diverse aree economiche del paese: inizia la costruzione di una rete stradale capillare e diffusa in grado di sostenere il traffico pesante, anche grazie ad una attenta manutenzione. 2. I canali navigabili: con il passaggio dalla prevalenza di vie terrestri alla costruzione dei canali navigabili, si ottiene il vero salto di qualità inglese. Grazie al contatto con i fiumi, i canali rendono più semplice e conveniente il trasporto di materiale pesante, dando vita ad una sorte di rete integrata di trasporto via acqua a basso costo (se paragonato al trasporto via terra), incrementando la capacità di carico e la velocità di trasporto. Tuttavia, se in fase discensionale (da monte a valle) è molto veloce e agevole, questo sistema è complicatissimo se si va contro corrente. Per risolvere questo problema si dovrà aspettare l’uso delle navi a vapore. 3. La ferrovia: il passo decisivo per il vero e proprio successo del nuovo sistema di produzione è l’introduzione della ferrovia. La costruzione della rete ferroviaria prende piede con gli anni ’30 dell’Ottocento; raggiunge livelli febbrili negli anni ‘40 e può dirsi pressoché completata con gli anni ‘50 (anche se si continuerà a costruire fino a fine secolo), molto vicina a quella attuale. La ferrovia cambia radicalmente la modalità di muoversi e segna un netto divario con i paesi meno avanzati che non ne sono in possesso. Punto debole: la ferrovia non può raggiungere tutti, l’utente deve raggiungere la città in cui si trova la stazione e adattarsi alle condizioni e agli orari prestabiliti. 1.4 - Rivoluzione industriale e rivoluzione agraria in Inghilterra L’aumento della popolazione provoca un aumento della domanda di derrate alimentari (= prodotti edibili). Questa dovrebbe trovare un’adeguata risposta dal lato dell’offerta, ma bisogna decidere che strada intraprendere: ▪ AGRICOLTURA ESTENSIVA: le rese agricole in Europa erano piuttosto basse perché la pratica agricola più utilizzata era quella di aumentare la produzione semplicemente attraverso la quantità di terreno che si destina all’agricoltura, mettendo a coltura anche terreni che prima non si erano usati per fini agricoli. Questo metodo funziona solo fin quando la popolazione non cresce troppo, perché non tutti i terreni sono fertili allo stesso modo. Sorge dunque la necessità di riconsiderare i terreni marginali, ma tale scelta funziona solo nei territori in cui la pressione demografica è tale da permetterlo (ad es. in Russia, poche città e grandi estensioni di terreno, al contrario della Pianura Padana che è troppo densamente abitata). ▪ AGRICOLTURA INTENSIVA: consiste nell’introdurre un sistema di rotazioni che permette di aumentare le rese agricole. Un terreno che è stato fortemente sfruttato un anno, l’anno successivo si tiene a riposo. Si introducono piante foraggere o leguminose che azotano il terreno e lo rendono ancora fertile. La pratica intensiva è ampiamente conosciuta e utilizzata in Inghilterra già dal Tardo Medioevo e dall’inizio dell’Età Moderna, ma in Italia non è molto praticata. Se l’agricoltura estensiva è una pratica labour intensive, cioè necessita di una grande quantità di braccia per lavorare, l’agricoltura intensiva permette di ottenere risultati migliori su uno stesso appezzamento di terreno riducendo la manodopera. Questa strategia corrisponde ad un aumento della produttività! L’Italia continua a praticare l’agricoltura estensiva: i governanti dei diversi stati italiani sono terrorizzati dal liberare manodopera che rimarrebbe disoccupata. Sul breve periodo l’agricoltura estensiva funziona, ma se la popolazione cresce troppo salta il rapporto tra cibo disponibile e popolazione. Ecco che l’Italia, a causa di questa scelta, passa dall’essere una terra di immigrazione (nel periodo preindustriale) ad una terra di grande emigrazione internazionale. L’Inghilterra fa una scelta diversa: anche se l’agricoltura intensiva provoca dei conflitti nel breve periodo (specialmente vagabondaggio), la manodopera d’esubero diventerà fondamentale per sostenere la rivoluzione industriale. Quindi, nel lungo termine, l’agricoltura intensiva ha dei risultati migliori. La vendita dei terreni di proprietà della corona, iniziata da Elisabetta I nel 1500, vede una crescita eccezionale nel 1700. Ad essere venduti sono i cosiddetti “open fields”, cioè un processo di valorizzazione delle terre comuni: gli abitanti dei villaggi possono usufruire per far pascolare gli animali, tagliare la legna per riscaldarsi o coltivare per autoconsumo. Questo permette alle famiglie di integrare le magre entrate. Tuttavia, questi terreni sono esclusi da una coltivazione innovativa, motivo per cui saranno successivamente venduti a investitori privati. ↓ Si tratta del fenomeno delle RECINZIONI (ENCLOSURES), che determina una progressiva scomparsa dei campi aperti. Il proprietario introduce un sistema di produzione (intensivo) di natura capitalistica, cioè con l’obiettivo di ottenere un utile. ▪ In tal modo la produzione agricola si razionalizza: le terre recintate con alte siepi o muri danno vita a vaste estensioni di unità produttive, spesso coltivate a cereali, che sostituiscono piccoli o piccolissimi appezzamenti. ▪ Il fenomeno delle recinzioni registra un andamento fortemente accelerato tra la metà de Settecento e i primi decenni dell’Ottocento. Da un punto di vista economico i risultati (visti nel medio-lungo periodo) sono evidenti: o Cresce la produzione; o Aumenta la produttività; o Il prodotto non è più prevalentemente destinato all’autoconsumo, ma è orientato al mercato; o Migliora progressivamente la disponibilità di generi alimentari da porre sul mercato. ▪ La razionalizzazione delle coltivazioni provocata dalle recinzioni, grazie all’adozione di nuove forme di rotazione, accresce la disponibilità di foraggi per gli animali, cosa che provoca un aumento consistente di bestiame allevato per il lavoro nei campi. La maggiore produttività dei terreni è infatti dovuta non solo ad una riduzione della manodopera, ma anche ai prodotti derivati dal latte e ancor di più dal concime (fondamentale, data l’assenza di fertilizzanti chimici). Quindi, chi vince in questo nuovo sistema? ▪ Sicuramente, i medi e grandi proprietari terrieri trovano nelle recinzioni notevoli vantaggi: disponendo di capitali adeguati, sono in grado di introdurre le innovazioni necessarie e aumentano i ricavi dall’attività agricola proporzionalmente alla crescita della produttività, base strategica per costituire il capitale da destinare alla nascita delle manifatture. ▪ Le recinzioni, dunque, segnano positivamente la modernizzazione del settore agricolo. Ma assai pesanti sono i contraccolpi da un punto di vista sociale. La situazione si fa gradualmente insostenibile per piccoli operatori che non dispongono dei capitali necessari per procedere alle recinzioni. ▪ Contadini, braccianti e piccoli proprietari si indebitano (non riescono a sostituire i prestiti ai grandi proprietari) e sono costretti a cedere i campi in loro possesso, perdendo così l’unica sicura fonte di approvvigionamento per la domanda di generi di prima necessità. Ne segue una fase assai drammatica di pesante impoverimento di ampie fasce di popolazione. ▪ La produzione agricola cresce in maniera esponenziale, così come la produttività. Diminuisce sensibilmente la forza lavoro impiegata sui campi tanto che tra il 1750 ed il 1850 in Inghilterra gli addetti all’agricoltura scendono dal 62% della popolazione economicamente attiva al 27% circa. A metà Ottocento, quando già la rivoluzione è avvenuta, solo ¼ della popolazione vive di agricoltura. Questo dato l’Italia lo avrà tra il ‘58 e il ‘63, nel pieno del boom economico. 1.5 - I mutamenti nel settore secondario Il primo settore produttivo a industrializzarsi nell’Inghilterra del Settecento fu il tessile, in particolare nel COTONIFICIO, divenuto il simbolo del processo di industrializzazione inglese. ▪ La seta è una produzione di nicchia, la domanda non conosce un picco, è stabile. ▪ Il lanificio, tradizionale settore manifatturiero inglese da secoli, in presenza di una limitata crescita del mercato continua per lungo tempo a servirsi della manifattura decentrata* e non conosce un aumento globale della domanda (ad esempio negli stati nordafricani non è richiesta a causa delle temperature alte). ▪ È nel «nuovo» comparto cotoniero che le innovazioni prendono piede: o esplosione di richieste a LIVELLO GLOBALE come manifestazione di un nuovo gusto; o riduzione della domanda di altri beni largamente diffusi, come le spezie (il prodotto n.1 monopolizzato dalle compagnie olandesi delle Indie Orientali), a favore della diffusione di nuovi prodotti come il tè, il caffè e il cacao. o il cotone costa poco, è più igienico, va bene per tutte le stagioni e tutti i continenti, è un PRODOTTO DI MASSA. *Manifattura decentrata: le operazioni produttive non si svolgono in un unico ambiente, ma sono distribuite nei singoli laboratori o domicili degli addetti. L’imprenditore non possiede gli strumenti necessari per svolgere tutte le fasi della produzione, ma si limita a mettere a disposizione il capitale circolante per poter svolgere le diverse operazioni. Un punto di forza