Storia del Diritto - Dispensa PDF
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La dispensa analizza la storia del diritto, dall'antico regime al nuovo ordinamento. Copre l'evoluzione del sistema giuridico europeo, inclusi il diritto comune, le dichiarazioni dei diritti e la nascita dei codici. Vengono evidenziate le differenze e le innovazioni tra il periodo precedente all'era dei codici e l'era moderna, evidenziando le teorie politiche e il contesto storico sottostante.
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1 - DALL’ANTICO REGIME AL NUOVO ORDINAMENTO DAL PASSATO AL PRESENTE: Nel arco della storia giuridica, numerosi cambiamenti sono stati di particolare rilievo ed hanno modificato radicalmente le caratteristiche del sistema giuridico di quegli anni; mutamenti che troviam...
1 - DALL’ANTICO REGIME AL NUOVO ORDINAMENTO DAL PASSATO AL PRESENTE: Nel arco della storia giuridica, numerosi cambiamenti sono stati di particolare rilievo ed hanno modificato radicalmente le caratteristiche del sistema giuridico di quegli anni; mutamenti che troviamo ancora oggi nel nostro diritto come: Innovazioni sostanziali cioè il riconoscimento dei diritti innati, la necessità di garanzie per i diritti individuali, la rappresentanza politica, l’eguaglianza di ogni cittadino di fronte alla legge, la divisione dei pubblici poteri e la vigenza esclusiva della legge dello Stato. Innovazioni formali (fonti del diritto) cioè una Costituzione scritta alla base dell’organizzazione dello Stato e l’adozione di codici in principali settori del diritto. ➔ Le prime “dichiarazioni dei diritti” e le prime carte costituzionali sono state adottate negli USA e in Francia alla fine del 18° sec., mentre i primi codici nella Francia rivoluzionaria e napoleonica tra fine ‘700 e inizio ‘800. Il periodo precedente a tali cambiamenti in Europa è stato definito l’ancien regime (sul piano istituzionale) o periodo del “diritto comune” (riguardo le fonti del diritto). IL SISTEMA POLITICO PRECEDENTE: Ancien Règime Il sistema politico di tale periodo si basava sul principio del privilegio, opposto a quello odierno dell’eguaglianza formale di tutti di fronte alla legge. Non esistevano diritti precostituiti da parte del singolo: essi derivavano da concessioni effettuate dal sovrano; le libertà (cioè i “privilegi”) provenivano per lo più al singolo non di per sé, ma dalla sua appartenenza ad un determinato ceto. Tra medioevo ed età moderna il capo dello Stato (re, duca, ecc.) era a sua volta limitato nel suo potere dai cosiddetti “ceti privilegiati” (nobili, ecclesiastici), componenti dei “tre ordini” o “tre stati” che, attraverso la partecipazione in parlamento, ne limitavano o condizionavano le decisioni. Il principe, in età moderna, tende a porsi progressivamente come sovrano assoluto e a comprimere o ridurre i vantaggi dei ceti privilegiati, a favore del suo stesso potere. Così, nel corso del 18° sec., iniziò a prendere piede il crescente disagio e critica nei confronti dei privilegiati; quindi, nell’età moderna il concetto di privilegio legato all’appartenenza ad un gruppo sociale venne progressivamente a modificarsi con il formarsi nell’Europa occidentale dello “STATO MODERNO”, attraverso un processo lungo e complesso. Lo Stato moderno è lo Stato dei nostri giorni: popolazione, territorio, sovranità. Ciò nasce grazie alla spersonalizzazione del sovrano il quale riesce ad imporre l’assolutezza del suo potere senza la possibilità di condizionamenti da parte dei ceti privilegiati, il “privilegio” finisce col dipendere esclusivamente dalla volontà del principe. In tal modo nessuna “libertà-privilegio” e nessun diritto sono garantiti: il singolo è semplicemente il “suddito” del suo principe assoluto. L’insostenibilità di questa situazione, porta nel 18° sec. a sottolineare la necessità di tutela di diritti essenziali, innati per l’uomo, tipici di ogni individuo, nei confronti di chi detiene il potere, che in questo momento è assoluto nelle mani di un sovrano. Così, filosofi, giuristi o moralisti ne individuano i limiti, tali da assumere una dimensione nel ‘700 che li fece diventare una delle basi di partenza del costituzionalismo moderno. IL SECOLARE SISTEMA GIURIDICO ANTERIORE AI CODICI Tale sistema è chiamato “ius comune”, che si basa sul: Corpus iuris civilis giustinianeo; Corpus iuris canonici. Questa interpretazione utilizza fonti giustinianee e canoniche per costruire il cosiddetto “sistema del diritto comune”, che si è diffuso in tutta Europa continentale (escluso ambiente anglosassone) ed è stato alla base dei vari ordinamenti giuridici sino all’avvento dei codici, dal basso medioevo fino all’età moderna. Alle origini del sistema del diritto comune si trova la rinascita culturale dell’11° sec., che ha portato al rifiorire degli studi e della scienza giuridica ed al rinnovamento del diritto, il cui emblema è la “scuola dei glossatori” fondata a Bologna da Irnerio e proseguita dagli allievi. Affluiscono ad essa le “universitates” di studenti di ogni parte d’Europa. Da qui prende avvio l’università medievale e moderna. Pagina 1 di 42   o CORPUS IURIS CIVILIS: Irnerio ha riscoperto e commentato le quattro raccolte di diritto romano fatte redigere nel 6° sec. dall’imperatore bizantino Giustiniano: Il Digesto o Pandette Il Codice Le Istituzioni Le “Novelle” Questo imponente complesso di norme è il “corpus iuris civilis”, illustrato dai “doctores” (docenti) di Bologna. Di cui i punti essenziali sono stati annotati a margine dei testi commentati con sintetiche glosse. Verso la metà del ‘200 un maestro della scuola bolognese, Accursio, procedette ad un lavoro di coordinamento di tale materiale e compilò la “Glossa accursiana” o “Magna glossa”, che affiancò in modo organico il corpus iuris civilis. Nacque inoltre la scuola dei commentatori di Bartolo i quali diedero significato comune al diritto creando un diritto giurisprudenziale nel quale rilevante era l’opinione dei giuristi. o CORPUS IURIS CANONICI Nello stesso tempo in cui si affermava la scuola dei glossatori, un monaco, Graziano, ha riunito in una compilazione organica quanto gli appariva costituire la normativa (“canoni”) della Chiesa: una raccolta coordinata che venne accolta dalla Chiesa come ufficiale nella sua interezza, detta “Dictatum Gratiani”, e costituisce la prima parte di quello che sarà poi il corpus iuris canonici (in vigore fino al 1917), che quindi venne formato da: Dictatum Gratiani; Decretales del pontefice Gregorio IX; Liber Sextus del papa Bonifacio VIII; Clementine e Extravagantes. Nacque così il DIRITTO COMUNE cioè il diritto sia civile che canonico, per la determinazione delle regole rivestiva un ruolo importante l’interpretazione del giurista, anche se la pluralità di opinioni comportò anche incertezze e confusioni. Nel Settecento iniziarono le contestazioni della cultura illuministica, che considerava il sistema esistente irrazionale, ingiusto e privo di vero fondamento e che richiese pertanto che fosse cambiato integralmente. I tentativi di aggiornamento e di modificazione furono vari, ma solo con i codici si giungerà a cambiare sistema. I DIRITTI DELL’UOMO E L’UGUAGLIANZA CIVILE: COSTITUZIONE E CODICI Le prime costituzioni e i primi codici sono un insieme di principi emersi nell’illuminismo settecentesco da parte dei giuristi che si sono interrogati sull’essenza del diritto e della giustizia, sull’ordinamento politico e sull’organizzazione del potere. Esistono ordinamenti costituzionali anche non scritti (es. quello inglese), ma con la costituzione scritta (ex colonie inglesi e in Francia dopo la rivoluzione del 1789) si fissavano quei principi basilari della convivenza civile e dei diritti individuali, nel rispetto dei quali si eleggevano dei rappresentanti e si poteva parlare di forma di governo legittima, se rispondente al testo costituzionale scritto. Vi furono però anche tentativi di arrestare tale spinta innovatrice (Restaurazione) o di comprimerne e annullarne i valori (dittature novecentesche). Lo stesso discorso vale per i codici, fu con i primi anni del 19° sec. che si giunse a veri codici, prima nella Francia napoleonica, poi in altri stati d’Europa. Con la codificazione napoleonica è maturata l’epoca dell’eguaglianza civile, che ha segnato il diritto sino ai giorni nostri. Tuttavia, oggi il sistema del diritto codificato è in crisi e in fase involutiva, al punto di parlare di “età della decodificazione” 2 - LA RIVOLUZIONE E LA COSTITUZIONE AMERICANA VIVACITÀ INNOVATIVA INGLESE: Le prime dichiarazioni dei diritti e la prima carta costituzionale sono state scritte ed approvate nelle ex colonie inglesi dell’America settentrionale verso la fine del ‘700, dettate dalla necessità di fissare limiti invalicabili e scritti al potere assoluto dei regnanti (principe). Si trattava solo di posizioni teoriche (“philosophes” illuministi), che divennero operative con la rivolta dei coloni americani nei confronti della madrepatria inglese rivolte utili per dimostrare che non erano solo dotti elucubrazioni. Tale affermazione, di necessità di limiti al potere del principe, deriva soprattutto dalle concezioni contrattualistiche e giusnaturalistiche dell’età moderna; che trovavano fondamento nel pensiero di Locke. Pagina 2 di 42   Dopo la prima rivoluzione inglese, il parlamento prevaleva sul re (venne ucciso il re Carlo I) ma ciò portò alla dittatura Cromwell e dopo alla seconda rivoluzione, durante la quale venne eletto re Guglielmo d’Orange, limitato nei poteri dai due rami del parlamento. L’ordinamento inglese del ‘700 sarà l’ispiratore delle opinioni di Montesquieu. Nelle ex colonie inglesi, le dichiarazioni dei diritti e meccanismi costituzionali si presentano spesso già congiunti. Le dichiarazioni dei diritti servono per affermare i diritti “innati e naturali” dell’uomo, che nessun potere può calpestare. Tali affermazioni hanno valore teorico e di dimostrare che il re d’Inghilterra ha violato quei diritti. Le dichiarazioni americane sono funzionali così all’abbandono di un ordinamento che non rispetta tali diritti. Nell’800 si costituiscono ordinamenti costituzionali, delineati in seguito a una concessione dei diritti da parte del re; un esempio è lo Statuto albertino, che tende a minimizzare i diritti e ad ignorare che essi sono “innati”, dato che si tratta di una carta costituzionale “concessa” dal re. IL DIBATTITO SETTECENTESCO: Il dibattito settecentesco Europeo si fonda sull’organizzazione del potere: - I giusnaturalisti affondavano la loro base ideale nell’insegnamento cristiano e nelle limitazioni che ad ogni regnante provengono da Dio; - Teorie contrattualistiche: Hobbes: aveva una prospettiva assolutistica (es. “il Leviatano”); egli sosteneva che le dure necessità di sopravvivenza dell’uomo gli facessero accettare qualunque patto di soggezione al principe, purché questo gli garantisse uno stato di società in cui la sua vita era