Psicologia Clinica PDF

Summary

This document provides an overview of clinical psychology, covering its definition and applications. It explores the evolution of the concept of mental illness, encompassing various models, including the biological, psychological, and social aspects. It also details the organization of mental health services and the factors influencing mental well-being.

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Elementi di Psicologia Clinica 1-La psicologia clinica: Definizione e applicazioni Secondo l’APA, la psicologia clinica integra scienza, teoria e pratica per comprendere, predire e alleviare disadattamento, disabilità e disagio, promuovendo al contempo l’adattamento umano e lo sviluppo personale (...

Elementi di Psicologia Clinica 1-La psicologia clinica: Definizione e applicazioni Secondo l’APA, la psicologia clinica integra scienza, teoria e pratica per comprendere, predire e alleviare disadattamento, disabilità e disagio, promuovendo al contempo l’adattamento umano e lo sviluppo personale (aspetti intellettivi, emotivi, biologici, psicologici, sociali e comportamentali). In Italia, la psicologia clinica si concentra sulla comprensione e il trattamento dei processi mentali disfunzionali o patologici, dei correlati comportamentali e psicobiologici. Comprende attività di consulenza, diagnosi e terapia, con interventi che promuovono il benessere psicologico e sociale, anche attraverso la prevenzione. Lo Psicologo Clinico Lo psicologo clinico non è una figura professionale unica, ma un esperto che opera in un ambito specifico della psicologia. Per esercitare, è necessario conseguire una laurea magistrale in psicologia, completare un tirocinio formativo (per chi si laurea prima del 2024) e superare l’Esame di Stato per l’abilitazione. Dal 2024 la laurea sarà abilitante. Dopo l’iscrizione all’Albo degli Psicologi, può lavorare in autonomia, occupandosi di valutazione del disagio psichico, consulenza psicologica breve e conduzione di gruppi non terapeutici. Tuttavia, per praticare la psicoterapia, è obbligatorio conseguire una specializzazione in una Scuola riconosciuta dal MIUR. Differenze tra Psicologo Clinico e Psicoterapeuta: Lo psicologo clinico è formato per valutare e prevenire il disagio psichico utilizzando strumenti appresi durante il corso di studi, occupandosi di consulenze e interventi di breve supporto psicologico. Il psicoterapeuta, oltre a queste competenze, ha una formazione specialistica che lo abilita alla cura e al trattamento dei disturbi psicopatologici attraverso tecniche specifiche applicabili in interventi individuali, di coppia, familiari o di gruppo. Gli ambiti in cui opera includono: Sanità pubblica, attraverso servizi di psicologia nelle ASL, ospedali, consultori e dipartimenti di salute mentale. Servizi educativi e sociali, come unità operative di neuropsichiatria per l’infanzia e l’adolescenza. Scuole, tramite sportelli psicologici per studenti, insegnanti e genitori. Terzo settore, con cooperative e organizzazioni no-profit che offrono servizi educativi e riabilitativi. Ambito privato e accademico, con attività clinica, consulenze e ricerca. La psicologia clinica comprende diverse aree operative: Psicodiagnostica, ad esempio nella valutazione dei disturbi specifici dell’apprendimento (DSA) o nella diagnosi neuropsicologica delle demenze. Prevenzione e promozione del benessere psicosociale, con interventi per ridurre lo stress lavorativo, valorizzare la diversità (genere, etnia, orientamento sessuale) e prevenire la dispersione scolastica. Riabilitazione psicologica e psicosociale, come interventi psicoeducativi per giovani e anziani, o supporto per caregiver di persone con demenza. Formazione e supervisione, ad esempio per operatori socio-sanitari sulla gestione dello stress e prevenzione del burnout. 2- L’evoluzione del concetto di malattia mentale Nel Medioevo, le patologie mentali erano spesso interpretate come manifestazioni soprannaturali. Le principali spiegazioni includevano: Possessione diabolica, con persone accusate di stregoneria e spesso condannate a morte. Debolezza morale, associata a comportamenti ritenuti devianti. Invasamento o castigo divino, connesso a una visione religiosa della malattia. Durante l’Illuminismo emerge la psichiatria come branca della medicina, Philippe Pinel, nel 1793, “spezzò le catene agli alienati”, proponendo una visione del malato mentale come persona affetta da una condizione curabile. Questo segnò un passaggio fondamentale nella comprensione della malattia mentale, consacrando il “folle” come un malato e non come un dannato. Nel XVIII secolo nascono i primi asili per alienati, precursori dei moderni ospedali psichiatrici. Tuttavia, queste strutture: Servivano principalmente a segregare i pazienti per “salvaguardare la società”. Utilizzavano strumenti terapeutici inefficaci, come docce ghiacciate, diete sbilanciate e contenimenti fisici. Rappresentavano un luogo di isolamento piuttosto che di cura. Nel 1978, grazie a Franco Basaglia, viene promulgata la legge 180, che segna la deistituzionalizzazione dei pazienti psichiatrici, con l’annessa chiusura degli ospedali psichiatrici. Gli obiettivi della legge furono: Tutelare i diritti dei pazienti. Favorirne il recupero sociale. Promuovere un modello di assistenza decentralizzato. Inoltre la legge introdusse il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), attuabile solo in presenza di: Alterazioni psichiche tali da richiedere interventi urgenti. Rifiuto del paziente di sottoporsi a trattamento. Impossibilità di adottare altre misure extraospedaliere tempestive. Modelli medici della malattia mentale Fino alla seconda metà dell’Ottocento prevale il modello medico-biologico, che attribuisce il disturbo mentale esclusivamente a cause organiche, dovuto a un cervello “danneggiato” e che il malato fosse destinato a un progressivo deterioramento. Questo modello vede la malattia mentale come una deviazione dalla norma biologica, identificabile e correggibile attraverso interventi terapeutici. Nonostante l’evoluzione dei modelli, la visione bio-medica rimane ancora rilevante, con un’enfasi sulle variabili biologiche. Con l’inizio del Novecento si sviluppano approcci alternativi: La psicoanalisi, fondata da Sigmund Freud, si concentra sulla vita psichica del soggetto e introduce una visione più psicologica della malattia, criticando l’idea di incurabilità, evidenziando la continuità tra normalità e patologia. L’approccio sistemico-relazionale, nato negli anni ’50, si basa su contributi interdisciplinari e studia il comportamento umano focalizzandosi sull’ambiente e le relazioni significative del soggetto. Il modello diatesi-stress rappresenta oggi il paradigma più accreditato nella comprensione dei disturbi psichici, spiegando l’insorgenza dei disturbi come risultato di una combinazione di vulnerabilità personale (diatesi) e fattori stressanti esterni (stress). Introduce il principio di causalità multipla, secondo