La Cellula - PDF
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This document discusses the structure and function of cells, focusing on eukaryotic cells and their organelles. It details the importance of compartmentalization, membrane-bound organelles, and the ways cells communicate and exchange substances with their environment. Key components such as the nucleus, endoplasmic reticulum, and mitochondria are also covered.
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LA CELLULA La cellula è l’unità fondamentale della vita, una struttura autosufficiente, capace di dividersi e generare cellule figlie. Ogni cellula ha una propria forma, dimensione, funzione e sostanze chimiche che produce. La caratteristica fondamentale di una cellula eucariote è essere compartimen...
LA CELLULA La cellula è l’unità fondamentale della vita, una struttura autosufficiente, capace di dividersi e generare cellule figlie. Ogni cellula ha una propria forma, dimensione, funzione e sostanze chimiche che produce. La caratteristica fondamentale di una cellula eucariote è essere compartimentalizzata, è dunque formata da diversi ambienti necessari per organizzare il lavoro cellulare. Le diverse stanze in cui è suddivisa non sono chiuse, ma in continua comunicazione tra loro; se per qualsiasi ragione si chiude questa comunicazione la cellula va in tilt. La comunicazione cellulare è importante anche per comunicare e scambiare le sostanze con l’ambiente esterno. Tutte le cellule eucarioti comprendono: -organuli cellulari -organuli circondati da membrane -citoplasma -citoscheletro -lisosomi -complesso di Golgi -membrana plasmatica -mitocondri -reticolo endoplasmatico liscio e rugoso -ribosomi Esiste questa compartimentazione sia perché così ogni compartimento si specializza in una funzione in un determinato tempo (digestione, respirazione…), sia perchè aumenta la superficie ad esempio per ospitare gli enzimi. Quasi tutti gli organuli sono circondati da una membrana plasmatica, la stessa che delimita tutte le cellule. Avere più membrane è un vantaggio, c’è la possibilità di archiviare un determinato ambiente, inoltre si inseriscono una serie di proteine con diverse funzioni. Quindi se aumento la superficie membranosa aumento anche la produttività della cellula grazie alla presenza di maggiori proteine. È necessario che a livello cellulare venga tenuto un rapporto superficie-volume per ottimizzare le distanze tra periferia e parte centrale della cella, e la comunicazione. Se le cellule fossero troppo grandi o se non ci fossero le membrane le sostanze verrebbero scambiate nell’arco di un tempo molto ampio. MEMBRANA CELLULARE Tutti gli organuli e le cellule sono circondati da una membrana, la cui funzione principale è definire il perimetro della mia cellula o degli organuli in questione. La struttura delle membrane è simile a fogli (6-10 nm), costituita da lipidi e proteine che non presentano legami covalenti. Possono corrispondere a superfici di separazioni tra compartimenti, di riconoscimento come recettori per ormoni e catalitiche. All’interno della cellula la zona che non è occupata dal nucleo è formata dal citoplasma, formato a sua volta dal citosol, sostanza semifluida in cui galleggiano e sono dispersi organelli, enzimi, particelle, e dagli organuli cellulari, strutture endocellulari rivestite da membrana e con funzioni specifiche. Il citosol a sua volta è attraversato dal citoscheletro, un’intricata struttura tridimensionale di filamenti interconnessi che ha la funzione meccanica di sostenere la cellula. Inoltre nel citosol avvengono numerose reazioni cellulari come la sintesi delle proteine e lipidi e le prime tappe del rilascio di energia degli zuccheri. NUCLEO Il nucleo è l’organulo più voluminoso delle cellule, occupa il 5/10%. Tutte le cellule possiedono un loro nucleo, che può essere posizionato in punti diversi; per esempio negli adipociti, è a ridosso della membrana plasmatica, nei linfociti e nelle cellule embrionali occupa una posizione centrale, nelle cellule secernenti è eccentrico, nei neuroni è in posizione centrale rispetto al corpo cellulare… Esistono anche cellule in cui il nucleo è assente, come negli eritrociti, oppure casi di sincizio cellulari, gruppi di cellule assemblate tra loro. Il nucleo dal punto di vista funzionale è la sede del DNA, la molecola in cui viene conservata l’informazione genetica, che deve quindi circoscrivere e proteggere. Il DNA, formato da cromatina e cromosomi e associato al RNA e alle proteine, svolge una funzione talmente importante per l’organismo tanto che il nucleo è formato da un involucro nucleare costituito da una doppia membrana, carioteca, formata da una membrana interna e una membrana esterna in continuità con il RER. All’interno della cellula è necessario che il nucleo sia in contatto con gli altri scompartimenti, e questo è consentito dal passaggio delle sostanze dal citoplasma al nucleoplasma, sostanza fluida all’interno del nucleo, che contiene piccole molecole come coenzimi, ioni e nucleotidi, molecole di RNA e proteine tra cui enzimi responsabili della duplicazione del DNA, della trascrizione e della produzione di nucleotidi. Il trasporto di sostanze all’interno del nucleo è possibile grazie alla presenza di pori nucleari (migliaia) nell’involucro nucleare che non è quindi un limite continuo. I pori nucleari o NPC (complesso del poro nucleare) sono dei veri e propri tunnel, con una particolare struttura ad anello di forma ottagonale, che contiene molteplici copie di circa 30 proteine diverse, tra le quali le più importanti sono le nucleoporine, che devono filtrare e controllare il passaggio di sostanze. Formano una struttura gelificata flessibile che permette la diffusione di piccole molecole, mentre esclude le proteine idrofiliche di dimensioni superiori a 40 kDa. Tuttavia esistono sostanze che devono passare attraverso questi canali e giungere nel nucleo, ma che hanno dimensioni maggiori, come per esempio gli istoni, ossia proteine che vanno a complessarsi con le molecole del DNA. Questo passaggio quindi avviene attraverso i carrier, trasportatori che legano le proteine che dal citoplasma devono andare nel nucleoplasma, nelle quali riconoscono delle sequenze amminoacidiche, dette sequenze sagnale. Tutto ciò che va in direzione del nucleo ha una sequenza segnale, mentre le sostanze che dal nucleo devono uscire nel citoplasma hanno una sequenza diversa. I carrier che legano le molecole nel citosol e le rilasciano nel nucleo sono detti importine, mentre quelli che legano le molecole nel nucleosoma e le rilasciano nel citosol sono detti esportine. I carrier inoltre si muovono per gradiente di concentrazione, le importine hanno un gradiente di concentrazione inferiore nel nucleo e si muovono in quella direzione mentre le esportine inferiore nel citoplasma. Quando i carrier arrivano al poro nucleare inviano un messaggio che fa sì che il poro si dilati per consentirne il passaggio. Al di sotto della membrana, è presenta la lamina nucleare, un intreccio di fibre che fornisce da sostegno per l’involucro nucleare, sulla quale poggia la membrana interna del nucleo. Questa è formata da filamenti intermedi, tra i quali i più importanti sono le lamine di tipo A, B, e C. Queste possono andare incontro a fosforilazione, reazione che precede la scomparsa dell’involucro nucleare in prometafase. In assenza di lamina nucleare il nucleo non sta in piedi. Mutazioni a carico dei geni che codificano le lamine portano a patologie. Attraverso tutto il nucleoplasma, invece, è presente una matrice nucleare, l’equivalente del citoscheletro, che da la forma alla cellula. Questa impalcatura da sostegno e funge da ancoraggio per le fibre di cromatina, DNA condensato e spiralizzato grazie a interazione con particolari proteine. Ogni fibra di cromatina ha una sua precisa localizzazione nel nucleo. Le sequenze di DNA che entrano in contatto con la matrice nucleare sono dette S/MAR. Lamina nucleare Matrice nucleare A livello nucleare è presente anche il nucleolo, una struttura sferica di diversi micrometri, caratterizzata da un’ampia variabilità per forma e dimensione, in cui vengono prodotti i ribosomi che servono per sintetizzare le proteine. All’interno dello stesso nucleo possono essere presenti più nucleoli. Sono considerati dei veri e propri organuli, ma non sono delimitati da una membrana. A livello di ciascun nucleolo è presente una zona granulare e una fibrillare. La zona granulare è formata dalle subunità già formate dei cromosomi, che rimangono separate, perché se si complessassero non riuscirebbero a passare per i poli. Le due subunità migrano in modo indipendente e solo nel processo di sintesi proteica di ricongiungono. La zona fibrillare è invece formata da fibrille, molecole di RNA ribosomiale, di cui sono formati di ribosomi. L’RNA ribosomiale deriva da sequenze specifiche presenti su sequenze del DNA definite NOR. Durante la metafase la cromatina si ripiega in maniera tale che tutte le sequenze NOR sul DNA si trovino in una stessa area, dalla quale vengono trascritte per dare origine a RNA ribosomiale. I ribosomi che si formano nel nucleo sono formati da subunità maggior (60S) e minore (40S), RNA ribosomiale e proteine ribosomiali. (S= costante di sedimentazione, deriva dal nome dello scienziato che per primo ha misurato queste particelle). I ribosomi sono gli organuli che provvedono alla sintesi proteica. Nelle cellule eucariotiche possono essere liberi nel citoplasma, in cui producono proteine che sono utilizzate nel citosol, o legati al reticolo endoplasmatico, in cui producono proteine destinate ad essere inserite nelle membrane o destinate ad essere sportate dalla cellula (secrete). Talvolta i ribosomi vanno ad aderire al RER. l sistema delle endomembrane definisce un insieme di più organuli delimitati da membrane plasmatiche che occupano uno spazio considerevole; comprende il RER, il REL, l’apparato di Golgi e i lisosomi. RETICOLO ENDOPLASMATICO Il reticolo endoplasmatico è una complessa organizzazione membranosa (lipoproteica) che suddivide il citoplasma in diversi compartimenti interconnessi tra loro, costituito da un insieme di vescicole, cisterne, sacchi, comunicanti tra loro. è caratterizzato dalla presenza di enzimi e proteine, in parte sulla membrana e in parte nel lume, che svolgono funzioni diverse. è variabile è per struttura e dimensione da cellula a cellula (meno nelle cellule con funzione di deposito). Il reticolo endoplasmatico può essere liscio, anche detto agranulare quindi privo di ribosomi, o rugoso, con una superficie ricoperta di ribosomi. Si differenziano quindi per la presenza di numerosi ribosomi sulla superficie del RER. Il REL è formato da tubuli allungati mentre il RER da sacchi più voluminosi. Le funzioni del REL: -metabolismo dei carboidrati→produzione di glucosio libero a partire dal glicogeno (epatociti) -metabolismo dei lipidi→produzione dei fosfolipidi, acidi grassi e steroidi, che raggiungono diversi distretti cellulari. Quindi i principali costituenti delle membrane plasmatiche vengono prodotti in questo compartimento. -immagazzinamento del calcio→ ione che viene accumulato sia nel REL che nei mitocondri. Quando alla cellula arriva un impulso questa apre i canali del calcio in modo che possa fluire nell’ambiente circostante. Si ha quindi un aumento della concentrazione di calcio. (in generale una cellula quando riceve uno stimolo, per inviare una risposta ha bisogno di produrre o modificare proteine che vanno ad assolvere la funzione legata allo specifico messaggio ricevuto. La funzionalità delle cellule è legata alla produzione di proteine). Quindi quando i canali del calcio si aprono, questo lega particolari proteine che in sua presenza vengono attivate e consentono di articolare la risposta corretta allo stimolo. Quindi il calcio serve per attivare proteine. -detossificazione→provvede allo smaltimento di sostanze tossiche per le cellule, che