salvaguardata; Locke: (es. “Saggio sul governo civile”) secondo lui esistevano diritti minimi dell’uomo, a cui egli non poteva essere chiamato a rinunciare col patto di soggezione (come la possibilità di professare la sua religione). Tuttavia egli pose in rilievo che se l’individuo si spogliava di alcuni suoi diritti in favore del re per vivere in società, il principe ne doveva rispettare i punti essenziali (=libertà nel professare la propria religione) se non voleva correre il rischio di ribellioni (es.: re d’Inghilterra). Tra ‘600 e ‘700, soprattutto nel periodo dell’illuminismo, molti intellettuali proposero modificazioni più o meno radicali dell’organizzazione della società, marcata dall’assolutismo regio e dal regime del privilegio e scarsamente rispettosa dei diritti naturali dell’individuo. Tra questi troviamo: Montesquieu con la sua opera più nota “Lo spirito delle leggi” e Rousseau con “Il contratto sociale”, entrambi contrari all’assolutismo regio. Montesquieu: si ispira alla situazione consuetudinaria inglese contemporanea, in cui il potere del re viene limitato da quello legislativo dei due rami del parlamento. Infatti, i punti salienti della sua opera riguardavano il principio della separazione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) e la necessità di una rappresentanza elettiva. Rousseau: si ispira ad alcuni cantoni della Svizzera, insiste invece sulla necessità di un preciso “patto” tra governanti e governati; a differenza di Montesquieu, egli preferisce alle elezioni di rappresentanti le forme di democrazia diretta (per una maggiore partecipazione popolare) e si rivela propenso al suffragio universale. Alcuni regnanti dimostrarono una certa disponibilità a prendere in considerazione queste proposte, come le monarchie mitteleuropee (Prussia e Austria) o in Italia con le dinastie dei Borbone (Parma e Napoli) e dei Lorena (Firenze e Milano); tuttavia non si giunse mai a modificazioni istituzionali in favore dei diritti innati e naturali né a una riduzione effettiva dei poteri assoluti del re. Si trattava di riforme illuministe, ma sempre per scelta autoritaria (i cosiddetti “sovrani illuminati”). LE COLONIE INGLESI DELLA COSTA ATLANTICA: Le 13 colonie inglesi del Nord America si erano costituite in modo diverso tra loro, sulla base di una “carta” coloniale, cioè un privilegio del re d’Inghilterra. Verso la metà del ‘700 esse avevano un ordinamento nel complesso simile, che consentiva una discreta autonomia: A capo c’era un Governatore di nomina regia, aiutato nel governo da un Consiglio locale; Accanto vi era un’Assemblea dei rappresentanti dei coloni liberamente eletta da questi, che aveva il potere anche di emanare norme, che non potevano però andare contro i provvedimenti del Parlamento inglese e che dovevano essere approvate dal re. I coloni fruivano di una certa rappresentatività locale, che mancava invece nei confronti del Parlamento inglese, composto senza rappresentanti coloniali. Pagina 3 di 42   I coloni furono coinvolti nella guerra dei “Sette anni” tra Francia e Inghilterra: per contrastare i pericoli della guerra, alcune colonie si coordinarono fra loro, giungendo anche a proporre organismi comunitari comuni, che però non realizzarono. Politica fiscale e doganale penalizzavano le colonie= ne chiesero una revisione. Dal 1765 i delegati di alcune colonie diedero vita a riunioni collegiali, in cui espressero le loro richieste comuni alla madrepatria per una certa libertà di commercio, appellandosi a diritti di libertà di ogni cittadino inglese per libere contrattazioni. La base contrattualistica su cui i coloni inglesi erano portati a fondare le proprie richieste era il loro legame diretto con il re d’Inghilterra. Nel 1774 si tenne a Filadelfia il primo “Congresso continentale” inter-coloniale; la situazione precipitò tra 1774 e 1776, quando il re Giorgio III inviò un corpo di spedizione militare per riportare le colonie alla completa sottomissione. Ebbe un ruolo importante il pensiero di Locke, secondo cui se il governante, a cui la popolazione si è affidata nel patto sociale, si comporta senza rispettarne i presupposti, cioè come un tiranno, la sovranità non è più del governante ma torna ai governati. Si trattava quindi di determinare quali erano i presupposti, per i quali la sovranità non poteva più essere riconosciuta al re. Molte furono le elencazioni di questi diritti: la più nota è quella del 1776 enunciata dal “buon popolo della Virginia”. Il 4 luglio 1776, i rappresentanti delle 13 colonie, riuniti a Filadelfia, ebbero modo di contestare la violazione dei diritti innati da parte del re d’Inghilterra nei loro confronti e annunciarono al mondo la perdita su di essi della sovranità da parte della Corona inglese e pertanto la propria indipendenza. LA “DICHIARAZIONE DEI DIRITTI” DELLA VIRGINIA: La più famosa tra le prime “Dichiarazioni dei diritti” americane è quella del “buon popolo della Virginia” del 12 giugno 1776, fatta a Williamsburg dal corpo rappresentativo e riuniti in piena e libera convenzione: - Art. 1: “tutti gli uomini sono per natura egualmente liberi e indipendenti ed hanno alcuni diritti innati, come il godimento della vita e della libertà mediante l’acquisto e il possesso della proprietà, il perseguimento ed il raggiungimento di felicità e sicurezza.” Da questa frasi si evincono i seguenti principi: Irrinunciabilità dei diritti innati= nessuna delega\rinuncia sulla base del “lex de imperio” La natura mette gli uomini egualmente liberi sullo stesso piano; entrando nello “stato di società” non possono essere privati di diritti innati minimi (=speranza di felicità. Libertà e vita); La proprietà privata è la manifestazione concreta della libertà individuale: lo Stato non deve andare contro di essa; - Art. 2: “tutto il potere è del popolo, e di conseguenza deriva da esso; i magistrati sono i suoi fiduciari e servitori e sono in ogni tempo responsabili verso di lui”; - Art. 3: “il governo è istituito per la comune utilità, protezione e sicurezza del popolo, della nazione o comunità”. Il governo migliore è quello che può assicurare il “maggior grado di felicità e sicurezza” e quando un governo appaia inadeguato a tale risultato “la maggioranza della comunità ha un sicuro, inalienabile diritto a riformarlo, mutarlo ed abolirlo in quella maniera che sarà giudicata meglio diretta al bene pubblico”. Il principio della volontà popolare espressa attraverso la maggioranza è alla base dell’ordinamento; - Art. 4: “nessun uomo o gruppo di uomini ha diritto ad esclusivi privilegi rispetto alla comunità, salvo per l’esercizio dei servizi pubblici, che non devono essere ereditari, né per gli uffici di magistrato, legislatore o giudice”. Non siamo ancora alla completa abolizione del sistema del privilegio; - Art. 5: “i poteri legislativo ed esecutivo dello Stato debbono essere separati e distinti dal giudiziario”. A loro volta i componenti di potere legislativo ed esecutivo, designati da elezioni, devono consentire una rotazione di persone, che assicuri un buon ricambio. - Art. 6: fissa regole per le elezioni ed enuncia garanzie per il cittadino: la prima ad essere garantita è la proprietà del singolo dalle prepotenze o dalle prevaricazioni del potere pubblico; - Art. 8: riguarda garanzie processuali in materia penale che per la libertà personale; - Art. 9: vieta sanzioni o punizioni eccessive; - Art. 10: limita la materia di mandati d’arresto; - Art. 11/12 : concepisce come soluzione migliore per le controversie di diritto privato quella dell’antico giudizio a mezzo di giuria popolare; inoltre garantisce la libertà di stampa, che non può essere mai limitata da governi tirannici; Pagina 4 di 42   - Art. 13: in materia militare: gli eserciti in tempo di pace devono essere soppressi, in quanto pericolosi per la libertà, e viene accolto un esercito “popolare” composto dallo stesso popolo che si oppone alle milizie inglesi e che deve stare in subordinazione ad esso. - Art.14: “Il popolo ha diritto ad un uniforme governo, e perciò nessun governo, separato o indipendente dal governo della Virginia, deve essere fondato o stabilito entro i limiti di questa” = Esiste un solo Governo, un solo potere. - Art. 16: “tutti gli uomini hanno uguale diritto al libero esercizio della religione, secondo la loro coscienza”; principio della libertà religiosa. LA “DICHIARAZIONE DEI DIRITTI” E D’INDIPENDENZA DI FILADELFIA: Il 4 luglio 1776 nel Congresso di Filadelfia i rappresentanti dei 13 Stati insorti contro l’Inghilterra, mentre proclamavano la loro indipendenza da questa, enunciavano pure la riaffermazione dei diritti dell’uomo all’eguaglianza, alla vita, alla libertà, alla ricerca della felicità in una nuova dichiarazione dei diritti che aveva un valore politico immediato anti inglese, ma che per il suo contenuto generale assumeva un valore universale per tutta l’umanità (ispirazione per il futuro). La premessa iniziale era che un popolo potesse scegliere sia chi lo comandasse sia le forme di governo; essa non pretendeva di elencare tutti i diritti innati, affermava solo che essi esistevano, che si fondavano sull’eguaglianza fra gli uomini, che fra questi primeggiavano tre (vita, libertà, felicità) e che dovevano essere rispettati dal Governo. Nella conclusione veniva marcato il mancato rispetto di tali diritti da parte della madrepatria e il conseguente distacco a favore dell’indipendenza. “Noi pertanto, rappresentanti degli Stati d’America, riuniti nel Congresso generale, appellandoci al Supremo Giudice dell’Universo (Dio), solennemente proclamiamo e dichiariamo che queste Colonie unite sono e devono di diritto essere Stati liberi e indipendenti”. La Dichiarazione del Congresso di Filadelfia del 1776 è indubbiamente meno completa di quella della Virginia sul piano teorico; tuttavia ha un valore politico importante perché segna il momento preciso della ribellione formale di tutte le colonie americane contro la madrepatria. I 13 Stati insorti si proclamano, tramite i loro rappresentanti, indipendenti dall’Inghilterra. LA COSTITUZIONE AMERICANA: La repressione armata inglese della ribellione delle colonie nordamericane non riuscì: nel 1781 l’esercito inglese dovette desistere e nel 1783 si giunse alla pace di Parigi, con cui le 13 colonie si videro riconosciuta formalmente l’indipendenza. Le 13 ex colonie decisero di costituire ciascuna uno stato e unificarli in uno Stato federale; nel 1787, i loro rappresentanti, riuniti a Filadelfia, diedero vita ad una “Convenzione” che doveva stabilire le regole essenziali del nuovo patto sociale e votarono la costituzione degli Stati Uniti d’America. La “Convenzione” non tornò a precisare i diritti innati, ma fissò subito, in pochi e basilari articoli, i meccanismi costituzionali fondamentali (come il funzionamento degli organi sovrintendenti) del nuovo patto sociale fra tutti i coloni: era la prima costituzione scritta. La carta