è la flessibilità: l’imprenditore paga a prestazione d’opera, quindi SOLO quando, all’aumento della domanda, c’è necessità di manodopera; in questo modo può adattare i costi del lavoro al quantitativo di domanda. C’è anche però un punto di debolezza: in presenza di un aumento eccessivo della domanda, questo sistema non è in grado di raggiungere un livello elevato di produttività, perché il lavoro svolto dai singoli addetti nei loro laboratori/domicili non è controllato. Ecco che la scelta vincente si rivela essere quella di ACCENTRARE LA PRODUZIONE, cioè concentrare tutte le fasi della lavorazione nello stesso stabilimento tramite contratti a tempo. Questo consente non solo di aumentare la produttività, ma anche per l’imprenditore di avere la certezza che gli operai non lavorino al contempo per competitors. → VINCE IL SISTEMA DI FABBRICA SUL SISTEMA DELLA MANIFATTURA DECENTRATA (esiste ancora oggi, ma in questa fase storica non è in grado di rispondere alle esigenze di un settore in enorme espansione). Nel mondo preindustriale, in alcuni casi, si utilizzava già il sistema di fabbrica: - LE ZECCHE: luogo per coniare monete, ai tempi metalliche (oro/argento). - L’ARSENALE: luogo di produzione di imbarcazioni per fini commerciali e bellici, esistenti già dal Duecento, in cui i tronchi vengono trasformati in navi complete. In periodi di pace, alcuni arsenalotti avevano cantieri navali privati (gli squeri) dove producevano piccole imbarcazioni e gondole; durante la guerra, invece, avevano l’obbligo di chiuderli e andare a lavorare all’arsenale. PERIODO DI NECESSITÀ → ACCENTRARE LA PRODUZIONE → AUMENTARE LA PRODUTTIVITÀ. >>> Quali sono i diversi livelli evolutivi dei modelli di produzione? La produzione centralizzata verrà a sua volta migliorata dalle tecniche di assemblaggio, il taylorismo, il fordismo e il toyotismo. ▪ Per un certo tempo è l’India a coltivare il cotone e ed esportare manufatti finiti, perché le condizioni climatiche inglesi non lo consentono; annusato l’affare e visto che potenzialmente si sarebbe potuto guadagnare non poco, l’Inghilterra inizia ad importare materia prima per produrre da sé manufatti finiti (magari da vendere anche in India). Il successo del settore deriva proprio dalla specializzazione nella trasformazione della materia prima e la lavorazione del prodotto finito. ▪ Proprio il fatto di essere un comparto nuovo, sostenuto da una fortissima domanda, spiega perché proprio il cotoniero diventi il terreno di sperimentazione di tecniche produttive nuove atte a incrementare la produzione globale e quindi a realizzare un adeguamento dell’offerta. ▪ Grazie alle innovazioni tecnologiche i prezzi dei filati e dei manufatti inglesi scendono rapidamente e i produttori inglesi, forti dei vantaggi derivati dal basso costo della produzione interna, invadono i mercati del mondo con i loro prodotti. ▪ A Manchester, nel 1806, viene inaugurata la prima fabbrica tessile completamente meccanizzata. 1.6 - L’innovazione tecnologica nel tessile La riorganizzazione della produzione è stata affiancata da una meccanizzazione dei processi produttivi. Nel giro di qualche decennio si susseguono rilevanti innovazioni nel comparto tessile: 1. La navetta volante di Kay (1733): trova applicazione effettiva solo a partire dagli anni ’60. Se prima per lavorare un telaio il maestro tessitore aveva bisogno di un aiutante, questa invenzione permette ad un solo tessitore di spostare la spoletta da un punto all’altro del telaio. La navetta di Kay a cascata rende necessarie tutta una serie di altre innovazioni: o aumenta i ritmi di produzione della tessitura; o determina una maggiore richiesta di filati: o si inventa la «Spinning Jenny» (1764), meccanismo che movimentava da 6 a 100 fusi, sostituendo il lavoro di altrettante filatrici e moltiplicando la produzione di 16 volte. Sia la navetta di Kay che la Spinning Jenny, per quanto importanti, non determinarono il passaggio dal sistema a domicilio al sistema di fabbrica. Questo si raggiunge con il FILATOIO AZIONATO DA ENERGIA IDRAULICA, inventato intorno al 1767, che necessitava di grandi ambienti e sfruttava la forza motrice dell’acqua in vasti impianti. 2. Il vapore (1785): INNOVAZIONE DIROMPENTE CHE FA DA SPARTIACQUE NEI PROCESSI PRODUTTIVI; COSTITUISCE UNA DATA SIMBOLO (ecco perché la rivoluzione industriale si fa partire dal 1785). Questa nuova forma di energia, il cui merito è ascrivibile a James Watt, viene applicata per muovere telai meccanici. L’invenzione non ha inizialmente un grandissimo successo, ma progressivamente si impone come la più straordinaria scoperta di produzione di energia meccanica mai realizzata dall’uomo prima di allora. La capacità di produrre energia è notevolmente maggiore di qualunque altra fonte utilizzata prima (la forza muscolare, la forza del vento o dell’acqua non andavano oltre un limite tecnologico oggettivo). Grazie a tali innovazioni, la produzione inglese nel campo cotoniero passò da 2 milioni di libbre nel 1760 a 22 milioni nel 1787 e oltre 360 milioni nella metà dell’Ottocento. Più che frutto di studi o di complicati calcoli scientifici, si tratta di semplici ed immediate intuizioni, scaturite dalle attente osservazioni e dal desiderio di ottimizzare il funzionamento di un macchinario. Il fatto che le invenzioni tecnologiche del secondo Settecento siano quasi tutte inglesi è la chiara testimonianza del nesso logico tra innovazione tecnica e scientifica e primato economico di una nazione. Lo stesso si verificherà, ad esempio, tra Otto e Novecento, quando la supremazia scientifica e tecnologica mondiale passa dalla Gran Bretagna agli Stati Uniti; fenomeno che è accompagnato dalla conquista del primato economico da parte degli USA stessi. 1.7 – Dal tessile al carbone ed al ferro Quando la rivoluzione intercetta l’innovazione tecnologica, per la crescita industriale sono essenziali due minerali: il carbone e il ferro. La disponibilità di queste materie costituisce la linfa vitale del processo di prima industrializzazione in Inghilterra. ▪ Il carbone, in particolare, costituisce la forma di energia maggiormente innovativa fra quelle utilizzate nell’ambito della Rivoluzione industriale e la sua abbondanza rappresenta la condizione necessaria per l’enorme espansione di buona parte dei comparti industriali (in particolare il vapore, derivato dalla combustione di carbone). ▪ Altrettanto importante la presenza di minerali ferrosi, fondamentali per lo svolgimento di attività di trasformazione connesse con la lavorazione del ferro. ▪ Attorno all’estrazione ed alla produzione di ferro e carbone si sviluppa una fase particolarmente dinamica per la crescita economica, direttamente collegata a quanto già stava avvenendo. L’incremento demografico, la crescita delle attività produttive e le novità introdotte nel campo dei trasporti provoca, infatti, una decisa e costante domanda di ferro e derivati del ferro, facendo degli imprenditori attivi in questi settori i veri dominatori dell’economia della metà dell’Ottocento. E fuori dall’Inghilterra? − Gli industriali italiani conoscono queste innovazioni attraverso dei viaggi in Inghilterra, ma il territorio è sprovvisto di miniere di questi due prodotti, o meglio, sono insufficienti per competere. L’Italia tornerà in pista solo quando si introdurranno dei modelli di produzione che sfruttano l’acqua. − Nel resto del mondo, anche i paesi che godono di giacimenti di carbone e ferro non hanno la tecnologia adatta per poter sfruttare a pieno le risorse perché la trasmissione è molto lenta. Il secondo paese in Europa a industrializzarsi sarà il Belgio, che ha delle miniere di carbone e gode anche di una vicinanza geografica all’Inghilterra. 1.8. – Il ruolo del carbone ▪ Il carbon fossile è conosciuto fin dall’antichità ed è utilizzato in alternativa al legname. ▪ Fino alla metà del Settecento, le miniere per l’estrazione del carbone raggiungono una massima profondità di 50 metri. ▪ Le nuove tecnologie sviluppatesi e la forte domanda inducono tecnici ed imprenditori a realizzare impianti in cui la profondità dei pozzi supera i 1000 metri, mentre la ramificazione dei cunicoli si distribuisce per svariati Km. Com’è il lavoro nelle miniere? ▪ Il lavoro nelle miniere è contraddistinto da difficoltà nella costruzione; pesanti costi in termini di vite umane; turni massacranti di lavoro (da 12 a 16 ore), utilizzo di manodopera infantile a causa delle ridotte dimensioni di alcuni cunicoli, esposizione a temperature estreme (sia caldo che freddo estremi). ▪ Un altro problema è la mancanza di protezioni: i lavoratori sono costretti ad inalare non solo il pulviscolo prodotto, ma anche alcune sostanze tossiche, che causano problemi polmonari e portano alla morte; in particolare, un gas molto pericoloso era il grisù, cioè un gas inodore, invisibile, tossico e altamente esplosivo, che si sprigiona quando si scava senza dare il tempo agli operai di fuggire. Tutto ciò è giustificato dalla crescente importanza del carbone, utilizzato nelle industrie manifatturiere, per l’uso domestico e per i trasporti. Quest’ultimo è un utilizzo destinato a crescere esponenzialmente più ci addentriamo nel XIX secolo. Di grande rilevanza, in particolare, è il carbon coke, ottenuto abbrustolendo il carbon fossile al fine di toglierne la maggior parte dell’umidità assieme allo zolfo. Grazie all’essere poco friabile, il carbon coke si dimostra ben presto un combustibile dotato di elevatissime capacità caloriche, particolarmente adatto per la lavorazione del ferro e funzionale ai processi di produzione degli altoforni. 