Sbobina Citologia PDF
Document Details
Prof. Sciola
Tags
Summary
This document is an academic lecture note about Citologia, focusing on eukaryotic and prokaryotic cells, their structure, and chemical composition. It provides information about microscopes, macromolecules, and the chemical reactions involving water, and the fundamental aspects of life itself. The summary includes brief descriptions of various cell structural components and details.
Full Transcript
CITOLOGIA Prof. Sciola CELLULE EUCARIOTICHE E PROCARIOTICHE L'unità fondamentale degli organismi viventi è la cellula. Tutti gli organismi viventi sono costituiti da cellule. La vita è, infatti, di tipo cellulare. Negli organismi unicellulari, i più semplici, le funzioni so...
CITOLOGIA Prof. Sciola CELLULE EUCARIOTICHE E PROCARIOTICHE L'unità fondamentale degli organismi viventi è la cellula. Tutti gli organismi viventi sono costituiti da cellule. La vita è, infatti, di tipo cellulare. Negli organismi unicellulari, i più semplici, le funzioni sono riassunte in maniera efficiente. Mentre gli organismi pluricellulari sono i più evoluti grazie alla diversificazione delle funzioni cellulari. La cellula è un laboratorio chimico e biochimico complesso. 1663 → Robert Hooke utilizzando un microscopio (ottico) da lui stesso prodotto osservando sezioni di tessuti vegetali (sughero) vide delle piccole cellette: attribuirà poi il nome di “cellule” a tali piccole e irregolari celle. N.B.: il sughero è un preparato di origine vegetale ed essi hanno, generalmente, delle cellule più grandi e quindi più facilmente visibili. MICROSCOPIO OTTICO E MICROSCOPIO ELETTRONICO Microscopio ottico: sfrutta la luce, i raggi luminosi, i quali passano attraverso il cosiddetto campione. Ha come caratteristiche l’ingrandimento, cioè l’aumento delle reali dimensioni di un oggetto (fino a 1500 volte) e il potere di risoluzione, cioè la capacità di mostrare come distinti due punti vicini. Microscopio elettronico: sfrutta i fasci di elettroni che vanno a colpire il preparato. Le lenti di vetro sono in questo caso costituite da elettromagneti, i quali deviano il fascio di elettroni per ingrandire e mettere a fuoco l’immagine su uno schermo o una lastra fotografica. Con esso è possibile osservare zone limitate del preparato ma molto nitide e ingrandite, infatti, il microscopio elettronico ha un potere di risoluzione molto più alto rispetto a quello ottico. ASPETTI CHE CARATTERIZZANO GLI ORGANISMI VIVENTI Aumento della propria massa attraverso la sintesi di molecole specifiche (macromolecole): (sintesi = polimerizzazione mi monomeri, cioè costruire polimeri attraverso l’unione di monomeri). Es. cellula piccola: una cellula appena nata in seguito al processo di divisione cellulare sarà una cellula piccola rispetto a quando raggiungerà le dimensioni standard di quel determinato tipo cellulare. Es. cellula grande: cellula uovo. … per fare tutto ciò è necessario… Impiego di una fonte energetica (chimica negli animali e anche radiante nei vegetali) per effettuare le reazioni chimiche per la sintesi di macromolecole e per le attività funzionali: l’energia si ricava rompendo i legami. Possesso di un sistema informazionale che diriga le attività vitali e che venga trasmesso alla discendenza: acidi nucleici, proteine ecc… La cellula è un modulo acquoso, all’interno del quale si svolgono una quantità infinita di reazioni chimiche e biochimiche. Esse non avvengono in maniera casuale, la cellula ha bisogno infatti di un sistema che le diriga. Sensibilità e capacità di rispondere agli stimoli dell’ambiente circostante: cioè la capacità di elaborare le informazioni e convertirle in comandi per far sì che la cellula si comporti di conseguenza (trasduzione del segnale). Persino un organismo unicellulare è in grado di rendersi conto di stimoli esterni utilizzando dei recettori. Capacità di riprodursi, ossia di creare progenie (capacità biologica comune a tutte le cellule). Essa dipende però dalla complessità dell’organismo e dalla specificità delle cellule (i neuroni, ad esempio, non hanno questa capacità). Se le cellule perdono la loro capacità proliferativa equivale all’elevato grado di specificità della cellula. In un protozoo: si divide e aumenta il numero di protozoi presenti. In un animale: si divide e si riproduce, ad esempio, per sostituire cellule danneggiate. UNITA' DIMENSIONALI L'unità di riferimento è il micron µm (millesima parte del millimetro). La cellula più piccola dell'organismo è l'eritrocita (7 µm), cellula anucleata solo nei mammiferi; mentre quella più grande è l'ovocita (c.a. 100 µm). Le cellule procariotiche si aggirano intorno 1-2 µm, mentre le altre intorno alle decine di µm. Ogni strumento ottico (compreso l'occhio 0,2 mm → 200 µm) ha una capacità risolutiva specifica (ingrandire e vedere i particolari). I l nanometro nm (millesima parte del µm, cioè la milionesima parte del millimetro) è l'unità di misura di strutture subcellulari, per esempio per esprimere il diametro del ribosoma, di c.a. 25 nm, o il diametro della molecola di DNA, c.a. 2nm. LA COMPOSIZIONE CHIMICA DELLA CELLULA BATTERICA La cellula procariote (batteri, alghe ecc…) è molto semplice. Analizzando la composizione chimica si osserva che è costituita per il 70% da acqua (bisogna infatti ricordare che senza l’acqua non potrebbero svolgersi le attività cellulari), mentre per il 30% da: 4% di ioni e piccole molecole come vitamine, nucleotidi, glucosio ecc 2% da fosfolipidi 1% da DNA 6% da RNA 15% da proteine 2% da polisaccaridi DNA, RNA, proteine e polisaccaridi sono macromolecole mentre i lipidi non sono considerati tali. LA COMPOSIZIONE CHIMICA DELLE CELLULE EUCARIOTICHE Una cellula eucariotica è costituita da: componenti inorganici → tra cui l'acqua (70\80%) e i sali minerali (1%). composti organici → tra cui le proteine (10\12%), i lipidi (2\3%), i glucidi (1%) e gli acidi nucleici (1\1,5%). PRINCIPALI GRUPPI FUNZIONALI NELLE MOLECOLE BIOLOGICHE Gruppi acidi: carichi negativamente → carbossilico (organico) e fosforico (inorganico) Gruppo basici: carico positivamente → amminico Gruppi neutri: ma anch’essi polari → ossidrilico, sulfidrilico, carbonilico e aldeidico. Sono anch’essi polari in quanto sono molto elettronegativi. Non hanno carica netta ma semicariche + o -. I primi due gruppi (acidi e basici) sono caratterizzati dall’idrofilia, ovvero interagiscono con l’acqua. LEGAME IDROGENO E ACQUA Il legame idrogeno viene definito il “legame della vita” perché è presente in certe macromolecole biologiche come le proteine, gli acidi nucleici. Soprattutto permette che l'acqua possa costituirsi, in determinate condizioni, nello stato liquido. Le molecole che interagiscono con legami idrogeno si trovano allo stato liquido. Somministrando energia a questo tipo di sistema, per esempio riscaldando acqua, succede che i legami idrogeno, molto più deboli del legame covalente, si rompono e le molecole non sono più vincolate tra di loro e passano allo stato di vapore. Viceversa, abbassando la temperatura, rendo l'acqua allo stato solido. L'acqua è stata quindi il primo presupposto affinché la vita possa esserci, viene definita infatti il solvente delle vita. Si forma quando un atomo di H è inserito tra due atomi che attraggono elettroni, solitamente O e N. Le macromolecole hanno un ruolo fondamentale nella vita cellulare. Sono polimeri, cioè entità chimiche date dall'unione di più monomeri, solitamente uguali. I monomeri formano un polimero quando sono capaci di legarsi tra di loro attraverso legami covalenti. Il ruolo nell'acqua nei processi chimici.. L'acqua ha un ruolo fondamentale sia nei processi di costruzione delle macromolecole sia nel processi di demolizione delle stesse (processi validi per tutte e tre le classi di macromolecole): SINTESI DI DEIDRATAZIONE o CONDENSAZIONE: si prendono in considerazione un tripeptide e un monomero vicino che non fa ancora parte del polimero. Il tripeptide presenta un gruppo reattivo, un gruppo ossidrilico, mentre il monomero vicino ha a disposizione un atomo di idrogeno. Il monomero può legarsi al tripeptide solo se viene eliminata una molecole d'acqua, ottenuta dall'unione tra il gruppo ossidrilico e l'atomo di idrogeno. Si forma così un tetrapeptide. Questo tipo di reazione deve essere catalizzata da enzimi, detti sintasi o polimerasi (permettono la polimerizzazione) O-O-O-OH + H-O → O-O-O-O + H2O IDROLISI o DEPOLIMERIZZAZIONE: reazione inversa in cui l'acqua viene reintrodotta e, esercitando più volte questa reazione, si ottiene la depolimerizzazione, cioè la degradazione del polimero con ottenimento dei singoli monomeri. In termini più funzionali, il termine degradazione viene sostituito dal termine digestione. Gli enzimi capaci di catalizzare questo tipo di reazione sono le idrolasi o enzimi idrolitici. Questi processi idrolitici avvengono all'interno dei lisosomi, i quali infatti contengono le idrolasi che catalizzano queste reazioni a pH acido. L'idrolasi che agisce su una proteina verrà chiamata proteasi, se agisce su un acido nucleico nucleasi (DNAsi, RNasi) ecc. O-O-O-O + H2O → O-O-O-OH + H-O Il ruolo dell'acqua come solvente.. Per la costituzione stessa delle cellule e per il loro funzionamento, è necessario rispettare i rapporti di idrofilia e di idrofobicità. Al centro del discorso c'è l'acqua perché questa è la componente preponderante negli esseri viventi. Qualcosa di idrofilico (polare) è qualcosa che ha affinità con l'acqua mentre, al contrario, qualcosa di idrofobico (apolare) non ce l'ha. L'acqua è dipolare, cioè presenta una parte positiva e una negativa. Introducendo nell'acqua una sostanza ionica, come cloruro di sodio Na+Cl-, questa si dissocia nei due ioni che la costituiscono perché questi vengono solvatati: molte molecole d'acqua solvatano lo ione, rivolgendo, a seconda dello ione, la parte carica negativamente o quella positivamente. Questo è l'esempio massimo di idrofilia. Una sostanza polare, come l'urea, è complessivamente neutra ma possiede gruppi chimici con dislocazione di carica parziale. Se viene posta in acqua ha la possibilità di intrattenere con questa un rapporto determinato dalla presenza di legami idrogeno proprio per la presenza di cariche. Una sostanza non polare invece presentano una nube elettronica simmetrica e non vi è quindi la possibilità di creare parziali cariche positive e negative. Se viene posta in acqua non ha la possibilità di intrattenere con essa un rapporto determinato dalla presenza di legami idrogeno proprio per la mancanza di cariche. Non può verificarsi neanche la solvatazione. Molecola organica → si basa su uno scheletro di atomi di carbonio Molecola idrocarburica → legami tra carbonio e idrogeno (nube elettronica simmetrica) Come conseguenza della temperatura sono presenti dei moti di agitazione molecolare. Capita che le varie parti idrofobiche di molecole idrocarburiche presenti in acqua si uniscano tra di loro esponendo il minimo di superficie all'acqua. LE QUATTRO CLASSI PRINCIPALI DI MOLECOLE ORGANICHE CHE SI TROVANO NELLA CELLULA Si parla di molecole organiche e non di macromolecole perché i lipidi non sono considerati tali, in quanto non prevedono una ripetizione di monomeri. I lipidi più noti sono fosfolipidi: questi, pur avendo una propria complessità, non sono costituiti da monomeri ma da molecole diverse come glicerolo, acidi grassi e gruppo fosfato. Le uniche unità ripetute sono gli acidi grassi ma sono soltanto due, in alcuni casi addirittura uno. Le macromolecole sono quindi: - Polisaccaridi → ottenuti dalla ripetizione di monosaccaridi; - Proteine → ottenute dalla ripetizione di amminoacidi; - Acidi nucleici → ottenuti dalla ripetizione di nucleotidi. I monomeri si legano tra loro attraverso legami covalenti per formare le macromolecole, mentre queste possono assemblarsi tra loro attraverso la formazione di legami non covalenti (idrogeno, di tipo elettrostatico). Un esempio è rappresentato dai ribosomi, i quali sono un assemblaggio di acidi nucleici (RNA ribosomiale) e proteine. Nell'ambito di una cellula, il nucleolo, il centrosoma e i ribosomi non sono organuli perché non