costituzionale americana del 1787 prevede una repubblica presidenziale, alla base della quale sta la concezione della divisione dei poteri ispirata da Montesquieu: Il potere legislativo: affidato a due Camere (il Congresso), una eletta dalla popolazione (Camera dei rappresentanti) l’altra composta da 2 delegati per ogni Stato (Senato). Il bicameralismo risponde a due esigenze: - Quella del principio di rappresentanza popolare (Camera), in quanto ogni stato ha un numero di rappresentanti corrispondente alla sua popolazione - Quello dell’eguaglianza tra gli Stati (Senato), in quanto i rappresentanti sono 2 per stato. Il potere esecutivo: affidato ad un Presidente della repubblica (si sceglie i ministri), eletto ogni 4 anni direttamente dalla popolazione; pertanto egli non deve richiedere alcuna fiducia alle Camere, le quali hanno solo il compito di predisporre le leggi. Il potere giudiziario: affidato a giudici elettivi ed è del tutto indipendente dagli altri due poteri; a tutela dell’ordinamento costituzionale è posta una Corte Suprema, composta da 9 membri vitalizi. La costituzione del 1787 è molto sintetica (+ 27 emendamenti) e il suo carattere generale le ha permesso un’ottima adattabilità temporale, tanto che è ancora in vigore. Ha portato tali innovazioni: Un testo scritto; La completa divisione dei poteri; La soluzione federalista; La Corte Suprema per Pagina 5 di 42   dirimere i contrasti costituzionali; La previsione della revisione costituzionale. *All’art. 5 era previsto un meccanismo di revisione costituzionale, con procedimento più rigido di quello vigente per le leggi ordinarie: - Proposta: maggioranza dei 2/3 delle Camere e 2/3 degli organi legislativi degli Stati; - Approvazione: maggioranza dei 3/4 degli organi legislativi degli Stati. * 3 - LA RIVOLUZIONE FRANCESE RIUNIONE DEI TRE STATI E L’ASSEMBLEA NAZIONALE COSTITUENTE: Gli avvenimenti americani produssero un certo effetto sulla cultura giuridica europea. Nel frattempo le difficoltà finanziarie in cui si trovava la Francia, imposero al re la convocazione degli “Stati generali”; la monarchia francese infatti non convocava da 175 anni l’assemblea dei “Tre Stati” di ascendenza medievale (nobiltà, clero, rappresentanti dei comuni soggetti) e aveva sviluppato quell’organizzazione istituzionale di accentramento (imposte regie, esercito regio, ecc.) che aveva portato al potere assoluto del re e che era criticata dagli illuministi. Il re si trovò nella necessità di convocare presso la sua reggia di Versailles, il 5 maggio 1789, gli Stati generali, con la speranza di riuscire a superare le difficoltà finanziarie con il loro appoggio. Si procedette alla redazione dei “cahiers de doléances” da presentare al re: si tratta di una documentazione imponente, dalla quale emerge un diffuso malcontento su: La pessima amministrazione della giustizia; Le prepotenze dei signori feudali e funzionari regi; L’eccessiva pressione fiscale; L’insopportabilità del regime del privilegio; La mancanza di libertà; La richiesta di una costituzione. Un punto essenziale della discussione fu quello della votazione “per ordini” (cioè ogni stato si pronunciava su un certo argomento, con voto finale di ciascuno stato, per cui i primi due potevano facilmente imporsi sul terzo) o “per testa”: il Terzo Stato voleva quest’ultima soluzione, dato il numero dei suoi partecipanti ma incontrò l’opposizione degli altri due. Il 17 giugno, il Terzo Stato si proclamò autonomamente Assemblea Nazionale; il 20 giugno i componenti si impegnarono a stare uniti sino a quando non avessero dato una costituzione alla Francia SCHEMA RIVOLUZIONARIO. Il re cerco nei giorni successivi di riprendere in pugno la situazione, ma fallì e dovette riconoscere l’esistenza dell’Assemblea nazionale, che dal 9 luglio si chiamò “Costituente”. Mentre la Corte stava preparandosi per un’azioni militare di forza, con la presa della Bastiglia (14 luglio 1789), il popolo parigino salvò la Costituente (=assemblea).Il 4 agosto 1789 l’Assemblea pose fine al regime feudale e al sistema del privilegio. Sopravvenne in Francia la “Grande Paura”. LA DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DEL 1789 Nel luglio 1789 l’Assemblea Nazionale costituì un Comitato di 30 membri per preparare il testo della nuova costituzione e decise di farla precedere da una Dichiarazione dei diritti ma non tutti erano d’accordo. L’Assemblea, ad agosto, decise all’unanimità per una Dichiarazione dei diritti, che precedesse la costituzione, incaricandone un’apposita Commissione. Serviva per mettere dei punti fermi sui risultati conseguiti, in modo da evitare un ritorno al passato. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789 è composta da 17 articoli, che enunciano i diritti naturali dell’uomo e i punti fondamentali che le istituzioni politiche devono rispettare. È una dichiarazione: Negativa, contro l’intromissione dello Stato sulla libertà personale; Individualistica, preoccupata per la libertà del singolo e mai della sua vita associata; Astratta, a favore della libertà dell’individuo, senza tener conto delle capacità economiche; Garantista, stabilendo limiti all’intervento pubblico, a garanzia del singolo individuo. L’inizio della Dichiarazione fa riferimento al “popolo francese” ed alla sua Assemblea Nazionale, che afferma i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo. GLI ARTICOLI: - Art. 1: si affermano i principi di libertà ed eguaglianza (tendenza rousseauiana); - Art.2: il fine di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali: la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione. Pagina 6 di 42   - Art.3: principio della sovranità popolare: la sovranità sta solo nella Nazione, considerata come un soggetto distinto dai cittadini che la compongono (o dal re), i quali ne fanno parte. La “nazione” comprende tutti colore che “sentono” di condividere un destino politico comune per tradizione di vita associata, formatasi per una comunanza di fattori, tra cui lingua, territorio abitato, religione, razza, consuetudini sociali e giuridiche. La Nazione quindi comprende la parte più consapevole di un “popolo” destinato a vivere unitariamente, inoltre l’elettorato è un dovere affidato alla Nazione; - Art. 4: ancora le libertà e i suoi limiti; - Art.5: solo la legge ha diritto di limitare le libertà; - Art. 6: esprime la fiducia nella legge, la quale è espressione della volontà dei cittadini, che sono tutti uguali di fronte ad essa. La Dichiarazione afferma alcune “garanzie” che devono comunque esistere: - Art. 7: garanzie dagli arresti arbitrari; - Art. 8: principio di legalità in materia penale; - Art. 9: presunzione di innocenza; - Art. 10-11: libertà di religione, di espressione e di stampa; art. 12 creazione di una forza pubblica posta a garanzia di tali diritti; - Art. 13 cittadini devono contribuire in ragione delle loro sostanze economiche; - Art. 17: insiste sulle caratteristiche della proprietà, diritto sacro e inviolabile, di cui si può essere privati solo quando la necessità pubblica, legalmente constatata, lo esiga. Differenza tra America e Francia: America: invocato il creatore a testimonianza di un filone di matrice religiosa; Francia: invocato l’Essere supremo cercando un compromesso tra matrice cristiana e illuminista. L’ATTIVITÀ DELL’ASSEMBLEA E LA COSTITUZIONE DEL 1791: Dopo la Dichiarazione dei diritti, l’Assemblea Nazionale Costituente doveva procedere alla redazione della carta costituzionale (prima volta in uno Stato europeo). I lavori procedettero lentamente, anche a causa di crisi politiche; la nuova costituzione fu votata solo il 3 settembre 1791. Nel frattempo, l’Assemblea ha votato leggi rilevanti, che hanno inciso profondamente l’ordinamento europeo. Nel dicembre 1789 l’Assemblea votò una legge che riorganizzò la Francia in 83 nuovi dipartimenti, a loro volta suddivisi in Distretti, con amministratori locali propri, ma ciascuno uguale all’altro, con la scomparsa di ogni privilegio. Era l’inizio dell’uniformità territoriale. Nel giugno 1790 avvenne il riconoscimento ufficiale dell’organizzazione militare della guardia nazionale a garanzia dell’ordine pubblico interno; nello stesso tempo essa si affiancava all’esercito regio offrendo un supporto stabile agli elementi “rivoluzionari”. Introdusse un’innovazione legislativa importante: obbligo al servizio militare per i cittadini “attivi”. Dal novembre 1789 era stato secolarizzato il patrimonio degli enti ecclesiastici per tamponare la crisi finanziaria; fu poi votata la “costituzione civile del clero”, per cui vescovi e parroci dovevano essere eletti da “cittadini attivi”, andando contro la tradizione; essi erano poi retribuiti dallo Stato. La grande maggioranza degli ecclesiastici rifiutò e il Papa si oppose risolutamente. Si aprì così una grave spaccatura nella società francese, che durerà nel tempo, i beni secolari furono divisi in parte allo Stato e il resto ai privati. Nel luglio/agosto 1790, l’Assemblea preannunciò la stesura di un codice civile e intervenne nell’amministrazione della giustizia con il fine di ridurre le competenze dei giudici in carriera e dei giuristi, e di affidarsi a giudici popolari (=durò fino all’età napoleonica): La giustizia civile di 1° grado fu affidata a “giudici di pace” eletti fra i cittadini; La giustizia civile di 2° grado fu affidata ad un tribunale di “uomini di legge” eletti fra i cittadini; Interpretazione unitaria della legge affidata alla “Corte di Cassazione” organo al di sopra di tutto a cui i giudici dovevano attenersi. Se aveva dubbi doveva rivolgersi all’assemblea. Attraverso questi meccanismi si cercava di dare a tutti i cittadini la stessa applicazione certa delle norme, i risultati però non furono soddisfacenti, tanto che si tornò ai giuristi di professione dopo il periodo rivoluzionario. Pagina 7 di 42   Nel 1791 fu emanato anche un codice penale, che non lasciava ai giudici molto margine nell’applicare la pena ai casi della realtà, stabilita in modo fisso dal codice. Nello stesso anno la legge “Le Chapelier” abolì definitivamente le corporazioni ed i limiti alla libertà economica e professionale, eliminando vincoli all’iniziativa del singolo. Il 3 settembre 1791 finalmente venne approvata la Costituzione, cioè il “patto” tra governati e governanti. Fu premessa la Dichiarazione dei diritti del 1789. Il 13 settembre il re approvò ufficialmente il testo e Prestò giuramento su di esso. Tale costituzione prevedeva: Potere esecutivo affidato ad una monarchia limitata; Potere legislativo è nelle mani dell’Assemblea Nazionale Legislativa; Il Re sceglie i suoi ministri, ha diritto di veto sospensivo per evitare l’applicazione di una legge votata dall’Assemblea (unico potere legislativo rimastogli). Egli non è più il “Re di Francia” bensì il “Re dei Francesi”, poiché la sovranità appartiene alla Nazione, la quale delega l’autorità al Re. Nel 1791 le elezioni (suffragio