1.9. - Il ruolo del ferro L’avvio della Rivoluzione industriale inglese è caratterizzato dall’affermazione ed espansione dell’industria tessile, ma a partire dal XIX secolo, il principale elemento per la crescita industriale è il ferro (assieme alle rivoluzioni nei trasporti di cui si parlerà). ▪ La lavorazione del ferro dà origine a 2 prodotti fondamentali: l’acciaio e la ghisa (quest’ultima ampiamente utilizzata fino agli anni ’50 per i termosifoni, efficiente nel mantenere il calore ma molto pesante). ▪ La produzione dell’acciaio è possibile grazie all’introduzione degli altiforni capaci di raggiungere altissime temperature, da cui nacque una nuova forma di industria siderurgica destinata a divenire il fulcro della crescita industriale per tutti i paesi in via d’industrializzazione nel corso del XIX secolo (Francia, Germania, Stati Uniti e infine Italia). ▪ L’acciaio, infatti, diviene il materiale per eccellenza a vasto impiego (scafi delle navi, fusti dei cannoni, rotaie …) e destinato ad essere assolutamente fondamentale per una gran serie di impieghi. Ne è una dimostrazione tangente la Tour Eiffel, costruita temporaneamente per l’Esposizione Universale e poi diventata simbolo della città. 1.10. – La funzione delle banche ▪ L’Inghilterra è il primo paese a dotarsi di una banca centrale, la Bank of England, che nasce nel 1694. ▪ Il Governo ne fa ben presto l’istituto di emissione per finanziare le proprie attività, gradualmente adotta la base aurea e implementa l’uso delle banconote. ▪ Col crescere della potenza industriale e commerciale inglese, si estende l’uso della sterlina e delle cambiali. ▪ La banca d’Inghilterra si poneva al centro del sistema dei pagamenti internazionali. Intorno si era creata una struttura finanziaria complementare formata da banche d’affari, da istituti per l’accettazione di cambiali internazionali. 1.11 – I mutamenti nella politica commerciale La continua crescita dell’economia inglese determina conseguenze e cambiamenti anche sul piano della politica commerciale. Inizialmente, l’Inghilterra si impone a livello prima europeo e poi globale adottando la politica del MERCANTILISMO, che pone al centro degli interessi una bilancia commerciale positiva (export prodotti finiti > import materie prima). Questa politica prevede necessariamente che ci sia un divario di potere tra un paese esportatore più forte e uno importatore più debole. Chi importa dipende economicamente dall’esportatore, perché il valore aggiunto sta nel prodotto finito. Quando ormai l’Inghilterra ha preso il sopravvento, si orienta in un secondo momento a proteggere il proprio mercato interno, facendo una scelta di PROTEZIONISMO, in particolare per difendere la produzione di GRANO (le cosiddette Corn Laws). ▪ Più la crescita economica è evidente, più l’Inghilterra si spinge verso una politica di LIBERO SCAMBIO (laissez faire, laissez passer) particolarmente funzionale ad un paese che, verso la metà del XIX secolo, domina l’economia mondiale. ▪ Un intervento decisivo in tal senso si ha con l’abrogazione delle Corn Laws (1846). L’Inghilterra abbandona ufficialmente il protezionismo. Le leggi erano state emanate per proteggere i grandi proprietari terrieri, che riuscivano in tal modo a mantenere elevati i prezzi dei cereali in presenza di una forte crescita della popolazione. L’importazione di grani dall’estero avrebbe sicuramente aiutato la maggior parte della popolazione (ed indirettamente gli industriali), ma avrebbe creato problemi ai produttori. La permanenza di tali leggi è un evidente riscontro del ruolo preminente ancora ricoperto dal settore primario e dagli interessi ad esso collegati. ▪ Con la rivoluzione, a contare politicamente sono gli INDUSTRIALI, che hanno bisogno di un sistema economico che faciliti la trasmissione dei beni da un paese all’altro. L’abolizione delle Corn Laws sancisce definitivamente il superamento degli interessi degli imprenditori rispetto a quelli dei proprietari terrieri. ▪ Da allora in poi è evidente che l’Inghilterra è una potenza industriale che privilegia una politica di libero scambio che la favorisce rispetto ai possibili competitors internazionali. Allo stesso modo, nel 1861, l’Italia unita adotta subito una politica liberista, al fine di esportare più facilmente possibile i prodotti agricoli (olio, agrumi), ma continua ad importare manufatti da Inghilterra e Belgio. 1.12 - Il lavoro ▪ La maggior parte dei lavoratori delle fabbriche inglesi provengono dalle campagne e si impiegano molte donne e bambini. ▪ I turni di lavoro inizialmente sono massacranti, arrivano a 16 ore al giorno; solo a metà ‘800 saranno ridotti a 9 ore per i bambini al di sotto dei 9 anni, a 10 ore per i ragazzi fino a 18 anni e per le donne. ▪ Con l’avvento dell’industria scompaiono le corporazioni, e il governo inglese proibisce qualsiasi associazione di lavoratori e di imprenditori. I movimenti di dissenso comunque non mancano: famoso il Luddismo, che voleva distruggere le macchine. Nel 1825 nacquero i primi sindacati inglesi: le Trade Unions, che possono proporre rivendicazioni solo riguardo all’orario di lavoro e ai salari. 1.13 – L’andamento dei salari La rivoluzione industriale corrisponde ad un reale aumento qualitativo della vita? Con la rivoluzione industriale, i salari reali delle classi lavoratrici inglesi conoscono un sensibile aumento; lo status lavorativo cambia, ma il livello dei salari non è tale da migliorare la qualità della vita e neanche l’aspettativa di vita media, che per lungo tempo si innalza solo leggermente. rimanendo intorno ai 50 anni. Pur in presenza di considerazioni a volte contrastanti (corrente pessimista e corrente ottimista), pare dimostrato che il tenore di vita conosca un certo miglioramento su larga scala nella primissima fase della rivoluzione industriale, per poi peggiorare anche pesantemente con una forte diminuzione di consumo di cibo, un peggioramento delle abitazioni urbane ed un aumento della povertà urbana. L’Inghilterra, infatti, è il primo paese a conoscere il fenomeno dell’urbanesimo, ossia la corsa verso la città delle popolazioni di campagna come diretta conseguenza dell’industrializzazione. Il termine non ha un’accezione propriamente positiva, perché si tratta quasi di una fuga incontrollata verso delle città che sono incapaci di regolamentare tutti questi arrivi. Le città nordeuropee aumentano enormemente di dimensioni, ma non hanno le abitazioni in cui far vivere tutta questa gente, ridotta a vivere in luoghi fetidi (il mondo di Dickens). Per avere un miglioramento economico e sociale decisivo, infatti, è necessario che ci sia un benessere diffuso, cioè che la maggior parte della popolazione abbia condizioni di vita tale di scegliere cosa mangiare, come vestirsi, e se comprare dei beni di consumo non durevole (questo avverrà con la rivoluzione dei consumi). II. LE GRANDI FASI STORICHE DELL’ETÀ CONTEMPORANEA E LE INNOVAZIONI TECNOLOGICHE 2.1 – Le 5 (+1) grandi fasi della storia economica contemporanea 1. 1850-1875: il LIBERISMO ASSOLUTO La seconda metà dell’Ottocento è il periodo del dominio del sistema economico inglese. L’Inghilterra è talmente più avanzata di qualunque altro paese che riesce ad imporre la politica economica da lei preferita. 2. 1875-1GM: la SVOLTA PROTEZIONISTICA Nell’ultimo quarto di secolo, l’Inghilterra perde progressivamente le proprie posizioni di primato come first commerce. Per questioni di carattere internazionale, sarà necessario modificare la politica economica, e da questo rallentamento traggono vantaggio principalmente 2 paesi, che crescono molto velocemente: La Germania: in età preindustriale il paese aveva un ruolo limitato data la divisione in piccoli stati; dopo l’unità (prima doganale e poi politica) riesce a superare l’Inghilterra, ma è destinato ad avere un ruolo sempre rilevante ma mai primo. Gli USA: la superiorità raggiunta a fine Ottocento sarà raramente messa in discussione (tranne il Giappone negli anni 70- 80, oggi la Cina è un rivale ma ha un problema, la popolazione invecchia velocemente, mentre gli USA si riempiono di giovani emigrati), tant’è che costituiscono la maggiore potenza economica mondiale anche oggi. Se la crescita della prima fase industriale avviene grazie al carbone, con il primo Novecento vedremo un ruolo maggiore dell’acqua e del petrolio (periodi in cui questa risorsa sembra abbondante si alternano a periodi di crisi e ricerca di fonti alternative). 3. Post 1GM-2GM: la GRANDE DEPRESSIONE e la CRISI DELLA COOPERAZIONE ECONOMICA INTERNAZIONALE Il periodo tra le due guerre è caratterizzato da una nuova organizzazione della produzione, molto efficiente, cioè il FORDISMO. Tuttavia, un insieme di aspetti complessi saranno provocherà lo scoppio della crisi del ’29, e le conseguenze delle decisioni del primo conflitto mondiale aiuteranno l’emergere dei totalitarismi, in particolare nazismo, fascismo e comunismo (l’economia pianificata, progetto economico alternativo a quello capitalistico, imploderà negli anni ’80). 