sono rivestiti da membrana (il nucleolo ad un certo punto si dissolve). Il ribosoma, più correttamente, può essere definito struttura sovramolecolare (livello superiore a quello macromolecolare: molecola → macromolecola (più molecole) → strutture sovramolecolari (più macromolecole). CARBOIDRATI: MONOSACCARIDI Gli zuccheri, pur non avendo cariche, sono comunque molecole idrofiliche perché sono presenti gruppi reattivi come i gruppi ossidrilici. Per la presenza di questi gruppi reattivi possono facilmente unirsi tra loro. Sono molecole organiche che tendono a chiudersi su se stesse a formare delle strutture ad anello. I diversi zuccheri sono simili tra loro ma si differenziano per la posizione dei gruppi ossidrilici e per la possibilità di intrattenere legami diversi tra loro. - Monosaccaridi → significa “unità”. Tra questi riconosciamo il glucosio (esoso) e il ribosio (pentoso) - Disaccaridi (oligosaccaridi) →costituiti da un numero limitato di monomeri, solitamente intorno ai 10. Tra questi riconosciamo il lattosio, il saccarosio (alfa-glucosio + beta-fruttosio) - Polisaccaridi → costituiti da numerose unità monosaccaridiche. Si dividono in: – Omopolisaccaridi: polisaccaridi formati dalla ripetizione di unità uguali. Tra questi riconosciamo il glicogeno, ossia lo zucchero di riserva tipico del mondo animale, accumulato nei muscoli o nel fegato (granuli o rosette di glicogeno) come riserva di combustibile. Quando si ha esigenza di avere combustibile per ragioni energetiche, attraverso enzimi, vengono rimosse molecole di glucosio dal glicogeno e vengono liberate nel sangue per soddisfare queste necessità energetiche. Ancora l'amido, il quale svolge lo stesso ruolo del glicogeno ma nel mondo vegetale. E infine la cellulosa, formata anch'essa da unità di glucosio, che invece non è così semplice da idrolizzare. – Eteropolisaccaridi: polisaccaridi formati dalla ripetizione di unità diverse. Tra questi riconosciamo l'acido ialuronico e eparina. PROTEINE: AMMINOACIDI Gli amminoacidi sono le unità di riferimento delle proteine. Si chiamano amminoacidi perché presentano nella loro struttura sia un gruppo carbossilico (COOH acido) sia un gruppo amminico (NH2 basico). Essi possiedono inoltre un atomo di carbonio tetravalente, ossia in grado di formare quattro legami covalenti, al centro e un gruppo R, chiamato anche catena laterale. Il gruppo R è proprio quello che determina la diversità di ciascun amminoacido (il gruppo R più semplice è costituito da H → glicina). Gli amminoacidi importanti per la vita sono 20 e, generalmente, si trovano raggruppati in 4 gruppi, ciascuno con le proprie caratteristiche chimiche generali “racchiuse” nel gruppo R. I primi due gruppi distinguono amminoacidi basici e amminoacidi acidi. Gli amminoacidi acidi in soluzione liberano ioni H+ e presentano carica negativa, mentre gli amminoacidi basici in soluzione liberano ioni OH- e presentano carica positiva. Entrambi con l'acqua avranno sicuramente grande capacità di interagire con essa, saranno quindi idrofilici (polari) e avranno cariche nette. Gli ultimi due gruppi invece distinguono amminoacidi polari e amminoacidi apolari. Gli amminoacidi polari non sono caratterizzati da cariche nette ma presentano legami che si caratterizzano per traslocazione della nube elettronica, cioè tra atomi con un diverso valore di elettronegatività. Possiedono quindi gruppi chimici che li rendono affini con l'acqua e con la quale formano legami idrogeno. Anche gli amminoacidi apolari non sono caratterizzati da cariche nette ma presentano per la maggior parte strutture idrocarburiche, cioè formate soprattutto da atomi di carbonio e idrogeno. Ciò basta a conferire idrofobicità. STRUTTURA DELLE PROTEINE La struttura primaria indica il tipo e la sequenza degli amminoacidi nell'ambito di una catena polipeptidica. Una catena polipeptidica si forma in seguito al processo di condensazione (espulsione di molecole d'acqua) tra diversi amminoacidi, con la conseguente formazione di legami peptidici. La sostituzione di un amminoacido nell'ambito di una catena polipeptidica può portare ad avere una proteina anomala che non risponde più alle caratteristiche richieste in ambito strutturale e funzionale. Di norma i 20 amminoacidi sono identificati o con il sistema delle tre lettere o utilizzando una singola lettera maiuscola (Ala o A). Esse devono inoltre essere ripiegate correttamente nello spazio per assumere la conformazione giusta, in caso contrario vengono immediatamente depolimerizzata dalla cellula che utilizzerà questi stessi amminoacidi per formarne una nuova funzionale. Questo fatto è talmente importante che sono presenti delle proteine che aiutano altre proteine a ripiegarsi. Spesso le proteine tendono ad acquisire una struttura globulare (simile ad un gomitolo). Per essere funzionali devono quindi sia avere una corretta sequenza di amminoacidi sia ripiegarsi correttamente. Come si avviano questi processi di ripiegamento nell'ambiente acquoso? Le catene polipeptidiche neo-prodotte (appena prodotte) passano dalla subunità maggiore del ribosoma all'ambiente acquoso delle cavità del reticolo endoplasmatico rugoso o del citoplasma libero (citosol). A questo punto la catena peptidica è costituita da amminoacidi diversi legati tra di loro da legami peptidici. L'interazione con l'acqua determina un iniziale ripiegamento della proteina, la quale è dotata di un certo grado di flessibilità. La catena polipeptidica si ripiegherà in modo che in superficie rimarranno gli amminoacidi polari, mentre gli amminoacidi polari andranno a sistemarsi nella parte profonda della proteina. Per mantenere insieme i ripiegamenti della catena polipeptidica sono fondamentali legami che stabilizzano le strutture successive. I più frequenti sono i legami deboli, tra i quali legame idrogeno (si forma quando sono vicini gruppi con le proprietà descritte precedentemente), legame ionico (un legame un po' più forte che si crea tra un amminoacido acido e basico, quindi tra una carica positiva e una negativa) e forse di van der Vaals. Questo primo ripiegamento è importante perché porta alla formazione di nicchie che corrispondono a dei siti. Questi quindi rendono possibili, grazie alla presenza di certi amminoacidi e non di altri al loro interno, le reazioni chimiche necessarie. Per esempio gli enzimi sono proteine coniugate, solitamente glicoproteine appunto, con struttura globulare.. Sono inoltre catalizzatori biologici, cioè catalizzano (facilitano) reazioni fondamentali per la vita cellulare che, di norma, avvengono in condizioni non compatibili con la vita (temperature molto alte) e possiedono dei siti di interazione che non sono altro che delle nicchie più profonde che si caratterizzano per la presenza di certi gruppi chimici. Il sito fondamentale è il sito attivo, la cui controparte è il substrato. Tra questi vi è una stretta compatibilità molecolare. che si esprime parlando di specificità: ogni chiave è specifica per una certa serratura (meccanismo chiave- serratura). Gli enzimi per poter funzionare nel modo corretto devono trovarsi nelle condizioni giuste, determinate questa dalla temperatura, dal pH (le proteasi spostate dal lisosomi al lume intestinale non funzioneranno perché il ph è basico) e dalla presenza di cofattori, cioè ioni che aiutano l'enzima a lavorare in modo adeguato. L'alterazione di questi fattori porta una riduzione della specificità, ossia della sua capacità di riconoscere e di avere affinità nei confronti del proprio substrato. Dopo aver svolto il proprio lavoro il substrato è cambiato e, se non viene denaturato, può essere utilizzato per catalizzare una seconda reazioni. La denaturazione dell'enzima può avvenire innalzando la temperatura, rendendola quindi non fisiologica, e ciò determina la rottura sia dei legami tra gli amminoacidi che lo costituiscono sia dei legami accessori che lo tengono ripiegato correttamente. ACIDI NUCLEICI: NUCLEOTIDI Gli acidi nucleici sono il DNA (acido desossiribonucleico) e l'RNA (acido ribonucleico), cioè acidi. L'acidità è da riferire alla presenza del gruppo fosfato. Nella cellula inoltre il DNA e l'RNA esistono legati a proteine. L'unità costitutiva degli acidi nucleici è il nucleotide. Esso è formato da tre componenti: -base azotata → varia (adenina, guanina, citosina, timina e uracile) -zucchero → costante nell'ambito del tipo di acido nucleico: desossiribosio nel DNA e il ribosio nell'RNA -gruppo fosfato → costante in entrambi i tipi di acido nucleico, conferisce acidità I nucleotidi andranno ad unirsi tra di loro per formare il filamento polinucleotidico attraverso il processo di condensazione: l'RNA è costituito prevalentemente da un singolo filamento polinucleotidico, mentre il DNA è a doppio filamento. La struttura del DNA viene paragonata ad una scala a pioli che presenta un'ossatura zucchero-fosfato e i pioli sono rappresentati dalle interazioni specifiche tra basi azotate (guanina-citosina e adenina-timina). Le interazioni tra le basi azotate sono rappresentate da legami idrogeno che, pur essendo legami deboli, sono presenti in enorme numero e questo conferisce comunque stabilità. La scelta del legame idrogeno è riconducibile alla volontà di creare una struttura a bassa energia perché, in caso contrario, è piuttosto difficile svincolare i due filamenti durante, per esempio, la fase S. Questa fase, detta anche fase di sintesi del DNA, comporta la duplicazione del DNA. Questo è un processo semiconservativo durante il quale metà della molecole del DNA viene conservata mentre l'altra metà viene sintetizzata nuova. ALTRE FUNZIONI DEI NUCLEOTIDI I nucleotidi posso essere coinvolti dal punto di vista energetico. L'esempio chiave è quello dell'ATP (moneta energetica cellulare) un nucleotide che contiene adenina, ma l'energia può essere ricavata anche dal GDP, un nucleotide che non contiene adenina. La rottura dei legami ad alta energia dell'ATP permette di ricavare energia utilizzata successivamente per compiere lavori cellulari (produzione di un composto, propagazione di un impulso elettrico ecc). Inoltre è possibile riformare questi legami covalenti rotti, cioè riunire il gruppo fosfato al resto nel nucleotide (ricaricare l'ATP), utilizzando l'energia ricavata dalla digestione degli alimenti. In realtà questa energia non è altro che elettroni: la molecola che perde elettroni si ossida, mentre quella che mi acquista si riduce. “Riattaccare” il gruppo fosfato al resto nel nucleotide è molto difficile e richiede molta energia perché entrambi gli ossigeni sono caricati negativamente. In ogni caso, come fonte di energia, possono essere utilizzati entrambi, ciò che conta è il gruppo fosfato. Inoltre i nucleotidi possono combinarsi con altre molecole per formare coenzimi, molecole che si associano agli enzimi. Infine possono essere anche molecole segnale che vengono scambiate tra le cellule per coordinarsi nella loro attività funzionale. Un esempio è l'AMP ciclico (adenosin monofosfato ciclico), molecola che le cellule scambiano. Questo è importante per la trasduzione del segnale. LA STRUTTURA DEI VIRUS L'unità fondamentale dei viventi è la cellula. I virus, pur essendo costituiti da componenti strutturali riconducibili alla vita stessa (acidi nucleici, proteine e lipidi), non sono considerati organismi viventi perché non hanno la capacità di condurre una vita autonoma, cioè per proliferare necessitano dell'organizzazione e del materiale cellulare. Un tipo di virus sono i batteriofagi, cioè virus che infettano i batteri. Questi hanno la capacità di iniettare il loro acido nucleico nella cellula batterica dove, grazie alle proprietà del batterie stesso, viene duplicato ed espresso in proteine, arrivando a costruire vere e proprie particelle virali. Nel momento in cui la cellula batterica si riempie di un grande numero di particelle virali lisa e libera i nuovi virus che andranno ad infettare altre cellule. Sono inoltre legati a patologie che colpiscono le piante, gli animali e l'uomo. MEMBRANA PLASMATICA Tra le varie strutture comuni a tutte le cellule, la membrana plasmatica è quella che si trova sempre in