Semiotica della Creatività - Corso Moda e Industrie Creative, IULM - PDF
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Stefano Bartezzaghi
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This document is a summary of a course on Semiotics of Creativity, focusing on the definition and meaning of creativity and its analysis through a semiotic lens. The course is taught by Prof. Bartezzaghi at IULM, a university in Italy.
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Semiotica della creatività, Prof. Batterzaghi Semiotica 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi SEMIOTICA DELLA CREATIVITÀ RI...
Semiotica della creatività, Prof. Batterzaghi Semiotica 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi SEMIOTICA DELLA CREATIVITÀ RIASSUNTO: “METTERE AL MONDO IL MONDO” DI STEFANO BARTEZZAGHI CORSO MODA E INDUSTRIE CREATIVE, IULM INTRODUZIONE Chi te lo fa fare? L’essere umano ha sempre avuto il problema di capire chi glielo faccia fare. L’espressione appartiene ad un uso conversazionale e di lingua banale che spesso il suo significato, in quanto espressione frequentemente utilizzata, sbiadisce. Ciò è però significativo poiché di queste stesse espressioni se ne servono sceneggiatori e scrittori; dunque, banalità e modi di dire ci rivelano in realtà la loro importanza generale. Creazione, Creatura, Creato Il genere umano ha inoltre passato secoli e millenni nella convinzione di avere un ruolo dominante nell’ambito di quello che chiamava Creazione e di cui si sentiva Creatura. Dunque, appartenendo ad un Creato, l’uomo si è prorogato di elaborare nomi alle cose credendolo il proprio ruolo e chiamandolo tale. Perciò si è anche chiesto se questo stesso ruolo fosse stato assegnato da Qualcuno come un Dio od un mandante. Che senso ha? Un’altra domanda che spesso viene posta e che possiede il medesimo retroterra della precedente è “Che senso ha?”. Non porremmo mai questa domanda ad un animale o ad un vegetale perché non dispongono di un linguaggio verbale, ma ciò è vero solo in maniera superficiale poiché animali e vegetali si incontrano in favole o realtà fantastiche in cui possiedono addirittura una responsabilità sulle loro azioni. Fuori da favole o storie le azioni di animali e vegetali sono attribuite solamente alla loro natura: hanno un fine biologico ma non un significato. I soliti sospetti Le azioni dell’uomo non sono solo azioni ma anche pensieri. Chi compie un’azione può infatti non essere colui che l’ha pensata. Nei casi in cui però la persona fosse la medesima si hanno comunque due ruoli distinti: un’agente che compie l’azione e un mandante che gliel’ha fatto fare. A seconda delle epoche e delle diverse mentalità si è sempre associato ad un mandante un nome o un artificio linguistico che fosse più o meno immaginario, ma sicuramente immaginato (una Musa, un dio, una voce interiore, il destino, un caso, la passione, la follia, il sonno, ecc..). Un chiarimento Tra i possibili mandanti delle azioni umane si sono susseguiti esseri divini, esseri umani e concetti astratti. Si parla dunque di “istanze”, identità non specificate attorno alle quali è sorto il tema della creatività: un concetto di cui gli umani hanno sentito il bisogno per nominare qualcosa di impreciso e ineffabile che in una data epoca storica è stato loro necessario per pensare a se stessi. 1 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi PARTE PRIMA: CREATIVITÀ COME DISCORSO 01. LA DEFINIZIONE DELLA CREATIVITÀ Facile o difficile La parola “creatività” è ritenuta una parola difficile da usare e definire; dunque, dobbiamo dedurre che nel discorso sociale la differenza tra parole “difficili” e “facili” è tenuta in grande considerazione. Tra i vocaboli siamo portati a pensare che esistano “paroloni”, eredi del “latinorum”, e “parole povere” che non arricchiscono il discorso ma sono conosciute e capite da tutti. Esiste un’ulteriore classificazione del lessico condotta attraverso metodi di indagine sociologica e statistica portata avanti da Tullio De Marco nel suo “Grande Dizionario Italiano dell’Uso” in cui la parola “creatività” compere come una delle 2750 “ad alto uso”. È dunque senza dubbio una parola che appartiene al campo delle parole italiane “facili”. Il dizionario di De Mauro la definisce come “la capacità di creare, d’inventare”, ma il suo significato è assai più complesso. Perché è di difficile definizione seppur sia una parola “facile”? Povere o ricche Il fatto è che le parole facili sono difficili da definire e le “parole povere” sono ricche: proprio perché vengono usate da tutti si caricano di sfumature differenti di significato e dunque non tutti le intendono allo stesso modo. Questo è il motivo per cui Leopardi distingueva “parole” e “termini”; o parole: non presentano la sola idea dell’oggetto significato ma immagini accessorie o termini: presentano l’idea circoscritta di quel tale oggetto e si definiscono tali perché determinano e definiscono la cosa da tutte le parti. “Creatività” è una parola o un termine? Alle radici della creatività Ci sono parole che non abbiamo mai sentito ma che non fatichiamo a comprendere perché risultano come montaggio di parti a noi note, anche se spesso questo ragionamento ci induce in errore (es. pensiamo che “postribolo” venga da “post” + “tribolo” (dopolavoro” invece che da “prostrare” (stare davanti). Con “creatività” l’intuizione non erra; è possibile suddividere la parola in tre stadi: o -ità; forma sostantivi femminili astratti o -iv-; forma aggettivi o stantivi con il valore di “capacità”, “qualità” o creat-; riporta all’idea di “produrre il nuovo”, qualcosa che prima non c’era. Dall’analisi dei loro formanti deriva la possibilità di definire “creativo” come ciò che ha a che fare con l’attitudine a produrre qualcosa di nuovo e “creatività” come l’attitudine stessa. Dove sta il problema? Dalle radici ai rami Anche quando non è in sé ingannevole e non ci fa individuare etimi scorretti, l’analisi istintiva di una parola sconosciuta può farci risalire ad un suo ipotetico significato originario ma nulla può dirci dei suoi usi effettivi e specifici contemporanei. Siamo portati a pensare che nell’etimo (significato originario della parola) ci sia una presunta “verità” della parola stessa quando in realtà conoscere l’etimo è utile soltanto a conferire maggiore profondità alle nostre scelte linguistiche. Il significato di una parola si conferisce in relazione ai suoi usi reali che con il tempo cambiano. L’uso della parola “creatività” non è del tutto allineato alla definizione di “attitudine a produrre qualcosa di nuovo”: si tratta di una definizione sfocata, “a bassa definizione”. 2 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi Creare / Creativo Riportare la creatività al creare può indurre in errore perché: a. la radice della parola è associata alla creazione in senso teologico che è l’unico senso proprio della parola stessa. In senso letterale “creare” e “creazione” si riferiscono all’attività metafisica di un creatore dell’universo ma non possiamo dire che un tale creatore sia “creativo” nel creare l’universo perché oggi quando parliamo di “creatività” intendiamo una facoltà essenzialmente umana. b. non possiamo neppure dire che una donna o una coppia è creativa quando genera la prole perché per “creatività” si intende comunemente una produzione artificiale. c. non è tanto meno creativo un fornaio che ogni giorno produce una nuova quantità di pane fresco perché lo fa sempre allo stesso modo e la creatività consiste nell’inclinazione a fare qualcosa di nuovo. Possiamo dunque dedurre che una teoria della creatività debba contenere un’analisi critica del concetto di “nuovo” che è considerato uno dei lemmi più ambigui della lingua italiana. Ma allo stesso tempo la creatività è una disposizione astratta che si può predicare soltanto quando si è concretamente messa in atto e realizzata nella pratica. Semiotica e creatività Ø La semiotica è la disciplina in cui nel corso del Novecento sono confluite riflessioni sui diversi sistemi che consentono agli esseri umani di comunicare. È nata come una “scienza dei segni” e ha poi continuato a occuparsi delle forme in cui il senso emerge, viene generato ed interpretato. Ø La creatività è un problema semiotico perché quando parliamo di creatività abbiamo tutti l’impressione di intenderci eppure nessuno è mai convinto che la parola abbia una definizione univoca e precisa. Questo non è accidentale ma pare essere integrante del significato di “creatività” che si troverebbe dunque a presentarsi come un “termine” (per la sua apparente precisione scientifica) ma a funzionare poi come una parola (per la sua intrinseca ambiguità e vaghezza). Significato nucleare La “creatività” rimanda sempre a una predisposizione verso il “nuovo” e questo ne costituisce il nucleo semantico cioè l’area di significato relativamente stabile nel tempo e nei diversi contesti. Il problema è che sia il significato della parola “nuovo” che della parola “creatività” sono equivoci: l’idea di creatività è vaga ed imprecisa perché l’impossibilità di definire in modo univoco in suo significato è parte della sua definizione stessa. Questo perché vi sono due caratteristiche della creatività che la logica pare non comprendere: * alla logica sfugge il fenomeno della creatività; perché essa di manifesta come una sospensione delle consuetudini e la fondazione di nuove logiche non convenzionali * alla logica sfugge la categoria concettuale della creatività; perché essa ha un nucleo semantico a bassa definizione e una variabilità a seconda di contesti e circostanze. Tale condizione della creatività di essere un’organizzazione particolare e anomala di un’area di significati è dunque un problema semiotico. Semiotica della creatività Ø Per semiotica della creatività si intende lo studio della categoria concettuale della creatività e dei fenomeni ad essa collegati, a partire da un’identificazione dettagliata degli usi e delle funzioni rivestite dalla creatività nel linguaggio comune. Si parla anche di creatività dei sistemi cioè di come i linguaggi, le lingue e le strutture consentano usi creativi. La semiotica a volte ha riportato la creatività ad una zona di passaggio della teoria: * dalla regola alla trasgressione che la infrange e la modifica 3 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi * dalla grammatica (sistema astratto) al discorso (processo in atto) * dalla competenza (il poter e saper fare) alla performanza (il fare) La questione teorica della creatività – cioè che ruolo svolge il cambiamento nei sistemi e con quale modalità – è ben presente nell’ambito teorico della semiotica perché studia la creatività come fenomeno che riguarda i sistemi semiotici e la loro evoluzione. La creatività è dunque un problema semiotico perché la semiotica può valutare il grado di discostamento dalla consuetudine: quanto un particolare fenomeno di trasformazione possa essere ritenuto più o meno creativo (e diventare processo di evoluzione o rivoluzione). 02. IL DISCORSO DELLA CREATIVITÀ La parola “creatività” creatività 1.capacità creativa, facoltà inventiva: la creatività dei bambini capacità di produrre nuove idee, invenzioni, opere d’arte e sim. 2.