4. Post 2GM-1973 (crisi petrolifera): il BOOM ECONOMICO, la RICOSTRUZIONE e il sorgere delle MULTINAZIONALI I fenomeni della rivoluzione dei consumi di massa e il benessere diffuso coinvolgono tutto il mondo occidentale. 5. 1973-Fine secolo: il RALLENTAMENTO DELLA CRESCITA e le RISPOSTE ALLE DIFFICOLTÀ Se fino a questo momento la Grande Divergenza prevale, c’è un evento particolare, di durata breve ma incredibilmente incisivo per il futuro, che segna la fragilità del processo di crescita dell’Occidente: la GUERRA DELLO YOM KIPPUR (1973). Apparentemente è una guerra locale tra Israele e paesi arabi, ma in realtà dà avvio alle crisi petrolifere, che rendono evidente la necessità, per la crescita occidentale, di far leva su una risorsa che è altrove. È il primo evento che fa capire come il capitalismo possa avere delle crepe, che saranno nascoste tramite cambi di politiche economiche. Questo nuovo modello basato sulla finanza permetterà all’Est del mondo di dare avvio al nuovo fenomeno della CONVERGENZA ECONOMICA. 6. OGGI: un panorama in chiaroscuro. 2.2 – Le innovazioni tecnologiche: i cambiamenti nei trasporti e nelle comunicazioni Il mondo occidentale comincia a crescere attraverso delle innovazioni tecnologiche. Le nuove invenzioni, finalmente di origine occidentale e non orientale, si diffondono lentamente nel resto del mondo. In particolare, 3 innovazioni segnano un punto di non ritorno con il passato: le prime due, basate sulle essenziali risorse del carbone e del ferro, riguardano la MOBILITÀ DI PERSONE E MERCI (ferrovia e navi a vapore), mentre l’ultima riguarda la COMUNICAZIONE, cioè la trasmissione delle informazioni (telegrafo). 1. LA FERROVIA: l’avere o non avere una rete ferroviaria efficiente vuol dire fare la differenza tra sviluppo e sottosviluppo. Questa invenzione non solo permette di abbattere i costi e i tempi di trasporto, ma anche di effettuare viaggi a basso costo in luoghi in precedenza quasi inaccessibili. La diffusione delle ferrovie rappresenta un indicatore dello sviluppo dei mercati internazionali nei vari paesi. I punti deboli sono sicuramente minori rispetto ai vantaggi che se ne traggono: l’impossibilità di raggiungere i centri urbani di minori dimensioni e la necessità, più tardi, di adattarsi agli orari delle partenze. 1830-50, la fase pionieristica: nel 1840, solo l’Inghilterra ha una rete ferroviaria abbastanza formata, che si concluderà nel 1850 insieme allo sviluppo nel resto d’Europa. Fuori da Europa e USA, la ferrovia viene costruita in modo lentissimo. 1850-70: L’età dell’oro della rete ferroviaria: nel 1880, l’Europa è un immenso reticolo di treni. La spinta avviene anche in buona parte per motivi bellici, ossia per il trasferimento di soldati ed armi. Nel Novecento, sebbene sia sempre importante, la ferrovia comincia ad essere vista come qualcosa di obsoleto, a favore della nuovissima invenzione dell’automobile durante il boom economico (anni ’50-60). IN Italia, in particolare, saranno dismesse molte reti ferroviarie per favorire lo sviluppo del traffico su gomma (FIAT). Ben presto, anche i danni ambientali si rendono evidenti. 2. NAVI A VAPORE E PIROSCAFI: Il trasporto delle merci via mare è soggetto ad una rivoluzione analoga a quella che caratterizza il trasporto via terra con la ferrovia. Grazie all’utilizzo delle navi a vapore (che si diffondono dal 1807), i costi di trasporto si riducono molto rapidamente. Nel 1910, i miglioramenti apportati ai servizi marittimi avevano ridotto il costo dei trasporti del 40% rispetto al 1855. Inizialmente le innovazioni riguardano le imbarcazioni che si muovono lungo i fiumi e i laghi, che avevano il vantaggio di trovare sempre sponde vicine per far rifornimento. L’adozione del vapore consente di andare contro la corrente dei corsi d’acqua, ma la sfida persiste per le traversate oceaniche. La diffusione dei piroscafi a vapore è lenta, perché si consuma una quantità troppo elevata di carbone, rendendo il trasporto e l’utilizzo del vapore troppo costoso. Si lavora dunque sul miglioramento dei motori e delle caldaie, in modo tale da ridurre i consumi, incrementare la capacità di carico (grazie agli scafi in metallo) e ottimizzare la velocità di transito, eliminando il problema delle condizioni climatiche (nelle imbarcazioni a trazione multipla, si sfruttava anche il vento per spostarsi). L’invenzione delle navi a vapore ha delle conseguenze a livello mondiale: è uno dei motivi che sta alla base dell’abbandono della politica liberista e dell’adozione della politica protezionistica in Europa, perché il trasferimento di merci su lunghe distanze diventa economicamente sostenibile. Un fattore che mette in difficoltà l’economia degli anni ‘70 dell’Ottocento è il TRASPORTO DEI CEREALI PRODOTTI NEGLI USA VERSO L’EUROPA. Prima, il trasporto transoceanico tramite velieri richiedeva tempi troppo lunghi per quantità molto limitate, insieme a problemi di conservazione ed eccessive spese di trasporto che incidevano moltissimo sul prezzo finale del prodotto. Nella navigazione transoceanica, l’utilizzo delle navi a vapore inizia a diventare competitivo dagli anni ’70, con delle innovazioni nei motori e negli scafi. L’adozione del vapore fa sì che i grani americani arrivino a costi contenuti, perché negli Stati Uniti, data la bassa pressione demografica, l’offerta era maggiore della domanda, al contrario dell’Europa. Tutto ciò sfocerà in una crisi agraria, che porterà ad innalzare le barriere doganali e ad adottare il protezionismo. Allo stesso tempo, la grande pressione demografica fa sì che queste grandi innovazioni siano utili per il trasporto di persone, dando origine ad una grande EMIGRAZIONE INTERNAZIONALE: negli anni ‘70 dell’Ottocento, moltissimi italiani cominciano ad andare verso gli USA, provocando delle conseguenze benefiche sia per chi parte (che trova condizioni economiche migliori) che per chi resta (per la riduzione della pressione demografica). 3. IL TELEGRAFO: Tra 1850 e 1870 inizia la diffusione del telegrafo a livello internazionale, cosa che permette di rendere la trasmissione delle informazioni veloce quanto mai in precedenza. Vengono stesi i primi collegamenti atlantici. Le prime comunicazioni telegrafiche tra l’Europa, l’Estremo Oriente e l’Australia iniziarono nei primi anni ‘70. Ancora nel 1865 occorrevano cinque mesi perché una persona riuscisse ad inviare dall’India un messaggio in Inghilterra e riuscisse a ricevere una risposta. Nel 1872 una notizia proveniente dall’Europa poteva giungere in Cina in soli due giorni! Per secoli, l’unico mezzo di comunicazione erano le lettere, che richiedevano gli stessi lunghissimi e dilatatissimi tempi di percorrenza del trasporto merci. Ma l’informazione rapida è un elemento fondamentale per il successo degli affari. Diventa fondamentale, quindi, avere un’informazione di migliore qualità, e questo nuovo strumento permette di accelerare in maniera impressionante l’invio e la ricezione di messaggi (da mesi a qualche giorno). Tuttavia, l’invenzione presenta alcune problematiche: Costo troppo elevato: ancor oggi l’invio di un telegramma ha dei costi molto più alti di qualunque altra forma di comunicazione, motivo per cui è utilizzato solo per inviare informazioni stringate (in particolare le condoglianze). Prima veniva usato anche per fare delle felicitazioni o per avere la certezza che quell’informazione sarebbe giunta in tempi rapidi all’esatto destinatario (es. per offerta di lavoro). Con il passare del tempo, in particolare con l’ingresso dei telefoni e delle segreterie telefoniche, il telegrafo sarà facilmente sostituibile. Necessità di firme autografe per i documenti ufficiali: fino a poco tempo fa, né l’email né il fax erano accettati come alternativa ad un documento autografo, ma solo come copie temporanee in attesa di ottenere il documento originale. Il telegrafo è importante per accelerare l’informazione, ma non sostituisce del tutto il documento autografo. Altri cambiamenti nelle comunicazioni: ▪ La fotografia. ▪ La stampa: nuovi metodi e macchinari per la fabbricazione della carta e la stampa (macchina da stampa cilindrica a inizio ‘800 e la linotype) consentono la diffusione di giornali e libri. ▪ Il telefono (1876): consente di parlare con qualcuno a distanza siderale, ma non può sostituire la lettera perché “verba volant, scripta manent”. Sorge la necessità di controllo. ▪ Telegrafo senza fili (1895): radio. ▪ La macchina da scrivere. 