cellule differenziate o indifferenziate. La cellula eucariotica animale può essere considerata come una sorta di macchina biochimica molto complessa in cui si svolgono tantissime reazioni, spesso catalizzate da enzimi, tra le quali anche reazioni da ricondurre alla possibilità di ricostruire le strutture cellulari e alla possibilità di mettere in atto determinate funzioni. Per fare in modo che certe reazioni biochimiche possano avvenire, l'ambiente in cui avvengono deve essere controllato, cioè il ph deve essere adeguato, devono essere presenti certi cofattori, la temperatura deve essere giusta (in un organismo omeoterma questo fattore viene dato per scontato) ecc. Quindi la cellula, per poter mettere in atto questo insieme complesso di attività chimiche, deve essere un sistema confinato, non può essere un sistema libero nell'ambiente perché se fosse così le cellule non esisterebbero. Quindi il confine cellulare degli organismi viventi, cellule in questo caso, deve essere controllato affinché venga mantenuta quella che si chiama diversità chimica dell'ambiente intracellulare rispetto a quello extracellulare. Quindi un confine deve esistere per forza. È talmente ovvio quello che stiamo dicendo che sebbene nei secoli passati non si disponeva di strumenti utili a far vedere la membrana plasmatica, questa è stata sempre ipotizzata perché era ovvio che dovesse esistere. Qual è il riferimento temporale che possiamo prendere? Spesso è importante fare dei parallelismi tra ciò che si studia e quella che è l'evoluzione tecnologica degli strumenti che servono per un determinato studio. Tanto più l'uomo dispone di strumenti adeguati e tanto più sono le conoscenze che riesce a ricavare. Da questo punto di vista, quand'è che è stato possibile vedere questo confine, ipotizzato fin da quando si è iniziato a studiare le cellule? Ciò è stato possibile nel momento in cui si è riusciti a costruire un microscopio elettronico (tutt'oggi il microscopio elettronico, se non ha a che fare con un preparato adeguatamente predisposto, la membrana plasmatica si vede con difficoltà perché è qualcosa di estremamente sottile. Le unità di misura che vengono utilizzate in biologia cellulare sono il micron e il nanometro: il micron viene preso in considerazione quando si parla di dimensione cellulare (le cellule animali hanno un diametro in grosso modo di 20 micron), mentre se si scende a livello sub-cellulare si usa il nanometro che corrisponde ad un millesimo di micron, che è a sua volta un millesimo di millimetro. Quindi il nanometro è un milionesimo di millimetro. Più o meno lo spessore di una membrana plasmatica si aggira intorno al 6-7-8 nanometri, quindi estremamente limitato perché, per esempio, il diametro di una molecole di DNA si aggira intorno ai 2 nanometri). Ritornando al riferimento temporale, si fa riferimento a prima degli anni '50, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando diversi strumenti, fra l'altro anche il microscopio elettronico, che prima venivano utilizzati per scopi bellici, sono stati dirottati in altri settori, come nell'ambito dell'industria, della biologia ecc. Questo è stato il momento in cui è stata vista qualcosa della membrana. Poi da qui a sapere cosa rappresentava chimicamente e strutturalmente è passato molto tempo. In biologia cellulare si studia in dettaglio solo la membrana plasmatica perché le altre sono fatte riproducendo lo stesso schema costitutivo. → (immagine slide 1) le plasmacellule derivano dai globuli bianchi dopo differenziamento e assumono la possibilità di sintetizzare anticorpi che, dal punto di vista chimico, sono delle glicoproteine. Tali cellule sono indicative di grandi quantità di reticolo endoplasmatico rugoso che serve per predisporre le proteine che poi, opportunamente modificate con l'aggiunta di componenti glucidici, diventeranno anticorpi. FUNZIONI DELLA MEMBRANA PLASMATICA 1. Definisce un confine che separa due ambienti, uno controllato, cioè quello intracellulare, e uno estremamente variabile, in quanto rappresentato dall'ambiente esterno... Se si tratta di un organismo unicellulare l'ambiente esterno è rappresentato da acqua, se invece si tratta di un organismo pluricellulare, l'ambiente esterno sarà rappresentato da altre cellule se ci troviamo in un epitelio, dal plasma oppure da qualche altra cellula con cui viene transitoriamente in contatto (un globulo rosso può entrare in contatto o con un globulo bianco per scambiare informazioni, oppure con le cellule endoteliali, cioè le cellule che rivestono il vaso sanguigno) se si prendono in considerazione i globuli bianchi; se siamo in un connettivo (tessuto osseo o cartilagine) le cellule avranno come ambiente quella che si chiama matrice dei connettivi ecc. L'ambiente è quindi diverso a seconda del contesto in cui la cellula si trova....e mantiene le differenze (diversità chimica) tra citosol e ambiente extracellulare. Per citosol non si intende citoplasma, in quanto il citosol è il citoplasma privato degli organuli: se dal citoplasma vengono sottratti tutti gli organuli, rimane una componente fluida (infatti “sol” ha a che fare con “soluzione”) e solubile, che è il citosol. N.B. Lo strumento tecnologico che permette di separare il citosol di una cellula è l'ultracentrifuga. Per separare il citosol di una cellula è necessario per prima cosa rompere la cellula. Ciò avviene meccanicamente e spesso si usano degli omogeneizzatori, piccoli contenitori di vetro allungato, una specie di provetta un po' più grossa e lunga, al cui interno scorre un pistone che è quasi aderente alle pareti del cilindro di vetro. Questo piccolo spessore fa si che le cellule che capitano proprio tra il pistone e ciò che lo contiene si rompono e liberano i loro componenti che vanno a finire sul fondo di questa provetta particolare. Un altro metodo per rompere la cellula sono gli omogeneizzatori che funzionano ad ultrasuoni. Gli ultrasuoni rompono le cellule e si ottiene il risultano. Successivamente si prosegue con la centrifugazione. Le forze che vengono applicate alla sospensione sono centinaia di migliaia di volte la forza della gravità terrestre (forse di 100 mila g, oppure 100g o 200g. G sta per accelerazione gravitazionale, uguale a 9,81m/s 2). Per mandare le cellule sul fondo della provetta si deve imprimere una forza di centinaia di g. Per esempio, il prelievo di sangue viene messo in una provetta (che contiene anticoagulanti per impedire al sangue di coagulasi) che viene immediatamente messa nella centrifuga per separare le cellule dal plasma. Per mandarle sul fondo della provetta viene applicata centinaia di volte la forza di gravità (100 volte o 200 volte perché una forza di gravità maggiore premerebbe talmente tanto le cellule sul fondo fino a farle rompere). Per l'ultracentrifugazione differenziale (l'ultracentrifugazione è un'operazione che avviene ad elevatissima velocità angolare, 60.000/70.000 giro al minuto, nella quale si possono raggiungere velocità fino ad oltre un milione di volte l'accelerazione di gravità. E' proprio l'operazione utilizzata per separare il citosol di una cellula) non è importante se si imprime una forza così forte, anzi è necessario applicare una forza centinaia di migliaia di volte superiore alla forza di gravità. L'ultracentrifuga quindi manderà sul fondo della provetta tutti gli organuli, mentre quello che rimane sopra è il citosol. Quindi citosol = frazione solubile del citoplasma, una sorta di soluzione contenente proteine, enzimi, ioni, acqua, la stessa che scambierà con l'ambiente esterno, anch'esso, come quello interno, costituito da acqua. Quindi l'acqua fuori è fondamentale perché se non ci fosse le cellule morirebbero (es: cellule superiori dell'epidermide). 2. Rappresenta una barriera con permeabilità selettiva. La membrana plasmatica rappresenta una barriera non assoluta. Se fosse assoluta non ci sarebbe possibilità di scambio di acqua, nutrienti ecc. Anche grazie alle proteine è in grado di far entrare e uscire ciò che è importante per la vita cellulare (entrano sostanze nutritive, escono sostanze di rifiuto e ioni, i quali non vengono definiti propriamente come sostanze di rifiuto ma costituiscono una differenza di potenziale ai due lati della membrana, presente in tutte le cellule. Per le cellule eccitabili, cioè quelle nervose e muscolari, è fondamentale creare questa differenza di potenziale piuttosto elevata). 3. Trasporta soluti. La membrana plasmatica scambierà quindi oltre all'acqua, anche soluti, e questo permetterà di costruire la diversità chimica tra ambiente intracellulare ed extracellulare (qualsiasi esso sia). Questo è fondamentale altrimenti non sono presenti le condizioni adatte affinché tutte le reazioni chimiche e biochimiche che hanno a che fare con la vita cellulare possano avvenire. Ciò è strettamente collegato alla seconda funzione. Queste prime tre funzioni sono quindi strettamente legate tra di loro perché insieme mantengono la diversità chimica. Se questa non ci fosse tutto all'interno della cellula sarebbe uguale a quello che succede fuori. Da qua è possibile ricavare un'informazione di tipo evolutivo: quando si presuppone che si siano formate le prime cellule, che erano i progenitori degli attuali procarioti, la prima cosa alla quale hanno dovuto pensare era costruire una membrana plasmatica. 4. E' sede di attività enzimatiche. Questa caratteristica è ovvia perché se stabiliamo che il formarsi di una certa struttura e la sua funzione sono legate ad attività chimiche e biochimiche, è chiaro che è necessario l'intervento degli enzimi che, abbassando l'energia di attivazione, fanno in modo che determinate reazione avvengano anche a temperature compatibili con le vita, non più di 37° (molte reazioni normalmente avvengono a temperature molto alte). 5. Risponde a segnali esterni (recettori e trasduzione del segnale). In che modo una cellula presa da sola, sia esso un organismo unicellulare o una cellula di un nostro tessuto, si rapporta con l'ambiente che la circonda? Ovviamente con qualcosa che sta sul suo confine. I “sensi” della cellula sono i recettori che “vedono” chimicamente ciò che c'è nell'ambiente circostante. Quindi le cellule rispondono a modificazioni dell'ambiente esterno attraverso dei recettori che sono normalmente molecole di natura glicoproteica che fanno parte della superficie cellulare, quindi anche della membrana plasmatica. I nostri sensi servono a percepire un segnale, ma il nostro cervello li deve interpretare e comportarsi di conseguenza. Questo, tradotto in termini cellulari e biochimici, o meglio tradotto a livello cellulare, viene definito trasduzione del segnale, che vuol dire interpretare la segnalazione che è stata vista del recettore e fare in modo che la cellula assuma un comportamento conseguente. Una segnalazione può essere per esempio la necessità che vengano captati (introiettati) maggiori nutrienti, oppure la cellula viene spinta a proliferare, cioè a dare luogo a una progenie, oppure viene inibita nella proliferazione (quello che accade nelle popolazioni di cellule tumorali ha uno squilibrio di questo aspetto: per inibizione da contatto si indica un meccanismo attraverso il quale le cellule smettono di dividersi nel momento in cui entrano in contatto le une con le altre. Ciò avviene perché esse possiedono dei recettori sulla superficie che mediano le interazioni (le quali hanno una base chimica nonostante la molecola con la quale un recettore entra in contatto può essere fissa su un'altra cellula o libera nell'ambiente) e mandano un segnale dentro le cellule, come per esempio proprio quello di smettere di proliferare perché, in caso contrario verrà prodotto un gruppo di cellule che non ha ragione di esistere. Quando invece una delle cellule coinvolte in queste interazioni è incapace di interpretare tale segnale, in quanto trasformata e modificata in senso neoplastico, non risponde a questa segnalazione e comincia a proliferare in maniera non adeguata e a creare delle masse pericolose che poi possono anche diffondersi in forma di metastasi) ecc. Rispondere all'interazione è fondamentale. Se