(ling.) capacità del parlante di capire e di emettere enunciati che prima non ha mai sentito [Zingarelli, 2021] capacità produttiva della ragione o della fantasia, talento creativo, inventiva. [Devoto-Oli, 2021] Ø I termini delle definizioni sono a loro volta parole della lingua italiana e dunque definiti dal vocabolario. Non appartengono di per sé a un metalinguaggio (linguaggio formalmente definito che ha come scopo la definizione di altri linguaggi artificiali – linguaggi oggetto) ma svolgono provvisorie funzioni metalinguistiche. Ogni definiens (termine che definisce) sarà prima o poi un definiendum (termine che è definito) e il vocabolario si fonda su una logica circolare per la quale i termini si interdefiniscono. Ø Quando la “creatività” è definita come “capacità creativa” o come “talento creativo” la circolarità è troppo evidentemente stretta e la definizione diventa tautologica (ripetitiva, ridondante). Le definizioni tautologiche risultano dunque inutili perché dicono solo quello che già sappiamo (es. i quadrupedi hanno quattro zampe). Quando i vocabolari indulgono a definizioni tautologiche è perché le parole da definire sono tra le più note e dunque le più “facili” che sono le più difficili da definire. creativo aggettivo 1.pertinente alla creazione: atto creativo|relativo alla creazione di un’opera dell’ingegno: processo creativo 2.che ha o che rivela capacità di creare, che è ricco di inventiva: intelligenza creativa; un bambino creativo 3.che, nel campo finanziario o contabile, è frutto di scelte fantasiose, talora al limite dell’irregolarità (spec. iron.): finanza creativa II creativamente, avv. sostantivo 1.nella pubblicità, chi propone le idee che porteranno alla realizzazione di una campagna pubblicitaria 2.(est.) in senso generico, chi mostra particolari doti di inventiva e originalità [Zingarelli, 2021] Ci troviamo di fronte ad una nuova circolarità stretta con il rimando a “creazione” e “creare”. Queste due definizioni, però, ci mostrano due caratteristiche lessicografiche (inerenti alla direzionalità) del lemma “creatività”: a) Il lemma riceve definizioni di tipo strettamente circolare, definizioni cioè in cui non corre grande distanza fra il vocabolo da definire i vocaboli che lo definiscono à ciò è indice del fatto che la creatività sia difficilmente definibile. 4 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi b) Il lemma non riguarda un ambito ben delimitato, ma svaria tra contesti anche molto lontani tra loro à ciò può essere letto come una prima spiegazione di questa difficoltà: la creatività è difficilmente definibile anche perché il concetto conosce applicazioni in ambiti molto diversi tra loro. Il percorso semantico Ogni termine è in relazione con un nucleo di significato detto denotativo che si specifica nei diversi contesti. Si possono poi anche determinare significati connotativi e a volte anche ossimorici, cioè tali da contraddire il nucleo semantico. Nucleo denotativo “stazione” à luogo di sosta (che si specifica nei vari contesti) “stazione ferroviaria”, “stazione di lavoro”, “stazione spaziale” Nucleo connotativo “stazione” à come “luogo affollato” es. c’era tanta confusione che sembrava di essere in una stazione Nucleo ossimorico “stazione mobile dei carabinieri” Combinazione di nucleo + semi contestuali viene chiamato = percorso semantico o semico. Nel caso di “creatività” il percorso semantico comprende un nucleo invariante che definiamo come “disposizione al nuovo”, a cui si aggiungono le qualità variabili introdotte dai distinti contesti. Vi sono casi in cui però l’aggettivo “creativo” serve per stendere un velo di prestigio e però anche inganno poiché la categoria della creatività ha il potere di conferire prestigio a qualcosa che non lo merita particolarmente. Il percorso semico diventa dunque un labirinto. I connotati della creatività Partiamo dalla differenza tra “lavoro” e “lavoro creativo”: al primo corrisponde l’attività di lavoro in modo consueto secondo prassi consolidate; il secondo non si limita, invece, a ripetere prassi note ma le innova. Il carattere di propensione alla novità è presente nel “nucleo semantico” della creatività e si associa al contesto specifico dell’ ”attività lavorativa” à fino a qui la creatività sarebbe ciò che Leopardi definisce un “termine”: un vocabolo a cui corrisponde una “nuca e circoscritta idea”, cioè ha un significato univoco. Succede però che la nostra società associ costantemente a ciò che è “nuovo” un carattere di prestigio. Questa marca di prestigio è un esempio di quello che Leopardi intendeva con “immagine accessoria”: un significato non necessario, che si aggiunge alla “nuda idea” e che trasforma il “termine” (significato univoco) in una “parola” (resa invece “vaga” dalle “immagini accessorie” che le vengono associate). I connotati del mito Le connotazioni che si producono nel discorso sociale e in particolare nel discorso dei mass-media sono “mitologiche”. Stiamo usando il termine “mitologia” appunto come termine e attribuiamo al discorso della creatività un carattere mitologico perché gli oggetti principali del discorso dei mass-media e la creatività mostrano i caratteri più tipici delle “mitologie”. Come ogni mito massmediale, la creatività viene presentata come fatto “naturale”: sia nel senso della sua immediatezza e spontaneità, sia nel senso che ne venga tendenzialmente eliminata la l’origine culturale à la mitologia classica si riferiva al “mito” (racconto); la mitologia contemporanea ha a che fare con il “mitico” (una qualità instabile che investe e disinveste chiunque). I mass-media presentano generalmente una persona mitica (uno scrittore, un attore) con le sue abitudini da “persona normale” e questo non finisce che per sottoscrivere il suo status diverso e mitico; è come tutti noi, ma egli ha scritto romanzi o recitato in film mentre noi no à la mitologia contemporanea fa riferimento a personaggi e oggetti, ma anche a concetti astratti ed espressioni che attribuiscono connotazioni di prestigio. 5 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi Tutto e il contrario di tutto La mitologia classica ha due caratteristiche: è composta da storie note a tutti e ha per oggetto entità non presenti nella realtà spesso fornite di caratteristiche contradditorie à ciò che viene chiamato “mitismo” in antropologia strutturale e che è composto da strutture semantiche che si oppongono tra loro. Anche la mitologia contemporanea ha due caratteristiche: la notorietà di un elemento della comunicazione e le sue connotazioni e la possibilità di ammettere delle contraddizioni à la creatività è dunque una mitologia perché conferisce connotazioni di prestigio socialmente condivise ma anche perché riesce a far convivere – sul piano immaginario – aspetti fortemente contradditori. La creatività risulta così essere ciò che è impossibile (per logica) sul piano reale ma che non è impossibile (per mitologia) sul piano immaginario. La clausola mitologica Nella creatività si riscontra una contraddizione più profonda: la propensione al nuovo si manifesta in così tanti campi diversi e modi diversi da svuotare la denotazione della creatività e lasciarci la sola connotazione di prestigio. Gli stessi teorici della creatività dicono che sia impossibile definirla perciò l’unico modo per farlo è paradossale: la creatività è una non meglio definibile propensione al nuovo (nucleo semantico), che si specifica in una vasta quantità di campi e contesti (denotazione contestualizzante) conferendo ovunque marca di prestigio o valore positivo (connotazione mitologica). Al nucleo semantico di “creatività” appartiene l’impossibilità di definirla e questa è una contraddizione profonda perché investe l’intero sistema semantico nel suo profondo pilastro che è la sua definizione à ciò che è creativo sfugge alla logica, alla coerenza e alle teorie. Dalla parola al discorso È impossibile collocare con precisione la creatività all’interno di un sistema di significati, è però possibile coglierla come parte di processi di comunicazione. Anzi, l’unico tentativo possibile di giustificare l’esistenza della sua clausola mitologica e di tutte le aporie connesse al concetto implico proprio lo studio della nozione di creatività nei diversi contesti in cui ricorre à non dovremmo quindi considerare più la parola singola e isolata ma vederla nel quadro del discorso sociale. problemi le cui possibilità di soluzione risultano annullate in partenza dalla contraddizione. 03. UNA PIRAMIDE DI DISCORSI “It don’t mean a thing…” La nozione di creatività è mobile e trasversale perché si adatta a vari contesti ma allo stesso modo è ineffabile perché non si è mai lasciata definire in modo integrato ed esauriente. Nell’ambito della semiotica della creatività, però, la creatività stessa non è una qualità ineffabile ma una parola che si manifesta di volta in volta in un discorso. La nozione di creatività compare in moltissimi campi diversi con significati contestuali altrettanto vari (polisemia) ma vuole marcare un punto d’analogia fra tali campi. In ogni contesto la creatività è diversa ma svolge un suo proprio discorso distinto à questa pluralità di contesti impedisce di definire la creatività in modo esauriente. Gli ambiti della creatività: una piramide La creatività interviene con il proprio discorso in un’ampia gamma di discorsi che si possono raggruppare in quattro gruppi in ognuno dei quali il discorso della creatività svolge una funzione differente: 1. Ambito artistico (estetica, teoria dell’arte, sociologia, teologia, semiotica) à funzione simbolica 2. Ambito conoscitivo (intelligenza artificiale speculativa, scienze cognitive) à funzione intellettiva 3. Ambito tecnologico e produttivo (ingegneria, informatica) à funzione economica 4. Ambito mediale (moda, design, pubblicità, fotografia, televisione) à funzione mitologica. 