2.3 - L’Europa a metà Ottocento Dopo aver analizzato tutto quello che succede tra fine Ottocento e inizio Novecento, possiamo dire che il livello di sviluppo dell’Europa all’epoca è nettamente superiore rispetto agli altri continenti? La risposta è sì. L'incredibile superiorità economica e tecnologica europea non teme neanche la competizione degli Stati Uniti, a causa di un conflitto interno che stavano affrontando in quel periodo (la Guerra di Secessione, 1861-65). La metà dell’Ottocento coincide con il punto massimo di maturità, dopo il quale l’Inghilterra comincia ad avere qualche problema di crescita, dovuto ad un rallentamento nella capacità di innovare. ▪ L'Europa domina il commercio e il reddito mondiale, ma non la popolazione: l'Europa ospita tra ¼ e 1/6 della popolazione mondiale, ma gestisce circa il 70% del commercio mondiale. ▪ Particolarmente avanzata è chiaramente l’Inghilterra. Il processo di cambiamento economico in atto dal XVIII secolo ha, infatti, fatto assumere al Paese i connotati di realtà industriale leader a livello mondiale. ▪ L’Inghilterra ha solo il 2% della popolazione mondiale, ma: o può contare sul reddito pro capite più elevato; o su 1/3 del totale della forza vapore presente nelle fabbriche di tutto il mondo. Vapore significa grande sviluppo industriale e intenso sfruttamento delle locomotive. o Nei primi decenni del XIX secolo, la produzione nel settore della trasformazione inglese rappresentava circa il 25% della produzione mondiale. o Controlla 1/5 del commercio mondiale, mentre il totale dei prodotti inglesi sui mercati internazionali si attesta attorno al 30% del totale. o Nel 1830 è il primo produttore di tessili, ferro, carbone e acciaio. o Ha la rete dei trasporti più efficiente al mondo, distribuita tra strade di terra, canali e flotta marittima. Sta precorrendo ogni altra regione nell’affermazione delle ferrovie. o Sempre nel 1830, la produzione di ferro pro capite è di 54 Kg in Inghilterra, 5 Kg in Germania, 12 Kg in Francia, 24 Kg in Belgio e di 16 Kg negli Stati Uniti. In questo contesto, il continente africano e il continente asiatico sono sempre più in difficoltà. Ma in Europa, Di fronte al successo ottenuto dall’Inghilterra, come reagiscono gli altri paesi? III. L’INDUSTRIALIZZAZIONE NEGLI ALTRI STATI: IL BELGIO E LA FRANCIA 3.1 – First comer e Followers (second commers) Gerschenkron parla di «vantaggi dell’arretratezza». Occorre un grande sforzo per raggiungere il paese leader: alcuni fattori che aiutano i paesi a sostituire i vantaggi iniziali della Gran Bretagna (prerequisiti) sono lo stato e le banche. ✓ Livello del PIL pro capite dei principali paesi raffrontato con quello della Gran Bretagna negli anni 1700, 1820 e 1870. Paesi 1700 1820 1870 − I Paesi Bassi sono in testa nel 1700, ma poi vanno in perdita. Gran Bretagna 100 100 100 − L’Italia ha toccato il picco alla fine del 1500, subendo poi un lento e inesorabile Francia 70 58 54 declino; ripartirà solo negli anni ’80-90 dell’Ottocento. Germania 64 50 52 − Gli USA vedono un processo di crescita significativo con la seconda metà USA 38 59 70 dell’Ottocento. Italia 78 53 43 − Tra i paesi che crescono, la Francia ha una posizione non rilevante, insieme alla Paesi Bassi 150 86 79 Germania che è ancora non unita. Belgio 81 62 77 − L’unico paese che cresce in maniera decisa è il Belgio. 3.2 – IL BELGIO Il Belgio nasce come stato indipendente, affrancandosi dall’Olanda, nel 1830. È il secondo paese a industrializzarsi precocemente perché gode di una serie di prerequisiti favorevoli: 1. Abbondanti risorse minerarie, in particolare carbone e ferro, che consentono la costruzione di un’estesa rete ferroviaria. Ciò è dovuto anche al fatto che il Belgio è un paese non molto esteso geograficamente, per lo più pianeggiante e quindi ben presto caratterizzato da facilità di strade e vie di comunicazione che facilitano lo sviluppo di un unico ed assai dinamico mercato interno. 2. Agricoltura intensiva: il Belgio conosce una forte crescita della popolazione ed avvia precocemente una fase di modernizzazione dell’agricoltura, il cui tratto peculiare è l’aggregazione di molte fattorie per l’ottimizzazione della distribuzione delle coltivazioni intensive, in un territorio con molti canali e corsi d’acqua. 3. Vicinanza geografica all’Inghilterra: permette il precoce trasferimento di esperti, ingegneri e tecnici inglesi. Inoltre, il Belgio ha un governo propenso ai cambiamenti economici, che interviene per dar vita ad una legislazione favorevole alla diffusione delle società per azioni. Già a metà secolo risulta il paese più industrializzato dell’Europa continentale, con margini di crescita che progressivamente si riducono. 3.3 – LA FRANCIA Nei secoli, la Francia ha sempre avuto un ruolo rilevante ma mai primo. Nonostante non abbia mai una caduta drammatica delle tendenze, non riesce ad imporsi. Il modello di industrializzazione in Francia è molto diverso da quello britannico e tedesco, per questo motivo è stato considerato come «ritardatario» o «arretrato». Ricerche più recenti hanno dimostrato che i risultati sono stati comunque efficienti e hanno consentito un maggior benessere della popolazione. Se si guarda ai paesi che si sono industrializzati più tardi e che avevano modeste (o nulle) risorse di ferro e carbone, molto spesso hanno seguito il modello francese. 3.3.1 – I motivi del ritardo della Francia 1) Un lungo periodo di guerre 2) Una modesta crescita demografica 3) La frammentazione delle proprietà agrarie 4) L’insufficienza di risorse naturali In Francia, come in Gran Bretagna, la crescita moderna prende avvio nel XVIII secolo ed è caratterizzata da tassi di sviluppo analoghi. ▪ 1790 – 1815: la Francia è coinvolta quasi ininterrottamente dalla rivoluzione e dalle guerre (conflitti moderni che vedono la coscrizione di massa e quindi l’impiego di un gran numero di forze di lavoro). ▪ 1848 – 1851: nuova fase di rivolte interne; con la costituzione del 2° Impero (Napoleone III) riprende una crescita accelerata. ▪ 1870-71: la Germania sconfigge la Francia, che perde le due provincie più dinamiche e ricche di materie prime: l’Alsazia e la Lorena. ▪ L’inizio del XX secolo (fino alla Prima guerra mondiale) è il periodo denominato della «belle époque», caratterizzato da notevole prosperità economica e da grande creatività intellettuale. ▪ La popolazione cresce a tassi inferiori rispetto a quelli inglesi e le città, eccetto Parigi. ▪ La rivoluzione francese ha inciso profondamente nella distribuzione della proprietà terriera: sono state espropriate le grandi proprietà (ecclesiastiche e nobiliari). Le unità produttive sono frammentate in piccole e piccolissime unità poderali. ▪ Nella seconda metà dell’Ottocento, le viti e i bachi da seta sono colpiti da gravissime malattie che fanno crollare le produzioni. ▪ Il settore primario continua ad essere a lungo il settore principale di occupazione (nel 1856 oltre il 60% della popolazione attiva, nel 1913, ancora il 40%). Questo aspetto è stato a lungo considerato un motivo di arretratezza, ma nel XIX secolo la Francia è l’unico paese industrializzato autosufficiente da un punto di vista alimentare. ▪ In Francia si era affermata la fisiocrazia, che credeva che la ricchezza della nazione si basasse sulla agricoltura. 3.3.2 – Fattori favorevoli per lo sviluppo della Francia 1) La Rivoluzione Francese 2) L’insegnamento e la ricerca (soprattutto in ambiti tecnico-scientifici) 3) L’opera dei Sansimoniani Il ruolo dello stato ▪ Le riforme della Rivoluzione francese favoriscono la crescita dell’industria con l’abolizione delle corporazioni. ▪ Il Codice civile e il Codice di commercio sono fondati sull’uguaglianza tra cittadini. ▪ Il ruolo fondamentale degli interventi sui trasporti e la nascita della ferrovia. Il settore secondario Nella prima metà del XIX secolo, la crescita è determinata da una serie di fattori fondamentali: - la domanda legata alle guerre, che però non introducono innovazioni; - la scelta di una politica economica protezionistica fino agli anni ‘50. ▪ Si rafforzano le industrie moderne (comparti cotoniero, siderurgico, meccanico). ▪ Cominciano ad affermarsi le industrie di medie dimensioni (ca 100 operai) il tessile, la chimica, le raffinerie di zucchero di barbabietola, l’industria del vetro e delle porcellane. ▪ Cresce costantemente durante tutto il secolo la manifattura artigianale e domestica dei prodotti di lusso che è alla base dell’economica francese. ▪ La trasformazione dell’economia francese entra nella sua fase decisiva solo intorno a metà del XIX secolo, in corrispondenza con la presa del potere da parte di Napoleone III. ▪ Enormi investimenti per la costruzione di strade, realizzazioni di canali e soprattutto, di una importantissima rete ferroviaria. ▪ Si rafforza la produzione del settore siderurgico e meccanico. ▪ Importanti investimenti nel campo edilizio. La trasformazione di Parigi. Aspetti della modernizzazione Tra i settori che risentono maggiormente dell’influenza dei seguaci del Conte di Saint-Simon, oltre all’industria, troviamo: ▪ I TRASPORTI: Con la metà del secolo, si fanno evidenti gli investimenti nel settore dei trasporti, fondamentali sia per la creazione del mercato interno, sia per i commerci internazionali. È lo Stato a farsi carico della costruzione delle linee, mentre i capitali vengono messi a disposizione dai grandi gruppi bancari sorti nel frattempo (crédit mobilier dei fratelli Pereira), che hanno in concessione le tratte. La crescita, soprattutto della linea ferroviaria, è essenziale per la più generalizzata crescita del paese. ▪ IL SISTEMA BANCARIO: Il sistema bancario tradizionale è costituito dalla cosiddetta «alta banca» formata da banchieri che investono a livello nazionale e internazionale, con finanziamenti a breve termine, che non riguardano generalmente il settore industriale (rotschild). La fondazione della Banca di Francia (1800) in forma di società privata, ma sottoposta al controllo dello stato, che può emettere banconote. Prende avvio un adeguato tessuto di istituti bancari, che accanto all’attività tradizionale, svolgono investimenti a medio/lungo termine, assolutamente necessari per sostenere la politica sia di accrescimento delle infrastrutture, sia di industrializzazione. 