cui la patogenesi della malattia dipende da fattori biologici, psicologici e sociali interconnessi, permettendo l’evoluzione verso modelli integrati socio-psico-biologici. Organizzazione dei servizi di salute mentale L’OMS definisce la salute mentale come una componente fondamentale del capitale umano e sociale delle nazioni, sottolineando la sua centralità nelle politiche di cittadinanza, educazione e lavoro. Oggi l’assistenza psichiatrica è coordinata dal Dipartimento di Salute Mentale e delle Dipendenze (DSMD), che si articola in: Unità Operative di Psichiatria (UOP): responsabili della diagnosi e cura dei disturbi psichiatrici, sono: -Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC): situati negli ospedali, forniscono assistenza per le situazioni acute. -Centri Psico-Sociali (CPS): rappresentano il punto di accesso primario, coordinando interventi terapeutici e riabilitativi attraverso un approccio integrato. -Day Hospital Psichiatrico (DH): area semi-residenziale che consente trattamenti a breve e medio termine, riducendo i ricoveri ospedalieri. -Strutture Residenziali (SR): spazi extra-ospedalieri dedicati alla riabilitazione, con assistenza diversificata in base all’intensità terapeutica necessaria (alta, media, bassa). Unità Operative di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (UONPIA): si occupano dei minori. Unità Operative di Psicologia (UOPsi) e Servizi per le Dipendenze (UOSD): offrono supporto psicologico e trattamenti mirati. 3- Il concetto di disturbo mentale Un disturbo mentale è una condizione psicologica che influisce sul pensiero, sulle emozioni, sul comportamento e sulle relazioni sociali di un individuo, manifestandosi come condizioni persistenti, che compromettono gravemente il funzionamento quotidiano (depressione, ansia, schizofrenia, disturbi dell’umore, disturbi alimentari e disturbi ossessivo-compulsivi). La classificazione dipende dalla durata dei sintomi, dalla loro intensità e dall’impatto che hanno sulla vita dell’individuo, inoltre è importante notare che il termine “disturbo” non implica una “malattia” nel senso stretto del termine, ma una condizione che altera il benessere psicologico e comportamentale dell’individuo. Il benessere mentale e la salute mentale Il benessere mentale si riferisce a uno stato di salute psicologica in cui una persona è in grado di affrontare lo stress della vita, di lavorare in modo produttivo e di contribuire alla propria comunità, non si limita all’assenza di malattia mentale, ma riguarda anche una serie di fattori positivi, come la capacità di gestire le emozioni, l’autostima, le relazioni sociali e l’adattamento alle difficoltà quotidiane. La prevenzione dei disturbi psicologici gioca un ruolo fondamentale nel mantenimento della salute mentale, attraverso la promozione di stili di vita sani, il supporto psicologico e l’accesso a risorse adeguate. Il modello biopsicosociale Il modello biopsicosociale fornisce una visione olistica dei disturbi mentali, suggerendo che essi derivano dall’interazione di fattori biologici, psicologici e sociali. Questo modello si oppone a visioni riduzioniste, che spiegano i disturbi mentali solo attraverso una delle componenti (ad esempio solo biologica o solo psicologica). Fattori biologici: I disturbi mentali possono essere influenzati da fattori genetici, squilibri neurochimici, anomalie strutturali nel cervello o malattie neurologiche. Ad esempio, la depressione è spesso associata a un deficit di neurotrasmettitori come la serotonina e la dopamina. Fattori psicologici: Le esperienze emotive, i traumi passati, i modelli di pensiero e le modalità di coping influiscono fortemente sulla salute mentale. La psicologia cognitiva, ad esempio, suggerisce che schemi di pensiero negativi possano predisporre una persona alla depressione o all’ansia. Fattori sociali: La qualità delle relazioni sociali, le condizioni di vita, la cultura e il supporto sociale sono determinanti cruciali per la salute mentale. L’isolamento sociale, la povertà, le disuguaglianze di opportunità e i conflitti familiari possono aumentare il rischio di sviluppare disturbi mentali. Fattori di vulnerabilità e stress Secondo il modello vulnerabilità-stress, i disturbi psicologici si sviluppano quando una persona con una certa vulnerabilità (biologica, psicologica o sociale) viene esposta a eventi stressanti. Questi eventi possono essere esperienze traumatiche, difficoltà quotidiane, pressioni sociali o cambiamenti significativi nella vita. Vulnerabilità: Rappresenta la predisposizione individuale a sviluppare un disturbo mentale, può essere influenzata da fattori genetici, esperienze infantili, personalità e abilità di coping. Le persone che hanno una predisposizione genetica a disturbi come la depressione o l’ansia sono più vulnerabili a sviluppare questi disturbi in presenza di stress. Stress: Lo stress è la risposta dell’individuo a eventi che percepisce come minacciosi o travolgenti. L’esposizione prolungata a livelli elevati di stress può alterare il funzionamento psicologico, portando a disturbi come l’ansia, la depressione e i disturbi post-traumatici. Determinanti sociali della salute mentale I determinanti sociali della salute mentale sono fattori che influenzano la salute psicologica di un individuo attraverso l’ambiente sociale, economico e culturale in cui vive. Tra i determinanti sociali più rilevanti troviamo: Fattori economici: La povertà, la disoccupazione, l’instabilità finanziaria e l’accesso limitato ai servizi sanitari aumentano il rischio di sviluppare disturbi mentali. La mancanza di sicurezza economica può causare stress cronico e ansia. Fattori educativi: L’accesso all’istruzione e alle opportunità di apprendimento è un determinante cruciale della salute mentale. Un livello educativo elevato e l’accesso a opportunità di crescita migliorano la resilienza psicologica e riducono i rischi di disordini mentali. Fattori sociali: Le relazioni interpersonali e il supporto sociale sono fondamentali per il benessere psicologico. La solitudine e l’isolamento sociale sono fattori di rischio per vari disturbi psicologici. Condizioni di vita: Un alloggio adeguato, la sicurezza ambientale e l’accesso a servizi sanitari sono determinanti fondamentali per la salute mentale. Vite in ambienti di alta criminalità, povertà o violenza domestica aumentano il rischio di sviluppare problemi psicologici. La resilienza e i fattori protettivi La resilienza è la capacità di una persona di affrontare e superare le difficoltà della vita, adattandosi positivamente alle sfide. Non si tratta di una qualità fissa, ma di una serie di capacità che possono essere sviluppate nel corso della vita. I fattori protettivi che favoriscono la resilienza comprendono: Supporto sociale: Una rete di supporto affettivo, come amici, familiari o gruppi sociali, è uno degli elementi più importanti per il benessere psicologico. Autoefficacia: La convinzione che si possiedano le risorse necessarie per affrontare le