Document Details

EnergeticNickel

Uploaded by EnergeticNickel

Università degli Studi di Palermo

Giuseppe Maniaci

Tags

psicologia clinica neuroscienze sviluppo cerebrale psicologia

Summary

These lecture notes cover topics in clinical psychology, including interpersonal neurobiology, the difference between the brain and mind, neurology and clinical psychology, epigenetics, and brain development. The notes discuss how experiences, particularly emotional relationships, shape the brain and mind. They also examine the interplay between genetics and the environment in shaping mental health.

Full Transcript

1.1 Psicologia Clinica 24/09/2024 Professore: Giuseppe Maniaci Sbobinatore: Chiara Di liberto Controsbobinatore: Alice Arini INDICE 1. LA NEUROBIOLOGIA INTERPERSONALE……………………………………………….pag 1 2. DIFFERENZA TRA CERVELLO E MENTE…………………...

1.1 Psicologia Clinica 24/09/2024 Professore: Giuseppe Maniaci Sbobinatore: Chiara Di liberto Controsbobinatore: Alice Arini INDICE 1. LA NEUROBIOLOGIA INTERPERSONALE……………………………………………….pag 1 2. DIFFERENZA TRA CERVELLO E MENTE………………………………………………..pag 1 3. NEUROLOGIA E PSICOLOGIA CLINICA………………………………………………...pag 2 4. L’EPIGENETICA………………………………………………………………………………pag 3 5. LO SVILUPPO DEL CERVELLO……………………………………………………………pag 3 1. LA NEUROBIOLOGIA INTERPERSONALE La neurobiologia interpersonale dello sviluppo permette di capire che la struttura e le funzioni della mente e del cervello sono modellate dalle esperienze, specialmente quelle che coinvolgono le relazioni emotive. Troppo spesso, infatti, c’è una dicotomia tra quello che è mentale e quello che è corporeo, ovvero aspetti psicologici, e quindi astratti, e aspetti più di tipo biologico, quindi quantificabili. Questa dicotomia va superata perché ogni processo mentale è legato a un processo biologico e ogni processo biologico influenza marcatamente i processi mentali e la neurobiologia interpersonale permette un approccio che vada a convogliare un aspetto psicologico ad un approccio biologico. Il nostro cervello si modifica con l’esperienza grazie a quella che è nota come plasticità neurale. Infatti, la rievocazione sarà mediata da quello che si è diventati e quello che si apprende aiuterà a comprendere meglio. Con la rievocazione mnestica si attiverà il cervello con scambio sinaptico, quindi non si può differenziare il pensiero con attivazione neurale. 2. DIFFERENZA TRA CERVELLO E MENTE - - Il cervello è un organo ed è uguale per tutti, mentre la mente rappresenta l’individualizzazione del cervello rispetto alla singola storia evolutiva e all’esperienza. Difatti nella rievocazione si attiveranno le stesse aree cerebrali, ma il contenuto mnestico sarà differente in base all’esperienza. - La mente viene divisa in conscio, inconscio e subconscio. Ci sono aspetti dell’inconscio legati ad automatismi e altri più legati all’inconscio rimosso, quei contenuti della vita inaccettabili, dolorosi, i quali vengono rimossi dall’incoscio e poi rievocati sotto forma di sintomi, lapsus, sogni o possono ritornare sotto forma di ecmesia, ovvero una brusca ricomparsa di un evento traumatico vissuto. 1 3. NEUROLOGIA E PSICOLOGIA CLINICA Neurologia e psicologia sono più vicine di quel che sembra. La psicologia è una scienza molto giovane che si va a situare in mezzo alla medicina e alla filosofia; ci saranno aspetti della psicologia più vicini all’ambito medico e altri più vicini a quello filosofico. Queste tre scienze, ormai ritenute molto vicine, sono abbracciate a loro volta da un’altra scienza: le neuroscienze. Esse comprendono medicina, psicologia, psichiatria, farmacologia ecc.. - Freud era = un neurologo e sviluppò la psicanalisi. Ai suoi tempi non c’erano trattamenti per i disturbi mentali efficaci ed egli utilizzò per curare disturbi mentali l’ipnosi. Nessuno prima di lui aveva pensato che tramite la parola si potessero curare i disturbi psichici. In età vittoriana, i desideri sessuali non venivano vissuti liberamente, soprattutto per le donne, e ciò comportava isteria e sintomi invalidanti come cecità e paralisi e Freud si accorse che queste donne nel momento in cui venivano lasciate libere di parlare riducevano i sintomi isterici. Lac parola, quindi, divenne importante per ridurre sintomatologie invalidanti del corpo. Questa terapia psicologica prenderà il nome di psicoanalisi. La psicologia clinica, di età abbastanza recente, nacque partendo dalla neurologia prendendo spunto da elementi in comune da essa. (Freud, inoltre, non era riuscito a lavorare sulla base biologica di questi disturbi perché non vi erano ancora gli strumenti giusti, oggi invece è diverso) N.B A fine 800 furono scoperte le sinapsi 2 4. L’EPIGENETICA - La depressione (patologia psichiatrica più frequente al mondo) è caratterizzata da una alterazione di alcuni neurotrasmettitori: noradrenalina, serotonina, dopamina. In alcuni casi vi è predisposizione genetica, in altri no. Anche se c’è predisposizione non vuol dire che si sviluppi il disturbo perché deve essere presente un ambiente facilitante che attiva i geni. I geni possono rimanere silenti senza attivarsi mai. L’epigenetica è la scienza che si occupa di studiare l’interazione tra i geni e l’ambiente ovvero si può avere una predisposizione per un disturbo: ad es. figlio di depressi (genetica) ha una maggiore probabilità di sviluppare il disturbo MA l’aumento del rischio è causato da un ambiente facilitante. È difficile differenziare il bagaglio genetico dall'ambiente essendo correlati es. bambino figlio di depresso che vive con il padre depresso. Come si capisce se il disturbo è causato dalla genetica o dal modello educativo con cui è cresciuto? È complicato. Inoltre le modifiche epigenetiche vengono poi trasmesse alle generazioni successive. Un’altro esempio di patologia psichiatrica è la schizofrenia, dove alcuni studi hanno evidenziato che: solo nel 50% dei casi due gemelli (con bagaglio genetico identico) cresciuti in ambienti diversi sviluppano entrambi il disturbo 5. LO SVILUPPO DEL CERVELLO Lo sviluppo del cervello non avviene allo stesso modo nel corso della vita: alcune aree maturano prima, altre dopo. Nei primi due anni vi è uno sviluppo estremamente veloce e avanzato. Le parti subcorticali maturano prima (sistema limbico, il tronco encefalico) In adolescenza le parti sono già abbondantemente formate ovvero sistema limbico e aree subcorticali (il sistema limbico è deputato al controllo delle emozioni, memoria…), ma non completamente,infatti il controllo inibitorio e la valutazione conseguenza delle azioni vengono meno. La corteccia prefrontale maturerà successivamente. Bisogna attendere i 25/30 anni per una completa maturazione corticale. Nelle donne avviene prima. (nell’immagine: le zone blu e viola indicano le parti del cervello già mature mentre quelle quelle gialli, verdi e rosse sono quelle parti ancora immature) 3 PSICOLOGIA 1.2 24/09/2024 Professore: Maniaci Giuseppe Sbobinatore: Santalucia Domenico Controsbobinatore: Buglino Andrea Aurora INDICE 1. La corteccia prefrontale………………………………………………………pag. 1 2. Le sostanze d’abuso e la corteccia prefrontale……………………………….pag. 1 3. Il gaming……………………………………………………………………...pag. 1 4. Lo sviluppo del cervello………………………………………………………pag. 2 4.1. Limbic system/mammal brain……………………………………………..pag.2 4.2. Neocortex/human brain……………………………………………………pag. 2 1. LA CORTECCIA PREFRONTALE Leggere aiuta a stimolare la nostra corteccia prefrontale? Assolutamente si, anche prima dei 10-12 anni, perché tutto ciò che si fa da piccoli, come, per esempio, giocare con le costruzioni, comincia a vedere che mettendo il pezzo in quel modo, quello si sgancia. Il genitore che spiega bene questa azione non fa altro che stimolare la corteccia prefrontale, valutando le conseguenze di quell’azione. Se si mette il pezzo di costruzione in quel modo cade, quindi si modula il comportamento successivo sulla base delle conseguenze prodotte in quel momento. Tutto quello che facciamo può aiutare a stimolare la corteccia prefrontale. Uno dei grossi problemi che oggi aumenta sempre di più nella società è quello dello SQUILIBRIO DEGLI IMPULSI. Quante volte capita di leggere di ragazzi che cominciano a fare a pugni e l’altro finisce in coma, o per minimi insulti avvengono delle reazioni spropositate? La corteccia prefrontale, se non viene stimolata bene nel corso del NEUROSVILUPPO non ci aiuterà quando serve, e più si tende a mettere in atto delle azioni che implicano una scarsa attivazione prefrontale, meno questa aiuterà quando serve. 1 2. SOSTANZE D’ABUSO E CORTECCIA PREFRONTALE Le sostanze d’abuso o alcuni comportamenti non fanno altro che danneggiare la corteccia prefrontale. Le sostanze d’abuso, così come il gioco d’azzardo, vanno ad attivare il NUCLEO ACCUMBENS e l’area VENTRO TEGMENTALE, portando anche a un’alterazione prefrontale; quindi, più precocemente vengono utilizzate delle sostanze d’abuso più le alterazioni prefrontali diventano marcate. Se si abusa di qualunque sostanza, anche la CANNABIS, in tenera età, per molto tempo in maniera molto ripetuta, questa va ad alterare il neurosviluppo e la corteccia prefrontale. Anche se si usano sostanze peggiori, come la COCAINA o il CRACK, il neurosviluppo sarà alterato da quelle sostanze e causano danni molte delle volte irreversibili. 3. GAMING I videogiochi, molto spesso, vengono sia demonizzati che santificati, spesso è difficile capire quanto tutto sia relativo; al di là dei videogiochi, i GAMERS sviluppano alcune abilità in misura maggiore rispetto ai NO GAMERS ed altre meno rispetto ai NO GAMERS. Quindi, demonizzarli no, santificarli neanche; è chiaro che è importate che se un ragazzo comincia a fare GAMING va bene se in associazione ad altre cose, ad esempio: leggere, giocare a scacchi, ecc. Giocare a scacchi è importante per la pianificazione delle azioni in quanto bisogna prevedere 3-4 mosse dell’avversario; per fare questo si deve allenare il cervello ad aspettare il momento opportuno per fare la mossa giusta memorizzando tante varianti. Quindi, se vi è una persona che legge, studia e per mezz’ora pratica gaming va benissimo, se invece farà solo gaming trascurando le altre cose non va bene. 4. LO SVILUPPO DEL CERVELLO L’ONTOGENESI ripercorre la FILOGENESI. MacLean con la sua teoria del cervello ebe CRINO TRING divide il cervello O i tre fasi dell’evoluzione rispetto alla filogenesi: S LIZARD BRAIN: 1) - il cervello rettile, caratterizzato dal tronco encefalico e cervelletto deputato alla reazione FIGHT OR FLIGHT (lotta e fuggi), rappresenta il nostro autobiota -autopilota quello che serve per reagire istantaneamente rispetto ad un pericolo. 