censitario, cioè solo cittadini “attivi”) hanno sostituito l’Assemblea Nazionale Costituente con l’Assemblea Legislativa. Una volta dichiarata guerra all’Austria, l’Assemblea Legislativa sospese il re dalle sue funzioni. L’Assemblea si impegnò, a fare nella costituzione un “codice di leggi civili comuni a tutto il regno”; nel 1792 la Legislativa avviò qualche modifica con leggi specifiche: Organizzò lo stato civile; Considerò il matrimonio come un semplice contratto civile, riconoscendone pure la dissolubilità tramite il divorzio (ulteriore distacco dalla Chiesa cattolica). L’Assemblea, di fronte alla grave situazione politica, decise di convocare nuove elezioni per la formazione di una “Convenzione” cioè una nuova assemblea chiamata il 20 settembre 1792 a redigere una nuova costituzione. Le elezioni si svolsero a suffragio universale, anche se andò solo il 19% degli aventi diritto. Il 22 settembre 1792 la Convenzione proclamò la repubblica e fu avviato il nuovo calendario repubblicano. LE COSTITUZIONI DEL 1783 E DEL 1795: La Convenzione, destinata alla compilazione di una nuova costituzione, vi provvide con lentezza, anche a causa dei contrasti politici e della guerra; il nuovo testo fu pronto il 24 giugno 1793 ma non entrò mai in vigore, perché la sua efficacia fu sospesa fino al conseguimento della pace, che però non giunse. La costituzione del 1793 avviata dai Girondini e conclusa dai Giacobini prevedeva nei suoi 124 articoli: Un’Assemblea unica; Il suffragio universale; L’istituto del referendum; Una nuova Dichiarazione dei diritti (più democratica di quella del 1789): - La sovranità nazionale era sostituita dalla “sovranità popolare”; - Le “libertà” erano più precisate; - Alle garanzie liberali si aggiungevano quelle sociali (es. garanzia all’assistenza). Questa costituzione fu accantonata e non entrò mai in vigore e portò alla ricerca di un nuovo ordine, che ponesse fine al periodo del “terrore” (esecuzioni sommarie.. causo la termidoriana ossia a caduta di Robespierre); si giunse così ad una nuova costituzione, quella del 1795, e all’Insediamento del Direttorio (governo assembleare e prevalenza di uno solo o di pochi). La costituzione del 1795 (dell’anno III) prevedeva: Una Dichiarazione dei diritti (377 articoli) in cui, oltre alle libertà compaiono anche i “doveri”; e la separazione dei poteri, in modo da poter controllare e dividere il potere piuttosto che per organizzare un positivo esercizio: Potere legislativo è bicamerale: il Consiglio dei Cinquecento propone leggi, il Consiglio degli Anziani le accetta (“sanziona”) o respinge, senza potere di emendamento Potere esecutivo: del tutto staccato dal legislativo; è composto di un Direttorio di 5 membri, che decadono a rotazione; è affiancato da 6/8 ministri Potere giudiziario è affidato ad una magistratura elettiva Il suffragio torna ad essere ristretto ai cittadini “attivi”; e la rappresentanza è di doppio grado; i due consiglio non possono esprimere sfiducia verso il Direttorio, ma possono solo metterli in stato d’accusa davanti all’Alta corte di Giustizia Il potere legislativo è stato ridotto riconoscendo eccessivamente quello esecutivo (Direttorio) per sfuggire al governo assembleare. Il periodo del Direttorio tende a ridurre l’incisività delle innovazioni giuridiche significative degli anni precedenti: il codice del 1795 mira al recupero della tradizione (es. possibilità di divorzio ridotte). Pagina 8 di 42   La costituzione del 1795 e i cambiamenti del periodo del Direttorio hanno un importante rilievo per l’Italia: le repubbliche che si instaurarono tra il 1796 e il 1799 vi trovarono un modello molto simile (rep. Emiliane, Ligure, Romana, Partenopea ma non Venezia). 4 - IL PERIODO NAPOLEONICO NAPOLEONE E LA COSTITUZIONE DELL’ANNO VIII (1799): Un ulteriore colpo di stato mise fine alla costituzione dell’anno III (1795) e fu la base di quella del 1799, che vide l’inizio dell’ascesa al potere di Napoleone Bonaparte. Una commissione ristretta, controllata da Napoleone e ispirata da Sieyès, provvide alla redazione della nuova costituzione: essa doveva essere “corta e oscura”, collegata, non ai 3 poteri di Montesquieu, ma ai cinque poteri: Potere legislativo: affidato a due assemblee (Tribunato e Corpo legislativo); Potere esecutivo: affidato a 3 consoli, di cui uno è Napoleone (potere decisionale effettivo); Potere di “governo”: affidato al Consiglio di Stato Potere giudiziario: in capo ad un Senato Potere “conservatore”: in capo ad un Senato La nuova costituzione doveva basarsi su un sistema elettorale a vasta partecipazione popolare. La Commissione predispose una costituzione breve (soli 95 articoli), priva di una dichiarazione dei diritti iniziale (prima volta in Francia). Essa entrò in vigore Il 25 dicembre 1799 e fu sottoposta inutilmente all’approvazione elettorale a suffragio universale maschile. Nella seconda parte rassicura che saranno conservati i “veri” principi del governo rappresentativo (però il titolare sarebbe stato scelto dalle autorità costituite perché la fiducia viene dal basso ma il potere dall’alto), i diritti sacri della proprietà, eguaglianza e della libertà; conclude dicendo che i cittadini devono prendere atto che la Rivoluzione è fissata sui principi per cui è iniziata: essendosi questi realizzati, “essa è finita”. La costituzione del 1799 è stata preparata da una Commissione, ma mai approvata da un’assemblea: per avere una legittimazione popolare, è stata sottoposta a plebiscito indetto a suffragio universale maschile ma con voto palese (=impostazione napoleonica anti- rappresentativa di appello diretto al popolo). I voti favorevoli diedero un consenso popolare molto elevato alla proposta; la costituzione è stata illustrata con un proclama dei 3 consoli al popolo, che sottolinea la necessità di: Stabilità dopo un decennio di innovazioni rivoluzionarie; Rapporti internazionali e un potere esecutivo forte ed efficiente il quale deve mantenere la proprietà, libertà e eguaglianza. Questo potere è formato da 3 consoli, di cui il primo è Napoleone dal quale partono le scelte entro “le liste di fiducia”. L’esecutivo ha l’iniziativa legislativa: il Consiglio di stato predispone i progetti di legge che vengono presentati al Tribunato il quale li discute ma non li vota, successivamente passano al corpo legislativo che vota i testi ma non li discutono. La costituzione del 1799 (dell’anno VIII) segna l’inizio del periodo napoleonico ed ha un rilievo particolare in Italia perché molte delle sue Repubbliche si ispireranno ad essa; resta alla base di questo periodo (quindicennio napoleonico) subendo alcune modificazioni: - Costituzione del 1802: Napoleone viene nominato console a vita e modifica il sistema elettorale per le “liste di fiducia”; - Costituzione del 1804: costituisce l’impero ereditario e conferma un regime dittatoriale e militare, molto diverso da quello a cui aspiravano i rivoluzionari, viene approvata la dichiarazione dei diritti e abolito l’ordinamento feudale. Entrambe vennero approvate per via plebiscitaria. NAPOLEONE PRIMO CONSOLE (1799) E IMPERATORE (1804): I primi anni della Rivoluzione hanno stabilito l’unità amministrativa della Francia, “una e indivisibile”, ma non sono riusciti ad organizzarla in modo organico e stabile. Nel quindicennio napoleonico, invece, ci si è realizzato: Incoronato dal Papa imperatore a Parigi nel 1804; Fu confermata la suddivisione amministrativa periferica della Francia in Dipartimenti e a capo dei quali c’era un Prefetto, aiutato da un Consiglio generale (=controllare le vicende amministrative) e da un Consiglio di prefettura (=assicurare una giustizia amministrativa). A conferma dell’unitarietà e dell’eguaglianza, ogni Dipartimento aveva competenze identiche, a cui sovrintendeva il Prefetto (non in materia finanziaria). Entro ogni Dipartimento il controllo della vita locale è il comune, a capo del quale c’è un sindaco, nominato dal Prefetto, aiutato da un consiglio comunale e soggetto alla tutela prefettizia per Pagina 9 di 42   favorirne un buon funzionamento.Il Prefetto funge da collegamento tra centro e periferia, in quanto rappresenta e fa sentire in ogni Dipartimento l’autorità e la volontà del Governo parigino; questa soluzione caratterizza l’ordinamento amministrativo francese fino ad oggi; Un campo, in cui il periodo napoleonico ha avviato un’organizzazione amministrativa tutt’ora operante, è quello dell’istruzione, la quale, nell’antico regime era affidata alle istituzioni ecclesiastiche; ma scomparse queste è toccato allo Stato provvedervi. Il Governo napoleonico si è preoccupato soprattutto dell’istruzione di grado più elevato: ha provveduto perciò a dare un’organizzazione pubblica sia ai licei sia alle Università (=anche in Italia). L’istruzione di livello minore è stata affidata ai comuni o alle iniziative private. Un settore al quale lo Stato dedica un forte impegno sia finanziario che organizzativo è quello militare, sia per la provenienza del generale Bonaparte, che per le sue prospettive belliche negli anni successivi. Viene confermato un meccanismo di costrizione maschile obbligatoria. A Napoleone, inoltre, è sembrato che la grave frattura con la Chiesa e con l’ambiente cattolico, causata dalle pesanti innovazioni rivoluzionarie, fosse da ricomporre, anche se molto profonda: - I “beni nazionali” sottratti agli ecclesiastici e venduti ai cittadini venivano considerati propri; - Gli ecclesiastici rimasti fedeli al Pontefice erano stati privati della cittadinanza; - Le chiese non erano più considerate luogo di culto. Nel 1801 si giunse ad un Concordato (violato più volte) che aspirava a regolarizzare i rapporti con la Chiesa e ad instaurare un clima di pace religiosa. La riorganizzazione napoleonica si è manifestata anche in materia finanziaria, che ha portato efficienza nella riscossione tributaria migliorando il sistema, anche se non ha sollevato il cittadino. Anche l’amministrazione della giustizia è stata riorganizzata in senso centralistico e gerarchico: è stata ripristinata l’essenzialità della figura dell’avvocato durante il processo e perciò è stato istituito l’Ordine degli avvocati. Data l’importanza dell’università, anche ai giudici veniva richiesta la laurea, tranne per quelli di pace, sopra cui c’era il giudizio del Tribunale e poi quello della Corte d’appello. Per soli motivi di legittimità, era previsto il ricorso alla Corte di Cassazione, garante dell’uniformità dell’interpretazione del diritto in tutta la Francia e organo supremo della magistratura. In campo penale era conservata la giuria popolare, ma era rafforzata la dipendenza degli organi inquisitori e d’accusa dal ministro della Giustizia. Era inoltre prevista una giustizia amministrativa, a cui il cittadino poteva ricorrere per far sentire le proprie ragioni. In questi anni si affermarono anche le riviste giuridiche con l’edizione periodica delle principali sentenze della Cassazione e di altri tribunali, la cui diffusione e rilevanza si espande in Europa, facilitando la circolazione delle conoscenze giuridiche e collegandosi ad un aspetto molto importante nel periodo napoleonico: la conclusione di 5 codici in pochi anni (1804-1810) che modificarono radicalmente il sistema giuridico francese ed europeo. Con l’avvento al potere di Napoleone, nel 1799 la rivoluzione è finita. Dalla famosa trilogia “liberté, fraternité, égalité” si può dire che solo l’eguaglianza ha trovato concretizzazione nei codici, tramite il riconoscimento dell’eguaglianza formale ad ogni cittadino di fronte la legge. Si tratta di un’eguaglianza formale, che conferma la cancellazione dei privilegi dell’antico regime ma trascura la prospettiva di un’eguaglianza. In quanto alla “libertè”, trova sostanziale applicazione e realizzazione in campo economico. Bonaparte ha voluto ricordare nelle sue memorie che era stato il primo a dare ai Francesi un codice civile unico ed unitario. 