Summary

This document provides lecture notes (or possibly class notes) on immunology, covering topics such as the history of immunology, the innate and adaptive immune systems, immune cells, and the lymphatic system. The notes are from the 2020/21 academic year, although the exact context (e.g., university, specific course) is not clarified from this excerpt alone.

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IMMUNOLOGIA (lezione 1 del 12/10/2021) Edward Jenner è considerato il padre della moderna immunologia. Egli è un medico che nel 1796 allestì la prima forma di vaccino contro una malattia infettiva che vi era intorno al 1790: il vaiolo. Essendo un medico di campagna egli osservò che coloro che lavor...

IMMUNOLOGIA (lezione 1 del 12/10/2021) Edward Jenner è considerato il padre della moderna immunologia. Egli è un medico che nel 1796 allestì la prima forma di vaccino contro una malattia infettiva che vi era intorno al 1790: il vaiolo. Essendo un medico di campagna egli osservò che coloro che lavoravano con le vacche si ammalavano di una forma più lieve di vaiolo: vaiolo vaccino. Anche le stesse vacche si ammalavano di una forma di vaiolo più lieve a differenza di quello che colpiva gli altri individui che dava invece sintomi più gravi: vaiolo umano. Pertanto Jenner, comprendendo tale differenza, decise di inocularsi il liquido che fuoriusciva dalle pustole che provocava il vaiolo vaccino per suscitare una risposta immunitaria; egli infatti si ammalò di una forma più lieve di vaiolo, riuscì a guarire e non si ammalò più. Grazie al vaccino di Jenner intorno al 1979 il vaiolo era stato definitivamente debellato. La procedura vaccinale aveva portato ad eradicare ufficialmente una malattia. Oggi per la creazione di vaccini vengono utilizzate delle tecniche più sofisticate, come ad esempio DNA ricombinante. Il termine “immunologia” indica “l’immunità”, ovvero la capacità del nostro sistema immunitario di difendersi da tutto ciò che è considerato “no-self”, come ad esempio i microorganismi patogeni ma è in grado di difenderci anche dai farmaci. “SELF”: nostro organismo “no-SELF”: estraneo Tutti gli organismi viventi sono dotati di un sistema immunitario il quale risulta rudimentale se l’organismo è poco evoluto, viceversa risulta sofisticato se l’organismo è più evoluto come ad esempio l’uomo. Un organismo quando incontra un agente patogeno rischia di ammalarsi, tuttavia nel sistema degli eucarioti, si sviluppa la cosiddetta “memoria immunologica” secondo la quale quando un organismo entra in contatto con lo stesso patogeno, il sistema immunitario riesce a riconoscerlo e a debellarlo. La vaccinazione risulta essere un metodo per evitare l’aggressione da parte di determinati patogeni. Ciò che caratterizza il nostro sistema immunitario, è la “capacità di riconoscimento”: riconoscere tutto ciò che è potenzialmente nocivo per il nostro organismo. Per fare questo esso si serve di un sistema che comprende una componente cellulare, molecole, organi; un esempio sono gli anticorpi o immunoglobuline che riescono a neutralizzare i virus quando è possibile. Nel sistema immunitario vi è dunque una varietà di cellule ognuna delle quali svolge una specifica funzione e tra di esse sussiste comunicazione e cooperazione. Alcune cellule svolgono la funzione di “sentinelle”; esse sono poste nelle zone periferiche dove devono tappare l’invasione di un patogeno; intervengono poi le cellule che fungono da “messaggero” le quali sono in grado di comunicare la presenza di un agente estraneo ed attivare una risposta nei suoi confronti. Le cellule del sistema immunitario, derivano tutte dalla CELLULA TOTIPONTENTE STAMINALE EMOPOIETICA, presente nel midollo osseo e da cui si originano tutte le cellule del sangue distinguibili in:  Cellule bianche: cellule immunitarie del sangue;  Piastrine;  Eritrociti. Dalla cellula staminale totipotente, si originano 2 precursori:  Precursore comune linfoide;  Precursore comune mieloide. Questi a loro volta possono differenziarsi in sottopopolazioni:  Dal precursore mieloide derivano i MEGACARIOCITI, e gli ERITOBLASTI i quali maturano e si differenziano in PIASTRINE ed ERITROCITI. Da qui si originano anche i GRANULOCITI, definiti così perché pieni di granuli, detti anche LEUCOCITI POLIMORFONUCLEATI. Esistono tre classi di granulociti: neutrofili, eosinofili, basofili; distinguibili in base alla loro funzione.  Dal precursore linfoide si originano le cellule immunitarie: linfociti B, T, NK ed una parte può dare origine anche a cellule dendidriche.  Un altro precursore che si origina dal midollo osseo è il precursore dei mastociti che dà origine ai mastociti e ai macrofagi. Una volta originate le varie classi di cellule, queste si differenziano e vanno nei vari distretti del nostro organismo:  Le piastrine e gli eritrociti vanno nel sangue;  I granulociti vanno nel sangue e nel caso di infezione vengono richiamati nei tessuti;  I mastociti, ricchi di granuli, si posizionano nei tessuti;  I monociti, cellule agranulate appartenenti alla linea leucocitaria, una volta che si differenziano in macrofagi, vanno a posizionarsi nei tessuti.  I neutrofili, eosinofili e basofili restano in circolo. Per quanto riguarda la linea linfoide, i linfociti B, T, e NK, devono essere attivati:  I linfociti B: si attivano e producono le PLASMACELLULE che secernono gli ANTICORPI;  I linfocitiT: si attivano e svolgono differenti funzioni;  I linfociti NK: si attivano e svolgono differenti funzioni in base al patogeno persistente. Possiamo distinguere il sistema immunitario in: INNATO: è un sistema meno evoluto e funziona in modo molto rapido; le cellule di questo sistema hanno la capacità di distinguere il self dal no-self e causano una risposta immunologica quale l’infiammazione. Questo sistema è meno specifico e si basa sulla risposta data da cellule già presenti a livello del tessuto periferico. Non ha una memoria immunologica. ADATTATIVO: È un sistema più sofisticato e preciso e si basa sulla partecipazione dei linfociti B e T i quali svolgono diverse attività: i linfociti B evolvono in plasmacellula, quindi si attivano e producono gli anticorpi; i linfociti T uccidono le cellule infettate da virus. La risposta del sistema adattativo essendo specifica può durare anche 10-15 gg. È in grado di riconoscere in maniera più accurata il no-self, che può differire anche per un singolo amminoacido; ha una memoria immunologica: esso riesce a ricordare un patogeno con il quale l’organismo era entrato in contatto tempo prima e riesce a dare una risposta mirata contro quel determinato patogeno.  CELLULE IMMUNITARIE MACROGAGI: MACRO: grande; FAGO: mangiatore I monociti, che derivano dal precursore mieloide, si evolvono in macrofagi e questi vanno a popolare i tessuti in maniera stazionaria o dinamica. Essa è una cellula sia ricca di granuli che di meccanismi battericidi. Essa è in grado di agire come “sentinella”, può fagocitare un patogeno ed è una cellula “presentante l’antigene”: APC. Il macrofago è una cellula sia del sistema innato che adattativo. DENDITRI: il suo nome deriva dal fatto che ha una struttura assimilabile a quella dei dendriti dei neuroni; ha una forma stellata. Tali prolungamenti sono importanti per riuscire a sondare l’ambiente circostante in cui possono essere presenti sia cellule self che no-self. Queste cellule si trovano nei tessuti periferici e hanno il compito di agire come sentinelle. Quando questa cellula quando riconosce il patogeno, lo internalizza inglobando anche il fluido extracellulare mediante i processi di pinocitosi e fagocitosi, abbandona il tessuto periferico e lo presenta ai linfonodi. Esse sono cellule tipiche sia del sistema innato che adattativo. GRANULOCITI POLIMORFONUCLEATI: neutrofili, eosifofili basofili. NEUTROFILI: (triloblasti) Queste sono cellule proprie del sistema immunitario innato; possono raggiungere siti infetti e passare nei tessuti per eliminare l’infezione attraverso fagocitosi. Essi sono in grado di fagocitare l’antigene e hanno meccanismi battericidi; hanno un’emivita molto corta, circa 48h e sono responsabili della formazione di pus (neutrofili morti), nell’area in cui si è verificata l’infezione. EOSINOFILI: (bilobati) Hanno la capacità di uccidere i parassiti, i quali generalmente sono più grandi rispetto alle cellule del nostro organismo, ad esempio i vermi. Queste cellule, legano i parassiti e li uccidono attraverso un meccanismo di CITOTOSSICITA’ diretta, iniettando nel parassita sostanze tossiche. BASOFILI: Sono meno conosciuti rispetto alle altre cellule e hanno caratteristiche in comune con i mastociti; anche i basofili probabilmente hanno un’attività anti-parassitaria come gli eosinofili. Sono propri del sistema adattativo. MASTOCITI: Cellule tissutali ricche di granuli; hanno il compito di agire come sentinelle; quando riconoscono la presenza di un patogeno, esse danno origine ad un fenomeno noto come DEGRANULAZIONE: espellono il contenuto dei loro granuli. Questi granuli contengono delle sostanze preformate che hanno una funzione vasoattiva cioè permettono ai vasi di dilatarsi, come ad esempio l’istamina, aumentando la permeabilità vascolare. I mastociti hanno anche la capacità di sintetizzare citochine: molecole che hanno attività pro infiammatoria. I mastociti possono partecipare anche alla risposta parassitaria; quando abbiamo un’iperattività dei mastociti e dei basofili si parla di “allergia”. I mastociti eseguono anche dei movimenti di tipo espulsorio: essi intrappolano i parassiti all’interno di una sostanza nota come “muco” e mediante un movimento quale la tosse, lo espellono insieme al patogeno intrappolato. Altre cellule del sistema immunitario sono i LINFOCITI, i quali sono propri del sistema immunitario adattativo, ma possiamo ritrovarli anche in quello innato. Dal punto di vista morfologico, i linfociti sono cellule circondate o residenti in organi linfoidi secondari come i linfonodi. Sono cellule tutto nucleo con un citoplasma privo o scarso; i linfociti circolanti nel sangue sono spesso non attivi, ma si attivano nel caso di necessità, ovvero nel corso di infezione. Una cellula linfoide, ossia i natural killer NK, fanno parte del sistema immunitario innato. Queste cellule sono ricche di granuli i quali hanno attività citotossica. Il NK è detto anche LGL (linfocita largo granulare), in quanto è più grande dei linfociti B e T. I NK hanno il compito di uccidere le cellule infettate da virus e possono farlo con due modalità: i virus vengono riconosciuti dagli anticorpi e poi vengono internalizzati. Un altro meccanismo è quello che una volta che il virus è entrato nella cellula, esso attua tutte le sue funzioni vitali, quindi l’unico modo per eliminarlo è uccidere la cellula che ha parassitato. Per quest’ultima funzione intervengono anche i linfociti T citotossici.  SISTEMA LINFATICO ED ORGANI LINFOIDI Le cellule del sistema immunitario, circolano all’interno del nostro organismo sia nel sangue che nella linfa, presente nel sistema linfatico. Il sistema linfatico, è il sistema che si occupa del circolo delle cellule del sistema immunitario, ed è costituito sostanzialmente da:  VASI LINFATICI: sono disseminati da linfonodi che servono a catturare i linfociti una volta che questi sono rilasciati dal midollo osseo. I linfociti passano da un linfonodo ad un altro, nel caso in cui riscontrano un’infezione. La cellula dendritica attiva il linfonodo adatto e poi torna in periferia per combattere l’infezione.  