2) LIMBIC SYSTEM/MAMMAL BRAIN: tratta le emozioni, la memoria, le abitudini ed anche - il processo DECISION MAKING. Quest’ultimo non si basa soltanto sulla valutazione cognitiva delle nostre azioni, ma anche sulla componente emotiva; infatti, le nostre decisioni non vengono mai prese soltanto sulla base del ragionamento cognitivo, ma anche in base alle emozioni e sensazioni fisiche che si hanno. 2 Le persone eccessivamente Orientate a prendere decisione utilizzando prettamente un’ottica cognitiva, risultano essere fredde e rigide nei confronti della vita. Tali condizioni spesso le ritroviamo in persone affette da disturbo ossessivo compulsivo di personalità. 3) NEOCORTEX/HUMAN BRAIN: che ha a che fare con il linguaggio, pensiero astratto, - immaginazione, la coscienza è quella che ci porta a razionalizzare a ragionare sulle cose ma anche quella che ci differenzia rispetto agli animali, che a che fare con le abilità meta- cognitive. Un animale non è in grado di riflettere sui suoi pensieri, gli esseri umani possono pensare che stiano pensando, questo ha a che fare con la neurocorteccia. Questi tre cervelli devono lavorare insieme anche se la loro evoluzione è diversa , quindi il lento sviluppo della corteccia celebrale massimizza l’influenza dell’esperienza sulla struttura e il funzionamento del cervello , questo ha sia aspetti buoni che cattivi : la cosa positiva che il singolo cervello è costruito per sopravvivere in un particolare ambiente, i processi EPIGENETICI , la cultura, la lingua , il clima , la nutrizione, i genitori plasmano ognuno dei nostri cervelli nel proprio modo , il cervello è uguale per tutti noi ma l’evoluzione sarà diversa perché dipende dall’esperienza di ogni essere umano. Quello che succede nella vita e quello che succede da piccoli lascia il segno aumenta il rischio che certe cose possono succedere e altre cose possono succedere in quella direzione. 3 2.1 Psicologia Clinica 01/10/2024 Professore: Giuseppe Maniaci Sbobinatore: Giuliana Vultaggio Controsbobinatore: Marta Di Miceli INDICE 1.1 differenza tra mente e cervello; 1. 2 differenza tra attacco di panico e disturbo della personalità. 2. neurogenesi 3. burn out; 4. modulazione epigenetica; 5. schizofrenia; 1.1 DIFFERENZA MENTE-CERVELLO Parlando della differenza tra mente e cervello si vede come è impossibile separare le due cose e differenziare l’oggetto di studio. Sotto l’ambito delle neuro scienze ricadono varie discipline scientifiche, come per esempio la psicologia, la psichiatria, la neurologia, la farmacologia, la fisiologia e così via. Queste discipline si occupano tutte di studiare il nostro cervello, come si sviluppa, quali stimoli sono utili per la sua crescita, che tipo di funzionamento ha. Se un biologo molecolare o un farmacologo si occuperanno di studiare il cervello, lo faranno da un punto di vista diverso rispetto ad uno psichiatra o uno psicologo, ma studieranno tutti la stessa struttura. Infatti, non si può dire che indagare sul cervello dal punto di vista del funzionamento e dell’espressione comportamentale sia più o meno affascinante rispetto a studiare come funziona la singola cellula, come si connettono tra loro le cellule ecc… Studiare il modo in cui il cervello si sviluppa nel corso dell’ontogenesi e il modo in cui noi possiamo recuperare un mal funzionamento del cervello, laddove sia presente, è sicuramente una sfida affascinante per tutte le branche che si occupano di neuro scienze. È chiaro che, se si deve studiare il meccanismo di recupero del morbo di Parkinson, in questo caso il contributo che potranno dare uno psicologo o uno psichiatra sarà sicuramente estremamente ridotto rispetto a quello che possono dare nello studio di un’addiction, una depressione, il burn out, lo stress cronico, disturbi d’ansia, disturbi della personalità e altri ancora. Anche quando si parla di disturbi di personalità (ne parleremo successivamente in maniera più approfondita), quindi l’alterazione di qualcosa che di per sé non viene toccata, si parla di un'alterazione del cervello. 1.2 DIFFERENZA ATTACCO DI PANICO E DISTURBO DI PERSONALITA’ 1 Domanda del professore: Secondo voi è più semplice curare un attacco di panico o un disturbo della personalità? Un attacco di panico. - Un disturbo di personalità è pervasivo, è un’alterazione propria della personalità e di quello che si è, si tende a metterlo in atto in una serie di contesti/situazioni, è egosintonico cioè, il soggetto che ne soffre non ritiene di avere un problema ma riversa la colpa sugli altri, per questo ufficialmente esiste un trattamento. è pervasivo poiché coinvolge il funzionamento sociale, lavorativo, relazionale in cui la personalità è alterata in quella direzione e porta ad agire in quel determinato modo. Quindi, è differente “curare” un sintomo come nell’attacco di panico piuttosto che un disturbo che coinvolge l’intera personalita. Esempio: un conto è fare fatica a compiere un movimento altro è fare fatica ad alzarsi dal letto Differenza tra attacco di panico e disturbo della personalità La differenza sta nella consapevolezza di avere un problema e di dover trovare una soluzione. Chi ha un disturbo di panico va in terapia o dal medico, tradizionalmente un soggetto che ha il primo attacco di panico si reca in Pronto Soccorso perché, per definizione, l’attacco di panico comporta la percezione di stare per morire o di stare per impazzire. Di conseguenza poi si procede con una valutazione psicodiagnostica, diagnosi di panico, psicoterapia e/o farmaci. Di contro, chi ha un disturbo della personalità sente di stare bene. Chi ha un disturbo della personalità istrionico tende di attrarre su di sé le attenzioni in tutti i modi, nel momento in cui non riceve le attenzioni non penserà di essere lui il problema ma penserà che gli altri abbiano un problema nei suoi confronti, lui si sentirà sempre nella ragione. Domanda di un collega: c’entra qualcosa il bipolarismo? Risposta: No, il bipolarismo è un disturbo psichiatrico non di personalità. Il. Distubo bipolare è un disturbo caratterizzato dall’ alternanza tra episodi maniacali ed episodi depressivi. Nel caso specifico della psicoterapia, si tende a lavorare sempre sul cervello. Nel caso dello studio del cervello attraverso metodiche psicologico-cliniche non si agirà direttamente sul neurone ma si agirà sull’intero cervello. Il professore fa riferimento su un suo articolo scientifico sull’hero imaging della disforia di genere in cui si evidenzia un’attivazione neurale peculiare nelle persone trans rispetto ai cisgender (beyond the gender binary). Si è visto come, infatti, gli uomini trans che si sottopongono a cura di testosterone nel tempo “trasformano” la loro connettività cerebrale rendendola più simile a quella degli uomini e allo stesso modo accade per le donne trans. Ne momento in cui ogni disciplina si interessa del cervello lo fa da un punto di vista differente; Un biologo molecolare andrà a studiare la singola cellula, un farmacologo che svolge ricerche di preclinica andrà a somministrare delle sostanze ad un ratto in una skinner box o a creare un determinato tipo di ambiente al ratto andando poi ad esaminare i cambiamenti nel suo tessuto nervoso pre e post-intervento, facendo uno studio sul cervello umano sottoponiamo il soggetto ad una RM e si nota come si attiva il cervello se sottoposto a determinati stimoli confrontando ad esempio l’attivazione del cervello di chi ha un disturbo rispetto a chi non ce l’ha. 2 2.1 NEUROGENESI La crescita e la connettività dei neuroni è il meccanismo di base di tutto l’apprendimento e l’adattamento, l’apprendimento può essere riflesso nei cambiamenti neurali in molti modi§: -, i cambiamenti di connettività tra i neuroni esistenti (plasticità neurale). I neuroni cambiano il modo in cui sono collegati tra di loro attraverso l’esperienza. Nel momento in cui si presenta un apprendimento nuovo rispetto alle conoscenze pregresse, questo comporta sempre anche una modifica del tessuto sinaptico. -- I neuroni preesistenti, aldilà delle connessioni tra di loro, possono espandersi. Si può verificare anche la crescita di nuovi neuroni, quella che viene chiamata neurogenesi Fino a circa 20 anni fa, si pensava che il cervello fosse un organo impossibilitato a creare nuovi neuroni. In realtà oggi sappiamo che questo è falso e che esiste la così detta neuro genesi in alcune zone del cervello, come ad esempio nell’ ippocampo, nell’amigdala e nei lobi frontali e temporali. È possibile quindi la produzione di nuovi neuroni e ciò consente al cervello di recuperare molto bene le sue funzioni, anche in seguito a condizioni traumatiche. Nel caso di un trauma cranico, nel caso in cui si abbia la perdita di una funzione cerebrale a causa di un danno in quella determinata area, il cervello può recuperare in due modi: 1. Delle aree cerebrali vicariano la funzione persa, quindi un’altra area cerebrale “sana” prende la funzione dell’area danneggiata. 2. La neuro genesi, che consente di recuperare quella funzione (sempre entro certi limiti). È fondamentale poiché consente di utilizzare delle nuove cellule per potenziare quella determinata funzione. Lavorando su persone bisogna considerare tutto ciò che stanno vivendo, considerando l’esperienza emotiva, soggettiva, il livello di stress che sta sperimentando in quel momento. Imparando ad avere una visione integrata dei pazienti, si modificherà il nostro cervello consentendoci di sviluppare l’intuito clinico e di migliorare nel nostro lavoro. Varie patologie psichiatriche possono inibire la neuro genesi, un esempio può essere la depressione oppure uno stato di stress cronico. 