Psicologia Clinica PDF
Document Details
Uploaded by Deleted User
Tags
Summary
Questi appunti di Psicologia Clinica descrivono strumenti e tecniche come colloquio, relazione e osservazione, per la valutazione e l'intervento clinico. Il documento evidenzia le differenze tra le diverse figure professionali coinvolte nella cura della salute mentale (psicologo clinico, psichiatra, psicoterapeuta, psicanalista) e introduce concetti chiave come l'empatia e l'intelligenza emotiva.
Full Transcript
PSICOLOGIA CLINICA 31 domande a crocette PSICOLOGIA Scienza che studia i fenomeni della vita affettiva e mentale dell'uomo (es. istinti, emozioni, sentimenti, percezioni, memoria, volontà, intelligenza) e il comportamento degli animali PSICOLOGIA CLINICA Disciplina applicativa che utilizza le leggi...
PSICOLOGIA CLINICA 31 domande a crocette PSICOLOGIA Scienza che studia i fenomeni della vita affettiva e mentale dell'uomo (es. istinti, emozioni, sentimenti, percezioni, memoria, volontà, intelligenza) e il comportamento degli animali PSICOLOGIA CLINICA Disciplina applicativa che utilizza le leggi e le tecniche ottenute dalla ricerca sperimentale per spiegare comportamenti individuali, elaborare interventi curativi e valutarne l'esito Obiettivi della psicologia sono: Valutazione clinica della persona(colloquio, intervista, test, questionari) progettazione di un intervento intervento clinico verifica dell’efficacia dell’intervento DOMANDA ESAME Strumenti della psicologia clinica sono: Relazione Osservazione Strumenti psico diagnostici Colloquio clinico Questi sono i 4 strumenti a servizio dello psicologo clinico; come vi dicevo, parte di questi sono assolutamente sovrapponibili a qualsiasi operatore sanitario, in particolare sono la relazione e l’osservazione La relazione è lo strumento assolutamente trasversale a tutte le professioni che si occupano di prestare cura all’altro Differenti competenze professionali: Psicologo clinico si occupa di effettuare la valutazione e l’inquadramento dei fattori psicologici, personologici, famigliari, relazionali, ambientali e contestuali che generano e mantengono il disturbo o la difficoltà psicologica fornendo sostegno e supporto. E’ coinvolto in progetti di prevenzione primaria del benessere e della salute mentale e progetti riabilitativi in presenza di patologie mentali. Psichiatra opera prevalentemente nel contesto di cura delle persone affette da psicopatologia. I suoi strumenti di intervento includono la psicofarmacologia, il colloquio e il ricovero in ambiente ospedaliero. psicoterapeutica-Medico o psicologo che dopo la laurea si è formato presso una scuola quadriennale di specializzazione in psicoterapia e si occupa di fornire interventi altamente specializzati a pazienti affetti di disturbi o disagio psichico. Può applicare approcci diversi a seconda dell’orientamento teorico prescelto (es. cognitivo-comportamentale, sistemico, psicodinamico, ecc…) psicanalista è uno psicoterapeuta che ha intrapreso un percorso molto strutturato di formazione e analisi personale e adotta un approccio di intervento basato sui concetti e i metodi propri della psicanalisi Altre figure Life coaching( puo aiutare ma non e un medico) non è un intervento indicato quando una persona ha un disagio psicologico/psichiatrico, ma è una consulenza eseguita per il raggiungimento di obiettivi personali e per motivare la persona a raggiungere i propri traguardi. Counseling (ha una formazione professionale per gestire il pz e deciderlo se mandarlo da uno più specifico) Ci si sposta un poco verso le parti in difficoltà del paziente e, dunque, può essere indicato in condizioni di sofferenza, ma è un intervento che si concentra sempre di più su quelle che sono le parti funzionanti, che ha un orientamento sulle progettazioni future ed è molto incentrato sugli obiettivi da raggiungere. Psicoterapeuta (è un professionista più esperto dove la relazione è al centro altra differenza è il tempo focus); è un lavoro di natura più strutturale, in cui l’aspetto relazionale acquisisce una funzione curativa/terapeutica e richiede, da parte dell’operatore sanitario, particolari competenze ed un particolare percorso, proprio perché le parti del paziente con cui ci si mette in relazione sono anche delle parti profondamente patologiche o difficili. Strumenti della psicologia clinica sono: 1-RELAZIONE TERAPEUTICA o RELAZIONE DI AIUTO Relazione tra una persona che ha un bisogno ed un’altra che è in possesso degli strumenti e dei mezzi per colmare o per alleviare la condizione di bisogno dell’altro. «E’ una situazione in cui uno dei partecipanti cerca di favorire, una valorizzazione delle risorse personali del soggetto ed una maggiore possibilità di espressione.» «Dimensione interattiva tra paziente e terapeuta riferita alla capacità di entrambi di sviluppare una relazione basata sulla fiducia, il rispetto e la collaborazione nel lavoro comune al fine di affrontare i problemi e le difficoltà del paziente.» DOMANDE ESAME Ci sono diversi valori della relazione: IL VALORE CONOSCITIVO DELLA RELAZIONE :La modalità relazionale adottata dal pz nei confronti del terapeuta arricchisce. Completa le informazioni utili nel percorso valutativo diagnostico. Le relazioni del terapeuta all’aspetto relazione del pz sono a loro volta elementi che possono guidare nel processo di conoscenza e inquadramento clinico. Ci sono alcuni pz che possono indurre in noi delle emozioni specifiche( ci fanno irritare…) IL VALORE CORRETTIVO/RIPARATORIO DELLA RELAZIONE: La relazione terapeutica permette al pz di confrontarsi con pattern relazionali più sani e trovare risposte coerente ai propri bisogni sviluppando nuovi schemi interpersonali. Inoltre permette di rivivere e rielaborare eventi e memorie traumatiche. IL VALORE MOTIVAZIONALE/TRASFORMATIVO DELLA RELAZIONE : Il pz attraverso l’osservazione e l'imitazione del terapeuta può trovare un modello e apprendere e mettere in atto nuovi comportamenti o schemi di lettura. Inoltre l’alleanza e la cooperazione con il terapeuta, facendo sentire il pz supportato, stimolato nel percorso di cura. Cosa permette allo psicologo e al pz di entrare in relazione? L’assenza del giudizio, sicurezza, fiducia, ambiente idoneo che garantisca la privacy, empatia, ascolto e vicinanza quindi le competenze razionali sono: La cura è il fine della presa in carico—>la relazione e il mezzo per giungere a tale fine—>la relazione e un incontro indico tra due individui—>il terapeuta è il mezzo della ira—>apprendere e coltivare bibita comunicativo/relazionali(EMPATIA) COSE L’EMPATIA? é un processo basato sul percepire lo schema di riferimento interiore di un altro con accuratezza e con le componenti emozionali e di significato ad esso pertinenti, come se una sola fosse la persona, ma senza perdere di vista questa condizione di “come se” ….. Essere empatici significa percepire il mondo interiore dell’altro, come se fosse il nostro, mantenendo tuttavia la consapevolezza della sua alterità. La competenza emotiva è una capacità appresa, basata sulla intelligenza emotiva, che risulta in una prestazione professionale eccellente. L'intelligenza emotiva è Abilità di percepire ed esprimere le emozioni, integrandole nel proprio pensiero, comprendendo e ragionando sulle emozioni stesse, nonché regolando in se stessi e negli altri. Saper identificare le emozioni proprie ed altrui, impiegarle per facilitare il pensiero, riconoscerle ed etichettarle in modo corretto, saper gestire e regolare la loro manifestazione. «abilità di percepire, valutare ed esprimere le emozioni in maniera accurata e appropriata, abilità di usare le emozioni per facilitare il pensiero, abilità di capire e analizzare le emozioni e di utilizzare in modo efficace la conoscenza emotiva, abilità di regolare le emozioni per promuovere la crescita emotiva e intellettuale» 2-L’OSSERVAZIONE Nel colloquio clinico è occasione di analisi del comportamento interpersonale del pz nell psicoterapia è uno strumento periodico di reificazione cambiamenti(monitoraggio) nell’ambito educativo/riabilitativo fonte di informazioni relative al contesto e al modo in cui il pz si relaziona ad esso Nell’ambito della ricerca strumento per esplorare un fenomeno Quali elementi possiamo osservare? Il non verbale(uso dell distanza e vicinanza fisica, pre verbale può sottolineare una certa intensità emotiva), il silenzio, l’aspetto esteriore Si osserva anche tramite l’ Automonitoraggio: il soggetto che osserva i propri comportamenti, Tecnica intermedia tra valutazione soggettiva e l'osservazione, Tecnica d'elezione per quanto riguarda eventi interni: emozioni, pensieri, Un sistema di registrazione accurato ma semplice. L'osservazione può essere messa in atto nel contesto di ricerca, e può essere: Scientifica: Adottata una misurazione che registra un comportamento, Impiego di tecniche non invasive, Familiarizzazione con l’osservatore, Mascheramento dell’oggetto di osservazione naturalistica: L'osservazione ha luogo nell'ambiente naturale nel quale spontaneamente si verifica il comportamento in esame. Si adotta questa metodologia quando si vuole osservare un comportamento SENZA mettere in atto interventi che ne alterino l'espressione. partecipante: L'osservazione ha luogo nell'ambiente naturale nel quale spontaneamente si verifica il comportamento in esame tuttavia per svolgersi è necessario che l'osservatore si inserisca in tale ambiente, divenendo parte del gruppo Controllata: L'osservatore non interviene direttamente sul comportamento, ma crea la condizione allo scopo di favorire la produzione del fenomeno che si vuole esaminare.