giungono al REL, in cui possono essere rese idrofile e poi eliminate attraverso i reni. Gli enzimi che svolgono questa funzione di smaltimento esistono in diverse varianti alleliche= stessi gene con delle varianti. L’organismo è in grado di detossificare meglio certe sostanze rispetto ad altre. Per quanto riguarda i farmaci per esempio sta nascendo una scienza, la Farmacogenetica= vuole creare per un individuo una sorta di carta di identità in cui vengono riportati i geni, che portano alla detossificazione di certe sostanze. IL RER Il reticolo endoplasmatico rugoso ha una superficie ricoperta di ribosomi, i quali si occupano della sintesi proteica. I ribosomi in generali sono prodotti dal nucleolo e trasferiti a livello del citoplasma in cui le subunità si uniscono per la sintesi proteica, dando origine a proteine escretorie o di membrana. Alcuni ribosomi si attaccano alla superficie del RER in particolare quelli che stanno sintetizzando proteine di membrana che devono inserirsi nel reticolo endoplasmatico, nel Golgi, lisosomi, vescicole secretorie, superficie cellulare. Quindi il RER ha un ruolo di smistamento delle proteine, che vengono trasferite verso uno di questi compartimenti. In tutti i casi il loro trasferimento è veicolato da un trasporto di tipo vescicolare. Il destino della proteina è scritto nella sequenza amminoacidica. Le proteine destinate a uno specifico compartimento hanno nella sequenza una porzione definita come peptide segnale (10 amminoacidi), etichetta su cui è indicato l’indirizzo del compartimento a cui sono destinate. Durante la sintesi il ribosoma inizia a tradurre la sequenza del RNAm in una sequenza amminoacidica e il primo pezzetto che viene tradotto corrisponde alla sequenza segnale, riconosciuta da una proteina di trasferimento del segnale che si aggancia al ribosoma. Questa proteina trasferisce la proteina attaccata al ribosoma sul reticolo endoplasmatico. A questo punto la sintesi proteica riprende, la sequenza segnale si stacca e la proteina viene veicolata nel compartimento cellulare a lei destinato. Inoltre il RER inizia il processo di modificazione delle proteine (glicosilazione, ponti disolfuro, folding 3D mediante chaperonine) che si completa nel Golgi. Infine il RER produce vescicole, porzioni di citoplasma racchiuse da una membrana e contenenti speciali molecole. Le funzioni del RER -produrre componenti del sistema delle membrane -sintetizzare proteine (integrali di membrana, RE, Golgi, Lisosomi, endosomi, vescicole e di secrezione) -glicosilazione delle proteine (fase finale)→le proteine attraverso il RER subiscono un processo di glicosilazione, vengono quindi aggiunti degli zuccheri sul sito di asparagina (N-glicosilazione). È un processo fondamentale che permette alle proteine di ripiegarsi e assumere una conformazione tridimensionale. È un processo identico per tutte le proteine. -il RER è dotato di enzimi che si occupano del controllo della qualità delle proteine, controllano quindi che queste siano corrette o se presentano errori. Gli enzimi si rendono conto se la struttura tridimensionale della proteina è conforme e funzionale. L’enzima nel RER dà delle possibilità alla proteina per verificare se la malformazione della struttura è data da un evento casuale o da un fattore intrinseco. COMPLESSO DI GOLGI Il complesso di Golgi è un insieme di sacchi appiattiti e impilati gli uni sugli altri (come una fila di piatti), in cui si riconosce una polarità con una porzione cis verso il RER, una mediale, e una trans verso la membrana citoplasmatica. Le proteine che transitano nel Golgi passano di piatto in piatto attraverso un trasporto vescicolare e durante il transito subiscono delle modificazioni traduzionali (iniziate nel RER attraverso glicosilazione), che le portano a raggiungere la maturità. In questo caso ogni proteina subisce una modificazione diversa a seconda della funzione che dovrà svolgere. Viene completato il processo di N-glicosilazione, gli zuccheri vengono rimodificati, la struttura delle proteine viene riarrangiata per raggiungere lo scheletro definitivo. L’aggiunta di zucchero condiziona il ripiegamento della proteina, e ogni proteina viene glicosilata in maniera diversa a seconda della propria struttura tridimensionale che dovrà raggiungere. Altre proteine subiscono un processo di O-glicosilazione (solo nel Golgi), durante la quale vengono aggiunti zuccheri su residui amminoacidici di serina (è l’amminoacido a cui si legano che è diverso nella N- e O-glicosilazione). Queste modificazioni permettono alla proteina di ripiegarsi correttamente. Durante il transito si possono creare gruppi di solfuro, o altri gruppi chimici, ma l’importante è che la proteina raggiunga la propria struttura. Le funzioni principali che svolge il complesso del Golgi sono: -completamento N-glicosilazione delle proteine. -O-glicosilazione e sintesi di polisaccaridi -sintesi dei glicolipidi e sfingomielina, lipide complesso componente della mielina nelle cellule nervose -sintesi lipoproteine a bassa e alta densità -comunicazione e smistamento con altri organuli tramite: Vescicole rivestite da COPII (RER-Golgi) Vescicole rivestite da COPI (Golgi-RER) Vescicole rivestite da Clatrina (lisosomi e via di secrezione) LISOSOMI Dal Golgi alcune proteine vengono indirizzate ai lisosomi, veri e propri organuli cellulari, con forma sferica, circondati da membrana plasmatica. Hanno una funzione digestiva, servono per lo smantellamento dei rifiuti cellulari ma anche per il riciclo del materiale prodotto. All’interno dei lisosomi sono presenti 50 diversi enzimi idrolitici, la cui funzione è quella di smantellare macromolecole, che giungono in loro prossimità. Questi enzimi sarebbero pericolosi perché se venissero rilasciati senza un controllo distruggerebbero tutta la cellula. Questo è impedito dal fatto che funzionano solo a un certo pH, che all’interno dei lisosomi è acido (pH= 5), mentre al di fuori dei lisosomi è neutro (pH=7,2). Questo ambiente acido all’interno dei lisosomi è mantenuto stabile attraverso una pompa ATP- asica, che pompa ioni idrogeno all’interno degli organuli. L’attività di questa pompa richiede consumo di energia che è fornita da idrolisi di ATP per mantenere nel lisosoma una concentrazione di H+ circa 100 volte più alta rispetto al citosol. I lisosomi digeriscono qualsiasi cosa importata nella cellula attraverso: -pinocitosi: (atto del bere), permette alla cellula l’assunzione di goccioline di liquido insieme ai soluti e alle varie molecole che contengono. -endocitosi: (atto “rutinario” del mangiare), le molecole inglobate presentano dimensioni intermedie. Le vescicole confluiscono da endosomi precoci che evolvono poi in endosomi tardivi che si fondono con i lisosomi. -fagocitosi: (atto “sporadico” del mangiare) permette l’assunzione di particelle di diametro superiore a 1-2 μm. Svolta da cellule specializzate, i macrofagi, porta alla formazione di fagosomi che si fondono con i lisosomi (fagolisosomi). Normalmente sono gli anticorpi che riconoscono le particelle esterne dannose e le presentano ai fagociti. -autofagia: porta alla formazione di autofagosomi che si fondono poi con i lisosomi (autofagolisomi). I lisosomi possono non funzionare quando il sistema di smistamento degli enzimi o la pompa ATP-asica non funzionano. In queste situazioni si può verificare un’inibizione degli enzimi digestivi lisosomiali, un’incongruità di substrati inerti o poco digeribili, per esempio i lipidi vengono resi difficilmente digeribili per azione di farmaci anfipatici, oppure un eccesso di materiale rispetto alle capacitò digestive della cellula. Questo mancato funzionamento è alla base di una serie di patologie, malattie lisosomiali (ad oggi 50 come gli enzimi). Queste malattie sono legate a problemi neurologici, di diversa gravità a seconda di quella che è la riduzione della funzionalità enzimatica. MITOCONDRI I mitocondri sono la centrale energetica della cellula, la cui funzione principale è quella di produrre ATP. Sono presentati come organelli a forma bastoncellare, con una lunghezza fino a 10 µm e uno spessore di 0,5-1 µm. Hanno una diversa distribuzione e organizzazione a seconda dei diversi tipi cellulari, per esempio nelle cellule più attive sono presenti in numero elevato, mentre nelle cellule meno attive sono in numero ridotto (epatocita fino a 2000 mitocondri). Si parla di network mitocondriale perché sono tutti in comunicazione tra loro. Ogni mitocondrio presenta una doppia membrana, una esterna, poso selettiva ricca di proteine multipasso dette porine, che ricordano le proteine delle membrane plasmatiche e costituiscono dei canali dell’acqua, attraverso cui possono passare molte proteine, e una interna, che si ripiega formando le creste mitocondriali con funzione di aumentare la superficie sulle quali si inseriscono gli enzimi della catena respiratoria. Le creste differiscono in lunghezza, forma e numero a seconda delle richieste energetiche della cellula, per esempio nelle cellule muscolari attraversano tutta la matrice, sono impacchettate e molto strette, mentre nelle cellule normali si allungano per metà della matrice e sono corte in corrispondenza di basa richiesta energetica. La membrana interna ha delle peculiarità: -elevato rapporto tra proteine e lipidi (3:1). Quindi la quantità di proteine che vanno a costituire la catena respiratoria con la funzione di produrre energia è elevata. -assenza di colesterolo. -presenza di cardiolipina, importante per ridurre la permeabilità ai protoni dando così origine al gradiente elettrochimico di protoni tra lo spazio intermembranario e la matrice dei mitocondri. Le cellule procarioti non hanno colesterolo, ma hanno cardiolipina, quindi questa è una prova dell’origine endosimbiotica. -altamente impermeabile Nella membrana interna sono presenti tre principali complessi proteici: ▪ Componenti della catena di trasporto degli elettroni (catena respiratoria): complessi I, II, III, IV. ▪ L’ATP sintasi ▪ Proteine di trasporto specifiche che mediano il trasporto di metaboliti verso e al di fuori della matrice mitocondriale. I mitocondri sono dotati di una doppia membrana perché derivano da un processo di endosimbiosi avvenuto nel corso dell’evoluzione, durante il quale un microorganismo procariote in grado di produrre energia è stato endocitato da una cellula eucariote. Si è quindi stabilita questa simbiosi, e il microorganismo si è portato con sé parte della membrana cellulare della cellula. I mitocondri formano una sorta di rete di comunicazione e sono in grado di fondersi tra loro e di separarsi in due elementi distinti. Questo processo è dato da proteine dette mitofusine, che regolano il processo di fissione (divisione cellulare) e fusione (aumento di produttività) tra i mitocondri. All’interno della membrana interna è presente la matrice mitocondriale, caratterizzata da una consistenza di gel, dovuta ad elevata concentrazione di proteine idrosolubili. Contiene diversi enzimi, in particolare quelli che catalizzano i vari passaggi del ciclo di Krebs, ribosomi e parecchie molecole di DNA a doppio filamento, di solito circolari →i mitocondri sono quindi in grado di compiere una sintesi proteica da sé. Il DNA mitocondriale è circolare, ospita al suo interno 13 subunità proteiche che intervengono nella catena respiratoria, 22 tRNA e 2 rRNA necessari per la sintesi proteica. Questo ci conferma che migliaia di anni fa i mitocondri erano indipendenti. Alcuni geni che inizialmente erano sul DNA mitocondriale sono migrati su quello genomico. Il DNA mitocondriale non si duplica durante la fase S ma a seconda delle esigenze della cellula indipendentemente da quello genomico. Inoltre all’interno di uno stesso mitocondrio possono essere presenti più DNA mitocondriali. Le differenze principali tra DNA genomico e mitocondriale sono: -forma: il DNA mitocondriale è un cromosoma circolare superavvolto a doppia elica. -DNA mitocondriale non contiene introni, mentre