3. BURN OUT 6 Quando si dice che una persona sta andando in burn out o è in burn out, non è soltanto un po' stanco o “mezzo esaurito”. In quel preciso momento sta provocando dei danni veramente enormi a sé stesso e può procurare anche dei danni all’altro, come ad esempio ai pazienti o ai colleghi. Chi si trova in. uno stato di burn out non lo è solo nel momento in cui sta lavorando ma è incapace di far risuonare emotivamente gli stimoli della vita. Uscendo dall’ambiente lavorativo non cambierà il 3 suo atteggiamento, è talmente sovraccaricato da quello che ha vissuto e che continua a vivere che si ritrova ad essere incapace di reagire. Questo diventa una sorta di stato simil dissociativo, per questo risulta difficile interloquire con queste persone “come parlare con un muro” poiché entrano in. uno stato dissociativo in cui risulta per loro difficile interagire con gli altri e farsi coinvolgere emotivamente, manca molto di empatia. Si pensi a quante persone in queste condizioni possano danneggiare se stesse, rientrando. in un circolo vizioso, in quanto hanno difficolta ad apprendere nuove tecniche, non riescono a gestire al meglio le situazioni, entrano in crisi per il cambiamento. Il professore racconta di una paziente infermiera che era arrivata al punto di scrivere tutte le azioni che svolgeva durante il turno poiché non era più sicura delle azioni che aveva svolto, rientrando in pensieri compulsivi (non aveva ancora sviluppato la compulsione). questa paziente era rientrata in uno stato tale di insicurezza e di burn out per il quale non era più sicura e consapevole delle azioni che compieva o no. Nel momento in cui si apprende una nuova skill, un nuovo lavoro, è più che corretto essere più cauti poiché si cerca di apprenderla al meglio. Nel momento in cui si apprende completamente, si inizia a selezionare e ad eliminare quei passaggi che possono risultare superflui, mentre vengono mantenuti soltanto quelli che vengono ritenuti utili. Nel tempo la scrematura continuerà ad andare avanti e si appunteranno sempre meno cose. Nel caso della paziente, è stata ripresa una tecnica che veniva utilizzata da neoassunta poiché si trovava in burn out ed era presente una condizione di insicurezza, non dovuta al momento o scatenata da un episodio, mentre lo stato di stress cronico porta ad un automatismo che poi si manifesta saltando alcuni passaggi che in realtà non sono stati fatti. Nella vita spesso ci si ritrova ad agire in automatico senza rifletterci troppo e si tende a mettere in atto gli stessi comportamenti, anche se dannosi per noi senza essere pienamente consapevoli delle conseguenze che stanno producendo. Si va a reiterare queste condotte senza prendere coscienza vera di ciò che è importante o no per noi. Ci sono tantissime persone che non hanno consapevolezza di ciò di cui hanno veramente bisogno e mettono in atto delle scelte assolutamente disfunzionali e patologiche convincendosi di star facendo la cosa giusta per loro. Nel caso del burn out ad un certo punto si è sovrastati da episodi vissuti nel corso del tempo (le angherie di un collega, un mancato cambio turno, la perdita di sonno, problemi familiari) talmente tanto presenti e poco bilanciati ad altri aspetti della vita che si viene sovrastati e non si ha più la forza di reagire adeguatamente, di gestire le cose in linea coni propri bisogni, senza rendersi conto di essere entrati in burn out. Il burn out, a lungo andare, aumenterà il rischio di molti altri disturbi, poiché inibisce l’apprendimento e, nel momento in cui ci si ritrova a crescere professionalmente, ci si ritroverà in difficoltà. Salvaguardare il proprio equilibrio mentale aiuta anche nel migliorare la performance accademica e lavorativa. 4 4. MODULAZIONE EPIGENETICA Si conosce bene come avere un bagaglio genetico di un certo tipo può aumentare il rischio di avere un disturbo ma, affinchè questo disturbo si manifesti è necessario avere un ambiente precipitante, che porta all’attivazione di. quel bagaglio genetico. Nella modulazione epigenetica vanno inserite tutte - le variabili che ci. possono influenzare: lo stato psicologico (stress, equilibrio mentale), la dieta (lo stile abituale della dieta più o meno infiammatoria, più o meno ricca di un determinato nutriente), le correlazioni stagionali/variazioni di luce, l’esposizione alle malattie (come nel periodo covid) le sostanze chimiche, le sostanze d’abuso, lo stato finanziario, l’attività fisica (praticarla regolarmente), il microbioma (i primi anni di vita se non si gestiscono bene i batteri del nostro intestino, si rischia di perdere la variabilità dei batteri), i farmaci (il consumo cronico può modulare l’espressione genica), la medicina alternativa interazioni sociali. Nel momento in cui ci si approccia ad un paziente bisogna tenere conto che tutto questo può avere un impatto. L’intestino è pieno di recettori della serotonina, infatti si parla dell’ intestino come il nostro secondo cervello. Cervello ed intestino si influenzano a vicenda. 5. SCHIZOFRENIA Uno studio evidenzia come in dei fratelli omozigoti, una patologia come la schizofrenia ad alta ereditarietà e con una componente genetica molto presente, ha una concordanza del 50%. 5 PSICOLOGIA CLINICA 2.2 01/10/2024 Professore: Maniaci Giuseppe Sbobinatore: Calabria Silvia Controsbobinatore: Marco Gabriele INDICE: 1. Studio sull’ambiente arricchito 12. La psicoterapia 23. Stress 3-4 1. Studio sull’ambiente arricchito Le prime ricerche sulla plasticità neurale iniziarono studiando l’impatto di diversi tipi di ambienti sullo sviluppo del cervello. In questi studi, condotti sui ratti, gli ambienti adibiti all’esperimento furono diversificati in relazione alla presenza di un ambiente quasi asettico nel primo caso, e di un ambiente arricchito da giochi ed elementi stimolanti e colorati, nel secondo. Lo studio si basò sul confronto dello sviluppo neuronale di ratti cresciuti in ambiente standard (fig. a) e ratti cresciuti in ambiente arricchito (fig. b). 1 Si è scoperto che gli animali cresciuti in ambiente arricchito avevano più neuroni, più connessioni dendritiche tra i neuroni, un maggior numero di capillari del sangue e maggiore attività mitocondriale. La plasticità neurale è la capacità del cervello di modificarsi e adattarsi in risposta a esperienze e stimoli. Nei bambini questa plasticità è particolarmente elevata, permettendo così lo sviluppo di nuove skills come la risoluzione dei problemi, la creatività, la comunicazione e promuovendo una crescita sana e armoniosa. Dunque, anche per un bambino è importante crescere in un ambiente stimolante e arricchito, ed è di fondamentale importanza saper gestire ed utilizzare un ambiente arricchito. È il genitore che relazionandosi ed accompagnando il bambino nel processo di gioco fa sì che quell’ambiente sia efficace e proficuo. La modalità di interazione che definisce quanto quella realtà possa essere trasformativa per il cervello. Un ambiente arricchito, vissuto nel giusto modo, modifica la sensibilità neurale e ciò si traduce in un cambiamento comportamentale. 2. La psicoterapia E La psicoterapia può essere considerata come un ambiente arricchito per il paziente, perché offre uno spazio sicuro e stimolante, in cui affrontare emozioni, pensieri e comportamenti, uno spazio che promuove lo sviluppo sociale, l'integrazione neurale e la complessità dell’elaborazione. Il modo in cui il cervello cambia durante la terapia dipenderà dalle reti neurali coinvolte nei sintomi e nel focus del trattamento. Vi sono alcuni aspetti chiave da cui dipende l’efficacia della psicoterapia: - -Relazione terapeutica: la connessione e il dialogo con il terapeuta creano un ambiente di fiducia, facilitando l’apertura e la vulnerabilità necessaria per il cambiamento. Un terapeuta deve entrare in empatia con il paziente, deve capire quale specifica tecnica utilizzare con il paziente, così da produrre un effetto. Anche le relazioni sociali producono un cambiamento, sia nel bene che nel male. In psicoterapia, la relazione cambia e modifica l’altro. Il terapeuta rappresenta un secondo genitore per il paziente per questo la psicoterapia è associabile ad una “seconda possibilità", un modo per cambiare anche solo minimamente le cose, le esperienze. Le dinamiche apprese nell'infanzia, come il modo in cui i genitori interagiscono, possono influenzare le relazioni future. Ad esempio, una persona può replicare comportamenti di sottomissione o dominanza basati sulle esperienze familiari. 2 DOMANDA D’ESAME: PERCHE’ LA PSICOTERAPIA È UNA SECONDA POSSIBILITÀ? Esempio di relazione tra paziente e terapeuta: Un paziente si lamenta del proprio terapeuta che si mostra distratto durante le sedute. Il paziente in questione, in totale autonomia, decide di cambiare terapeuta e cominciare un nuovo percorso, una nuova relazione. Magari un’altra persona non avrebbe preso la stessa decisione, magari avrebbe continuato il suo percorso se pur non efficiente. Ciò dipende spesso dal contesto familiare, dalle esperienze vissute in famiglia. Una persona abituata ad un certo pattern relazionale in famiglia, si abitua ad avere quel tipo di relazioni sociali. I traumi spesso sono definiti transgenerazionali per questo motivo, per esempio chi è vittima di abuso sessuale in tenera età è probabile che sviluppi in futuro o un atteggiamento da aggressore identificandosi nell’abusatore o ripetere l’esperienza scegliendo partner abusatori. - Riflessione e consapevolezza: necessari per rielaborare gli schemi del pensiero disfunzionale - Apprendimento e sviluppo di abilità nella gestione dello stress, miglioramento della capacità di comunicazione - Espressione creativa: tecniche come arte, scrittura, meditazione che possono arricchire l’esperienza terapeutica. - Sostegno alla resilienza per affrontare le sfide della vita e favorire la crescita personale. 3. Stress O Lo stress è una risposta psicologica e fisiologica a situazioni percepite come sopraffacenti o minacciose, ed è necessario che sia presente in modo lieve/moderato per crescere in maniera adeguata. Uno stress da lieve a moderato (MMS) attiva gli ormoni della crescita neurale che supportano il nuovo apprendimento. Anche durante lo studio, è normale percepire lo stress rispetto all’abilità di imparare cose nuove. Allo stesso modo, l’ansia ad una dose congruente all’esperienza, permette di prevenire gli errori o futuri pericoli; diventa patologica quando si ha un livello d’ansia esagerato o quando si verifica in un momento inopportuno; infatti affrontare la vita senza mai provare ansia potrebbe portare a una mancanza di produttività, o aumentare il rischio di errore. La variabilità dell’espressione dell’ansia ovviamente cambia da persona a persona e soprattutto in base alle esperienze; più un’azione è ripetuta nel tempo, maggiore è l’esposizione allo stimolo che provoca ansia, più il circuito neuronale dell’ansia si desensibilizza. Domanda collega: Quali sono le ragioni dell’aumento sproporzionato dei disturbi di ansia e degli attacchi di panico, nel corso degli ultimi decenni? Risposta: In realtà sono varie le ragioni. Vi è sicuramente una maggiore accuratezza di diagnosi di questi disturbi (questo vale anche per la diagnosi di depressione), ma anche le condizioni psicosociali in cui viviamo giornalmente; lo stile di vita che si conduce è fortemente orientato al disequilibrio mentale. Nella società in cui viviamo si parla spesso di resilienza, ma sempre meno spesso siamo posti nelle condizioni di esserlo veramente. L’uomo oggi è costantemente orientato a gestire tanti stimoli contemporaneamente pur vivendo in una precarietà enorme su tutti i fronti, questo non fa altro che perturbare l’equilibrio mentale di ogni essere umano. 