(ex si fa allontanare mamma e figlio per vedere il problema dell’attaccamento) Quali sono i problemi/rischi dell’osservazione? Tendenza a 3-COLLOQUIO CLINICO è un'interazione fra almeno due persone A ed R delle quali A svolge una funzione professionale, R è un cliente/paziente in un luogo 5 proprio ad A (setting specifico e strutturato) o R (es. visita domiciliare) avendo sia A che R degli scopi e delle aspettative per questo incontro che è per R e per A non spontaneo, bensì artificial. Le finalità del colloquio possono essere di varia natura: L'intervento clinico per PREVENIRE l'insorgenza o il peggioramento di situazioni problematiche, La VALUTAZIONE e COMPRENSIONE dei disagi e delle difficoltà degli Individui, per AIUTARE le persone a superare problemi gia presenti per FAVORIRE negli individui lo sviluppo di abilità personali e sociali al fine di POTENZIARE la qualità di vita o ADATTARSI meglio a condizioni attuali di vita Ci sono diverse tipologie di colloquio: Individuale di gruppo coppie e famiglie sull'ambiente e sulla comunità Cos’è La richiesta di aiuto? Importante per chiedere aiuto è: MOTIVAZIONE Motivus - motus (cio che spinge, che suscita a fare) Uno stato interno che attiva, dirige e mantiene nel tempo il comportamento di un individuo in direzione di una meta Attività - movimento verso qualcosa Orientamento (scopo - obiettivo consapevole) La motivazione è uno stato dinamico dell'individuo e può modificarsi da una situazione all'altra. E' uno stato interno, influenzato da fattori esterni Essa può essere di 3 tipi: -INTRINSECA: il colloquio viene richiesto dal "cliente" allo scopo di raggiungere un certo processo di conoscenza: intellettuale - cognitivo (es: colloquio di orientamento) affettivo - relazionale -ESTRINSECA: il colloquio non è richiesto dal "paziente" ma da un'altra figura (altro professionista, parente, convivente...) CONSCIAINCONSCIA Insight completo: Il soggetto espone liberamente i propri sintomi, in quanto Il riconosce come egodistonici Insight parziale: il soggetto riconosce la presenza di un disagio ma la attribuisce a fattori esterni (es: pz psicotici affetti da schizofrenia, disturbo bipolare, abusatori di sostanze) Nessun insight: negazione completa dell'esistenza di un disagio (si presenta accompagnato, reagisce alle domande mostrando resistenza aggressiva, compliance passiva o mutacismo) EX persone che vanno dallo psicologo possono essere perplesse, disorientate, avvilite, colpevolizzate, imbarazzate Agenda L’operatore sanitario ed il paziente si presentano l’uno all’altro con un insieme di obiettivi e aspettative che condizioneranno la loro interazione. Questo insieme di elementi compongono l’agenda (esiste quella del medico e quella del paziente). Agenda dell’operatore sanitario è organizzata per: I sintomi della patologia e funzionamento del paziente; Diagnosi; Prognosi; Trattamento. Agenda del paziente è organizzata per: Problema attuale; Credenze; Aspettative; Teorie della malattia; Emozioni; Eventi di vita; Impatto del sintomo sulla qualità della vita; Esito del trattamento (il modo in cui viene trattata la sintomatologia del paziente); alcuni interventi più efficaci, ma che hanno più impatto nella vita possono essere accolti con più astio dal paziente, perché non vuole accogliere l’impatto di questi interventi. DOMANDA ESAME Le due agende hanno obiettivi sovrapponibili mentre nei contenuti c'è molta differenza e per questo per far avvenire bene un colloquio si deve instaurare una relazione di fiducia. L’agenda del clinico è organizzata per sintomi e categorie diagnostiche, mentre quella del paziente è organizzata per problemi ed aspetti emotivi (più variabile). Se non si è in grado di integrare le agende si va incontro ad un fenomeno chiamato contrasto cognitivo, in cui l’operatore non riesce ad essere efficace nel suo intervento. Se questo contrasto non si attenua si va incontro ad un totale fallimento del percorso. È importante integrare le agende, riuscire a contestualizzare quello che è nell’agenda del medico e quello che è nell’agenda del paziente (è un po’ più imprevedibile). Analisi della domanda L’analisi della domanda consiste nel formalizzare un disagio espresso, aiutando il paziente ad individuare i suoi obiettivi ed aspettative di soluzione. In ambito psicologico l’operatore deve sempre chiedersi qual è il reale disagio del paziente, cosa ci chiede il paziente perché spesso si ferma alla superficie senza indagare ulteriormente, in questi casi anche l’intervento sarà superficiale. Esempio 1 Il falegname cerca di risolvere il problema al meglio delle sue competenze, cercando di capire, in modo specifico, che armadio vuole (non fermandosi alla superficie). La signora non si è liberata dal disagio e quindi si dirige dallo psicologo portando la stessa problematica. A quel punto lo psicologo cerca di capire come può aiutare la signora a risolvere il suo disagio. Non è chiaro cosa vuole risolvere la persona, dobbiamo chiedere a lei cosa significa risolvere il suo disagio; ad esempio, imparare a controllare l’ansia, a convivere con l’ansia o smettere di provare ansia. In questi tre assetti si hanno diversi gradi di evoluzione, anche dal punto di vista emotivo. Esempio 2 La motivazione della ragazza è estrinseca, perché è stata consigliata dai dottori di andare dallo psicologo. Il suo problema è di fiducia nei confronti degli operatori, del mondo, di un uomo e dei suoi amici, perché non crede che le cose possano andare bene ed il nostro obiettivo è formalizzare il tema di fondo della sfiducia. Gli pongo svariate domande per far in modo di fargli cambiare idea. Esempio 3 La motivazione del ragazzo è un insieme tra intrinseca ed estrinseca, perché viene inviato dai medici del reparto di malattie infettive, ma è lui stesso a dire che uno psicologo è quello di cui ha bisogno per imparare ad accettarsi. Il problema in questo caso è un senso di inadeguatezza del ragazzo che non riesce ad accettarsi per quello che è. Le domande che porrei sono In che contesto è cresciuto? Che cosa lo spaventa di piu? Cosa deve essere accettato? Struttura dell’intervista DOMANDA ESAME Nella parte centrale vediamo la struttura dell’intervista (iniziare l’incontro, raccolta informazioni, esplorare i problemi, chiarire e pianificare, chiudere l’incontro), mentre ai lati abbiamo una serie di competenze trasversali e che devono essere attuate per tutto il corso del colloquio (da un lato la capacità di costruire una relazione e dall’altro come strutturare il colloquio). FASI DELL’INCONTRO( dove tu fai la diagnosi) L’incontro inizia sempre con la presentazione (nome, cognome e ruolo) ed il saluto, da parte dell’operatore, che mette a proprio agio il paziente. Andando avanti con il colloquio si entra nella fase di raccolta delle informazioni in cui non ci si deve limitare alla sola sintomatologia, ma anche all’impatto sulla qualità di vita e sulle aspettative. Si devono raccogliere tutte le cose che vengono dette dal paziente. Lo psicologo, in questa fase, non deve far parlare il paziente a ruota libera di cose del tutto irrilevanti, ma deve focalizzare i problemi di cui il paziente parla, incasellarli nelle rispettive aree (lo psicologo deve mantenere un’apertura mentale); il colloquio deve essere strutturato come una conversazione e non una serie di domande fredde (il paziente, così, si sente più a suo agio). Nella fase successiva si esplorano i problemi e vengono specificate meglio le informazioni emerse dal paziente. Se, alla raccolta delle informazioni, lo psicologo formula già un’ipotesi, commette un errore dal punto di vista cognitivo, perché non può essere formulata all’inizio di un colloquio, in quanto esiste un bias confirmatorio che lo porterà a cercare conferma dell’ipotesi formulata all’inizio. Quindi se l’ipotesi è stata formulata prematuramente, probabilmente il processo di raccolta delle informazioni sarà gravemente compromesso, e si giunge quindi a raccogliere informazioni parziali o forvianti. Processo diagnostico Iter che il paziente percorre insieme al clinico allo scopo di - Rilevare e circoscrivere l’ampiezza e l’entità dei disturbi lamentati - Attribuire loro un significato (diagnosi) - Stabilire le strategia per ridurre, modificare o eliminare le fonti di sofferenza Ragionamento clinico e diagnosi La diagnosi è data dalla raccolta delle informazione che ti permettono di generare un ipotesi e successivamente di verificarla Le varie fasi: 1. Raccolta di informazioni—>colloquio, osservazione o test,questionari 2. CHIARIRE E PIANIFICARE—>Fornire informazioni in modo efficace e comprensibile, Prendere decisioni condivise. offrire la quantità e il tipo corretti di informazione, favorire il riepilogo dei problemi all’interno di una comprensione accurata, raggiungere una comprensione condivisa (shared understanding), integrando anche il punto di vista del paziente, pianificare e prendere decisioni in modo condiviso La diagnosi testologica - PREMESSA La struttura formale del processo diagnostico è costituita da una sequenza sistematica e organizzata di approfondimenti successivi. L’utilizzo dei test fa parte di questo iter e non deve essere mai slegata dalle informazioni raccolte mediante gli altri strumenti (colloquio, osservazione, relazione col paziente). Inoltre: mai basarsi sul risultato di un singolo test. Un buon colloquio può sostituire un test, ma non il contrari Quali sono i vantaggi della somministrazione di un questionario? Valutazione quantitativa e qualitativa di condizioni momentanee o durevoli di funzionamento psichico, o singole funzioni, per rilevare tratti personologici, che perdurano e sono predittivi di comportamenti e/o sintomi futuri (Lang). “Un test è una situazione standardizzata in cui il comportamento di una persona viene campionato, osservato e descritto, producendo una misura oggettiva e standardizzata di un campione di comportamento Test psicodiagnostici-caratteristiche generali SITUAZIONE STANDARDIZZATA: si intende una situazione in cui tutto rimane costante, tranne il variare delle reazioni individuali. Il test è una misura standardizzata: nella somministrazione materiali usati procedura di somministrazione tempo utilizzato disposizioni verbali impartite dimostrazione preliminare tono di voce e mimica dell’esaminatore ambientazione del test nella attribuzione dei punteg Ci sono tre concetti relativi al processo di psicometria, cioè le qualità che un test deve avere: validità (capacità di rilevare gli aspetti della variabile in studio) attendibilità (capacità di evidenziare gli aspetti del fenomeno con ridotte distorsioni tra un osservatore e l’altro o tra una misurazione e l’altra) sensibilità (capacità di misurare la diversa intensità del fenomeno) EX Concetto di: TEST PSICODIAGNOSTICI Interviste strutturate In realtà non è un test, ma è una via di mezzo tra il colloquio clinico ed una testistica. È un insieme di domande che si basano su un manuale chiamato DSM (ad esempio la SCID, che è un’intervista strutturata basata sulla DSM IV). L’intervistatore ha una serie di quesiti, divisi per aerea, che portano, quindi, a formulare una diagnosi in modo standardizzato; avendo sempre le stesse domande, a seconda che emergano o no alcune aree, posso andare ad approfondire una specifica area. Esistono due grossi manuali che racchiudono tutti i possibili disturbi mentali e che sono riconosciuti dalla comunità scientifica con i rispettivi criteri diagnostici (sono in continua evoluzione): uno è il DSM che è nato in America e l’altro più utilizzato nel contesto europeo. Ci sono una serie di veri e propri questionari che possono essere check list, rating scale etero o autosomministrate, che vanno a misurare determinati criteri (vissuti, emozioni). Ci sono diverse scale usate più frequentemente per la presenza di sintomatologia. Per esempio, una delle scale più usate per misurare gli stati ansiosi è la STAI (identificata come ansia di stato o ansia di tratto). Un altro strumento usato per misurare la presenza di una psicopatologia, a livello più generalizzato, è la SCL-90 (composto da 9 dimensioni elencate nell’immagine). Test di personalità personalità—> Modalità strutturata di pensiero, sentimento e comportamento che caratterizza il tipo di adattamento e lo stile di vita di un soggetto e che risulta da fattori costituzionali, dello sviluppo e dell’esperienza