6 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi Non dobbiamo pensare a questi ambiti come quattro campi affiancati sullo stesso livello ma pensarli secondo una struttura piramidale d quattro livelli comunicanti tra loro. Il primo, quello superiore, è l’ambito artistico, al di sopra del quale si immagina operi uno “spirito” metafisico che comunichi all’uomo, attraverso il “genio”, un’ispirazione sovrumana. La base, il livello più basso è l’ambito mediale che è in rapporto con l’uomo-massa, ultimo destinatario del discorso della creatività à il compito fondamentale del discorso della creatività è proprio quello di attraversare i livelli e far comunicare l’alto e il basso, stabilendo un contatto simbolico fra l’umano e il sovrumano. Dei e uomini Tra gli dei e gli uomini sono sempre intervenute forme di comunicazione. Dal basso all’alto, gli uomini hanno sempre indirizzato messaggi o si sono messi in connessione con le divinità; dall’alto al basso, le divinità hanno sempre comunicato perlopiù tramite atti particolari che prendono sostanza linguistica in due casi: nel caso dell’oracolo e nel caso dell’ispirazione. Nell’antichità Apollo e le muse suggerivano oracoli e ispiravano poemi perlopiù rivolti alla non altrimenti documentata conoscenza del passato. Ø A Delfi il responso oracolare proveniva dal sottosuolo (origine ctonia), e scaturiva tramite un cratere nella forma ascensionale del fumo; la Pizia – la sacerdotessa di Apollo – si trovava al di sopra del cratere e il fumo le invadeva il corpo, ascendendo sino a farle funzionare gli organi fonatori per poi uscire dalla bocca in forma di voce. L’intero corpo della sacerdotessa diveniva un mero organo fonatorio di Apollo e non era controllato dalla sua mente. In questo caso per “ispirazione” non siamo troppo lontani dall’ “inspirazione” fisiologica. Ø Anche nell’arte cristiana il tema dell’ispirazione divina è costante. Nella Divina Commedia, Dante ha avuto una Visione mistica ma non può dirla né ripeterla perché in quanto mortale non ha potuto percepirne una parte; di quello che ha visto riesce solo a trattenerne una parte nella memoria. Dante si paragona, allora, ad un sognatore che al risveglio smarrisce il contenuto del suo sogno anche se gliene rimane una traccia emotiva. Come la memoria della Visione mistica anche il discorso oracolare è fragile ed instabile: non è alla portata dei singoli umani. Il sacerdote, il medium, il poeta e più in generale l’indovino sono essere umani privilegiati perché capaci di mediare le ispirazioni (sotto forma di materia grezza) a coloro che privilegiati non sono. Mediano in quanto trasmettono, completano, interpretano: danno forma ad una lingua impossibile. Fuori e dentro di noi Il “Genius Loci” è una divinità minore, un nume tutelare à una divinità che protegge un luogo, una casa, una città. Come l’ispirazione, all’origine anche il genio era pensato come una forza esteriore: il Dio, la musa, il vento, il fuoco, l’aria sono tutti fenomeni esteriori che intervengono sul corpo di un mediatore umano e lo inducono alla parola. Lungo i secoli l’origine di questi fenomeni si è avvicinata sempre di più al corpo umano, sino ad entrarvi. § I poeti stilnovisti parlano dell’Amore come del vero autore delle parole che loro trascrivevano, come una forza interiore che scuote l’animo e avvia alla poesia. § Nel Romanticismo il corpo intero dell’artista cerca un’unione con la natura, la cui fusion è tema principale di ogni opera. § La psicoanalisi dell’arte che si è ispirata al pensiero freudiano ha mostrato come la creazione artistica prenda inizio da un pensiero conscio che si immerge in una zona della mente, detta “preconscio”, da cui riemerge nella forma dell’opera à all’opera d’arte è necessaria una condizione di sospensione dalla logica comune. L’impulso all’agire artistico, dunque, discende dall’alto della sfera dell’ispirazione divina sino al profondo della psiche umana: ossia dall’artista oracolare, eterodiretto dal dio, all’artista contemporaneo, che ritiene che gli impulsi che segue siano provenienza e parte della sua medesima soggettività. 7 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi 04. LA CREATIVITÀ IN AMBITO ARTISTICO “Mettere al mondo il mondo” L’arte consiste nella creazione di mondi ideali, possibili, completi e autosufficienti, ovvero opere che costituiscono in sé un mondo. Anche quando arriva al massimo della sua mimesi l’arte rimane comunque distaccata da essa: si tratta infatti di due entità ben distinte quelle del mondo reale e mondo rappresentato à è però anche vero che l’opera d’arte si installa all’interno della realtà ne diviene parte stessa. Creazione e creatività. Una teoria Un interessante teoria sulla questione della creatività nel campo dell’arte si è avuta dallo storico e critico Gabriele Guercio, il quale ha definito l’esistenza di due poli denominati “creatività generica” e “assoluto della creazione”. Ø La creatività è considerata da Guerci come una “facoltà straordinariamente variegata per finalità, funzioni e impieghi”, che possiede però il problema di essere appunto “generica”. Ø A questa creatività generica oppone una nozione di “creazionismo artistico” che non ha più riferimenti teologici. Egli afferma però che l’arte ha la possibilità di creare qualcosa, in maniera del tutto umile, a partire dal nulla, dando “forma all’indistinto”. “È in grado di offrire al pensiero e all’esistenza degli esseri pesanti […] novità, metamorfosi, valori sorprendenti”. *(Non vi sono dubbi che per Guerci l’attività dell’artista vada collocata nel polo della creazione). Dal creatore al creativo Quel che vale per le teorie dell’arte diventa però meno chiaro nel linguaggio comune: in termini come “creatività” e “creativo” continua a risuonare un riferimento, altissimo, alla creazione del mondo. Qualcosa del genere avviene anche con la parola “artista”: egli non è solamente una persona alle cui opere si dedicano esposizioni o musei, né soltanto colui che si limita ad esporre le proprie opere sulle bancarelle delle fiere popolari. Artista è anche l’imbianchino che oltre a verniciare le pareti ci mette qualcosa di suo à è questo il luogo in cui la creatività si manifesta maggiormente e anzi, pare essere più opportuno chiamare “artista” lui, che non l’artista della prima accezione. Assegnare personalità del mondo dell’arte alla categoria “creativi” suona come una deminutio (perdita di prestigio e autorità). Arte in senso stretto La prima definizione data dal vocabolario ad “artista” rimanda alla parola “arte” à è il modo in cui i vocabolari generalisti trattano le parole di uso e significato più ampi: non cercano di dare definizioni chiare ma rimangono sul vago. Per il caso dell’arte si parla tradizionalmente di creazione vera e propria: per critico e teorico della letteratura George Steiner la Creazione Assoluta, e “generica”, fu quella divina. L’artista però è in grado di edificare un nuovo mondo e la sua azione sarà assolutamente priva di finalità à “L’opera d’arte porta in sé lo scandalo della sua casualità. […] La sua necessità non risponde ad alcuna logica”. Quella di Steiner è la concezione dell’artista come demiurgo, come figura metafisica di un Artefice capace di dare forma alla materia sul mondo della realtà ideale. L’artista può arrivare a vedere se stesso come Creatore. Il genio e il tempo trasceso Nella figura del demiurgo si specchia quella dell’artista, quando la consideriamo in rapporto all’opera che produce. Quando, invece, lo si mette in rapporto non con la propria opera ma con gli altri esseri umani l’artista è il “genio”. Infatti, per com’è concepita tradizionalmente, l’arte non è a disposizione di tutti. Ci sono state, infatti, prese di posizione schiettamente elitarie, fino ad arrivare alla professione di gnosticismo operata dall’autore Harold Bloom, uno dei maggiori critici della letteratura del secondo Novecento. 8 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi La gnosi è la conoscenza e la salvezza spirituale riservata a pochi eletti di cui Bloom ne ha fatto una “religione della letteratura”. Nella sua opera intitolata “Il Genio” sostiene che chi non è un genio, per quanto possa essere colto, nell’opera di un genio può arrivare ad apprezzarne soltanto l’inarrivabilità del genio stesso perché ogni singolo genio è inconoscibile: invoca il trascendente e lo straordinario e supera il più elevato grado di coscienza che l’uomo possa mai essere in grado di raggiungere senza di lui. Ogni “spirito creativo” ha la capacità di modellare le coscienze altrui. Il genio trascende il tempo storico in cui vive: per spiegare questo Bloom si avvale di un argomento che considera che à alla fine del Duecento, sebbene molte figure abbiano avuto la stessa educazione ed esperienze, soltanto Dante tra tutte ha scritto la Divina Commedia: questa fuoriuscita, ad elevazione, ripropone la visione del genio come essere atemporale che comunica con la sfera dell’universale. Arte come eccellenza Non c’è attività in cui non sia possibile che qualcuno che vi si esprima a livelli massimi di eccellenza venga proclamato “artista”. Un caso davvero particolare è quello delle arti funamboliche, acrobatiche, circensi, la cui caratteristica comune è quella di esibire una destrezza nei movimenti e nel corpo e nella manipolazione degli oggetti che è priva di qualsiasi altro contenuto: costituisce di per sé un’attrazione per il pubblico à è vera e propria art pour l’art. Allo stesso modo anche il nostro linguaggio, a un livello comune e non specialistico, usa le stesse parole per indicare sia personalità come Picasso che figure come mangiatori di fuoco à si tratta di un caso di omonimia (due parole aventi significato diverso ma suono e grafia uguali) o polisemia (facoltà di una parola di avere più significati). Per una semiotica della creatività una tale ambiguità significa che due o più significati della stessa parola possono essere considerati come semplicemente distinti oppure come duo o più tappe di una trasformazione. Idee e tecniche d’arte Leonardo da Vinci parlava separatamente della perfezione dell’idea dell’artista e dell’esecuzione affidata alle sue mani: nell’artista si realizza una combinazione di genialità ideativa e sapienza tecnica. In ogni magistero l’avere cose da dire deve coniugarsi con il sapere come dirle e il magistero artistico è quello in cui i due aspetti sono coniugati in modo talmente stretto da risultare inseparabili. L’aspetto ideativo del fare artistico è quello che attiene all’ispirazione e quindi alla comunicazione con la sfera immateriale – metafisica o inconscia. Nel discorso della creatività in ambito artistico (estetica, psicoanalisi, semiotica) la nozione di “creatività” si avvicina a quella di “creazione”, sia nel suo senso più assoluto ed esclusivo (Steiner e Bloom), sia nel suo senso più laico di elaborazione di universi inediti di senso (Guercio). Nei fattori tecnici ed esecutivi dell’arte (semiotica, poetica, retorica), invece, la creatività non ha più nulla di trascendentale o di universale e “alto”: diventa al contrario la capacità di operare degli artifici espressivi. Il discorso della creatività va da quello che potremmo chiamare “problem solving d’artista” sino alla ricerca del virtuosismo: ruota intono al tema dell’efficacia espressiva. Poetiche e biografie d’artista Si chiama “poetica” la riflessione che un artista fa sulla propria attività ed esprime nelle sue stesse opere. Si chiama, invece, “estetica” la riflessione filosofica sull’arte. Le dichiarazioni di poetica rispondono perlopiù a una domanda implicita sulla “creatività” dell’artista e invadono, oggi, la scena comunicativa: la parola viene data all’artista specialmente perché parli della propria opera, dei principi, delle procedure che la precedono e la seguono. Questo tipo di discorso però appartiene all’ambito mediale: è ciò che i mass media salva e riproduce nel discorso critico ed estetico appiattendo così il discorso mediale a proposito dell’arte che viene ridotta ad un fatto di mera “cratività”. 