DOTTO TORACICO: i vasi linfatici convergono nel dotto toracico. I linfonodi sono sia situati in regioni periferiche, sia vicino ad organi in contatto con l’esterno. Il sistema linfatico comprende organi quali:  ORGANI LINFOIDI PRIMARI: di cui fanno parte il MIDOLLO OSSEO ed il TIMO; quest’ultimo è una piccola ghiandola situata nella parte alta del torace che è destinata a ridursi fino a scomparire e contiene i linfociti T. Negli organi primari i linfociti nascono e si differenziano. Nel midollo osseo si originano tutti i linfociti e le cellule dell’immunità che poi si differenziano; nel timo avviene invece la differenziazione dei linfociti che poi vanno in circolo.  ORGANI LINFOIDI SECONDARI: sono gli organi in cui i linfociti maturi, si posizionano e vivono la loro vita passando da un organo all’altro. Fanno parte degli organi linfoidi secondari: IL SISTEMA LINFOIDALE, MILZA, PLACCHE LINFOIDI. Le placche linfoidi sono come dei linfonodi ma si trovano a livello di alcuni organi che sono in contatto con l’esterno ex. Intestino, tratto bronchiale. Un esempio sono le PLACCHE DI PEYER che si trovano subito dopo la mucosa intestinale.  I LINFONODI L’organo linfoide secondario per eccellenza è il linfonodo, la cui forma è assimilabile a quella di un fagiolo, caratterizzato da una zona corticale della midollare ed una periferica della corticale. L’area paracorticale è popolata dai linfociti T mentre l’area subcorticale o corticale propriamente detta è popolata dai linfociti B. Questo organo è vascolarizzato da un’arteria e da una vena e possiede una seconda vascolarizzazione caratterizzata da vasi linfatici afferenti che entrano nel linfonodo e efferenti che escono dal linfonodo. I vasi linfatici afferenti, provengono dalla periferia e contengono cellule specializzate; una volta che i linfociti T sono stati attivati possono uscire dal linfonodo sia attraverso il dotto efferente che attraverso il circolo sanguigno. I linfociti arrivano nel linfonodo attraverso il circolo sanguigno e poi si posizionano nelle specifiche zone che li contengono e possono spostarsi da linfonodo a linfonodo, attraverso la linfa. FOLLICOLI LINFOIDI: si trovano nella zona corticale e sono area di maturazione dei linfociti B; poiché sono strutture dinamiche, si ingrossano quando l’infezione è attiva e si riducono quando l’infezione è assente. (lezione 2 del 15/10/20)  LA MILZA La milza è un organo linfoide secondario che presenta una struttura dove riconosciamo una sezione nota come: polpa rossa, dove avviene la distruzione dei globuli rossi invecchiati: emocateresi, mentre la sezione nota come polpa bianca contiene i linfociti. La polpa rossa è attraversata da arterie e vene connesse tra loro attraverso vasi; all’interno di questi vasi ci sono dei manicotti di tessuto linfoide che rappresentano la polpa bianca. L’arteriola centrale è caratterizzata da una zona blu ricca di linfociti T e una zona gialla della corona popolata dai linfociti B. Nella zona ricca di linfociti B è possibile riscontrare anche la presenza di follicoli linfoidi che nello stadio di differenziazione possono essere più piccoli o più grandi rispetto allo stato iniziale, come nel caso di un’infezione durante la quale i linfociti B evolvono in plasmacellule e producono gli anticorpi. Nella zona marginale sono presenti i macrofagi che captano gli antigeni che provengono dal circolo sanguigno e possono così presentare gli antigeni alle cellule B e T della milza. La milza ha dunque la specifica funzione di combattere le infezioni di tipo ematogeno.  TESSUTO LINFOIDE ASSOCIATO ALLE MUCOSE Il tessuto linfoide è un altro organo secondario e si trova soprattutto nelle regioni del nostro organismo che sono in contatto con l’esterno. Il tessuto linfoide associato per esempio all’intestino, è noto come “GALT”, acronimo inglese di GUT- ASSOCIATED-LYNPHOID TISSUE, inoltre, il tessuto linfoide associato al tratto bronchiale è detto “BALT”, acronimo di BRONCHUA-ASSOCIATED-LYNPHOID- TISSUE. GALT è costituito da diversi componenti con diverse funzioni, tra cui le placche di PEYER, lamina propria e spazi leucocitari intraepiteliali. La placca di peyer è caratterizzata da una zona T- dipendente e un’altra B-dipendente. L’epitelio che ricopre l’intestino, esposto all’esterno, è a contatto con tutti gli antigeni e patogeni presenti. Il tessuto linfoide è dunque costituito da un follicolo (B- dipendente) costituito a sua volta da un centro germinativo che rappresenta l’area di attivazione dei linfociti B. È presente anche un’area T-dipendente a destra e a sinistra che sono popolate da cellule T. Il tessuto linfoide fa parte dello spessore dell’intestino, si trova al di sotto del tessuto epiteliale intestinale all’interno del quale sono presenti cellule M che ricoprono il tessuto linfoide delle mucose, ovvero le placche di peyer dell’intestino. Le cellule M sono in grado di captare gli antigeni e attraverso un fenomeno di trasporto vescicolare, sonno capaci di rilasciare antigeni a livello della superficie baso-laterale: assorbono gli antigeni del lume intestinale attraverso fagocitosi e li passano alla superficie baso-laterale, mendiate una fusione di vescicole. Questi antigeni giungono poi alle placche di peyer dove sono presenti le cellule dell’immunità: linfociti B, T e anche cellule dendritiche che procederanno poi alla distruzione del patogeno.  I LINFOCITI I linfociti sono cellule mobili; vengono prodotte a livello del midollo osseo e maturano nel timo dopodiché vengono riversati nel circolo sanguigno, per poi posizionarsi nei linfonodi. I linfociti raggiungono i linfonodi attraverso i vasi linfatici, dove risiedono per alcune ore; se vengono attivati raggiungono la zona caratterizzata dall’infezione: attraverso sempre i vasi linfatici, raggiungono il linfonodo della zona d’infezione di interesse. In caso contrario, quindi se non vengono attivati, escono dal linfonodo e passano in un altro linfonodo pattugliando così tutto il corpo. Una volta che la linfa è stata raccolta nel sistema linfatico, attraverso il dotto toracico, ritorna nel sangue e da qui i linfociti vengono rimessi nei linfonodi.  Il sistema immunitario protegge l’organismo umano da 4 classi di patogeni che possono causare malattie infettive:  ATTIVITA’ DEI LEUCOCITI DURANTE L’ATTIVITA’ INNATA Distinguiamo due tipi di immunità: quella innata e quella adattativa. La prima cosa che succede quando un patogeno riesce a superare le barriere anatomiche umane, ed entra poi in un distretto dell’organismo (ex. A livello della cute), è quella di attivare cellule come il macrofago, ad esempio, che è una cellula che è in grado di fagocitare il patogeno ed è propria del sistema immunitario innato, internalizza il batterio e lo conduce poi alla distruzione. Il primo step per distruggere un batterio/patogeno è quello di essere riconosciuto da cellule sentinelle che possono essere gli stessi macrofagi o anche le cellule denditriche, anche se quest’ultime a differenza delle prime non hanno capacità fagocitaria. Il riconoscimento fa sì che il macrofago si attivi e che produca una serie di molecole solubili, che poi rilascia nel circolo, che sono in grado di “avvisare” il sistema immunitario della presenza di un patogeno, agendo così da messaggeri che diffondono nel territorio circostante e richiamano a sé altre cellule. Il macrofago secerne due tipi di molecole: 1. Citochine: esse sono glicoproteine solubili, molecole di segnalazione e di crescita; 2. Chemochine: esse sono un sottogruppo delle citochine ed hanno una specifica attività chemiotattica; sono quindi in grado di richiamare altre cellule nel sito infetto. Le citochine, in particolare, le chemochine, agiscono localmente richiamando cellule del sangue che possono essere altri macrofagi che possono raggiungere il sito di infezione e fagocitare il patogeno. Per quanto riguarda l’attività chemiotattica, questa consiste in un segnale chemiotattico; la chemochina, produce una sostanza: la chemochina, la quale richiama altre cellule nel sito di infezione. Le cellule che hanno i recettori per le chemochine vengono richiamate, attraverso gradiente chimico, nel sito infetto. Durante un’infezione, una delle attività delle citochine è quella di andare a rendere più permeabile l’endotelio e questo favorisce il passaggio delle cellule del sangue attraverso l’endotelio stesso e questo permette lor di raggiungere il sito infetto. Ciò che quindi si ottiene è la VASODILATAZIONE e AUMENTO DELLA PERMEABILITA’ VASCOLARE. Tali meccanismi vanno ad aumentare l’adesività dell’endotelio: questo consiste nell’attacco delle cellule dell’endotelio, permettendo loro l’attraversamento della barriera endoteliale. Con il termine DIAPEDESI si intende proprio lo stravaso delle cellule dall’endotelio, che si muovono secondo gradiente chimico e seguendo un segnale, raggiungendo poi il sito di infezione. Una volta attraversato l’endotelio le cellule fagocitano i batteri ed eventualmente secernono altre citochine e chemochine per amplificare la reazione finché non si risolve l’infezione, ottenendo così la risoluzione dell’infiammazione.  INTERVENTO DELL’IMMUNITÀ ADATTATIVA Nel caso in cui il sistema immunitario innato non riesca a distruggere il batterio, subentrano le cellule dendritiche, le quali si attivano quando captano batteri o frammenti di batteri; in particolare captano la presenza di un patogeno attraverso pinocitosi e fagocitosi. Le cellule dendritiche, si attivano solo in seguito del riconoscimento del patogeno da parte di un recettore. le cellule dendritiche, però, non hanno un forte potere battericida ma hanno un forte potere di presentazione dell’antigene, cioè sono in grado di captare i patogeni, di distruggerli e poi espongono i frammenti dei patogeni sulla loro superficie. Una volta che la cellula dendritica ha captato un patogeno passa da uno stato di immaturità ad uno stato attivo; in quest’ultimo stato, la cellula dendritica cambia il suo setting diventando una cellula molto mobile ed espone vari recettori chemiotattici, essendo questi in grado di passare dai tessuti periferici al sito di infezione e richiamare all’azione i linfociti T nella zona del linfonodo T-dipendente. Attivati i linfociti T, questi iniziano a proliferare e si immettono nel sistema vascolare e migrano in periferia dove è presente l’infezione; questo rappresenta un MOTO DIREZIONALE ottenuto grazie ai recettori chemiotattici che permettono ai linfociti T di raggiungere i tessuti adatti. La chemiotassi è specifica in quanto vi sono differenti recettori chemiotattici che rispondono a stimoli diversificati.  SVILUPPO E DIFFERENZIAMENTO DEI LINFOCITI Il nostro genoma non può contenere il numero di recettori che disponiamo nel nostro organismo in quanto in caso contrario il genoma umano sarebbe di gran lunga maggiore. Si svilupparono così due teorie: 1. LA TEORIA GERMINALE: postulava che il genoma umano contenesse tutti i recettori. Si osservò, rapidamente, che questo non fosse possibile in quanto 30.000 geni presenti nel nostro genoma, non sono sufficienti per contenere i recettori che risultano essere altamente specifici (dell’immunità adattativa). 