quello genomico ha introni ed esoni. -nel DNA mitocondriale non sono presenti istoni e quindi non è organizzato in nucleosomi. Questo DNA essendo fatto di nucleotidi può andare incontro a mutazioni che possono dare vita a proteine non funzionali, che sono alla base delle malattie mitocondriali. È però presente un sistema di salvataggio, attivo quando sono presente più copie di DNA nel mitocondrio; si parla di eteroplasmia per indicare che le mutazioni possono essere a carico solo di alcune molecole di DNA e non di altre. Se le molecole di DNA che funzionano correttamente non sono in grado di compensare le mutazioni genetiche si ha la malattia. Le malattie mitocondriali si manifestano in quei distretti dell’organismo in cui è richiesta una alta produzione di energia: sistema nervoso, muscolo, occhi, fegato… e hanno un’elevata variabilità clinica anche all’interno della stessa famiglia. Età pediatrica: ❖ alterazioni neurologiche: epilessia, miopatie, ritardo psicomotorio, atassia, spasticità, sordità ❖ alterazioni cardiache: cardiomiopatia ipertrofica, aritmie ❖ alterazioni gastroenteriche: vomito, ritardo di crescita, disfagia, insufficienza epatica ❖ alterazioni respiratorie: ipoventilazione centrale ❖ alterazioni endocrinologiche: diabete, insufficienza adrenergica ❖ alterazioni oftalmologiche: atrofia del nervo ottico ❖ alterazioni ematologiche: anemie, pancitopenie Il DNA mitocondriale viene ereditato per via materna, perché durante la fecondazione i mitocondri degli spermatozoi vengono distrutti. Esistono diverse ipotesi sulle motivazioni della loro distruzione, poiché gli spermatozoi devono produrre molta energia vanno incontro a processi di danneggiamento da parte della cellula che li elimina. Facendo uno studio, si è visto come possa essere ereditato anche DNA mitocondriale paterno, il DNA viene ereditato al 99% per via materna, ma in una piccola percentuale anche per via paterna. Di conseguenza se la madre ha una malattia mitocondriale è molto probabile che i figli contraggano la malattia. ESPERIMENTO →viene prelevato il DNA genomico di una madre malata e impiantato nella cellula uovo di una donatrice sana. Questa cellula uovo viene poi fecondata dal padre dando vita a uno zigote sano, proprio perché il DNA mitocondriale apparteneva a una donna sana. I mitocondri oltre ad essere fondamentali per la respirazione cellulare e quindi per la produzione di ATP, aiutano a mantenere bassi i livelli di calcio nel citosol formando accumuli di fosfati di calcio. I mitocondri inoltre hanno una funzione importante nella regolazione dell’APOPTOSI, meccanismo di morte programmata (circa 10^10 cellule al giorno vanno incontro ad apoptosi). Può avere sia un’origine fisiologica (controllo del numero di cellule, sviluppo embrionale, controllo della risposta immunitaria), sia patologica (cellule che subiscono reazioni fisico-chimiche, radiazioni, processi infettivi, disfunzione mitocondriale che quindi decidono di suicidarsi piuttosto che trasmettere tali mutazioni alle generazioni future). Malattie molto gravi possono derivare dall’incapacità di indurre apoptosi (tumori: infatti le cellule tumorali hanno l’obbiettivo di replicarsi e per fare questo disattivano l’apoptosi) sia dall’induzione eccessiva dell’apoptosi (diabete di tipo 1, Alzheimer, Parkinson). Le cellule procarioti non fanno apoptosi, quindi il fatto che i mitocondri derivano da procarioti e compiono apoptosi è strano, gli scienziati non si sono ancora dati una risposta. I principali cambiamenti che alterano la morfologia e fisiologia della cellula durante apoptosi comprendono: o perdita di adesione cellulare con distruzione delle giunzioni cellulari. La cellula si sgancia dalle cellule adiacenti, perché si tratta di un evento scelto dalla cellula stessa, che deve essere individuale senza coinvolgere cellule limitrofe. o restringimento del citoplasma o accartocciamento della cellula su sé stessa o formazione di bolle sulla membrana plasmatica (blebbing) o ipercondensazione della cromatina e suo addensamento verso la periferia del nucleo o frammentazione del nucleo e degli organuli cellulari o frammentazione del DNA per azione di una DNAasi o invaginazione della membrana plasmatica con formazione di corpi apoptotici, sacchetti riconosciuti e digeriti da cellule specializzate, come macrofagi. o aumento della fosfatidil-serina nella membrana esterna che viene riconosciuta dai macrofagi Il processo di apoptosi è ordinato dalla singola cellula e compiuto in modo silenzioso, senza generare infiammazioni perché non vengono rilasciati elementi cellulari. Al contrario, nella NECROSI si ha un rilascio di materiale cellulare con attivazione del sistema infiammatorio che cerca di rimediare questo processo di morte improvvisa. Quindi nella necrosi la cellula subisce l’azione e viene spesa energia, mentre nell’apoptosi viene prodotta energia. La via mitocondriale dell’apoptosi detta anche via intrinseca, è controllata dall’equilibrio di diverse proteine appartenenti alla famiglia Bcl2 che comprendono: -proteine anti-apoptotiche protettrici (Bcl2) -proteine pro-apoptotiche (Bax e Bak) -proteine Bcl2-regolatrici (dette BH3 only) che promuovono l’apoptosi inibendo le proteine anti- apoptotiche o attivando le proteine pro-apoptotiche Quando la cellula decide di attivare il processo apoptotico Bcl2 viene disattivato e spento, Bax e Bac formano dei canali sulla membrana del mitocondrio attraverso cui può passare e uscire dal mitocondrio nel citoplasma una proteina che si chiama citocromo C, che consente di attivare una serie di proteine dette caspasi, enzimi responsabili dell’apoptosi, che dirigono la distruzione degli elementi strutturali (citoscheletro) e funzionali (organuli) della cellula. Quindi una delle funzioni fondamentali dei mitocondri oltre quella energetica, è quella di intervenire nel processo dell’apoptosi. La via estrinseca dell’apoptosi invece è attivata da stimoli extracellulari (ligandi di morte) prodotti in risposta a condizioni avverse. Questi legano recettori di morte che contengono domini di morte. Sia la via estrinseca sia quella intrinseca hanno in comune l'attivazione degli effettori centrali dell'apoptosi, un gruppo di proteasi (specifiche per cisteine e aspartati) chiamate caspasi, che dirigono la distruzione degli elementi strutturali (citoscheletro) e funzionali (organuli) della cellula. LA COMUNICAZIONE CELLULARE La vita ed il comportamento di una cellula animale dipendono da numerosi segnali extracellulari. Ogni tipo di cellula esprime un particolare set di recettori che le permette di rispondere a un numero corrispondente di molecole segnale prodotte da altre cellule. Queste molecole segnale agiscono in combinazione per regolare il comportamento della cellula. Una singola cellula ha bisogno di un certo numero di segnali per sopravvivere, e si segnali aggiuntivi per dividersi e differenziarsi. Se la cellula viene deprivata dai segnali di sopravvivenza necessari, e quindi isolata dalla comunicazione con le altre cellule andrà incontro a una forma di suicidio cellulare chiamato morte cellulare programmata o apoptosi. Le cellule comunicano e interagiscono tra loro tramite il fenomeno della segnalazione cellulare. Una cellula segnalatrice produce una molecola segnale, riconosciuta da una cellula bersaglio, per mezzo di una proteina recettore, che a sua volta produce segnali intracellulari. L’intero processo che traduce l’informazione portata dal messaggero extracellulare in ambienti intracellulari è chiamato TRASDUZIONE DEL SEGNALE. Sequenza di eventi: 1)invio segnale: sintesi e rilascio di molecola segnale. 2)ricezione dello stimolo sulla superficie esterna della membrana plasmatica di una cellula bersaglio. 3)trasduzione del segnale: l’informazione recepita dai recettori viene tradotta e trasferita 4)risposte cellulari, che possono riguardare il metabolismo, la morfologia, l’espressione genica (=far esprimere un gene=trascrivere un gene in una sequenza di RNA messaggero e tradurla in una proteina). … 5)cessazione della risposta in seguito all’eliminazione delle molecole segnale. Dopo aver risposto la cellula deve necessariamente interrompere la comunicazione. La cellula ha un budget, l’energia che produce deve essere ben amministrata, e una volta risposto a un segnale è inutile continuare a inviare la stessa risposta, sarebbe uno spreco di energia. I segnali possono essere secreti all’interno della cellula o esposti sulla superficie cellulate. Si distinguono diversi tipi di segnali: -segnali autocrini: sono segnali che si legano ai recettori sulla cellula che li secerne, quindi la stessa cell.ula li produce e ne è bersaglio. È un tipo di comunicazione molto comune soprattutto nel sistema immunitario, spesso le cellule producono segnali per modificare la propria espressione genica. È un sistema di potenziamento e di controllo. Nel sistema immunitario per esempio, quando i linfociti T riconoscono un antigene specifico, un patogeno, iniziano a produrre una proteina, interleuchina 2 (LL2), che va a stimolare in maniera autocrina un recettore specifico. La cellula invia un segnale per cui il linfocita inizia a riprodursi e a proliferare in modo sostanziale per poter captare il patogeno e distruggerlo. Nel momento in cui scompare il patogeno e l’antigene che ha scatenato la risposta, la comunicazione cessa. Una sregolata produzione di segnali autocrini può portare allo sviluppo di tumori. -segnali paracrini: si tratta di molecole segnale che agiscono localmente (mediatori locali) e che regolano il comportamento delle cellule vicine. Viene prodotta una molecola segnale che viene riconosciuta da recettori presenti su cellule nelle immediate vicinanze. Agiscono specialmente durante i fenomeni di infiammazione e cicatrizzazione. In caso di un’infezione locale a livello di un tessuto viene rilasciato l’interferon gamma, va ad attivare diverse cellule del sistema immunitario, linfociti B, linfociti T, granulociti, natural killer, che creano una risposta infiammatoria con lo scopo di risolvere l’infiammazione. *segnali sinaptici, sono simili ai segnali paracrini, ma vi è una speciale struttura. A livello della sinapsi si forma un contatto ben strutturato tra due tipi cellulari, con uno spazio sinaptico in cui vengono riversate molecole segnale captate da recettori presenti sulla cellula bersaglio. Esistono diversi tipi di sinapsi, come la sinapsi immunologica, in cui una cellula presentante l’antigene (APC) invia messaggi, si forma uno spazio di interazione tra questa e un linfocita T, e solo in presenza di questa sinapsi le molecole segnali sono captate dalle cellule bersaglio. Inoltre la sinapsi può avvenire anche per mezzo di neurotrasmettitori. *segnali justacirni: sono segnali che avvengono tra cellule che devono avere membrane plasmatiche adiacenti e essere molto ancorate per comunicare. Esistono interazioni che inviano segnali positivi e altri negativi, e il bilanciamento di questi permette alla cellula di rispondere correttamente al segnale. Se non si formano tutte le interazioni dovute la cellula diventa anergica, non risponde al segnale. Spesso i segnali sinaptici richiedono la presenza di quelli justacrini, mentre altre volte no; dipende dal tipo di linfocita T. -segnali endocrini: sono segnali che coinvolgono una molecola segnale, spesso un ormone, secreta da una cellula endocrina e trasportata dal sistema circolatorio e linfatico fino una cellula bersaglio molto lontana rispetto all’origine del segnale. Esistono molecole segnale di grandi dimensioni o troppo idrofiliche che non possono attraversare la membrana plasmatica. Per questo riconoscono ricettori espressi sulla superficie della cellula bersaglio, che dopo essere stati legati dalla molecola segnale trasducono un segnale e attivano la risposta. Quindi il segnale viene trasmesso all’interno della cellula senza che la molecola segnale vi penetri. Spesso si dissocia agendo su un altro recettore