9 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi Retorica e comunicazione efficace Sia l’opera che l’artista devono porsi problemi di efficacia espressiva. Le tecniche con cui l’idea artistica viene realizzata sono di per sé modalità semiotiche di espressione, obbediscono quindi a canoni, li innovano o ne sperimentano dei nuovi. Il momento in cui l’artista “fa comunicazione” per presentare il suo lavoro al pubblico rientra, invece, nell’ambito della persuasione e dunque della retorica: il grande e vasto cumulo di tecniche e “figure” del discorso a disposizione degli oratori e in generale dei comunicatori. Di una retorica contemporanea fa parte lo storytelling, cioè la messa in forma narrativa dei contenuti, ma anche questo rientra nell’ambito mediale del discorso della creatività perché la creatività di un individuo è tra i contenuti ideali per lo storytelling mediale: si tratta di storie esemplari che appassionano maggiormente lo spettatore à ciò è dato dal fatto che attraversano tutta la piramide collegando l’ambito superiore – artistico-estetico – con quello inferiore – mediale. Funzione simbolica Il discorso della creatività nell’ambito estetico è una funzione a carattere simbolico: la questione riguarda proprio la creazione del nuovo. I rapporti tra creazione divina e creazione artistica erano già stati definiti in parte da Dante quando scriveva che il divino “visibile parlare” non ha nulla di terreno e ce ne è esclusa ogni possibilità di produzione, ma nella nostra ansia di novità non possiamo trovarvi Dio poiché Dio è fuori dal tempo, non c’è novità nel suo eterno presento. Al contrario noi esseri umani siamo nel tempo e ci è permesso perseguire la novità. L’ambito artistico è quello in cui la creatività attribuisce a esseri umani la facoltà divina di far essere ciò che non è: l’artista crea mondi diventando egli stesso immagine simbolica del dio creatore. Allo stesso modo anche la figura dell’uomo comune può acquisire uno status simbolico d’artista quando mostra abilità e maestria in un’attività. L’ambito artistico occupa la sezione superiore della piramide, si pone in rapporto con ciò che sovrasta la piramide – sfera sovrumana e metafisica – ed è anche traguardo a cui puntano le tensioni ascensionali degli ambiti inferiori. Dunque à la funzione simbolica del discorso estetico della creatività è il principale principio di attraversamento ascensionale (e discensionale) dei livelli della piramide. 05. LA CREATIVITÀ IN AMBITO CONOSCITIVO Conoscere Il nucleo della creatività non è soltanto legato alla sfera dell’attività, ma sembrerebbe cominciare dall’osservazione. Sapere perché Umberto Eco ha elencato le cinque esigenze insopprimibili dell’essere umano, bisogni che esistono esclusivamente nel momento in cui c’è vita e l’istinto stesso della vita di preservare se stessa. 1. alimentarsi; è comune a tutte le specie viventi, animali e vegetali, che ricavano il proprio sostentamento dall’ambiente 2. riposare; è comune a tutte le specie viventi capaci di movimento autonomo 3. amare (o avere una vita affettiva); è comune alle specie animali che hanno attività sociali 4. giocare; è rintracciabile in varie specie animali 5. “chiedersi perché”; è possibilità e abitudine propria della specie umana perché la conoscenza è un tratto distintivo della condizione umana à l’essere umano si trova in una condizione di sapere che nella logica della semiotica si descriverebbe come un “poter sapere”. Il fatto di sapere non è accidentale, non capita, perché possiamo articolare il sapere in “voler o non voler sapere” e il “dover o non dover sapere” à dunque il sapere non è un’esperienza passiva. 10 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi Allo stesso modo, però, non si tratta nemmeno di un atteggiamento speculativo perché – seppur esista un “io” che riconosce l’esistenza di un qualcosa e si domanda “perché” al fine di porre un fondamento a ciò che esiste – ciò richiede comunque un’attività interpretativa della realtà più o meno efficace o condivisa. Inoltre, la domanda di sapere riguarda anche le alternative possibili all’esistenza: chiedersi “perché no” implica un atteggiamento progettuale, quindi non passivo à anche conoscere è dunque in sé una possibile forma di creatività. La percezione del mondo La conoscenza del mondo può fondarsi su una precedente assunzione di dati messa in atto attraverso i sensi (vista, udito, gusto, olfatto, tatto). È però ingannevole pensare che il soggetto percepisca la realtà così com’è in maniera passiva; infatti l’essere umano seleziona ciò che viene percepito perché l’”immagine” della realtà che ci viene restituita attraverso gli organi di senso è di per sé un’elaborazione. L’antropologo David Le Breton afferma che “le percezioni sensoriali sono la proiezione dei significati sul mondo: sono un pensiero in atto sull’interrotto flusso sensoriale in cui l’uomo è immerso. […] I sensi non sono “finestre” sul mondo, bensì filtri che trattengono ciò che l’individuo ha imparato a mettervi o ciò che egli cerca di identificare”. Sensorialità astratta ( o dei sensi estesi ) La percezione del mondo implica già forme culturali di interpretazione. Esiste però un livello diverso che potremmo definire “sensorialità astratta”: nella nostra cultura e nella nostra lingua ogni senso conosce un suo doppio immateriale, un’estensione mentale che ha un ruolo fondamentale nella genesi della creatività, che può prendere avvio proprio da una percezione del mondo più profonda. Olfatto (fiuto) La lingua italiana affianca all’olfatto il fiuto. “Fiuto” può essere usato come sinonimo di “olfatto”, ma viene più comunemente usato in riferimento agli animali. L’olfatto ci fa percepire l’odore di ciò che c’è o c’è stato, mentre il fiuto è la capacità di percepire l’odore di ciò che non c’è mai stato o che non c’è ancora (es. il “fiuto” della notizia è per un giornalista la capacità quasi sovrannaturale di essere dove sta per succedere qualcosa; il fiuto inteso come suo corrispondente astratto è il senso degli investigatori, dei talent scout, dei ricercatori in generale). Vista (visione) La vista è il senso. La visione è il processo percettivo che coinvolge la vista ma in senso esteso la visione è anche la percezione visiva di eventi ed immagini che, pur non essendo in sé reali, traggono origine dalla realtà e possono diventare reali. Anche qui abbiamo la percezione di ciò che non c’è ma nel caso dell’immagine visiva questa accezione ci rimanda immediatamente al sovrannaturale, ad una sfera umana più direttamente a contatto con il divino. La visione si sviluppa però anche in ambiti del tutto terreni, come: § l’imprenditoria; qui la “vision” è la capacità di intuire gli scenari futuri § lo sport; qui la “visione di gioco” è sia capacità di controllare un ampio orizzonte del campo, sia capacità di “vedere” in anticipo le mosse dei compagni e degli avversari. La “visione” come senso esteso della vista ha però anche un corrispettivo minore che è l’”occhio”: “avere occhio” significa saper intuire ed individuare velocemente i punti critici di una situazione. Udito (orecchio) La percezione materiale degli stimoli visivi e uditivi viene nominata con sostantivi astratti quali “vista” e “udito”, mentre gli stimoli “visivi” e “uditivi” in termini di sensorialità astratta sono invece nominati coi nomi anatomici degli organi di senso. Come per la vista, anche per l’udito la variante astratta è la metonimia dell’”orecchio”. 11 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi Così come “avere occhio” infatti si dice anche “avere orecchio”: sono usi enfatici, da intendere come potenzialità supplementari rispetto alla normalità. È importante però sottolineare che con “avere orecchio” si intende soprattutto una competenza che ha a che fare con la musica à chiunque sia dotato di udito ascolta musica; chi “ha orecchio” però la sente in modo più analitico. In senso più tecnico: Ø l’”orecchio relativo” è la capacità di stabilire con esattezza l’intervallo fra due note Ø l’”orecchio assoluto” è la capacità di stabilire esattamente l’altezza di una nota Ø “a orecchio” significa suonare senza spartito (capacità intuitiva contro studio accademico). Gusto (gusto) Nel caso del gusto, la parola rimane la medesima ma l’accezione letterale di “gusto” si applica soltanto ai cibi e alle sostanze in generale assunte per via orale, mentre nell’accezione estesa il gusto è un fattore di eleganza. Il gusto estetico è la capacità di stabilire quasi oggettivamente la qualità di qualcosa ed è dunque il presupposto di ogni forma di stile à è una “metaqualità”: la qualità di saper riconoscere la qualità. Tatto (tatto) Anche con il tatto abbiamo diversa accezione della stessa parola: nell’accezione propria il tatto è il senso più materiale, mentre come senso esteso il tatto è la qualità che ci fa intuire quale sia il modo migliore di interagire con l’interlocutore. È una qualità dei diplomatici, dei persuasori, di coloro che conducono trattative. Sensorialità, sensibilità Abbiamo così ottenuto una sorta di tavola delle corrispondenze fra le relazioni materiali e quelle astratte, fra la percezione di ciò che c’è e di ciò che non c’è. Riassumendo: il fiuto è il senso per l’incognito, ciò che non c’è e non si vede la visione è paradossalmente il senso visivo per l’invisibile l’orecchio è il senso analitico, dell’esattezza e dell’approssimazione il gusto è il senso dell’eleganza il tatto è il senso per la relazione, nei confronti degli altri Con l’insieme dei cinque sensi estesi si compie dunque il passaggio dalla sensorialità (concreta) alla sensibilità (astratta) che è il presupposto della creatività: quando si parla di creatività, infatti, tutti i termini percettivi vengono separati dal mondo fisico e applicati al mondo immateriale delle idee à la creatività è volta a qualcosa che non c’è ancora o è latente. Funzione intellettiva della creatività Nell’ambito artistico il discorso della creatività parla di come dare corpo a un’intuizione astratta ed è per questo che si tratta di “funzione simbolica” à la creatività artistica è anche la capacità di rappresentare ciò che non si può comprendere razionalmente. La conoscenza riflette direttamente sulla creatività come componente irriducibile dell’intelligenza umana: l’ambito conoscitivo è ineffabile (non si lascia né catturare né dire) perché è l’oggetto di quel bisogno umano che è il “chiedersi perché”. In ambito conoscitivo, la creatività interviene come capacità di costruire nuovi nessi; svolge, dunque, funzione intellettiva; è elaborazione a livello superiore di dati restituiti dalla percezione sensoriale sia materiale che astratta. Le discipline di riferimento per questo ambito sono la gnoseologia o teoretica (teoria della conoscenza), l’epistemologia (la storia della scienza) e più in generale le scienze cognitive. 