difficoltà aumenta la resilienza, credendo di poter influenzare gli eventi della vita si tende a reagire meglio allo stress. Competenze emotive: La capacità di regolare le emozioni, di affrontare i problemi in modo costruttivo e di gestire il conflitto sono essenziali per mantenere un buon stato di salute mentale. Ottimismo e speranza: Una visione positiva del futuro e la capacità di vedere le sfide come opportunità di crescita. Fattori di rischio per la salute mentale I fattori di rischio sono condizioni o esperienze che aumentano la probabilità che una persona sviluppi un disturbo mentale. Tra i fattori di rischio più comuni troviamo: Traumi infantili: Esperienze traumatiche precoci, come abusi fisici, emotivi o sessuali, o trascuratezza, aumentano notevolmente il rischio di disturbi psicologici in età adulta. Conflitti interpersonali: Difficoltà nelle relazioni con partner, familiari o amici possono contribuire allo sviluppo di disturbi come l’ansia e la depressione. Stress cronico: La persistente esposizione a fattori di stress come problemi finanziari, lavorativi o familiari è un importante fattore di rischio per la salute mentale. Stato socio-economico precario: La disoccupazione, la povertà e l’insicurezza abitativa sono tutti fattori che aumentano il rischio di depressione, ansia e altre condizioni psichiatriche. Raccomandazioni dell’OMS per la gestione dei disturbi mentali L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha formulato diverse raccomandazioni per il trattamento e la gestione dei disturbi mentali, con l’obiettivo di promuovere la salute mentale a livello globale, migliorare l’accesso alle cure e ridurre il peso delle malattie mentali: 1. Promuovere l’accesso ai servizi di salute mentale: L’OMS sottolinea l’importanza di garantire che tutti gli individui, indipendentemente dal loro background socioeconomico o dalla loro posizione geografica, possano accedere a trattamenti efficaci per i disturbi mentali, con un’attenzione particolare alle popolazioni vulnerabili. 2. Integrazione dei servizi di salute mentale: I servizi di salute mentale dovrebbero essere integrati nei servizi sanitari primari, come ospedali, cliniche di medicina generale e centri di salute, permettendo un trattamento tempestivo e riducendo lo stigma sociale. 3.Formazione dei professionisti: È fondamentale che i professionisti della salute ricevano una formazione adeguata nella gestione dei disturbi mentali, sia nella diagnosi che il trattamento, così come nell’educazione alla gestione dei fattori psicologici e sociali. 4. Prevenzione e intervento precoce: L’OMS promuove strategie di prevenzione per ridurre i fattori di rischio e aumentare i fattori protettivi. Interventi precoci nei casi di disturbi psicologici possono prevenire l’insorgere di malattie più gravi e migliorare la prognosi a lungo termine. 5. Sostenere le famiglie e le comunità: Il sostegno alle famiglie e alle comunità locali è essenziale. Le persone che vivono con un disturbo mentale spesso dipendono dal supporto della rete sociale per far fronte alla malattia. Programmi di sensibilizzazione e supporto psicosociale possono aiutare a ridurre lo stigma e promuovere la reintegrazione sociale. 4- Depressione e Sostegno Sociale: Uno Strumento per la Mappatura dei Legami Le reti sociali sono un insieme di legami interpersonali che svolgono un ruolo cruciale nel benessere psicologico e fisico degli individui, esiste infatti una relazione positiva tra supporto sociale, stato di salute, funzionamento e qualità della vita. Queste sono associate a numerosi benefici psicologici, tra cui: Capacità di fronteggiare stress: Le persone con una rete di supporto solida tendono a essere più resilienti durante periodi di stress. Influenza sugli stili di vita salutari. Abilità di coping: La presenza di una rete di supporto contribuisce a sviluppare e utilizzare strategie di coping più efficaci. Senso di empowerment: Le persone supportate da reti sociali hanno una maggiore sensazione di controllo sulla propria vita e di potere nel prendere decisioni. Rete Sociale e Depressione La depressione è un disturbo che può essere influenzato dalla dimensione della rete sociale, maggiore è la grandezza della rete sociale (in termini di legami forti), minore è il rischio di insorgenza della depressione. Una rete sociale consente l’accesso a risorse affettive, cognitive e informative che possono essere utili in caso di necessità, inclusa la prevenzione di malattie psicologiche. Le reti sociali sono complesse e interconnesse, generando diversi tipi di supporto sociale che possono assumere varie forme, come supporto strumentale, informativo ed emotivo. Esistono diverse caratteristiche che determinano l’efficacia e la qualità di una rete sociale: Grandezza della rete: Indica il numero di legami significativi che una persona ha, rete di dimensioni maggiori = possibilità di ricevere supporto in caso di bisogno. Densità della rete: La densità si riferisce alla quantità di connessioni tra le persone all’interno della rete, rete densa = forte interconnessione tra i membri. Complessità: Le reti sociali non sono composte solo da relazioni dirette, ma anche da legami indiretti che possono influire sul benessere psicologico della persona. Reciprocità e forza del legame: La reciprocità (scambio di aiuto) e la forza del legame (legami emotivamente significativi) sono indicatori di una rete sociale sana e utile. Le persone con disturbi mentali tendono a presentare una rete sociale più piccola rispetto alla popolazione generale, infatti se la popolazione generale ha in media circa 40 persone nella propria rete sociale, le persone con disturbi mentali, invece, presentano reti sociali che vanno dalle 4 alle 13 persone (Maya et al., 1998). Questo limite nelle reti sociali può aumentare il rischio di isolamento sociale e di peggioramento dei disturbi mentali a causa di un sostegno sociale ridotto. Il Continuum tra Reti Sociali Naturali e Reti Promosse dai Servizi Le reti sociali si possono suddividere in due categorie principali: Supporto Naturale (Reti Primarie): Comprende le relazioni familiari, amicali, di vicinato e quelle con il gruppo di appartenenza ed è caratterizzato per la reciprocità, ossia l’aiuto “dare-avere”, e si basano su aiuti soggettivi, cioè aiuto emotivo, supporto morale e vicinanza. Supporto Formale (Reti Secondarie): Comprende le relazioni con figure professionali, come medici di base, psicologi, assistenti sociali, e operatori sanitari e sono caratterizzate da un aiuto oggettivo, e sono generalmente più strutturate per affrontare le criticità e le problematiche psicologiche specifiche. Tipologie di Supporto Sociale Le reti sociali offrono diversi tipi di aiuto: -Supporto emotivo: Offrire sostegno psicologico, conforto e ascolto. -Socializzazione/svago: Attività che favoriscono il coinvolgimento sociale e la riduzione dell’isolamento. -Consigli, informazioni: Fornire risorse o strategie pratiche per affrontare situazioni difficili. -Aiuto