2. TEORIA SOMATICA: è una teoria che è stata teorizzata e confermata sperimentalmente ed afferma che gli umani, non nascono con tutti i recettori diversi, ma si nasce con degli assetti nei loci dei recettori per l’antigene dei linfociti B e assetti nei loci dei recettori per l’antigene dei linfociti T. Questi loci si ricombinano durante il differenziamento e lo sviluppo dei linfociti B e T. Pertanto è stato possibile dedurre che esistono una serie di segmenti genici che si possono mescolare in maniera casuale tra loro e questo mescolamento è specifico per ciascun linfocita. Vi sono dunque tanti linfociti e ciascuno di questi, codifica per un solo recettore. La variabilità del sistema adattativo è differente dalla variabilità del sistema immunitario innato. Nel sistema immunitario, considerando ad esempio i macrofagi queste sono cellule che possiamo definire “germinale” perché risiedono tutte nel nostro DNA e hanno tutte lo stesso set di recettori. Nel sistema adattativo, invece, i recettori sono tutti diversi e questo è dovuto dalla presenza di un genoma dinamico che si arrangia in maniera specifica per ogni linfocita. Se da un progenitore si ha l’origine di un gran numero di linfociti, ognuno dei quali è costituito da un differente recettore, in particolare differiscono per il sito di legame per l’antigene, è possibile dare origine a recettori autoreattivi grazie a mescolamenti casuali. Gli immunologi, però, si chiedevano come fosse possibile che i recettori autoreattivi non fossero presenti nel genoma umano e come mai questo si verifica solo in caso di malattie autoimmunitarie. I linfociti che hanno dato luogo a riarrangiamenti che hanno mantenuto i recettori per uno specifico antigene, vengono testati prima di essere rimessi in circolo, facendo sì che si verifichi una SELEZIONE NEGATIVA, in quanto si deve verificare se questi linfociti non abbiano dei recettori che riconosco il self; se il recettore riconosce il self, i linfociti vengono eliminati, andando in contro a morte cellulare per apoptosi, in seguito ad un segnale specifico. Vengono immessi, invece, nel circolo, quei linfociti che contengono i recettori che riconoscono il no-self; una volta immessi nel circolo, i linfociti vanno a popolare gli organi linfoidi secondari, finché non vengono attivati. Attivare un linfocita, significa dare origine a proliferazione, ovvero si ottiene, innanzitutto un’esposizione clonale; più proliferano e più ingrossano il linfonodo e in seguito effettua delle attività differenziartici specifiche per un determinato patogeno.  POSTULATI DELLA TEORIA CLONALE 1. Ogni linfocita, porta un singolo tipo di recettore con un’unica specificità di riconoscimento; 2. L’interazione tra una molecola estranea e un recettore di un linfocita capace di legare quel patogeno con alta affinità, porta all’attivazione del linfocita stesso; 3. La cellula differenziata effettrice, derivata da un linfocita attivato, porterà recettori di identica specificità rispetto al linfocita che è stato attivato (ESPANSIONE CLONALE); 4. I linfociti che portano recettori specifici per molecole ubiquitarie self, sono eliminate in fase precoce del differenziamento linfoide e sono assenti nel repertorio dei linfociti maturi. La selezione clonale è un bilancio, molto delicato e preciso, tra l’eliminazione di potenziali cloni autoreattivi e la presenza di cloni attui a riconoscere i patogeni. Restano comunque dei linfociti capaci di riconoscere il self e da qui si verifica il fenomeno dell’autoimmunità, secondo cui questi linfociti riconoscono come estranee le cellule del proprio organismo, che non sono patogeni, e le uccidono. Questo errore di bilancio si traduce in una malattia autoimmune.  STRUTTURA SCHEMATICA DEI RECETTORI PER L’ANTIGENE I recettori per l’antigene dei linfociti B e T, sono strutturalmente simili. La cellula B possiede un recettore di membrana per l’antigene che differisce strutturalmente poco dalla sua molecola effettrice: l’anticorpo. I linfociti B producono l’immunoglobulina sia come recettore di membrana sia come molecola solubile effettrice, che andrà a legare alcuni patogeni per neutralizzarli. Le immunoglobuline possono essere considerate sia come forma solubile che forma recettoriale. L’immunoglobulina è una molecola a forma di Y, caratterizzata da 2 componenti: una porzione definita “regionecostante” che non cambia in tutti i recettori delle cellule B, e si differenzia dalla “regioneeffettrice” (stelo della Y) responsabile delle attività biologiche dell’immunoglobulina. L’altro componente dell’immunoglobulina è detta “siti di legame per l’antigene”, che corrisponde alla regione variabile che cambia in ogni linfocita B.  STRUTTURA DELL’IMMUNOGLOBULINA L’immunoglobulina, è costituita da un eterodimero di due catene pesanti e due catene leggere; le catene pesanti sono tenute insieme da ponti disolfuro localizzati nella cosiddetta “zona cerniera”, poiché questa regione è caratterizzata da un’abbondante flessibilità in maniera tale che le braccia di questa Y possano ruotare nello spazio; le catene pesanti, inoltre, sono uguali tra loro. Le catene pesanti sono caratterizzate da tre domini costanti ed uno variabile. Le catene leggere, contribuiscono in piccola parte alla regione costante e sono costituite da una porzione variabile. Ciascuna catena leggera, a sua volta, è legata ad una catena pesante da un ponte disolfuro. Ciascuna catena, leggera o pesante, contribuisce al sito di legame per l’antigene; l’immunoglobulina, infatti, è BIVALENTE: ovvero presenta due siti di legame per l’antigene in ciascun braccio della Y, dati dalla porzione variabile della catena leggera e dalla porzione variabile della catena pesante. L’unione di queste due zone dunque, rappresenta il sito di legame per l’antigene. I due siti di legame sono identici tra loro. I riarrangiamenti andranno ad interessare sia la porzione variabile della catena leggera che quella della catena pesante.  CORSO DEL LINFOCITA- DIFFERENZIAZIONE TERMINALE E ATTIVITA’ EFFETTRICE Il linfocita “naive”, una volta montato il recettore per l’antigene, quando incontra l’antigene, diventa LINFOBLASTO ed inizia a proliferare e diventa una cellula effettrice che nel caso dei linfociti B, ad esempio, vi è una differenziazione secondo la quale il linfocita B si evolve in plasmacellula e produce anticorpi. I linfociti T, vengono invece attivati mediante il processo di “presentazione dell’antigene”. Le cellule migliori che presentano l’antigene, sono le cellule dendritiche che “processanol’antigene”, lo “espongono sulla superficie” e solo in questa forma, viene riconosciuto dalle cellule T. Il fatto che le cellule T riconoscano l’antigene processato rappresenta un PRIMO SEGNALE; il SECONDO SEGNALE, invece, consiste nella secrezione di molecole COMSOLATORIE. Quindi il primo segnale consente al linfocita T di essere attivato e di iniziare a PROLIFERARE e a DIFFERENZIARSI e durante il secondo step si sviluppano diverse sotto classi dei linfociti T: abbiamo i linfociti T helper o CD4, importante per attivare i linfociti B, CD8 (citotossici), per la distruzione dell’antigene) e cellule NK (natural killer). Possono presentare l’antigene ai linfociti T sia le cellule dendritiche che i macrofagi che i linfociti B. queste cellule sono definite anche “CELLULE SPECIALIZZATE” in quanto presentano l’antigene ai linfociti T attraverso molecole specifiche. PRINCIPALI ATTIVITA’ DEGLI ANTICORPI (LEZIONE 3 20-10) L’attivazione dei linfociti B porta alla formazione di plasmacellule che a loro volta risultano essere “fabbriche di produzione degli anticorpi”. Esistono vari tipi di anticorpi, ognuno dei quali ha una sua attività specifica. Gli anticorpi sono glicoproteine a forma di Y che possiedono due siti di legame per l’antigene e uno stelo che possiede le attività effettrici dell’immunoglobulina stessa. Gli anticorpi una volta secreti dalla plasmacellula, giungono nei fluidi cellulari, dove riconoscono sostanze estranee. Gli anticorpi possono avere varie attività: 1. NEUTRALIZZAZIONE; 2. OPSONIZZAZIONE; 3. ATTVITA’ DEL COMPLEMENTO; L’attività di neutralizzazione è caratterizzata da anticorpi che legano delle tossine batteriche o virus: le tossine batteriche sono delle molecole secrete dai batteri che sono in grado di essere riconosciute dai recettori cellulari dell’ospite causando un effetto citotossico. Le tossine batteriche, possono essere legate da anticorpi e neutralizzate, in quanto, una volta legati gli anticorpi, non possono più essere riconosciute dal recettore sulla cellula bersaglio e quindi non possono effettuare la loro attività citotossica. Gli immuno-complessi, caratterizzati dal legame di più anticorpi a più antigeni, vengono captati dalle “cellule spazzino”, in particolare i macrofagi, che, attraverso il riconoscimento della porzione costante dell’immunoglobulina, distruggono, attraverso la via lisosomiale, sia gli anticorpi che le tossine legate ad essi neutralizzando in questo modo una possibile attività tossica per il nostro organismo. La seconda attività molto importante degli anticorpi è l’opsonizzazione: deposizione sulla parete di particelle estranee che servono a segnalare al sistema immunitario che è presente un patogeno. Tale processo, può essere operato non solo dagli anticorpi, ma anche da recettori solubili dell’immunità i quali mettono una sorta di bandierina sui patogeni rendendoli più riconoscibili dai fagociti. In questo modo un batterio viene facilmente riconosciuto da un macrofago ed eliminato. Per quanto riguarda l’attivazione del complemento, si intende per “complemento” un sistema di proteasi sieriche, le quali sono delle proteine che tagliano altre proteine; tale processo, serve a formare frammenti che possono facilitare l’eliminazione di agenti patogeni. Il complemento viene attivato tramite diverse vie, una delle quali è la deposizione di anticorpi sulla superfice di patogeni. Quando alcuni patogeni vengono legati e riconosciuti da anticorpi, si attiva il complemento. L’attivazione del complemento, porta alla formazione di molecole opsonizzanti, cioè particelle che sono dei segnali per i fagociti che vanno ad eliminare il batterio. A seguito dell’attivazione del complemento, da un lato si ha la deposizione sulla parete batterica di altre particelle opsonizzanti che rendono il batterio più facilmente riconoscibile da parte di un macrofago e da un lato, la deposizione di altre particelle sulla parete del batterio, causa la formazione di pori sulla parete del batterio stesso e la conseguente morte di quest’ultimo. Il complemento quindi, da un lato fa attività opsonizzante ma anche attività battericida. Quando si parla di immunità umorale o di immunità legata ai linfociti B, si parla di immunità anticorpale, in quanto le “armi” a disposizione sono i linfociti B, che sono sostanzialmente gli anticorpi.  ATTIVITA’ DEI LINFOCITI T Una delle attività legate ai linfociti T, è quella tipica dei linfociti T citotossici detti anche linfociti T CD8. I linfociti T si dividono in due gruppi: CD4 e CD8, essi si differenziano per l’antigene. I CD8 sono quelli detti citotossici, la loro attività, consiste nel riconoscere le cellule infettate da virus e in seguito ucciderle. I virus, essendo più piccoli di una cellula, possono essere intercettati all’esterno della cellula quando ancora non hanno infettato la cellula bersaglio, e in questo momento, è possibile che gli anticorpi leghino le proteine del virus con le quali il virus colpisce e penetra la cellula bersaglio: se questo succede, il virus non è più capace di infettare la cellula bersaglio; se però non si hanno a disposizione degli anticorpi che proteggono dal virus, questo lega la cellula bersaglio e causa infezione riversando il loro acido nucleico all’interno della cellula ospite. Le cellule infettate sono riconosciute dai linfociti T citotossici; il linfocita T citotossico attivato, andrà in periferia dove è presente l’infezione e ucciderà la cellula infettata dal virus. Come fa il linfocita T a riconoscere una cellula infettata? Il riconoscimento è dato dalla presenza di antigeni virali, proteine processate ed esposte sulla superficie della cellula bersaglio. La cellula T citotossica svolgerà un ruolo molto specifico uccidendo unicamente la cellula infettata e non una cellula sana. Oltre ai CD8, vi sono anche i CD4; essi una attività che viene detta “HELPER”. Questi sono attivati da alte cellule dell’immunità e possono avere vari tipi di attività helper; esse sono dette anche TH e possiamo averne diverse categorie a seconda dell’aiuto fornito: TH1-2-. Una particolare attività è svolta dalla TH1: alcuni microbatteri, sono capaci di entrare nei macrofagi attraverso la fagocitosi, in questo macrofago, i microbatteri restano nelle vescicole endocitiche e vengono poi distrutti nei lisosomi. La TH1, una volta attivata da una cellula dendritica, raggiunge il sito in cui sono presenti i microbatteri e attraverso l’esposizione in membrana di peptidi batterici, sulla superficie di un macrofago, questo viene riconosciuto. A questo punto la TH1 rilascia delle molecole solubili, le citochine, che sono in grado di attivare il macrofago. Esso una volta attivato, induce la fusione di un lisosoma con un fagosoma e porta alla lisi del microbatterio.  