sociale I test di personalità sono nati allo scopo di migliorare l’attendibilità della diagnosi psichiatrica e sono stati strutturati per indagare sia le caratteristiche della personalità (tratti sociali, motivazioni, bisogni, adattamento all’ambiente, dinamiche profonde e meccanismi di difesa)…ma soprattutto per evidenziare eventuali disturbi psicopatologici La personalità può essere misurata con questionari o test o tecniche proiettive È molto importante, quindi, avere la consapevolezza che la struttura di personalità dell’assistito potrebbe incidere sia sul percorso di adattamento della malattia, che sul significato che ne dà e sulla modalità relazionale. Tecniche proiettive Ipotesi proiettiva: le risposte di un individuo a degli stimoli ambigui, che gli vengono presentati, riflettono attributi significativi e relativamente stabili della sua personalità. Tali tecniche consistono nelle presentazione di stimoli poco strutturati o addirittura ambigui con la richiesta al soggetto in esame di "interpretarli" o dar loro una qualche strutturazione Gli stimoli dei test proiettivi sono selezionati e validati in modo da toccare le variabili rilevanti dell'organizzazione della personalità: i rapporti con le figure parentali e gli altri membri del nucleo familiare, l'espansione affettiva, le modalità di controllo delle pulsioni, le costellazioni di interessi etc. I test proiettivi si propongono pertanto una valutazione globale della personalità; non presuppongono tratti da misurare, ma stili, modalità complessive di strutturazione della realtà da riconoscere. Essi richiedono una grande esperienza e differiscono gli uni dagli altri sia per il materiale utilizzato che per i loro obiettivi. Sono raggruppabili a seconda di come lo stimolo viene strutturato: Metodi costitutivi/strutturali (es. Rorschach) Il paziente deve assegnare una struttura ad un materiale nonbstrutturato o poco strutturato. Metodi interpretativi/tematici (es. TAT) Il paziente deve elaborare degli stimoli relativi ad un tema, dando loro un significato che deve esprimere un continuum passato- presente-futuro. Metodi costruttivi/grafici Il paziente avvalendosi di un materiale definito per forma e grandezza, deve costruire un modello che abbia un significato compiuto (es. Wartegg) oppure deve rappresentare graficamente qualcosa (es. test dell’albero, test della figura umana I vari test: TEST RORSCHACH—>L’immagine a fianco mostra degli esempi di stimoli usati per il test di Rorschach. A seconda di cosa viene associato all'immagine dal paziente verrà assegnata una specifica struttura di personalità. La figura in alto a sinistra potrebbe rappresentare il muso di un animale o due specie di animali che si danno la schiena. Ci potrebbero essere altre centinaia di interpretazioni diverse, proprio perché è un elemento ambiguo. Nella figura in alto a destra, se venisse privilegiato l’aspetto della simmetria e la composizione, si potrebbe vedere un frac e papillon; se, invece, ci si focalizza sui singoli elementi, si possono vedere due donne che lavano insieme una di fronte all’altra. In questo tipo di misurazione, a seconda che il soggetto si focalizzi sulla struttura generale, sul singolo elemento o sull’aspetto cromatico, l’interpretazione, e di conseguenza il risultato, sarà diverso per ogni persona. TAT—>Nell’immagine a fianco si può vedere un esempio di TAT (tecniche tematiche). In questo caso le immagini non sono ambigue. In base all’interpretazione dello stimolo si può valutare la struttura di personalità del soggetto. Nella figura in alto si vede un uomo sdraiato e una donna in piedi, il problema sorge quando si cerca di capire cosa sta succedendo; la donna potrebbe star piangendo perché il marito è morto, oppure perché l’ha ucciso lei e sta provando rimorso,o potrebbe essere una situazione in cui lui è alcolizzato e lei piange dalla stanchezza. fare disegni Questa è la classica immagine della figura umana: in base a come vengono rappresentati i vari elementi corporei si ha una possibile interpretazione della struttura di personalità del soggetto. Test di intelligenza Anche in questo caso parliamo di qualcosa che ha una rilevanza dal punto di vista clinico, per esempio, nell’accertamento delle demenze, questo test è molto importante per comprendere la possibilità della persona di collaborare al piano terapeutico. Per la misurazione dell’intelligenza, la WAIS è uno degli strumenti più utilizzati e identifica una sorta di età mentaleb del soggetto. Una cosa su cui bisogna porre attenzione è la multifattorialità dell’intelligenza; molte volte, infatti, si pensa che l’unica intelligenza che esiste è quella logico-matematica. Nell’immagine sottostante, invece, possiamo notare una moltitudine di altre componenti dell’intelligenza. I diversi tipi di intelligenza, identificati da Gardner negli anni ‘50, ci danno un’idea di come le persone possano essere più o meno predisposte a certe professioni. Quali tipi di intelligenza sono indispensabili per un operatore sanitario? Linguistica→ serve per comprendere dei testi e sostenere delle conversazioni con i pazienti; Logico-matematica → serve per comprendere alcuni processi di ragionamento deduttivo, ma anche per icalcoli che bisogna essere in grado di eseguire per somministrare la terapia; Intrapersonale → essenziale perché, per capire un altro soggetto, bisogna essere in grado di capire sé stessi; Interpersonale → essenziale per una professione che ci pone in relazione con altri soggetti (devo riuscire ad immedesimarmi nell’altro); Esistenziale o Teoretica → in alcuni contesti particolari come, ad esempio, un reparto di oncoematologia pediatrica, questa intelligenza aiuta a dare un senso alle storie dei pazienti che ci si trova davanti; Esempio di WAIS. LA PSICOLOGIA CLINICA IN AMBITO OSPEDALIERO 17/11/2021 Psicologia clinica Lezione 3 Dalla visione del video modello di una intervista psicologica-psichiatrica, nella quale l’intervistatrice incontra una donna con disturbo di attacchi di panico, emergono i seguenti interventi di tecnica comunicativa: La dottoressa pone alla paziente domande aperte con il fine di raccogliere dati; Tecnica della sintesi: consiste nella ripetizione di frasi pronunciate dalla persona con cui si sta avendo una discussione. La capacità di riepilogare quello che è stato detto, di fatto, comunica all’altra persona che viene sentita, si sa quello che sta dicendo e che si terrà il più possibile in considerazione la sua agenda; Tecnica della verifica: la dottoressa una volta che la paziente ha terminato di parlare chiede un feedback rispetto a quello che ha capito, chiede una conferma e al contempo verifica la completezza di ciò che le è stato detto; Comunicazione non verbale (postura) e paraverbale (tono di voce): nel video si nota come la dottoressa cerca di sintonizzarsi con la paziente, ma nell’ambito del non verbale si riscontra una certa soggettività che porta ad apprezzare o meno l’atteggiamento adottato dalla psichiatra. Nonostante la dottoressa stia cercando di creare una vicinanza, per alcune persone il suo atteggiamento potrebbe risultare troppo dimesso e poco rassicurante, per altri invece, lo stile può rivelarsi coerente e congruo; La dottoressa quando viene interrogata dalla paziente rispetto al “cosa fare”, non restituisce subito una risposta, ma cerca di favorire una riflessione nella paziente. Soprattutto nei contesti in cui non c’è una risposta giusta ed univoca, partire dalla visione del paziente permette di concentrarsi su di lui, di non dare una risposta preformata, ma di arrivare ad una risposta specifica e personalizzata (oltre ad innescare un meccanismo di riflessione); Tecnica del commento riflessivo: si tratta di una tecnica di ascolto attivo che sollecita la persona ad elaborare ed aggiungere altri elementi. Riprendere parti di discorso dell’altra persona è uno dei modi con cui trasmettere un ascolto riflessivo; Analisi della domanda: “Cosa significa guarire per lei?”, svolgere questo tipo di chiarificazioni è importante nella formazione di un contratto terapeutico con il paziente per stabilire obiettivi raggiungibili; L’intervista mette in luce la struttura ad imbuto che la caratterizza, nella quale si comincia ad un livello molto generale ed aperto e pian piano, mediante le varie sintesi e riepiloghi, la paziente viene portata ad approfondire e dettagliare le diverse aree; Nella fase conclusiva la dottoressa ha messo in atto una serie di interventi, soprattutto in riferimento alle perplessità della paziente; infatti quando la paziente le confessa i suoi dubbi ed incertezze, la dottoressa coglie subito l’occasione per rispondere, senza dimenticare ed andare oltre. È essenziale esplorare una perplessità, perché in caso contrario la persona potrebbe gestirla a suo piacimento, magari in maniera poco attenta. Esempio: quando vengono presentate le due tipologie di trattamento del disturbo (terapia farmacologica e psicoterapia), la paziente all’inizio non è favorevole al cominciare un percorso farmacologico per timore di dover assumere medicine per il resto della vita e per i possibili effetti collaterali. Se la dottoressa non le avesse spiegato le tempistiche d’assunzione e non l’avesse rassicurata riguardo agli effetti collaterali, la paziente probabilmente avrebbe assunto lo psicofarmaco come un farmaco al bisogno, da assumere quando si sta male (modificando così le dinamiche del farmaco stesso). Lo scopo del video è proprio quello di introdurre all’uso di alcune tecniche comunicative (tecniche per raccogliere informazioni, per gestire l’aspetto emotivo), mostrare la struttura dell’intervista, costituita da diverse fasi ed evidenziare le strategie messe in atto per poter passare da una fase all’altra in maniera armonica e fluida. 