la cellula tocca con il proprio recettore una molecola su un'altra cellula, ma non riesce ad interpretare e non è conseguente rispetto a questo evento, la segnalazione non ha senso. Poi naturalmente le interazioni possono essere con una singola molecola, con una molecola fissa su un'altra cellula, oppure ancora con una molecola libera nella matrice extracellulare (che è quella dei connettivi). Cosi come la controparte dell'enzima è il substrato, la controparte complementare del recettore è il ligando, che può essere libero o fisso su un'altra cellula. Un trasmettitore o un ormone possono essere un ligando. → INTERAZIONE RECETTORE-LIGANDO La maggior parte delle funzioni sono svolte da proteine di membrana (ciò non vuol dire che la parte lipidica non serva a niente) che sono quindi implicate nella maggior parte delle funzioni cellulari: interazioni e scambio con le cellule vicine, rapporto diretto con l'ambiente circostante attraverso formazioni di tipo recettoriale, equilibrio tra soluti distribuiti nel citosol e nell'ambiente extracellulare e scambio di questi a fini diversi, nutritivi, regolativi per quanto riguarda la pressione osmotica, per costruire un potenziale di membrana ecc. STRUTTURA DELLA MEMBRANA PLASMATICA Il punto di partenza per stabilire la struttura della membrana plasmatica è una sorta di binario costituito da due linee scure e una parte più chiara intermedia (visto in sezione). Per prima cosa le linee esterne sono più scure perché indicano una parte della cellula dotata di maggiore densità, cioè zone attraverso le quali gli elettroni passano con difficoltà o addirittura non passano per niente (nero assoluto). Microscopio elettronico a trasmissione (TEM) →così come durante le radiografie vengono trasmessi raggi X attraverso il nostro corpo, questo strumento trasmette elettroni attraverso le cellule (quindi non radiazioni elettromagnetiche ma corpuscoli). Questi elettroni impressioneranno la lastra fotografica in maniera differente: dove molto scuro non sono arrivati o arrivano con molta lentezza, dove più chiaro invece passano con facilità. Si parla infatti di “elettron densità” dove si trova nero scuro o grigio. Le indagini sul microscopio elettronico sono state integrate successivamente con altri approcci, quali diffrazione a raggi X, analisi molecolari sulle componenti estratte da membrane ecc. Alla fine, mettendo insieme tutte queste informazioni (partendo sempre da quello che ci fa vedere il microscopio elettronico), si è riusciti a costruire il modello di membrana accettato ormai da tutti. → (immagine slide 4) Esiste una procedura che permette di congelare le membrane biologiche (compresa quella plasmatica) e che, avvalendosi di particolari lame raffreddate alla temperatura dell'azoto liquido che vanno a colpire direttamente le cellule, è in grado di “aprire” le membrane in due metà, dette emistrati (se l'operazione è fortunata). Tale proceduta ha permesso di stabilire i rapporti tra i componenti costitutivi delle membrane biologiche, sapere cioè non solo quali sono ma anche come si rapportano tra di loro. Si è osservato che i componenti preponderanti sono i fosfolipidi e le proteine, ma vi è comunque una piccola quantità di glucidi, che generalmente raggiunge con difficoltà il 10%. I glucidi presenti nella membrana solo principalmente oligosaccaridi. Nei libri si parla di “arborizzazioni oligosaccaridiche” perché, guardando la superficie dall'esterno, si vedrebbero degli alberelli glucidici fatti di un numero limitato di monosaccaridi (intorno a 10-12). I componenti oligosaccaridici inoltre possono trovarsi legati alle proteine e ai lipidi, formando quindi glicoproteine e glicolipidi. Cosa fondamentale è che tutti i glucidi sono localizzati nel versante extracellulare della membrana (versante che guarda verso l'esterno della membrana). Ancora, le proteine che attraversano la membrana (non tutte) assumono una conformazione detta ad alfa elica (non l'unica ma una delle possibilità frequenti). Le proteine periferiche invece sono associate allo strato lipidico più debolmente, meno tenace. → (immagine slide 5). Mettendo a confronto una cellula del fegato (epatocita) e un globulo rosso (eritrocita) si osserva che gli eritrociti hanno più proteine di membrana, mentre gli epatociti hanno più lipidi rispetto alle proteine. Da questa tabella quindi si deduce che c'è una certa variabilità quantitativa di queste tre componenti fondamentali che sono comunque sempre presenti. Grossolanamente si può dare per scontato che, se la componente glucidica oscilla intorno al 10%, tutto il resto preponderante è fatto per metà circa da lipidi e proteine. A seconda della cellula presa in considerazione, può salire l'uno e abbassarsi l'altro o viceversa. Un esempio classico che si usa per rappresentare la preponderanza di lipidi in una membrana biologica è la mielina, ossia un avvolgimento progressivo della cellula di Schwann (shuan o scivan) se siamo nel sistema nervoso periferico, mentre se fossimo in quello centrale sarebbe l'oligodendrocita. Queste ultime escludono il citoplasma, lo mandano dall'altra parte della cellula, e avvolgono l'assone della cellula nervosa con tanti avvolgimenti della loro membrana plasmatica. Questo avvolgimento è fatto con lo scopo di isolare l'assone. Quindi la membrana delle cellule di Schwann e degli oligodendrociti ha delle componenti lipidiche prevalenti rispetto a quelle proteiche perché i lipidi sono più utili all'isolamento (sono idrofobici e non fanno passare le molecole polari, come gli ioni). I LIPIDI DELLA MEMBRANA PLASMATICA Genericamente si parla in maniera troppo semplificata di doppio strato fosfolipidico. In realtà è giusto dire doppio strato lipidico perché nonostante i fosfolipidi siano sicuramente quelli presenti in maggiori quantità, non sono gli unici. Sono infatti presenti altri lipidi, cioè i glicolipidi e gli steroli (estendendo il discorso in ambito vegetale non sarà presente il colesterolo, tipico dell'ambiente animale, ma i fitosteroli). Bisogna però considerare anche il fatto che alcuni glicolipidi mancano di glicerolo (in chimica organica è un alcool “trivalente” perché possiede tre gruppi ossidrilici) che viene sostituito, in questi casi, dalla sfingosina, un amminoalcool (cioè un alcool che oltre ad avere il gruppo ossidrilico, funzione chimica che caratterizza gli alcoli, ha anche un gruppo amminico). I fosfolipidi, nonostante siamo costituiti da più molecole (glicerolo, acidi grassi e gruppo fosfato), non vengono considerati come delle macromolecole, ma come molecole dotate di una certa complessità, in quanto formati dall'unione di un certo numero di molecole più semplici. Nella classica rappresentazione di un fosfolipide i gruppi ossidrilici non si vedono perché sono esterificati (le molecole d'acqua sono andate via): in “basso” reagiscono con gli acidi grassi, mentre in “alto” con un acido inorganico, ossia l'acido fosforico → (immagine slide 13). Fosfogliceridi → fosfolipidi dotati di glicerolo LIPIDI IN FORMA SEMPLICE → (immagine slide 8) Gli acidi grassi a sinistra possono essere definiti, in termini ancora più generali, acidi carbossilici (perché presentano il gruppo carbossilico in alto → N.B in ambiente acquoso il gruppo carbossilico è ionizzato perché, come tutti gli acidi, perde lo ione H+). Ancora, essi sono uno saturo (acido palmitico) e uno insaturo (acido oleico). Il colesterolo è il lipide che è possibile trovare veramente così in forma semplice in una membrana biologica. Esso può essere definito come una molecola prevalentemente idrocarburica, un certo grado di idrofilia gli viene dato dal gruppo ossidrilico a sinistra. Per quanto riguarda gli altri due acidi grassi invece è molto difficile trovarli così in forma semplice, generalmente in termini strutturali si trovano sempre inclusi o legati ad altre molecole. ACIDI GRASSI SATURI E INSATURI → (slide 9) Dai tre acidi grassi messi a sinistra come esempi, si può dedurre che gli acidi grassi che si trovano in una cellula possono essere più o meno lunghi e anche saturi o insaturi. Una cosa fondamentale è che gli acidi grassi saturi (come nel caso dell'acido stearico) sta praticamente dritto, proprio perché è saturo, mentre gli acidi grassi insaturi (acido oleico) formano, in prossimità del doppio legame, una piccola o grande (dipende) piega. Riga a zig zag (in biologia “code”)→ catena idrocarburica TRIACILGLICEROLI O TRIGLICERIDI → (slide 10) Rappresentazione di un glicerolo così come è rappresentabile (a sinistra), e di un glicerolo in forma esterificata (vengono perse tre molecole d'acqua) rispetto ai tre acidi grassi (a destra). La molecola centrale è chiamata trigliceride, se voglio mettere in evidenza la presenza del glicerolo. LIPIDI DI ACCUMULO → (slide 11) Questi sono lipidi semplici che, in una cellula, si trovano prima di tutto nel citoplasma: nelle cellule non adipociti si presentano come goccioline, mentre negli adipociti si presentano come un'unica gocciola lipidica che riempie quasi tutta la cellula, lasciando pochissimo spazio al citoplasma dove sono presenti gli organuli. Tra i lipidi di accumulo troviamo: i trigliceridi o triacilgliceroli e gli esteri del colesterolo (il gruppo ossidrilico del colesterolo può anch'esso venire esterificato con un acido grasso). In questa forma non vengono considerati lipidi di membrana perché, per essere considerati tali non devono essere esterificati. Il colesterolo è un lipide di membrana, ma non deve essere esterificato. LIPIDI DI MEMBRANA Ciò che emerge dall’analisi di tutti i lipidi di membrana è che tutti hanno caratteristiche anfipatiche. Ciò significa che rispetto all’acqua (riferimento principale) questi lipidi, in virtù dell’anfipatia, ovvero hanno una porzione affine all’acqua ovvero la testa e una componente idrofobica non affine all’acqua ovvero le code, catene idrocarburiche più o meno lunghe o più o meno insature. Le code sono costituite da acidi grassi ed esse saranno poi esterificate (cioè legate chimicamente in maniera adeguata) o con il glicerolo, ovvero un alcool organico oppure con la sfingosina, ovvero un altro alcool organico avente pero un gruppo amminico. Da questo punto di vista, sia i fosfolipidi che i glicolipidi possono essere basati, cioè avere al loro interno, o il glicerolo (molecola ponte tra la parte idrofobica e idrofilica) oppure, in alternativa, la sfingosina, la quale ha lo stesso identico ruolo del glicerolo. Per quanto riguarda gli steroli, nel mondo animale sono rappresentati dal colesterolo e dai fitosteroli nel mondo vegetale. La coda idrofobica può essere una ma è molto consueto che siano due. Importante: tutti i lipidi di membrana hanno caratteristiche anfipatiche, perciò si comporteranno tutti allo stesso modo nei confronti dell’acqua. FOSFOLIPIDI → (slide 12) La linea verde indica una zona di confine tra la parte idrofilica (la testa) e le parti idrofobiche (code o coda, in certi libri la coda è unica). Nella testa viene inclusa la zona di confine del glicerolo, il gruppo fosfato ionizzato e le parti che, nel disegno, sono evidenziate in rosso. Queste possono essere estremamente variabili, possono avere o non avere carica ma hanno comunque gruppi che rispondono sempre alle stesse caratteristiche, ossia gruppi che creano possibilità di formazione di legami idrogeno (qualcosa di idrofilico). I fosfolipidi sono costanti nelle caratteristiche delle code e della testa, mentre la variabilità è legata a ciò che è evidenziato in rosso, che può essere molto semplice o molto complesso SFINGOLIPIDI → lipidi di membrana in cui può esserci anche una sola catena di acido grasso, ma soprattutto c'è la sfingosina (amminoalcool), che funge da ponte (come il glicerolo in altri fosfolipidi) tra la zona idrofilica e idrofobica. IMPORTANTE IL GLICEROLO NON E' UN DENOMINATORE ASSOLUTO PER TUTTI I LIPIDI DI MEMBRANA; I DIVERSI LIPIDI DI MEMBRANA POSSONO AVERE SOLO UNA CODA; SONO TUTTI ANFIPATICI ORIENTAMENTO SPONTANEO DEI LIPIDI IN PRESENZA DI ACQUA: I LIPOSOMI Tener conto del rapporto tra lipidi di membrana ed acqua significa andare nella direzione di stabilire come si forma