RICONOSCIMENTO DELL’ANTIGENE DEI LINFOCITI T Il linfocita T non è capace di riconoscere direttamente il patogeno; essi riconoscono una porzione del virus o del batterio che viene prodotta in seguito al processamento da parte di un macrofago o una cellula dendritica. Le molecole che presentano l’antigene, sono le molecole di istocompatibilità o molecole MHC, di classe I e di classe II. Le MHC legano in maniera specifica piccoli peptidi provenienti dalla distruzione di patogeni, che possono essere espositi sulla membrana ella cellula che presenta l’antigene e soltanto in questa fase, l’antigene può essere riconosciuto dai T. Per riconoscimento da parte dei linfociti T, si intende il riconoscimento di un complesso di una molecola costituita da un peptide, più la molecola MHC. Le 2 molecole MHC, sono importanti in quanto possono presentare 2 peptidi leggermente diversi: - MHC I: peptidi di origine virale e patogeni intracellulari. Questi peptidi derivano dalla degradazione dipendente dal proteasoma; possono poi essere caricati sulle molecole MHCI ed esposti sulla superficie di una molecola che presenta l’antigene; il peptide è presentato per la maggior parte dei casi ai T-CD8. - MHC II: presentano peptidi derivanti dalla digestione lisosomiale di patogeni attraverso la fagocitosi o l’endocitosi mediata da recettore. I patogeni vengono digeriti nel lisosoma e i peptidi derivati da questi patogeni vengono caricati sulle MHC II, le quali vengono esposte sulla superficie di molecole che presentano l’antigene. Le MHC II attivano i CD4. Le cellule che presentano l’antigene, sono definite di tipo professionale in quanto esprimono sia le molecole MHC I che MHC II, mentre tutte le altre cellule dell’organismo, esprimono le MHC I. I linfociti B presentano l’antigene di tipo professionale. Quando il linfocita B viene attivato, esso a sua volta attiva il T-CD4. Di conseguenza, la cellula T-CD8, riconoscerà il complesso MHC-antigene in periferia da una cellula infettata da virus, dando origine ad un complesso peptide virale-MHC I; ciò porterà all’attivazione del linfocita T citotossico che rilascerà il contenuto dei granuli citotossici ed ucciderà la cellula infettata. La cellula T-CD4, in particolare la TH1, una volta attivata nel linfonodo, andrà in periferia dove riconoscerà le cellule infettate; a questo punto, essa riconosce il peptide presentato da una molecola MHC II, rilascerà sostanze solubili che attiveranno il macrofago e lo aiuteranno a distruggere la cellula infetta. Un’altra attività dei CD4, è quella di aiutare i linfociti B. I linfociti CD4, si possono distinguere in diverse classi: - TH1: aiutante dei macrofagi; - TH follicolare: aiutante dei linfociti B. (fine panoramica) L’IMMUNITA’ INNATA L’immunità innata è la prima forma di difesa dell’organismo. È un sistema complesso che consta di diverse attività e differenti cellule. In maniera generica, l’immunità innata, può essere divisa in: - Prima linea di difesa; - Seconda linea di difesa. La prima è costituita da: 1. FATTORI MECCANICI; 2. FATTORI CHIMICI; 3. NORMALE FLORA. Questa linea di difesa, comprende le linee naturali nell’immunità, come ad esempio la cute. Le barriere di questa linea possono essere: 1. MECCANICO: tutto ciò che ricopre l’organismo dell’uomo.  la cute: costituita dalle cellule dell’epidermide.  Le membrane mucose: comprende le cellule ciliate e le cellule muco-secernenti. Esse producono una sostanza ricca di polisaccaridi e glicoproteine che umidificano la mucosa ed impediscono che si secchi. Il muco, inoltre, ha la capacità di intrappolare i batteri.Le cellule ciliate sono importanti perché riescono a scacciare via i patogeni.  Ghiandole: sono presenti in tutto il corpo; le lacrime che vengono prodotte dai condotti lacrimali, rappresentano una linea di difesa, come anche la saliva, grazie al lisozima, intrappola ed elimina i patogeni. 2. CHIMICO: i fattori chimici possono essere:  Ghiandole sebacee della cute: producono il sebo, una sostanza acida, ricca di acidi grassi, che rende l’ambiente sfavorevole ai batteri;  Secrezioni acide gastriche: producono sempre in ph acido che impedisce la sopravvivenza di alcuni batteri.  Fluidi tessutali: lacrime, saliva sudore: contengono alcuni enzimi in grado di distruggere i batteri.  Elementi del sangue: la transferrina, lega il ferro che viene utilizzato dai batteri per la crescita, che quindi viene arrestata.  Peptidi antibatterici: secreti da alcuni epiteli che impediscono la formazione di pori sulle membrane dei microbi causando la morte di questi.  L’ossido nitrico (NO): inibisce la produzione di ATP da parte di batteri che provoca l’ossidazione di molte proteine batteriche provocando un impedimento alla loro crescita. I peptidi antibatterici si dividono in: - Defensine: le alpha e le beta. - Catelicidine. Le alpha-defensine, sono presenti nei neutrofili, nelle cellule dell’intestino e nell’epitelio delle vie aree e urogenitale; ovvero in tutti gli epiteli che comunicano con l’esterno. Le beta, sono presenti soprattutto nei polmoni, alcune sono tipiche dei cheratinociti, dei neutrofili, dell’epitelio dei testicoli e nello stomaco. Le catelicidine, sono presenti nei neutrofili, nell’epitelio polmonare, nei mastociti, monociti e macrofagi. Le defensine, sono uno dei grandi gruppi di peptidi antibatterici, sono dei piccoli peptidi che hanno la capacità di legare le membrane dei patogeni perché posseggono delle cariche positive che riconoscono e sono attivate dalla parete batterica, avente carica negativa. Essendo lipofiliche, sono capaci di penetrare ed inserirsi nella membrana dei batteri formando dei pori, attraverso i quali vengono persi fluidi e molecole appartenenti ai batteri, arrivando fino alla morte del batterio. 3. NORMALE FLORA: la flora saprofita, comprende un microbioma che colonizza tutte le superfici corporee esposte all’esterno. Alcuni dei batteri della flora, sono patogeni, altri invece sono fondamentali alla sopravvivenza, perché possono produrre metaboliti utili all’organismo. La seconda linea di difesa dell’immunità innata, comprende: 1. Cellule: granulociti, monociti, macrofagi, mastociti, cellule dendritiche, cellule NK; 2. Mediatori solubili: citochine, chemochine; 3. Componenti del sangue: sistema del complemento. Questa linea di difesa, si fonda su alcune attività, tipiche anche dell’immunità adattativa. Agisce nei seguenti modi: - Riconosce e cattura i microorganismi attraverso l’opsonizzazione; - Induzione della reazione infiammatoria; - Attivazione della risposta di fase acuta; - Attivazione del complemento; - Attivazione di meccanismi antivirali. Il riconoscimento dei microorganismi, richiede la presenza di un recettore di membrana, che riconoscerà delle sostanze presenti nei microorganismi. Le cellule del sistema immunitario innato, hanno recettori comuni, caratterizzati dal non avere una specificità; ad esempio i fagociti, cioè i macrofagi e i granulociti neutrofili e in parte anche le cellule dendritiche, catturano i batteri attraverso un riconoscimento, ovvero un legame di recettori di membrana a proteine o componenti espressi sulla parete del batterio. Il riconoscimento da parte dei fagociti, in genere, è un riconoscimento a cui segue la fagocitosi: il batterio riconosciuto, viene chiuso all’interno di un fagosoma e trasportato verso il lisosoma dove viene degradato. Un’altra forma di endocitosi, operata dalle cellule dendritiche, è la macropinocitosi, la quale rappresenta un’internalizzazione di patogeni o porzioni di patogeni in maniera indipendente dal recettore, cioè una captazione dell’antigene aspecifica che forma delle grosse vescicole pinocitiche, le quali poi vanno a formare un endosoma che si fonde con i lisosomi, che porta alla morte del batterio.  LA FAGOCITOSI: LE DIVERSE FASI La fagocitosi, consta di diverse fasi; innanzitutto, il fagocita, può riconoscere un batterio, il quale può rilasciare sostanze chemiotattiche che attraverso il riconoscimento dei recettori chemiotattici, presenti sulla superficie del fagocita, riconoscono il patogeno e lo internalizzano. Vi è dunque: 1. Chemiotassi; 2. Riconoscimento patogeno attraverso recettori per la fagocitosi; 3. Internalizzazione e formazione di un fagosoma o molecola fagocitica; 4. Fusione del fagosoma con un lisosoma, che contiene enzimi digestivi e sostanze battericide, on conseguente formazione del “fagolisosoma”; 5. Una volta attivato, il fagolisosoma, inizierà a digerire il patogeno con conseguente distruzione del patogeno stesso; 6. Formazione di un “corpo residuo” che conterrà materiale non digerito. 7. Il materiale indigesto, sarà espulso all’esterno della cellula. La fagocitosi consiste, quindi, nell’inglobamento, digestione ed eliminazione dei microorganismi da parte di cellule in grado di fagocitare. Il processo di fagocitosi consta di tre fasi: 1. CHEMIOTASSI E CATTURA: i fagociti, vengono attratti nel sito di infezione attraverso il rilascio di sostanze chemiotattiche; una volta giunti sul sito infetto, riconoscono e legano i microbi attraverso i recettori di membrana che riconoscono vari lassi di microorganismi. 2. INGESTIONE: gli pseudopodi dei fagociti, circondano il microbo fino a formare il fagosoma. Una volta formati, essi si fondono con i granuli citotossici che contengono enzimi idrolitici e altre sostanze battericide. 3. UCCISIONE DEI MICROBI: tale passaggio può avvenire mediante possibili meccanismi diversi: - Sistema ossigeno-dipendente: l’ossigeno è convertito tramite l’enzima NADPH- ossidasi a specie altamente reattive. - Sistema ossigeno-indipendente: digestione ed uccisione per mezzo di lisozima; contribuisce a tale meccanismo anche un ph acido, proteine cationiche ed enzimi idrolitici e proteolitici. - Sistema dell’ossido nitrico: l’arginina è convertita attraverso la i NOS a specie altamente reattive. I fagosomi sono ricchi di granuli che si dividono in: - Granuli primari; - Granuli secondari. I granuli primari o azzurrofili, sono detti anche aspecifici perché contengono un po' di quello che contengono i lisosomi, come ad esempio le proteasi. I granuli secondari, sono molto specifici; essi contengono la lattoferrina, un elemento fondamentale per la crescita dei batteri, ed anche i lisozimi e gli elementi per la NADPH- ossidasi. Le NADPH-ossidasi, non sono sempre attive, in quanto le sostanze da esse prodotte, sono tossiche per la maggior parte delle cellule; i batteri in particolare vanno in contro a morte aspecifica.  NADPH-OSSIDASI Tale complesso, è presente sotto forma di complesso oloenzimatio, comprende delle componenti alcune delle quali sono già presenti sulla membrana dei lisosomi, altre sulla membrana dei granulociti specifici dei neutrofili, altre componenti citosoliche vanno a legare la componente enzimatica dell’NADPH-ossidasi, soltanto in presenza di patogeni. Utilizzando NADPH e O2, attraverso una serie di tappe molecolari che prevedono l’azione dei perossidi e della mielo-perossidasi, producono una serie di specie reattive dell’ossigeno che possono ossidare tutto ciò che è presente nei baatteri all’interno del fagosoma.  