26 17/11/2021 Psicologia clinica Lezione 3 Il saper fare: le tecniche comunicative in ambito sanitario Sono quattro i saperi che fondano la professionalità dell’operatore sanitario: sapere, saper sapere, saper essere e saper fare. 1. Sapere: contenuto teorico, ciò che si studia sui libri; 2. Saper sapere: essere in grado di accedere alle corrette fonti informative; 3. Saper essere: riuscire a stare in una corretta relazione con il paziente, ha a che fare con le nostre attitudini, con il modo in cui siamo fatti e con ciò che diventeremo e la capacità dal punto di vista cognitivo, come per esempio il ragionamento critico; 4. Saper fare: fa riferimento alle conoscenze procedurali: il saper mettere in atto delle azioni e riuscire ad utilizzare la specifica tecnica. Ogni dimensione è sinergica all’altra: saper dire è importante al fine di veicolare il messaggio, ma l’appropriatezza nella scelta della tecnica invece è correlata alla nostra capacità di stare in relazione. Comunicazione La comunicazione ha un ruolo centrale rispetto ai maggiori e principali outcome clinici che intervengono nella presa in carico, tantissime evidenze ormai ritengono che tutta una serie di items siano influenzati dalla comunicazione. Ciò significa che, una buona comunicazione centrata sul paziente può: migliorare la comprensione del trattamento aumentare la soddisfazione del paziente migliorare la collaborazione al trattamento incidere sullo stato di salute in termini di prognosi e di diagnosi ridurre le richieste di altre visite e consulti. Questo si spiega considerando che noi non verremo valutati dai nostri pazienti sulla base della qualità con cui svolgiamo le procedure (o meglio, la nostra professionalità potrebbe essere messa in discussione nel caso in cui provocassimo dolore al paziente), ma sul tipo di relazione che riusciremo ad instaurare con loro. Ulteriori evidenze che sottolineano la relazione tra comunicazione ed efficacia operativa: L'aderenza al trattamento, la prognosi, la collaborazione nel processo terapeutico da parte del paziente confermano l'utilità di poter disporre di un buono stile comunicativo (Egbert et al., 1964; Greenfield et al. 1985). L'ansia, porta i pazienti a sovrastimare la probabilità che eventi negativi possano loro accadere, anche quando sono state fornite tutte le informazioni necessarie per fare delle stime corrette di probabilità (Ley et al., 1976; Butler et al., 1983). Questo aumenta il rischio di sviluppare atteggiamenti di eccessiva apprensione che andrebbero a condizionare ulteriormente le funzioni mestiche con uno sbilanciamento sempre sul versante negativo (Zuroff et al., 1983). Inoltre l'ansia produce degli effetti anche a livello dell'attenzione, inducendo una selezione delle informazioni che sono percepite dal soggetto come più minacciose (Eysenck et al., 1987). Uno stile comunicativo direttivo caratterizzato dall'uso di domande chiuse e verifiche è apprezzato solo da alcune particolari categorie di pazienti: soggetti con problemi organici acuti, stati di emergenza (Buller et al., 1987) mentre in generale le tecniche comunicative centrate sul paziente sono maggiormente correlate alla soddisfazione del paziente (Hall et al.,1988; Putnam et al., 1985; Stewart, 1995; Maly et al., 1999; Taira et al., 1997; Kinnersley et al., 1999). Riconoscere e rispondere ad un cue con tecniche che incoraggino l'espressione del paziente, quali ad esempio facilitazioni e domande aperte, fa sentire ascoltato il soggetto ed aumenta la probabilità di ottenere nuove informazioni (Brown et al., 1996). 27 17/11/2021 Psicologia clinica Lezione 3 Anche la possibilità di esprimere le proprie teorie ed opinioni rispetto alla malattia aumenta il grado di soddisfazione del paziente e migliora il suo atteggiamento verso la propria condizione (Jackson et al., 2001; Lazare et al., 1975). L’atto comunicativo si colloca all’interno di un’interazione dinamica (tra due o più persone), che è influenzata dalle caratteristiche dei due soggetti interagenti e dal contesto in cui questa avviene. Infatti la comunicazione tra me e due pazienti differenti sarà molto diversificata, perché io sarò sempre la stessa, ma le altre due persone presentano delle differenze imprescindibili, giungono a me con una storia diversa, con uno stile comunicativo diverso e manifestano esigenze e bisogni differenti; perciò se l’obiettivo è centrato sul paziente, ci si dovrà adattare allo stile comunicativo e alle caratteristiche di ogni singolo paziente, che saranno differenti rispetto a quelle di un altro. Per questo motivo il modo in cui mi relaziono con l’altro è condizionato dalle dinamiche che si instaurano tra i due soggetti e dal contesto in cui questa operazione avviene. In quale modo il contesto può influenzare la comunicazione? La presenza, ad esempio, di un compagno di stanza può limitare il racconto del paziente che non ha piacere ad esporre le proprie informazioni sensibili davanti ad uno sconosciuto oppure il tempo che la struttura concede per un colloquio potrebbe essere troppo breve rispetto alle esigenze personali di un soggetto o in un altro caso ancora, la comunicazione di spiacevoli notizie, in assenza di una stanza dedicata al colloquio e alla comunicazione con i pazienti e/o famigliari, potrebbe avvenire lungo il corridoio di un reparto nel mentre che gli altri operatori sanitari stanno lavorando e potrebbero potenzialmente interrompere la conversazione. Le variabili contestuali infatti riguardano una moltitudine di elementi che includono l’ambiente, l’organizzazione del lavoro, i tempi per la comunicazione e lo spazio riservato alla formazione e supervisione. Queste variabili possono svolgere nel processo comunicativo un ruolo facilitante o inibente/ostacolante. Scendendo in profondità si trova il livello interpersonale, ovvero cosa si innesca nella relazione con l’altro. Si compone di elementi che non riguardano solo il paziente, ma anche l’operatore sanitario, proprio perché è una relazione tra due persone. Difatti la presenza di fattori che incidono sulla sfera psicosociale personale dell’operatore, come una difficoltà economica o un’insoddisfazione lavorativa, determina una minore disponibilità ad accogliere l’altro. Lo stesso vale per il paziente, che può risultare più o meno difficile/facile da gestire, a seconda della sua storia di vita, della struttura della sua personalità e del suo assetto relazionale. Nella presa in carico del paziente l’operatore sanitario ha almeno tre livelli di interazione interpersonale: paziente, famigliare ed equipe multi/interprofessionale. Soprattutto in questo momento in cui le condizioni cliniche dei pazienti sono sempre più complesse, è richiesta una forte collaborazione tra diverse figure professionali, le quali devono 28 17/11/2021 Psicologia clinica Lezione 3 possedere una certa coerenza e trasparenza nel conferire il messaggio comunicativo, che deve essere adattato. Per fare ciò è necessario investire su due tipi di «sapere»: il saper essere e il saper fare. Ad un ultimo livello troviamo la sfera individuale, che concerne l’autoconsapevolezza, cioè quanto io mi conosco e quanto sono in grado di autogestirmi rispetto ad elementi interni della mia personalità, come valori e principi. Ad esempio durante quest’epoca di pandemia, nell’ambito sanitario è emersa frequentemente l’avversione, da parte di alcuni operatori, di curare persone no-vax, che rinnegano il metodo scientifico applicato all’interno dell’ospedale. In questa situazione infatti potrebbero intervenire valori interni dell’operatore sanitario, quali l’applicare una medicina basata sull’evidenza e il proteggere la collettività. È importante essere consapevoli dei propri valori e non rinnegarli, ma in queste occasioni è altrettanto essenziale tenere bene a mente il contesto in cui si è inseriti; i valori e principi propri della persona non devono infatti decretare il merito di un paziente nel ricevere una determinata cura. Sulla base di ciò comprendiamo l’importanza di conoscere i propri valori, di sapere quando essi entrano in gioco, ma soprattutto di saperli disinnescare quando si inseriscono nella relazione di empatia con l’altro. È quindi importante sottolineare il ruolo facilitante/evidente del contesto in cui avviene la relazione. Inoltre la qualità di una presa in carico dipende dalla capacità dell’equipe di comunicare un messaggio, per esempio una situazione piuttosto grave come un tumore al seno implica per una persona l’interfacciarsi con psicologo, chirurgo, infermiere o fisioterapista o il fisiatra. Ci sono molte figure professionali che collaborano fra loro per dare il messaggio al paziente in modo coerente. Per compiere ciò bisogna affinare la capacità del saper essere e saper fare. SAPER FARE E SAPER ESSERE La professionalità dell’operatore sanitario si fonda su conoscenze, tecniche e abilità che per essere appropriatamente poste in atto, devono incardinarsi in una corretta attitudine e piena consapevolezza delle implicazioni personali e professionali, legate al ruolo che gioca nella vita della persona che si sta assistendo. Ciò che permette infatti di scegliere una specifica tecnica rispetto a tutte quelle che ci sono a disposizione, è proprio la capacità di stare correttamente all’interno della relazione. La tecnica dev’essere sempre accompagnata dall’effettiva presenza nella relazione, altrimenti manca di autenticità e spontaneità. Queste competenze che permettono all’operatore sanitario di entrare in relazione con il paziente, di lavorare efficacemente nell’equipe multi o interprofessionale, di compiere un ragionamento critico e di monitorare i propri stati interni, sono definite “soft skills”. Esiste un insieme di conoscenze e tecniche necessarie alla messa in atto di interventi specifici per ogni disciplina, ovvero le hard skills. Accanto a tali competenze, ne esistono altre di natura più trasversale che caratterizzano la capacità del professionista di porsi in modo adeguato, proattivo, collaborativo ed efficace nel contesto di cura (soft skills). Raramente nel percorso di formazione e successivamente nei processi di selezione del personale viene valorizzata la presenza delle soft skills, sebbene esse rappresentino un predittore della qualità del servizio offerto al paziente determinante tanto quanto le hard skills. 29 17/11/2021 Psicologia clinica Lezione 3 Se il nostro obiettivo è il benessere del paziente, la tecnica è la freccia che puntiamo per raggiungere il bersaglio, ma la mira è data dall’autoconsapevolezza, il saper essere, che permette di scegliere il giusto strumento. Saper fare Quali sono i canali comunicativi? Possediamo diversi canali comunicativi: la prima distinzione è tra verbale e non verbale. Nella comunicazione verbale si distingue il canale vocale (quello che sto dicendo, le parole pronunciate) e il non vocale (ciò che si scrive). Anche tramite quello che si scrive si può comunicare un messaggio, ad esempio dal passaggio di consegna si riesce a capire ciò che per il collega del turno precedente è più importante rilevare. Nella comunicazione non verbale si distinguono ancora una volta il canale vocale (paraverbale, quindi il tono della voce, il ritmo di esposizione, l’utilizzo di enfasi per accentuare alcune parti del discorso; tutto ciò che caratterizza il modo in cui una persona parla) e il canale non vocale (gestualità, prossemica, orientamento spaziale, espressioni del viso, sguardo). 