concreto: Offrire supporto tangibile, come l’aiuto nelle attività quotidiane o assistenza materiale. Inoltre, la multidimensionalità del supporto (una persona può fornire più tipologie di aiuto) e la reciprocità sono elementi centrali in una rete sociale ben funzionante. Schema di Rappresentazione delle Relazioni Sociali: La Mappa di Todd La mappa di Todd è uno strumento utile per la rappresentazione delle relazioni sociali e il monitoraggio delle reti di supporto, può essere compilata insieme all’utente o tramite la raccolta di informazioni da parte dell’operatore. Obiettivo della Mappa: Misurare la rilevanza delle relazioni sociali e comprendere come le persone significative per un individuo si distribuiscono in diverse categorie (famiglia, amici, professionisti, ecc.). Viene realizzata utilizzando un sistema di cerchi concentrici per rappresentare la vicinanza e il grado di supporto ricevuto. Esercitazione: Costruire una Mappa di Todd 1.Identificare le persone significative: Chiedi all’utente di pensare alle persone più significative per lui/lei in vari ambiti della vita (famiglia, amici, lavoro, vicinato). 2.Posizionare le persone sui cerchi: All’interno del primo cerchio, posiziona le persone con cui l’utente ha il legame più forte (emotivamente e fisicamente). All’interno degli altri cerchi (II, III, IV) posiziona le persone con legami più deboli. 3.Collegare le persone: Indica le connessioni tra le persone e definisci la natura del legame, come legami conflittuali o di alta intensità (utilizzando linee diverse, ad esempio una linea continua per legami forti e una a zig zag per legami conflittuali). 4.Domande di riflessione: Le domande riguardano la vicinanza emotiva, i contatti quotidiani o occasionali, e l’eventuale supporto ricevuto in momenti di difficoltà. 5- I Disturbi dell’umore: definizione e caratteristiche I disturbi dell’umore si riferiscono a una serie di alterazioni patologiche del tono affettivo che coinvolgono diverse dimensioni del benessere psicologico e fisico. L’umore è influenzato da molteplici componenti, tra cui: Emozioni e stati d’animo, come tristezza o irritabilità. Energia e motivazione, che possono risultare ridotte. Attenzione e concentrazione, spesso compromesse. Funzioni fisiologiche, come sonno, fame e desiderio sessuale. Pensieri e comportamenti, che riflettono il vissuto emotivo della persona. Questi elementi interagiscono continuamente, influenzandosi a vicenda, ed eventuali alterazioni possono portare a disturbi significativi del funzionamento quotidiano. I cambiamenti del tono dell’umore sono normali e possono derivare da diversi fattori, tra cui: 1. Biologici e chimici: Alterazioni nei livelli di neurotrasmettitori come serotonina, noradrenalina e dopamina, oppure variazioni neuroendocrine e ormonali. 2. Psicosociali: Eventi di vita, contesti ambientali o caratteristiche di personalità che influenzano la risposta emotiva. Tuttavia, quando questi cambiamenti diventano intensi, persistenti e associati a compromissioni significative, possono evolvere in disturbi clinici. Un cambiamento dell’umore diventa clinicamente rilevante quando: Si manifesta con sintomi e segni che persistono per settimane o mesi. Provoca cambiamenti significativi nelle funzioni fisiologiche, come il sonno, l’appetito e la sessualità. È accompagnato da un disagio profondo e da una compromissione marcata del funzionamento sociale, lavorativo o relazionale. Classificazione dei disturbi dell’umore (DSM-V) Secondo il DSM-V, i disturbi dell’umore si suddividono in due grandi categorie: 1.Disturbi depressivi, che comprendono: -Disturbo depressivo maggiore, quando, per almeno due settimane, si presentano cinque o più sintomi, che rappresentano un cambiamento significativo rispetto al precedente livello di funzionamento, Tra i sintomi principali troviamo: Umore depresso per la maggior parte del giorno. Marcata perdita di interesse o piacere per quasi tutte le attività. Alterazioni significative del peso o dell’appetito. Insonnia o ipersonnia. Affaticamento o mancanza di energia. Sentimenti di autosvalutazione o colpa eccessiva. Difficoltà a concentrarsi o a prendere decisioni. Pensieri ricorrenti di morte o suicidio. -Disturbo depressivo persistente (distimia), si caratterizza per la presenza di un umore depresso quasi ogni giorno per almeno due anni, pur non soddisfacendo i criteri per un episodio depressivo maggiore, questa condizione è altamente debilitante. Il soggetto tende a funzionare con notevole difficoltà, sia nel lavoro che nelle relazioni sociali, affrontando persino le attività quotidiane con grande fatica. -Disturbo depressivo specifico, come il disturbo disforico premestruale o quello indotto da sostanze o condizioni mediche. -Depressione ricorrente, si manifesta con almeno due episodi depressivi maggiori separati da un intervallo di almeno due mesi. Questa condizione sottolinea la tendenza alla cronicità e alla ciclicità di alcuni disturbi depressivi, evidenziando l’importanza di interventi preventivi e terapeutici mirati. Questi disturbi sono caratterizzati da un umore costantemente basso, perdita di interesse e alterazioni somatiche e cognitive. 2.Disturbi bipolari, che includono: Disturbo bipolare I. Disturbo bipolare II. Disturbo ciclotimico. Diagnosi differenziale della depressione La diagnosi differenziale nella depressione è un processo complesso che richiede un’attenta analisi della sintomatologia per distinguere gli episodi depressivi primari da quelli secondari ad altre condizioni psichiatriche, mediche o farmacologiche. Questo approccio è fondamentale per evitare errori diagnostici e impostare un trattamento mirato. Confronto con altri disturbi psichiatrici: Uno dei primi passi è stabilire se i sintomi depressivi siano primari o collegati a un altro disturbo: Ad esempio, nel disturbo bipolare, gli episodi depressivi possono essere indistinguibili dalla depressione maggiore, ma è essenziale identificare eventuali episodi maniacali o ipomaniacali per diagnosticare correttamente il bipolarismo (tipo I o II). Nel caso dei disturbi fobici o ossessivo-compulsivi, i sintomi depressivi possono derivare dall’ansia cronica o pensieri intrusivi. L’evitamento tipico dei disturbi fobici o il pensiero ripetitivo delle ossessioni possono contribuire alla comparsa di uno stato depressivo reattivo. Anche il disturbo post-traumatico da stress (PTSD) può presentare una sintomatologia depressiva, spesso come conseguenza diretta del trauma subito, con sintomi comuni che includono apatia, perdita di interesse e pensieri intrusivi. Nei disturbi di personalità, soprattutto il disturbo borderline e narcisistico, gli stati depressivi spesso derivano da sentimenti di abbandono, mancanza di riconoscimento o insuccessi nelle relazioni, richiedendo un’analisi approfondita della struttura della personalità e del contesto relazionale dell’individuo. La depressione va distinta anche dai disturbi psicotici, come la schizofrenia o il disturbo schizoaffettivo, nei quali i