5 – LA CODIFICAZIONE ASPETTATIVE E TENTATIVI DELL’ETÀ MODERNA: Già dal ‘500 alcuni giuristi avevano richiesto certezza nel sistema dello “ius comune” il quale era il cardine di vari ordinamenti, sperando in un intervento chiarificatore del principe. Le aspettative erano via via aumentate, ma per tutto il Settecento non si erano realizzate soluzioni soddisfacenti. Le raccolte organiche emanate a fine ‘700 in Austria e Prussia non sembravano ancora veri e propri codici, risultato raggiunto invece nella Francia napoleonica, dopo la rivoluzione del 1789. I codici dovevano servire a chiarire i punti oscuri del diritto comune. Il sistema del diritto codificato è venuto progressivamente delineandosi nella Francia rivoluzionaria, poi consolare ed imperiale. Pagina 10 di 42   L’epoca dei codici contemporanei si apre quindi con i cinque codici di Napoleone, emanati nel giro di sei anni: Civile (1804); Di procedura civile (1806); Commerciale (1807); Penale (1810) e Di procedura penale (1808). IL CODICE CIVILE FRANCESE: L’Assemblea Costituente francese aveva proclamato sin dal 1790 la necessità di un codice civile. Nel campo del diritto privato la Francia era ancora divisa in tante zone con regole giuridiche proprie: era indispensabile unificarla e giungere a quel codice unico, eguale per tutti i francesi, che doveva sancire le conquiste “rivoluzionarie” e realizzare le proposte illuministe. Questa necessità era stata enunciata anche nel titolo 1° della costituzione francese del 1791: “sarà fatto un codice di leggi civili comuni a tutto il regno”; non fu facile: Una prima commissione di giuristi presieduta da Cambarcérès fu incaricata di predisporre un progetto di codice, ma nel 1793 quando fu pronto, fu respinto perché troppo prolisso e “giuridico”; Una seconda commissione, sempre presieduta da Cambarcérès, fu incaricata di preparare un 2° progetto: il testo era più snello e semplice, ma le enunciazioni erano spesso generiche e prive di sanzione, e quindi più morali che giuridiche. Fu abbandonato il testo; Una terza commissione, sempre presieduta da Cambarcérès, nel 1796 presentò il terzo progetto di codice. La discussione del progetto procedette con una certa stanchezza, per interrompersi poi con l’invito ad ogni parlamentare interessato a presentare altri progetti alternativi (rinvio “sine die”, cioè senza termine). Nel 1800, Napoleone, stanco di questa situazione, nominò una commissione di 4 giuristi che, sulla base dei lavori precedenti, dovevano proporre un nuovo codice civile entro 6 mesi. Il progetto definitivo fu pronto 8 mesi dopo: Nel 1801 venne inviato ai tribunali più elevati, che furono invitati ad esprimere il loro parere; Fu riesaminato velocemente dalla commissione; Poi passò al consiglio di Stato, che lo esaminò a fondo; Fu poi presentato al Tribunato in varie parti, che venivano approvate come una legge a sé cioè doveva solo discuterlo e successivamente il corpo legislativo aveva il compito di votare. Queste furono fuse insieme nel “codice civile dei francesi”, pronto nel 1804; è preceduto da un titolo preliminare “Della pubblicazione, degli effetti e dell’applicazione delle leggi in generale”, composto da 6 articoli, il quale va oltre il codice facendo riferimento alla legge in generale. A questo preambolo seguono i 3 libri: Primo libro: è composto da 11 titoli e riguarda i diritti delle persone e di famiglia, regola il matrimonio civile (marito>moglie), il divorzio (+ restrittivo), la patria potestà, paternità, filiazione (figli legittimi m=figli legittimi f; riconosciuti alcuni diritti ai figli illegittimi), l’adozione, la tutela (anche della madre in mancanza del padre), l’eguaglianza civile. Laicizzazione del diritto di famiglia (disciplinato dallo Stato e non dalla Chiesa). Secondo libro: è composto da 4 titoli, tratta di diritti dell’individuo sulla proprietà e sui beni. Accanto al diritto sulle cose per eccellenza (la proprietà) sono presi in considerazione alcuni diritti reali: riceve una sua disciplina anche il possesso, mentre pegno ed ipoteca sono inseriti nel terzo libro. Terzo libro: composto da 20 titoli, riguarda le norme e gli istituti che regolano l’appropriazione individuale dei beni; in particolare delle “differenti maniere tramite le quali si acquista la proprietà” e vi confluiscono la materia successoria, come quella obbligazionaria e contrattuale. Nel libro terzo trovano posto tutte quelle norme e quegli istituti, che regolano l’appropriazione individuale dei beni, la loro circolazione e del loro sfruttamento a vantaggio del cittadino. I principi generali che stavano alla base del codice erano sostanzialmente 3: Libertà: libertà e di autonomia individuali; Proprietà: il diritto di ogni cittadino di poter disporre dei beni necessari per soddisfare le sue necessità; Libertà contrattuale: l’aspettativa di poter esprimere e realizzare nella misura più ampia possibile la propria volontà. I 2281 articoli del “code civil”, denominato “code Napoléon”, riconoscevano l’autonomia di ogni cittadino, ma allo stesso tempo affermavano per la prima volta la statualità del diritto: il sistema del diritto comune era cancellato. L’uniformità ed omogeneità del sistema era una garanzia per ogni cittadino ed esprimeva il principio di eguaglianza civile, ma allo stesso tempo, contro il generale universalismo del diritto comune, vedeva realizzarsi un diritto positivo voluto dal legislatore statuale, valido solo entro i confini dello Stato. Pagina 11 di 42   Il particolarismo giuridico interno era superato, ma era sostituito dal particolarismo statuale.Il codice civile francese era stato emanato con provvedimenti entrati in vigore in ordine progressivo e inoltre è stato il primo ad essere stato completato nel periodo napoleonico. La sua notorietà fu enorme, non solo in Francia (tutt’ora in vigore) ma anche nel resto d’Europa e nel mondo, rappresentando un modello a cui si ispirò la codificazione ottocentesca. GLI ALTRI CODICI FRANCESI: Emanato il codice civile, nel periodo napoleonico si pensò a terminare gli altri codici, i cui lavori erano nel frattempo stati portati avanti in modo discontinuo, per la priorità accordata al codice civile. In sei anni quindi la codificazione napoleonica prendeva corpo. 1. Il codice di procedura civile del 1806 conferma l’unicità e statualità della giurisdizione, affermata dalla rivoluzione contro le corti speciali o privilegiate, ed un’organizzazione giudiziaria omogenea e piramidale, con doppio grado giurisdizionale ed ulteriore valutazione delle sole questioni di diritto da parte della Corte di Cassazione. Ritorna il giudice tecnico il quale doveva motivare le proprie decisioni garanzia per il cittadino ( delle garanzie processuali che lo assicurassero della buona ed efficace tutela dei suoi diritti) 2. Il codice di commercio del 1807 rappresentava un completamento del codice civile: nell’ambito privatistico conteneva la disciplina organica della materia economica. Esso era diviso in 4 libri: 1. regolava gli atti di commercio e i principali istituti mercantili (titoli di credito, assicurazione, ecc.); 2. riguardava il diritto marittimo; 3. trattava di diritto fallimentare; 4. regolava l’ordinamento di appostiti tribunali commerciali, costituiti dai commercianti, chiamati a giudicare i modo rapido e meno formale le controversie in materia. Se nell’antico regime il diritto commerciale era riservato a coloro che facevano parte delle corporazioni mercantili e avevano il “privilegio” di avere propri giudici, ora, alla base del diritto commerciale, c’è l’imposizione degli “atti di commercio”; la disciplina era aperta ad ogni cittadino e ne ha rappresentato un primo passo verso l’oggettivizzazione del diritto commerciale. 3. Il code d’instruction criminelle del 1808 porta alla separazione tra diritto penale sostanziale e quello processuale, che resta fino ai giorni nostri. C’è il ritorno al segreto istruttorio, la conservazione del principio della giuria popolare attraverso Corti d’Assise composte da giudici “popolari”; restavano molte garanzie basilari. 4. Il codice penale del 1810 alla cui base, oltre alla separazione del diritto processuale, presenta il principio di stretta legalità. Questo prevedeva una tripartizione fra i reati in crimini, delitti e contravvenzioni. Era diviso in 4 libri per valorizzare gli interessi maggiormente protetti: I. riguardava le pene (tra cui quella di morte), difatti raggruppava i reati contro lo Stato e la cosa pubblica, a difesa quindi dell’autorità II. riguardava l’imputabilità, punibilità e responsabilità e comprendeva i reati contro la persona: il cittadino doveva essere ampiamente tutelato III. riguardava le diverse fattispecie di reato con le relative sanzioni, riuniva i reati contro il patrimonio e la proprietà in specie IV. riguardava le contravvenzioni. Il codice penale del 1810 poteva essere una conclusione significativa dell’opera di codificazione iniziata nei primi anni rivoluzionari e conclusa nel periodo napoleonico; vedeva confermate alcune delle principali istanze rivoluzionarie e introdotte alcune innovazioni unitarie. L’ESTENSIONE DEI CODICI FRANCESI ALL’ITALIA: Sin dagli ultimi anni del 700 nelle repubbliche italiane si era lavorato a progetti di codice, senza giungere ad una conclusione. Nei primi anni dell’800 si sarebbe potuto giungere a soluzioni autonome da quella francese, se non fosse sopravvenuta l’imposizione napoleonica di adottare i codici francesi. L’Italia abbandonò quindi il secolare sistema del diritto comune. L’unico codice diverso da quello francese fu quello processuale penale del Regno d’Italia (1807) a cui contribuì Romagnosi, giurista di maggior prestigio dei primi dell’800 (“codice Romagnosi”). Il punto differente dal codice francese sta nel rifiuto della giuria popolare da parte del Regno d’Italia, già presente da anni in Francia. L’introduzione dei codici francesi ha comportato in Italia: Abolizione