12 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi Creatività e storia della scienza In qualsiasi campo scientifico ogni affermazione è anche la negazione di un’affermazione precedente e il salto necessario per passare da una teoria consolidata ad una nuova teoria richiede quell’insieme di abilità e disinibizione mentale che può essere denominato “creatività”. Ma di una materia scientifica viene insegnato ciò che in quel momento si ritiene ovvio di un’esposizione impersonale: cioè l’opposto del suo lato creativo. Creatività e banalità, infatti, si oppongono idealmente ma nel flusso degli eventi non fanno che scambiarsi di posto. La formazione degli scienziati risulta essere così acritica e il suo contenuto tende negli anni a configurarsi come “ovvio” facendo dimenticare ai singoli di aver conseguito quelle “ovvietà” attraverso una formazione specifica. Si determina così una situazione in cui i non-scienziati ignorano quasi tutto di una disciplina mentre gli scienziati sanno della propria disciplina “tutto” in forma dogmatica e scontata, priva di creatività (che era servita per di più a costruire quella data forma). Creatività ad eleganza La scienza e il suo discorso si distinguono dagli altri perché sono “oggettivi” ma l’oggettività si forma come esito di dibattiti e contese quindi nella realtà dei fatti ampi margini di soggettività sono alla base di ogni forma di ricerca à nella conoscenza e nell’esplicazione dei fenomeni c’è un intervento originale, anche soggettivo, dell’intelletto. Così è possibile spiegare come persino nella matematica sia possibile parlare dell’”eleganza” di una dimostrazione. Il pensiero dell’analogia Hofstadter e Sander, due studiosi, hanno sostenuto la presenza dell’analogia in molti ambiti. Secondo i loro studi, è tramite il pensiero analogico che, ad esempio, acquisiamo una lingua e ci facciamo un’idea scientifica del mondo. Di fronte a una novità, infatti, cerchiamo una categoria a cui assegnarla (perché le categorie non sono né uniche né stabili) ma per riuscirsi è necessario indebolire i confini che definiscono tale categoria attraverso un processo di generalizzazione (es. un bambino che pensa alla propria mamma e comprende che una certa altra signora è la mamma di un altro bambino). Essi ritengono, dunque, che la logica sia l’organizzazione a posteriori dei materiali che la propensione analogica umana produce di continuo à ogni nuova categoria viene riconosciuta per analogia attraverso l’intelligenza, o pensiero, – ossia la capacità di costruire categorie per analogia. Analogia, creatività, logica Ø Il filosofo Enzo Melandri nel suo trattato “La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull’analogia” mette a diretto contatto il nonsenso dell’analogia e la norma e il rigore della logica che si svela essere altrettanto, se non di più, insensata. Ø Melandri, inoltre, si riferisce ad uno dei testi fondativi della mitologia della creatività “The Act of Creation” di Koestler, in cui analogia e creatività spesso si incrociano: il testo ci da la possibilità di determinare il concetto stesso di creatività in quanto assomiglia ai concetti che Melandri qualifica come “analogici” à per Melandri un concetto è analogico quando non se ne può definire il significato in maniera univoca e tantomeno si può dire che si tratti di una nozione equivoca (la cui interpretazione possa risultare vaga). In pratica Melandri parla di creatività a proposito del modo di affrontare le possibili contraddizioni à nella creatività uno degli argomenti più imbarazzanti è quello del suo rapporto con la logica. È possibile trovare logica nella creatività? Ragionamenti creativi La nozione di creatività ha dunque trovato spazio nell’ambito di una logica argomentativa e ciò è stato possibile grazie a Charles Sanders Peirce, che oggi consideriamo il fondatore della semiotica. Uno dei suoi contributi maggiori consiste nel superamento del dualismo tra ragionamento deduttivo e induttivo. 13 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi Deduzione La deduzione ha inizio con una regola già fissata di cui non dubitiamo (es. sappiamo che un sacco contiene dei fagioli bianchi. Creiamo un caso e decidiamo di estrarre i fagioli dal sacco à ne consegue che “questi fagioli provengono da questo sacco” e “questi fagioli sono bianchi”). Il procedimento eseguito si chiama sillogismo deduttivo è abbina il vantaggio di dare un risultato certo allo svantaggio di non aggiungere alcuna conoscenza. La deduzione è utile nei casi in cui regola e caso si combinano in maniera poco trasparente: rende così possibile ottenere risultati certi della loro correttezza. Induzione Nell’induzione si procede all’inverso: il punto di partenza è il risultato à “questi fagioli sono bianchi” viene correlato al caso per cui “questi fagioli provengono da questo sacco” e si ricava la regola che “tutti i fagioli che provengono da questo sacco sono bianchi”. Nell’induzione si ha il vantaggio di aggiungere qualcosa alla nostra conoscenza, ma solo in termini quantitativi (il passaggio da “alcuni fagioli sono bianchi” a “tutti i fagioli del sacco sono bianchi”); inoltre, possiede lo svantaggio di avere un risultato che non è mai sicuro (sino a che non avremo svuotato il sacco). L’induzione è il procedimento che si trova alla base di indagini quantitative di mercato o i sondaggi elettorali – quelli la cui veridicità viene appunto dimostrata o confutata attraverso lo svuotamento di quei “sacchi”. Abduzione Per Charles Sanders Peirce la logica della scoperta segue una terza via che non parte né da una regola né da un caso, ma dal risultato: l’abduzione. (“questi fagioli sono bianchi” à il risultato è la realtà con cui ci confrontiamo: questi sono fagioli e sono bianchi. Data la regola per cui “questo sacco contiene fagioli bianchi” l’inferenza – né deduttiva né induttiva – è quella che giunge al caso “questi fagioli provengono da questo sacco”). Ciò condente di rivedere la regola fino ad allora vigente e trovarne un’altra più adeguata: il processo di conoscenza implica quindi una conclusione che prende le funzioni di una spiegazione. Lo svantaggio è lo stesso dell’induzione: l’esito non è certo. Il vantaggio, invece, è quello di apportare un aumento di conoscenza non di tipo quantitativo ma qualitativo. In realtà, nella deduzione non c’è alcuna forma di ipotesi perché le premesse danno luogo ad una conclusione in maniera continua, senza salti; mentre nell’ipotesi bisogna reperire una regola di cui il risultato possa essere un caso. Abduzione e creatività Esistono diversi tipi di abduzione distinti per grado di arditezza dell’ipotesi. Il grado minimo di arditezza tende a zero ed è quello per cui pensiamo che sia normale che dei fagioli siano bianchi, esseno il bianco un colore da fagiolo, ma se ipotizzassimo che i fagioli fossero blu si tratterebbe di un abduzione creativa. Questo tipo di abduzione pone una regola fortemente contro-intuitiva: si tratta di ipotesi che in filologia si fanno per lectio difficilior à ad esempio, nello studio da parte di critici di un testo antico svolto su due codici manoscritti può esserci un punto del testo in cui i due codici riportino una parola diversa: è normale che una sia la più probabile (la lectio facilior) e una la meno probabile (la lectio difficilior), come dire abduzione piana e abduzione creativa. La filologia è tenuta a privilegiare la lectio difficilior perché di fronte a certi fenomeni la spiegazione scientifica deve scartare ipotesi semplici e riduttive per elaborarne di più improbabili: la razionalità scientifica deve all’abduzione creativa il grande merito delle rivoluzioni scientifiche à nell’ambito scientifico conoscitivo la creatività è la capacità di formulare abduzioni ardite e anche di intuire quando serva formularle. Gli artifici dell’intelligenza Si è iniziato a parlare di Intelligenza Artificiale negli stessi anni cinquanta del Novecento in cui il concetto di creatività ha cominciato a diffondersi. Per arrivare a produrre dell’Intelligenza Artificiale occorre avere un modello “forte” dell’intelligenza umana. Due elementi che sono risultati non riproducibili artificialmente sono i concetti fluidi e le analogie creative. 14 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi La differenza tra un essere umano e un animale che compiano azioni ripetitive è che soltanto il primo nota questo circolo vizioso, ne comprende l’inutilità e salta fuori dallo schema. Una consapevolezza di questo tipo non si può riprodurre artificialmente. A un primo periodo dobbiamo l’invenzione di robot aspirapolvere che apprendevano la mappa di un appartamento; la ricerca successiva si è rivolta invece non ad una programmazione per istruzioni ma per esempi: sarebbe il passaggio da una modalità “grammaticale” (fondata su norme e codici) ad una di tipo “testuale” (basata su testi, consuetudini ed esempi tradizionali). Con il cosiddetto Machine Learning, l’Intelligenza Artificiale è riuscita a prosperare nella risoluzione di problemi in ambito però ben delimitato di generare testi ed immagini verosimili à ma si può chiamare questa cosa “creatività”? Qualsiasi intelligenza ha una sola possibile risposta alla domanda che dipende dalla definizione di creatività, ma in essa è intrinseco un tratto di “umanità”: il sospetto è dunque che chiedersi se una macchina possa essere creativa equivale a chiedersi se possa essere umana. 06. LA CREATIVITÀ IN AMBITO PRODUTTIVO I livelli superiori della piramide della creatività sono occupati dall’ambito artistico e dall’ambito conoscitivo. Le due facoltà riguardano l’espressione artistica e la conoscenza, nei cui confronti la creatività agisce rispettivamente come capacità di far essere (qualcosa che prima non era) e di pensare (qualcosa che non era mai stato pensato). Sul livello inferiore al conoscitivo troviamo, invece, l’innovazione produttiva: non si svolge su un livello simbolico ma al contrario si tratta di produzione di beni materiali, necessari alla sopravvivenza biologica e al benessere fisico. Cominciamo ad esplorare questo livello grazie a una case history del 2020. Maschere e makers. Una case history Martedì, 24 Marzo 2020, Repubblica proponeva un articolo intitolato “Brescia, il miracolo in 3D / la maschera da sub salva vita”. Il contesto era quello iniziale della pandemia dovuta al cosiddetto “coronavirus” in cui la diffusione era ancora localizzata soprattutto nell’Italia del Nord. Leggiamo l’articolo riga per riga: Si chiama Charlotte. È una maschera da snorkeling IL NOME DELLA COSA – si tratta di un oggetto comune che ha però un nome proprio: possiamo parlare di autonomasia à la figura tramite cui si regolano i passaggi da nomi comuni a nomi propri e viceversa. [È una maschera da snorkeling] di quelle che coprono tutto il viso per guardare meglio i pesci. Ma è stata modificata per farne una maschera respiratoria, di quelle che in queste ore possono fare la differenza tra la vita e la morte negli ospedali. CAMBIAMENTI – questo passaggio da nome comune a nome proprio è avvenuto in seguito ad una trasformazione evidenziata da un parallelismo sintattico à “una maschera […] di quelle che […]”: l’oggetto ha cambiato natura della sua identità e della sua funzione; come identità è passato dal generico all’individuato (dal nome comune al nome proprio), come funzione è passato da passatempo a dispositivo medico. È stata modificata con pezzi stampati in 3D in base ad un progetto fatto al volo. DIGITALE – qui, con il termine 3D, si intende un termine tecnico che allude unicamente alle tre dimensioni specifiche degli oggetti prodotti e quindi “stampati” a partire da modelli digitali. La maschera Charlotte, dunque, si caratterizza anche per il suo processo di produzione: è il risultato di una modifica ottenuta via digitale e in modo rapido ed improvviso. È andata così. Brescia, un paio di giorni fa. Un ex primario, Renato Favero, ha l’idea. Si rivolge a un suo concittadino, Cristian Fracassi, 36 anni, ingegnere, imprenditore, ma se gli chiedi che lavoro fa ti dice “l’inventore”. STORYTELLING – l’articolo passa al genere narrativo e inizia con un mandato, un ex primario, quindi una persona competente, che si rivolge ad una persona attiva, a sua volta competente tre volte: per materia, in quanto “ingegnere”, per mentalità e mezzi, in quanto “imprenditore”, per una dote di spirito e ingegno, in quanto 15 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi “inventore”. Il suo ruolo non è quello di un aiutante, ma di un protagonista attivo che riceve pieno mandato. [… ti dice “un inventore”]. Tecnicamente, un maker, ovvero [sottinteso: qualcuno] che usa il digitale per costruire quasi qualsiasi cosa. FARE – le tre competenze si riassumono in “maker” à “facitore”, soggetto modalizzato dal un “saper fare”. Persone dalle competenze ampie e che oggi in particolare sono capacità di incrociare digitale e artigianato più tradizionale. Spesso, inoltre, le loro