un doppio strato lipidico. Abbiamo delle semplici prove sperimentali che ci permettono di capire che in effetti anche in condizioni abbastanza spontanee, un doppio strato lipidico si può formare abbastanza agevolmente. Prima di andare a sottolineare questo aspetto, sottolineiamo ancora una volta l’interazione tra acqua e lipidi di membrana. Sono dei modelli, creati in maniera molto semplice in laboratorio. Monolayer: in un becker contenente dell’acqua viene inserita, mediante l’utilizzo di una pipetta, una miscela di lipidi simili o uguali a quelli che posso trovare all’interno di una membrana biologica. Con l’utilizzo della pipetta li faccio colare delicatamente sulla superficie dell’acqua. Succederà che i lipidi formeranno una specie di velo molto sottile, quello che noi otteniamo, ad esempio, quando proviamo a fare un’emulsione. Agitando dell’acqua insieme a dell’olio viene fuori un’emulsione ma dopo un po’, se lasciato riposare, l’olio si stratifica in superficie. In questo caso invece non serve avere un’emulsione per cui adagiando delicatamente la miscela di lipidi di membrana (non importa la natura dei lipidi che prendo dato che hanno tutti caratteristiche anfipatiche) sulla superficie dell’acqua noterò che essi formeranno un velo molto sottile sulla superficie dell’acqua. Quello che succede è che tutti i lipidi, rispetto all’acqua, essendo anfipatici, faranno ciò che ci aspettiamo, ovvero orienteranno le loro teste idrofiliche contro l’acqua mentre, al contrario, rivolgeranno le loro code idrofobiche verso l’aria. Questo è ciò che viene chiamato monostrato lipidico o monolayer. Micella: invece, se avessi proceduto facendo l’emulsione (vedi sopra), agitando efficacemente il tutto e fossi poi andato ad analizzare ciò che appare quando agito acqua con olio, oppure come in questo caso l’acqua con la miscela di lipidi di membrana, agitando il tutto succede che, siccome devono essere rispettate le stesse situazioni di evidenziate prima essendo anfipatici, anche in questo caso i lipidi di membrana si disporranno in maniera tale da rispettare quanto detto precedentemente, ovvero le teste idrofiliche orientate verso l’acqua e le code idrofobiche nascoste. Succederà che si formeranno delle strutture che prendono il nome di micelle, sono quelle che caratterizzano di fatto una sospensione, ovvero tante minutissime goccioline più o meno grandi che diventeranno sempre più grandi perchè tendono ad unirsi tra di loro. In tutte le goccioline viene ugualmente rispettata la condizione fondamentale che è data dall’anfipatia. Dal punto di vista delle membrane è relativamente importante. Quello che è invece importante è stabilire come si arriva a formare un bilayer, o un doppio strato lipidico. Bilayer: siamo di fronte ad una situazione che rappresenta di fatto la base strutturale di qualsiasi membrana biologica. I doppi strati lipidi sono infatti la base strutturale di tutte le membrane biologiche. Ciò non significa che esse siano formate esclusivamente da un doppio strato lipidico (sono infatti presenti anche proteine ecc…) ma se non c’è il doppio strato lipidico tutto il resto non esiste. E’ possibile ottenere sperimentalmente un doppio strato lipidico. Bisogna avere a disposizione una vaschetta trasparente e una lastra dove si è fatto un minutissimo foro. Con uno strumento opportuno, come una pipetta o una micropipetta, si immerge una goccia della miscela di lipidi di prima in questo foro prima di immergere la lastra in acqua. Si immerge poi la lastra nella vaschetta. Come conseguenza di forze legate alla tensione superficiale dei liquidi succede che i lipidi di membrana tendono a disporsi a formare una goccia che riempie il piccolo foro. Se si immerge il tutto in acqua si otterrà automaticamente un doppio strato lipidico perché alcuni di loro si orienteranno verso destra mentre altri verso sinistra e lo faranno, ancora una volta, visto che il mezzo disperdente è l’acqua, orientando le loro teste idrofiliche verso l’acqua e le code idrofobiche le orienteranno all’interno. Questo porta di fatto ad ottenere sperimentalmente un doppio strato lipidico in tempi pressochè immediati. Tutto ciò significa che, se nell’ambiente in cui si ipotizza si siano create le prime cellule e partendo dal presupposto che ci fossero (come è stato dimostrato) tanti componenti organici nel mezzo acquoso, quello che è stato chiamato brodo primordiale, ovvero un insieme acquoso che si pensa si sia creato agli inizi della vita cellulare in cui erano disciolte molecole organiche che hanno potuto polimerizzare a formare i primi polimeri biologici (acidi nucleici, proteine ecc…). Questo è stato riprodotto in vitro e si è dimostrato che questo è possibile se è presente un input energetico, che può esser stato dato da scariche elettriche ad esempio. Agli inizi della vita in questo pianeta c’era una condizione climatica caratterizzata da piogge e forti temporali, che hanno consentito di creare un ambiente ricco di acqua e poi anche le scariche elettriche davano quell’input energetico che poteva servire per innescare le reazioni di polimerizzazione. E’ possibile riprodurre tutto questo in laboratorio e si osserva, dando opportune scariche elettriche a tutto il sistema, che cominciano a formarsi abbozzi di macromolecole. Siccome è facile farle in laboratorio, staticamente si pensa che questo sia stato possibile anche nel brodo primordiale. Questo vale da un lato per avere macromolecole di interesse in prospettiva biologico. Il discorso dei lipidi è, invece, un discorso a parte nel senso che i lipidi hanno contribuito a formare il confine fondamentale necessario per avere distinzione tra quello che è l’interno della cellula e l’esterno. I lipidi, essendo abbastanza semplici e in virtù della loro anfipaticità rispetto all’acqua, possono disporsi in vari modi ed è statisticamente possibile che fra le varie possibilità di interazione tra i lipidi e l’acqua ci sia anche quella di un doppio strato lipidico. Dal momento che si formano dei doppi strati lipidici immersi in acqua (l’acqua è il mezzo disperdente), siccome sopra e sotto il doppio strato abbiamo le teste dei lipidi di membrana e le code idrofobiche dei lipidi posti ai bordi lungo il perimetro del doppio strato sono esposte all’acqua, questa situazione non è dunque favorevole dal punto di vista termodinamico perciò il foglio si richiuderà su se stesso per nascondere le code dei lipidi di membrana che sono esposti. Perciò alla fine, se si ha un doppio strato lipidico da intendere come un foglio, automaticamente, siccome i margini sono esposti all’acqua, il foglio tende a richiudersi su se stesso a formare una struttura sferoidale favorita dal punto di vista termodinamico (cioè che è più favorevole formare). Se vado ad esaminare al microscopio elettronico (TEM cioè microscopio elettronico a trasmissione, che lavora su sezioni molto sottili, nanometri) la sezione di una struttura come questa, chiamata liposoma, ovvero un oggetto sperimentale costruito in laboratorio o sperimentalmente, vedrò che il confine del doppio strato lipidico è costituito da quel “binario” che si vede al confine delle cellule. Questa è un’ulteriore conferma del fatto che quello che si vede al microscopio elettronico, per quanto riguarda il confine cellulare, è il doppio strato lipidico e non tutta la membrana nella sua totalità (infatti la membrana non è esclusivamente costituita da lipidi di membrana). Quindi, il liposoma è qualcosa che è molto vicino alla base struttura di una membrana biologica e in laboratorio, con le nuove tecnologie, è inoltre possibile inserirci delle proteine. Facendo interagire un doppio strato lipidico con delle proteine si è molto vicini a quella che può essere una membrana biologica. Questi oggetti non sono solo un modo per spiegare come si può formare una membrana di una cellula, vista l’interazione che ha con l’acqua, ma sono anche un modo per capire come può funzionare: se si inseriscono delle proteine, ad esempio di trasporto, vorrà dire che quella proteina sarà in grado di veicolare tra interno ed esterno determinati soluti; inserendo invece un recettore che riconosce la superficie di una certa cellula, esempio quella di una cellula tumorale modificata, si può sperimentare l’attività di alcuni farmaci. Ad esempio, se si inserisce un farmaco con attività antitumorale con una microiniezione dentro un liposoma, sulla superficie del quale vengono sistemate delle proteine, dei recettori in grado di riconoscere le cellule neoplastiche succederà che il liposoma si legherà alle cellule neoplastiche e basta e non alle altre cellule. Poi, se in questo liposoma si inseriscono anche delle proteine di fusione, che permettono di far fondere il liposoma alla membrana plasmatica della cellula tumorale, di fatto si fa entrare il farmaco solo dentro la cellula tumorale e non in altre cellule. Questo non è irrilevante perché uno dei problemi delle terapie come la chemioterapia è la somministrazione di farmaci che hanno attività non solo sulle cellule tumorali ma in generale su molte cellule che sono molto proliferanti. Questa è la ragione per cui chi è trattato perde i capelli, ha problemi a livello del sangue perché viene inibita anche la crescita dei precursori dei globuli bianchi e rossi. I farmaci attuali per le terapie neoplastiche sono infatti delle “bastonate” per l’organismo dato che colpiscono non solo le cellule tumorali che proliferano molto ma anche altri distretti istologici e anatomici dove c’è ugualmente elevata proliferazione cellulare. Quindi, avere un farmaco che arrivi selettivamente sul bersaglio è molto importante per evitare di danneggiare altri distretti dell’organismo. Ciò dimostra l’utilità che certe strutture, come il liposoma, possono avere in laboratorio, oltre a rappresentare un qualcosa che è molto vicino alla base strutturale di una membrana biologica. CARICARE UN LIPOSOMA CON UN FARMACO SPECIFICO + INSERIRE PROTEINE DI FUSIONE + INSERIRE PROTEINE IN GRADO DI RICONOSCERE CIO' CHE STA SULLA SUPERFICIE DI UNA CELLULA NEOPLASTICA (possibile metodo che deriva dallo studio delle componenti cellulari) ORIGINE DELLA VITA CELLULARE Supponiamo invece che, statisticamente, nell’arco di periodi enormi di tempo come miliardi di anni, piano piano alcune cose possono rappresentare, come si pensa che sia accaduto, la base per la genesi della vita, almeno per degli abbozzi di vita. Se nel brodo primordiale ci fossero stati anche dei liposomi, quando esso si forma può accadere che all’interno del liposoma stesso (il quale è ugualmente un ambiente acquoso) possano finire, se ci riferiamo a milioni di anni fa, abbozzi di acidi nucleici, proteine alcune con capacità enzimatiche. Un enzima deriva infatti dal ripiegamento della proteina in un certo modo ed è perciò possibile che si siano formati dei siti tanto da rendere queste proteine capaci di avere attività enzimatiche ed essere perciò dei catalizzatori. Quindi avere dentro un liposoma un ambiente acquoso, oltretutto confinato in cui c’erano degli abbozzi di vita è chiaro che rappresenti la base dell’origine della vita cellulare. Certo non si può dire che tale modello rappresenti una cellula, non è neanche un procariote in quanto esso presenta complessità maggiore ma il procariote stesso sarebbe derivato da questo. Poi pian piano avrebbero preso luogo anche le membrane interne per dar vita alle cellule eucariotiche. Però questa è la base. N.B.: si pensa che i primi acidi nucleici che si siano formati fosse l’RNA e non il DNA, il quale sarebbe venuto in seconda battuta. Naturalmente l’evoluzione ha fatto in modo che qualche proteina sia andata ad inserirsi, in virtù delle sue caratteristiche chimico-fisiche (amminoacidi idrofilici o idrofobici), all’interno delle membrane. Quindi gli amminoacidi idrofobici se riescono ad andare in contatto con il doppio strato lipidico nella sua parte più idrofobica (dove ci sono le code) rimangono intrappolati. Questa rappresenta dunque la base progressiva per l’inserimento di proteine anche dentro la membrana e, in generale, in tutte le membrane. Se si va infatti ad esaminare le