del sistema del diritto comune Pagina 12 di 42   Semplificazione delle fonti Introdotto il principio di eguaglianza formale di ogni cittadino di fronte alla legge. Il codice civile in materia di obbligazioni e di diritti reale conteneva regole e soluzioni che si collegavano alla tradizione e allo “ius comune” (più chiari e più semplici). La disciplina della famiglia e delle successioni era molto più critica: molte innovazioni del codice urtavano la tradizione e le abitudini in Italia. Complessivamente, i codici napoleonici sono stati valutati positivamente: ci porterà a riproporre il modello negli Stati italiani della Restaurazione. CODICI, DIRITTI E FUNZIONI DEL GIURISTA: I cinque codici napoleonici aprono un’epoca nuova dal punto di vista del sistema giuridico: ad essi si è guardato sia in Europa continentale sia in America Latina come ad un punto di riferimento quasi obbligatorio per l’aggiornamento dell’ordinamento dei diversi Stati, per tutto l’800 e in parte nel 900. Con la loro introduzione si è sostituito il sistema dello “ius comune” con quello del diritto codificato: che si basava su una pluralità di fonti giuridiche, ed in particolare sull’interpretazione data dai giuristi ai testi del “corpus iuris civilis” e del “corpus iuris canonici”: ne discendeva così una tale complessità che nemmeno il giurista riusciva a risolverla sempre con sicurezza. Inoltre il sistema del diritto codificato cancellava tutto ciò: si rifaceva ad un testo normativo deciso e chiaro, tecnicamente semplice e completo. La semplificazione delle fonti del diritto era una garanzia a tutela del cittadino (poteva conoscere con facilità le regole da seguire), ma anche un miglioramento nell’ordinamento che aveva una minore necessità di interpretazione del giurista. I codici francesi hanno introdotto anche l’eguaglianza formale di ogni cittadino (non più suddito) di fronte alla legge. Anche la forma e la struttura del codice rappresentavano qualcosa di nuovo. Con i codici napoleonici si è arrivati alla statualità del diritto, che ha comportato il pieno ed esclusivo intervento dello stato nel campo normativo e che fosse “diritto” l’insieme delle norme del legislatore, inizialmente espresso dal principe assoluto, ma poi impersonato dai rappresentanti della volontà popolare. Nel sistema del diritto comune, il “diritto” era il complesso dei principi individuati dai giuristi a reggere la società; in quello dei codici, invece, deriva unicamente dal volere del legislatore, cioè dalla sua “legge”. In tal modo il diritto finiva con l’essere identificato, impropriamente, come “l’insieme delle leggi”. Si minimizzò quindi sul piano formale l’intervento di giudici e giuristi, ai quali si chiese di attenersi alla volontà del legislatore (in virtù del principio della separazione dei poteri), che nel sistema rappresentativo esprimeva la “volontà popolare”. L’autonomia dell’interprete doveva quindi sottostare alla volontà della legge. IL CODICE CIVILE AUSTRIACO DEL 1811: La Restaurazione ereditò dalla mentalità del 700/800 la grande fiducia nella legge, più chiara e certa del diritto comune. Essa era voluta dal principe, il cui potere e autorità aumentavano, cosa che piaceva molto ai sovrani dell’epoca. Già nel 600/700 essi avevano fatto redigere raccolte organiche di norme, concepite entro il sistema del diritto comune, al fine di chiarirne numerosi aspetti. Nel ‘700 era poi stato contestato il sistema del diritto comune, ed era stato proposto che il sovrano lo sostituisse con un suo codice, giusto, chiaro e semplice da consultare e applicare, senza il bisogno dell’intervento del giurista. L’inizio della codificazione civile austriaca può essere fatto risalire al 1753, quando Maria Teresa d’Austria aveva nominato un’apposita commissione di giuristi per la compilazione di un’ampia raccolta; ne derivò il “Codex Theresianus”, la cui complessità fu il motivo per cui venne sconsigliata l’entrata in vigore. Il figlio, Giuseppe II, fece riprendere i lavori e giunse nel 1787 ad emanare un 1° libro del codice giuseppino, formato da 293 paragrafi ma che entrò in vigore solo in Galizia. Dopo ulteriori lavori, nel 1811 il codice fu pronto ed entrò in vigore nel 1812. È formato da 3 libri, preceduti da alcune enunciazioni introduttive generali: 1°: riguarda il diritto delle persone; 2°: riguarda il diritto delle cose (diritti reali e obbligazioni); 3°: tratta le disposizioni generali sulla costituzione, modificazione ed estinzione dei rapporti giuridici. Pagina 13 di 42   Tale codice continua a riconoscere alcuni privilegi degli “status” personali, ammette ancora il feudo e perciò non stabilisce ancora in termini assoluti la pienezza ed esclusività della proprietà sancita dal codice francese; riconosce però la piena autonomia patrimoniale della donna sposata e non accentua i poteri autoritari del padre di famiglia, come voluto da Napoleone. Il codice austriaco del 1812, dopo il Congresso di Vienna, fu esteso alla Lombardia fino al 1859 e al Veneto fino al 1866. Avrebbe potuto rappresentare il modello seguito nell’Italia della Restaurazione ma gli fu preferito il codice francese; favorì per la codificazione italiana della prima metà dell’800 e venne considerato come uno strumento di aggiornamento dell’ordinamento. LA COESA DISCUSSIONE SULLA CODIFICAZIONE: Nell’Europa dei primi decenni del 1800, l’apparire dei codici napoleonici fu considerato un fatto altamente positivo. Solo l’Inghilterra e il mondo anglosassone non aderirono a tale sistema, nonostante le sollecitazione di Bentham. In Germania l’opposizione ai codici, capeggiata da Savigny, ne ritardò il processo, che vide poi nel 1900 l’entrata in vigore del codice civile tedesco. Anche l’Italia adottò il sistema del diritto codificato (modello Napoleonico.) Il codice serviva a sintetizzare tutti quei concetti essenziali che rispondevano alle esigenze della vita. Ma la funzione del codice è stata superata dal diritto vivente cioè l’attività del giurista nell’interpretare le norme ( al codice si affiancarono delle disposizioni integrative rispondenti alle progressive esigenze della vita quindi ci fu questo superamento e torno in primo piano il ruolo del giurista che dovrà risolvere le anomalie fra norme scritte e nuove esigenze della vita). 6 – L’ITALIA SOGGETTA AL DOMINIO FRANCO-NAPOLETANO IL TEMPORANEO AVVIO DELL’INFLUENZA FRANCESE NELLA PENISOLA: Dopo la rivoluzione francese, nel 1796 un esercito francese al comando di Napoleone entrò in Piemonte e riuscì a sconfiggere le truppe avversarie, soprattutto austriache: ciò ha favorito la formazione di gruppi rivoluzionari, il primo dei quali ad avere successo diede vita in Piemonte alla “municipalità” provvisoria di Alba. La prima costituzione fu quella della Repubblica bolognese nel 1796. Nel frattempo la Francia aveva inglobato il Piemonte e Napoleone aveva ceduto, con il trattato di Campoformio, il Veneto all’Austria ed erano state costituite altre Repubbliche come la ligure e quella di Lucca, Repubblica Romana (1798) e Partenopea (1799). Le costituzioni emanate in Italia negli ultimi anni del 700 hanno come modello quello francese del 1795: vennero impropriamente dette giacobine, con questo si voleva evitare la precedente “dittatura d’assemblea” e ridurre il potere legislativo (diviso in 2 Consigli: uno propone, l’altro vota senza emendare) a favore dell’esecutivo. A capo della repubblica c’è un organo collegiale i cui membri (3 o 5) sono sostituiti annualmente a rotazione (=Direttorio). I membri sono designati dai Consigli che svolgono funzione legislativa (=Francia); sotto troviamo l’organo collegiale a capo dello stato il quale ha sotto di sé dei ministri, responsabili per l’esercizio dell’attività esecutiva; il potere giudiziario è affidato ai giudici togati generalmente nominati dall’esecutivo. Costituzione Napoletana del 1799 ispirata da Mario Pagana possiede la particolarità dell’eforato cioè una magistratura posta a vigilare sulla costituzionalità delle leggi e sulla difesa della costituzione da prevaricazioni degli altri organi costituzionali. LA CONQUISTA NAPOLEONICA DELL’ITALIA: L’avviò nel 1800 della riuscita “2° campagna d’Italia” di Napoleone, riporta sotto l’influenza francese il centro-nord della penisola. Mentre il Piemonte ritorna sotto la Francia e venne ripristinata la Repubblica ligure, in funzione anche a Milano la Repubblica cisalpina. La predisposizione di una nuova costituzione causò contrasti tra Napoleone e i redattori italiani, ma alla fine venne approvata secondo il testo voluto da lui nel 1802, dai 3 comizi dei possidenti (soggetti di maggior reddito, con il compito di scegliere gli altri), dei dotti, e dei commercianti riuniti a Lione. Le 3 categorie dei comizi erano considerati rappresentativi della popolazione (affermazione opinabile in quanto compartecipava alle decisioni principali della comunità). Nasce così, in sostituzione alla Repubblica cisalpina, la Repubblica italiana, con capitale Milano, il cui territorio si riferisce solo alla Pianura Padana. Pagina 14 di 42   La denominazione indicava un’aspirazione“nazionale”. A capo della repubblica c’è solo un uomo (il presidente): Napoleone. Il quale era affiancato da un vicepresidente che poteva solo rappresentarlo, non sostituirlo ed era aiutato da un Segretario. Il PdR ha ampi poteri: è capo di un esecutivo forte; ha sotto di se dei ministri, capaci di dirigere un’amministrazione statale ben organizzata. Dell’esecutivo fa parte un Consiglio legislativo: il quale deve preparare i disegni di legge, che il Corpo legislativo potrà approvare/respingere senza emendare, dopo un esame svolto da una Camera degli oratori eletta entro il Corpo legislativo stesso. Nella costituzione della Repubblica italiana manca una dichiarazione dei diritti e dei doveri: L’art 1: riconosce come religione di stato solo quella cattolica (non c’è libertà religiosa, nonostante siano stati emancipati gli ebrei) L’art 2: la sovranità è dei cittadini, rappresentati dai 3 comizi (=possidenti, dotti e commercianti) La costituzione della Repubblica italiana privilegia l’esecutivo e la posizione in esso del Presidente. I principi di libertà e rappresentanza sono praticamente ignorati; resta solo quello dell’eguaglianza civile, su cui saranno impostati i codici. Napoleone, dopo essere divenuto “re dei francesi” nel 1804, ha trasformato la Repubblica italiana nel Regno di Italia e lui ne era il re (1805). Non è stata costituita una nuova costituzione, ma si è provveduto tramite 9 “statuti costituzionali” emanati da Napoleone. Hanno disegnato la struttura del Regno d’Italia (Veneto compreso): lo stato era formato da un Re, il quale sotto aveva un viceré affiancati dai ministri. Fu creato, su modello francese, un Consiglio di Stato, suddiviso nelle tre sezioni: Dei consultori: consulenza costituzionale ed internazionale e per le nomine nell’amministrazione Legislativo: per preparare i progetti