i NOS (sintasi dell’ossido nitrico inducibile) Della NOS esistono due forme una costitutiva e una inducibile. La forma inducibile viene attivata anch’essa in seguito all’ingresso di un patogeno in un fagocita. Quando la i NOS si attiva, viene trascritta e tradotta, ovvero si accumula in presenza di un patogeno, e inizia a convertire l’arginina utilizzando come substrato l’ossigeno e il NADPH e la specie reattiva dell’azoto. Queste ultime vanno a nitrare le tirosine di molte proteine, inattivandole, e distruggendo i cluster di FeS e ZnS, i quali sono indispensabili in alcuni centri enzimatici di proteine batteriche.  RECETTORI CHE MEDIANO LA FAGOCITOSI La fagocitosi è tipica dei neutrofili e soprattutto dei macrofagi, i quali oltre all’attività fagocitica: - Producono citochine; - Possono attivare i linfociti T; - Contribuiscono all’infiammazione. I neutrofili, invece, possono compiere tutte queste attività tramite l’attivazione dei linfociti T. La fagocitosi è caratterizzata dal riconoscimento dei patogeni che avviene attraverso dei recettori di membrana che inducono la fagocitosi. Questi recettori, sono suddivisi in grandi linee in due classi: - Recettori fagocitici diretti; - Recettori per le opsonine. I recettori fagocitici diretti, ad esempio il recettore del mannosio, è in grado di riconoscere i mannani, che sono degli zuccheri presenti sulla superficie di alcuni patogeni. Le opsonine, sono molecole che legano la superficie dei patogeni e segnalano ai fagociti quali patogeni internalizzare e distruggere. Il primo esempio di opsonina è l’anticorpo, infatti, tra i recettori delle opsonine sono contenuti i cosiddetti “recettori per il frammento costante delle immunoglobuline” ovvero i recettori Fc. Altri recettori sono: - Recettori per componenti del complemento; - Recettori che riconoscono strutture che si sono depositate sul patogeno stesso. Inoltre, vi saranno, oltre ai recettori per i patogeni, anche i recettori per i detriti cellulari e cellule apoptotiche, i cosiddetti “SCAVENGER” o recettori “SPAZZINO”, i quali sono presenti in particolare sui macrofagi, che riconoscono oltre al lipopolisaccaride, anche cellule apoptotiche.  STRUTTURA DEI RECETTORI PER LA FAGOCITOSI I recettori per la fagocitosi hanno strutture differenti a seconda della tipologia. Alcuni recettori, sono di tipo lectinico: le LECTINE, sono proteine recettoriali che riconoscono carboidrati attraverso domini di forma “mezza luna”. Vi sono recettori con struttura di tipo integrinico: hanno la subunità alpha e quella beta, che riconoscono strutture sulla superficie dei patogeni, direttamente o indirettamente. Possiamo distinguere poi i recettori Fc per la porzione costante delle immunoglobuline, i quali sono opsine e dunque recettori indiretti, e recettori con domini ricchi di leucina LR, recettori tirosino-chinasici e recettori spazzino.  INFIAMMAZIONE È un meccanismo biologico ce si attiva in risposta ad un danno tissutale. Ha lo scopo difensivo e favorisce l’intervento di componenti del sistema immunitario nelle sedi in cui si verifica un’intrusione biologica e dà avvio alla ricostruzione del tessuto ed alla riparazione del danno. L’infiammazione consegue a stimoli di tipo: - Esogeni: fisici, chimici e biologici; - Endogeni: disordini metabolici e alterazioni immunitarie. In funzione della durata nel tempo l’infiammazione può essere: - Acuta: se si risolve entro qualche ora o pochi giorni; - Cronica: se perdura nel tempo. Il processo infiammatorio viene diviso in: - Angioflogosi; - Istoflogosi. L’angioflogosi, rappresenta la componente vascolare. L’infiammazione è caratterizzata da un insieme di manifestazioni che fanno capo a modifiche del microcircolo, come l’aumento della permeabilità dei capillari e la migrazione dei leucociti dall’interno dei vasi all’interstizio, per raggiungere il sito di infiammazione. Da un punto di vista sintomatologico, l’infiammazione è caratterizzata da 5 segni: 1. Rubor (arrossamento): dilatazione del letto vascolare periferico; 2. Calor (calore): aumento del flusso ematico nel microcircolo; 3. Tumor (gonfiore): aumento della permeabilità vascolare; 4. Dolor (dolore): compressione tissutale; 5. Functio lesa (compromissione della funzione): limitazione meccanica conseguente alla tumefazione. Nel corso di un’infiammazione, le cellule dell’immunità innata, vengono a contatto con i microbi. Questo stimola la risposta infiammatoria causata dal rilascio di mediatori solubili, in particolare citochine e chemochine, le quali hanno diversi effetti sia a livello locale che a livello sistemico. A livello locale, il rilascio di citochine causa: - Rallentamento del flusso ematico, dovuto alla vasodilatazione; - Aumento della permeabilità vascolare, dovuto alla fenestrazione dell’endotelio causata da una perdita di contatti cellula-cellula dell’endotelio vascolare; - Aumento dell’adesività dell’endotelio; - Richiamo di leucociti nel sito di infezione.  ADESIONE, DIAPEDESI ED EXTRAVASAZIONE DEI LEUCOCITI L’infiammazione, a livello dell’endotelio, è un processo di adesione, diapedesi ed extravasazione dei leucociti. Nella porzione del tessuto infiammatorio, le cellule del sistema immunitario innato, iniziano a rilasciare sostanze solubili, in particolare, citochine e chemochine. - Le chemochine: richiamano le cellule del sangue a livello tissutale, ma ciò non basta ai leucociti per arrivare ai tessuti; - L’altra attività di cui si necessita tipica delle chemochine e delle citochine è l’esposizione all’endotelio vascolare delle sostanze adesive, ovvero i recettori di adesione. Un’altra attività delle citochine riguarda l’interruzione delle strette connessioni presenti nell’endotelio permettendo in seguito il passaggio di sostanze, oltre che fluidi, dal letto vascolare all’interstizio. Le cellule presenti nel sangue, possono riconoscere dei recettori dell’endotelio vascolare di tipo adesivo, in particolare, il neutrofilo, presente nel lume del vaso, rallenta un po' il passaggio perché è presente una vasodilatazione. Contrariamente ad una situazione normale, in cui la parte corpuscolata del sangue tende ad accumularsi nel centro del vaso; quando il flusso è rallentato, le cellule tendono a depositarsi sulla parete del vaso. Quando l’endotelio vascolare espone delle sostanze adesive, il leucocita, in particolare il granulocita, può aderire all’endotelio stesso. L’adesione può essere mediata da SELECTINE, espresse sull’endotelio vascolare, con delle glicoproteine i cui carboidrati vengono riconosciuti dalle selectine che essendo delle LECTINE, riconoscono i carboidrati. L’interazione tra selectine e ligando della selectina, produce una prima adesione del granulocita all’endotelio vascolare; questa adesione, però, non è particolarmente forte perché il flusso riesce a spingere il granulocita che esercita una specie di rotolamento che andrà a distruggere l’interazione tra le selectine ed i ligandi delle selectine. Una volta che il leucocita aderisce all’endotelio, è possibile che un recettore per le chemochine interagisca con una chemochina prodotta a livello del sito di infiammazione e che va poi a localizzarsi sul glicocalice dell’endotelio. Le chemochine che riconoscono il recettore per chemochine a livello del granulocita, inducono una trasduzione del segnale all’interno del granulocita, la quale attiva le integrine. Le integrine esistono sotto 2 forme: bassa ed alta affinità. L’interazione della chemochina con il recettore per la chemochina, induce un’alterazione della conformazione dei recettori integrinicni che iniziano ad avere un’alta affinità per i propri ligandi. A questo punto, l’adesione del granulocita, risulta essere molto stabile e ferma. Di conseguenza, il leucocita, può attraversare il vaso e localizzarsi a livello del sito di infiammazione attraverso il fenomeno della diapedesi. PROCESSO INFIAMMATORIO L’infiammazione è larisposta generale al dannoal nostro organismo: danno di varia natura, nell’ambito del SI di tipo microbiologico (sebbene non sia l’unico, poiché il SI viene coinvolto in altre forme di danno: eliminazione cellule morte, detriti cellulari e risoluzione dell’infiammazione). Il fenomeno vascolare infiammatorio, rallentando il circolo ematico, permette l’avvicinamento delle cellule che viaggiano nel sangue con la parete vascolare. L’endotelio viene reso più adesivo dalle citochine rilasciate in corso d’infiammazione e ciò fa sì che i leucociti possano interagire con esso più labilmente prima e poi in maniera più ferma quando si ha l’attivazione dei recettori integrinici, e questo consente il passaggio dei leucociti attraverso la membrana stessa. Il processo viene definito “diapedesi”. I leucociti, richiamati da un gradiente chemotattico dovuto a sostanze chemotattiche tra cui le chemochine, si posizionano nel sito infiammatorio. Tutte queste attività ma anche altre sono dovute ai mediatori dell’infiammazione che possono essere: derivati dal plasma; prodotti cioè secreti da cellule. Quelli presenti nel plasma appartengono al sistema del complemento, a quello delle chinine e a quello della coagulazione. Molti esistono sotto forma di precursori inattivi e vengono attivati mediante taglio proteolitico. I mediatori derivati da cellule possono essere preformati, sequestrati e rilasciati sotto stimolazione (l’istamina dei mastociti) oppure sintetizzati all’occorrenza (prostaglandine, leucotrieni, citochine). Le citochine richiedono più tempo per essere prodotte poiché richiedono una tappa trascrizionale, una traduzionaleed eventualmente un processamento post- traduzionale. Le amine vasoattive sono preformate e presenti nei granuli di alcune cellule: nei granuli dei mastociti e dei basofili e dalle piastrine in risposta al danno. Tra le amine vasoattive ci sono l’istamina e la serotonina. Esse vengono rilasciate in pochi minuti dall’attivazione delle cellule che le contengono e causano la dilatazionedel letto vascolare e anche un aumento della sua permeabilità, cosa che permette il passaggio di cellule e fluidi. Anche altri stimoli come le reazioni immunitarie, i frammenti del complemento e alcune citochine possono stimolare mastociti e basofili a rilasciare la serotonina. L’istamina viene rilasciata nel caso di reazioni allergiche. L’istamina è un mediatore capace di indurre vasodilatazione, aumento della capacità vascolare e stimola diversi fenomeni patologici legate alle allergie. Altri specifici mediatori sono le proteasi plasmatiche che tagliano in siti specifici proteine più a valle nel pathway. Fanno parte di questa classe il sistema della coagulazione, quello del complemento e quello delle chinine. Non parleremo del sistema della coagulazione. Si tratta di proteasi sieriche in cui il fattore di Hageman (Fattore XII) ha un ruolo fondamentale. Esso reagisce con il collageno o la membrana basale o mediante attivazione delle piastrinee si converte in fattore XII attivo. L’attivazione della cascata, attraverso una serie di tappe intermedie, converte il fibrinogeno in fibrina. Non diremo altro su questo sistema. Il coagulo che si forma in corso d’infiammazione partecipa al fenomeno infiammatorio per esempio delimitando l’infiammazione evitando che possa diffondersi. Il sistema delle chinine ha come mediatore finale la bradichinina che deriva dal taglio proteolitico di un precursore ad alto peso molecolare; essa causa come effetti l’aumento della permeabilità vascolare, dilatazione arteriolare, contrazione del muscolo liscio,avvertimento