soluzioni sono ispirate sia allo “sharing” (modelli di creatività condivisa e co- creazione), sia all’autoproduzione. In quei giorni i giornali di mezzo mondo parlano della sua impresa. FLASHBACK – come in fantasy, il maker ha già compiuto un “impresa” grazie alla quale il suo mandante ha deciso di rivolgersi a lui. Qui la narrazione arretra, l’intreccio si sposta al segmento precedente della fabula. Nell’ospedale di Brescia erano finite le valvole respiratorie e la ditta che le produceva non era in grado di soddisfare la domanda. Il giornale di Brescia contatta Francassi. La valvola viene analizzata secondo un progetto di ingegneria al contrario, per capire come è stata realizzata e quelle istruzioni vengono date ad una stampante 3D che la produce. Funziona. […] hanno realizzato per un dollaro una valvola che sul mercato ne costa mille. L’IMPRESA – viene narrato un oggetto prezioso divenuto introvabile e un maker che lo deve produrre. Sull’asse temporale si alternano l’invenzione settecentesca (il lungo tempo della tradizione) e la sua reinvenzione contemporanea (il tempo succinto dell’emergenza odierna). Sul procedimento impiegato, cioè sul tipo di creatività messa in atto, va sottolineata l’importanza dell’”ingegneria al contrario”, che parte dal prodotto finito per risalire al modo di produrlo. Infine, notiamo che la reinvenzione “al contrario” di Fracassi non solo risolve il problema ma oltretutto permette un risparmio. È in quel momento che l’ex primario lo chiama à IL SECONDO MANDATO – esaurito il flashback si torna al presente. COMPETENZE E AIUTANTI – secondo lo schema narrativo canonico alla fase del mandato subentra quella dell’acquisizione della competenza (“mi ha fatto una lezione di medicina” mi dirà Fracassi dopo) che implica la mobilitazione di aiutanti e l’attivazione di programmi narrativi d’uso: il primo si impone sul piano cognitivo (il maker deve sapere qualcosa); il secondo si pone sul piano pragmatico (occorre reperire il materiale adatto ad una trasformazione). Questa volta non si tratta di copiare una cosa che c’è: si tratta di inventarne una che non esiste. Ci riescono, la portano negli ospedali per testarla. E funziona, dannazione, funziona di nuovo. LA PERFORMANCE – dopo il mandato e la competenza arriva la performanza sulla quale l’articolo non si dilunga ma richiama la differenza con la performance precedente e poi si limita a dire “ci riescono”. Il maker ha dato ancora prova di sé e l’articolista lo annuncia con solennità. Importante è anche il fatto che nel creativo convivono l’eccellenza e la ripetizione, l’aspetto puntuale della performance inedita e l’aspetto iterativo (contenente o indicante una ripetizione) dell’inclinazione a produrre l’inedito: la scintilla dell’idea è unica ma il creativo ne produce in serie. Infine, lo schema narrativo canonico si conclude con una sanzione costituita qui dal riordino di nuove maschere da trasformare. STORYTELLING/ 2 – l’azione è ora finita ma non lo è la narrazione: abbiamo anche una sanzione esteriore, proveniente dall’autore: l’articolo attribuisce il suo racconto al genere della favola che si oppone alla tragedia e fa ritrovare all’Italia dell’emergenza la capacità di inventare e dunque, nei nostri termini, la creatività. DIFFUSIONE – la creatività è effusiva di sé e questa effusività nel campo del digitale prende il nome di “condivisione”: così storie analoghe si ripetono in tutto il mondo. COPYRITGH VS COPYLEFT – la prima impresa di Fracassi ha violato un brevetto ma la situazione d’emergenza ha fatto superare anche quest’ultimo ostacolo. Il finale della storia è questo: visto che la maschera modificata funzione, Fracassi e Favero hanno deciso di brevettare d’urgenza la valvola di raccordo. Il brevetto rimarrà ad uso libero in modo che tutti possano servirsene. 16 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi Applausi. APPLAUSI – l’articolo è una rappresentazione e il presentatore evoca e così sollecita l’applauso del pubblico. Prima però ricapitola i punti salienti della storia: la valvola della prima impresa era un brevetto; la maschera è invece un’invenzione del mandante Favero e del soggetto Fracassi. I due decidono dunque di brevettarla non al fine di trarne vantaggio economico ma al fine di impedire di trarlo a chiunque altro. La creatività del tecnologo Dunque l’articolo che abbiamo letto tiene traccia delle tappe che scandiscono il processo creativo, manifestando così alcuni caratteri tipici della creatività: il carattere effusivo, per cui la creatività si rigenera per emulazione contagiosa; il carattere di affabulazione, per cui la creatività si manifesta come mito, racconto. La creatività risulta quindi essere come un apporto apparentemente magico che: I. riesce a trasformare lo strumento ludico (disimpegnato) in operatore salvifico II. moltiplica le risorse che stanno per esaurirsi e le trasforma in sovrabbondanza III. attua l’idea nell’istante in cui la formula, grazie al digitale IV. all’etica del soccorso abbina l’etica della condivisione delle risorse. Ciò è la dimostrazione della funzione che il discorso della creatività svolge in ambito produttivo e tecnologico: una funzione economica à se la ricaduta economica non è desiderata (dunque non si vuole trarre profitti da una data applicazione) allora occorre agire, per neutralizzarla prima che qualcuno se ne appropri. L’innovazione e il valore delle idee A introdurre il fattore dell’innovazione nel discorso economico è stato per primo l’austriaco Joseph A. Schumpeter che nella sua “Teoria dello sviluppo economico” vedeva l’innovazione come il fattore che consente la “valorizzazione economica di un elemento di novità che può derivare – ma non necessariamente – da scoperte e invenzioni”. La funzione economica del discorso della creatività in ambito tecnologico e più in generale in ambito produttivo è dunque evidente: se l’innovazione è un fattore di valorizzazione economica, la creatività è un fattore di innovazione. La prospettiva però è ancora più ampia: va, infatti, considerato che nelle società avanzate la ricchezza nazionale non consiste più di beni prevalentemente materiali à i colossi dell’economia sono ormai Google, Amazon, Facebook; i loro rispettivi business avvengono per la maggior parte in una sfera immateriale e la loro ricchezza è data per lo più dalle idee. Come aggiunge Camilla Barone, ci sono almeno altri due tipi di ricchezza immateriale pertinenti al discorso della creatività: Ø il primo tipo è costituito dalle idee generate dagli utenti sotto forma di contenuti che Google o Facebook semplicemente intermediano à in questo senso siamo tutti co-autori dei prodotti che costituiscono questo nuovo tipo di capitale immateriale Ø il secondo ambito è rappresentato dalle start up; fenomeno immenso la cui modalità di valorizzare la creatività è ampiamente celebrata e glorificata da tutto il sistema. Di generazione in generazione Il discorso generazionale è diventato dominante in riferimento all’appartenenza delle persone a una generazione piuttosto che a un’altra. Ad esempio, essere nati a pochi anni di distanza si può ritenere un’indicazione di comunione di mentalità e intenti, cosa in realtà da non dare così per scontata. Oltretutto le generazioni umane venivano distinte convenzionalmente da un arco di venti o venticinque anni, mentre oggi se ne parla in termini molto più ravvicinati à si assiste ad una decelerazione biologica ma ad una fortissima accelerazione metaforica e concettuale. Oggi il parametro per distinguere le generazioni non è più dato dalla storia ma dalla tecnologia e dalla cultura di massa: una generazione di persone si costituisce in rapporto al livello tecnologico e ai consumi di intrattenimento che ha avuto a disposizione negli anni giovanili. Parlando di tecnologia, il discorso si è rovesciato e le “generazioni” oggi pertinenti sono proprio quelle dei dispositivi: oggi fa differenza essere nati nel mondo della tv in bianco e nero o in quello della telefonia mobile e ciò è dovuto ad una stratificazione sociale e in qualche modo interclassista. Se prima si parlava di gap generazionale, oggi 17 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi questo è facilmente riconducibile ad un gap tecnologico: oggi si ritiene che essere un “boomers” o “millennial” sia innanzitutto una differenza di mentalità, logica, linguaggio e modo di stare al mondo, tutto derivato dai propri consumi tecnologici. La creatività aggregata Le tecnologie software e hardware sono spesso di stimolo alla “creatività” dell’individuo: offrono loro dei format in cui sviluppare le proprie preferenze. Già come consumatore l’individuo viene sollecitato a costruire un percorso personale attraverso programmi e app che a loro volta lo stimolano a pubblicare contenuti multimediali. Dunque, si ritrova a compilare una propria autobiografia contenente non solo informazioni personali e dati sensibili ma anche interessi personali, ad esempio bibliografici e musicali à questa è la creatività “aggregata” e riservata volontariamente soprattutto nei social media: lo scopo industriale è quello di passare dal “profilo” alla “profilazione” con l’obiettivo di colpire e trovare altri individui simili grazie alle proprie preferenze. La creatività produttiva Nell’ambito tecnologico la creatività agisce innanzitutto, e soprattutto, a livello dell’ideazione e della produzione di dispositivi e applicazioni: si assiste infatti ad un “fanatismo” nei confronti di persone considerate al massimo della creatività possibile, per l’invenzione non solo di nuovi software e hardware, ma anche di nuovi modelli di business e di organizzazione aziendale. Alla base di questa “idolatria” c’è l’idea che un imprenditore abbia successo quando ha inventato, prodotto e promosso quello che non c’è e che il pubblico scopre di voler consumare. Steve Hungry, Steve Foolish Dopo la morte precoce del suo autore, il motto di Steve Jobs è stato ripetuto con insistenza: “stay hungry, stay foolish” del resto declina un’esortazione alla creatività in modo metaforico (“hungry”: fame di cibo, che sta per desiderio generico ma consumante e ingordo) e iperbolico (“foolish”: follia, che sta per smania pressoché irragionevole); ne rappresenta la condizione di desiderio e quella di realizzabilità, la fame e l’essere insensato per conseguire il massimo di “divergenza” nel pensiero. Il fatto che questo desiderio non esprima il suo oggetto è assai significativo in rapporto alla creatività, che è per sua natura interdisciplinare e generica à si avvicina cioè allo slancio vitale di Bergson, un principio di trasformazione che sarebbe comune a tutto ciò che si evolve. Il motto di Jobs non fa che presentare come consiglio paradossale e iperbolico la realtà più basilare e comune della condizione umana: la sua banalità. Un caso negativo: chi ha “ucciso” Steve Ballmer? Una case history invece sfortunata è stata quella di Steve Ballmer che nel 2013 ha rassegnato le dimissioni per Microsoft. Aveva già fatto rumore la reazione di Ballmer nei confronti del primo iPhone: si era detto scettico e sottolineandone i difetti ne aveva anche riso pubblicamente. Visti i risultati che iPhone ebbe poi sul mercato, l’episodio non giovò alla reputazione di Ballmer. Le parole con cui i media hanno dato la notizia dimostravano come la mitologia della creatività fosse da tempo penetrata nell’ambito della produzione tecnologica: il famoso mediologo, Derrick De Kerckhove, aveva dato a Ballmer dell’”impiegato senza fiuto e visione”. L’uso del termine “impiegato” richiama il termine perfettamente opposto di “creativo”; attivo l’uno, passivo l’altro. Quel che il mediologo rimprovera a Ballmer è essenzialmente mancanza di creatività: Jobs faceva spettacolo, era una sorta di rockstar; Ballmer non sapeva neppur far notizia. Il carattere informale, estemporaneo e mediato sono elementi che De Kerckhove considera collegati alla creatività: se davvero la creatività è una mitologia allora ispira dichiarazioni spontanee ed estemporanee, che risultano credibili e attendibili à il mediologo ha dato per presupposti principi che effettivamente sono condivisi per questo la vicenda di Ballmer ha ancora oggi una rilevanza non minore. Il tecnologico e il digitale Ai nostri tempi il settore digitale domina l’ambito tecnologico ma non lo esaurisce: 18 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi § nelle produzioni tecnologiche, come ingegneria, informatica e scienze delle telecomunicazioni, il discorso della creatività trova una realizzazione e anche una formula esplicita. Quando queste innovazioni tecnologiche non sono ibridate con il digitale, esse assorbono la creatività degli innovatori. § nel settore digitale invece la maggior parte delle innovazioni svolge essa stessa un discorso sulla creatività: creatività che stimola nei suoi utenti e che consente di esprimere. 