3 La possibilità di sviluppare o meno un disturbo d’ansia patologico dipende proprio dal tipo di reazione di ciascuna persona e dalla capacità di resilienza. Un individuo che cresce in un ambiente funzionalmente arricchito sarà maggiormente in grado di gestire le esperienze della vita. Altre ragioni possono essere: l’uso spropositato delle tecnologie, i ritmi frenetici della vita, il disequilibrio immunitario (connesso alla depressione), la società che pretende un iper-performance da parte dell’individuo. Come nello sviluppo iniziale, l’esposizione ripetuta allo stress (lieve/moderato) nel contesto interpersonale di supporto della psicoterapia si traduce nella capacità di tollerare livelli crescenti di eccitazione, diventando così fondamentale. Questo processo stimola il sistema nervoso verso un nuovo apprendimento. Un buon percorso di psicoterapia non sarà fatto solo di esperienze positive, di dialogo e felicità ma anche da esperienze negative, da lacrime e scontri; ed è fondamentale che ciò avvenga perché il terapeuta svolgendo lo stesso ruolo di un genitore, deve necessariamente correggere in modo duro ma efficace il paziente scolpendo così strutture neurali pertinenti necessarie per la regolazione emotiva. Il processo della psicoterapia riflette la costruzione e l’integrazione dei circuiti corticali e la loro crescente capacità di inibire e regolare l’attivazione sottocorticale, per avere un vero cambiamento è necessario creare una esperienza emozionale correttiva. La singola consapevolezza cognitiva non basta per cambiare. La privazione precoce (mancanza di cure e di supporto emotivo) e lo stress cronico, aumentano la probabilità di danni al cervello e l’utilizzo prolungato delle difese primitive. Le difese primitive sono meccanismi di difesa che vengono utilizzati inconsapevolmente per poter affrontare la vita in modo più sereno, e possono essere più o meno maturi; per esempio, la dissociazione, la rimozione dei contenuti inaccettabili dalla coscienza, sono meccanismi di difesa. Durante i primi anni, si hanno ripetute esperienze di passaggi da stati confortevoli e regolamentati a stati di disregolazione. I bambini spesso diventano spaventati, freddi, bagnati, affamati e mostrano dispiacere tramite espressioni facciali, posture corporee, vocalizzazioni e pianto. In presenza di genitori abbastanza “buoni”, i segnali vengono captati, tradotti e curati, la fonte del dispiacere viene diagnosticato (spesso per tentativi) e si torna in uno stato di equilibrio e regolazione, sviluppando un senso di fiducia nell’altro. Attraverso queste continue esperienze temporali - emotive, si forma un attaccamento sicuro verso i caregivers, figure che effettivamente si prendono cura del bambino. Riflessione colleghi/prof sulla responsabilità genitoriale: Il ruolo dei genitori è fondamentale per la crescita di un bambino. Oggi si assiste sempre più ad una mancanza di responsabilità genitoriale sia come guida ed esempio per il bambino, sia come figura prettamente responsabile nei confronti del bimbo. È più semplice gestire un figlio sfruttando la tecnologia, piuttosto che essere un compagno di giochi ed un esempio da seguire nei comportamenti e nelle azioni, prepararlo all’apprendimento di nuove skill, alla competizione sana. Costruire un ambiente arricchito per un bambino consiste proprio nel permettere al piccolo di fare nuove esperienze sia positive che negative. È importante raccontare ad un bambino anche le cose brutte che accadono, raccontare delle guerre, affrontare il tema della morte, spiegando in maniera adeguata in relazione all’età. Oggi si tende a far crescere i bambini in un ambiente molto “ovattato”, senza punizioni; una delle esperienze di base del sé è quella di “essere fermati”, i bambini hanno bisogno di un “NO” detto nel giusto modo. È educativo rimproverare un bambino che sbaglia perché in questo modo impara le regole e i limiti; è invece disfunzionale avere aspettative spropositate sui figli trasmettendo così ansia e stress (chiedere al bambino di essere sempre iper-performante). I ragazzi di oggi non sono abituati a rispondere in modo sereno ad eventi di stress e crollano più facilmente. Un ruolo parallelo ovviamente è svolto dalla scuola. 4 3.1 PSICOLOGIA CLINICA 08/10/2024 Professore: Maniaci Giuseppe Sbobinatore: Concetta Brusca Controsbobinatore: Silvia Corrao INDICE: 1. RIEPILOGO …………………………………………………………………....pag.1 2. EFFICACIA PSICOTERAPIA ………………………………………………... pag.1 3. COSA FA UN TERAPISTA..………………………………………………….. pag.4 3.1 DIREZIONI PRIMARIE DEL FLUSSO DI INFORMAZIONI……... pag.6 3.2 DISTURBI LOBO FRONTALE………………………………………pag.6 1. RIEPILOGO La scorsa volta abbiamo parlato dei rapporti tra psicoterapia e cervello e come la psicoterapia modifica il cervello. La psicoterapia differentemente dalle tecniche farmacologiche non lavora solo su un circuito ma si lavora sempre su un’intera persona, quindi nel modo in cui si agisce per cambiare quel determinato sintomo, per modificare quel determinato aspetto di sofferenza, inevitabilmente si deve lavorare su un individuo. Una delle ragioni che gli fa amare il lavoro al prof che, da questo punto di vista, è un po’ simile anche a quello di un investigatore, nel senso che si deve comprendere se una persona ha questo sintomo che è caratterizzato da questa disfunzione. Ma cosa è successo nella vita di questa persona da portarlo a reagire in quel modo, a sviluppare quel sintomo? Cosa è successo? Quali eventi hanno portato un’alterazione dello sviluppo tale da tradursi in questo sintomo aldilà del correlato profilo logico? Per cambiare quel sintomo bisogna cambiare il punto di vista, il modo con cui la persona agisce nel contesto. 2. EFFICACIA PSICOTERAPIA Qu Cosa aiuta una psicoterapia ad essere efficace? 1. L’instaurazione di un rapporto di fiducia e di sicurezza. Sembra banale ma se non c’è un rapporto di piena fiducia e di sicurezza con il proprio terapeuta non funziona più la terapia ma qualunque tipo di trattamento è così, anche un trattamento farmacologico: si può dire al paziente di prendere la terapia farmacologica più efficace che esista ma se poi il paziente non la prende perché non si fida di quello che gli hanno detto, non avrà l’efficacia che dovrebbe avere. Si può cercare di essere bravissimi con il paziente e far sì che segua i consigli dati, ma se non si fida e non si sente sicuro nel poter esprimere il proprio punto di vista non seguirà i consigli. Ci sono ricerche che dimostrano come anche per esempio la somministrazione di antidolorifico, se il paziente viene adeguatamente informato rispetto all’efficacia che l’antidolorifico avrà, basta metà della dose per ottenere lo stesso effetto. Il dolore è una variabile, sarà capitato di incontrare pazienti che hanno dolore, il dolore è un sintomo fortemente influenzato dalla percezione soggettiva. Ci sono persone che appena hanno un minimo dolore reagiscono come se il mondo stesse finendo (tendenzialmente sono maschi) e ci sono persone che tollerano molto bene un dolore fisico e allora in un intervento psicoterapeutico per avere successo deve necessariamente stabilirsi un rapporto di fiducia, è la relazione che cambia. 2. Livelli di stress da lievi a moderati. Bisogna stressare un po’ il paziente altrimenti non funziona. Ma che vuol dire? Se come terapeuti non si fa altro che riproporre gli stessi schemi che il paziente ha e ha sempre avuto non lo si cambia; se come terapeuti il paziente ha sempre vissuto in un ambiente estremamente “ovattato”, non è mai stato guidato ad assumersi delle responsabilità e dei rischi nella vita, e se si continua con questo sistema e a farlo vivere in questo ambiente ovattato anche all’interno della seduta, della stanza di terapia, non si aiuta, si ripropone lo stesso schema disfunzionale. Allora somministrare uno stress da lieve a moderato diventa utile. Cosa vuol dire somministrare uno stress da lieve a moderato? (DOMANDA D’ESAME) Significa prendere il paziente e somministrargli le scosse? No Significa prendere il paziente e farlo soffrire ricordandogli tutti i brutti momenti della sua vita? No Significa stimolarlo ad affrontare quelle situazioni che collidono con i suoi schemi cognitivi, con il suo funzionamento. Esempio: se il paziente ha paura, se il suo funzionamento, gli schemi cognitivi lo portano a pensare “Non sono adeguato”, “Non ce la faccio” oppure “Non devo sbagliare, devo essere perfetto. Non devo sbagliare. Non devo sbagliare. Non devo sbagliare” e il paziente comincia a iperperformare e a cercare una forma di perfezionismo tale per cui qualunque suo sforzo è orientato a non commettere mai un errore che tipi di sintomi molto probabilmente potrà sviluppare? OCD, ansia o un disturbo psicosomatico (attacchi di panico). Allora a questo paziente lo si dovrà far sbagliare e vedere cosa succede e far si che questo processo di modifica degli schemi disfunzionali comporti una ri-significazione delle conseguenze delle sue azioni. Il timore di commettere un errore si accompagna, a questo ipotetico paziente, a un timore di conseguenze molto negative, per esempio se commette un errore perderà l’amore dei suoi, se commette un errore fallirà miseramente e tutti lo giudicheranno relativamente e così via, vari schemi cognitivi, vari dialoghi interni che influenzano pesantemente la vita delle persone. Se si vuole modificare questi schemi cognitivi si deve fare in modo che anche il paziente si sottoponga alle conseguenze di queste azioni e comprenda, all’interno di una relazione empatica, di una relazione terapeutica adeguata, che non ci sono conseguenze così negative. Ma non ci si riferisce solo ad un aspetto cognitivo, perché poi si dovrà spiegare questa cosa ad una persona che ha questi schemi cognitivi. Ma non è la consapevolezza cognitiva razionale che modifica il comportamento o lo schema cognitivo, deve essere un cambiamento emotivo, quella che si chiama esperienza emozionale correttiva, cioè affinché un intervento possa avere un’efficacia si deve portare un po’ di esperienza emozionale correttiva, il paziente deve essere un po’ scioccato/catturato da questo intervento e deve lasciarsi portare da noi, lasciarsi guidare da quello che diciamo. Questo è più difficile a farsi che a dirsi, nel senso che per fare questa cosa si deve essere adeguatamente formati ed essere impegnati emotivamente a fare quella cosa. Quindi bisogna stressare un po’ il paziente, bisogna accompagnarlo a fare delle cose che generano paura, ansia o alimentano quegli schemi cognitivi. Il professore racconta di alcuni pazienti che hanno paura di guidare la macchina, dopo un po’ di tempo, nel momento in cui sono pronti e la terapia è più avanti, va in macchina con loro, lo fa non solo per la fiducia ma anche per creare un’esperienza emozionale correttiva. Con altri pazienti gli è capitato di fare determinate cose insieme o di chiedere di fare delle cose specifiche proprio per portarle a creare questa sorta di dissonanza cognitiva tra quello che loro temono possa succedere e quello che realmente succederà. 