30 17/11/2021 Psicologia clinica Lezione 3 L’immagine evidenzia come nella comunicazione l’aspetto non verbale sia preponderante, ma allo stesso tempo la letteratura lo definisce ambiguo, caratterizzato da elementi di criticità. Ad esempio i gesti tra persone che appartengono a culture differenti non possono essere interpretati secondo il significato e i valori della cultura di provenienza, o meglio, se lo si fa, si potrebbe cadere in errore. Quindi nonostante i linguaggi non verbali presentino un certo grado di universalità, in quanto legati a strutture e meccanismi neurobiologici geneticamente determinati, presentano anche un certo grado di variabilità dettato dal preciso contesto culturale, sociale e relazionale in cui si inserisce la manifestazione. Quando avviene una dissonanza tra il verbale e il non verbale il contenuto del messaggio sarà interpretato principalmente sulla base della manifestazione non verbale. Se un paziente afferma “Sì, mi sembra un’ottima proposta”, ma nel non verbale manifesta rabbia, delusione, preoccupazione perché non si sente all’altezza, perplessità perché non sa se ha capito; bisogna mettere in atto due azioni: imparare a riconoscere la dissonanza ed esplicitarla. Per commento riflessivo infatti, non significa solo ripetere parte del discorso, ma anche riportare la dissonanza tra verbale e non verbale al paziente (ad esempio: “Mi ha detto che è d’accordo, però non mi sembra del tutto convinto”) La prossemica È la distanza e la spazialità che si assume rispetto agli altri come canale di comunicazione. La definizione e la delimitazione dello spazio personale funge da strumento di regolazione e controllo delle relazioni. Ciascun individuo possiede uno spazio personale mobile, ovvero la sfera ideale, ed è un’area che non può essere violata. Sono quattro le distanze tipiche che definiscono i rapporti interpersonali: intima, personale, sociale e pubblica. Più siamo intimi più ci possiamo permettere di entrare nello spazio dell’altro, ma in quanto operatori sanitari ci capiterà di entrare fortemente nell’area privata di pazienti con cui non siamo assolutamente intimi, toccando e manipolando il corpo dell’assistito. Questo significa che quando ci avvicineremo ad un paziente per svolgere delle manovre, dovremmo tenere bene a mente il fatto che lo stiamo rendendo vulnerabile, che stiamo accedendo alla sua sfera intima e il nostro ruolo non ci consente di prenderci la libertà di entrare nella sua dimensione privata, senza prima aver chiesto il suo permesso. Ci ricorderemo inoltre di informare prima di svolgere qualsiasi manovra, di tutelare la privacy facendo rivestire il paziente non appena finito, in modo da non esporlo ad un’ulteriore vergogna o avremo la premura di non parlare durante lo svolgimento di pratiche che mettono il paziente a disagio. 31 17/11/2021 Psicologia clinica Lezione 3 L’orientazione è l’angolatura del corpo secondo cui le persone si dispongono l’una verso l’altra. Dona indicazioni sul rapporto esistente tra le due persone, su un eventuale accordo o disaccordo. La postura conferisce indicazioni riguardo l’apertura o chiusura verso l’interazione. Le espressioni facciali fanno parte di un più ampio repertorio espressivo. La categorizzazione di espressioni facciali in presenza di incongruenti posture, riduce l’accuratezza e aumenta i tempi di risposta. Proprio perché possediamo diversi canali, la percezione del messaggio è multimodale, vengono utilizzati più canali alla volta, quindi tutti gli input si integrano tra loro. Maggiore è la coerenza con cui trasmettiamo il messaggio, maggiore sarà la probabilità che il messaggio venga percepito nel modo in cui intendevamo inviarlo. Ad esempio, nel caso in cui l’operatore debba scrivere delle cose al computer mentre il paziente parla, è bene esplicitare la barriera (scrivere al computer) che non può essere eliminata; altrimenti si potrebbe trasmettere un messaggio di indisponibilità all’ascolto del paziente. Gesti Movimenti che vengono messi in atto durante il processo comunicativo della persona Gesto è tale se recepito dall'altro mediante un codice preesistente La gesticolazione di solito è congruente con il verbale (gestiti dalla stessa intenzione comunicativa, se si interrompe il discorso si interrompono anche i gesti) Sguardo e mimica facciale Comunica apertura/chiusura, interesse/disinteresse Lo sguardo serve a gestire la regolazione dei turni, può fungere da segnale di appello. Nella conversazione ha la funzione di sincronizzare (evitare le sovrapposizioni e favorire l'avvicendamento dei turni), di monitoraggio (controllo dell'interazione) e di segnalazione (manifestazione delle proprie intenzioni). Tecniche comunicative utilizzate nel colloquio clinico PER LA RACCOLTA DI INFORMAZIONI E LA STRUTTURA DEL COLLOQUIO All’interno di questo gruppo si trovano le seguenti tecniche: Domanda aperta direttiva: presenta una formulazione peculiare in quanto ad una domanda aperta non si può rispondere con un ‘si’ o con un ‘no’. La domanda comincia con un avverbio, ad esempio “dove”, “come”, “cosa”, “quando”, "perchè", “chi”, in modo da raccogliere dati e non verificare un’ipotesi, come nel caso di domande con risposta si/no, nelle quali si chiede “ha mai fatto una terapia?” è come se si avesse già un’ipotesi che si vuole verificare, se invece si chiede “che cosa ha fatto per gestire il suo problema?”, aprendo una dimensione più ampia, generalizzata e meno strutturata. Viene usata per indagare aree specifiche e consente una chiarificazione di dettagli e scoraggia una elaborazione irrilevante da parte dell’utente. Facilitazione: consiste in segnali di incoraggiamento, come l’annuire. Porta l’utente a dire di più e trasmette ascolto, anche se in maniera passiva. Commento riflessivo: concerne la ripetizione di frasi dette dal paziente (non avviene in maniera casuale, perché risulterebbe non autentico e fastidioso, ma bisogna riprendere parti del discorso su cui la persona necessita di rielaborare), il portare alla luce aspetti del non verbale in dissonanza con il contenuto della comunicazione e infine comprende anche il tentativo di concludere una frase che il paziente sta dicendo, con l’obiettivo di aiutarlo a continuare il discorso in quella direzione. 32 17/11/2021 Psicologia clinica Lezione 3 Sintesi: permette di verificare la comprensione delle informazioni raccolte, in modo da ottenere dati più corretti, grazie alla ripetizione di quanto detto dal paziente. Trasmette ascolto attivo perché se sono in grado di ripetere, significa che ho ascoltato. Dona struttura al colloquio. La dottoressa all’interno del video modello, per passare da una fase all’altra svolge sempre una tecnica di sintesi e di transizione. Transizione: orienta il paziente rispetto al colloquio o alla visita e struttura i contenuti al suo interno. La tecnica della sintesi e della transizione servono per orientare e spiegare al paziente la direzione che si sta prendendo, ad esempio dicendo “Ora ho bisogno di raccogliere informazioni, poi le farò domande più specifiche e alla fine del nostro colloquio le darò la mia opinione” (-dall’intervista psichiatrica). Spiegare cosa si sta per fare è una strategia da utilizzare anche durante lo svolgimento di una manovra procedurale con il paziente. GESTIONE DELLE EMOZIONI DEL PAZIENTE Saper gestire la componente emotiva, ansiosa o depressiva, è essenziale ai fini dell’aderenza, poichè un paziente in ansia non ascolterà ciò che un operatore gli dice/spiega oppure lo memorizzerà male, è necessario prima di tutto calmarlo. In che modo si gestiscono le emozioni? Empatia: capacità di immedesimarsi nell’altra persona sino a coglierne i pensieri e gli stati d’animo. Visione del video “Il potere dell’empatia” ( https://www.youtube.com/watch?v=nSVyLBsQO0A ) Il video sintetizza i 4 elementi che stanno alla base di una relazione empatica: 1. Capacità di vedere le cose dal punto di vista di un’altra persona o di riconoscere che questa prospettiva è la sua verità; 2. Assenza di giudizio; 3. Riconoscere l’emozione dell’altro; 4. Comunicare la vicinanza. Raramente quello che diciamo farà la differenza, ciò che la fa è la connessione, il trasmettere una vicinanza, possibile grazie ad una reale presenza e alle parole che scegliamo di utilizzare (unione di saper essere e saper fare). Empatia significa saper stare in una relazione di dolore. Calandosi nel buco nero, senza sprofondare e astenendosi dal giudizio e dalla tentazione di placare il dolore (senza spingere rapidamente fuori dal buco nero l’altro), si ha già fatto tutto ciò che era necessario. Stare in contatto con la vulnerabilità dell’altro, costringe ad affrontare e riportare alla luce tratti vulnerabili di sé stessi; ma senza questo tipo di connessione viene a mancare l’autenticità nel rapporto con l’altro. Legittimazione: dire all’altro che quello che prova va bene, la sua emozione è normale, comprensibile: significa legittimare un vissuto emotivo. Commento empatico: consiste nell’elaborare un’ipotesi per tracciare un collegamento tra una situazione e un ipotetico sentimento che da questa deriva 🡪 “Immagino che questa diagnosi l’abbia colpita duramente”, “Provo soltanto ad immaginare quello che stai provando”. Il commento empatico comunica all’utente che si è colta, compresa ed accettata la sua situazione emotiva. Commento di partecipazione: espressione che comunica una vicinanza ed un’attenzione nei confronti dell’interlocutore, ad esempio “Mi dispiace di doverle fare male mentre stiamo facendo la medicazione”. Commento di rispetto: serve per mettere a fuoco le risorse e le capacità del paziente e lo incoraggia ad affrontare situazioni difficili; porto l’attenzione su ciò che c’è di positivo. Rassicurazione: è una delle tecniche più preziose perché tutti i pazienti vorrebbero essere rassicurati. Non è corretto rassicurare il paziente di fronte alla morte o a situazioni verso le quali non abbiamo controllo. È facile però cadere in errore promettendo ciò che non si può promettere, ad esempio “Andrà tutto bene” (rassicurazione irrealistica), oppure rassicurando ancora prima di conoscere il motivo della preoccupazione. 