sintomi depressivi possono manifestarsi come parte di un quadro più ampio, caratterizzato da sintomi negativi (ad esempio apatia e ritiro sociale) o allucinazioni e deliri. Analogamente, negli anziani, è importante distinguere tra depressione e demenza, poiché entrambe possono presentare difficoltà cognitive. Infine il lutto complicato può essere confuso con un episodio depressivo maggiore, ma i criteri del DSM-V specificano che la diagnosi di disturbo da lutto persistente richiede sintomi specifici (come ruminazioni sulla colpa o idee di morte) che persistono oltre 12 mesi. Il disturbo dell’umore dovuto ad una condizione medica generale è caratterizzato da una notevole e persistente alterazione dell’umore ritenuta una diretta conseguenza fisiologica di una condizione medica generale (esempio ipertiroidismo). Il disturbo dell’umore indotto da sostanze, invece, è caratterizzato da una notevole e persistente alterazione dell’umore ritenuta una diretta conseguenza fisiologica di una droga, di abuso di un farmaco, di un altro trattamento somatico per la depressione o dell’esposizione ad una tossina. L’accurata distinzione tra depressione e altri disturbi è essenziale, poiché molti sintomi sono sovrapponibili. Ad esempio: Il rallentamento psicomotorio è tipico della depressione, ma può anche verificarsi in condizioni come il burnout o i disturbi psicotici. L’isolamento sociale e la perdita di interesse si osservano nella depressione quanto nelle fasi iniziali della demenza o nella schizofrenia. Alterazioni del ritmo sonno-veglia e cambiamenti nell’appetito possono comparire in molte condizioni, rendendo necessaria una valutazione globale. Fattori predisponenti l’insorgenza della depressione Gli eventi scatenanti una condizione depressiva sono molteplici e si intersecano con fattori personali, sociali e biologici. Tra i principali troviamo: Cambiamenti socio-economici significativi, come perdita del lavoro, pensionamento, difficoltà finanziarie la conclusione di percorsi accademici o professionali. Problemi relazionali, quali perdita dei rapporti sociali o difficoltà nel creare legami soddisfacenti, con reti sociali fragili, che limitano il supporto emotivo. Eventi traumatici Condizioni fisiche debilitanti, disabilità, patologie croniche e insonnia, che influenzano negativamente il benessere mentale. Ambiente ipostimolante, che riduce la capacità di resilienza. Ridotta tolleranza allo stress e funzionamento psicologico disfunzionale. La depressione è spesso preceduta da eventi stressanti che richiedono una significativa capacità di adattamento. Tra gli elementi psicologici che contribuiscono all’insorgenza del disturbo: La percezione di una mancanza di forza di volontà, interpretata come difficoltà di motivazione. La rabbia rivolta verso se stessi, che può generare senso di colpa e disistima. Assenza di progetti o blocco della capacità progettuale, con un focus sul presente privo di prospettive future. L’incapacità di affrontare le situazioni percepite come insormontabili, in cui le risorse personali appaiono inefficaci di fronte a perdite o fallimenti. Il concetto di impotenza appresa, elaborato da Martin Seligman, rappresenta un meccanismo psicologico fondamentale nella depressione, in cui l’individuo, in seguito a esperienze di vita avverse e incontrollabili, sviluppa una convinzione di incapacità di cambiare la propria situazione. Questo stato mentale è condizionato da esperienze ripetute di fallimento o invalidazione, spesso risalenti all’infanzia, che strutturano schemi cognitivi negativi e fatalistici. Modello eziologico: fattori bio-psicosociali La depressione è il risultato di una complessa interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali: Neurotrasmettitori: alterazioni nella serotonina e noradrenalina influenzano sintomi come l’insonnia, i pensieri ossessivi e la mancanza di iniziativa. Ormoni: fluttuazioni ormonali, come nel post-partum o in caso di ipotiroidismo, possono predisporre alla depressione. Carenze nutrizionali, ad esempio di vitamina B12 negli anziani, contribuiscono a sintomi depressivi. Ereditarietà: il rischio di depressione aumenta di 2-3 volte in presenza di parenti di primo grado con episodi depressivi. Alterazioni cerebrali come iperattività dell’amigdala e ridotta attività della corteccia prefrontale nei soggetti depressi. Disfunzioni endocrine: elevati livelli di cortisolo, spesso legati a stress cronico, sono comuni nella depressione. Depressione, sistema immunitario e malattie fisiche Negli ultimi anni si sono accumulate una serie di evidenze mediche relative al legame tra uno stato di infiammazione sistemica e i disturbi mentali come la depressione, questo rapporto sembra essere suggerito dalla modalità attraverso cui la depressione si manifesta in tutto lo spettro delle malattie infiammatorie autoimmuni, caratteristica che suggerisce una reale relazione tra infiammazione e risposta emotivo- affettiva La depressione può ridurre l’efficacia delle risposte immunitarie protettive, aumentando il rischio di infezioni e malattie croniche. La depressione ha un impatto significativo sulle condizioni di salute fisica: I pazienti depressi sono più inclini a ricorrere a sostanze come alcool o droghe per alleviare sintomi come insonnia o ansia, peggiorando ulteriormente la loro condizione. La tendenza a trascurare la salute personale aumenta il rischio di malattie croniche, come la broncopneumopatia cronica ostruttiva. La depressione è un fattore di rischio indipendente per patologie cardiovascolari, livelli elevati di citochine pro-infiammatorie e fattori che favoriscono la coagulazione del sangue contribuiscono al rischio di infarti e ictus. Il Modello Cognitivo della Depressione di Aaron Beck Il modello cognitivo della depressione, sviluppato da Aaron Beck, si basa sulla teoria della Triade Cognitiva, che identifica tre schemi di pensiero negativo caratteristici: Pensieri negativi su se stessi: l’individuo si percepisce inadeguato, indegno o incapace. Pensieri negativi sul mondo: il mondo è visto come ostile, ingiusto e pieno di ostacoli insormontabili. Pensieri negativi sul futuro: il futuro appare privo di speranza, con convinzioni di fallimento inevitabile. I pensieri disfunzionali della triade cognitiva non solo alimentano emozioni negative come tristezza, ansia e disperazione, ma impediscono alla persona di agire in modo efficace, consolidando un ciclo depressivo: 1. Stimolo interno o esterno scatenante attiva un pensiero negativo. 2. Distorsione cognitiva. 3. Il pensiero distorto genera emozioni negative. 4. Ritiro comportamentale con isolamento o cessazione di azione, confermando i pensieri negativi. 