di legge Degli uditori: per risolvere il contenzioso amministrativo. Era un organo basilare per il funzionamento dello stato, anche perché il corpo legislativo fu via via abolito. I 3 comizi rimanevano per dare un senso di collegamento con la popolazione, per quanto elitario e censitario. Nel 1807 fu istituito il Senato, di nomina regia e con le competenze del Corpo legislativo e dei consultori del Consiglio di Stato che furono soppressi. Con gli assetti costituzionali napoleonici, il regno assume un assetto burocratico amministrativo ben organizzato, nel quale però contava solo l’esecutivo. Nel 1805 è annessa all’Impero francese anche la Liguria, nel 1807 anche la Toscana. Napoleone si prende anche il Regno di Napoli e lo lascia al fratello Giuseppe ma quando questo parte per la Spagna, Murat, il cognato di Napoleone diventa re di Napoli (1808). Tra il 1807 e il 1808 viene tolto al Pontefice quello che resta dello Stato pontificio:le Marche vanno al Regno d’Italia, Umbria e Lazio all’Impero francese. Così Tutta la parte continentale della penisola era di dominio francese. Il Regno di Napoli non ha mai avuto una costituzione, Giuseppe ne emanò una prima di andare in Spagna ma il suo successore non la attuò mai. Nonostante ciò, la dominazione francese introdusse delle innovazioni: Abolizione dei privilegi feudali: Hanno comportato egualità tra i ogni cittadini di fronte allo stato e quindi alla P.A. Riduzione dei privilegi ecclesiastici Riforma e riorganizzazione dell’ordinamento amministrativo: il Consiglio di Stato sarà d’ispirazione durante la Restaurazione. La P.A. faceva capo a 9 (e poi 6) ministeri, il più importante era quello degli Interni, da cui dipendevano gli Intendenti (uno per provincia, secondo il modello francese) esso nomina il Prefetto per ogni Provincia che svolge la funzione di rappresentante del governo e come controllo per le attività. Dal 1806 è stato creato un Consiglio di Stato, diviso in 5 sezioni, tra cui quella legislativa che provvedeva alla legislazione: non si poteva affermare comunque la presenza della separazione dei poteri però era l’inizio di qualcosa, poiché un organo del governo provvedeva autonomamente alla legislazione rispetto all’attività amministrativa dei singolo ministri. In Italia venne ispirato alla Francia il modello giudiziario composto da una Corte di Cassazione chiamata a dirimere le questioni di diritto. Pagina 15 di 42   RECEZIONE AMMINISTRATIVA E GIUDIZIARIA Aspetto importante del periodo napoleonico dell’introduzione in Italia di un ordinamento amministrativo funzionale all’attività statale. Il consiglio di stato contribuirà alla formazione delle prospettive istituzionali della cosiddetta monarchia consultiva. L’abolizione dei privilegi di ceto e locali ha comportato egual trattamento di ogni cittadino di fronte allo stato e quindi alla P.A. Il prefetto, nominato dal ministro degli interni in ogni provincia non è solo il raccordo fra centro e periferia ma anche il rappresentante del governo nella zona. l’influenza francese introduce un laicismo più temperato che limita pero i privilegi ecclesiastici. In questo contesto lo stato viene a farsi carico dell’istruzione e alla necessità di una pubblica istruzione da quella primaria a quella elitaria delle università ed accademie. Un altro settore nella quale il modello francese ha influenzato quello italiano è nell’ordinamento giudiziario con una soluzione piramidale di giudici pagati dallo stato. Al vertice ci sta la corte di cassazione sotto di essa ci sono le corti d’appello, i tribunali e i giudici di pace in modo da offrire un giudizio di doppio grado su questioni di merito e diritto. CONSEGUENZE DELL’INFLUENZA E DELLA DOMINAZIONE FRANCESE IN ITALIA: Dopo la sconfitta napoleonica di Lipsia, il ventennio francese (1796-1815) termina con l’assetto dato dal Congresso di Vienna: Ripristino della situazione (Stati e prìncipi) prenapoleonica Liguria: passa al regno sabaudo Veneto: inglobato nei domini austriaci Ducato di Parma (assegnato a Maria Luigia, figlia dell’imperatore d’Austria e moglie di Napoleone). Questa sarà la struttura degli stati italiani ottocenteschi fino all’unità (1861). Il periodo napoleonico ha portato in Italia innovazioni istituzionali di rilievo, spesso abbandonate con la Restaurazione. Esso è stato quasi essenziale per la successiva evoluzione della penisola. Gli ideali di libertà, eguaglianza, rappresentanza politica, unità nazionale, garanzie costituzionali hanno lasciato il segno: il periodo francese è stato fondamentale per un cambiamento di mentalità e per l’avvicinamento a visioni di carattere europeo da parte delle élite liberali italiane dell’800. L’introduzione dei codici francesi in Italia ha aggiornato la penisola ad una delle riforme più importanti dell’800: la riforma della codificazione, la quale è ancora oggi operante. Le novità introdotte sono state notevoli: La prospettiva “nazionale” anziché quella particolare del proprio territorio o stato La necessità di rappresentanza politica e di garanzie costituzionali L’eguaglianza di ogni “cittadino” di fronte alla legge La sostituzione del nuovo diritto codificato al posto del secolare sistema del diritto comune; L’opportunità di un’organizzazione amministrativa omogenea e funzionante in tutto lo Stato L’abolizione dei privilegi feudali, ecclesiastici, corporativi e professionali L’impegno statale per l’istruzione, con l’apertura di scuole pubbliche La coscrizione obbligatoria a difesa della “nazione” Nuova mentalità con cui è stato recepito il rapporto governanti-governati, nella prospettiva di un nuovo contratto sociale scritto (costituzione) per fissare le regole della convivenza civile e nazionale. 7 – IL COSTITUZIONALISMO REGIO ANTIFRANCESE: SPAGNA E SICILIA LE COSTITUZIONI REGIE ISPIRATE DALL’INGHILTERRA: La rivoluzione francese segnò la fine del ‘700 e l’inizio dell’800. Il richiamo di una carta costituzionale attrasse molte persone in Europa: i sovrani legittimisti si trovarono, a volte, nella necessità di predisporre proposte alternative. Possiamo ricordare la situazione spagnola e quella siciliana, che portarono entrambe nel 1812 ad una carta costituzionale, ispirata all’Inghilterra (=Decisa a restare senza una costituzione scritta, ma con un ordinamento costituzionale orale, quindi più flessibile. Fu anche la principale oppositrice all’espansionismo rivoluzionario spagnolo). Pagina 16 di 42   LA COSTITUZIONE DI CADICE: In Spagna l’opposizione all’occupazione napoleonica e al regno di Giuseppe Bonaparte portò alla guerra armata contro i francesi, con l’aiuto inglese. Nel 1810 furono convocate a Cadice le “Cortes”, che nel 1812 approvarono una costituzione (la 1° votata) in opposizione a quella di matrice francese che prevedeva: Una monarchia ereditaria a cui era affidato l’esecutivo ed a cui era attribuita la nomina dei magistrati. La monarchia possiede anche il diritto di veto sulle leggi votate dalle Cortes. Tuttavia la sovranità non risiede più nel re, ma nella Nazione Il sistema parlamentare unicamerale: quello delle Cortes, che rappresentano il nucleo del sistema rappresentativo spagnolo e costituiscono il legislativo. Il re è il capo dell’esecutivo e lo esercita tramite i Segretari, il cui numero è fissato dalle Cortes, ma la scelta spetta al re. Non esiste una responsabilità politica del Governo verso le Cortes e tantomeno un Consiglio dei Ministri: i Segretari portano a compimento gli ordini del re, in modo conforme alle leggi votate dalle Cortes, e sono semplici esecutori del suo volere. L’unico organo ammesso, nell’ambito dell’esecutivo, è un Consiglio di Stato, i cui membri sono scelti dal re su proposta delle cortes, le cui competenze riguardano gli “affari gravi di governo”. Nell’ambito del potere giudiziario esiste anche un Tribunale supremo di giustizia che, accanto ai compiti di supremo organo unitario della giustizia civile, penale e amministrativa, possiede competenze di giudice costituzionale e di Alta Corte di giustizia. Inoltre la costituzione contiene altre disposizioni (384 articoli) riguardanti: - Amministrazioni locali - Milizia - Istruzione - Imposizione fiscale LA COSTITUZIONE SICILIANA: L’altra costituzione di ispirazione antifrancese è quella siciliana, anch’essa introdotta in opposizione all’avanzata napoleonica, nella quale però la diretta pressione inglese è più marcata. Il re fu costretto ad accettare una costituzione, pressato dalla consulenza inglese di lord Bentinck e dai contrasti con il parlamento siciliano (composto da tre “bracci” di tradizione medievale), capeggiato da alcuni baroni, gelosi dell’autonomia dell’isola. Il re dovette riunire il Parlamento, che approvò le basi della costituzione del luglio 1812 e il testo definitivo fu accettato dal re e pubblicato nel 1813. La costituzione siciliana non ha una dichiarazione dei diritti, ma elenca “libertà, diritti e doveri del cittadino”. Le sue basi sono contenute in 12 punti, che prevedono: Potere legislativo: attribuito a due Camere, una dei Comuni (voto censitario e palese per eleggerla) e l’altra dei Pari, convocate dal re almeno una volta l’anno; Potere esecutivo: in mano al re Potere giudiziario: indipendente, composto da togati, ma sotto controllo parlamentare Il feudo abolito, ma con cautele tali da non sfavorire nel complesso i baroni La legge è votata dalle Camere ma il re ha potere di veto. La costituzione siciliana non fu molto apprezzata dal re, il quale, appena poté, evitò di applicarla: tornato a Napoli dopo la caduta di Murat, non convocò più il Parlamento. Anche senza una formale abrogazione, la costituzione siciliana cadde così fra le cose disapplicate. Essa restò per nelle aspirazioni di un’ampia élite locale: fu ripristinata a Palermo coi moti (costituzionali e separatisti) del 1820 sino alla repressione borbonica, e fu nuovamente ripristinata nel gennaio 1848, dando avvio proprio a Palermo ai movimenti costituzionali del ’48. 