33 17/11/2021 Psicologia clinica Lezione 3 In quest’ultimo caso si parla di rassicurazione prematura, che è corretta per quanto riguarda il contenuto, ma non lo è dal punto di vista della tempistica. Le preoccupazioni delle persone di fronte ad un intervento sono le più diversificate: chi ha timore per l’anestesia o per il dolore, chi teme che l’intervento si riveli troppo invalidante per tornare a lavoro e determini così una difficoltà economica, chi ancora è preoccupato per il nucleo familiare che abbandona, magari costituito da dei figli piccoli o da una persona con disabilità. Se non indaghiamo il motivo che scatena questo bisogno di rassicurazione, passeremo un messaggio di chiusura, piuttosto che di disponibilità, liquidando con un generico “non si preoccupi” il problema del paziente. Saper essere: mindful practice e autoconsapevolezza Schön definisce l’autoconsapevolezza come: “La capacità di riflettere sulle proprie azioni, in modo da impegnarsi in un processo consapevole di apprendimento continuo” Ciò ci aiuta a dirigere i processi di apprendimento e miglioramento della nostra professionalità. Da ciò deriva la consapevolezza che la nostra professionalità non è legata soltanto al fare esperienza, ma soprattutto, al riflettere in modo critico sull’esperienza fatta. La capacità autoriflessiva del clinico è un elemento ritenuto essenziale da vari autori, per favorire l’evoluzione della professionalità; in particolare Schön ha distinto il riflettere mentre si sta svolgendo un’azione (reflection during action - IN active learning), dal riflettere sulle proprie azioni in modo critico (reflection after action - ON post activity). Durante l’azione lo scopo della riflessione è quello di essere concentrati, di orientare correttamente l’attenzione sugli elementi di rilievo, di procedere con ragionamento critico, valutando e coniugando in maniera appropriata le evidenze, di formulare e verificare ipotesi. Il riflettere a seguito dell’azione concede una maggiore distensione dal punto di vista emotivo rispetto a ciò che è accaduto: in una situazione di emergenza è necessario saper prendere decisioni velocemente, essere concentrati ed agire nell’immediato. Se ci si fermasse solo a questo però si perderebbe un’occasione di crescita. Per questo motivo è importante la riflessione dopo l’azione per rivalutare l’accaduto e il nostro comportamento, considerare aspetti o interventi che in quel momento non ci sono venuti in mente, valutare l’efficacia di ciò che si è messo in atto e riflettere sugli aspetti che richiedono un miglioramento. Reflective Circle Uno degli strumenti suggeriti da Gibbs per riflettere sulle proprie azioni è il circolo della riflessione in cui, a seguito dell’accaduto, mi pongo alcuni quesiti, come: “Cosa è successo?” (descrizione), “Cosa ho provato?” (emozione), “Cosa è positivo o negativo rispetto all’esperienza?” (valutazione), “Quale significato ha quanto accaduto?” (analisi), “Cosa avrei potuto fare in più?” (conclusione), “Se accadesse nuovamente, cosa potrei fare?” (piano d’azione). È uno strumento molto utilizzato per riflettere sugli errori o sugli eventi avversi, ma può essere adottato in qualsiasi fase dell’esperienza, soprattutto durante il percorso formativo. 34 17/11/2021 Psicologia clinica Lezione 3 Altri due autori, Plack e Santasier, nel 2004 hanno aggiunto un ulteriore elemento sempre nell’ambito della riflessione sulle azioni: ‘reflecting for planning’, ovvero riflettere subito dopo, ragionare su come è andata l’azione. Il punto cruciale di questa riflessione è la pianificazione di future azioni, dalla quale deriva la capacità di miglioramento, che consiste nell’utilizzare le esperienze passate per ottimizzare la messa in atto delle azioni future. L’essere consapevoli di completare la professionalità non al termine dell’azione, ma alla fine della riflessione su come abbiamo agito, trasforma la nostra modalità di lavoro da una dimensione reattiva, in cui reagisco alle cose, ad una dimensione proattiva, in cui sono capace di prevenire situazioni critiche e di pianificare azioni da mettere in atto, anziché essere trascinato dagli eventi, senza avere la consapevolezza del perché sto reagendo in un certo modo. Solo dopo aver riconosciuto il proprio vissuto emotivo, si è valutata la funzionalità del sistema motivazionale che si è attivato e si sono individuati gli obiettivi appropriati all’interazione, si potrà rendere realmente efficace e autentico il proprio intervento comunicativo ed essere certi che sia centrato sul bisogno del paziente e non reattivo al nostro bisogno inconscio. “We do not learn from experience… we learn from reflecting on experience.” In tutte le esperienze, l’occasione formativa non si esaurisce al termine della giornata ma nel momento in cui ci si scambia riflessioni con sé stessi o altri. Uno degli autori che tra i primi ha parlato di investire su interventi che possano aumentare l’autoconsapevolezza dei clinici, è Dennis H. Novack, che insieme ad un altro autore di nome Ronald M. Epstein, sottolinea in un articolo del 1997, come il clinico debba conoscere sé stesso profondamente, nel suo modo d'essere e di funzionare, in modo da risultare più coerente possibile nelle risposte che dispensa agli altri (in caso contrario infatti risulterebbe poco attendibile e variabile a seconda del contesto in cui è inserito). L’autoconsapevolezza del clinico è proprio uno degli strumenti principali di diagnosi e terapia, in quanto può essere definita come “la comprensione di come le proprie emozioni ed esperienze di vita possano condizionare l’interazione con i pazienti, familiari e i colleghi”. Epstein pochi anni dopo identifica il concetto di “mindful practice” e le aree nelle quali l’operatore sanitario dovrebbe aumentare la sua autoconsapevolezza: queste aree si riferiscono a credenze, attitudini, modalità di relazione emotiva, risposta alle situazioni critiche, ciò che per il soggetto rende critica una situazione, elementi dell’esistenza che possono determinare un’indisponibilità alla presa in carico dell’altro. La conoscenza esplicita è facilmente accessibile alla consapevolezza, quantificabile e traducibile in linee guida basate sull’evidenza. La conoscenza tacita viene solitamente appresa durante l’osservazione e la pratica, include esperienze, teorie in azione e valori profondamente radicati, e di solito è esercitata in modo più induttivo. L’autoconsapevolezza non può essere insegnata attraverso modalità esplicite ma può essere stimolata e coltivata dagli operatori sanitari attraverso l’automonitoraggio. Le caratteristiche che contraddistinguono una pratica clinica consapevole, secondo Epstein, sono: l’osservazione attiva di sé, del paziente e del problema; la curiosità critica; il coraggio di vedere il mondo così com'è piuttosto che come uno vorrebbe che fosse; la disponibilità a esaminare e mettere da parte le categorie e pregiudizi (leggere le situazioni in una prospettiva non giudicante); l’adozione della mente del principiante (mente aperta e curiosa); l’umiltà nel tollerare la consapevolezza delle proprie aree di incompetenza e incertezza; la compassione basata sull'intuizione (intesa come connessione); la presenza (ovvero la capacità di rimanere all’interno di una situazione senza cercare costantemente di uscire mediante l’uso di strategie). 35 17/11/2021 Psicologia clinica Lezione 3 La mindful practice ha un potere positivo su una serie di aree: una pratica consapevole incide infatti sul benessere dell’operatore, sulla qualità della cura e sulla qualità della presa in carico, poiché rende più compassionevoli e più empatici. Prima di adottare una qualsiasi tecnica di comunicazione, l’operatore sanitario dovrebbe svolgere 3 azioni, più rivolte a sé che all’esterno. Prima di parlare deve fermarsi e chiedersi: 1. Riconoscere e nominare le emozioni: “Cosa sto provando? ” 2. Riconoscere quale SM (sistema motivazionale) è stato attivato e la sua appropriatezza al contesto: “L’emozione che sto provando mi aiuterà ad assistere meglio il paziente?” Se la risposta alla seconda domanda è ‘No’ allora… 3. Cambiare il SM: “Devo dirmi qualcosa che mi richiami al mio valore professionale e attivi così un’altra emozione” Solo dopo aver svolto questi passaggi, potrò pormi altre domande: 4. Riconoscere l’emozione del paziente: “Cosa sta provando il paziente? Come si sente? Di cosa ha bisogno?” 5. Tecnica comunicativa: “Immagino che per lei questo momento sia molto difficile da affrontare” Se non avvengono i primi 3 punti, il rischio è quello di attribuire al paziente un’emozione che non gli appartiene, ma che rispecchia lo stato d’animo dell’operatore. 36 24/11/2021 Psicologia clinica Lezione 4 ATTACCAMENTO, SISTEMI MOTIVAZIONALI E ABILITA’ RELAZIONALI DELL’OPERATORE SANITARIO Teoria dell’attaccamento John Bowlby è lo psicanalista che ha formulato questa teorizzazione definita come una teoria psicologica, evoluzionistica (perché spiega l’evoluzione del comportamento dell’essere umano) ed etologica (basata anche sull’osservazione del comportamento degli animali), che riguarda la relazione tra esseri umani, spiegando in particolare come il rapporto tra genitore e figlio condizioni il successivo sviluppo relazionale del soggetto nella vita adulta. Fondamentalmente la teoria dell’attaccamento si pone l’obiettivo di spiegare in che modo le prime interazioni nelle fasi evolutive di vita, cioè l’infanzia, condizionino poi lo stile relazionale dell’adulto. In modo più preciso, quello che si intende è che la qualità della cura che si riceve nelle fasi precoci dello sviluppo, predispone, da adulto, ad avere una migliore o peggiore capacità ad entrare in relazione con l’altro. Ad esempio, se nella propria infanzia si è stati accuditi in un modo sufficientemente buono dalle figure dell’attaccamento di riferimento (generalmente sono i genitori ma in alcuni casi possono essere stati i nonni o le figure a noi più prossime) e queste siano state in grado di riconoscere il bisogno ed abbiano tentato di dare una risposta a quest’ultimo, da grande ci si sentirà abbastanza fiduciosi nell’essere degni dell’aiuto degli altri e abbastanza fiduciosi nel sapere che gli altri desidereranno prestare aiuto (è importante precisare che non si pretende che la figura di attaccamento sia perfetta, ma che sia sufficientemente buona e in grado di riconoscere e rispondere, nella maggior parte dei casi, ai bisogni del soggetto). Viceversa, se la storia infantile è stata caratterizzata da delle condizioni nell’ambito del degrado (nei quadri peggiori) o da disinteresse e incapacità, (nei quadri meno severi), nell’età adulta si avranno più difficoltà, perché non si è appreso già da bambini in che modo ci si prende cura e si viene curati. Infatti, se si deciderà di svolgere una healthing professions, si partirà svantaggiati rispetto al collega che ha avuto un attaccamento sicuro, ovvero una persona cresciuta in un ambiente che ha risposto il più possibile ai suoi bisogni primari e affettivi. Queste teorie hanno trovato un recente sviluppo nella letteratura che va ad esplorare come le capacità e le competenze relazionali di alto livello si associno allo stile di attaccamento. Da queste teorie è stata sviluppata un’ulteriore interpretazione o sistematizzazione dei comportamenti nelle relazioni, che riguarda i sistemi motivazionali. Ovvero in queste interazioni tra madre e bambino, è come se si creassero delle regole interne, dei modelli operativi interni che guidano i sentimenti, i pensieri e le aspettative che l’individuo avrà nelle relazioni successive. Questi modelli possono essere considerati come delle rappresentazioni mentali della propria amabilità e della disponibilità dell’altro verso noi stessi. Esistono degli ulteriori sistemi, che sono i sistemi motivazionali, che servono all’individuo per predire in un modo più preciso possibile la relazione con l’altro orientandolo a degli specifici scopi. «L’elemento della Teoria dell’Attaccamento che maggiormente ha permesso di ampliare gli orizzonti teorici e clinici della successiva psicoterapia, in particolare della psicoterapia cognitiva, è proprio la concettualizzazione di motivazioni innate che spingono alla costruzione di legami interpersonali e che guidano la costruzione dei significati personali allo scopo di adattarsi all’ambiente attraverso relazioni intersoggettive.» (Farina, Liotti, 2011). I sistemi motivazionali sono come delle regole che guidano un soggetto a degli scopi attraverso la relazione con l’altro. È nella relazione con l’altro che io perseguo uno scopo che aumenta l’adattamento all’ambiente in cui mi trovo. Sono tendenze universali, biologicamente determinate e selezionate su base evolutiva. Orientano i comportamenti secondo obiettivi specifici e sono strettamente legati all'esperienza emotiva. A fianco due libri consigliati per un eventuale approfondimento. 