del dolore (è un recettore nocicettivo) e va incontro a un’inattivazione rapida tramite chininasi. Un altro gruppo di mediatori dell’infiammazione è rappresentato dai metaboliti dell’acido arachidonico. Questi metaboliti vengono prodotti in una decina – ventina di minuti a partire dall’inizio dell’infiammazione. Comprendono: prostaglandine e trombossani, formati a partire dalla cicloossigenasi e che causano vasodilatazione ed edemaprolungato. Vi sono poi i leucotrieni, prodotti attraverso la via della lipoossigenasi, che hanno attività chemiotattica, vasocostrittrice e inducono un aumentodella permeabilità vascolare come pure broncospasmo. La diapositiva mostra la via di sintesi dei principali lipidi dell’infiammazione. Dai fosfolipidi di membrana attraverso l’azione della fosfolipasi A2 (PLA2) viene generato l’acido arachidonico. Esso a seconda che venga sottoposto all’azione del ciclo ossigenasi o lipoossigenasi può formare le prostaglandine H2 (PGH2) che tramite diverse tappe enzimatiche può dare origine alle prostaglandine I2 (PGI2), alla E2 (PGE2), alla F2 (PGF2), al trombossano A2. Di contro la lipoossigenasi converte l’acido arachidonico in leucotrieni, sostanze più lente nell’azione rispetto a prostaglandine e trombossani. In ogni caso partecipano tutte ai fenomeni vascolari dell’infiammazione causando vasodilatazione ed aumento della permeabilità vascolare dell’endotelio. Alcuni di essi però sono anche forti fattori chemiotattici, che contribuiscono a richiamare nel sito d’infezione i leucociti. Gli ultimi mediatori di cui parliamo sono le citochine: mediatori lipidici. Sono glicoproteine, prodotti proteici cellulari, che servono da comunicazione fra le cellule. Non si limitano ad un’attività nell’ambito del sistema immunitario ma sono fattori con altre attività: fattori chemiotattici, di crescita, non solo per l’immunità ma anche per altre cellule. Si tratta di proteine prodotte da alcune cellule e che agiscono su cellule bersaglio tanto vicine quanto distanti. Possono essere, perciò, paragonate a ormoni. Fra le citochine più importanti dell’infiammazione, quelle che dobbiamo ricordare: IL-1, TNF- alfa e beta, IFN-alfa e beta, che sono tutti mediatori importanti dell’infiammazione. In generale le citochine pro infiammatorie agiscono potenziando l’infiammazione attraverso vari meccanismi. Le più importanti, la IL-1, l’IL-6 e TNF-alfa, inducono un aumento della permeabilità vascolare e dell’adesività dell’endotelio, ma inducono pure effetti a distanza. L’endotelio viene colpito a livello locale, mentre tra gli effetti sistemici figurano le reazioni dell’organismo all’infezione: aumento dellatemperatura corporea e la reazione di fase acuta. Quest’ultima reazione si attua a livello del fegato. Per riassumere quanto detto e per comprendere le azioni pleiotropiche delle citochine, in particolare delle tre citate, si può osservare la tabella che specifica anche l’azione su organi distanti. Nel fegato si attiva la risposta di fase acuta: gli epatociti riconoscono l’IL-6 perché possiedono il recettore per l’IL-6, inducendo una modificazione della trascrizione dell’epatocita stesso. Esso inizia a trascrivere proteine che normalmente non fa, e che sono caratteristiche della risposta infiammatoria. Questo switch trascrizionale induce l’epatocita a sintetizzare le “proteine di fase acuta”. Le proteine di fase acuta aiutano la reazione immunitaria innata contro particolari infezioni: un esempio è rappresentato dalla proteina C-reattiva e dalla lectina legante il mannosio, presenti in quantità bassa nel siero ma che aumentano moltissimo in corso d’infiammazione. Queste due proteine sono dette pure “recettori solubili dell’immunità innata”. Cosa significa? Queste proteine rilasciate in circolo sono capaci di legare i patogeni. Da un lato i patogeni ricoperti da queste proteine possono essere opsonizzati facilmente, riconosciuti dai fagociti, e internalizzati; dall’altro recettori come la lectina legante il mannosio, che riconosce i mannani sulla superficie dei patogeni, possono attivare il complemento. Le proteine di fase acuta agiscono insomma attivando il complemento o mediante opsonizzazione. Un altro organo bersaglio tipico dell’infiammazione è il midollo osseo che contiene le cellule staminali pluripotenti. Quando esse sono sottoposte a stimolo citochinico aumentano la loro produzione di un certo tipo di cellula. Possono aumentare la mobilitazione di granulociti neutrofili, perché aiutano i macrofagi a fagocitare i microbi responsabili dell’infiammazione. Il fenomeno della neutrofilia è proprio relativo all’aumento di queste sostanze. Un altro organo ancora bersaglio è l’ipotalamo: le citochine vengono dette “pirogeni endogeni” poiché aumentano la temperatura corporea, quindi l’ipotalamo stimolato rilascia prostaglandine che inducono l’aumento della temperatura. A cosa serve la temperatura elevata? Quando essa aumenta si ha un effetto inibitorio sulla crescita di virus e batteri. L’altro organo bersaglio delle citochine è il grasso, il muscolo: qui inducono l’aumento di proteine ed energia portando all’aumento di temperatura. L’aumento di temperatura aumenta e rende più efficiente il processamento della presentazione ai linfociti T, aumentando quindi la risposta immunitaria specifica. Queste cellule agiscono a livello delle cellule dendritiche, cellule tipicamente tissutali: esse riconoscono le citochine pro infiammatorie come TNF-alfa, e dopo essersi legate al patogeno, si attivano e innescano la risposta immunitaria adattativa.  LA RISPOSTA DI FASE ACUTA Per quanto riguarda la risposta di fase acuta è indotta dalle citochine pro infiammatorie sugli epatociti. L’IL-6 viene prodotta nel sito d’infiammazione e rilasciata localmente e a distanza. L’epatocita stimolato da essa produce le proteine di faseacuta come la proteina C reattiva, la proteina amiloide sierica (pentraxine), la MBL e i surfattanti A e D (collectine). Tutte queste proteine sono opsonine: esse legano la superficie dei batteri rendendoli più riconoscibili da parte dei fagociti (macrofagi e neutrofili). In più alcune proteine di fase acuta aiutano l’elevazione della temperatura corporea, quindi inducono la febbre. Quando i batteri incontrano il macrofago,l’IL-6 agisce a livello del fegato dove gli epatociti producono le diverse proteine sopramenzionate. Le pentaxine sono composte da 5 monomeri che formano un pentamero. La proteina amiloide sierica e la C reattiva sono dei recettori solubili dell’immunità innata, cioè opsonine: esse legano componenti della parete batterica. La C-reattiva lega la fosfocolina come si evince dalla figura. La lectina legante il mannosio fa parte delle collectine, come pure i surfattanti A e D, e sono essi tutti in grado di legare i mannani sulla superficie del patogeno. La lectina legante il mannosio è anche capace di attivare il complemento. Una volta attivato porta alla distruzione del patogeno. Un’altra cosa da sapere è che:l’infiammazione deve autolimitarsi, soprattutto quando il patogeno è eliminato. Se l’infiammazione non si autolimitasse, i continui meccanismi infiammatori diventerebbero dannosi per l’organismo. L’infiammazione acuta è per definizione un meccanismo che si limita. Il periodo di tempo varia da ore a giorni. Non solo bisogna aspettare l’abbassamento dei livelli delle reazioni ma bisogna anche stimolare la riparazione lì dove c’è stata una perdita. L’infiammazione cronica come l’artrite reumatoide o la paradontite si verificano quando persiste l’antigene o i meccanismi di riparazione sono difettivi e non si riesce a spegnere l’infiammazione. La risoluzione, invece, porta alla formazione di una cicatrice (sostituzione del tessuto presente nell’organo con tessuto fibroso), oppure alla formazione di un ascesso (enorme proliferazione batterica con eccesso di neutrofili che non vengono eliminati in tempo e portano alla formazione di un pus). Nelle condizioni ideali l’infiammazione si risolve in maniera spontanea. Si tratta di un processo in parte passivo. “In parte” perché si è visto che lo spegnimento dell’infiammazione richiede la presenza di mediatori diversi da quelli pro infiammatori. Si ha uno switch nella produzione dei mediatori durante la risposta, e che interessa i recettori lipidici dell’infiammazione. Questi mediatori, diversi da quelli iniziali, li vediamo nella slide. Per attività di alcune lipoossigenasi (tipo 5, 15 e 12) vengono prodotti mediatori lipidici della risoluzione dell’infiammazione: le lipossine, le resolvine, le protectine e le maresine. Qual è l’attività biologica di questi mediatori? Le lipossine reclutano dei macrofagi pro-resolving che stimolano la risoluzione dell’infiammazione e la limitano tramite meccanismi di efferocitosi (captazione dei neutrofilimorti, sottoposti ad apoptosi e che devono essere rimossi dal sito d’infezione). Essi stessi iniziano a innescare la produzione di resolvine e protectine. Nella fase risolutiva dell’infiammazione, le risolvine stimolano la rimozione di tutti i polimorfonucleati che hanno fatto il loro dovere. RECETTORI DELL’IMMUNITÀ INNATA In diapositiva sono riassunte le differenze tra i recettori dell’immunità innata e quelli dell’adattativa. - I recettori dell’immunità innata: sono specificati nel genoma, sono espressi da tutte le cellule di un particolare tipo (macrofagi), vengono attivati rapidamente, riconoscono grosse classi di patogeni, interagiscono con un ampio range di strutture molecolari di un dato tipo; - i recettori dell’adattativo non fanno tutto ciò. I recettori dell’immunità adattativa invece: sono codificati in multipli segmenti genici, richiedono riarrangiamenti somatici, hanno distribuzione clonale, sono in grado di discriminare tra strutture molecolari simili tra loro; mentre i recettori dell’innata non hanno queste caratteristiche. Detto ciò, una delle prime cose che balzano agli occhi è la capacità del SI di riconoscere il no- self. Adesso si introducono i concetti di “no-self” e “perdita del self”. Il no-self deriva da tutto ciò che è estraneo (micorganismi virali batterici etc): questo non self è rappresentato dai PAMPs, strutture molecolari associate ai patogeni. Queste strutture sono tipiche molecole non presenti sulle cellule self, come ad esempio (fondamentale) il lipopolisaccaride. Questi PAMPs vengono riconosciuti dai recettori specifici del self, i PRRs. Di fatto, però, i recettori dell’immunità innata si sono sviluppati per riconoscere la “perdita del self”. Essa è riconosciuta attraverso il sistema di recettori esposti sulle cellule dell’immunità innata, alle molecole self. Quali strutture riconoscono il self? Alcune strutture di superficie che sono il nostro marchio di fabbrica: le MHC1. Esse vengono espresse su tutte le cellule nucleate del nostro corpo. Poiché si tratta di molecole self, questi recettori dell’innata non sono attivatori ma inibitori: essi dicono alla cellula dell’innata di non attivarsi. Oltre alla perdita del self i recettori dell’innata riconoscono anche il “self alterato”. La cellula che ha subito un danno (per esempio genotossico o metabolico) espone in membrana recettori detti allarmoni. Queste molecole sono dette anche DAMPs, strutture molecolari associate al danno. Tali marcatori di danno, solubili o di membrana, prodotti dalla cellula (MICA, MICB, HMG1) sono riconosciuti da recettori espressi sulle NK o altre cellule dell’innata stimolate dalla presenza del danno.  