3.3.3 – La Francia: commercio e politica commerciale ▪ La sconfitta nelle guerre napoleoniche comporta la perdita di colonie e il ridimensionamento di alcuni porti. ▪ La scelta di una politica economica protezionistica per sostenere la crescita industriale (anni ‘40 e ‘50); a cui segue l’adozione del sistema liberistico contraddistinta dai trattati bilaterali. Importante è il trattato stipulato tra Inghilterra e Francia. Con esso la Francia abolisce le clausole che limitano l’importazione di tessuti e filati inglesi, mentre l’Inghilterra cancella i dazi all’esportazione di carbone verso la Francia e sull’importazione dei prodotti vitivinicoli. Viene contemporaneamente introdotta la cosiddetta clausola della nazione più favorita, in base alla quale l’interscambio tra i due paesi può avvenire sulla base di dazi inferiori a quelli praticati nei confronti di ogni altro paese. ▪ Negli anni ’80 dell’Ottocento, con la ripresa del protezionismo (guerra commerciale con l’Italia), si apre una fase di rallentamento dei commerci e della crescita che si prolunga fino a fine secolo. 3.3.4 – Elementi chiave del modello di crescita francese Alla base del modello francese si devono ricordare due caratteristiche del paese: − il modesto tasso di incremento demografico. − la scarsità relativa di carbone. Strettamente connessi a tali aspetti appaiono: 1) Il basso ritmo di urbanizzazione 2) La dimensione e la struttura dell’impresa 3) Le fonti energetiche a disposizione dell’industria ▪ Oltre il 70% delle imprese sono di piccolissime dimensioni (non impiegano salariati) ▪ Circa il 10% sono di grandi dimensioni con più di 500 dipendenti; il resto dell’attività manifatturiera è svolto da imprese di piccole e medie dimensioni (la maggior parte) impegnate nei settori tradizionali e nell’industria del lusso e da imprese con ca. 100 operai che svolgono attività moderne (chimica, vetro, carta, gomma) ▪ Caratteristica la dislocazione geografica delle industrie: sono disseminate in cittadine, villaggi e anche in aperta campagna, per poter sfruttare le fonti energetiche, soprattutto la forza dell’acqua ▪ Il carbone è presente, ma in misura inferiore agli altri stati come Regno Unito, Belgio, Germania. Il suo sfruttamento è più costoso perché in zone distanti dai mercati e difficili da raggiungere. La Francia è costretta a ricorrere all’importazione (ca. 1/3 dei suoi consumi) ▪ Per questo sfrutta molto l’energia idraulica, apportando miglioramenti tecnologici (la turbina idraulica). Ancora negli anni ‘60 2/3 dell’energia sono forniti dallo sfruttamento dell’acqua. ▪ Generalmente i siti più adatti all’impiego dell’energia idraulica si trovano lontani dai centri abitati e per questo le industrie sono di dimensioni contenute, sono disperse nel territorio e non contribuiscono al fenomeno dell’urbanizzazione. ▪ Dagli anni ‘90 l’acqua viene utilizzata in modo sempre più ampio per produrre energia elettrica. 3.4 - LA GERMANIA Lo sviluppo industriale della Germania si può sintetizzare con 4 tasselli fondamentali: 1. L’UNIONE DOGANALE; 2. GLI JUNKER; 3. LA DISPONIBILITÀ DI RISORSE; 4. I SETTORI ECONOMICI STRATEGICI. Nonostante il progresso tedesco parta relativamente in ritardo, a causa della frammentazione in piccoli stati, a fine Ottocento la Germania è il paese europeo più sviluppato. Riesce sempre a riprendersi, anche dalle crisi più devastanti, in particolare le due guerre mondiali (a seguito delle quali deve pagare delle indennità notevoli) e la caduta del muro di Berlino (che pone il problema della riunificazione tra l’economia pianificata dell’Est, da un lato, e l’Ovest capitalista dall’altro). 3.4.1 - L’unificazione della Germania ▪ Per buona parte dell’Ottocento la Germania non esiste: la frammentazione geopolitica (in ben 39 staterelli) è un elemento che ritarda sia la modernizzazione del settore agricolo, sia il raggiungimento delle precondizioni dello sviluppo industriale. ▪ L’unità politica viene raggiunta tardissimo: nel 1871, dopo la vittoria della Prussia* contro Napoleone III, ed è il punto di arrivo di un percorso iniziato addirittura negli anni ’30 con lo zollverein, cioè l’unione doganale (eliminazione di tutti i dazi, regime di libero scambio all’interno dell’area tedesca”. ▪ L’unione doganale (attuata del tutto nel 1834) raggiunge risultati importanti: amplia i confini degli scambi, incrementa il commercio, permette la creazione di un mercato interno omogeneo prima ancora che si raggiungesse l’unità politica. 3.4.2 – Il ruolo degli junker La frammentarietà politica determina una forte arretratezza dell’agricoltura scarsamente marked oriented e di tipo estensivo. La regione agricola più avanzata è sicuramente la Prussia (che tra l’altro è anche uno degli stati più importanti della Germania pre- unitaria), grazie anche ad una precoce privatizzazione delle terre demaniali. La Prussia non è uno stato libero, presenta contemporaneamente elementi retrivi ed elementi di modernità, in particolare il capitalismo reazionario (adotta nuovi sistemi economici ma si rifà a ideali passati). Tuttavia, la Prussia introduce delle riforme istituzionali innovative, costituendo la cosiddetta “monarchia illuminata” e rafforzandosi dal punto di vista militare. Bisogna tenere presente, in ogni caso, che i grandi proprietari terrieri prussiani, gli junker, presentano caratteri particolari: arretratissimi come modalità ma molto avanti come mentalità orientata all’industria. ▪ Sono a capo di grandi aziende agricole (soprattutto cerealicole) che conducono con sistemi di derivazione addirittura feudale/latifondista: i loro contadini (i servi della gleba medievali), nonostante diversi provvedimenti tesi a emanciparli, sono obbligati alle servitù personali, non possono trasferirsi da una terra all’altra e devono giurare fedeltà al proprio signore. Questo sistema ha ragion d’essere perché la Prussia ha alta disponibilità di terreni e una bassa pressione demografica. ▪ Nel contempo, tuttavia, gli junker sono alla base della svolta verso l’industrializzazione delle Germania perché impiegano gran parte dei capitali ottenuti con l’agricoltura nella costruzione di strade, canali, edifici pubblici: sostengono dunque il settore secondario. ▪ Non c’è una distinzione tra junker e industriali, perché loro stessi sono i primi sostenitori dell’industria (cosa che non succede né in Inghilterra, né in Italia). 3.4.3 – L’industrializzazione tedesca prima e dopo l’unità ▪ Progressivamente anche in area tedesca si nota un aumento della popolazione, una crescita della produttività agricola (con la conseguente liberazione di manodopera) ed una prima fase di crescita industriale (soprattutto nel tessile) tale da impiegare la manodopera prima impiegata nell’agricoltura. ▪ Nella seconda fase di crescita industriale (post 1871), fondamentale è l’intervento pubblico nelle costruzioni, nella formazione, nelle grandi opere (boom della rete ferroviaria). ▪ La produzione manifatturiera continua, poi, a crescere progressivamente tanto da fare della Germania la prima potenza europea, sorpassando l’Inghilterra e diventando – all’inizio del XX secolo – la seconda potenza economica al mondo dopo gli Stati Uniti. ▪ L’intervento pubblico è decisivo per mettere a frutto al meglio le grandi risorse naturali (carbone e ferro) di cui gode il paese (in particolare nella zona di confine con la Francia, l’Alsazia e la Lorena, motivo di conflitto fra i due stati) e per indirizzare l’industria verso i nuovi settori «pesanti»: la siderurgia, la meccanica, la chimica. L’adozione di un sistema industriale votato a settori pesanti fa sì che le imprese debbano adottare le società per azioni. ▪ Alla vigilia della Prima guerra mondiale, alla Germania spetta ormai quasi il 50% della produzione di acciaio e dei macchinari, il 41% della chimica e oltre 1/3 della produzione di carbone di tutto il continente. La Germania riesce a crescere più dell’Inghilterra proprio perché punta su settori economici strategici, cioè quelli ad alta tecnologia, e non sul tessile che non garantisce un grande margine di crescita. Per sostenere questo sistema, pensano già all’organizzazione di un sistema scolastico che potesse formare adeguatamente il personale (gli istituti tecnici). LA DECISIONE DI PUNTARE A SETTORI PESANTI È DIRETTAMENTE CORRELATA ALL’OBIETTIVO TEDESCO DI RAGGIUNGERE OBIETTIVI DI GRANDEZZA POLITICA E MILITARE. Per un paese che non è mai stato coloniale, ma solo “regista” nella divisione dell’Africa fra gli altri stati europei, questa scelta rivela anche il desiderio di mostrare la propria forza, ricavarsi il proprio spazio per far vedere che conta. Anche oggi, la crescita economica di un paese è legata alla capacità di inserirsi nei settori più innovativi (ad esempio. il made in Italy assicura delle nicchie di mercato, ma non la crescita generale del paese). 