37 24/11/2021 Psicologia clinica Lezione 4 Per capire in che tipo di sistema motivazionale ci si trova, si devono ascoltare le emozioni che si provano; le emozioni sono dei marcatori, degli indicatori di attività, che spiegano in che sistema ci si trova e quindi verso quale scopo si è proiettati. Ogni specifica esperienza emotiva può essere meglio compresa se messa in relazione con il sistema motivazionale interpersonale all'interno del quale si colloca. Precedentemente abbiamo parlato di emozioni: per reagire bene all’emozione del paziente bisogna riconoscere prima quella che è la propria emozione e bisogna comprendere se l’emozione che si sta provando è adeguata o meno. Per capire ciò si deve valutare se l’emozione ci sta orientando o meno verso uno scopo coerente con la professione di cura; infatti se le emozioni che si provano sono rabbia e fastidio, verosimilmente queste orienteranno poco verso una buona relazione di cura. Quindi solo se si è consapevoli delle proprie emozioni ci si potrà chiedere se lo scopo verso cui esse mi stanno orientando è appropriato al contesto in cui mi trovo. Ricapitolando i nostri sistemi motivazionali sono: principi organizzatori delle interazioni sociali, ovvero rappresentano insiemi di regole interne che guidano il comportamento del soggetto; disposizioni innate universalmente presenti negli esseri umani; sono orientati ad una meta; sono attivati da specifici segnali, specifiche emozioni. Di seguito alcuni esempi: Il sistema dell’attaccamento “Sei fragile, cerca protezione, trova qualcuno che si prenda cura di te!” Obiettivo del sistema: conseguimento della vicinanza protettiva di una persona, possibilmente disponibile a fornire conforto e protezione. Valore biologico: le popolazioni in cui gli individui rimangono vicini e sanno chiedere aiuto (per la difesa ed il sostentamento) hanno migliori probabilità di sopravvivenza. È attivato da: Fatica, dolore fisico e/o emozionale, solitudine; Generale percezione di essere vulnerabile a pericoli ambientali o di non poter soddisfare da soli i bisogni necessari alla sopravvivenza (alimentarsi, proteggersi dal clima sfavorevole, dormire). È disattivato da: Conseguimento della vicinanza protettiva ad una persona; Protratta impossibilità di conseguire la meta (diventa distacco emozionale, forma patogena). Questo sistema è attivo nel bambino e nel paziente o nel suo famigliare perché per definizione giungono a noi in una condizione di fragilità, di debolezza. Quando ci si trova in una situazione di fragilità si prova paura, timore, senso di precarietà, debolezza, fragilità, spavento. Viceversa, quando si trova qualcuno che ha bisogno del nostro aiuto, ad esempio un genitore o una figura che presta cura, si prova ansia da prestazione, si vuole fare bene fin da subito, ci si sente responsabili, si prova tenerezza, sollecitudine nel bisogno di prestare cura. Questo ultimo aspetto è il sistema che si incastra con il sistema dell’attaccamento 38 24/11/2021 Psicologia clinica Lezione 4 Il sistema dell’accudimento “Proteggi, prenditi cura, aiuta la persona che ti appare più fragile e debole di te!” Obiettivo del sistema: offrire vicinanza protettiva, tutelare il soggetto più debole. Valore biologico: favorire le possibilità di difesa e sostentamento degli altri individui della propria popolazione. È attivato da: Segnali di richiesta di protezione provenienti da un conspecifico (attaccamento); Percezione di difficoltà, fragilità di un conspecifico. È disattivato da: segnali di sollievo e sicurezza provenienti dal conspecifico. Insorge quando percepisco che tu hai bisogno di me e mi sento in grado di poterti prestare cura. Questo sistema si attiva nell’infermiere, in colui che presta servizio all’altro. La dimensione attaccamento-accudimento si caratterizza per una dinamica di disparità: il paziente, soggetto più fragile, cerca protezione, mentre l’operatore sanitario gliela presta (la disparità è dichiarata). Questa dimensione è ottimale all’interno di una relazione di cura; dovrebbe caratterizzare particolarmente le situazioni di stato acuto o casi in cui la persona è molto bisognosa. Nelle situazioni di cronicità, invece, quando si promuove l’empowerment del paziente, tra le due parti si dovrebbe attivare un terzo sistema (quello cooperativo). Il sistema cooperativo “Unisciti a qualcuno se questo può favorire la possibilità di raggiungere un obiettivo importante o non rischi di perdere le tue risorse primarie!” Obiettivo del sistema: Raggiungere un obiettivo comune e condiviso. Valore biologico: talvolta la collaborazione tra conspecifici permette una efficienza superiore rispetto all’impegno scoordinato dei singoli. È attivato da: Percezione di un obiettivo comune; Segnali di non minaccia agonistica (sorriso). È disattivato da: Euforia o rilassamento per il conseguimento dell’obiettivo; Attivazione di altri sistemi motivazionali (es agonistico). Cambia nella sua concettualizzazione perché il paziente è l’esperto della sua malattia, l’operatore è l’esperto della malattia e i due si uniscono per il raggiungimento di un obiettivo comune, che non potrebbe essere raggiunto altrettanto bene se si lavorasse in parallelo. Si collabora, si mettono insieme le risorse, le esperienze e lo studio della malattia, per il paziente, per il raggiungimento dell’obiettivo comune che è il suo benessere. In questa dimensione il paziente è più attivo e quindi deve essere anche nella condizione di poter collaborare e agire in modo maggiormente attivo (→ in alcune fasi della malattia, il paziente è legittimamente più regredito, nelle fasi acute si affida di più all’altro). 39 24/11/2021 Psicologia clinica Lezione 4 Il sistema antagonista “Difenditi, lotta, aggredisci o fuggi dalla minaccia di pericolo che hai davanti! Proteggi le tue risorse in quanto limitate!” Obiettivo del sistema: definire il rango di dominanza e sottomissione, proteggere le proprie risorse. Valore biologico: in un gruppo con ranghi sociali definiti e mantenuti nel tempo i litigi e le lotte sono meno frequenti, l’efficienza generale del gruppo è superiore e quindi la sua sopravvivenza. È attivato da: Percezione che una risorsa sia limitata; Segnali mimici di sfida provenienti da un conspecifico (o interpretati come tali). È disattivato da: Segnali di resa e sottomissione da parte dell’antagonista; Attivazione di un altro sistema motivazionale (ad esempio trasformazione dell’agonismo in cooperazione o accudimento). È capitato a volte, anche di fronte a chi ci chiedeva aiuto, di provare un po' di fastidio, indisponibilità, il desiderio di sottrarsi, un senso di incapacità, di inadeguatezza. In questo caso la richiesta dell’altro non è più percepita come accoglibile, non induce più in noi quel senso di accudimento e di cooperazione, bensì ci fa sentire minacciati. La richiesta dell’altro per una qualche ragione, da noi è percepita come una minaccia. Ogni volta che noi ci sentiremo minacciati dal paziente automaticamente si attiverà in noi il sistema antagonista che ci predispone all’attacco o alla fuga, non all’incontro, perché devo difendermi, attaccando o scappando. Lo scopo è difendermi, proteggere le mie risorse che percepisco limitate e non posso condividere con il paziente o con l’altro. Il paziente ci può far sentire minacciati quando, ad esempio, siamo a fine turno, dove la minaccia è rivolta al mio tempo, alla mia stanchezza; prolungando il turno per una richiesta del paziente si rischia di commettere un errore per disattenzione, di trascurare la famiglia, di non avere il tempo per riposare. Anche le esperienze personali, traumatiche e dolorose, possono rappresentare una minaccia nel momento in cui il paziente tocca un ricordo o un nucleo problematico: in questo caso probabilmente all’inizio faremo fatica a ricondurre il nostro fastidio ad un perché, ma se poi ci prendiamo il tempo della riflessione, ci rendiamo conto che quella persona è riuscita a colpire un nostro punto debole, come ad esempio un sentimento di inadeguatezza agli inizi di un’esperienza (se viene messo in discussione quello che sto proponendo, mi sento un po' minacciato e quindi entro in una dinamica di protezione). Un’ulteriore dimensione in cui possiamo sentirci minacciati è quella delle emozioni: quando il paziente prova rabbia, ci sentiamo minacciati; una madre che prova disperazione per il figlio ci fa sentire minacciati, perché è qualcosa di grande da affrontare e che ci fa venire voglia di scappare. Possibile domanda d’esame: In tutti questi casi, è sbagliato che si attivi il sistema antagonista nella relazione? NO, è innato, è normale, si attiva perché è stato selezionato a livello evolutivo, mi serve. Ciò che è sbagliato è non spegnerlo: se sono in un luogo di cura che impone una responsabilità, devo spegnere questo sistema e attivare quello corretto rispetto alla relazione terapeutica, che è, o il sistema di accudimento o il sistema cooperativo. Alla base di tutti gli incidenti clinici dal punto di vista comunicativo relazionale, c’è sempre il sistema antagonista che si è attivato e non è stato disattivato. 40 24/11/2021 Psicologia clinica Lezione 4 Il sistema sessuale “Cerca un compagno per unirti con esso, se funziona mantieni nel tempo questo legame!” Obiettivo del sistema: raggiungimento del piacere sessuale. Valore biologico: assicura la prosecuzione della specie. È attivato da: 1. Livelli periodicamente variabili di ormoni; 2. Segnali comportamentali (provenienti da un conspecifico); 3. Stimolazioni sensoriali (fotografie, profumi etc). È disattivato da: Raggiungimento dell’orgasmo; Attivazione di altri sistemi motivazionali in forme incompatibili con la sessualità Questo sistema può però intervenire a livello relazionale, non nel sedurre per l’accoppiamento, ma nel sedurre per raggiungere uno scopo. Nell’attivazione di questo sistema fanno parte tutti quei comportamenti un po' adulatori, seduttivi, manipolatori, in cui si chiede di fare una cosa, ma non in modo esplicito, lo si chiede a quella persona intendendola come la migliore di tutti quanti. Un atteggiamento viscido, ambiguo, doppio, che seduce e quindi, nel breve termine ci si sente gratificati, ma nel lungo termine non costruisce una reale dimensione di fiducia reciproca. Per chiudere il tema della gestione dell’emotività e della relazione con il paziente, riconoscere il sistema motivazionale che mi guida nell’interazione e riconoscere la sua appropriatezza al contesto, è il primo passo per gestire meglio e per offrire poi la più corretta risposta al paziente. (Ricordando la lezione precedente in cui si parlava del silenzio e di quattro passi prima di rispondere: nei quattro passi c’è il riconoscimento del sistema di emozione e del sistema motivazionale che è attivo). Questa teorizzazione è molto utile per riuscire subito e con facilità, a ricollocarsi nella dimensione più corretta. L’ incidente comunicativo relazionale è legato all’attivazione di un sistema motivazionale non funzionale al contesto, da cui ne consegue che la soluzione a tale incidente deriva dalla capacità di ricollocarsi in un sistema motivazionale adeguato. Dunque, i sistemi motivazionali che dovrebbero essere attivi nella relazione con il paziente sono quello di accudimento e cooperativo dall’operatore verso il paziente, mentre quello di attaccamento e quello cooperativo dal paziente verso l’operatore. 