3. L’attivazione dell’emozione e della cognizione. Come è stato detto, non si lavora solo sull’aspetto cognitivo o solo su quello emotivo, ma sull’intera persona. Nel momento in cui nelle nostre relazioni si è avuta la possibilità di cambiare opinione, di cambiare punto di vista su una persona, un ristorante, un tipo di cucina, un tipo di sport, qualunque cosa rispetto a quello che si pensava, è perché si è creata questa modifica sia dal punto di vista cognitivo che emotivo, cioè si è sentiti in grado di spostare il focus. Esempio: 5 persone hanno detto di provare il sushi perché è veramente buono, ma direte no perché non vi piace, poi arriva quella persona che vi convince perché evidentemente è stata in grado di poter sfruttare quella finestra che si è aperta, nel momento in cui si era più disposti a cambiare prospettiva ed essere in grado di portarvi su questa nuova esperienza, di cambiare il modo di pensare e di sentire. Poi magari il sushi vi ha fatto schifo lo stesso, però si è stati in grado di sperimentare una nuova esperienza grazie a un contenitore emotivo che vi ha portato su quella cosa nuova. 4. La co-costruzione di nuove e più adattabili narrazioni personali. Da questo punto di vista, una parte di psicologia clinica la potete studiare anche guardando inside out (film) perché è fatto bene, hanno spiegato qualcosa che normalmente non si è abituati a conoscere ed è spiegato molto bene chiaramente con delle esagerazioni del caso, però è molto bello il dialogo interno. Il dialogo interno è quello che influenza pesantemente ed è un dialogo interno soltanto parzialmente consapevole, un dialogo interno spesso automatico, veloce del quale appunto si è pesantemente guidati e non si è molto consapevoli, si è influenzati moltissimo. Nel momento in cui c’è una situazione e si ha difficoltà ad affrontare quel contesto è perché il dialogo interno dice delle cose ben precise. Modificare il dialogo interno non significa mettersi davanti allo specchio come vorrebbero alcuni tiktoker e dirsi più volte “ce la fai, ce la fai, sei forte”, non funziona così il cervello, perché nel momento in cui ci si convince cognitivamente soltanto di manovre di questo tipo, in qualche modo si sta agendo come un attore (inganniamo noi stessi). Nel migliore dei casi funzionerà mezza volta e poi comunque saranno artefatti; nel peggiore dei casi va a finire che non funziona e si rinforza lo schema disfunzionale. Per arrivare a un cambiamento di questo tipo nella connettività neurale si deve avere una nuova prospettiva, avere un’esperienza emozionale correttiva. Cosa vuol dire co-costruzione di nuove e più adattabili narrazioni personali? Vuol dire che insieme al terapeuta, si co-costruiscono delle narrazioni diverse rispetto al modo di affrontare le cose, al modo di sentirsi nel momento in cui si dicono determinate cose. A chi non è capitato di sentirsi in imbarazzo per qualcosa un po’ banale, stupido e non c’era motivo ma si è provato comunque imbarazzo? Questo è perché la narrazione personale in quel momento ha comunicato che quello che si sta vivendo non è bello, che ha fatto una cavolata, ha detto una cavolata e quindi deve sentirsi in imbarazzo, in maniera un po’ banale ma è questo che succede. Per modificare questa cosa non basta dirsi “Ok, la prossima volta la farò questa cosa senza sentirmi in imbarazzo”, per modificare veramente si deve essere sottoposti a quegli stress moderati all’interno di un rapporto di fiducia e incamerare che effettivamente si può essere diversi in quelle situazioni. Dal punto di vista delle neuroscienze, la psicoterapia può essere intesa come un tipo specifico di ambiente arricchito (enriched environment) (l’esempio dei topini nella gabbia con i giochini rispetto a quelli che crescono in una gabbia standard). La psicoterapia si configura come un tipo enriched environment dove il terapeuta può consentire al paziente di attraversare quelle esperienze di base, quegli aspetti che non sono stati ben attraversati nella vita, che hanno portato un dialogo interno disfunzionale. Questo serve a migliorare la plasticità, la crescita dei neuroni e l’integrazione delle reti neurali, fa si che quelle esperienze che si vivono siano integrate meglio nel cervello. PUÒ ESSERE DOMANDA DI ESAME. Possibili domande: 1. Come agisce la psicoterapia? 2. In che senso la psicoterapia può essere considerata un enriched environment? 3. Quali sono le variabili che portano all’efficacia di una psicoterapia? La fiducia, la costruzione di nuove narrative personali, la somministrazione di stress da lievi a moderati e così via. Serve sapere che per raggiungere meglio un paziente, per salvaguardarci dal burnout e dalla fatica inevitabile che c’è nei contesti lavorativi e dal rapporto con i colleghi che certe volte non sono idilliaci, avere questa consapevolezza e incarnare questa modalità di vivere un rapporto con l’altro o di ricordarsi del dialogo interno servirà. 3. COSA FA UN TERAPISTA… nostra ▪ Un terapeuta fornisce informazioni ai pazienti sulla loro S comprensione delle loro difficoltà sotto forma di psicoeducazione, interpretazioni o test di realtà. Cioè un terapeuta non fa altro anche che dare delle informazioni concrete, anche sul disturbo, su cosa succede, informa il paziente su quello che è il suo disturbo, la psicoeducazione è una cosa che si deve fare con il paziente, spiegare bene al paziente quello che ha serve, non è vero che lui si deve affidare e basta, perché si deve affidare se non si fida, se non si spiega bene le cose e quello che ha? C’è modo e modo di spiegare le cose. Esempio: “Salve mi chiamo Giuseppe, lei ha 3 giorni di vita” non è il modo migliore per approcciarsi a un paziente. Una buona psicoeducazione va fatta, aiuta molto il paziente ad affidarsi. ▪ Incoraggia i pazienti a impegnarsi in comportamenti, esprimere sentimenti e diventare - consapevoli degli aspetti inconsci di se stessi. Ci sono molti aspetti che il paziente mette in atto in maniera inconsapevole e non se ne rende conto, e allora può farlo rendersi conto di queste sue modalità diventi importante per cominciare a lavorare per non metterlo più in atto. Va fatto in maniera graduale, anzi secondo la specifica fase della psicoterapia, non si può nelle prime sedute già dire, anche se ci si rende conto di quello che fa il paziente, delle sue modalità disfunzionali, non si può subito rendere consapevole di tutto perché chiaramente non capirebbe, si sentirebbe nel migliore dei casi un po’ criticato, attaccato. ▪ Li - sfida a correre rischi. Come si diceva poco fa sullo stress da lieve a moderato. ▪ Li guida avanti e indietro tra pensieri e sentimenti, cercando di aiutarli a stabilire nuove connessioni tra i due. Sviluppo di connessioni tra il pensiero e l’emozione. ▪ Aiuta i pazienti a modificare la loro descrizione di se stessi e del mondo, incorporando una nuova consapevolezza e incoraggiando un migliore processo decisionale. Lavora molto sul decision making. Ci sono varie situazioni in cui una persona, un paziente ha necessità di imparare a prendere decisioni, non perché non sia in grado di farlo ma perché il modo in cui prende decisioni nella sua vita lo conduce molto frequentemente a delle condizioni negative. Per esempio. rendersi conto che il suo modo di agire all’interno dell’ambiente di lavoro porta i suoi colleghi a pensare che lui non voglia passare tempo con loro e lui magari pensa che sono loro che non vogliono passare tempo con lui. Rendersi conto di questa cosa e di cosa concretamente fa per attivare negli altri questo tipo di pensiero, è importante per modificarlo, per cambiarlo in maniera adattiva. ▪ Con il successo del trattamento, i metodi utilizzati vengono interiorizzati in modo che i clienti possano ottenere l’indipendenza. Il paziente deve essere indipendente dal terapeuta. La psicoterapia non deve creare dipendenza, non è qualcuno che deve dire sempre cosa fare, ma deve stimolare l’indipendenza, il paziente poi deve essere libero di camminare con le sue gambe e prendere decisioni in maniera consapevole. Quindi l’obiettivo è quello dell’integrazione delle funzioni, cioè far sì che quelle decisioni o quel comportamento venga messo in atto dal paziente in maniera integrata (aspetto cognitivo e aspetto emotivo). 3.1 DIREZIONI PRIMARIE DEL FLUSSO DI INFORMAZIONI Le direzioni primarie del flusso di informazioni rilevanti per la psicoterapia sono sia top-down che da sinistra a destra. Si lavora sempre per una migliore integrazione tra le informazioni scambiate tra l’emisfero sinistro e l’emisfero destro e tra la corteccia e il sistema limbico. Ci deve essere un buon funzionamento, una buona integrazione tra questi aspetti, altrimenti non solo la psicoterapia non funziona ma il sintomo poi ritorna. 3.2 DISTURBI LOBO FRONTALE Per esempio, disturbi del lobo frontale spesso provocano una disinibizione di impulsi e movimenti normalmente sotto il suo controllo, tra cui il DOC e il disturbo deficit di attenzione, ma della corteccia prefrontale si sa moltissimo e si sa come sia alterata in diverse condizioni psicopatologiche, basta pensare a tutte le patologie di addiction per esempio. - A che cosa è deputata la corteccia prefrontale? Alla capacità di comprendere che cosa ne consegue delle proprie azioni, oltre appunto all’astrazione, funzioni cognitive superiori. Quindi il lavoro su questa parte del cervello diventa fondamentale per arrivare a una modifica della percezione del mondo, se non si lavora sull’aumentare la consapevolezza delle conseguenze delle azioni, banalmente tornerà a ripetere sempre gli stessi errori e non si cambierà mai. Sarà capitato durante il tirocinio di fare qualche errore, come hanno reagito le persone intorno? Hanno fatto notare perché si ha sbagliato e in cosa si ha sbagliato. È esattamente questo, cioè hanno lavorato contemporaneamente sulla parte corticale e corteccia prefrontale aiutando a valutare le conseguenze delle azioni, ma per farlo hanno lavorato sull’amigdala, sul sistema limbico e su quella parte emotiva che invece portava a provare quello stato di paura, di disagio, di non voler commettere nuovamente quell’errore, quindi in qualche modo hanno confortato quella parte del cervello e hanno attivato di più invece la parte legata alle funzioni cognitive superiori, alla corteccia prefrontale. Se questa cosa ha avuto successo e poi la volta successiva si è stati in grado di fare quell’attività senza commettere quell’errore e perché il pattern neurale che hanno attivato era diverso, cioè hanno creato un cambiamento, hanno portato a memorizzare quell’esperienza come “Posso sbagliare, non è successo niente, ok, può succedere, però faccio in questo modo e cambierò il mio modo di affrontare queste situazioni”. La relazione cambia se ci fosse stato un tutor che criticava e faceva un rimprovero pazzesco, questa esperienza sarebbe vista dal cervello come ansiogena, quindi la volta successiva l’ansia sarebbe stata maggiore. È chiaro che su questo pesa anche l’esperienza passata, se si è vissuti in un contesto dove hanno detto che “se sbagli non fa niente, l’importante è che impari”, quindi se si viene da un autostima sana, da un ambiente che in famiglia e via dicendo, che ha sempre trasmesso fiducia, allora anche se il tutor è stato poco carino a gestire l’errore, magari si ha sperimentato un po’ d’ansia in quel momento però la volta successiva comunque si attinge al bagaglio precedente e si riesce a gestire meglio quella situazione. Ma se invece si viene da un passato, un’infanzia dove gli errori non erano molto permessi, dove arrivavano molte critiche, dove anche a scuola l’insegnante quella brutta esperienza ripetuta nel tempo e via dicendo, la si è un po’ più inclini a vivere male questi errori, quel tutor che pure arriva e fa quel rimprovero ingiusto in quel modo, aumenterà moltissimo l’ansia futura e aumenterà il rischio di futuri errori. 