3.4.4. - Fattori di crescita della Germania ▪ La nascita di nuovi istituti bancari – le banche miste – capaci di conciliare attività di prestito a medio e lungo termine, partecipazione diretta alla gestione delle attività delle imprese e normale attività di sportello. ▪ L’adozione dei cartelli industriali (verticali e orizzontali): congregazioni di imprese che si riuniscono insieme col fine di gestire lo sviluppo industriale in un regime di oligopolio (potere di pochi) o monopolio (potere di uno). o Orizzontali: imprese che operano nello stesso settore (es. acciaierie). o Verticali: imprese facenti parte della stessa filiera produttiva (es. produttori di impianti, produttori di altoforni e imprese per la trasformazione dell’acciaio in prodotti finiti). A fine Ottocento, per avere un ulteriore passo in avanti, i paesi più sviluppati sono di fronte ad un bivio: sostenere uno sviluppo capitalistico che passa attraverso la difesa della libera concorrenza, oppure concentrarsi sulla crescita attraverso la riduzione della libera concorrenza? Il primo caso è modello su cui investono gli USA, che adottano una normativa antitrust (volta a garantire libera concorrenza) molto elevata. Al contrario, la Germania adotta i cartelli industriali. Un esempio di cartello industriale attivo ancora oggi attivo è l’OPEC, il gruppo di paesi produttori di petrolio, che può decidere quanto petrolio estrarre, permettendosi di gestire domanda e offerta. Allo stesso modo, i cartelli industriali tedeschi stabiliscono quanto produrre, con che qualità, a quali prezzi vendere, perché non si fanno concorrenza tra loro. In questo modo, la crescita economica passa attraverso una limitazione della concorrenza, ma le imprese tedesche fanno ancora qualcosa in più. Si tratta della politica di dumping: la Germania mantiene prezzi alti all’interno del paese e prezzi bassi all’estero, per essere competitiva a livello internazionale ma sempre preservando la concorrenza interna. LA PRIMA FASE: 1850-70 Fondamentale è lo sviluppo del sistema del credito con la nascita di quattro grandi banche che saranno la base del sistema basato sulle banche miste: la Darmastadter Bank, la Deutsche Bank, la Disconto Gesellschaft e la Dresdner Bank. Il nome deriva dal fatto che queste banche combinano le attività bancarie tradizionali (depositi, apertura conti correnti, credito a breve termine) ad altre nettamente innovative, specialmente il credito a medio e lungo termine. In un periodo in cui l’aspettativa di vita era ancora molto bassa, concedere crediti a lungo termine era molto rischioso per le banche. Infatti, la maggior parte degli istituti concedevano dei crediti a breve termine, per poi eventualmente prolungarli. Ma con lo sviluppo dei settori dell’industria pesante, per sostenere i costi fissi è necessaria una grande quantità di capitale: ecco che le banche accordano la cessione di crediti a lungo termine, a condizione che un rappresentante della banca segga nel consiglio di amministrazione dell’impresa e che possa indirizzarne le strategie industriali. In questo modo, le banche hanno la garanzia di un uomo di fiducia che controlla l’andamento dell’industria. Dal 1873 in poi, le 4 banche si specializzano e si spartiscono i campi di investimento industriale, per non farsi concorrenza tra loro: − Darmastadter Bank: industrie chimiche; − Deutsche Bank: industrie elettriche; − Disconto Gesellschaft e Dresdner Bank: industrie minerarie e siderurgiche. LA SECONDA FASE: 1871-1913 In seguito alla vittoria sulla Francia, si proclama l’unificazione politica della Germania sotto la dinastia prussiana degli Hohenzollern, con primo ministro Bismarck. Ha inizio una nuova fase di crescita dell’economia tedesca, anche se nella prima fase deve fare i conti con la pesante crisi agraria determinata dall’arrivo dei grani americani. La seconda fase dell’industrializzazione tedesca è caratterizzata da un significativo intervento dello stato: ▪ Decisa scelta di una politica economica protezionistica: la Germania abbandona il libero scambio in reazione alla crisi agraria, perché l’arrivo dei grani prodotti negli USA aveva creato dei problemi alle produzioni cerealicole europee. ▪ Crescita esponenziale della rete ferroviaria. ▪ Sforzo espansionistico all’estero al fine di creare un impero coloniale: se prima il continente africano era solo sfruttato per le risorse, adesso la nuova tecnologia disponibile permette di occuparlo. Se si vuole vedere un lato positivo della cosa, i paesi africani traggono vantaggio dalla costruzione delle reti ferroviarie. ▪ Investimenti importanti per l’istruzione e la politica sociale: vengono emanate delle leggi innovative, come l’assicurazione contro le malattie, l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni, le pensioni per l’invalidità e la vecchiaia. Queste ultime emanate anche per evitare di essere “contagiati” dal nascente movimento socialista. Questa scelta deriva da una netta differenza rispetto al passato: prima non c’era bisogno di competenze per lavorare, la scuola era il lavoro, perché la tecnologia era limitata e bastava apprendere con l’esperienza (garzonato, apprendistato); invece, in un mondo sempre più industrializzato con impianti innovativi complessi, è fondamentale una preparazione tecnica. La Germania è il primo paese ad introdurre, oltre ai licei, gli istituti tecnici. Altrettando importante è la politica sociale: nel periodo dello sviluppo dell’ideologia marxista, cresce la consapevolezza tra chi lavora in fabbrica di far parte di un corpo ben specifico. Si diffonde la necessità di una politica di protezione sociale, che porta all’istituzione di forme pensionistiche per invalidità, vecchiaia, inabilità al lavoro. 3.5 – L’ITALIA I paesi europei che si industrializzano per primi (Inghilterra e Tutti elementi che mancano all’Italia e che, comunque solo in Belgio) o per secondi (Germania, Stati Uniti) contano su: parte, spiegano l’enorme ritardo italiano: 1. Un’ampia disponibilità di materie prime (ferro e carbone); 1. Risorse non adeguate, soprattutto del carbone. Con gli 2. Una collocazione geografica che facilita i rapporti con i anni ’80 dell’800, l’Italia si riprende con la produzione di mercati esteri; energia idrica; 3. Un precoce sviluppo di un coeso mercato interno. 2. Alpi e Appennini separano l’Italia dal resto d’Europa e sono un ostacolo anche per le comunicazioni interni; 3. Pragmatici nelle pratiche commerciali del Rinascimento, adesso l’Italia non vede la possibilità di un’unità doganale, c’è molto disaccordo tra i diversi modelli di sviluppo economico degli stati preunitari. Il Paese va incontro ad una lenta e progressiva decadenza economica: l’Italia da «lepre» (XIII-XVI secolo) si fa «tartaruga» (XVII- XVIII secolo) ed infine malinconicamente «sasso». Una delle cause principali sono le epidemie di peste (nel XIV e nel XVII secolo), che obbligano l’Italia ad essere trainata da altre economie europee nel Seicento e a non avere possibilità di sviluppo economico nell’Ottocento. 3.5.1 – L’Italia prima dell’Unità L’Italia ottocentesca sino all’unità è un paese caratterizzato da: ▪ Lenta crescita della popolazione: tra 1750 e 1850 si passa da circa 15,5 milioni di abitanti a meno di 25 milioni. Crescita molto più sostenuta nella seconda metà dell’Ottocento, ma il sistema economico non si adatta alle nuove esigenze dovute alla pressione demografica → emigrazione internazionale. ▪ Estrema frammentazione politica, sviluppo diffuso in modo non omogeneo nel territorio e mancanza totale di un mercato interno; ▪ Un’economia basata quasi esclusivamente sull’agricoltura e con modalità differenziate in relazione alla natura del suolo: piccola e media proprietà nel Nord e nel Centro, che non è in grado di produrre eccedenze per il mercato ma solo per consumo personale (rilevante presenza della mezzadria e del modello intensivo); vaste estensioni di terre non coltivate e vasti latifondi lavorati da braccianti al Sud. ▪ Sporadicità degli insediamenti industriali, con solo alcuni comparti del tessile caratterizzati da un’organizzazione al passo con i cambiamenti avvenuti a livello europeo. È il caso della produzione serica*, il vero settore industriale portante dell’Italia del tempo che produce per l’esportazione. Meno rilevante, per il momento, il tessile laniero, che produce soprattutto per un consumo locale ed esploderà dopo l’unità. Manifatture importanti nel periodo preindustriale, ora il sistema economico è tenuto in piedi dal tessile. ▪ Mancanza pressoché totale di un sistema bancario in grado di stimolare la transizione verso un processo di sviluppo industriale. Manca una banca centrale (ben 6 Istituti di emissione legati ai vecchi regni). ▪ Ritardato sviluppo dei nuovi trasporti (ferrovie e navi a vapore) anche a causa della scarsità di minerali e la quasi totale mancanza di carbone. Bisognerà attendere gli anni ‘50 per un vero primo sviluppo della rete ferroviaria nella penisola. * Un fattore che colpisce è la presenza ininterrotta del settore serico per secoli, dal Tardo Medioevo fino al secondo dopoguerra, quando crollerà definitivamente per l’incapacità di competere con la produzione di seta di Giappone e Cina. Tuttavia, si tratta di una parabola verso il basso: quella che era stata una presenza manifatturiera importantissima in passato (drappi e tessuti finiti nel 1500, prevalentemente semilavorati nel 1600-1700), nell’Ottocento si riduce a produzione di seta grezza. Chiaramente, se prima l’Italia aveva un ruolo leader nella produzione ed esportazione, adesso è nelle mani degli altri paesi ed è costretta ad acquistare dall’estero i prodotti finiti. 