membrane, sappiamo che l’impianto strutturale di una membrana biologica e dunque anche della membrana plasmatica è quello del MOSAICO FLUIDO. MODELLI DI MEMBRANA PLASMATICA Il modello a mosaico fluido fa riferimento agli scienziati Singer e Nicholson. Ma arriviamoci per gradi. DANIELLI E DAVSON: La membrana come STRUTTURA ORDINATA e RIGIDA Quando sono state viste le prime immagini delle membrane biologiche e della membrana plasmatica, gli scienziati del periodo avevano affermato che la struttura “a binario”, ovvero la struttura trilaminare (tre fogli messi uno sopra l’altro: i due fogli più esterni a contatto con l’acqua del citosol e dell’ambiente extracellulare avranno delle componenti chimiche idrofiliche mentre il foglio interno sarà invece idrofobico) rappresentasse la membrana plasmatica. E’ vero che è presente una struttura trilaminare però non è quella della membrana plasmatica bensì è quella del doppio strato lipidico. In origine si pensava che gli strati idrofilici fossero dati da proteine che si rivolgevano, formando una specie di strato, o verso l’ambiente extracellulare o verso l’ambiente intracellulare e lo stato intermedio era dato da lipidi. Perciò si parlava di modello trilaminare, ovviamente sbagliato, il quale fu ipotizzato da Danielli e Davson. Ipotizzarono dunque un doppio strato lipidico rivestito completamente da una specie di “crosta” formate da proteine con caratteristiche idrofiliche. Sono stati poi eseguiti ulteriori studi e si è notato che tale modello non fosse corretto. In seguito a svariate analisi chimiche, tutti erano d’accordo sul fatto che proteine e lipidi fossero e siano i componenti più numerosi in una membrana biologica ma non è corretto affermare che siano disposti nella maniera sopra citata. Il problema era dunque capire quale fosse la giusta disposizione dei vari componenti della membrana biologica all’interno della membrana stessa. SINGER E NICHOLSON: la membrana come MOSAICO FLUIDO Osservarono che le proteine non si associavano a formare degli strati ma erano inserite nell’ambito del doppio strato lipidico. Questo modello prende il nome di mosaico fluido. Mosaico: perché, se avessi l’opportunità di vedere ad occhio nudo una cellula, vedrei in certe zone le teste dei lipidi di membrana e in altre zone vedrei delle formazioni anche abbastanza ingombranti di altro tipo, ovvero le proteine immerse. Il mosaico quindi deriva dal fatto che non vedrei una situazione uniforme (come avrei visto nel caso del modello di Danielli e Davson) ma vedrò una sorta di macchie, ovvero zone in cui si vedono le teste idrofiliche di membrana e zone in cui invece sporgono le proteine. Fluidità: il discorso della fluidità deriva da quella solita analogia, più o meno corretta, del mare in cui si muovono degli iceberg. Gli iceberg rappresentano le proteine e quindi vuol dire che le proteine si spostano in questa sorta di mare lipidico e ciò comporta un fatto molto importante, ovvero stabilire che quindi i doppi strati lipidici nelle cellule normalmente funzionanti sono fluidi. Se la fluidità non è regolata bene o addirittura viene a mancare, la cellula non ha più una membrana funzionale. La fluidità è dunque un aggettivo fondamentale e vedremo come la cellula si dia da fare non solo per mantenere la fluidità ma per mantenerla in un ambito giusto. La consistenza del burro che si scioglie una volta tolto dal frigo è più o meno la consistenza che può avere il doppio strato lipidico di una membrana. Nonostante ciò la cellula riesce ugualmente a formare un confine perché i lipidi si dispongano in una certa maniera rispetto all’acqua che c’è all’interno e fuori dalla cellula. Ci vuole poco per danneggiare una membrana cellulare, ci sono però anche le proteine e il citoscheletro che danno più stabilità. Il discorso della mobilità delle proteine che si muovono i questo mare lipidico è ugualmente un fatto fondamentale perché avere la possibilità che certe proteine possano spostarsi è importante proprio per il funzionamento delle membrane biologiche in generale, non solo della membrana plasmatica. E’ altrettanto importante, talvolta, bloccare le proteine in questo movimento, compito del citoscheletro che può ancorarle. Dunque alcune proteine vengono lasciate libere di muoversi e altre no, in base a quella che è la loro funzione. Ci sono degli esperimenti che possono dimostrare che è vero il fatto che le proteine si muovano nel mare lipidico. (Ne parleremo più avanti) FLUIDITA’ DEL DOPPIO STRATO LIPIDICO Considerando il discorso della fluidità del doppio strato lidico, invece, le conoscenze che abbiamo ovviamente derivano sempre dai doppi strati artificiali, i quali sono costruibili in laboratorio e nei quali possiamo inserire tutti i lipidi che vogliamo per stabilire quale può essere il ruolo specifico che i vari lipidi hanno nelle membrane biologiche dato che non tutti hanno la stessa funzione. Ad esempio, si potrebbe creare un doppio strato lipidico per avere un modello di membrana costituito solo da uno o due lipidi e si rende conto di come funzionano, poi ne aggiunge altri per vedere se cambia qualcosa e così via. Come può influire e a che cosa è dovuta la fluidità del doppio strato lipidico? Se il doppio strato lipidico è fluido significa che automaticamente i lipidi hanno la possibilità anch’essi di muoversi, non sono fermi. Basti pensare all’acqua: quando essa è allo stato cristallino (ghiaccio) le molecole d’acqua sono intrappolate nella struttura cristallina del ghiaccio mentre quando è allo stato liquido si avrà ugualmente il reticolo dell’acqua però la mobilitò delle molecole d’acqua è maggiore. Per passare da uno stato di “intrappolamento” delle molecole d’acqua nel contesto del ghiaccio ad uno stato liquido in cui le molecole hanno una maggiore libertà bisogna aumentare la temperatura. Se ne deduce che la possibilità di avere una situazione fluida in un sistema di molecole è dovuto alla temperatura. Ad esempio, il burro se lo metti in frigorifero ha uno stato cristallino se invece aumento la temperatura tenderà a sciogliersi e la cinetica, ovvero la capacità di movimento delle molecole, noterò che esse sono molto più mobili nel burro che si sta sciogliendo rispetto al burro solido. Quindi questo vuol dire che diventa importante il discorso della temperatura, non tanto quando si parla di membrane biologiche degli omeotermi (ovvero gli organismi in grado di regolare la propria temperatura, temperatura di riferimento: 36/37 gradi per i mammiferi e per gli uccelli), ma per le membrane biologiche degli organismi eterotermi (ovvero quelli che risentono delle variazioni di temperatura dell’ambiente). Se la temperatura scende molto, infatti, si potrebbe andare incontro ad una condizione in cui i doppi strati lipidici vanno a finire a fare qualcosa di simile al burro solido in frigorifero. Al contrario, se sottopongo un organismo biologico a temperature molto elevate, il doppio strato lipidico potrebbe andare incontro ad una condizione in cui i doppi strati lipidici vanno a finire a fare qualcosa di simile al burro che inizia a sciogliersi una volta tolto dal frigorifero. Dunque, se le variazioni di temperatura sono molto drastiche (scendono o salgono troppo) sicuramente possono portare, a meno che l’organismo non sia capace di regolare la situazione chimicamente, ad avere una cristallizzazione dei doppi strati lipidici (burro solido) oppure ad avere un’agitazione termica maggiore tra le molecole che compongono il sistema, la quale si traduce in una più elevata fluidità del sistema (burro che si scioglie). Se trasferisco tali concetti sul doppio strato lipidico di una membrana è chiaro che se aumento la temperatura oltre un certo livello, il doppio strato lipidico diventa iperfluido. E’ stato dimostrato che, affinchè la membrana biologica funzioni bene, deve stare entro un ambito limitato di fluidità altrimenti non svolge più il suo compito. Quindi, quando si ha un doppio strato lipidico fluido vuol dire che i suoi lipidi si muovono. Se essi sono bloccati è sintomo di una cristallizzazione. Se aumento la temperatura, il doppio strato lipidico diventa più fluido. Se diminuisco la temperatura, il doppio strato lipidico diventa meno fluido. N.B.: il discorso dell’innalzamento e dell’abbassamento della temperatura influisce sullo stato fisico del doppio strato lipidico però è un fatto subito dalla cellula quindi la cellula non può modificare la propria temperatura. Se è un eteroterma la cellula la subisce in base alla variazione del clima circostante. Nel caso degli omeotermi abbiamo a che fare con organismi a temperatura costante. E’ chiaro che anche in questo caso si potrebbe abbassare la temperatura andando, ad esempio, dentro una cella frigo però si altererebbe quella che è la normale fisiologia di tale organismo. La temperatura influisce quindi sulla fluidità ma è un fatto che viene subito dalle cellule. I movimenti che i lipidi fanno nell’ambito di un doppio strato lipidico artificiale sono stati studiati e sono stati utili per capire alcune cose come i movimenti dei lipidi di membrana all’interno di una membrana vera. FLUIDITA’ DELLA MEMBRANA Dipende dalla temperatura. E’ un fatto che la cellula subisce. Aumento della temperatura doppio strato lipidico più fluido. Abbassamento della temperatura doppio strato lipidico meno fluido, si cristallizza. Range fisiologico: temperatura alla quale si ha la fluidità corretta (37 gradi negli omeotermi). Temperatura molto superiore o molto inferiore al range fisiologico membrana non funzionale. DIMOSTRAZIONE DEL MOVIMENTO DELLE PROTEINE DELLA MEMBRANA PLASMATICA IN CELLULE IBRIDE UOMO-TOPO → (immagine slide 20) Essa rappresenta una procedura utilizzata in ambito tecnologico per dimostrare che le membrane biologiche rispondono ad un modello definito a “mosaico fluido”. Tale procedura comporta una “fusione di cellule”. Ibridomi: unione di due cellule diverse che mette insieme le caratteristiche delle due. Uno scopo di questa procedura è la produzione di anticorpi. Questi vengono utilizzati per varie ragioni, possono avere un significato terapeutico e anche un significato diagnostico. In quest'ultimo ambito vengono utilizzati per vedere se nel siero di un paziente sono presenti determinati antigeni che sono rappresentativi di qualche malattia. Nell'ambito della biologia cellulare gli anticorpi vengono per riconoscere antigeni sulla superficie di certe cellule. Vengono quindi utilizzati a scopo diagnostico sperimentale. Gli anticorpi sono prodotti dai linfociti B nel loro stadio di differenziazione, detto anche stadio di plasmacellule. Dal punto di vista biologico, quali sono le caratteristiche che derivano dalla fusione di due cellule per dare un ibridoma? La capacità di produrre anticorpi o immunoglobuline, ossia quelle che riconoscono sostanze estranee, e ancora la capacità proliferativa. Solitamente si fondono a plasmacellule cellule che abbiano queste due caratteristiche biologiche. In questo caso specifico sono state fuse due cellule di specie diverse: una cellula di topo e una di uomo. Essendo cellule di specie diverse, presentano caratteristiche altrettanto diverse, per esempio presentano proteine di membrana diverse. Le proteine di membrana ci entrambe vengono marcate con sostanze fluorescenti, cioè sostanze che emettono luce di colore diverso. Nel caso della cellula di topo le proteine producono una luce rossa perché sono state cloroformizzate\marcate con cloroformio, mentre quelle di uomo emettono luce verde. Per formare un ibrido (binucleato) tramite fusione, si possono utilizzare dei virus oppure particolari proteine. Nell'esperimento è importante definire la temperatura: al tempo 0, cioè appena avvenuta la fusione, la cellula deve essere posta a temperature basse, intorno agli 0\4 gradi. Ciò fa si che da una parte dell'ibrido si dispongano le proteine del topo, mentre dall'altra le proteine umane. Lasciando la cellula intorno agli 0 gradi, si osserva questa situazione stabilizzata. Se invece progressivamente si aumenta la temperatura fino a raggiungere i 37 gradi circa, si osserverà che le proteine si ridistribuiscono