07. LA CREATIVITÀ IN AMBITO MEDIALE La base della piramide Ricapitolando à nella piramide ideale: Ø l’ambito artistico occupa il livello superiore e considera il fare umano come un possibile analogo del creare divino Ø proseguendo con i livelli inferiori; l’ambito gnoseologico è quello in cui il discorso della creatività prende una funzione intellettiva e caratterizza il pensiero umano in rapporto con le intelligenze artificiali Ø l’ambito tecnologico è quello in cui la creatività si applica alla produzione industriale e quindi si manifesta come innovazione e valore economico Ø l’ambito mediale è infine quello in cui nella seconda metà del Novecento si è prodotta la mancanza di creatività. L’ambito mediale è la base della piramide, dove il discorso della creatività arriva al livello della strada. Il livello della base è quello più articolato: la creatività viene offerta al pubblico come una vera e propria mitologia che racconta a quello stesso pubblico le funzioni simboliche, intellettive ed economiche dei livelli superiori. La creatività dei media I media rivolgono il discorso della creatività innanzitutto a se stessi: giornalismo, pubblicistica, entertainment sono settori mediali in cui l’originalità della comunicazione è condizione necessaria al loro successo o funzionamento. La creatività mediale è a sua volta condizione dell’originalità e perciò i media devono parlare “in modo creativo”: nei media la creatività è un fattore di originalità, quindi di informazione; la creatività è ciò che sa far parlare di sé. Quando i media parlano in modo creativo, in termini semiotici si darà che questa è la creatività a livello dell’enunciazione. La creatività dei media come infotainment La mitologia originaria del giornalismo è del tutto “anti-creativa”: quello che il giornalismo dice di voler fare è riportare i fatti ai lettori. È invece il giornalismo degenerato a diffondere falsità, quindi a “creare” qualcosa che non c’è per deviare l’opinione pubblica. In termini semiotici diremo che il giornalismo non gioca un ruolo solo illocutivo (informativo), ma anche perlocutivo (persuasivo). L’illocuzione è l’atto che si compie con il linguaggio: il giornalismo che riporta i dati di una votazione parlamentare sta facendo informazione e informare è il suo atto illocutivo. Ma scegliendo su quali informazioni dare, quali mettere in evidenza e quali omettere compie un atto perlocutivo, cerca cioè di presentare la propria interpretazione dei fatti come oggettiva. Oggettività e neutralità non sono affatto equivalenti e implicite una nell’altra. La creatività interviene, dunque, in modo più massiccio se si considera che il linguaggio giornalistico ha anche funzione attrattiva e quindi importa modelli e forme espressive da settori come la pubblicità e l’entertainment: le strategie espressive per catturare l’attenzione vengono regolarmente rinnovate, sino a intaccare la funzione illocutiva à è la dimensione propria dell’infotainment, quella in cui è possibile che la notizia venga “creata” o omessa, in funzione dell’attrattività che può avere. Anche qui dunque si riscontra una certa ambiguità della creatività che può avere due effetti: § farcela respingere e considerare come un fattore di oggettiva degenerazione § aiutarci a prendere coscienza e diffidare dalle onestà proclamate, dalle oggettività e dalle enunciazioni assolute 19 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi La creatività nei media Oltre alla creatività intrinseca ai media, esiste un secondo discorso ed è quello che i media fanno a proposito della creatività, nei diversi settori di cui si occupano: di qualsiasi argomento i media si occupino, il punto di vista che adottano è quello che ne coglie l’evoluzione à permettono il racconto dei modi che ha la creatività di svilupparsi e innescano il processo effusivo della creatività. Questa è la creatività nei media: quella che i media raccontano. Quando i media parlano di fenomeni creativi in termini semiotici si ha la creatività a livello dell’enunciato. Articolazione dell’ambito mediale L’ambito della creatività enunciata, cioè quella che i media raccontano, si esplicita maggiormente all’interno di tre settori: la moda prêt-à-porter, la pubblicità e la scrittura creativa. L’AMBITO MEDIALE/ 1. LA MODA IL CONTROVALORE DELLA MODA – l’abbigliamento di moda comporta le connotazioni di lusso, esclusività, a volte eccentricità e sempre dispendiosità. I capi di moda costano di più, ma il controvalore che ne giustifica il costo non è un valore distintivo legato alla funzione: come mette in luce Ugo Volli, i beni di moda vanno incontro a un “consumo simbolico”, che non riguarda la loro materia ma la loro “aura” o, in termini semiotici, la loro “connotazione”. La differenza di prezzo fra abiti firmati e non firmati è notevole, ma si può considerare equivalente il loro valore funzionale. La qualità della materia prima e la tecnica di fabbricazione dei manufatti non sembrano essere elementi determinanti: infatti, non sempre un marchio prestigioso li garantisce effettivamente e molto spesso tali qualità si possono trovare anche a minor prezzo. LUSSO E STILE – le logiche paradossali del marketing e del branding permettono che proprio il prezzo superiore risulti in sé attraente, connotando il prodotto con un tratto distintivo di esclusività (dimensione del lusso). Il valore specifico della moda sta però nello stile: dai sarti di moda, che realizzavano abiti personalizzati e su misura, si è passati alle firme del prêt-à-porter, che hanno interpretato in modo personale la media del gusto corrente à ognuno si distingue per stile, per la sua cifra personale; in comune hanno il fatto di avere uno stile, perciò sono stati chiamati “stilisti”. MEDIAZIONI SUCCESSIVE – gli stilisti sono stati i creativi che negli anni Ottanta hanno avuto maggior successo, protagonisti del boom economico legato al “made in Italy”. Il loro nome riecheggia in quello di “stylist” che però è oggi una figura diversa: è l’aiutante che consente al soggetto di assemblare l’insieme eterogeneo di prodotti che più gli si addice. Altre figure sono gli influencer che oggi, grazie ai social network, hanno ricavato un’altra nicchia di intermediazione fra l’alto della “creazione” e il livello del singolo utente. Con l’influencer, la creatività nei media (enunciata) diventa una creatività del medium (enunciazionale): ad attirare non è più lo stile e l’originalità del singolo capo ma l’outfit esibito e le modalità di esibizione. STILE E CREATIVITÀ – stile e creatività non hanno in comune solo la loro ineffabilità e la conseguente difficoltà di definirli, ma condividono anche la transitività, cioè l’inclinazione a trasmettersi in forme che assomigliano a quelle di un contagio. Lo “stile” si effonde dal marchio del prodotto in diverse direzioni: ad esempio, connota di eleganza il luogo in cui è in vendita e la persona che lo sceglie. Il brand è il sigillo di un gusto che si è diffuso e condiviso da un grande numero di persone ma che mantiene connotazioni di esclusività e effusività: il marchio garantisce però una costante che è la creatività: la creatività non è lo stile à è la capacità di cambiare restando se stessi, di sorprendere mantenendo la propria identità stilistica. La creatività è quindi l’invariante capacità di variare il proprio stile, mantenendolo proprio. IL NOME – proprio per la caratteristica transitiva dello stile e della creatività, sul piano mitologico si attesta che ogni ideatore di un marchio abbia scelto i suoi collaboratori e creato filiere ideative e produttive secondo il proprio stile, il proprio gusto e il proprio spirito imprenditoriale; sebbene dal settore dell’abbigliamento un brand si possa essere spostato ad altri settori, ciò che non è mai cambiato è il nome-marchio: sintesi estrema di creatività. 20 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi L’AMBITO MEDIALE/ 2. LA PUBBLICITÀ la pubblicità ha direttamente nominato “creativi” gli addetti alla progettazione dei suoi prodotti. Come ha notato Ugo Volli, la macchina pubblicitaria deve cercare continuamente di rinnovarsi e dunque chi vi lavora è tanto più efficiente quanto più riesce a inventare messaggi nuovi. Questo comune impulso all’innovazione avvicina la pubblicità alla moda, le quali hanno in comune anche la dialettica che si instaura in entrambi fra le regole grammaticali (codici vestimentari per la moda, comunicazione televisiva per gli spot) e l’esigenza di forzarle, rompere gli schemi. Moda e pubblicità si sostengono a vicenda: la moda è tale anche perché è pubblica, la pubblicità è seducente e determina il gusto corrente à è anche tramite la pubblicità della moda e la moda della pubblicità che mitologia della creatività si è diffusa. LUCI DELLA CITTÀ – nel 1922 André Citroën fece stampare un volantino che invitava il popolo parigino a guardare il cielo nella data dell’inaugurazione del Salone dell’Auto e quella notte nel cielo un aereo disegnò la scritta Citroën. Tre anni dopo fece montare più di duecentomila lampadine sulla Torre Eiffel, in modo che su ognuno dei suoi quattro lati fossero leggibili le lettere del suo cognome. Citroën aveva capito due principi: che diffondere un’idea non è meno importante dell’averla avuta e che la metropoli dava l’opportunità di calamitare contemporaneamente una quantità di sguardi all’interno di uno spazio comune à la pubblicità era già entrata nel panorama urbano e anzi lo dominava. ADVERTISEMENT FOR THEMSELVES – la pubblicità presenta una caratteristica specifica che è la sua originaria mancanza di valore d’uso nei confronti delle persone cui è rivolta. La pubblicità conviene certo a chi la commissiona, la produce o la diffonde ma al suo pubblico no: essa è infatti spesso fastidiosa e di certo non necessaria à deve innanzitutto pubblicizzare se stessa quindi per essere percepita deve ampliare il suo messaggio con immagini