o viene degradata. L’interazione molecola segnale- recettore causa un cambiamento conformazionale al recettore, che porta conseguenze a livello intercellulare. Ne sono un esempio proteine, peptidi, amminoacidi e nucleotidi. Esistono poi molecole segnale piccole o idrofobiche, che riescono a entrare e a diffondere attraverso la membrana plasmatica e attivano enzimi interni o legano recettori intracellulari citoplasmatici o nucleari che regolano l’espressione genica generando una risposta nelle cellule corrispondenti. Alcune molecole piccole sono steroidi, gas disciolti e derivati degli acidi grassi. Tra le molecole grandi o idrofiliche troviamo i fattori di crescita, che sono dei polipeptidi che possono agire su diversi tipi cellulari o solo su uno specifico. Promuovono la crescita, influenzano la motilità e la contrattilità cellulare, stimolano il differenziamento e inducono la proliferazione modificando l’espressione genica. Alcuni fattori di crescita essenziali sono: -EFG -PDGF -citochine, definite anche interleuchine -FGF -TGF -VEGF -CSF Tra le molecole piccole o idrofobiche, ritroviamo l’ossido nitrico, un gas privo di carica che agisce come regolatore locale e che passa facilmente attraverso la membrana plasmatica. È un prodotto secondario dell’amminoacido arginina, deriva dal suo metabolismo. Viene rilasciato dalle cellule endoteliali dei vasi come messaggero per le cellule muscolari lisce, che di conseguenza si rilassano e aumenta il flusso sanguigno. Tra le molecole piccole ritroviamo anche piccoli ormoni steroidei idrofobici, i quali vengono trasportati da un carrier specifico, transitano attraverso la membrana plasmatica e riconoscono recettori a livello intercellulari che mediano la risposta. Per esempio il cortisolo entra dalla membrana, si lega al recettore, il quale subisce un cambiamento conformazionale. I recettori in generale sono le molecole deputate alla ricezione del segnale, sono situate a livello del citoplasma e solo quando entrano in contatto con una molecola segnale esprimono il segnale di localizzazione che gli permette di entrare nel nucleo. A questo punto il complesso attivato recettore-molecola, si lega al DNA, e questo attiva la trascrizione di un gene bersaglio, che verrà trascritto in mRNA e tradotto in proteina, andando a svolgere una determinata funzione stabilita dalla molecola segnale. Gli ormoni possono essere steroidei o peptidici. ORMONI STEROIDEI (progesterone, testosterone) ORMONI PEPTIDICI (insulina) Derivati dal colesterolo Vengono sintetizzati come pre-ormoni Molecole non-polari Accumulati in vescicole con membrane Legano recettori intracellulari Solubili in H2O Non accumulati nelle cellule endocrine Legano recettori di membrana Vengono trasportati in circolo da speciali proteine dette SBP (steroid binding protein) (Negli uomini la mancanza di recettore per il testosterone, responsabile nel maschio della formazione dei genitali esterni e dello sviluppo del cervello e dei caratteri sessuali secondari, causa gravi conseguenze). I recettori possono essere esposti e riceve il segnale sulla membrana plasmatica o all’interno della cellula. Tipicamente un recettore presenta 3 domini: una parte rivolta verso l’ambiente extracellulare con il compito di ricevere il segnale, una parte transmembrana e una coda intracitoplasmatica, la cui funzione è quella di trasmettere il segnale. I recettori sono formati dall’interazione di più subunità, hanno quindi una struttura quaternaria. Per poter funzionare il recettore richiede l’assemblamento di tutte le subunità e deve soddisfare una serie di criteri: -specificità: un recettore deve essere in grado di distinguere tra segnali spesso strettamente correlati e simili: modello chiave-serratura. -alta affinità: le molecole segnalatrici sono spesso presenti a basse concentrazioni e i recettori devono essere in grado di captarle anche in queste condizioni -saturabilità: una cellula ha un numero finito di recettori, quindi vi è un limite al numero di molecole segnale di ligando che una cellula può legare. -reversibilità: l’associazione ligando-recettore non è covalente, quando la concentrazione del ligando diminuisce il complesso può dissociarsi. -accoppiamento, il recettore deve trasferire un segnale dal ligando a livello intracellulare (trasduzione), ci deve quindi essere un cambiamento a livello cellulare attraverso il trasferimento dell’informazione. Molti recettori sono definiti CD (claster of differenttation), che consiste in un sistema di differenziazione che cataloga i vari recettori. Esistono CD condivisi da più tipi cellulari e alcuni che appartengono a un solo tipo di cellula. Per esempio il CD3 si trova su tutti i tipi di linfociti; il CD4 è condiviso da linfociti e monociti. La stessa cellula, in momenti diversi della vita, può esprimere diversi recettori, tanto che attraverso la caratterizzazione di questi si può stabilire in quale stadio dello sviluppo si trova la cellula (se è giovane o anziana). Inoltre lo stesso recettore può esercitare effetti diversi in cellule diverse, per esempio il recettore per l’acetilcolina si trova sulle cellule del miocardio in cui porta una riduzione della frequenza, nelle ghiandole salivari in cui induce secrezione e nella cellula muscolare scheletrica in cui induce contrazione. Risponde quindi in maniera diversa a seconda della cellula in cui si trova. Spesso la regolazione di una risposta dipende dall’incremento o dalla diminuzione del numero dei recettori. È un controllo che può essere esercitato dalla cellula stessa, se sono presenti tanti recettori la risposta sarà veloce, mentre se sono pochi è più lenta. Nel momento in cui la cellula risponde correttamente viene interrotto il sistema di sintesi dei recettori, che la cellula aveva attivato per potenziare la risposta. Esistono migliaia di recettori, ma si distinguono in 3 tipi principali: -RECETTORI ACCOPPIATI A CANALI IONICI →sono recettori che convertono i segnali chimici in elettrici, e sono quindi importanti per la trasmissione rapida attraverso le sinapsi del sistema nervoso. Sono accoppiati a canali ionici, che permettono il passaggio di ioni, presenti soprattutto in cellule eccitabili (neuroni, cellule muscolari e cellule sensoriali) la cui apertura avviene in seguito a un legame tra un neurotrasmettitore e il recettore. Vengono anche detti canali a controllo di ligando perché il canale ionico si apre e si chiude in risposta al legame con la molecola segnale. Esistono diversi canali a seconda degli ioni che li attraversano. Un esempio è il canale del calcio, presente nei mitocondri e nel reticolo endoplasmatico liscio, in cui troviamo depositi di calcio che consentono di abbassare la concentrazione di calcio a livello del citoplasma. Quando arriva un opportuno segnale si aprono i canali calcio, sulla membrana, sui mitocondri o sul REL, il calcio inizia a uscire dagli organuli causando un innalzamento istantaneo della concentrazione di calcio nel citoplasma generando modificazioni in proteine citosoliche, proteine leganti lo ione calcio. La più abbondante è la calmodulina, che attivata dal calcio si associa a proteine bersaglio. Una classe importante di proteine bersaglio è detta delle chinasi CaM, o protein chinasi Ca2+/ calmodulina dipendenti. La calmodulina tra le varie risposte attiva le pompe del calcio sul reticolo endoplasmatico e sui mitocondri in modo che questi inizino a pompare nuovamente calcio al loro interno. È un sistema di feed-back negativo, quindi consente di produrre un cambiamento opposto allo stimolo iniziale, facendo sì che il prodotto finale di un processo inibisca il processo stesso. Le cellule che non hanno un feedback negativo sono dannose, come le cellule tumorali. -RECETTORI ACCOPPIATI ALLE PROTEINE G (GPCR) →i recettori accoppiati alle proteine G costituiscono la più grande famiglia di recettori di superficie. Sono proteine lunghe, costituite da una singola catena polipeptidica rappresentata da 7 α-eliche transmembrana, che attraversano più volte la membrana plasmatica. La parte esterna presenta un sito di legame per il ligando. Il terzo lungo loop citoplasmatico dei recettori corrisponde alla regione della molecola che si accoppia alla proteina. Si chiamano proteine G perché sono capaci di legare della guanosina 3-fosfato (GTP) che può essere idrolizzata a GDP. Tutte le proteine G sono formate da 3 domini, alfa, beta e gamma. La subunità alfa è dotata di attività enzimatica e riesce a idrolizzare GTP in GDP. Le subunità beta e gamma rimangono associate a formare un unico complesso (βγ). In assenza di molecola segnale la proteina G è staccata dal recettore, che è in condizioni di inattivazione e a livello della subunità alfa è legato GDP. Quando arriva la molecola segnale il recettore subisce un cambiamento conformazionale che gli consente di legare la proteina G. La subunità alfa va incontro a un cambiamento conformazionale che gli permette di lasciare GDP e di legare GTP. Il legame della GTP alla subunità alfa causa un nuovo cambio conformazionale, che fa staccare la proteina G dal recettore e la subunità alfa da beta e gamma. La subunità alfa attivata può riconoscere una proteina bersaglio, che si attiva per mezzo dell’energia liberata dalla rimozione di un gruppo fosfato. Il processo termina con l'idrolisi del GTP a GDP da parte della subunità alfa, che possiede attività GTP-asica. La alfa-GDP che così si forma, si dissocia dalla proteina bersaglio e si combina con il complesso beta-gamma completando in tal modo il ciclo. Dei circa 900 recettori accoppiati a proteine G, circa 400 sono potenziali bersagli dei trattamenti farmaceutici. Molti dei bersagli sono definiti come secondi messaggeri (il primo è la molecola segnale) sono solitamente ioni o molecole piccole con la funzione di trasmettere molto velocemente il messaggio all’interno della cellula (no funzione enzimatica). Ne sono un esempio la fosfolipasi C e l’adenilatociclasi. Possono essere prodotti in grande quantità (amplificazione del segnale) e diffondono rapidamente. -RECETTORI ACCOPPIATI A ENZIMI →si tratta di proteine transmembrana, con dominio per il ligando rivolto verso la superficie esterna, ambiente extracellulare, ed il dominio citoplasmatico con funzioni enzimatiche o legato ad enzimi. In genere intervengono nella comunicazione autocrina o paracrina, quindi rispondono a mediatori locali, sufficienti a basse concentrazioni e che suscitano risposte di tipo lento. Spesso la risposta attivata in seguito al legame di questi recettori, arriva nel nucleo e porta cambiamenti nell’espressione di determinati geni. Quasi tutti i componenti di questa classe possiedono un dominio citoplasmatico detto tirosin protein chinasico (chinasi=enzimi che aggiungono un gruppo fosfato), quindi la posizione citoplasmatica è in grado di trasferire un gruppo fosfato su un residuo di tirosina. Solitamente questi recettori attraversano la membrana con un’unica alfa elica e sono formati dall’accoppiamento di due proteine identiche che tendono a unirsi (dimerizzazione) nel momento in cui arriva il ligando, ossia la molecola segnale. Nel momento in cui le due proteine vengono affiancate, i loro domini tirosin chinasici vengono attivati. Questo attiva un meccanismo di fosforilazione reciproca (=aggiunta di gruppi fosfato), per cui i residui di tirosina presenti nella coda citoplasmatica vengono fosforilati. Il gruppo fosfato essendo carico negativamente cambia l’equilibrio della molecola, che subisce un cambiamento conformazionale che causa una cascata di trasduzione del segnale, che trasferisce il messaggio all’interno della cellula, inducendo la trascrizione di un gene. La disattivazione di questi recettori è attivata da tirosin protein fosfatasi (fosfatasi= enzimi che tolgono gruppi fosfato), o in certi casi i recettori attivati vengono portati per endocitosi ai lisosomi e digeriti. Durante la cascata di traduzione si ha un’amplificazione della risposta, che viene