diffondendosi abbastanza omogeneamente in tutto l'ibrido. Questo effetto è dovuto quindi alla temperatura: se mantengo la temperatura bassa (intorno ai 10 gradi) non si ottiene nessuna distribuzione omogenea, cosa che invece si ottiene con l'aumento della temperatura. Tale esperimento è fondamentale in quanto conferma che il mare lipidico in cui le proteine si trovano immerse ha permesso loro di spostarsi. In più ciò si manifesta per effetto delle temperatura: abbassando la temperatura, il doppio strato lipidico cristallizza\solidifica\ è reso più denso e le proteine si muovono meno agevolmente nel mare lipidico; mentre se più il doppio strato lipidico è fluido, le proteine avranno maggiore possibilità di movimento. E' chiaro che se la temperatura viene innalzata a livelli troppo elevati, si avrà un'iperfluidità nel doppio strato che non è comunque adeguata. Quindi la fluidità è corretta nell'ambito fisiologico (range fisiologico): negli esseri viventi la temperatura massima la trovo negli omeotermi (37 gradi) TEMPERATURA PIU' ALTA DEL VALORE FISIOLOGICO → iperfluidità del doppio strato lipidico TEMPERATURA UGUALE AL VALORE FISIOLOGICO → fluidità corretta TEMPERATURA PIU' BASSA DEL VALORE FISIOLOGICO → cristallizzazione del doppio strato lipidico MOVIMENTI DEI LIPIDI NEI DOPPI STRATI ARTIFICIALI E’ stato osservato che se la membrana ha una certa temperatura, quella fisiologica, i lipidi di membrana fanno dei movimenti, alcuni dei quali si conosce il significato mentre di altri no. Ruotare lungo il proprio asse: tutti i lipidi di membrana sono capaci di ruotare lungo il proprio asse ma non è ancora noto il significato di tale movimento, oppure potrebbe non averlo. Movimento delle code: è indicativo di uno stato di fluidità della membrana. Se le code sono ferme vuol dire che quella membrana sta andando verso una cristallizzazione. Tale movimento è dunque in funzione della temperatura. Spostamenti laterali: i lipidi di membrana possono spostarsi lateralmente da una parte o dall’altra. Tali movimenti hanno un significato, ovvero significa che i lipidi devono andare a raggiungere una zona specifica della membrana, per esempio andare vicini a una certa proteina. Flip-flop: è un movimento che inizialmente poteva sembrare strano, soprattutto quando si è andato a studiare le membrane biologiche perché nei doppi strati lipidici artificiali non avveniva. Tale movimento consiste nel salto di un lipide di membrana (spesso fosfolipidi) da un emistrato all’altro. Questo avviene raramente nei doppi starti artificiali mentre, invece, il movimento è molto più frequente se si esamina una membrana biologica. Nei doppi strati lipidici artificiali non ci sono infatti le proteine e se ne deduce che, probabilmente, il fatto che ci sia il flip-flop in una membrana biologica è dovuto al fatto che ci sono le proteine. Studiando questo aspetto si è visto che ci sono proprio degli enzimi (tutto quello che accade in una cellula, anche strutturalmente oltre che funzionalmente è da ricondurre a delle reazioni chimiche e biochimiche) chiamati flippasi, capaci di catalizzare il salto da un emistrato all’altro, un evento termodinamicamente ed energeticamente non tanto favorevole per cui, affinchè possa avvenire, necessita di catalizzatori. E’ un altro motivo per cui il flip-flop non avviene nei doppi strati lipidici artificiali, dato che non ci sono tali enzimi. Ricordiamo che gli enzimi rendono possibili alcune attività che altrimenti, alle condizioni compatibili con la vita, non potrebbero avvenire. Tutti questi movimenti hanno a che fare con il fatto che la membrana sia fluida. Se sperimentalmente si abbassa la temperatura della cellula, tutti questi movimenti cessano, poiché si va verso una cristallizzazione, un impaccamento dei lipidi che alla fine finiranno per non muoversi più. TRANSIZIONE DI FASE (doppi strati artificiali) Quindi alla fine si è osservato che i cambiamenti che possono esserci nella fluidità di una membrana sono prima di tutto dovuti a variazioni della temperatura però bisogna sapere se si tratta di organismi che possono regolare la propria temperatura dove di fatto il problema finisce per non esistere e non avere problemi di fluidità oppure se si tratta di organismi eterotermi sollecitati in maniera rilevante (sia in salita che in discesa) dalle variazioni ambientali di temperatura. Tali cambiamenti di temperatura sono chiamati transizioni di fase. Se prendo dei doppi strati artificiali e li sottopongo a variazioni di temperatura mi rendo conto che il doppio strato lipidico può essere fluido o nella fase di gel, chiamata anche fase cristallina e dipende dalla temperatura. Ciò lo faccio sperimentalmente però bisogna ricordare il discorso sugli eterotermi, i quali sono più vicini a questa situazione. Per i mammiferi, tale discorso non vale perché sono organismi in grado di regolare la propria temperatura. Si osserva chiaramente che la situazione che corrisponde ad una temperatura bassa, nell’ambito dell’esame di questa situazione che si chiama transizione di fase, la situazione cristallina corrisponde ad una situazione molto ordinata in cui i lipidi sono molto ravvicinati tra di loro e le code sono belle ordinate, parallele e vicine le une alle altre. Questo è tipico della fase di gel o fase cristallina, ottenuta sperimentalmente abbassando la temperatura. Viceversa, se sperimentalmente si aumenta la temperatura, i lipidi tendono a distanziarsi di più tra di loro quindi le teste saranno più distanti perché i lipidi si muovono di più dato che c’è l’agitazione termica, ovvero l’energia cinetica delle molecole. Anche le code sono coerenti con questi movimenti e tendono anch’esse a spostarsi e a fluttuare. La situazione è dunque meno ordinata rispetto alla fase di gel, si va infatti verso la situazione opposta, ovvero un allontanamento dei lipidi di membrana tra loro e ciò corrisponde alla fase fluida. Alla fine, tale discorso è legato alla chimica dei lipidi di membrana e soprattutto alle catene idrocarburiche che solitamente sono da riferire agli acidi grassi dei lipidi di membrana. Infatti, se io introduco delle pieghe nelle catene idrocarburiche che prima erano rettilinee è chiaro che i lipidi, per quanto vogliano, non possono avvicinarsi più di tanto tra di loro. La situazione di lipidi distanti corrisponde alla fluidità dei doppi strati. La situazione di lipidi impaccati corrisponde alla gelificazione, alla cristallizzazione, alla densità dei doppi strati. Quindi è abbastanza intuitivo immaginare cosa succede: se per caso una cellula di un organismo si trova a bassa temperatura in cui sta progressivamente cristallizzando il doppio strato lipidico, introdurrà delle insaturazioni sulle code idrocarburiche in maniera tale da formare degli angoli (catena satura è rettilinea, catena insatura presenta degli angoli). Succede dunque che a livello della membrana biologica vera ci saranno degli enzimi che si chiamano insaturasi o che introdurranno delle insaturazioni nelle catene idrocarburiche e questo porterà al risultato sopra evidenziato. Siccome i parametri che vengono presi in considerazione quando si parla di un acido grasso sono fondamentalmente due: l’insaturazione più o meno rilevante di una catena idrocarburica e la lunghezza della catena stessa, si è osservato che se si fa prevalere catene corte negli acidi grassi delle code idrofobiche dei vari lipidi di membrana si favorisce la fluidità (meno punti di contatto tra i lipidi) mentre se si mettono catene lunghe e sature si favorisce il compattamento (più punti di contatto tra i lipidi). Se una cellula vuole opporsi a una fluidificazione eccessiva del doppio strato lipidico, dovrà introdurre insaturazioni e dovrà accorciare le catene idrocarburiche che caratterizzano i lipidi di membrana, favorendo la fluidità. Questo vale per gli eterotermi. Viceversa, se le cellule di quel dato organismo si trovano a temperature così elevate da favorire la fluidificazioni eccessive avverrà la situazione inversa, ovvero si desatura (si tolgono i doppi legami) e si allungano le catene idrocarburiche inserendo altri acidi grassi. Esaminando sperimentalmente gli stessi lipidi di membrana si è osservato che la temperatura di transizione di fase cambiava, cioè si aveva la fluidificazione oppure la cristallizzazione a temperature diverse nel passaggio, a seconda dei lipidi di membrana che erano inseriti nel doppio strato. E’ emerso che la temperatura alla quale si ha il passaggio di fase dallo stato liquido allo stato cristallino, e viceversa, non è fisso per tutti i doppi strati lipidici artificiali ma dipende dalla composizione dei lipidi. Ciò significa che se la membrana è formata da lipidi solo X avrà una temperatura di X gradi, se invece sono lipidi Y la temperatura sarà di Y gradi. La temperatura, perciò, cambierà a seconda della composizione oppure sarà la risultante di una miscela di un certo tipo. In conclusione, si osservò che la cellula in questo modo potrebbe variare la fluidità della membrana in relazione ai lipidi presenti e alla loro composizione specifica. Ad esempio, negli acidi grassi, come abbiamo visto, ci può essere una variabilità dato che essi possono avere la catena idrocarburica più o meno lunga o più o meno insatura. Quindi questa considerazione è utile se si parla di cellule che fanno parte di organismi sollecitati termicamente dall’ambiente esterno (eterotermi) in quanto non sono in grado di termoregolare la loro stessa temperatura e potrebbero dunque avere variazioni molto drastiche riguardo la fluidità della membrana. N.B.: avere variazioni della fluidità della membrana, quindi del doppio strato lipidico, può non far funzionare la membrana in modo adeguato. Se un organismo si trova a bassa temperatura cercherà di utilizzare delle reazioni chimiche che lo aiutino a mantenere un doppio strato lipidico fluido che invece sta tendendo a cristallizzare cioè a diventare sempre più denso. Viceversa, se un organismo eteroterma si trova in condizioni di temperatura molto elevata vedrebbe le membrane biologiche delle sue cellule diventare iperfluide e anche questo è un fatto svantaggioso in quanto la fluidità deve stare in un ambito limitato, non può variare in maniera così significativa. C’è dunque la possibilità da parte delle cellule di mettere in atto una strategia chimica che prende il nome di adattamento omeoviscoso. Esso consiste nel “giocare” chimicamente sulla composizione dei lipidi di membrana in modo da tamponare condizioni che farebbero in modo che le loro membrane cellulari diventino o troppo fluide o poco fluide. Il discorso della fluidità è talmente importante che esistono diversi livelli di intervento però tali livelli dipendono dal tipo di organismo con cui si ha a che fare. In definitiva: i lipidi di membrana più sono ravvicinati tra di loro, più sono impaccati, rappresentano una situazione di gelificazione, di cristallizzazione. Questa non è la normalità, in un organismo eteroterma succede questo quando si abbassa la temperatura. La membrana diventerebbe così cristallina che si andrebbe verso una non funzionalità della membrana stessa. La cellula di un organismo che vuole opporsi a questa situazione deve fare in modo che i lipidi si distanzino di più tra di loro perché avere i lipidi distanti significa avere una membrana più fluida. Come può fare una cellula a rendere i lipidi più distanti tra di loro? Giocando sulla chimica dei lipidi che compongono il doppio strato, introducendo delle insaturazioni (doppi legami). Quando c’è un doppio legame in una catena idrocarburica, essa non sta rettilinea (cosa che favorirebbe l’impaccamento dei lipidi) ma formano degli angoli e per questo motivo i lipidi risulteranno più distanti tra di loro. Altro elemento che permette di regolare la fluidità è anche la lunghezza delle catene idrocarburiche. Se sono corte si favorisce la situazione di fluidità, al contrario, se sono lunghe si favorisce l’impaccamento. Se una cellula si trova in una temperatura sfavorevole che tende a scendere che cristallizzerebbe la sua membrana utilizza, per formare le proprie membrane, catene idrocarburiche