3.5.2 – L’Italia al momento dell’Unità (1861) L’Italia nasce nel 1861 con capitale Torino (diventerà Firenze nel 1865 e Roma nel 1870, dopo il conflitto Franco-Prussiano e le tre Guerre d’Indipendenza). Alcune aree però non sono ancora Italiane: bisognerà aspettare la Prima guerra mondiale per acquisire il Trentino, e l’Italia come la conosciamo oggi si completa nel 1954 con la presa di Trieste. Dopo l’Unità, la situazione pregressa non subisce modificazioni sostanziali. Solo in alcune zone del Centro-Nord si trovano esempi di proprietà agraria di tipo capitalistico. Poche le industrie moderne sia al Nord che al Sud, queste ultime in particolare sono favorite da un forte protezionismo, che ne determina anche la debolezza. La Penisola si presenta con i caratteri tipici dell’arretratezza: − scarsità endemica di capitali, − prevalenza del settore primario sul secondario, − attrezzatura tecnologica insufficiente, − bassissimo livello dell’istruzione e bassi salari. L’Italia si muove a fatica verso la modernità. Ecco alcuni esempi significativi per dimostrare quanto appena affermato: ▪ Nel 1865 in Italia ci sono poco meno di 4500 km di rete ferroviaria contro gli oltre 26.000 della Francia, i 24.000 dell’Inghilterra, i 19.000 della Germania. Solo nel 1880 la rete ferroviaria italiana sfiorerà i 9.000 km. In termini percentuali, bisogna chiaramente considerare le dimensioni del territorio, quindi non pochissime in confronto alla Francia, ma differenza enorme con UK. ▪ Nel 1861, uno dei problemi maggiori è l’analfabetismo, molto più diffuso rispetto ai secoli precedenti. Poco più del 20% degli abitanti sanno leggere e scrivere. Le scuole elementari, tra pubbliche e private, sono in media 11 ogni 100 Km 2 (concentrate nella città). La problematica persiste ancora nella seconda metà del Novecento. ▪ La vita industriale è assai asfittica, resa tale anche dagli enormi costi che si devono sostenere per ottenere finanziamenti, per importare il carbone, per importare i macchinari necessari. Le industrie, tra l’altro, mancano di manodopera specializzata e di personale tecnico direttivo. Tale personale deve necessariamente arrivare dall’estero, aggiungendo costi su costi. ▪ Mercato interno assai ristretto se non addirittura inesistente, situazione resa ancor più grave dallo scarso potere d’acquisto delle masse; dalla pratica assai diffusa nelle campagne dell’industria domestica che produce per l’autoconsumo o al massimo per il consumo locale; dalla difficoltà delle comunicazioni (cattivo stato delle strade e diffusione non adeguata della ferrovia). Il debito pubblico Alla nascita del Regno d’Italia, si discute sul come trattare i titoli di debito pubblico degli stati preunitari. La decisione più saggia sarebbe stata di ripartire con debito azzerato. Tuttavia, considerando che la classe dirigente dell’Italia unita è composta dalla stessa classe degli stati preunitari, che avevano investito sui titoli dello stato, questi votano per mantenere i debiti per non perdere le proprie rendite. È una scelta dettata dal prevalere dell’interesse privato su quello pubblico. [È la stessa visione che riguarda ancora oggi i paesi mediterranei, in cui l’evasione e l’elusione fiscali sono molto elevate. Questo stato di cose è totalmente ribaltato nel mondo nordeuropeo: le famiglie sono molto più indebitate di quanto non sia lo stato.] Quindi, a rendere ancor più complicata la situazione, il nuovo stato unitario nasce con pesantissime condizioni di bilancio. Una condizione già pesante aggravata ulteriormente dai necessari investimenti che si devono sostenere per dotare il nuovo stato di un minimo di opere pubbliche, di infrastrutture di base, degli sforzi per creare un mercato unico. Per sostenere le spese lo Stato ricorre a diverse fonti di finanziamento: inasprimento dell’imposizione fiscale, indebitamento pubblico, vendita dei beni demaniali. 5 fasi di evoluzione del divario tra centro-nord e sud-isole Continuano ad essere presenti differenti stadi di crescita economica tra le varie aree dell’Italia, e anche all’interno dello stesso Centro-Nord. Ad una crescita importante dell’agricoltura lombarda e piemontese, ad esempio, non corrisponde una altrettanto rilevante crescita dell’agricoltura veneta. Per quanto riguarda il divario Nord-Sud ci sono diverse interpretazioni sulle differenze iniziali, soprattutto considerando il PIL, ma dopo l’Unità si possono individuare 5 periodi: 1. Periodo della stabilità (1861-90): il divario ha una crescita contenuta, si parte da livelli molto bassi per tutti. 2. Formazione del divario (1890-1920): fase del «decollo industriale» di alcune aree del Nord, il divario si fa evidente. 3. Periodo della divergenza (1920-50): crescita del divario, la “forbice” si allarga. 4. Periodo della convergenza (1950-75): corrisponde al «miracolo economico», con una fase di riavvicinamento in cui sono attive delle politiche di sostegno dello sviluppo economico da parte dello “Stato imprenditore”. Questa situazione cambia con le crisi petrolifere degli anni ’70, in cui la crescita industriale procede solo attraverso capitali privati. 5. Periodo della stagnazione (fino ai giorni nostri): c’è stato un unico momento in cui i centri studi (es. SVIMEZ) hanno cominciato ad evidenziare un riavvicinamento del Sud verso il Nord, e cioè il Covid. Lo sviluppo dello smart working ha determinato un aumento del ritorno a casa dei giovani meridionali; nonostante ciò, il superamento della pandemia ha provocato un ritorno alla normalità, ma qualche impresa ha mantenuto lo smart working o ha collocato alcune aree al sud. 3.5.3 – L’Italia dopo l’Unità (1861-1876) Le scelte della destra storica Anche in questo periodo, le scelte prese dalla Destra storica non permettono un cambiamento decisivo. Il nuovo stato procede con una politica economica legata in gran parte agli interessi della classe dirigente composta, soprattutto, da proprietari terrieri: ▪ L’adozione del libero scambio: i proprietari terrieri hanno tutto l’interesse a facilitare l’esportazione dei prodotti agricoli, strategia che però non permette all’industria italiana di riuscire a competere con il resto d’Europa. ▪ L’acquisizione del debito pubblico degli ex-Stati preunitari. ▪ Ulteriore forte emissione di titoli di stato per proseguire lungo la strada dell’ammodernamento infrastrutturale e vendita dei beni demaniali. Tali scelte/necessità deviano pesantemente il capitale privato dall’investimento in attività produttive, visto che il privato preferisce sottoscrivere titoli pubblici dal rendimento elevato o acquistare nuove terre piuttosto che affrontare il rischio di iniziative imprenditoriali. ▪ Nonostante l’impegno, la crescita infrastrutturale non è particolarmente accelerata. In ogni caso cresce il chilometraggio della rete ferroviaria, la ramificazione di nuove strade. Viene creato un servizio telegrafico nazionale. Il quadro economico ▪ Continua assai moderato (quasi impercettibile) lo sviluppo del settore secondario. Gli unici settori che continuano ad essere presenti in modo rilevante sono quelli legati ai settori leggeri dell’alimentare e, soprattutto, del tessile. Solo i comparti del tessile (in particolare il laniero ed il serico) assicurano la fabbricazione di prodotti destinati al mercato estero. ▪ Particolarmente rilevante, ancora una volta, la produzione serica. Il setificio guadagna quasi la metà della valuta estera che entra nel Paese. Si tratta, in ogni caso, di un settore che sfrutta alcuni evidenti vantaggi (che sul medio/lungo periodo diventano svantaggi): – le prime fasi della lavorazione vengono effettuate in ambito rurale, in una campagna sovrappopolata nella quale il contadino dispone di parecchie giornate libere nel corso dell’anno. o Quasi tutte le filande sono localizzate fuori dall’ambito urbano e utilizzano, spesso in modo discontinuo, la manodopera esuberante, soprattutto femminile: la presenza delle donne è dovuta alla necessità di una manualità molto fine, ma la lavorazione è molto stancante, degradante, gli ambienti di lavoro pessimi, con degli odori sgradevoli difficilmente rimovibili, tutti fattori che stimolano un tentativo di damnatio memoriae da parte dei lavoratori. Benché fosse un settore prestigioso, spesso non si conosce la realtà e la difficoltà effettiva. o I salari, proprio per i motivi appena detti, sono estremamente bassi, inferiori a quelli di sussistenza visto che si tratta quasi sempre di un reddito aggiuntivo a quello familiare derivante dall’attività agricola.

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