41 24/11/2021 Psicologia clinica Lezione 4 STRATEGIE DI COPING E MECCANISMI DI DIFESA Quando in noi è attivo un sistema motivazionale antagonista, può essere che ci poniamo in una dimensione di difesa. Coping Il coping lo si definisce come “l’insieme degli sforzi comportamentali e cognitivi, volti alla gestione di specifiche richieste esterne e/o interne, valutate come situazioni che mettono alla prova o che in ogni caso eccedono le risorse di una persona” (Lazarus e Folkman, 1984). Tra le strategie di coping possiamo avere delle strategie che sono più o meno funzionali all’adattamento del soggetto. Alcune strategie si sono evolute sulla base delle esperienze che abbiamo avuto nella nostra vita, quello che c’è stato insegnato dalla vita e dalle figure che avevamo intorno. Una persona che ha un buon equilibrio è una persona che predispone di un numero abbastanza ampio di strategie di coping in modo tale che abbia la possibilità, a seconda delle varie situazioni, di gestire in modo differenziale lo stress che gli viene imposto; se invece si hanno solo due o tre strategie, che vengono applicate in tutti i contesti, verosimilmente è come se si avessero meno strumenti e risorse da giocare per proteggersi dallo stress derivante da queste situazioni. La gravosità dei compiti di adattamento varia con la presenza di fattori di rischio e con la presenza di fattori che mediano gli effetti dei fattori di rischio sull’adattamento finale, aumentandone o riducendone l’impatto. Le strategie possono essere più o meno efficaci e quindi l’adattamento finale in termini di salute fisica e mentale e di funzionamento sociale, sarà più o meno soddisfacente. Le strategie di coping possono avere una funzione autoregolativa delle emozioni o della situazione problematica, vediamo tre raggruppamenti: Focalizzazione sul problema (problem focused): comprende strategie ed azioni il cui scopo è ridurre l’impatto negativo della situazione tramite un cambiamento della situazione stessa (piano d’azione, comportamento); si intendono delle strategie messe in atto principalmente allo scopo di fronteggiare un problema. Ad esempio, ho fatto un errore nella somministrazione della terapia, quindi sfrutto la capacità di problem solving e mi concentro nello stabilire cosa deve essere fatto per gestire al meglio l’errore. Focalizzazione sull’emozione (emotion focused): le strategie messe in atto sono tese alla modificazione dell’esperienza soggettiva spiacevole e delle emozioni negative che la accompagnano (come valuto il problema). Esempio: a fronte dell’errore che ho fatto nella terapia mi confronto con i colleghi o una persona fidata e mi sfogo rispetto a quello che sento. Il focus è sul gestire l’emozione derivante dal problema. Focalizzazione sull’evitamento (avoidance focused): le strategie messe in atto mirano a ignorare il problema/evento stressante o le emozioni che ne derivano. In questo caso è più probabile che ci siano delle condotte disfunzionali, disadattive, che se attuate possono portare ad un cattivo adattamento del soggetto. Riprendendo l’esempio, ho commesso un errore somministrando la terapia sbagliata, è stato posto un rimedio allo sbaglio, da quel momento in poi non mi fermo mai, non mi concedo mai il tempo per chiedermi il perché dell’avvenimento, cosa posso fare per evitare che riaccada, cosa posso imparare da questo errore e come mi sento rispetto a quanto è successo → invece di fermarmi, evito di pensarci, mi fa stare troppo male. In questo evitamento, che nel breve termine è molto gratificante perché toglie la preoccupazione e il malessere, la persona perde un’occasione di crescita e di rielaborazione di emozioni che derivano da questa esperienza; quindi, quello che accade è che, non rielaborando questo evento, quest’ultimo continua a crescere in termini negativi. Per questo motivo evitare il problema è una strategia che non funziona. Può funzionare solo nel momento in cui dopo aver pensato tutto il giorno sull’accaduto, a fine giornata decido di non pensarci più, in questo caso l’evitamento è corretto perché protegge dal rimuginio. 42 24/11/2021 Psicologia clinica Lezione 4 Alcuni esempi di strategie di coping (adattive e non): - Coping confrontazionale: include atteggiamenti combattivi (per far fronte e per avere una maggior padronanza della situazione, è una dimensione adattiva) o apertamente ostili (per avere a tutti i costi il controllo della situazione, in questo caso la componente d’utilità viene meno, diventando disfunzionale) volti a fronteggiare in maniera direttiva la situazione stressante. Tramite questa strategia l’individuo da soggetto passivo che subisce una situazione, diventa soggetto attivo che la fronteggia e converte un senso di vulnerabilità e impotenza in un’esperienza di maggior controllo e padronanza. - Autocontrollo: corrisponde allo scegliere consapevolmente di sopprimere sentimenti o pensieri che se espressi potrebbero rivelarsi inopportuni o controproducenti. Può essere utile per raccogliere la lucidità necessaria a fronteggiare le conseguenze dell’errore. - Ricerca di sostegno sociale: la richiesta di aiuto riguarda sia il bisogno di supporto emotivo che pratico. Il supporto e la fiducia altrui a seguito di un errore sono essenziali nel sostenere il senso di autoefficacia e l’autostima. Inoltre, poter parlare con qualcuno ha un effetto di per sé “catartico” e aiuta a contenere vissuti emotivi intensi o percepiti come inaccettabili. Può essere ritenuta una strategia adattiva, per cercare supporto tra pari, ma può diventare disfunzionale quando si arriva alla ossessiva ricerca di approvazione. - Strategie di problem solving: poter valutare in maniera accurata il problema a monte dell’errore e ragionare sulle diverse possibilità di soluzione al fine di elaborare strategie efficaci di intervento è ovviamente fondamentale nella gestione dell’errore stesso e si rivela un mezzo indispensabile per minimizzarne le conseguenze. - Fuga/evitamento: volontà di accantonare il pensiero relativo all’errore, interrompendo la rimuginazione che accompagna la presa di coscienza, può aiutare a dominare il senso di disorientamento e il panico che comporta l’assumersi la responsabilità dei propri errori, se protratto nel tempo ostacola la rielaborazione. - Positive appraisal: il ricorso alla fede in una istanza superiore (non esclusivamente di carattere mistico/religioso) che ci guida e ci perdona per i nostri errori può essere d’aiuto per sostenere il senso di autoefficacia e ricevere il necessario supporto emotivo. Cerco di attribuire un significato, una valenza evolutiva, alla situazione in cui mi sto trovando. Questa è una strategia molto potente, perché in qualche modo dà un senso e un significato a quello che mi sta accadendo. Meccanismi di difesa I meccanismi di difesa possono essere ritenuti delle strategie di coping per affrontare un’ansia legata al dover gestire una situazione di conflittualità interna. L’ansia è dovuta ad un evento che ci accade o una nostra paura legata all’incapacità nel dover gestire questo evento. Quindi si mettono in atto i meccanismi di difesa per mantenere una sorta di equilibrio intrapsichico, regolano l’autostima e modulano l’angoscia. Ora vedremo i diversi meccanismi di difesa e come questi meccanismi si attivano nel paziente e nell’operatore. Difese di acting out Difese che si orientano verso una azione, quindi al centro di questo meccanismo il soggetto, per non stare nelle emozioni in cui si trova, agisce. Acting out → reazione ad una frustrazione direttamente con un’azione, senza lasciare il tempo per il pensiero. Aggressività passiva → meccanismo attraverso il quale un soggetto, esercita una forma di aggressività celata, che non si esprime con un atteggiamento di aperto contrasto, bensì con comportamenti che producono un danno indiretto (non collaborazione, riluttanza nell'eseguire le richieste altrui, scarsa disponibilità ecc) Esempio: un medico sottoposto ad uno stress eccessivo o ad aspettative irrealistiche da parte di pazienti o colleghi, il quale invece di verbalizzare o affrontare questo disagio in modo aperto e assertivo, mette in atto (anche inconsapevolmente) degli atteggiamenti celatamente ostili o non collaborativi; ad esempio, essere sistematicamente in ritardo, non fornire indicazioni chiare a pazienti o colleghi, utilizzare terminologie complesse o troppo tecniche, ecc… 43 24/11/2021 Psicologia clinica Lezione 4 L’aggressività passiva si caratterizza per essere un’azione aggressiva, ma non in modo esplicito; non esprimo il mio disappunto in relazione a quello che l’altra persona sta dicendo, però agisco in opposizione a questa. È uno dei meccanismi più subdoli perché la persona si sente attaccata ma non ha una vera fonte a cui attribuire questo attacco (è come ricevere uno schiaffo ma non capire da che parte è arrivato, quindi il soggetto non ha neanche la possibilità di arrabbiarsi). Nell’esempio sopra il medico potrebbe sentirsi messo in discussione da un paziente che fa un sacco di domande o che crede di conoscere la cura per la sua patologia, svalutando il metodo dell’ospedale; verosimilmente, nel medico o nell’operatore sanitario si attiverà una reazione di fastidio, rabbia, indignazione e smarrimento. L’aggressività passiva potrà essere espressa dal medico esplicando tutte le teorie esistenti rispetto a quella malattia, mostrando le sue capacità in materia, avvalendosi anche di termini tecnici e scientifici. In questo caso il medico spiega la malattia e apparentemente non vi è aggressività, ma l’aggressività sta nell’illustrare la patologia in un modo che non potrà mai essere compreso dal paziente; il medico ha chiuso il dialogo. Invece di riconoscere il problema di fiducia del paziente e risolverlo verbalizzandolo, il medico ha agito in reazione, non ha proattivamente cercato di affrontare il problema, ha semplicemente reagito in modo aggressivo ma non esplicito. Difese di dinego Negazione → il soggetto nega l’esistenza in lui di una certa emozione o stato d’animo, quando in realtà tale emozione è presente. Il soggetto può arrivare a negare anche il fatto che si sia verificato un certo evento. Consiste nel negare una componente di grande sofferenza per il soggetto. Molto spesso, l’incapacità di affrontare un contenuto fortemente emotivo, può innescare