vistose ed invadenti esposte in luoghi molto frequentati oppure grazie all’aiuto del sonoro. AVVINCERE – il primo messaggio della pubblicità non è quello di promuovere prodotti ma è quello di promuovere se stessa: è un messaggio autoriflessivo che vuole costringere o convincere il pubblico ad ascoltarlo. Al messaggio stesso sono necessarie particolari caratteristiche estetiche e seduttive che spingano a voler continuare ad ascoltarlo. Si parla dunque di “originaria mancanza di valore d’uso” à per ottenere e mantenere la nostra attenzione la pubblicità ha finito per investire non più il singolo messaggio pubblicitario ma la pubblicità stessa, che è diventata nel tempo un genere di intrattenimento in sé, acquisendo così un valore d’uso. CAROSELLO – la Rai impose un rigido format ai filmati pubblicitari: si costruì un vero e proprio programma intitolato “Carosello” che si componeva di una sequenza di filmati pubblicitari in cui il primo minuto e mezzo non poteva contenere riferimenti al prodotto à la pubblicità vera e propria poteva comparire solo nel segmento finale, detto “codino”. Si trattava effettivamente di pubblicità, però si presentava come un programma di intrattenimento: la trasmissione veniva infatti considerata come uno spettacolo, mentre la funzione di promozione commerciale appariva secondaria; oggi le due funzioni sono perlopiù sovrapposte e intrecciate. UN DISCORSO EFFICACE – in quello che normalmente si ritiene essere un fine unitario, ovvero farsi seguire, la pubblicità tenta di distogliere il suo pubblico dai consumi che sta compiendo per fargli seguire un nuovo discorso e fare in modo che se ne ricordi. Questo è possibile grazie al valore supplementare della pubblicità che consiste nell’efficacia espressiva: essa agisce sia sul piano dell’espressione (scelta dei testimonial, dell’ambientazione) sia sul piano del contenuto (parole del messaggio linguistico, dei colori, del montaggio). L’EFFICACIA ESPRESSIVA/ 1. IL MESSAGGIO INTENZIONATO – in uno spot pubblicitario non c’è dettaglio che non sia stato considerato con scrupolo: quando ogni dettaglio è effetto di uno studio, il testo non ha residui di significazione casuale e dispersiva ed è dunque al massimo della sua efficacia espressiva. L’EFFICACIA ESPRESSIVA/ 2. IL MARCHIO – la finalità a cui più tradizionalmente si è dedicata l’efficacia pubblicitaria è quella di imprimere nelle menti il nome del prodotto attraverso un condizionamento quasi ipnotico di persuasione: ciò ha lo scopo conferisce al nome del prodotto un’unità significante sempre a disposizione del consumatore, senza che sia necessario che lui stesso ne abbia consapevolezza. Abbiamo quindi una creatività intransitiva che resta dalla parte del soggetto che enuncia la pubblicità e non arriva mai a contagiarne il destinatario à qui la creatività produce passività e la sua efficacia è puramente subita dal consumatore: ne può uscire soltanto resistendo alla seduzione metapubblicitaria. 21 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi L’EFFICACIA DEL CONTENUTO/ IL COINVOLGIMENTO – l’alternativa consiste nel rendere la creatività pubblicitaria transitiva ed effusiva: ciò è possibile grazie allo storytelling, il quale permette alla pubblicità di passare da messaggio a narrazione à costruisce un mondo in cui il destinatario è invitato ad entrare. Un caso emblematico è quello della Mulino Bianco, i cui valori corrispondevano nel profondo a quelli già presenti nella società e venivano rappresentati non solo tramite la comunicazione pubblicitaria, ma già dal packaging, dal naming e dalla qualità stessa dei prodotti. Questo marchio è risultato superlativo anche sul piano metapubblicitario: è riuscito ha promuovere se stesso come primo e insuperabile esempio di storytelling globale. L’AMBITO MEDIALE/ 3. IL CREATIVE WRITING E LO STORYTELLING LA RETORICA DIVENTA CREATIVA – con “creative writing” si intende una moderata riflessione tecnica accompagnata da attività laboratoriali e sperimentali sulle forme di narrazione. Si tratta di un’evoluzione delle antiche scuole di retoriche e vi sopravvivono oggi solidissimi fondamenti à uno dei più importanti è la partizione della preparazione di un discorso in cinque fasi (di cui oggi solo tre perlopiù si menzionano): I. inventio; la selezione degli argomenti II. dispositio; la loro messa in sequenza secondo una logica discorsiva III. elocutio; la loro manifestazione in forma di espressioni – la retorica antica prevedeva anche altre due fasi: IV. actio (o recitatio); l’esecuzione del discorso con voce e gesti V. memoria; l’immagazzinamento mnemonico Anche queste due ultime fasi sono di attualissima pertinenza: l’actio comprende tutti gli accorgimenti con cui si predispone il corpo a presentarsi al pubblico; la memoria comprende tutti i device, cioè le memorie artificiali tecnologiche, che forniscono supporto all’oratore. DALLA RETORICA ALLA SEMIOTICA – la retorica però non va intesa come disciplina scolastica o semplice strumento applicativo per le scuole di public speech. I suoi periodi di fioritura sono stati l’antichità greca e latina, il Medioevo, l’epoca manieristico-barocca e l’epoca post-moderna. Nei periodi intermedi essa era caduta ciclicamente in disgrazia, era stata trascurata: si è difatti depositata nel lessico un’accezione spregiativa dello stesso nome “retorica”. Solo nella seconda metà del XX secolo la si è riscoperta come potente strumento analitico: come forma di “retorica del racconto” si è sviluppata una disciplina a orientamento semiotico denominata “narratologia” che, soprattutto tramite l’opera di Greimas, ha trovato nella narrativa il “principio organizzatore di ogni discorso” à la narrativa è solo una delle forme in cui si realizza la narratività. GLI EQUIVOCI DELLO STORYTELLING Ø il primo equivoco legato allo storytelling è che la parola ha due significati: il primo è quello originale, traducibile come “narrazione in atto”; il secondo consiste nel metodo di presentare “in forma narrativa e suggestiva” qualsiasi tipo di contenuto. La mitologia investe questo secondo significato, cioè quello in cui lo storytelling non è solo un insieme di norme, ma è anche una strategia comunicativa. Ø Il secondo equivoco è rappresentato dall’aggettivo che completa la definizione di “storytelling” come “forma narrativa e suggestiva”. Suggestivo deriva da “suggerire” e allarga uno specialistico uso giuridico inglese, per cui suggestive è la domanda che l’avvocato fa a un testimone in modo che contenga già un’indicazione per la risposta. Questi due equivoci fanno sì che le possibili definizioni di storytelling diventino ben quattro: 1) STORYTELLING COME ATTO DI NARRARE. Quando si fa storytelling nel primo senso del vocabolario, cioè narrazione in atto, si sta dando a una materia grezza (le cose che abbiamo da dire) una “forma narrativa”. La forma narrativa prevede una disposizione della materia secondo un ordine temporale, che segua dunque uno sviluppo cronologico e una rappresentazione in termini non astratti ma figurati, che facciano dunque riferimento a figure del mondo à l’accezione di base dello storytelling corrisponde al puro e semplice dare forma di racconto a ciò che si ha da dire. 22 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi 2) STORYTELLING COME STRATEGIA RETORICA. Da sempre l’umanità ha dato forma di racconto a quanto aveva da dire: lo storytelling contemporaneo inteso come strategia è quindi solo una specie di presa di coscienza dell’efficacia della forma narrativa come strategia di persuasione attraverso il coinvolgimento à si tratta di fare qualcosa che gli uomini hanno sempre fatto e non hanno mai smesso di fare. 3) STORYTELLING COME TESTO. Chi sceglie lo storytelling come forma e come strategia finisce per produrre testi: in un servizio giornalistico, ad esempio, l’articolo di cronaca sarebbe dunque uno storytelling; tabelle riassuntive dei dati esposti sarebbero invece la parte informativa ma astratta del resoconto. 4) STORYTELLING COME SUGGESTIONE. Come la parola “creatività” o “creativo”, anche la parola “storytelling” ha usi che implicano una parzialità subdola e suggestiva. Queste parole vengono infatti utilizzate per marcare qualcosa in senso ingannevole e parziale: nel tenere distinte le accezioni neutre di queste parole non dobbiamo dimenticare la sistematicità con cui si presenta il possibile equivoco. GLI OPPOSTI DELLO STORYTELLING – l’opposto dello “storytelling” è la trattazione astratta dello storytelling quando esso è: s atto di narrare s strategia espositiva s testo che ne viene prodotto Per quanto riguarda l’accezione di storytelling come “suggestione” (cioè qualcosa di parziale), in questo caso l’opposto dello storytelling sarebbe il racconto neutrale (e non parziale). NEUTRALITÀ DELLE STORIE – raccontare in modo neutro e senza punti di vista è uno dei punti fondamentali su cui è stata fondata la semiotica: parlare di oggettività nel caso di un testo può solo riferirsi a ciò che nel testo oggettivamente è. Il “punto di vista” non è l’essere schierato con una parte in causa, ma è la prospettiva scelta dall’enunciatore, è il criterio che fa scegliere tempi, spazi, temi e modalità espressive. La neutralizzazione del punto di vista è un’operazione che dipende da una decisione strategica: presentare un punto di vista come oggettivo è racconto – storytelling – tanto quanto lo è narrare come vero qualcosa che non è veramente accaduto. ANALOGHI DELLO STORYTELLING – a volte la parola “storytelling” viene utilizzata con lo stesso significato di “spinning” o “fake news”, ma sarebbe scorretto affermare che lo storytelling sia una narrazione parziale rispetto a una possibile narrazione oggettiva e neutra. Ø lo spinning è l’interpretazione di parte, presentata come oggettiva, di un dato di fatto Ø la fake news è l’invenzione di quello che viene presentato come dato di fatto oggettivo Ø lo storytelling è il modo in cui qualsiasi dato di fatto viene presentato, in forma di sviluppo narrativo, in modo che possa corrispondere più o meno a schemi narrativi di efficacia consolidata. POTENZA DELLE STORIE – il periodo in cui si è consolidata la nozione di creatività è anche il periodo in cui le comunicazioni di massa sono diventate globali e la potenza delle storie si è manifestata ed è diventata evidente a tutti. La nozione di storytelling è un’etichetta che viene adotta e diventa “virale”: ha la capacità di offrire ad un pubblico generico l’impressione di una possibilità di facile presa su qualcosa di sfuggente. In questo lo storytelling è davvero vicino alla creatività; entrambe: § parlano di qualcosa che indubbiamente esiste § dilagano fuori dagli ambiti tecnici e arrivano a suggestionare i mass media e il loro pubblico § promettono accesso facile alla rispettiva mitologia Il dato della potenza delle storie non è solo mitologico ma è anche reale ed è innegabile l’impiego massiccio di storie nella formazione dell’opinione pubblica. Si tratta di due discorsi (quello della creatività e quello dello storytelling) che si incrociano: o la creatività è una storia che viene raccontata o il racconto richiede creatività 23 1 0 Prof. Stefano Bartezzaghi Funzione mitologica della creatività L’ambito mediale è quello in cui il discorso della creatività prende una funzione di tipo mitologico perché ciò che l’ambito mediale fa della creatività – e che in quell’ambito la rende