trasferita nell’appropriato comparto cellulare, viene amplificata, distribuita a più di un bersaglio intra- cellulare, e modulato se necessario. Quindi da una singola molecola segnale vengono generate fino a 10^8 molecole diverse che corrispondono alla risposta necessaria. Una volta che la cellula risponde a un segnale è indispensabile che vengano attivati meccanismi che vanno a spegnere la comunicazione. Le cellule tumorali sono dannose perché hanno la capacità di continuare a proliferare, possedendo cascate di trasduzione del segnale alterate; quindi continuano a inviare una risposta nonostante non sia necessario per la cellula. I meccanismi che estinguono un segnale hanno tanta importanza come quelli che li attivano. Un difetto nella terminazione del processo può avere conseguenze drammatiche, come il colera. La tossina colerica modifica la subunità alfa rendendola incapace di idrolizzare GTP, ciò determina un flusso di Cl e acqua nel lume intestinale che provoca diarrea e disidratazione. ORGANIZZAZIONE DEL GENOMA SEQUENZIAMENTO DEL DNA Dal 1977 gli scienziati hanno cercato di identificare le informazioni presenti a livello del DNA. Il sistema di sequenziamento ha lo scopo di determinare la sequenza lineare dei nucleotidi che compongono un genoma, quindi “leggere” l’ordine in cui A, T, C e G sono disposte lungo il DNA. Per il genoma umano significa determinare la sequenza di 3 miliardi di paia di basi. Nel 1977 si sequenziò per la prima volta un genoma di un batteriofago e nel 1995 di un essere vivente e negli anni si è arrivati al sequenziamento di organismi sempre più complessi. Dal 1990 l’intento era di sequenziare l’interro genoma umano, si parla di “progetto genoma-umano”. Oggi sappiamo quali sono i nucleotidi presenti su ogni singolo gene di DNA, e conoscere l’intera sequenza del genoma umano è come conoscere tutte le pagine del manuale necessario per costruire il corpo umano. La sequenza del genoma umano avrebbe permesso di: -identificare tutti i geni umani. -determinare la struttura dei geni. -identificare la funzione dei geni. -identificare i geni responsabili delle malattie mendeliane. -determinare le regioni non codificanti con funzione regolatoria, quindi distinguere ciò che viene trascritto e tradotto in proteina rispetto a ciò che svolge funzioni differenti. -scoprire l’inatteso. Ad oggi sono presenti ancora molte zone del DNA, delle quali si conosce la sequenza di nucleotidi, ma non la funzione. Il sequenziamento del DNA ha permesso di arrivare ad alcune considerazioni: o Le dimensioni del genoma non dipendono dalla posizione nella scala evolutiva o dalla complessità biologica, strutturale e funzionale. o Non sempre le dimensioni del genoma corrispondono al numero di geni presenti; quindi non sempre un genoma più grande corrisponde a un numero maggiore di geni su quella sequenza. Le piante e le alghe ad esempio hanno genomi molto grandi ma il numero di geni presenti è piccolo. Si parla di paradosso del valore C e G, in cui C corrisponde alla dimensione del genoma e G è il numero di geni contenuto nel genoma. o A livello dei genomi le sequenze presenti in SINGOLA copia sono una minoranza, corrispondono a geni ma non rappresentano l’intero genoma. Sono invece presenti sequenze che si ripetono anche decine di volte, ma l’informazione associata alla sequenza è sempre la stessa. Questo quindi porta a un aumento del genoma ma non dell’informazione. Esistono infine sequenze che si ripetono migliaia di volte con funzioni strutturali. Non esiste quindi una corrispondenza tra il numero di geni e, la lunghezza del genoma è data dal fatto che le sequenze che si ripetono contengono sempre la stessa informazione. La ripetizione di queste sequenze è dovuta al fatto che nell’evoluzione si sono replicate le sequenze più utili alla cellula, ed è utile per esempio per la sostituzione di una sequenza danneggiata. Inoltre è più facile che un gene venga espresso se è ripetuto più volte. Solo l’1% del genoma umano codifica per proteine, quindi equivale a esoni, tutto il resto corrisponde a introni, DNA ripetitivo e intergenico, cioè il DNA interposto tra un DNA e l’altro. Il numero dei nostri geni è molto simile a quello di un verme, corrisponde a circa 25/30 mila geni, nonostante noi siamo più evoluti. La differenza è che noi abbiamo evoluto sistemi che permettono a partire dai nostri 15 mila geni di produrre un numero molto più elevato di proteine rispetto ai vermi. Se nel verme i 25 mila geni corrispondono a 20 mila proteine, nel nostro organismo corrispondono a più di 100 mila proteine. Il grado di evoluzione è dato dal numero di proteine e quindi dal numero di funzioni che siamo in grado di esercitare. Questo è permesso da promotori alternativi, splicing alternativi, editing e siti alternativi di inizio e terminazione. Il DOGMA CENTRALE DELLA BIOLOGIA sostiene che il flusso di informazione all’interno della cellula è unidirezionale. DNA→RNA→proteine In realtà la scoperta in anni recenti del retrovirus ha portato a rivedere in parte questa posizione. I retrovirus sono virus che utilizzano RNA al posto di DNA; tramite uno speciale enzima, la trascrittasi inversa, sono capaci di sintetizzare la molecola del DNA partendo da un filamento di RNA. REPLICAZIONE o DUPLICAZIONE DEL DNA La replicazione del DNA è un processo fondamentale perché qualsiasi alterazione che insorga durante il suo svolgimento porta alla formazione di errori con conseguenze gravissime. Il DNA di una cellula viene duplicato portando alla formazione di due cellule figlie identiche alla cellula madre attraverso un processo semiconservativo. Nel passato si era pensato che si trattasse di processi conservativi, ma dal punto di vista sperimentale si è dimostrato che si tratta di un processo semiconservativo, perché ciascuna cellula figlia eredita solo un filamento dalla cellula madre. Il DNA viene duplicato durante la fase S (= fase di sintesi) del ciclo cellulare, durante la quale in punti ben specifici del DNA i due filamenti che costituiscono la molecola vengono separati formando una forca di replicazione (il DNA è replicato in entrambe le direzioni, la replicazione è bidirezionale). Adenina e timina sono legate da 2 legami idrogeno e citosina e guanina da 3 legami idrogeno, quindi le zone di adenina e timina richiedono meno energia per poter essere separate da enzimi deputati al taglio. Nel caso degli organismi procarioti, con un genoma circolare, il processo di duplicazione è semplice: è presenze un'unica bolla di replicazione (ORI= origine di replicazione) dalla quale alcuni enzimi iniziano il processo di separazione portando alla formazione di due molecole circolari inizialmente intrecciate tra poro e poi separate dalla topoisomerasi. Durante questo processo gli enzimi che intervengono nel processo di replicazione duplicano da 500 a 1000 paia di basi. Negli eucarioti invece il processo è più complicato e lento, perché i nostri genomi sono più estesi e le molecole di DNA sono lineari e presenti in quantità maggiore, corrispondo a ciascun cromosoma, quindi in totale sono 46. Durante la replicazione intervengono diversi enzimi: -ELICASI: riconosce le zone di origine di replicazione, quindi le zone di adenina e timina, e inizia a rompere i legami idrogeno che tengono uniti i nucleotidi complementari, separando i filamenti paralleli. Sono delle ATPasi, utilizzano una molecola di ATP per ogni giro d’elica svolto. -SINGLE STRAND BINDING PROTEIN (SS): sono proteine che intervengono dopo le elicasi, legano quello che è lo scheletro dei filamenti di DNA formato dall’alternanza di gruppi fosfato e zuccheri, tenendolo ben legato e disteso. Spontaneamente i filamenti complementari tenderebbero a riunirsi e le SS evitano questo ricongiungimento. -DNA POLIMERASI: enzima, con struttura simile a una manona con 4 dita, ognuna delle quali porta una base azotata, che polimerizza il filamento di DNA. Esistono due complicazioni durante l’intervento di questo enzima: le polimerasi eucariotiche sono lente perché nel corso dell’evoluzione le cellule hanno scelto di rallentare il processo di replicazione del DNA per evitare errori. Le DNA polimerasi quindi sono molto attente, non solo inseriscono nucleotidi ma verificano che siano corretti; In particolare prima di inserire un nucleotide nuovo verificano che il nucleotide inserito precedentemente sia giusto e riescono a inserire un nuovo nucleotide solo se questo è corretto. È una attività di proof reading o correzione di bozze, detta esonucleasica che permette di rimuovere il nucleotide introdotto erroneamente e di inserire quello corretto. Tutte le DNA polimerasi hanno un’attività esonucleasica, che si ripete frequentemente durante la replicazione. Questo processo di correzione delle bozze è un problema quando si deve inserire il nucleotide N 1, perché prima di questo non è presente nessun nucleotide. -questo problema è risolto da un enzima, la PRIMASI, simile alla DNA polimerasi. Legge i filamenti stampo e inserisce nucleotidi complementari. La differenza con la DNA polimerasi è che è una RNA polimerasi, inserisce quindi i nucleotidi del RNA e non ha attività esonucleasica, quindi di controllo. Inserisce mediamente 10 nucleotidi e poi si stacca, ha una produttività bassa. La primasi sintetizza un breve frammento di RNA complementare al DNA (primer), successivamente la DNA polimerasi effettua il controllo e inizia la sua attività. Quando il primer è completato la primasi viene rilasciata, si lega la DNA polimerasi e sintetizza nuovo DNA. Dato che il processo di duplicazione è bidirezionale e la DNA polimerasi sintetizza DNA solamente in direzione 5’ e 3’, per un filamento detto veloce (leading) la duplicazione avviene senza problemi. Il problema è presente sul filamento ritardato o (lagging) perché la DNA polimerasi si muove nella direzione opposta con il rischio di non sintetizzae tutti i nucleotidi corrispondenti a quella sequenza. Questo problema si risolve grazie un ripiegamento della doppia elica, che porta la DNA polimerasi a staccarsi, a fare un salto indietro e a sintetizzare un altro pezzettino. Il filamento lento viene quindi duplicato pezzettino per pezzettino formando i frammenti di Okazaki, in onore dello scienziato che per primo ha osservato questo fenomeno. Quando la DNA polimerasi sbatte contro il pezzetto di DNA già sintetizzato, si stacca e fa un salto indietro. Quindi sul filamento lento sono presenti più primasi, perché ogni pezzetto ha bisogno di un innesco. Una volta che entrambi i filamenti sono duplicati interviene un’altra DNA polimerasi, la DNA POLIMERASI I, che ha un’attività esonucleasica ed è in grado di riconoscere i frammenti di RNA (primer), si aggancia e li rimuove uno per uno. È dotata anche di una attività polimerasica che gli permette di riempire i gaps tra i frammenti di Okazaki. Alla fine interviene una LIGASI in grado di formare legami fosfodiesterici tra lo zucchero e il gruppo fosfato di del filamento. Le cellule contengono diversi tipi di DNA polimerasi ma solo una è responsabile della duplicazione del DNA. Le altre sono coinvolte nella rimozione del primer e nella riparazione del DNA. In particolare in E. Coli ci sono 5 DNA polimerasi, e la polimerasi III effettua la duplicazione; invece nell’uomo vi sono 15 DNA polimerasi, tra le quali la Polimerasi effettua la duplicazione del filamento leading, e la Polimerasi effettua la duplicazione del filamento lagging. L’ultimo problema che interviene nel processo di duplicazione del DNA è il problema dell’avvolgimento dell’elica, che si muove molto veloce. Il rischio è che si formino dei super avvolgimenti tra i filamenti, che se non venissero snodati il sistema di replicazione di DNA si troverebbe davanti problemi insormontabili. Intervengono quindi le TOPOISOMERASI 1 e 2, enzimi appartenenti alla famiglia delle DNA polimerasi, che riconoscono i superavvolgimenti nell’elica e tagliano lo scheletro tra il gruppo fosfato e lo zucchero