3.2 PSICOLOGIA CLINICA 08/10/2024 Professore: Giuseppe Maniaci Sbobinatore: Francesca Alaimo Controsbobinatore: Roberta Lo Medico INDICE Relazione tra paziente e terapeuta.................................................................................................... 1 Diversi approcci alla psicoterapia.................................................................................................... 2 Psicoanalisi e teorie psicodinamiche............................................................................................ 2 Terapia comportamentale............................................................................................................. 3 Terapia cognitiva......................................................................................................................... 5 Caratteristiche di Terapie cognitivo-comportamentali...................................................................... 6 Relazione tra paziente e terapeuta Riguardo la qualità della connessione emotiva tra paziente e terapeuta, un altro aspetto importante è che i pazienti motivati dal terapeuta, sono più propensi al cambiamento e alla guarigione. In generale, maggiore è la motivazione maggiore è l’effetto dell’intervento, a prescindere da qualunque terapeuta, se un paziente è motivato a cambiare sarà a sua volta più propenso ad accettare le variabili delle quali si è parlato, seguendo più facilmente i consigli. Chi lavora nei ser, sa bene che, anche l’intervento migliore nel mondo non funziona e può fallire senza la motivazione da parte del paziente. La relazione tra paziente e terapeuta è fondamentale perché se non è sufficientemente positiva non si arriva al cambiamento, più il terapeuta si lascia immergere, rispettando ovviamente i limiti, più l’intervento avrà successo. Il rapporto tra paziente e terapeuta non può essere definito con altri tipi di rapporti come l’amicizia, o come il rapporto tra madre e figlio, è un rapporto specifico nel quale si ha complicità, si è felici di vedere l’un l’altro ma non si ha amicizia. Il terapeuta nei confronti del paziente si sente grato, in quanto il paziente mette nelle sue mani i suoi problemi più grandi. 1 Diversi approcci alla psicoterapia Ci sono vari approcci alla psicoterapia, divisi in 5 grandi categorie: Psicoanalisi e teorie psicodinamiche Nascono con Freud e poi si sono evolute nel tempo. Questo approccio si concentra sul cambiamento di comportamenti problematici, sentimenti e pensieri scoprendo i loro significati con diverso inconscio. DOMANDA ESAME: Quale è la differenza tra psicoanalisi e teoria psicodinamiche? La psicoanalisi è un tipo di terapia psicodinamica, creata da Freud, che si evolve in varie - branche, le quali rientrano nelle terapie psicodinamiche, accomunate dal lavoro sui contenuti intrapsichici e inconsci, dall’utilizzo di tecniche come l’interpretazione dei sogni e l’analisi degli aspetti dell’infanzia, che hanno poi determinato l’evoluzione di quel disturbo e la talk therapy che studia la connessione tra esperienze passate del paziente, generalmente l’infanzia, sulla mentalità attuale. Si è generato questo modo di interpretare il mondo adesso, perché è successo qualcosa nel passato, e si passa molto tempo durante la seduta anche all’analisi delle relazioni infantili. La parola “dinamica” in psicodinamica è presa in prestito da termodinamica, il ramo della fisica che descrive come i tipi di energia interagiscono e si trasformano. La psicodinamica descrive le - forze psicologiche ed emotive che interagiscono nella mente di una persona. Freud parla di 3 istanze: l’es, il super io e l’io che definiscono la nostra personalità; l’es è la parte inconscia che ha a che fare con una serie di impulsi , il super io è dedicato alle regole morali, a cosa è giusto fare o meno, l’io va a mediare e risolvere i conflitti fra le due parti, quando quest’ultimi si generano, devono essere gestiti tramite il lavoro analitico. (Es. se si vuole fare qualcosa come mangiare un pollo arrosto l’es direbbe di mangiarlo se si ha fame, il super io direbbe che non è giusto mangiarlo in aula mentre il prof parla mentre l’io dovrebbe mediare dicendo di aspettare la fine della lezione e mangiarlo fuori) Quando le tre istanze non comunicano bene fra di loro si genera il conflitto ed emergono situazioni in cui è difficile farsi frenare dal super io o risulta essere invalidante e frena troppo. Ai tempi di Freud era più presente il super io, ad oggi invece è maggiormente presente l’es e bisognerebbe mediare un po’. 2 In qualsiasi tipo di terapia è importante il rapporto con il paziente, soprattutto nella psicodinamica il successo si basa fortemente sulla fiducia, poiché gli argomenti discussi durante le sessioni sono spesso sensibili o traumatici; si lavora sulla autoconsapevolezza, ma a volte non basta, bisogna dare una terapia cognitiva comportamentale. Terapia psicodinamica e psicoanalisi sono collegate fra di loro; la psicoanalisi si riferisce alle teorie di Freud, mentre la psicodinamica si riferisce alle sue ideologie e ai suoi seguaci. L’investimento di tempo necessario per vedere i risultati della terapia psicodinamica dipende da ogni paziente. Alcuni vedono i risultati in una questione di settimane, altri spendono 6-12 mesi o più in terapia prima di vedere i risultati iniziali. Terapia comportamentale Riguarda un condizionamento classico&operante, una forma di apprendimento basata sul - rapporto tra stimolo condizionato e risposta condizionata. Es. il cane di Pablo , carne -> salivazione , la carne è uno stimolo incondizionato in grado di generare una riposta , la salivazione , quando invece si presenta la carne subito dopo aver suonato il Campanellino , campanellino -> carne -> salivazione , lo stimolo si trasforma in uno stimolo condizionato , ovvero in grado di generare una risposta condizionata , ovvero il cane salivava già al suono del campanello anche se la carne non veniva presentata; questo rimane a distanza di tempo, quindi l’associazione che si crea in quello che viviamo nella vita tra stimolo incondizionato e condizionato, poi è in grado di generare una nostra reazione anche se non stimolo incondizionato non c’è più. Noi siamo continuamente sottoposti a meccanismi di questo tipo; se diverse volte che si va a seguire una determinata lezione in un'aula, il professore fa un complimento e ci si è sentiti bene, dopo un po’ di volte se sì ci ritrova in quell’aula non si saprà il perché ma ci si sentirà bene. Si associano gli eventi tra di loro, tra quello che realmente è stato l’evento che ti ha scatenato la reazione e quello che è successo prima o rispetto al contesto in cui ti trovavi o a quella persona con la quale si vive quell’esperienza. Poi c’è il condizionamento operante, che ha a che fare con il meccanismo dei rinforzi: positivo, negativo e punizione. Ricordando la skinner box, il rinforzo positivo è quello che aumenta la frequenza di un comportamento fornendo un incentivo, (es. ogni tre osservazioni sensate che si fanno il Prof darà un punto in più) rinforzo positivo- aumento di un comportamento con una ricompensa 3 Il negativo - incremento un comportamento rimuovendo lo stimolo Spiacevole Se 100 pazienti mettono una recensione positiva arriveranno 100 euro in più di stipendio al mese, si sarà più propensi a lavorare bene, o ancora se si hanno 10 recensioni super positive saranno abbonate 4 notti, si sarà più propensi a comportarsi bene, si aumenta la frequenza di un comportamento, in questo caso il comportarsi bene, andando a dare un incentivo. aumento Il rinforzo negativo diminuisce - la frequenza del comportamento togliendo uno stimolo Spiacevole o dando una punizione, es. se si ottengono recensioni negative, si fanno 4 notti in più - una o si hanno 100 euro in meno. (lo chiederà all’esame anche se era in psicologia generale) dando ↳ diminuisce la frequenza del compartenuatouno punizione La terapia comportamentale utilizza questi principi per modificare il comportamento. Togliendo In terapia i terapisti utilizzano strategie comportamentali per modificare il comportamento, Stim acet queste tecniche anche se parziali rispetto alla complessità dell’essere umano , in alcuni casi sono super efficaci, nelle fobie ad esempio , se il soggetto è sottoposto a tecniche di esposizione graduale supera la fobia , e sono tecniche comportamentali che sottopongono il paziente ad una esposizione graduale , dall’immaginazione al vedere l’animale o l’oggetto di fobia dal vivo , andando a controllare anche la respirazione ed altri fattori. -Se uno scarafaggio è a 4 metri, provi ansia? Quanta da 0 a 100? 