8 - CONGRESSO DI VIENNA E RESTAURAZIONE IN EUROPA IL CONGRESSO DI VIENNA: LEGITTIMISMO REGIO ANTIRIVOLUZIONARIO: Sconfitto Napoleone, le monarchie europee vincitrici vollero ripristinare in Francia una monarchia costituzionale, affidata a Luigi 18°. Non era possibile ripristinare in Francia un regime assoluto, dato che nel 1814 furono riconosciute ai francesi le garanzie costituzionali essenziali, compreso il Parlamento bicamerale su modello inglese. Dopo il periodo rivoluzionario che aveva devastato l’Europa, nel Congresso di Vienna del 1814 (obiettivo: ridisegnare i confini naturali) le grandi potenze continentali vollero fissare un nuovo ordine, internazionale ed interno, che doveva assicurare un ritorno all’equilibrio ed alla tranquillità. Si basava sul principio di legittimità e sul rifiuto del costituzionalismo rappresentativo. Pagina 17 di 42   Iniziava così l’età della Restaurazione, caratterizzata dal rifiuto delle aspirazioni liberali, ma ispirata pure da qualche progetto istituzionale volto alla ricerca di soluzioni diverse da quelle del passato, ma concepite come alternativa a quelle rivoluzionarie o costituzionali. Alcuni sovrani, non molti, si proposero di mettere in pratica qualche soluzione alternativa, che si opponesse al modello costituzionale e rappresentativo, ma che desse la sensazione di coinvolgere egualmente, anche se in modo diverso, popolazione, opinione pubblica, governati. L’esperienza napoleonica aveva dimostrato l’importanza di un’amministrazione unitaria, efficiente e coordinata rispetto alla disorganicità dell’antico regime; aveva fatto apprezzare il salto qualitativo ottenuto sostituendo il sistema del diritto codificato a quello del diritto comune. Si trattava di realizzazioni che non implicavano un regime costituzionale, ma rafforzavano in definitiva il funzionamento dello Stato ed il potere centrale, realizzazioni che si potevano innestare nel programma di governo di una monarchia “restaurata”. Non voleva essere solo un punto di ritorno al passato, ma anche l’accettazione di certe innovazioni di modello francese, specie se queste avevano dato luogo ad esperimenti positivi, a beneficio della popolazione oltre che del Governo. Nel 1815 venne istituita la “Santa Alleanza” tra Austria, Russia e Prussia, con possibilità di intervento quando e ove esse potessero essere minacciate. Nacquero molte sette che agivano in segreto per portare lo stato da una monarchia costituzionale con soluzioni liberali ad una repubblica ad istituzioni confederali. REGNI RESTAURATI E NOVITÀ ISTITUZIONALI: Nel 1815, 39 Stati tedeschi diedero vita ad una Confederazione germanica, affermando il principio di una “nazione tedesca” con un organo comune (Bundestag) composto dai rappresentanti degli Stati, competente a prendere le decisioni più importanti (con un maggioranza qualificata dei 2/3). In Italia, invece, l’influenza politica austriaca escluse un’ipotesi analoga. Inoltre le due repubbliche oligarchiche pre-napoleoniche furono inglobate, una nei domini sabaudi (Genova), l’altra in quelli austriaci (Venezia). Infatti, per tutto il periodo della restaurazione si trovò la strada sbarrata di fronte ad ogni ipotesi di unificazione nazionale. Nei primi anni della restaurazione, alcuni sovrani intesero attenersi ad un semplice ripristino della situazione anteriore alla dominazione francese. Un’impostazione diversa fu tenuta nell’Italia meridionale, in cui il re Ferdinando IV di Borbone abolì la distinzione tra regno di Sicilia e regno di Napoli, prendendo il titolo di “re delle Due Sicilie”, scontentando l’élite dirigente. Conservò un Consiglio di Stato, confermò il modello di amministrazione centrale e periferica e di organizzazione dell’ordinamento giudiziario, lasciò in vigore i 5 codici napoleonici. Nel 1819 emanò il “Codice per il Regno delle Due Sicilie”, ispirato al modello napoleonico, suddiviso in 5 parti, ciascuna corrispondente ad uno dei codici francesi. Era un impostazione vicina a quella detta “monarchia amministrativa” che però venne colpita dalla rivoluzione carbonara del 1820 che impose al Re l’accettazione della costituzione di Cadice. Un programma che rispecchiasse maggiormente l’opinione pubblica era rappresentato dalla “Monarchia consultiva cioè un sistema piramidale di organi consultivi che tendessero a coinvolgere interessi locali e settoriali e a dare la sensazione di poter far sentire la voce dei governati ai governanti.Nel periodo della restaurazione, in alternativa al costituzionalismo, si volle far giungere la voce del popolo al re, il quale ascoltava e decideva per il bene comune, senza farsi influenzare. Ci si riuscì attraverso consigli di 3 gradi: Consigli comunali, Consigli provinciali e Consiglio di Stato. I meccanismi istituzionali previsti nel periodo della restaurazione non incontrarono né l’adesione dei liberali, né il favore dei legittimisti. Le aspettative costituzionali insoddisfatte portarono ai moti del 1820-21 e poi a quelli successivi. Una terza via, tra restaurazione e costituzionalismo, non ebbe modo di realizzarsi: si poteva dire di uno stato che fosse costituzionale o non. La rigidità di questo schema farà dire che l’Italia, fino al 1848, è stato uno stato non costituzionale. I CODICI ITALIANO PREUNITARI: Parecchi prìncipi italiani “restaurati” in un primo momento furono portati all’abolizione dei codici francesi. Ci furono delle eccezioni, la più nota è quella del Regno delle Due Sicilie, dove, con qualche aggiustamento (diritto di famiglia), furono lasciati provvisoriamente in vigore i codici. Il codice di commercio francese fu mantenuto anche in Lombardia, Toscana e domini pontifici. Nel Lombardo-veneto, l’Austria introdusse i suoi codici (civile 1811). La cultura giuridica italiana non molto elevata, si rivelò generalmente passiva rispetto alle iniziative governative in tema di codici, privilegiando l’affermazione del diritto statuale su ogni altra fonte (i Pagina 18 di 42   codici avrebbero potuto farne parte). Il ripristino del diritto anteriore (diritto comune) metteva in rilievo i vantaggi tecnico-operativi del diritto codificato. La codificazione, dopo essere stata definita negativamente, venne accettata dagli Stati italiani preunitari: infatti nella prima metà dell’800 adottarono il sistema del diritto codificato, seguendo il modello francese, basato sui 5 codici (civile, penale, commerciale, di procedura civile e di procedura penale). L’illuminismo considerava il codice come un prototipo unico e generale, inoltre rappresentava uno strumento di modificazione e programmazione della società per dirigerla verso gli obiettivi opportuni dell’èlite dirigente; La Restaurazione, invece, lo considerava come l’espressione dei princìpi esistenti per la convivenza civile, con la funzione di registrarli e concentrarne l’essenza piuttosto che modificarla; A favore della volontà popolare, la codificazione venne concepita come mezzo operativo per dettare una disciplina più chiara, semplice, generale del diritto esistente, senza dover per forza crearne uno nuovo; doveva registrare il diritto sentito dalla coscienza poplare, non innovare. La situazione dell’Italia Pre-unitaria: REGNO DELLE DUE SICILIE: non erano stati cancellati i codici francesi ma modificati alcuni punti in contrasto con la Restaurazione (=diritto di famiglia). Nel 1819 fu pronto un codice unitario diviso in 5 parti (corrispondenti ai 5 codici francesi); il quale venne considerato un soluzione tecnica migliore nell’ottica della monarchia amministrativa che si voleva creare a Napoli. La codificazione napoletana ha avuto grande importanza poiché è stata la prima in Italia attuata da un sovrano “restaurato” e perché fu d’ispirazione agli altri Stati italiani. DUCATO DI PARMA: procedette alla codificazione dai primi anni della Restaurazione, i lavori giunsero a compimento nel 1820, frutto di 4 commissioni e di un mix tra l’esempio francese e quello austriaco (duchessa Maria Luigina moglie di Napoleone, figlia dell’imperatore d’Austria). Un codice di commercio non era necessario, perciò la disciplina commerciale venne inserita nel codice civile (1820); secondo il modello francese vennero adottati un codice di procedura civile (1820), un codice penale e un codice di procedura penale (1821). LOMBARDO-VENETO: l’Austria estese i suoi codici, civile del 1811 e penale del 1804, sostituito nel 1852 e affiancato da un nuovo codice di procedura penale nel 1853. I modelli austriaci non furono seguiti negli altri Stati della penisola, che favorirono quello francese. STATO PONTIFICIO: la prima Restaurazione portò all’abolizione di codici e legislazione francesi ed al ritorno al sistema del diritto comune. Nel 1816 vennero nominate 3 commissioni per formare nuovi codici. Nel 1817 codice di procedura civile, 1821 codice di commercio, 1831-35 entrano in vigore i nuovi regolamenti sul processo civile e penale, poi i regolamenti penale e civile. TOSCANA: si seguì la soluzione del diritto codificato: nel 1814 fu nominata una commissione che decise di conservare il codice commerciale francese e alcune disposizioni civilistiche e ribadì l’abrogazione degli statuti comunali; ripristino il diritto comune in attesa dell’adozione dei codici. Nel 1853 fu pronto il codice penale (uno dei migliori dell’epoca), quello civile arrivi dopo la fine del Granducato (1859). DUCATO DI MODENA: con la Restaurazione si torna alle disposizioni del “codice” estense del 1771 e al diritto comune. Dopo la metà dell’800 si giunge ai codici di modello francese: codice civile (1851), di procedura civile (1852), penale e di procedura penale (1855), codice di commercio promulgato nel 1859 ma non entra mai in vigore per la caduta del regime degli Estensi. STATO SABAUDO: abrogò i codici francesi e ripristino le “Regie costituzioni” del 1770 e il sistema del diritto comune. Solo in Liguria furono parzialmente conservati i codici francesi (civile e commerciale), secondo le decisioni del Congresso di Vienna. Carlo Alberto nel 1831 avvia una codificazione su modello francese che giunse a compimento nel 1837 con l’emanazione del codice civile, poi codice penale (1839), di commercio (1842), di procedura penale (1847), di procedura civile (1854). Pagina 19 di 42   La codificazione sabauda fu importante per la successiva unificazione italiana, poiché era il modello più vicino e più noto alla classe che sovrintendeva all’unificazione. La codificazione unitaria si raggiungerà nel 1865. MODELLI COSTITUZIONALI FRANCESI DEL 1814 E DEL 1830: La carta costituzionale francese del 1814 è concessa da Re Luigi 18° sul piano teorico legittimista: la sovranità fa capo a lui (non al popolo, non alla nazione), ma egli decide di autolimitare i suoi poteri, nonostante ci conservava una posizione predominante in ognuno dei 3 poteri: 1. Detiene quello esecutivo, con la nomina dei ministri che agiscono sotto la sua guida, senza formare un organo collegiale 2. Nel campo legislativo ha potere d’iniziativa legislativa e di sanzione (la legge sarà poi discussa e approvata dai due rami del Parlamento). Ha inoltre potere di ordinanza, il cui uso successivo sarà una delle cause della rivoluzione del 1830; 3. Controlla il potere giudiziario con la nomina dei giudici. Non esiste una Dichiarazione dei diritti, ma sono riconosciute le più significative conquiste rivoluzionarie: la libertà (di stampa, personale, di espressione di religione), l’inviolabilità della proprietà individuale e l’eguaglianza davanti alla legge (contro i privilegi). Tale carta apre verso il regime parlamentare, composto da due Camere, quella dei Pari, di nomina regia, e quella dei Deputati, elettiva con suffragio censitario elevato. Dopo la rivoluzione parigina del luglio 1830 si approva una costituzione pronta in quell’anno, i cui meccanismi costituzionali non sono molto diversi da quelli del 1814, anche se risentono del mutato clima politico. La legitt