RECETTORI DELL’INNATA Essi si trovano su tutte le cellule dell’innata, alcuni sono più specifici di alcune cellule come per le NK (ma tutte le NK esprimeranno quasi tutti i recettori per le NK). Si prende come esempio il macrofago. I recettori che esso possiede sono per esempio quelli per componenti conservate dei patogeni, quelli del complemento, poi i recettori scavenger che rimuovono cellule morte e detriti. Le molecole riconosciute dai recettori dell’immunità innata, sono acidi nucleici (dsRNA nei virus, CpG DNA nei batteri) ma anche componenti della cellula, e pure ancora proprietà della membrana (esposizione di fosfolipidi acidi tipici di batteri e funghi). Alcuni altri componenti batterici come i peptidi N-formilati tipici delle proteine batteriche sono anch’essi riconosciuti dal sistema immunitario innato. Vediamo in slide i PAMP dei gram positivi e negativi. Tutte le strutture presenti sono PAMP: i lipopolisaccaridi, la lipoproteina, il peptidoglicano, l’acido teicoico e l’acido lipoteicoico. Per ciascuno di questi componenti le nostre cellule del S.I.A. hanno dei recettori.  FUNZIONI DELL’IMMUNITÀ INNATA - Fagocitosi: della fagocitosi si è già detto che esistono diversi recettori: quelli che li riconoscono direttamente (come quello per il lipopolisaccaride) e quelli che riconoscono le opsonine. Da un punto di vista biochimico, ci sono differenti tipi di strutture: - Lectiniche; - Integrinici; - Scavenger; - recettoriFC; - recettori ricchi in leucina e tirosina chinasi. Per quanto riguarda i lectinici, le lectine riconoscono glucidi. - Il recettore del mannosio è presente in quasi tutte le cellule dell’innata e riconosce i mannani. Si tratta di una proteina transmembrana. Il dominio extracellulare presenta vari domini: quello ricco in cisteina che media il legame agli zuccheri, uno che contiene ripetizioni di fibronectina e domini di riconoscimenti dei carboidrati, o domini lectinici. Questi riconoscono un legame calciodipendente dai domini carboidratici, esposti sulla superficie di patogeni. Nello specifico riconoscono i mannani. In generale questi domini carboidratici riconoscono in maniera cooperativa la superficie dei patogeni attivando la fagocitosi. - I recettori scavenger hanno natura trimerica legate alla membrana del macrofago. Delle varie classi si mostrano in figura le SR-AI, SR-AII ed SR-AIII. Esse rimuovono detriti e cellule morte dell’organismo. - I recettori per il frammento Fc, o frammento costante, delle immunoglobuline: Nello stelo della Y, che contiene l’attività effettrice, sono presenti anche i domini costanti delle immunoglobuline che vengono riconosciute dai recettori. Lo stelo, detto pure frammento Fc perché è stato cristallizzato, possiede recettori: Fc gamma che riconosce le immunoglobuline C, Fc alfa che riconosce le immunoglobuline A, e così via. Il recettore FcgammaR1 è costituito da un etero dimero di una catena alfa e due gamma: le due gamma trasducono il segnale all’interno della cellula. Questo è un tipico recettore per la fagocitosi che non riconosce direttamente la struttura del patogeno ma l’opsonina che ha riconosciuto il patogeno. È esposto su tutti i fagociti e bisogna ricordarlo, al contrario degli altri che sono importanti ma non riguardano la fagocitosi. Il recettore CD11b costituito dalla alfaM/beta2 integrina (detto pure CR3), riconosce le opsonine del complemento. È un eterodimero alfa-beta con porzione extracellulare che lega il ligando, una intracellulare che da un lato lega il citoscheletro e dall’altro induce il segnale. - Un altro recettore per la fagocitosi è tirosin chinasico e si chiama Mer;è costituito da un dimero di due monomeri identici di Mer; contiene un dominio intracellulare tirosin chinasico. Questo recettore riconosce i ligandi detti GAS6 e protein S presenti sulla superficie di cellule apoptotiche. Quindi questo recettore non riconosce cellule no-self ma cellule del self andate incontro a morte. Le cellule apoptotiche espongono la fosfocolina, un segnale tipico di queste cellule. Esse possono in ogni caso essere riconosciute o tramite questi segnali o tramite opsonine. Qualunque segnale, sia esso sulla superficie del microorganismo o sia esso un’opsonina, viene detto “eat me signal”. I RECETTORI DELL’IMMUNITA’ INNATA E LE LORO FUNZIONI Un’altra funzione dei recettori dell’immunità innata è la chemiotassi. Essa dipende proprio dalla mobilità delle cellule dell’immunità innata, che anche se sono cellule sentinelle, periferiche, possono muoversi verso i linfonodi dove attivano l’immunità adattativa. Le chemochine sono le principali molecole chemoattattanti utilizzate in corso delle infezioni e delle infiammazioni per richiamare leucociti in un tessuto attraverso un gradiente di concentrazione. Questa chemiotassi può essere indotta da chemochine, cioè citochine prodotte durante l’infezione, oppure possono essere prodotte dagli stessi batteri. Microrganismi possono essi stessi produrre sostanze ad attività chemotattica. Le cellule del nostro sistema immunitario sono dotate di recettori in grado di riconoscere sostanze solubili rilasciate da patogeni. Questo tipo di segnale richiama per esempio i leucociti nel sito d’infezione. La chemochina viene rilasciata in un sito infettivo e forma un gradiente di concentrazione più concentrato nella posizione in cui l’infezione è avvenuta: lì dove c’è molta concentrazione di patogeni e chemochine prodotte dalle cellule dell’immunità innata. La chemochina man mano che ci allontaniamo dal sito infettivo raggiunge concentrazioni sempre più basse, sentite però dalle cellule dell’immunità, poiché possiedono recettori chemotattici. Si crea un movimento direzionale, non aspecifico, che muove la cellula verso la maggiore concentrazione del gradiente. Per fare un esempio di sostanze chemotattiche, le chemochine (citochine ad attività chemotattica) sono piccole glicoproteine la cui struttura è visibile in diapositiva. Sono caratterizzate dalla formazione di un ponte disolfuro tra due cisteine; esso induce la formazione di una struttura secondaria nelle chemochine stesse. La classificazione delle chemochine riflette la posizionedel numero di residui di cisteina N- terminali dei vari gruppi di chemochine. Esistono in questo senso quattro gruppi: 1. CXC: con un amminoacido che intervalla le due cisteine: 2. CC: con due cisteine adiacenti; 3. C: con una sola cisteina nell’ambito del dominio N-terminale, che si lega a una cisteina in prossimità del terminale carbossilico; 4. CX3C: le cisteine sono distanziate da tre amminoacidi. Si formano regioni in cui le citochine legano il recettore proprio grazie a questi ponti. La classificazione allora è sia strutturale che funzionale, perché le chemochine hanno non solo attività chemotattica, ma sono dotate di altre attività biologica. Per esempio l’induzione della proliferazione, della sopravvivenza, della motilità, e sono in grado di indurre angiogenesi. Sono fattori capaci di aumentare la vascolarizzazione di un tessuto per favorire attraverso la formazione di nuovi vasi l’ingresso di altri leucociti a livello del sito infiammato. Oltre ad avere potere chemotattico hanno un potere pro-angiogenico e in particolare sembra che le chemochine con la sequenza –CXC- siano dotate di questo potere, sebbene ciò non sia vero in tutti i casi. Una slide mostra la capacità delle differenze chemochine di legare diversi tipi di recettori. Osservabile che le CXC legano i recettori per le CXC (chiamati quindi CXCR1, CXCR2 etc). Così i recettori per le –CC- verranno chiamati CCR1, CCR2 etc. Esistono molti recettori per chemochine differenti, ma alcuni sono altemente specifici come CXCR4. La stessa chemochina può legare più recettori: per esempio la chemochina CXCL8 (interleuchina 8) lega sia CXCR1 che CXCR1. L’espressione di questi recettori e di queste chemochine interessa le cellule del SI, ma essi e i loro ligandi vengono espressi anche da cellule non immunitarie come quelle epiteliali. Fermo restando che la loro espressione può aumentare in corso di infiammazione. Il tessuto oggetto di infiammazione quindi partecipa attivamente all’infiammazione producendo citochine e chemochine pro-infiammatorie, anche se queste molecole sono state identificate per la prima volta nei leucociti e nelle cellule immunitarie. Questa capacità di svolgere più funzioni delle chemochine si dice pleiotropia. Qual è la conseguenza del legame di una chemochina al proprio recettore? In primo luogo va ripetuto che esse legano recettori specifici. In generale i recettori chemotattici possiedono 7 domini transmembrana accoppiati a proteine G. I sette domini transmembrana conferiscono al recettore una struttura a serpentina. Il loro inserimento e fuoriuscita dalla membrana forma una tipica serpentina. La porzione C-terminale è esposta nello spazio intracellulare, quella N-terminale nello spazio extracellulare. Probabilmente questi recettori dimerizzano una coppia di ligandi e vanno incontro a un cambio conformazionale, attivando la subunità della proteina G. Quindi essa è libera di svolgere la sua funzione come per esempio attivare la via delle Map chinasi, o per esempio attivare la via della proteina chinasi C. Un’altra via attivata da questi recettori è la via JARK-STAT in cui delle tirosino- chinasi citosoliche (in particolare della famiglia JARK) si associano al recettore GPCR dopo la sua attivazione e avviano la fosforilazione di residui di chirosina. Questi attivano i fattori di trascrizione STAT accoppiati in omodimeri, che poi migrano nel nucleo e permettono la trascrizione di alcuni geni. Questi recettori non appartengono solo a quelli per le citochine chemiotattiche, ma anche ad altre classi. Uno schema tipico di recettore chemiotattico è rappresentato dal recettore per il formil peptide (FPR). Questi recettori sono presenti sui leucociti, ma anche su cellule non immunitarie. Nella figura si osservano in rosso le regioni deputate al legame con il ligando. Questi recettori riconoscono il peptide formilato. Le metionine che iniziano le proteine batteriche non sono uguali a quelle degli eucarioti perché presentano formilazione anziché metilazione. Quando le proteine batteriche vanno incontro a degradazione durante l’infezione, il peptide N- terminale di cascuna proteina viene formilato. Il peptide N-formilato rilasciato nel corso di un’infezione batterica e di un’infiammazione costituisce di per sé una molecola chemiotattica. Questi peptidi costituiscono un fattore chemioattrattante per le cellule che riconoscono il formil peptide, fattore esogeno chemioattrattante. I recettori per i peptidi formilati sono di tre tipi (FPR1, FPR2, FPR3) e riconoscono diverse strutture batteriche: alcuni il peptide formilato a diverse concentrazioni, altri riconoscono peptidi solo di specifici batteri. I peptidi formilati sono promiscui: i recettori per i peptidi formilati non riconoscono solo sostanze esogene, derivate da patogeni insomma, ma anche sostanze di origine endogena. I DAMP sono molecole rilasciate dalle nostre cellule in corso di danno cellulare (che sia ha sempre in corso di infezione e infiammazione) che riconoscono gli “allarmoni” e sostanze pro-risolutive. Alcuni di questi recettori sono coinvolti nella fase di risoluzione dell’infiammazione: FPR2 nella fattispecie riconosce varie resolvine, quindi fa parte del meccanismo di risoluzione dell’infiammazione. Il recettore per il formil peptide così come molti recettori dell’immunità innata, hanno la capacità di riconoscere differenti molecole, non soltanto una specifica molecola, sia esogene che endogene, con funzionalità diverse (promuovere le infiammazioni o addirittura portarla a risoluzione). La funzione comunque principale del recettore per il formil peptide, quella per cui vennero identificati per la prima volta, è la loro funzione chemiotattica. I granulociti basolifi e i neutrociti sono tutti capaci di esprimere il recettore per il formil peptide e quindi di essere