30 -Se uno scarafaggio si avvicina ad un metro, provi ansia? Si, quanta? -Se ti cade uno scarafaggio addosso o ti cammina in mano, provi ansia? Quanta? Chi non ha la fobia degli scarafaggi se ne frega e lo schiaccia, chi ha la fobia ne soffre. Si usa questa scala graduale, dallo stimolo neutrale, che non fa paura, ad esempio vedo uno scarafaggio ad una distanza di 10m, fino allo stimolo che fa più paura, lo scarafaggio preso in mano. Si affronta questa scala di esposizione in maniera graduale, prima dall’immaginazione e poi dal vivo. In questo modo si supera la fobia, ma chiaramente bisogna essere motivato. Ma le fobie sono tra quelle patologie che risentono di più anche della componente culturale e ambientale, ovvero, se ad esempio qualcuno a paura dei koala, non è necessario superare questa fobia, ma se questa fobia l’avesse qualcuno che vive in Australia sarebbe necessario superarla. Oppure ad esempio se si ha la fobia dell’ascensore, a Palermo potrebbe non essere un problema, ma a New York si. Per affrontarla, ad esempio nel caso della psicodinamica, si affronta il tema di come è nata la fobia ,a cosa potrebbe essere dovuta ecc... Sull’oggetto fobico, del perché si va a prendere quell’oggetto, non c’è una spiegazione, ma è chiaro che se si va ad orientare l’oggetto della paura ad un oggetto ben preciso, ci sarà una connessione tra le due cose. Nel caso dei serpenti, ad esempio, questa cosa è spesso legata a come di questo oggetto se n’è parlato anche sin da piccoli, ma per altri può essere legato anche al fatto che scivola e alla figura in sé, o ancora legato ad un significato religioso, il serpente associato al male. Quindi la fobia può nascere in seguito ad un evento ben preciso o in seguito ad un racconto di un evento ben preciso. Quindi anche ricordare un evento che è successo a qualcun altro, può provocare una paura correlata al racconto e alle emozioni che ha suscitato. In molti casi non si sa da cosa siano scaturite. Quanto conta la motivazione? Se superare la fobia non serve, perché superarla? Le tecniche di esposizione servono dunque per superare la fobia che si può superare quando si sente la necessità di farlo o comporta dei limiti, come ad esempio un infermiere che ha paura del sangue. 4 Nel caso specifico del sangue, la fobia di quest’ultimo è l’unica che è caratterizzata da un’attivazione vagale e non del simpatico come con tutte le altre fobie, quindi alla vista del sangue si ha lo svenimento. Esiste anche una tecnica che non ti espone gradualmente alla fobia ma già a partire dall’inizio. Si può curare la fobia, ma se contestualmente non si va a curare quello che ci sta sotto, il sintomo si va a spostare altrove. Terapia cognitiva La terapia cognitiva enfatizza ciò che le persone pensano rispetto a quello che fanno. Nei terapeuti cognitivi è importante la linea che c’è tra pensieri, comportamenti ed emozioni; in particolar modo lavorano su quelli che sono i pensieri automatici, funzionali o disfunzionali. I pensieri automatici sono pensieri che scattano nella nostra mente in maniera automatica, si è abituati a pensare queste cose, perché quello che si è vissuto fino ad adesso, ha portato ad interpretare la vita in un modo specifico. Ed. Se da piccoli un padre dice sempre che ciò che si fa va bene, ma critica sempre degli aspetti di ciò, o facendo paragoni, ciò porta a sviluppare degli schemi cognitivi che porta a pensare che ciò che si fa va bene, ma non abbastanza, provando ansia e sconforto. Quindi i pensieri conducono ad emozioni che a loro volta conducono ai comportamenti. La terapia cognitiva lavora nel modificare i pensieri automatici, che tutti abbiamo e si dividono in funzionali e disfunzionali. I pensieri funzionali sono quelli che conducono ad un’emozione congruente rispetto ad un evento vissuto I pensieri disfunzionali conducono ad un’emozione non congruente rispetto ad un evento vissuto. Le emozioni che si provano possono essere disfunzionali o disfunzionali a seconda dal pensiero che le ha innescate; i pensieri che sviluppiamo sono emotivi; quindi, lo schema cognitivo talvolta è caratterizzato da una carica un’ottica ben precisa, e fa parte del dialogo interno si cui si è già parlato. 5 Caratteristiche di Terapie cognitivo-comportamentali La caratteristica della terapia cognitiva comportamentale è che risulta essere più breve e limitata nel tempo, sottoposta a ricerche scientifiche ed è più descrivibile rispetto alla terapia psicodinamica, quindi più standardizzata. L’enfasi è posta sul comportamento corrente, anche se ci sono branche della psicoterapia cognitivo comportamentale che fanno molta più importanza anche al passato, all’infanzia, a cosa può aver prodotto quel disturbo. Quindi se molti settori della terapia cognitivo comportamentale sono focalizzati sul presente, altri si focalizzano sulle cause del disturbo. Vi è uno sforzo collaborativo tra terapeuta e cliente, in cui il cliente definisce gli obiettivi, esprime le preoccupazioni ed impara l’apprendimento ed il terapeuta ascolta, insegna ed incoraggia il cliente. È un tipo di terapia basata su “pensiero razionale” che lavora molto su delle distorsioni cognitive; alcune tra queste sono gli schemi disfunzionali di cui si parlava poc’anzi, come ad dicotomico esempio quella del “tutto o nulla”, della “generalizzazione”. Può capitare di avere delle distorsioni cognitive totalmente dissociate da un disturbo psichiatrico. Pertanto, l’obiettivo della terapia è aiutare i clienti a disimparare le loro reazioni indesiderate e imparare un nuovo modo di reagire. 6 4.1 Psicologia 15-10-2024 Professore: Giuseppe Maniaci Sbobinatore: Angelo Di Girolamo Controsbobinatore: Anna Amato 1. Diversi approcci psicoterapeutici……………………………………………pag. 1 1.1 Distorsioni cognitive………………………………………………………...pag.1-2 2. Differenza tra accettazione e rassegnazione………………………………….pag.3 3. Terapia sistemica……………………………………………………………pag. 3-4 4. Terapia umanistica…………………………………………………………..pag. 4 5. Terapia mente corpo…………………………………………………………pag. 4-5 6. Psicologia funzionale del sé………………………………………………….pag. 5-6 1. Diversi approcci psicoterapeutici Ogni approccio ha delle caratteristiche specifiche che lo differenziano dalle altre e lavorano su aspetti diversi della mente. Parlando dell’approccio cognitivo-comportamentale si divide in tre generazioni: - Approccio comportamentale standard- stimolo-risposta, rinforzo positivo, rinforzo negativo, punizione e così via Approccio cognitivo-comportamentale- intenta a mettere assieme gli aspetti comportamentali con gli aspetti più cognitivi, si incentra molto sul pensiero e le convinzioni personali. Qui le nostre convinzioni condannano la nostra esistenza e ci portano a provare delle emozioni e mettere in atto dei comportamenti di un evento, interpretandolo in maniera automatica e veloce, e questo condurrà a delle emozioni che porteranno ad un determinato comportamento. Difficilmente si può intervenire sull’evento, ma si può lavorare sulla percezione degli eventi, ovvero il modo in cui posso interpretare gli eventi che succedono. Es: Se ogni volta che un mio collega mi chiede un cambio turno, interpreto questa cosa come un “chissà cosa c’è dietro” tenderò a provare uno stato di frustrazione e di fastidio, e il mio comportamento potrebbe essere oppositivo nei confronti della sua richiesta. Se invece si interpreta con “va bene, glielo concedo” si potrebbe provare una sensazione di calma e magari al prossimo giro verrà ricambiato anche il favore. Non si può sapere se il collega se ne approfitterà oppure no ogni volta, ma si può sapere il modo in cui si interpreta quell’evento e quindi se il collega inizia ad approfittarsene cambierà l’interpretazione della sua richiesta e di conseguenza cambieranno le emozioni e infine i comportamenti nei suoi confronti. Quindi ciò che distingue un pensiero funzionale da un pensiero disfunzionale è la congruenza fra il pensiero e l’evento che si è verificato 1.1 Distorsioni cognitive Esistono tante distorsioni cognitive, ovvero dei modi di interpretare la realtà, e chiunque qualche volta - può aver avuto una delle varie distorsioni cognitive che esistono. Tutti possono tendere a interpretare le cose tramite l’approccio dicotomico (tutto o nulla), es. o mi laureo in tempo o non troverò mai lavoro. Se invece questo si manifestasse con episodi sporadici, o comunque non interferisce con la vita quotidiana delle persone, si rimane nell’ambito della fisiologia. Oppure il jumping conclusions, ovvero arrivare a 1 conclusioni affrettate, o l’over-generalizzazione. Esistono davvero tanti modi disfunzionali per interpretare la realtà. Queste disfunzioni potrebbero influenzare anche a livello professionale, anche rispetto a quei pazienti che se si accorgono di avere davanti una persona timida o che ha una fragilità di un certo tipo possono tendere a sfruttarla. Ci potrebbero essere pazienti molto pesanti per quanto riguarda la gestione di determinate dinamiche, nei confronti delle quali bisogna avere un carattere molto forte, persistente, determinante per evitare di farsi manipolare da loro. In questi casi ci si potrebbe sentire in preda all’ansia di sbagliare, anche nel caso in cui non si è persone che solitamente hanno questa paura, ma si sentirà questa ansia legata al fallimento e alla possibilità di commettere l’errore, e questa ansia è stata instaurata dal paziente. L’ansia in questione prende il nome di “controtrasfert”. Questi pazienti non faranno altro che essere intenzionati a far sentire gli operatori in questo modo, ovvero con uno stato di ansia e agitazione per paura di commettere errori. Essere consapevole delle dinamiche permette di mettersi a riparo dal prendere decisioni negative ed evita di commettere degli errori. Terapie - di terza generazione- A differenza delle prime due ondate di psicoterapia cognitiva comportamentale, le cosiddette terapie hic et nunc, ovvero qui ed ora, che risolvevano problemi che avvenivano nel presente, le terapie di terza generazione iniziano a dare importanza anche agli eventi del passato. Se si hanno determinati schemi significa che nella tua vita è successo qualcosa che evidentemente ha creato tali schemi. Quindi le terapie di terza generazione, come l’ACT(Acceptance and Commitment Therapy) o la DBT(Dialectical Behavioural Therapy), danno importanza agli schemi prodotti dell’infanzia. Sono infatti terapie legate alla causa del disturbo. 2 2. Differenza fra accettazione e rassegnazione Domanda del prof: qual è la differenza tra accettazione e rassegnazione? Risposta del collega: la differenza consiste nel mondo in cui si vive una o l’altra. - Rassegnazione- La rassegnazione implica passività. Si è schiacciati dalla vita, la si subisce, senza poter fare nulla per modificarla. - Accettazione-La accettazione invece ha una posizione proattiva. Es. se una persona ci punta una pistola che senso ha cercare di lottare, si accetta che non ci sa possibilità e aspettiamo che passi. Se un paziente ha una situazione irrecuperabile bisogna metabolizzare questa cosa, che non sempre è facile emotivamente, perché il rischio di farsi schiacciare dalla morte di un paziente può essere vissuto in tanti modi. Potrebbe essere vissuto con il pianto, con la sofferenza espressa in maniera aperta, con cinismo e sono tanti gli infermieri che reagiscono in questo modo, che non è “fa parte di quello che deve succedere” che ci sta, ma è vera e propria indifferenza, infermieri che non reagiscono completamente più davanti la morte di un paziente. Il cinismo non va bene poiché questo porta a uno squilibrio psicologico dell’infermiere. Una volta che si va sul cinismo è come se si bloccasse un funzionamento in quella dimensione lì, e allora questo spessissimo si estende anche ad altre dimensioni della vita. Invece vivere liberamente le proprie emozioni, lasciandosi anche coinvolgere per quel che è importante, senza lasciarsi soverchiare, è un modo per salvaguardare il proprio stato mentale. 