5. Conseguenze dell’isolamento, fallimenti e sofferenza rafforzano le convinzioni depressive. La terapia cognitiva mira a: Identificare e correggere i pensieri disfunzionali della triade cognitiva. Ridurre le distorsioni cognitive, favorendo un’elaborazione più razionale e flessibile della realtà. Interrompere i cicli di mantenimento depressivi, promuovendo comportamenti attivi e costruttivi. Sviluppare un’attenzione al presente e un approccio meno fatalistico verso il futuro. Beck pone l’attenzione sui contenuti coscienti del pensiero, ipotizzando che correggere tali schemi disfunzionali possa rappresentare una chiave terapeutica per la depressione. Distorsioni cognitive e processi disfunzionali Le distorsioni cognitive rappresentano errori sistematici di ragionamento, derivanti da convinzioni irrazionali e consolidate durante l’infanzia in risposta a modelli educativi e ambientali. Principali distorsioni cognitive: 1. Saltare a conclusioni definitive senza dati sufficienti. Esempio: “Le mie colleghe ridono tra loro; stanno sicuramente parlando male di me.” 2. Lettura della mente: attribuire intenzioni o pensieri agli altri senza prove. Esempio: “Sono certo che pensa che io sia incapace.” 3. Generalizzazione arbitraria: applicare un’esperienza negativa a tutte le situazioni simili. Esempio: “Ho fallito questo esame; fallirò anche tutti gli altri.” 4. Personalizzazione: attribuire eventi esterni a colpe personali. Esempio: “Mio figlio si droga perché sono un cattivo genitore.” 5. Fare l’oracolo prevedendo il futuro come inevitabilmente negativo. Esempio: “Siccome ho sempre rovinato le relazioni, anche questa finirà male.” 6. Pensiero dicotomico: interpretare situazioni in termini estremi (“tutto o niente”). Esempio: “Se non riesco a essere perfetto, sono un fallito.” 7. Pensiero catastrofico: immaginare le peggiori conseguenze possibili. Esempio: “Se esco di casa e mi vedono ingrassato, mi isolerò per sempre.” 8. Ragionamento emozionale basato unicamente sulle emozioni. Esempio : “Mi sento inutile, quindi la mia vita deve davvero essere un fallimento.” Rimuginio e Ruminazione Il rimuginio è una sequenza di pensieri e immagini caratterizzati da un contenuto negativo e da un senso di perdita di controllo, si può intendere come tentativo di risolvere problemi mentali legati a questioni con esito incerto. Le caratteristiche principali sono: Paura e ansia, poiché il focus è rivolto verso il futuro. Appare come un processo di problem-solving, ma in realtà aumenta l’attivazione ansiosa. Spesso giustificato come una modalità per prepararsi al peggio o per evitare situazioni temute. La ruminazione è una modalità di risposta alla sofferenza che comporta un’analisi ripetitiva e passiva sui sintomi negativi, sulle loro cause e conseguenze, senza un’effettiva risoluzione dei problemi. Le caratteristiche principali sono: Focalizzato sul passato o sugli eventi accaduti. Non porta all’elaborazione o alla risoluzione attiva dei problemi. Associata a pensieri automatici, schemi cognitivi negativi e stili cognitivi disadattivi (pessimismo, autocritica, isolamento sociale, dipendenza). Incrementa emozioni negative come tristezza, rabbia e senso di impotenza. Terapie farmacologiche e biologiche contro i disturbi dell’umore Antidepressivi: IMAO (anni ‘50): agiscono inibendo la monoaminossidasi. Antidepressivi triciclici (fine anni ‘50): inibiscono la ricaptazione di serotonina e noradrenalina. SSRI (fine anni ‘80): inibiscono selettivamente la ricaptazione della serotonina (fluoxetina, paroxetina). Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS): Trattamento innovativo che utilizza impulsi magnetici per modulare l’attività cerebrale, utile in casi di depressione resistente. 7- Problemi psicologici dell’anziano Gli anziani possono essere suddivisi in tre categorie principali: Giovani anziani: tra i 65 e i 74 anni. Anziani anziani: tra i 75 e gli 84 anni. Ultra-anziani: a partire dagli 85 anni. Con l’avanzare dell’età, si verifica un declino delle funzioni cognitive, che include la riduzione della memoria, dell’apprendimento, del linguaggio e rigidità nei processi cognitivi. Le funzioni di intelligenza cristallizzata (legate all’esperienza) sono generalmente meglio conservate, permettendo di utilizzare la propria esperienza per affrontare nuove situazioni, vantaggi che possono anche superare quelli delle persone più giovani. Invecchiamento e riorganizzazione dell’identità personale Modifiche del ruolo sociale ed economico: pensionamento, cessazione di attività remunerate e l’esclusione da ruoli significativi. Problematiche di salute e autosufficienza: l’invecchiamento fisiologico e l’insorgenza di patologie acute o croniche (come il dolore cronico e l’insonnia) influiscono sull’autosufficienza. Perdita da lutto e riduzione della rete sociale: la vedovanza e la perdita di persone care sono comuni, contribuendo a una solitudine crescente. Cambiamenti del contesto sociale: trasferimenti, cambiamenti abitativi, o l’istituzionalizzazione portano a difficoltà nell’adattamento. Diagnosi differenziale Alcune patologie mentali sono comuni nell’anziano, ma possono essere erroneamente scambiate. La diagnosi differenziale include: Delirium (stato confusionale acuto) Il delirium è una condizione frequente negli anziani, spesso alternata tra episodi di delirio e momenti di tranquillità o apatia. Sintomi: scarso funzionamento intellettivo, perdite di memoria. Caratteristiche: insorgenza rapida, durata breve e recupero possibile. Demenza e Pseudodemenza La demenza è una condizione di deterioramento cognitivo progressivo che interferisce con le capacità quotidiane, è causata da malattie neurodegenerative come Malattia di Alzheimer, Demenza Vascolare, Demenza Fronto-Temporale, e Demenza da Corpi di Lewy. Sintomi principali: amnesia e disorientamento, agitazione, irritabilità e depressione, perdita di autonomia nelle attività quotidiane. Valutazione: la diagnosi avviene tramite neuropsicologia, esami strumentali e monitoraggio continuo. La pseudo-demenza è una condizione psichiatrica che imita la demenza, ma non ha origine da una degenerazione neurologica. Si riscontra in soggetti con disturbi depressivi, causando sintomi cognitivi simili a quelli della demenza. Criteri diagnostici della pseudodemenza: - Deterioramento intellettivo associato a un disturbo psichiatrico primario. - Anomalie neuropsicologiche che richiamano deficit cognitivi, ma non sono spiegabili da un processo neuropatologico. Distinzione tra pseudodemenza e demenza: Consapevolezza della disfunzione: la persona con pseudodemenza è consapevole dei suoi deficit cognitivi enfatizzando la propria disabilità, mentre il paziente con demenza non lo è. Progressione dei sintomi: la pseudodemenza presenta una progressione rapida dei sintomi con esordio improvviso e procece , mentre la demenza ha un decorso più lento, sviluppandosi gradualmente in fase avanzata. Precedenti psichiatrici: comuni nella pseudodemenza, rari nella demenza. Perdita di memoria: nella pseudodemenza, la memoria autobiografica recente viene confusa o minimizzata, mentre nella demenza si verifica una perdita significativa di memoria biografica recente. Depressione negli anziani La depressione è uno dei disturbi psichiatrici più comuni tra gli anziani, è strettamente legata all’isolamento sociale