sciogliendo il nodo. Attraverso la loro azione catalitica hanno il compito di “rilassare il DNA”. Le topoisomerasi I possono tagliare sono uno dei due filamenti mentre la topoisomerasi II entrambi i filamenti. MUTAZIONI Le DNA polimerasi, che apparentemente svolgono un lavoro perfetto, compiono numerosi errori, uno ogni 100.000 basi, quindi circa 40.000 errori ad ogni divisione. Se questi errori non venissero risolti sorgerebbero delle mutazioni dannose. Le mutazioni geniche più comuni sono mutazioni puntiformi. Durante la duplicazione del DNA può essere aggiunto un nucleotide errato (sostituzione), possono essere inseriti uno o più nucleotidi (inserzione) oppure possono essere persi uno o più nucleotidi (delezione). L’effetto di queste mutazioni dipende dal punto del DNA e può influire sul prodotto della traduzione dell’mRNA (la proteina). Le mutazioni possono essere: -mutazioni silenti: la catena di amminoacidi resta uguale perché il nucleotide sostituito porta alla formazione di un codone che codifica per lo stesso amminoacido de codone precedente. Le mutazioni silenti sono piuttosto frequenti e stanno alla base della variabilità genetica che non trova espressione in differenze fenotipiche, quindi non porta a nessun cambiamento nella cellula. -mutazioni di senso: la catena di amminoacidi che si ottiene è diversa. Diversamente dalle mutazioni silenti, alcune sostituzioni di base modificano il messaggio genetico in modo tale che nella proteina troviamo un amminoacido al posto di un altro. Una mutazione di senso può anche comportare la perdita di funzionalità di una proteina, ma più spesso si limita a ridurne l’efficienza. Pertanto le mutazioni di senso possono essere compatibili con la sopravvivenza degli individui portatori, anche nel caso che la proteina colpita sia di importanza vitale. -mutazioni di non senso: la sintesi della proteina si interrompe perché la sostituzione del nucleotide ha portato alla formazione di un codone di stop. Una mutazione non senso, interrompendo la traduzione nel punto in cui si è verificata, porta alla sintesi di una proteina più breve del normale, che normalmente non è attiva. -mutazioni di frameshift: se viene inserito o perso un nucleotide, la finestra di lettura si sfalsa e a valle di quel punto la sequenza degli amminoacidi è diversa e possono apparire anche codoni di stop. Fortunatamente esistono meccanismi che impediscono l’insorgenza di queste mutazioni, che possono essere compatibili con la vita, ma che possono anche causare la morte immediata. Per evitare ciò la cellula deve avere dei sistemi di salvataggio svolti da uno squadrone di enzimi ▪ Correzione di bozze: nel caso in cui durante la duplicazione venga introdotta una base sbagliata, questa viene rimossa e la DNA polimerasi aggiunge la base corretta. ▪ Riparazione dei disappaiamenti: nel caso in cui durante la duplicazione venga introdotta una base sbagliata sfuggita al meccanismo di correzione di bozze, proteine specializzate tagliano la base disappaiata e alcune basi adiacenti. Successivamente la DNA polimerasi I aggiunge le basi corrette. ▪ Riparazione per escissione: le molecole di DNA possono essere danneggiate durante il ciclo vitale della cellula a causa di radiazioni, agenti chimici… Proteine del meccanismo di riparazione per escissione tagliano la base danneggiata e alcune basi adiacenti. Successivamente la DNA polimerasi I aggiunge le basi corrette. È un sistema di salvataggio che funziona per tutta la vita. TRASCRIZIONE La trascrizione è un processo che porta alla trasformazione di una sequenza di DNA in RNA. Tutte le molecole di RNA derivano da un processo di trascrizione dei DNA, le più importanti sono RNAribosomiale (rRNA) che interviene nella costituzione die ribosomi, RNAtransfer (tRNA) la cui funzione è quella di trasportare amminoacidi sui ribosomi secondo la sequenza scritta nel mRNA e RNAmessaggero (mRNA) che trascrive il DNA e porta l’informazione che codifica le proteine fuori dal nucleo. Esistono tanti mRNA quanti sono i geni che si esprimono in una cellula e quindi quante sono le proteine da sintetizzare. L’RNA differisce dal DNA per lo zucchero, (ribosio e desossiribosio), per la base azotata (uracile e timina) e per la struttura tridimensionale. Le proteine funzionano nel momento in cui assumono una certa configurazione, così come le molecole di RNA che si ripiegano assumendo forme che permettono di svolgere funzioni enzimatiche (ribozimi). La trascrizione è un processo semplice che avviene in 3 fasi: inizio, allungamento e terminazione. Il primo stadio, che dà inizio alla trascrizione, richiede un PROMOTORE, una speciale sequenza di DNA alla quale si lega molto saldamente la RNA polimerasi. Per ogni gene (o, nei procarioti, per ogni serie di geni) c’è almeno un promotore. I promotori sono importanti sequenze di controllo che «dicono» all’RNA polimerasi tre cose: da dove far partire la trascrizione, quale filamento del DNA trascrivere e in quale direzione procedere. I promotori funzionano un po’ come i segni di punteggiatura che stabiliscono come debba essere letta la sequenza di parole di una frase. Una parte di ogni promotore è il sito di inizio, dove incomincia la trascrizione. Ogni gene ha un promotore, ma non tutti i promotori sono uguali; alcuni sono più efficaci di altri nel dare inizio alla trascrizione. L’RNA POLIMERASI è l’unico enzima che entra in gioco durante la trascrizione, a differenza della duplicazione in cui sono coinvolti diversi enzimi. È un enzima voluminoso perchè è composto da diverse subunità, catene polipeptidiche ciascuna delle quali adibita a un compito in particolare. Riconosce i siti di inizio sul DNA, svolge il tratto di doppia elica necessario, polimerizza la corretta sequenza dei nucleotidi, riconosce i segnali di terminazione e interagisce con altre proteine che hanno la funzione di attivare o reprimere la trascrizione. L’mRNA, strutturandosi sul filamento stampo, copia fedelmente la sequenza delle basi dell’altro filamento di Dna (con U al posto di T). La trascrizione avviene sempre in direzione 5’ e 3’. Su tutte le cellule sono presenti tantissimi geni, e di questi la RNA polimerasi deve decidere quali convertire in molecole di RNAmessaggero, che a loro volta attraversano la membrana nucleare portandosi nel citoplasma, a livello dei ribosomi, dove vengono lette e tradotte in un’unica catena proteica. PROCARIOTI→Nei procarioti sono presenti pochi geni (migliaia), e per questo sono quasi tutti necessari per la sopravvivenza e quindi devono essere trascritti quasi tutti. Un promotore procariotico possiede due sequenze fondamentali: la sequenza di riconoscimento, ossia la sequenza riconosciuta dall’RNA polimerasi, e il TATA box (così denominato poiché ricco di coppie di basi AT), che si trova più vicino al sito di inizio e in corrispondenza del quale il DNA inizia a denaturarsi per esporre il filamento stampo. Queste due sequenze di nucleotidi si trovano rispettivamente in posizione -35 e -10 rispetto al nucleotide numero 1 da cui parte la trascrizione. Se in queste sequenze muta anche solo un nucleotide la RNA polimerasi fa fatica a riconoscerle, quindi sono sequenze fondamentali per consentire la corretta trascrizione dei geni. La RNA polimerasi è formata da una subunità sigma, che effettivamente riconosce il promotore, quindi la prima che si appaia, e dal core, che si lega alla subunità sigma ma non riconosce immediatamente il promotore. Una volta che il sigma si posiziona sul promotore, il core prende contatto anch’esso contatto con il promotore. Se nella duplicazione del DNA entrambi i filamenti vengono duplicati nel caso della trascrizione solo un filamento viene usato come stampo e quindi trascritto (filamento codificante). Ogni gene ha un suo filamento che viene trascritto. La RNA polimerasi separa i due filamenti, si rompono i legami idrogeno e si forma la bolla di trascrizione, formata da circa 17 coppie di nucleotidi. Quando la RNA polimerasi capisce quale filamento deve trascrivere il fattore sigma viene rilasciato e inizia il vero e proprio processo di trascrizione. Man mano che la RNA polimerasi avanza catalizza anche i legami diesterici che tengono uniti i nucleotidi tra loro e la bolla di trascrizione rimane costante. La RNA polimerasi è più veloce della DNA polimerasi perché non ha attività di correzione di bozze perché durante la trascrizione a partire da uno stesso gene non si produce una sola molecola di mRNA, ma migliaia. Quindi nel caso di un errore, verranno trascritte alcune molecole anomale della proteina corrispondente, ma altre migliaia saranno giuste, non portando a gravi problemi. Ogni gene oltre a un promotore a monte, ha anche una SEQUENZA DI TERMINAZIONE, che funge da segnale di stop, a valle, a livello della quale la RNA polimerasi si interrompe. Quindi la RNA polimerasi trascrive solo il tratto di DNA tra il promotore e la sequenza di terminazione. A questo punto il trascritto primario pre-mRNA si dissocia dal DNA e viene poi processato per generare un RNA maturo. Nei procarioti non c’è una separazione tra nucleo e citoplasma e per questo si parla di trascrizione e traduzione accoppiate: appena si forma la molecola di mRNA, questa esce dalla bolla di trascrizione e viene agganciata dai ribosomi in cui avviene la traduzione. Spesso i geni sono tra loro associati nel genoma e sono trascritti in una unica molecola di mRNA a partire dallo stesso promotore all’estremo 5′ di tutto il gruppo di geni. L’RNA trascritto viene definito policistronico e l’insieme dei geni espressi coordinatamente prende il nome di operone. Questo negli eucarioti non avviene, ogni gene ha un suo promotore. EUCARIOTI→Negli eucarioti la prima cosa che si osserva è che il nucleo è sparato dal citoplasma, quindi la trascrizione e la traduzione avvengono in ambienti diversi, la prima nel nucleoplasma e la seconda nel citoplasma. Si ha quindi una separazione spaziale e temporale. Nei procarioti tutti i geni vengono trascritti perché sono tutti necessari, mentre negli eucarioti non è così, vengono trascritte solo le sequenze esoniche 2%, che danno origine a una proteina, mentre il restante 98% del genoma umano è composto da sequenze non codificanti proteine. Mentre nei procarioti è presente solo una RNA polimerasi, negli eucarioti ne sono presenti almeno 3: -la RNA polimerasi 1 trascrive rRNA, -la RNA polimerasi 2 mRNA, -la RNA polimerasi 3 tRNA e una molecola di RNAribosomiale, la 5S. Anche nella trascrizione eucariotica è presente una fase di inizio, allungamento e terminazione. Nella fase di inizio si ha il riconoscimento delle sequenze a monte dei geni, quindi dei promotori, che normalmente contengono due sequenze importanti che negli eucarioti sono posizionate a -30, la TATA box, che facilita la denaturazione dell’elica e a -80, la CAAT box, la quale se presenta mutazioni causa una drastica riduzione della trascrizione. Entrambe queste sequenze sono indispensabili per indicare il punto di aggancio degli enzimi e l’inizio della trascrizione. È presente un complesso di pre-inizio, un insieme di proteine diverse che riconoscono il promotore e permettono il suo riconoscimento da parte della RNA polimerasi, che quindi inizia la trascrizione dal nucleotide N° 1. Queste proteine sono definite come fattore di trascrizione, la cui funzione, simile a quella della subunità sigma nei procarioti, è quella di capire quali geni devono essere trascritti in un determinato momento. Quindi la RNA polimerasi non riconosce il promotore ma il complesso di pre-inizio. La RNA polimerasi deve capire in ogni istante della sua vita quali tra i 30 000 geni sono necessari alla cellula. Questo processo di selezione è svolto dai fattori trascrizionali, che si accatastano solo a livello dei geni che devono essere trascritti, in base al segnale ricevuto. La trascrizione è regolata da siti distali che sono in grado di intensificare o annullare la trascrizione stessa e sono chiamati rispettivamente