corte e insature. Viceversa, se vuole favorire la cristallizzazione perché si trova a temperature troppo elevate che renderebbero le membrane troppo fluide, agisce in senso opposto, ovvero togliendo le insaturazioni e rendendo dunque le catene rettilinee, e le rende più lunghe, questo permette un maggiore impaccamento che si oppone all’eccessiva fluidità. E’ dunque una sorta di bilancia. Questa operazione la può fare qualsiasi cellula, compresi i procarioti (esempi di organismi monocellulari che possono essere sollecitati termicamente in maniera molto grave). Se possono farlo i procarioti, a maggior ragione, possono farlo le cellule eucariotiche. Abbassamento della temperatura: stato di gel, di cristallizzazione. Lipidi più vicini tra loro, più impacchettati, catene idrocarburiche lunghe e sature (rettilinee). Per contrastare questa situazione (adattamento omeoviscoso) introdurre delle insaturazioni (doppi legami) nelle catene idrocarburiche (grazie agli enzimi insaturasi) per allontanare i lipidi e introdurre catene idrocarburiche più corte (meno punti di contatto tra le code). Aumento della temperatura: stato di iperfluidità. Lipidi più distanti tra loro, meno impacchettati, catene idrocarburiche corte e insature (non rettilinee). Per contrastare questa situazione (adattamento omeoviscoso) togliere le insaturazioni e rendere dunque le catene rettilinee e rendere le catene idrocarburiche più lunghe (favorisce un maggiore impaccamento dei lipidi che si oppone all’eccessiva fluidità). N.B.: per favorire la fluidità della membrana, la cellula utilizza anche il colesterolo. IL COLESTEROLO In più le cellule eucariotiche, hanno un’ulteriore possibilità di regolazione supplementare, come avviene nei sistemi complessi, data dalla presenza del colesterolo che solitamente, salvo casi eccezionali, i batteri non hanno. Il colesterolo non è una molecola lipidica che solitamente è presente nelle membrane procariotiche mentre, invece, nelle membrane eucariotiche è presente il colesterolo ed, essendo un lipide di membrana, è anch’esso anfipatico. La testa è molto piccolina (porzione idrofilica) rappresentata dal gruppo ossidrilico. Tutto il resto della molecola è idrocarburico perciò idrofobico. La testa si orienterà verso le teste più grandi degli altri lipidi mentre le code si orienteranno verso la parte idrofobica del doppio strato, ovvero le altre code dei lipidi di membrana. Il colesterolo è un ulteriore molecola che può essere utilizzata dalle cellule eucariotiche per regolare in maniera più fine il discorso della fluidità. Questo fa capire quanto sia importantissimo tenere la fluidità al livello giusto, cioè se un eucariote ha addirittura un elemento in più per regolarla si evince che sia un esigenza forte. Come agisce il colesterolo? Dipende da quanto colesterolo la cellula inserisce nella propria membrana per regolare ulteriormente la fluidità della membrana stessa. Funziona come una molecola in più che i procarioti non hanno ma è una molecola che dipende da dove si gira: se si fa salire il colesterolo si avrà un certo effetto, se si fa scendere se ne avrà un altro. Tradotto, significa che il ruolo del colesterolo dipende dalla quantità che la cellula inserisce. Se ne inserisce fino a un certo livello, gli altri lipidi che prima erano vicini ora non potranno più stare così tanto vicini dato che tra loro c’è una molecola di colesterolo. Ecco spiegato come la cellula utilizza questo ulteriore elemento (il colesterolo) per favorire la fluidità della membrana. E’ però stato osservato che se si supera un certo livello di inserimento del colesterolo, inserendone troppo, si finirà per bloccare la mobilità degli altri lipidi, ottenendo dunque l’effetto opposto. In conclusione, il colesterolo è un regolatore tipico della fluidità delle cellule eucariotiche ma l’effetto che si ottiene, grazie al suo inserimento nella membrana, dipende dalla sua concentrazione: fino ad un certo livello aumenta la fluidità in quanto determina un distanziamento dei lipidi di membrana, oltre un certo livello li blocca (ne inserisce talmente tanti che gli altri lipidi sono impossibilitati a muoversi) ottenendo l’effetto contrario. E’ stato osservato inoltre che il colesterolo può regolare anche la diffusione di molecole attraverso il doppio strato lipidico perché funziona un po’ come “tappi” da inserire tra un lipide e l’altro. DISTRIBUZIONE ASIMMETRICA DEI LIPIDI DI MEMBRANA Altro aspetto importante delle membrane biologiche è il grado di asimmetria. Il concetto di simmetria richiama il discorso geometrico: una struttura simmetrica è qualcosa di uguale da una parte e dell'altra, un qualcosa che ha due controparti speculari. Quando si considera il concetto di simmetria in ambito biologico però le cose sono più elastiche, anche se il concetto di base è lo stesso. La membrana plasmatica è una struttura asimmetrica perché la componente glucidica è presente solo nell'emistrato che guarda all'esterno. Separando invece un doppio strato lipidico a metà, ci troviamo difronte a due metà che sono apparentemente simmetriche. Apparentemente perché rientra il problema chimico. Tale concetto di geometria si traduce in un concetto chimico perché non è tanto un qualcosa di morfologico o geometrico in senso stretto. Se taglio un doppio strato lungo il piano dove si incontrano le code dei lipidi ottengo una struttura che è apparentemente simmetrica. Se si considera la membrana nella sua totalità si può affermare che le membrane biologiche e la membrana plasmatica nello specifico hanno una struttura assimmetrica anche se apparentemente simmetrica. Nel versante extracellulare della membrana troviamo infatti delle catene oligosaccaridiche che non troviamo invece sporgere nel versante citoplasmatico. E’ quindi un elemento di assimmetria. Non solo la membrana plasmatica nella sua totalità è una struttura assimmetrica ma nello specifico diventa importante analizzare la situazione del doppio strato lipidico. Ricordiamo che la grande variabilità dei lipidi di membrana è dovuta dalla testa che può essere questa o quella chimicamente, alle code idrofobiche che possono essere variamente combinate (catene lunghe, corte, sature, insature). C’è dunque una grande variabilità che consente di ottenere una grande quantità di lipidi di membrana. Un altro elemento di assimmetria è la presenza di fosfolipidi di un certo tipo più orientati verso l’esterno e altri di altro tipo orientati all’interno. Ci si aspetterebbe che i lipidi si organizzassero più o meno omogeneamente tra i due emistrati e le loro concentrazioni fossero in equilibrio. Ciò non rispecchia la realtà perché nelle membrane vere ci sono anche le proteine, tra le quali anche enzimi. Ricordiamo che tra essi sono presenti dei particolari enzimi chiamati flippasi, i quali catalizzano il movimento tra un emistrato all’altro, un movimento particolarmente difficile che si oppone alle leggi della diffusione che direzionerebbero i lipidi di membrana nei due strati in maniera equilibrata. La cellula si impegna dunque per mantenere disequilibrati i due strati lipidici, cioè quello che guarda verso l’esterno ha una certa composizione mentre quello che guarda verso l’interno ne ha un’altra. Dal punto di vista chimico non sono quindi simmetrici. E’ evidente una assimmetria dal punto di vista chimico. La FOSFATIDIL-SERINA è unicamente presente nell’emistrato interno. La FOSFATIDIL-ETANOLAMMINA è più presente nel versante interno ma si trova anche, in concentrazioni minori, nel versante che guarda verso l’esterno. La SFINGO-MIELINA e la FOSFATIDIL-COLINA sono più presenti nel versante esterno. In sintesi, i due emistrati presentano diverse tipologie fosfolipidi soprattutto da un punto di vista quantitativo (vedi sopra, diverse disposizioni tra emistrato interno ed esterno) e poi da un punto di vista esclusivo per quanto riguarda la FOSFATIDIL-SERINA (presente unicamente nell’emistrato esterno). Quali sono le ragioni per cui certi lipidi di membrana si trovano in certe zone della membrana e altri invece in altre? Non è una cosa casuale. Prima di tutto, i lipidi di membrana si possono spostare perché i doppi strati sono un po’ fluidi. I lipidi si spostano lateralmente perché, nell’ambito del mosaico fluido, sono associati a certe proteine e si è stabilito che non è casuale la vicinanza tra determinati lipidi di membrana e determinate proteine. Certe proteine sono infatti attive nel svolgere la loro funzione (trasporto, funzioni recettoriali, funzione di adesione con altre cellule…) solo se hanno vicino a loro certi lipidi di membrana che interagiscono chimicamente con loro in certo modo, e non altri. Perciò non è casuale. In passato, i lipidi vicini alle proteine venivano indicati come lipidi di delimitazione perché ancora non era stato colto il fatto che invece attivavano certe proteine, avendo dunque un ruolo importante. Non si mettevano semplicemente intorno alle proteine. ZATTERE LIPIDICHE Più avanti sono stati fatti degli studi ulteriori e si è arrivati al concetto di zattere lipidiche (LIPID RAFT). Il concetto di zattera richiama sempre il discorso del mare, la zattera rispetto al mare è una struttura che ha una sua solidità che galleggia sul mare. Le zattere lipidiche sono dei punti di densità maggiore rispetto al mare lipidico circostante e questo richiama un po’ il concetto di zattera, anche se il mare in questo caso è il doppio strato lipidico e la zattera può anche sconfinare abbastanza e quasi attraversare nella sua totalità il doppio strato (prendere con le pinze gli esempi). Sono dunque, in sintesi, una struttura più densa rispetto ai lipidi circostanti e ciò avviene soprattutto nel versante extracellulare. La cellula può agire chimicamente sulle catene idrocarburiche allungandole e togliendo i doppi legami oppure giocando sulla quantità di colesterolo se vuole dare più consistenza (rendere più denso) al doppio strato lipidico. Quindi la cellula fondamentalmente gioca sulla quantità di colesterolo. Nella zona della zattera lipidica le molecole di colesterolo, per unità di superficie, sono presenti in maggior numero rispetto ad altri punti del doppio strato. C’è così tanto colesterolo che conferisce una maggiore densità perché in quel determinato punto la membrana fluidifica di meno. C’è da ricordare che il colesterolo, se aggiunto in quantità oltre un certo livello, non solo non porta alla fluidità ma addirittura la inibisce. Nelle zattere lipidiche c’è dunque una quantità tale di colesterolo che, soprattutto nel versante che guarda verso l’esterno, conferisce a quel punto del doppio strato una maggiore densità rispetto a tutto il resto che c’è intorno. Analizzando che cos’altro c’è nel doppio strato lipidico si è notata la presenza di diverse molecole di natura proteica, in particolare glicoproteica perché si vedono le alborizzazioni (catene oligosaccaridiche) che guardano verso l’esterno. Da come sono conformate sembrerebbero glicoproteine di trasporto però è stato osservato che spesso sono anche molecole recettoriali e il fatto di avere questa situazione chimica intorno (colesterolo e certi lipidi piuttosto che altri) fa in modo che queste glicoproteine siano attivate a svolgere la loro funzione che spesso consiste nella trasduzione del segnale, cioè interpretare molecole ligando dell’ambiente extracellulare che segnalano qualcosa alle stesse cellule. Le zattere lipidiche sono dunque delle zone molto importanti della membrana plasmatica con caratteristiche chimico-fisiche particolari: presenza del colesterolo oltre un certo livello, con conseguente densità maggiore in quella determinata zona (il che giustifica il nome di zattera), presenza di certe glicoproteine associate anche tra di loro e anche con certi lipidi specifici. Questo alla fine si traduce nel mettere in piedi, in quella zona della cellula, un sistema recettoriale. Al discorso del mosaico fluido si è arrivati anche grazie a tecniche sperimentali. Una delle tecniche che ha contribuito di più a determinare l’assetto del mosaico fluido è la criofrattura. La criofrattura (in inglese freeze aching) consiste nel congelare le