e alla perdita di autonomia e viene spesso trattata principalmente con farmaci antidepressivi, ma con dosi talvolta sottodosate, soprattutto a causa della politerapia che l’anziano spesso segue. Preoccupazioni: effetti collaterali degli antidepressivi, come problemi cardiologici e osteoporosi Molti anziani non si rivolgono al medico per sintomi psicologici, segnalano sintomi fisici come perdita di appetito, calo di peso, riduzione della libido, stipsi, e disturbi del sonno. La vergogna per un disturbo psicologico impedisce loro di esprimere le difficoltà emotive, usando i sintomi fisici come “avvicinamento” al medico e ai familiari. Le principali differenze tra la depressione nell’anziano e nel giovane adulto includono: Anziani: sintomi somatici più evidenti, con frequente ipocondria e preoccupazioni per salute, meno esplicitazione di umore depresso. Giovani adulti: manifestano l’umore depresso come sintomo principale, con minori preoccupazioni somatiche e meno ansia. Prevalenza della depressione nell’anziano variabile a seconda del contesto in cui si trovano: A domicilio: 1-4%. Malati a domicilio: 7-36%. Ricoverati: 15-43%. In strutture residenziali: 42-51%. La depressione è particolarmente comune tra gli anziani ricoverati o residenti in strutture, dove l’isolamento e la perdita di autonomia possono peggiorare i sintomi. Nell’anziano, la depressione non si manifesta sempre come tristezza evidente, ma può includere: Sintomi d’ansia com preoccupazione, apprensione, irritabilità. Sintomi somatici come dolori articolari, cefalee, palpitazioni, tachicardia e forte ipocondria. Disturbi del sonno con risvegli notturni frequenti e risveglio precoce al mattino. Apatia e coartazione affettiva con relativo diminuzione dell’interesse nelle attività. Ideazione suicidari nei casi più gravi. Ansia L’ansia negli anziani può manifestarsi in modo atipico rispetto agli adulti più giovani, con una commistione di sintomi cognitivi, emotivi e somatici. Spesso, l’ansia negli anziani si presenta come un disturbo ansioso-depressivo misto. Sintomi comuni dell’ansia negli anziani: Riduzioni cognitive: difficoltà della concentrazione, dell’attenzione e della memoria. Sintomi somatici: sensazioni di mancamento e vertigini, insonnia, irrequietezza motoria. Ipossia psico-emotiva: i livelli elevati di ansia possono mascherare sintomi di malattie cardiovascolari, endocrine e neurologiche, portando l’anziano a credere erroneamente di essere affetto da queste patologie (timori ipocondriaci) Sintomi psicotici Nell’anziano, i sintomi psicotici, come i pensieri deliranti, possono manifestarsi in modo paranoico, con convinzioni di essere vittima di furti, tradimenti o maltrattamenti. Questi sintomi possono essere innescati da perdite sensoriali, demenza o isolamento sociale. Farmaci e Istituzionalizzazione Uso di farmaci: spesso i medici adottano un atteggiamento fatalista nei confronti delle difficoltà psicologiche dell’anziano, prescrivendo farmaci in maniera eccessiva, con eventuale assuefazione e intossicazione. Istituzionalizzazione: l’ingresso in una struttura residenziale può portare a apatia, deterioramento psicofisico, e un incremento di stati ansiosi e depressivi. Suicidio negli anziani: la depressione è una delle principali cause del suicidio negli anziani, più frequente tra gli uomini. Il Paese Ritrovato: un modello di residenzialità alternativa Il “Paese Ritrovato” rappresenta un modello innovativo di residenzialità alternativa, inaugurato nel 2018, progettato specificamente per adulti con demenza lieve o moderata, distinguendo dalle tradizionali strutture di lungodegenza, offrendo ai residenti maggiore autodeterminazione e indipendenza. Le caratteristiche principali includono: Accesso autonomo alle attività, che consente agli ospiti di scegliere liberamente attività come teatro, giardinaggio, cucina o lettura. Un ambiente progettato per il benessere, con piazze, cappella, sale eventi, cinema, bar, parrucchiere, minimarket e spazi verdi favoriscono stimoli sensoriali e connessione con la natura. Design innovativo, con appartamenti dotati di tecnologie domotiche avanzate, che assistono nelle attività quotidiane. Personalizzazione del soggiorno, grazie a spazi privati con accesso a giardini e orti. Tra i benefici riscontrati vi sono la riduzione dell’ansia e dell’aggressività senza ricorrere a terapie sedative, un miglioramento degli stati depressivi attraverso interventi non farmacologici e una maggiore soddisfazione dei familiari, che percepiscono un miglioramento nella qualità di vita dei propri cari. Il disturbo e la personalità nell’anziano La relazione tra disturbo psichico e personalità è un tema rilevante, poiché il disturbo può modificare la personalità del soggetto, ma la persona resta ancora responsabile dei propri comportamenti. Punti chiave: Continuità tra personalità e malattia: la personalità del paziente può influenzare l’esperienza del disturbo e come affrontarlo. Responsabilità del comportamento: il paziente conserva una parte di responsabilità rispetto ai propri comportamenti, anche quando è affetto da una malattia psichiatrica. Linguaggio e significato: è importante usare un linguaggio che rispetti la dignità del paziente, evitando etichette stigmatizzanti. 7- Disturbo Bipolare: Caratteristiche, Diagnosi Clinica e Trattamento Il disturbo bipolare presenta una prevalenza dell’1-1,5% nella popolazione generale, non mostrando differenze significative tra uomini e donne (rapporto 1:1), anche se le donne sono più inclini a sviluppare cicli rapidi. L’età di esordio si colloca tipicamente tra i 15 e i 25 anni, ma spesso si verifica un ritardo nella diagnosi, che può arrivare a 7-10 anni dall’esordio dei sintomi. Il disturbo bipolare coinvolge il tono dell’umore e si manifesta con oscillazioni tra due poli: un polo “alto” (mania o ipomania) e un polo “basso” (depressione). Questi cambiamenti non sono improvvisi, ma si sviluppano gradualmente, con possibili periodi liberi da sintomi. La frequenza e l’intensità degli episodi variano in base alle caratteristiche individuali del paziente. Tra i fattori di rischio aspecifici troviamo: Familiarità (presenza di disturbo bipolare nei genitori). Esordio precoce (prima dei 18 anni). Storie di maltrattamento o abuso durante l’infanzia. Eventi di vita stressanti. Abuso di sostanze. Invece alcuni fattori specifici aumentano il rischio di sviluppare episodi: 1.Perdita del sonno La deprivazione di sonno, acuta o cronica, può precipitare episodi maniacali, condizioni come il lavoro su turni o l’esposizione al jet-lag sono esempi di situazioni che interferiscono con il ciclo sonno-veglia. 2. Fattori ormonali La gravidanza rappresenta un momento critico, con una percentuale di ricorrenza post-partum che raggiunge il 67%. La mania post-partum si verifica nel 50% delle donne con precedenti episodi, ma il rischio può essere ridotto al 7-10% grazie a una terapia preventiva con litio. 