3. Terapia sistemica La terapia sistemica è un tipo di approccio psicoterapeutico che la lavora sul sistema famiglia o sulla coppia, - ovvero quel tipo di psicoterapia che lavora sulla relazione tra membri che fanno parte di un sistema. Ciò che è importante in questa terapia è il concetto di paziente designato, colui che si fa carico delle tensioni della famiglia, quello che in una famiglia si è fatto attribuire il ruolo di colui che deve gestire tutta la famiglia. La famiglia è un sistema e i membri della famiglia non sono altro che elementi di quel sistema caratterizzati da dinamiche di interdipendenza. Quindi l’obiettivo della terapia sistemiche è quello di identificare i modelli profondamente radicati all’interno delle relazioni di una persona e dei membri della famiglia. Scoprendo come i membri comunicano e si comportano in base alle convinzioni sui loro ruoli, il processo di terapia aiuta le 3 persone a capire e modificare le dinamiche di relazione malsana. Bisogna lavorare quindi sempre su quella dimensione relazionale per produrre un cambiamento nell’individuo e nella famiglia. Una delle cose che succede spesso in psicoterapia è che nel momento in cui cambia c’è una fase in cui il coniuge, il papà, la mamma, non lo riconosce più, anzi una cosa che spesso succede in psicoterapia è che i genitori chiamino perché il figlio è peggiorato, esempio tipico: il figlio prima non rispondeva mai adesso invece risponde in continuazione. Questo accade perché il sistema si è organizzato in quel modo lì, in cui il ragazzo subiva passivamente senza dire la sua, senza affrontare i problemi, senza incavolarsi quando serviva, adesso che lo fa i genitori devo abituarsi a questo cambiamento e allora è chiaro che all’inizio è più facile dare la colpa al terapeuta. Nel caso di una coppia quello è il momento in cui la coppia si potrebbe rompere, perché se c’è una ragazza che ha accettato nel tempo di avere tradimenti, o una ragazza che si ricorda di eventi che hanno rovinato il rapporto e che in qualche modo non ha mai affrontato il problema, nel momento in cui lo fa e trova la forza di farlo, se l’altro accetta questa cosa e riesce a rimuovere tutti gli aspetti nocivi la coppia va avanti, altrimenti se ciò non accade ci si lascia. 4. Terapia umanistica Questo approccio sottolinea la capacità delle persone di fare scelte razionali e di svilupparsi al loro massimo potenziale. Anche la preoccupazione e il rispetto per gli altri sono temi importanti. Filosofi umanistici come Jean-Paul Sartre, Martin Buber, Sl’ren Kierkegaard influenzarono questo tipo di terapia. La terapia di Gestalt, la terapia esistenziale sono terapie che orientano ed esaltano l’autorealizzazione. 5. Terapie mente-corpo Sono quel tipo di terapie che agiscono più o meno direttamente sull’equilibrio mente-corpo. All’interno di questo vasto calderone si trovano terapie che sono legate più a singole tecniche, come ad esempio la meditazione, la mindfulness, la terapia bioenergetica, il training autogeno, e terapie che sono più integrate, 4 come ad esempio la psicologia/approccio neo-funzionale. L’aspetto principale di queste terapie è lavorare direttamente sull’equilibrio mente-corpo. Alcune terapie si sviluppavano direttamente sul corpo e quindi è necessario un contatto con il paziente, chiamato tocco terapeutico , ovvero l’utilizzo di tecniche che prevedono il contatto con il paziente (tono muscolare, lavorare sul diaframma) che permettono di velocizzare il processo e il cambiamento. Un paziente che riceve un gesto affettuoso in ospedale, ad esempio, da parte dell’infermiere, trova conforto nel contatto fisico, che può essere espresso infatti con gioia ed emozione. Questo avviene perché un tipo di contatto buono attiva il nervo vago e quindi il sistema parasimpatico, che attivandosi porta ad aumento del battito cardiaco, aumento dell’attenzione muscolare, effetto antiinfiammatorio, che è alla base del rilassamento. Uno studio sul respiro diaframmatico ha evidenziato come questa tecnica abbia un effetto antiinfiammatorio sul corpo di chi la pratica, agendo quindi sui processi infiammatori. 6. Psicologia funzionale del sé Il Sé può essere manifestato attraverso uno schema che rappresenta varie emozioni e ognuna di essa può assumere una maggiore o minore presenza in funzione di ciò che si deve fare. Tutto il Sé di un individuo si deve concentrare per fare in modo di non far prelevare nessuna emozione sulle altre e permettere a ogni di performare al meglio in qualsiasi situazione esso si trovi. Questo schema può essere paragonato a caleidoscopio. Tutte queste funzioni possono assumere una maggiore o minore presenza in funzione di ciò che si deve fare. Esempio: se ci si dovesse trovare una strada buia, il sé del soggetto si deve organizzare per poter permettere di performare al meglio. Se qualcuna di queste funzioni dovesse scappare dal controllo, 5 porterà ad alterare tutte le altre. Se si hanno infatti delle fantasie terrifiche in quel momento, queste altereranno il respiro, il tono muscolare, salirà l’ansia ecc. Nel caso in cui una di queste emozioni prenda il sopravvento, quindi, altererà anche tutte le altre. Allo stesso tempo se si deve effettuare una procedura che non si conosce e si sta imparando adesso avere un pochino d’ansia, un tono muscolare più intenso, respiro leggermente più alto, leggera attivazione simpatico tonica, un controllo un pochino più elevato, dei movimenti non troppo rigidi. servono per imparare meglio la procedura. Se ci si approccia senza il minimo d’ansia si aumenterà il rischio di commettere errori perché non si darà la giusta importanza a ogni singolo passaggio che porterà al risultato. Quindi nell’approccio neo-funzionale si lavora, anche attraverso delle tecniche corporee, nel ristabilire il sé e fare in modo che nel momento in cui si deve affrontare un evento si organizzi tutto il Sé per affrontarlo al meglio, e nel momento in cui quell’evento non sussiste più, il Sé deve essere capace in automatico di assumere un’altra configurazione. Riflessione del professore: “Se devo fare una lezione il mio sé deve essere organizzato in un certo modo per cercare di rendere la lezione più interessante possibile. Nel momento in cui siete 200 persone in aula è ovvio che il mio sé deve essere un po' diverso rispetto a stamattina che eravamo molto meno in un’altra aula, quindi è chiaro che cambia. Per forza di cose se devo catturare l’attenzione di due o tre persone il mio sé si organizzerà in un certo modo, se devo catturare l’attenzione di 200 persone, arrivate a terzo anno e non vedono l’ora che finiscono l’università e che ovviamente la motivazione allo studio è cambiata rispetto al primo anno, devo adottare una strategia diversa, con la consapevolezza che non raggiungerò mai tutti e 200 persone, accettando questa parte qua e adottando un atteggiamento proattivo cercando di fare del mio meglio. Allora, se tutto il Sé si riesce ad organizzare bene allora riesco a performare bene, invece se qualche funzione scappa di mano la mia funzione del Sé sarà in qualche modo modificato.” Possibile domanda esame: esiste solo la memoria centrale o anche la memoria corporea? Il professore chiede: voi infermieri non avete lo stesso contatto fisico con un paziente rispetto al fisioterapista, giusto? Risposta del collega: dipende, sicuramente un po’ meno. Domanda del professore: vi è mai capitato in un momento, in seguito ad un contatto con il paziente, che in lui si sia scaturita un’emozione? Risposta del collega: sì, emozioni positive ma anche negative, come uno scatto di rabbia e violenza, ma anche imbarazzo. Questo accade perché in seguito ad un contatto, si possono riattivare dei vissuti; i ricordi, il vissuto di quello che è accaduto, non risiede solo nel nostro cervello, nell’ippocampo, amigdala ecc., ma anche in quello periferico nel corpo. Il corpo porta con sé le tracce delle esperienze passate. Per esempio, persone che hanno subìto maltrattamenti o abusi hanno delle soglie percettive molto alte. Sono persone con soglie talmente elevate 6 che non sentono spesso il solletico perché alzano molto le soglie percettive per difendersi dalle batoste che hanno subìto. Questo accade anche in una condizione non psicopatologica; a prescindere il corpo porta con sé le tracce delle esperienze passate. Quindi i movimenti, la postura che si assume, la gestualità ecc., è frutto dei ricordi e delle proprie esperienze. 7 4.2 PSICOLOGIA CLINICA 15/10/2024 Professore: Giuseppe Maniaci Sbobinatore: Aurora M. Di Gregorio Controsbobinatore: Sofia Falcetta 1. RELAZIONE TRA SISTEMA NERVOSO-IMMUNITARIO E TRA SISTEMA NERVOSO-SISTEMA ENDOCRINO……………………..................................................… pag 1 2. ESPERIENZE DI BASE DEL SÉ ………………………………………..................... pag 2 3. DIAGNOSI……………………………………….....................……………………..... pag 2 4. VALUTAZIONE PSICODIAGNOSTICA…………………................……………… pag 3 5. INTERVISTA CLINICA……………………………………………...................……. pag 3 6. ESAME DELLO STATO MENTALE…………………………………..................…. pag 4 6.1 APPARENZE GENERALI ……………………………………………............................. pag 4 6.2 COMPORTAMENTO – BEHAVIOR…………………………………............................. pag 5 6.3 DISCORSO – SPEECH........................................................................................................ pag 5 6.4 ESPRESSIONE EMOTIVA................................................................................................. pag 5 6.5 PENSIERO E PERCEZIONE............................................................................................. pag 6 RIEPILOGO Riprendendo il discorso sull’approccio neofunzionale: si tratta di una terapia mente-corpo che lavora direttamente sul corpo del paziente e si basa sul paradigma scientifico della PNEI (PsicoNeuroEndocrinoImmunologia), ovvero quella branca della scienza che indaga i rapporti tra sistema nervoso, sistema endocrino, sistema immunitario, e come queste relazioni vadano ad influenzare i vari sist

Use Quizgecko on...
Browser
Browser