richiamati nei siti infiammatori per localizzare le cellule del SII nel sito in cui si è verificata l’infezione. Mancano da vedere solo i recettori che inducono la secrezione di molecole effettrici (nell’ambito dei recettori dell’immunità innata): citochine e chemochine e molecoleMHC. Dopo aver riconosciuto un patogeno (per esempio un gram negativo o positivo) inducono la cellula ad attivarsi e ad attivare una risposta essenzialmente pro-infiammatoria. Com’è che i patogeni inducono l’infiammazione? Ci sono recettori che riconosciuti i patogeni non hanno attività fagocitica né chemiotattica, ma inducono nella cellula che ha riconosciuto il patogeno una risposta pro-infiammatoria. Questi recettori dell’immunità innata stimolano diversi meccanismi effettori durante la risposta antibatterica o antivirale e sono divisi in varie classi strutturali e funzionali: - Toll-like receptors; - NOD-like repectors; - Elicasi RIG-like. Questi sono presenti nelle cellule sentinella perché devono captare la presenza di batteri e virus per promuovere l’infiammazione TOLL LIKE: da un punto di vista struttura è abbastanza simile, almeno nella porzione intracellulare, al recettore per l’interleuchina 1. Il recettore IL-1R possiede una porzione extracellulare che riconosce il ligando, si tratta di domini Ig-Like (simil immunoglobulinici), una porzione transmembrana che consente al recettore di attraversare il doppio strato, e un dominio intracellulare o dominio TIR (toll- like interleuchine 1 interdomain) altamente conservato sia nell’IL-1R che in quello dei TLR. Tre zone nello specifico sono conservate e si chiamano BOX1,BOX2,BOX3. Il recettore per l’interleuchina 1 non ha attività enzimatica intrinseca come i recettori tirosina- chinasici. Esso deve associarsi a delle tirosine chinasi citosoliche che effettuano la trasmissione del segnale. Nel recettore toll like, che pur possiede un dominio intracellulare simile a quello dell’IL-1R, nel dominio extracellulare non si osservano Ig- like domain ma domini ricchi in leucina, degli stretch di amminoacidi ricchi in leucina, con affinità per una serie di ligandi. I recettori toll like vengono chiamati così perché sono omologi ai recettori Toll identificati per la prima volta in Drosophila, con un’immunità molto rudimentale rispetto al nostro SI. I toll like receptors sono molto conservati nell’evoluzione vista la loro importantissima funzione di riconoscimento dei patogeni. Nello schema in figura viene mostrata la complessità e diversità dei TLR: ne esistono più di dieci e legano ligandi di varia natura. La struttura del dominio extracellulare è conservata in tutti e dieci. Ciascun toll like receptors ha una sua specificità di riconoscimento. Anche i toll like come i recettori per il formil peptide riconoscono prevalentemente ligandi esogeni, ma si è visto che si tratta di recettori anch’essi promiscui: rilevano strutture esogene ed endogene, sia che segnalano danno sia di natura endogene e basta (strutture dell’ospite). Per la prima volta sono stati identificati e classificati per essere recettori che riconoscessero delle strutture legate ai patogeni (PAMP, motivi molecolari associati ai patogeni). Il toll like di tipo 3 riconosce il dna a doppio filamento; il toll like receptors 4 è il recettore per il liposaccaride; il tipo 5 riconosce la flagellina; il tipo 8 riconosce il single strand di RNA; il tipo 9 riconosce DNA ricco di CpG non metilate (più tipiche dei batteri). I Toll like che bisogna ricordare sono il 4 (recettore per LPS, HSPs, HMGB1che è un allarmone, e varie proteine virali), il 5 (riconosce la flagellina batterica), 7 (riconosce single strand rna virale), 8 (riconosce single strand rna virale), 9 (riconosce il DNA CpG non metilato tipico di virus o batteri). Ciascuno di questi recettori riconosce più ligandi. Alcuni toll like funzionano come monomeri, altri come dimeri o eterodimeri. A seconda di ciò, riconoscono strutture differenti: il toll like receptor 2 riconosce il PGN ma associato al tipo 3 può riconoscere strutture tipiche del lievito; così pure associato il 2 al 6 riconosce la modulina. Il TLR1 riconosce alcune proteine batteriche ma può inibire l’attività del dimero TLR2/TLR6 (agisce come “modulatore negativo”). Si tratta di recettori estremamente numerosi e promiscui nella loro capacità di riconoscimento, con un dominio intracellulare abbastanza simile che garantisce l’attivazione del processo di trasduzione. Il pathway si conclude nel nucleo dove vengono trascritti i geni e quindi viene modulata la risposta immunitaria innata (come la produzione di alcune citochine). Bisogna ancora dire dei Toll like receptors che sono localizzati sulla plasmamembrana, esposti all’esterno della cellula. Questi riconoscono strutture tipiche dello spazio extracellulare. Toll like receptors di questo tipo sono il tipo 2, 4, 5. Il tipo 4 utilizza come cofattore la proteina MD-2 ed è in questa formazione che riconosce il lipopolisaccaride (LPS). Altri TLR sono sempre di membrana ma si trovano nel compartimento vescicolare endosomiale: si tratta del 3, 7, 9 e riconoscono genomi di batteri e virus internalizzati da una cellula dell’immunità innata. Non confondere con recettori TLR liberi di muoversi nel citosol. I TLR riconoscono patogeni nello spazio extracellulare, negli endosomi e alcuni altri nel citoplasma della cellula stessa. Una volta che il TLR ha legato il ligando si attiva un pathway. Il TLR9 e il TLR3 che riconoscono rispettivamente il CpG DNA e il dsRNA virale si trovano nello spazio endosomiale. È possibile che riconoscano genomi batterici sotto forma di DNA o RNA. La trasduzione del segnale a valle risulta sempre in un unico evento: l’attivazione del fattore di trascrizione NFkB. Nel caso del TLR9, il substrato TRAF6 porta all’attivazione di un complesso di chinasi IKK che fosforila una proteina IKB, inibitore del fattore di trascrizione NFkB. Una volta fosforilata la proteina si stacca e NFkB è libero di entrare nel nucleo e attivare la trascrizione. La fosforilazione di IKB lo rende substrato di ubiquitinazione da parte di ubiquitino- ligasi che lo riconoscono solo se fosforilato. La sua degradazione nel proteasoma libera, come già detto, NFkB. Quali sono i promotori responsivi a NFkB? Nel caso di un’infezione di tipo batterico bisogna attivare l’infiammazione, soprattutto potenziare la fagocitosi: questo ruolo viene assolto dal TNFalfa, una citochina. In generale la trascrizione del TNF non è stimolata solo da NFkB: altri fattori di trascrizione devono posizionarsi sul TNF, quindi NFkB è un fattore necessario ma non sufficiente. Il promotore del TNFalfa viene legato, per esempio, da IRF-5 fosforilato nel caso del pathway del TRF9. Nel caso di TRF3 invece i fattori che si associano a NFkB nel suo ruolo sono le IRF-3 fosforilate. La differenza tra TNFalfa e le altre citochine classiche e gli interferoni sono delle proteine antivirali. Gli interferoni si comportano da pirogeni endogeni, reagiscono con i neuroni ipotalamici innalzando la temperatura corporea. Gli interferoni hanno soprattutto un effetto locale, poiché sono capaci di interferire con il ciclo vitale dei virus. Specificamente quando è presente un virus sotto forma di RNA a doppio filamento, si stimola il TLR3 e il suo pathway di conseguenza. Gli ultimi recettori dell’immunità innata attivano l’infiammazione attraverso l’attivazione delle cellule dell’immunità innata. Si tratta dei Recettori NOD-like e delle Elicasi RIG-like. Questi recettori sono deputati al riconoscimento di strutture anomale, derivate da patogeni, nel citosol (quindi riconoscono virus ma anche patogeni di origine batterica). Ciò deve rappresentare un segnale per la cellula di attivarsi. NOD-Like: Il primo gruppo di recettori citosolici di cui parliamo sono i NOD-Like caratterizzati da un dominio NOD-like, un dominio di riconoscimentoe oligomerizzazione dei nucleotidi. I recettori NOD-like si distinguono in due classi: NOD-like propriamente detti e i recettori NALP. Da un punto di vista strutturale alcuni recettori NOD-like come NOD1 e NOD2 riconoscono alcune strutture di patogeni: NOD2 riconosce l’acido meso diamino pimelico e il peptidoglicano, mentre NOD1 l’acido meso diamino pimelico. Sono molto simili tra loro e possiedono dei domini CARD terminali. Si tratta di domini di reclutamento e attivazione delle caspasi. Sono dei domini di interazione proteina proteina presenti nella via apoptotica. I domini CARD mediano l’interazione con altri domini CARD, cosa che aggrega le caspasi e le attiva. Non sono esclusivamente presenti nelle proteine delle apoptosi ma anche nei recettori dell’immunità innata, dove hanno la capacità di mediare l’interazione omotipica tra domini CARD differenti per promuovere l’oligomerizzazione dei recettori. Sono caratterizzati da domini ricchi di leucina, detti LRRs , che probabilmente riconoscono il ligando, oltre due domini di analogia, il dominio NAD e quello NACHT. I recettori NOD1/2 riconoscono il muramildipeptide derivato dal peptidoglicano ed attivano NFkB (nuclear factor kb). Fu identificato per la prima volta come fattore nucleare presente nelle cellule B capace di promuovere l’attivazione di promotori della catena leggera k delle immunoglobuline (la catena leggera delle immunoglobuline è di tipo k, o di tipo lambda). Nello schema si osserva il recettore NOD1/2 che ha un recettore di riconoscimento del ligando nelle strutture LRRs e riesce a riconoscere un agonista, o ligando. I domini CARD rappresentati riconoscono altri domini CARD presenti su altre proteine. L’intermedio di reazione più importante a valle dei recettori NOD è la proteina ad attività chinasica RICK. Essa ha due domini: uno appunto chinasico, e uno che lega CARD. Quando i domini CARD delle proteine NOD e RICK si associano, attivano le chinasi a valle. RICK attivata fosforila IKB (già incontrato nel caso dei TLR) garantendo il rilascio di NFkB. NFkB migra dal citoplasma al nucleo e agisce esattamente come nel caso dei TLR. Concludiamo che i recettori NOD- like riconoscono strutture di patogeni nel citosol e ciò può indurre la cellula a iniziare a produrre citochine pro-infiammatorie e quindi a iniziare la reazione infiammatoria. Un altro tipo di recettore appartenente ai NOD-like è il NALP3 che riconosce diversi componenti batterici e segnali di danno cellulare. I recettori NALP possiedono un dominio PgammaD, con la stessa funzione del CARD. Essi sono caratterizzati dall’avere l’LRR che riconosce diversi componenti batterici; ancora una volta l’oligomerizzazione di più recettori NALP porta al reclutamento dell’intermedio ASC, anch’esso con un dominio pirinico. Il dominio pirinico di ASC recluta a sua volta il dominio CARD di una caspasi. La caspasi reclutata è sì una proteasi, ma una proteasi che non attiva l’apoptosi. L’attivazione di NALP3 da parte di alcuni componenti batterici induce il reclutamento della pro-caspasi 1 (ovviamente è uno zimogeno, cioè il precursore inattivo che subendo taglio proteolitico si attiva). La pro-caspasi 1 attraverso il dominio CARD viene reclutata dal recettore NALP. Questo evento attiva il dominio proteolitico della pro-caspasi, che viene convertita in caspasi 1. Essa taglia a sua volta ulteriori pro-caspasi 1 amplificando il segnale e l’accumulo di ulteriori caspasi 1. Ma qual è il substrato di questa molecola? È l’interleuchina IL-1beta: questa viene sintetizzata a partire dall’RNA come precursore inattivo, cioè come pro-interleuchina-1beta. La forma attiva dipende dal taglio proteolitico da parte dell’enzima caspasi 1. I NALP non attivano la classica via di trasduzione del segnale che conduce alla t

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