intensificatori (enhancer) o silenziatori (silencer). Esercitano la loro funzione a grande distanza e possono localizzarsi a monte o a valle del gene da regolare. La quantità di molecole trascritte varia a seconda della natura dei promotori che si distinguono in: -promotori forti: possono iniziare a trascrivere una molecola ogni due secondi -promotori deboli: possono iniziare a trascrivere una molecola solo ogni 10 minuti. MATURAZIONE RNA: EUCARIOTI Se nei procarioti la trascrizione e la traduzione sono accoppiate, negli eucarioti non solo non sono accoppiate, ma le molecole di mRNA prima di essere tradotte devono andare incontro a un processo di maturazione (o modificazione post trascrizionali). In particolare nelle molecole di mRNA vengono modificate le due estremità. All’estremità 5’ viene aggiunto un cap, quindi una guanosina metilata che forma una sorta di cappuccio all’inizio della molecola. Tutte le molecole di mRNA hanno un’emivita breve, vengono degradate da enzimi, le nucleasi che riconoscono l’mRNA, si legano alle sue estremità e sganciano uno a uno i nucleotidi della molecola. La presenza di un cappuccio è quindi una protezione per la cellula, che blocca la degradazione e funge da ostacolo per le nucleasi. Ma perché la cellula non elimina le nucleasi dalla cellula-->La cellula mantiene al suo interno le nucleasi che degradano le cellule per difendersi dagli agenti patogeni, specialmente dai virus e per avere un sistema a feedback, che degraderà la molecola di mRNA dopo aver inviato una risposta. Un’altra funzione del cap è quella di essere riconosciuto da ribosomi a livello del citoplasma dopo essere esportate. Dall’altra parte, all’estremità 3’, viene aggiunta una lunga coda di adenine di lunghezza variabile, la coda di PoliA, importante per proteggere l’RNA dall’attacco delle nucleasi e per favorire l’esportazione del RNA dal nucleo al citoplasma. La coda viene aggiunta dall’enzima poliA polimerasi che riconosce uno specifico segnale sull’mRNA, tagli l’mRNA a valle di tale segnale e attacca la coda poliA. Un’altra modificazione post trascrizionale è quella dello SPLICING. Quasi tutti i geni che codificano proteine negli eucarioti sono formati da esoni, quindi parti codificanti in proteine, e introni, segmenti di DNA che si interpongono tra gli esoni, che non portano l’informazione per una proteina e che non sono presenti nell’RNA maturo. Durante la trascrizione la RNA polimerasi non li distingue, ma li trascrive entrambi, ottenendo un RNA primario con introni e esoni. Prima che l’RNA passi nel citoplasma, durante la maturazione, gli introni vengono tagliati e rimossi, mentre gli esoni vengono ricuciti tra loro. Il processo di “taglia e cuci” avviene per mezzo dell’utilizzo di particolari proteine ed RNA che riconoscono i siti di taglio. Gli introni rimossi, per mezzo dell’utilizzo di energia, fino a 30 anni fa si pensava fossero DNA inutile interposto tra gli esoni. In realtà le sequenze introniche hanno un ruolo fondamentale nel processo di regolazione dell’espressione genica, indicano infatti alle cellule quali geni devono essere trascritti e con che velocità. Quindi non si tratta di DNA spazzatura. Inoltre la presenza di introni potrebbe permette di combinare differentemente gli esoni e formare più prodotti a partire da un singolo trascritto e l’alternanza esoni/introni potrebbe facilitare l’evoluzione di nuovi geni. Può accadere che tutti gli esoni non vengano ricuciti tra loro portando alla traduzione di una proteina disfunzionale, che viene rilasciata nell’ambiente extracellulare. Lo splicing alternativo dà origine a due prodotti molto diversi, due proteine che derivano dallo stesso gene con funzioni opposte. Una proteina secreta che non trasferisce l’informazione a livello intercellulare, ma a livello extracellulare, e una proteina funzionale che trasferisce l’informazione a livello intercellulare. Attraverso lo splicing alternativo uno stesso gene unendo in modo differente gli esoni tra loro può dare origine a 4 proteine diverse; nell’uomo circa 18/22 000 geni (più del 90%), sono in grado attraverso lo splicing alternativo di generare circa 4 proteine diverse l’uno, quindi tantissime proteine (72-88000 proteine). Lo splicing alternativo potenzia quindi la resa di un genoma di 4 volte, quindi alla fine si ha un risparmio energetico. Come fa la cellula a capire quale variante di splicing applicare? --> In realtà per ogni gene possono esistere promotori diversi, ma il tipo di splicing che applica la cellula dipende dal fattore trascrizionale che si lega al promotore. TRADUZIONE La sintesi proteica è il processo che porta alla formazione delle proteine utilizzando le informazioni contenute nel DNA. È indispensabile che un gene venga convertito in proteina l’utilità dalla cellula. Si tratta di un processo piuttosto complesso in cui intervengono vari “fattori”. Nelle sue linee fondamentali questo processo è identico in tutte le forme di vita, sia eucarioti che procarioti. La traduzione comincia nel nucleo (negli eucarioti) e termina nel citoplasma o nel reticolo endoplasmatico ruvido, quindi l’RNA che va incontro a maturazione viene trasferito dal nucleoplasma al citoplasma attraverso i pori nucleari. Il CODICE GENETICO è l’insieme delle regole attraverso cui la sequenza dei nucleotidi degli acidi nucleici (DNA o RNA) specifica la sequenza degli amminoacidi delle proteine. Durante il processo si passa da un codice a 4 lettere (nucleotidi) ad un codice di 20 lettere (amminoacidi). Ogni associazione di 3 nucleotidi corrisponde a un amminoacido, quindi avendo a disposizione 4 nucleotidi si ottengono 4^3, che vale a dire 64 triplette (codoni) che identificano i 20 amminoacidi naturali. Tra i codoni del codice genetico è presente un codone di start (AUG), ossia il primo che viene codificato durante la sintesi proteina, che codifica la metionina che è quindi il primo amminoacido a formarsi. Tra gli altri codoni 3 non codificano nessun amminoacido (UAA, UGA, UAG), i codoni di stop, che portano quindi all’arresto della sintesi proteica. Attraverso delle analisi compiute sul codice genetico si è scoperto che le triplette non sono embricate o separate da virgole, ma sono consecutive e vengono lette in maniera sequenziale. Il codice genetico è usato universalmente, con rarissime eccezioni. Gli stessi codoni indicano gli stessi amminoacidi in tutti gli organismi viventi, dai virus agli eucarioti superiori. Tutti gli organismi dai più elementari fino all’uomo usano lo stesso codice genetico, quindi AUG traduce metionina sia nell’uomo che nell’ameba. Inoltre non è ambiguo quindi ad ogni codone corrisponde un solo amminoacido ma è degenerato o ridondante, quindi ad ogni amminoacido possono corrispondere più codoni. I primi due nucleotidi del codone sono sempre gli stessi, e ciò che varia è l’ultimo nucleotide. Solo il triptofano e la metionina hanno una corrispondenza unica. Si parla di mutazioni sinonime, quindi durante il processo di trascrizione viene mutato il nucleotide che sta in terza base, ma l’amminoacido inserito durante la sintesi proteica è sempre il medesimo. Le mutazioni non sinonime, d’altro lato, portano il cambiamento dell’amminoacido. Durante la sintesi proteica intervengono 3 RNA: -l’RNAmessaggero (mRNA), che porta l’informazione copiata dal DNA sotto forma di una serie di paole di tre basi dette codoni. -RNAtranfer (tRNA), che decifra il codice mediante uno specifico anticodone, al quale è associato un particolare amminoacido. -RNAribosomiale (rRNA), che si associa con una serie di proteine per formare i ribosomi, le fabbriche che sintetizzano le proteine. Le molecole di RNA nelle cellule sono rappresentate in maniera diversa sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Gli rRNA per esempio, come dimostrano gli esperimenti di elettroforesi, nelle cellule eucariote arrivano ad assumere 4 dimensioni differenti, possono contenere 4.800, 1.900, 160 o 120 basi. Gli tRNA invece sono di piccole dimensioni e contengono dalle 75 alle 90 basi, si trovano nel citosol e sono associati a singoli amminoacidi. Infine gli mRNA sono a vita breve ma presentano un’ampia eterogeneità di dimensioni, è stato possibile dimostrare che ciascun mRNA presenta una sequenza nucleotidica particolare. Attraverso un’analisi elettroforetica degli RNA eucariotici è possibile osservare come gli tRNA o rRNA siano molecole cellulari stabili con un’emivita esteso, si mantengono quindi nel tempo, poiché formano delle bande ben definite e quantitativamente molto rappresentate nella cellula. Con l’RNAmessaggero, invece, sono presenti molecole con pesi differenti e dal punto di vista qualitativo c’è una differenza rispetto al tRNA e rRNA. In elettroforesi si formano bande poco rappresentate e molto diverse tra loro, infatti l’RNAmessaggero è un tipo di RNA labile, con un’emivita breve. tRNA Per ciascun amminoacido esiste almeno uno specifico tRNA. Si tratta di molecole formate da 73-93 nucleotidi, al terminale 3’ presentano tutte una sequenza CCA, e presentano diverse basi non canoniche, risultato di modificazioni post-trascrizionali. Servono come potenziali siti di interazione con altre proteine. Hanno una struttura secondaria a trifoglio a singolo filamento. L’amminoacido che deve essere trasportato viene legato all’estremità 3’. L’ansa II contiene la sequenza di 3 nucleotidi detta anticodone. Si parla di anticodone perchè la tripletta è complementare a uno dei codoni del mRNA al quale si appaia durante la traduzione, e stabilisce quale amminoacido deve essere trasportato in 3’. La molecola di tRNA che trasporta metionina per esempio ha l’anticodone UAC. Ogni tRNA lega un solo amminoacido alla volta e riconosce uno o più codoni sul mRNA. Esistono diverse molecole di tRNA perché nel codice genetico abbiamo 61 codoni diversi (3 codoni sono di arresto per un totale di 64), e ciascun tRNA dovrebbe essere in grado di portare un amminoacido (dovrebbero essere quindi 61). In realtà non è così per l’IPOTESI DEL VACILLAMENTO (wobbling) secondo cui all’anticodone corrisponde il riconoscimento di più di un codone. Infatti nel riconoscimento tra codone e anticodone è importante che le prime due basi siano complementari ma esiste una flessibilità sulla terza base. I primi due nucleotidi dell’anticodone riconoscono in maniera specifica i due nucleotidi dei codoni, mentre il terzo nucleotide può essere diverso, portando comunque alla formazione dello stesso amminoacido. Questa flessibilità di appaiamento è dettata dal fatto che nella maggior parte dei codoni variando il terzo nucleotide viene comunque codificato lo stesso amminoacido. L’inosina per esempio (modificazione della guanina) in prima posizione dell’anticodone si può appaiare con A, C o U e permette il riconoscimento da parte di un unico tRNA di 3 codoni. I diversi codoni riconosciuti da un dato tRNA codificano sempre per lo stesso amminoacido, quindi il vacillamento non causa l’inserimento di amminoacidi sbagliati. Un set minimo di 31 tRNA (48 nell’uomo) è richiesto per tradurre 61 codoni. Le amminoacil tRNA sintetasi sono una classe di enzimi che hanno la funzione di legare ad un tRNA l’amminoacido corretto. Sono enzimi grossi che hanno bisogno di energia, fornita dall’idrolisi di ATP. Esistono almeno 20 amminoacil tRNA sintetasi: una per ciascuno dei 20 amminoacidi comunemente incorporati nelle proteine. Un singolo amminoacil tRNA può caricare tutti i tRNA corrispondenti a un determinato amminoacido. le sintetasi hanno tre siti: uno per legare ATP, uno per legare un amminoacido e uno per legare i tRNA che devono essere caricati con quell’amminoacido. inizialmente un amminoacido, che si trova nel citoplasma, e una molecola di ATP entrano nell’enzima amminoacil tRNA sintetasi e la ATP viene trasferita sull’amminoacido che viene adenilato (gli viene legato adenosina monofosfato) e viene rilasciato del pirofosfato. Nel passaggio successivo l’amminoacido rilascia l’adenosina che gli è stata legata, libera energia e viene legato sulla molecola di tRNA, in modo che possa trasportare l’amminoacido nel sito in cui avviene la sintesi proteica. Esistono diversi amminoacil ognuno dei quali ha incastri diversi che permettono di appaiare il tRNA all’amminoacido corrispondente. È un passaggio fondamentale perché se la amminoacil sbaglia e carica un tRNA con l’amminoacido sbagliato questo comporta un errore nel processo di sintesi proteica. Gli organuli responsabili della sintesi proteica sono i RIBOSOMI, che si formano nel nucleolo all’interno del nucleo dove vengono sintetizzati come molecole indipendenti e poi migrano nel citoplasma. La loro funzione è quella tradurre il mRNA in una proteina. Sono formati da due subunità, una superiore e una inferiore, le quali arrivano nel citoplasma in maniera indipendente, separate. Le subunità ribosomiche hanno la capacità di separarsi e di unirsi continuamente, arrivano separate nel citoplasma, si uniscono solo durante la traduzione e poi si separano nuovamente. Osservando al microscopio si è scoperto che nel momento in cui le subunità si appaiono nel ribosoma si possono distinguere 3 cavità, ciascuna delle quali svolge una propria funzione: -SITO A (amminoacidico) è il sito in cui entrano le molecole di tRNA che trasportano un amminoacido, e in cui si verifica l’appaiamento tra codone presente su mRNA e anticodone del tRNA. -SITO P (peptidilico) è il sito in cui viene formato il legame peptidico che tiene insieme gli amminoacidi che andranno a costituire la proteina. -SITO E (exit) è il sito in cui vengono espulse le molecole di tRNA che hanno ultimato il loro lavoro, quindi che si sono scaricati degli amminoacidi. I ribosomi operano con un’efficienza notevole: nelle cellule eucariotiche vengono aggiunti 2 amminoacidi al secondo, mentre in quelle procariotiche anche 20 amminoacidi al secondo. La traduzione prevede la lettura del mRNA a partire dal 5’ al 3’, non può avvenire in senso opposto. Tutte le proteine hanno un’estremità ammmino terminale e una carbossi terminale, dovuto al fatto che durante la sintesi proteica il primo amminoacido inserito ha il gruppo amminico libero e l’ultimo ha il gruppo carbossilico libero. Per fare la sintesi proteica serve moltissima energia e per questo intervengono tantissimi fattori che forniscono energia. L’inizio della sintesi richiede un tRNA iniziatore. LE FASI DELLA TRADUZIONE INIZIO La subunità minore del ribosoma si attacca al 5’, in cui è attaccato il cap, si aggancia e scorre lungo il filamento di mRNA finché non riconosce la sequenza AUG, quindi il punto di inizio della traduzione, dove si ferma. A questo punto arriva il tRNA con la metionina, quindi l’anticodone corrispondente all’AUG caricato dalla amminoacil tRNA sintetasi. A questo punto la subunità maggiore si unisce a quella minore, in modo che la prima molecola di tRNA occupi il sito P. I vari componenti sono correttamente associati grazie a fattori di inizio. L’inizio della sintesi proteica nei batteri avviene vicino alla sequenza di Shine-Delgarno nell’mRNA, mentre negli eucarioti all’estremità 5’ del mRNA. ALLUNGAMENTO Nel sito A, libero, e in corrispondenza del mRNA in cui è presente un codone che deve essere tradotto, giunge una molecola di tRNA con l’anticodone complementare al codone che trasporta l’amminoacido corrispondete. Quindi a questo punto nel ribosoma sono presenti due molecole di tRNA, con due amminoacidi distinti. Prima di proseguire nella sintesi si forma un legame peptidico tra questi due amminoacidi, la metionina del sito P si stacca dal tRNA e si attacca al secondo amminoacido presente nel sito A. In questo modo sono stati uniti i primi due amminoacidi della proteina. La formazione del legame peptidico è catalizzata da un enzima, che è una molecola di rRNA. Normalmente gli enzimi sono proteine, ma in questo caso l’attività catalitica è assolta da una molecola di rRNA definita come ribozima presente nella subunità maggiore. Una volta che si forma il legame il ribosoma si sposta in avanti di un codone sul mRNA, la prima molecola di tRNA si sposta sul sito E, la seconda sul sito P, e il sito A si libera. A partire da questo momento si ha una ripetizione di ciò che è avvenuto prima. Se nella sequenza di mRNA sono presenti 60 codoni tutto si ripete 60 volte sempre seguendo la stessa sequenza. TERMINAZIONE La sintesi proteica giunge al termine quando a livello del sito amminoacidico del ribosoma arriva un codone di stop. Il sito A non può essere raggiunto da nessuna molecola di tRNA, perché non può riconoscere i codoni di stop (UAG, UGA, UAA). Interviene però una proteina, il release factor che attiva il distacco delle due subunità ribosomiali e della catena polipeptidica che si è formata interrompendo la sintesi proteica. La proteina a questo punto viene liberata e inizia a svolgere la sua funzione. Il processo di traduzione porta alla formazione di polisomi o poliribosomi perché la molecola di mRNA viene letta contemporaneamente da più ribosomi in fila. La traduzione termina quando il numero di molecole proteiche prodotte risulta sufficiente. SMISTAMENTO DLLE PROTEINE Al termine della sintesi proteica specifici segnali, contenuti nella sequenza amminoacidica delle proteine, le dirigono alle loro destinazioni cellulari finali. La sintesi proteica inizia sui ribosomi liberi nel citoplasma: 1)Le proteine destinare al nucleo e ai mitocondri sono completate nel citoplasma e hanno segnali che permettono il legame e l’entrata negli organelli a cui sono destinate. 2)Le proteine destinare al reticolo endoplasmatico (RE), al Golgi, ai lisosomi, alla membrana plasmatica e all’esterno della cellula completano la loro sintesi su ribosomi attaccati alla superficie del RE. Entrano quindi nel reticolo endoplasmatico grazie all’interazione di una sequenza segnale idrofobica con un canale della membrana. Le sequenze segnale, che costituiscono il codice di avviamento postale possono. essere presenti al terminale amminico o interne alla sequenza. Legano uno specifico recettore (docking proteins) presente sulla membrana sterna all’appropriato organello e il recettore forma un canale nella membrana permettendo alla proteina di passare all’interno. La decisione sullo smistamento delle proteine nelle diverse localizzazioni subcellulari viene presa non appena la proteina inizia ad essere prodotta: i primi amminoacidi costituiscono un segnale e possono essere conosciuti da un complesso chiamato particella di riconoscimento del segnale (SRP). L’interazione della SRP con questi primi amminoacidi determina l’arresto temporaneo della sintesi proteica in quel ribosoma. Se i primi amminoacidi della proteina nascente NON sono in grado di interagire con le SRP, la sintesi continua sui ribosomi liberi e la proteina risultate avrà una iniziale localizzazione citosolica. Il destino ulteriore delle proteine dipende da segnali secondari di natura amminoacidica o glucidica. MODIFICAZIONI POST-TRADUZIONALI Le modificazioni covalenti delle proteine dopo la traduzione includono: -proteolisi: scissione idrolitica di una proteina ad opera di enzimi oppure di soluzioni acide o basiche. -glicosilazione: modificazione della struttura della proteina per opera dell'apparato del Golgi, durante o in seguito al processo di sintesi proteica. -fosforilazione: reazione chimica che consiste nell'addizione di un gruppo fosfato (PO43-) ad una proteina o ad un'altra molecola. Tale reazione ha una frequenza molto elevata in biochimica: gli enzimi che solitamente catalizzano le fosforilazioni sono le chinasi. CICLO CELLULARE Il ciclo cellulare è il periodo che intercorre tra la nascita di una cellula e la sua divisione per generare di cellule figlie. È il ciclo vitale di una cellula che nasce, si divide e da origine a due cellule figlie ed è indispensabile per i processi che prevedono la crescita e la riproduzione. Per avvenire un ciclo cellulare devono verificarsi 4 eventi fondamentali: -l’arrivo di un segnale riproduttivo ben preciso che attiva il ciclo, che dice alla cellula che ci sono condizione ambientali, di pH, di alimenti ottimali per far avvenire il ciclo. In assenza di questo segnale, se c’è un deficit delle condizioni fisiologiche e la cellula non si divide. -duplicazione del DNA -segregazione, quindi il materiale genetico viene distribuito e ripartito tra le cellule figlie, e può avvenire attraverso un processo di mitosi, nelle cellule somatiche del corpo ad eccezione delle cellule germinali (cellula uovo e spermatozoo) in cui avviene la meiosi. -citodieresi, quindi la divisione delle cellule figlie, dopo che si è concluda la duplicazione dell’intero nucleo. Nei procarioti unicellulari la divisione cellulare avviene per scissione binaria: la cellula cresce di dimensioni, duplica il proprio DNA e poi si divide, producendo due cellule identiche. Negli eucarioti gli organismi superiori si originano da UNA cellula uovo fecondata derivata dall’unione di DUE cellule specializzate dette GAMETI. Lo sviluppo, quindi la formazione di un organismo pluricellulare a partire da una cellula uovo fecondata, coinvolge la riproduzione cellulare e la specializzazione cellulare. Il ciclo cellulare comprende due grandi fasi: MITOSI O MEIOSI: la cellula si divide in due cellule figlie. INTERFASE: tempo che intercorre tra due fasi M, cioè tra una divisione cellulare e la successiva. Meiosi e mitosi vengono definite come fase M. L’interfase non rappresenta, un lungo periodo di riposo più o meno lungo della cellula (necessario per aumentare il suo volume), ma un periodo di delicati processi di preparazione alla divisione. Comprende tre stadi: G1, fase di intervallo 1 (GAP 1) S, fase di sintesi di DNA (SINTESI DNA) G2, fase di intervallo 2 (GAP 2) La durata totale del ciclo può variare da alcune ore ad ani a seconda della cellula. La fase M ha una durata di circa 1-2 ore, mentre l’interfase occupa circa il 90% del tempo con una durata molto variabile e dipende sia dalle condizioni ambientali della cellula sia dal tipo cellulare. La cellula dopo essere stata generata, e quindi uscita dalla fase M, cerca di capire se è il caso di dividersi nuovamente, passando dalla fase G1 alla fase S oppure se sostare nella fase G0. La FASE G1 è la fase successiva alla meiosi o mitosi, durante la quale la cellula neonata ha bisogno di generare una serie di macromolecole come proteine, carboidrati e lipidi; quindi si tratta di una fase di accrescimento della cellula. È importante per il controllo intra- ed extracellulare. La sua lunghezza può variare in funzione delle condizioni esterne e dei segnali che provengono da altre cellule. Se le condizioni non sono favorevoli, le cellule possono ritardare molto questa fase e possono anche entrare in uno stato quiescenza o di riposo specializzato: FASE G0 in cui possono rimanere per giorni, mesi, anni prima di riprendere la proliferazione cellulare. Molte cellule rimangono perennemente in G0 fino alla morte dell’organismo. Si tratta per esempio dei neuroni e delle cellule del muscolo scheletrico, in cui il sistema di controllo del ciclo cellulare è stato smantellato, i relativi geni (cicline-CDK) sono spenti perennemente e la divisione cellulare non avviene mai. Dopo aver trascorso un periodo nella FASE G0, le cellule per poter rientrare nella fase G1 e avanzare alla fase S la cellula devono percepire la necessità di generare cellule figlie che deriva dalla comunicazione cellulare e dalla presenza di mitogeni, ossia fattori di crescita, che permettono alle cellule di passare dalla fase G0 alla fase G1. Per esempio le cellule epatiche, sono in G0 ma possono essere stimolate a dividersi, se il fegato è danneggiato. Se le condizioni sono favorevoli, le cellule in G1 e G0, progrediscono attraverso un punto di “impegno” vicino alla fine di G1 detto START (nei lieviti) o PUNTO DI RESTRIZIONE (nei mammiferi). Superato questo punto, anche se i segnali extracellulari che stimolano la cresc