3.Farmaci antidepressivi e sostanze stimolanti Il trattamento con antidepressivi deve essere attentamente monitorato, poiché può indurre episodi maniacali. Anche le sostanze stimolanti, sia lecite (es. caffeina) che illecite, rappresentano un fattore di rischio significativo: Alcol: Può inizialmente indurre euforia, socievolezza e disinibizione, ma successivamente causa sedazione, tristezza, aggressività e sonno disturbato. Caffeina: A bassi dosaggi migliora concentrazione e attenzione, ma a dosaggi elevati può provocare nervosismo, insonnia e agitazione psicomotoria. Classificazione nel DSM-5 E manifestazioni cliniche Il DSM-5 distingue diverse forme di disturbo bipolare in base alla gravità, alla durata e alla combinazione degli episodi maniacali, ipomaniacali e depressivi. Le principali categorie includono: Disturbo Bipolare I È caratterizzato dalla presenza di almeno un episodio maniacale, che può essere preceduto o seguito da episodi depressivi maggiori o ipomaniacali. Gli episodi maniacali rappresentano una condizione di alterazione marcata dell’umore e del comportamento. Episodio maniacale: Un episodio maniacale è caratterizzato da un periodo definito di umore anormalmente e persistentemente elevato, espansivo o irritabile, accompagnato da un aumento significativo dell’energia e dell’attività, che dura almeno una settimana (o qualsiasi durata se è necessaria l’ospedalizzazione). Durante un episodio maniacale devono essere presenti almeno tre dei seguenti sintomi (quattro se l’umore è solo irritabile): 1. Autostima ipertrofica o grandiosità: percezione esagerata delle proprie capacità e importanza personale. Possono emergere comportamenti seduttivi o euforici e una forte spinta a impressionare gli altri. 2. Diminuito bisogno di sonno: il paziente può dormire poche ore, rimanendo comunque attivo e produttivo. 3.Maggiore loquacità o spinta continua a parlare 4.Fuga delle idee o pensieri accelerati, spesso disorganizzati, che può rendere difficile la comprensione del discorso. 5.Distraibilità: incapacità di mantenere l’attenzione su un unico argomento, con frequenti distrazioni da stimoli esterni irrilevanti. 6.Aumento dell’attività finalizzata o agitazione psicomotoria: impegno in attività intense, disorganizzate o impulsive, con un coinvolgimento esagerato in progetti lavorativi, sociali o sessuali. 7.Coinvolgimento eccessivo in attività a rischio: comportamenti imprudenti, come spese esagerate, attività sessuali sconsiderate o decisioni finanziarie azzardate. Gli episodi maniacali possono essere scatenati da eventi stressanti, generando un ciclo di alterazioni dell’umore. Melanie Klein interpretava la mania come una difesa contro l’angoscia depressiva, utilizzata per evitare il confronto con il dolore emotivo. Episodi depressivi maggiori (non obbligatori per la diagnosi): caratterizzati da umore depresso e/o perdita di interesse o piacere accompagnati da altri sintomi depressivi, come alterazioni del sonno, senso di colpa eccessivo, difficoltà di concentrazione e pensieri suicidari. Disturbo Bipolare II Si differenzia dal Bipolare I per l’assenza di episodi maniacali. È caratterizzato da almeno un episodio ipomaniacale e da uno o più episodi depressivi maggiori. Episodio ipomaniacale: Umore anormalmente e persistentemente elevato, espansivo o irritabile, con aumento di energia o attività per almeno 4 giorni consecutivi. I sintomi sono simili a quelli dell’episodio maniacale, ma meno gravi, e non causano compromissione significativa delle funzioni sociali o lavorative né richiedono ospedalizzazione. Episodi depressivi maggiori: Fondamentali per la diagnosi, poiché rappresentano la parte più invalidante della condizione. Il Disturbo Bipolare II viene spesso sotto diagnosticato, poiché i sintomi ipomaniacali possono essere percepiti come meno problematici e passare inosservati. Tuttavia, la ricorrenza degli episodi depressivi contribuisce in modo significativo alla disabilità del paziente. Stato Misto Lo stato misto è una condizione del disturbo bipolare in cui sintomi maniacali e depressivi coesistono simultaneamente. Questo stato è caratterizzato da una combinazione di ansia, irritabilità, depressione, tensione emotiva e comportamenti disorganizzati, aumentando il rischio suicidario significativamente. I pazienti possono presentare un quadro di disorientamento e oscillazioni rapide dell’umore, rendendo questa condizione particolarmente complessa da gestire. Trattamento Il trattamento del disturbo bipolare richiede un approccio integrato: Farmaci stabilizzatori dell’umore: Litio, anticonvulsivanti, antipsicotici atipici. Psicoterapia: Terapie cognitivo-comportamentali, interpersonali e psicoeducative. Interventi psicosociali: Educazione del paziente e della famiglia per riconoscere precocemente i sintomi e prevenire ricadute. Diagnosi Differenziale del Disturbo Bipolare (DB) La diagnosi differenziale del Disturbo Bipolare (DB) è cruciale per distinguere il disturbo da altre condizioni che presentano sintomi simili. È essenziale considerare diverse patologie mediche, psicologiche e psichiatriche durante la valutazione, così da garantire un trattamento appropriato. Disturbo Bipolare I vs Disturbo Bipolare II Disturbo Bipolare I si caratterizza per la presenza di uno o più episodi maniacali o episodi misti (inclusi sintomi di mania e depressione simultaneamente). Un episodio maniacale è essenziale per la diagnosi di DB I. Disturbo Bipolare II, invece, è diagnosticato in presenza di almeno un episodio ipomaniacale (un episodio meno grave rispetto alla mania) e un episodio depressivo maggiore, ma senza mai sviluppare un episodio maniacale completo. Quando una persona precedentemente diagnosticata con DB II sviluppa un episodio maniacale o misto, la diagnosi cambia in Disturbo Bipolare I. Disturbo Borderline di Personalità Il Disturbo Borderline di Personalità (DBP) può presentare caratteristiche simili al disturbo bipolare, come oscillazioni umorali e impulsività. Tuttavia, vi sono differenze sostanziali: Nel DBP, le fluttuazioni dell’umore sono più frequenti e brevi, spesso scatenate da eventi esterni, come frustrazione, rifiuto o perdita. Nel DB, le oscillazioni dell’umore sono episodiche, non immediatamente connesse a stimoli esterni, e possono essere molto più gravi (specialmente nei periodi maniacali o depressivi). I comportamenti impulsivi nel DBP si manifestano più frequentemente, mentre nel DB, si verificano solo durante i periodi maniacali o ipomaniacali. Alcuni clinici ritengono che il disturbo borderline rappresenti una forma di ciclicità estremamente rapida, ma le differenze nei pattern di umore e nella risposta emotiva tra i due disturbi sono cruciali per la diagnosi differenziale. Valutazione e Strumenti Diagnostici del Disturbo Bipolare La diagnosi del Disturbo Bipolare (DB) si basa su una valutazione clinica accurata che integra informazioni cliniche, familiari e sintomatologiche. La valutazione include: Valutazione Clinica La diagnosi di DB è costruita attorno a un’accurata raccolta di informazioni, che comprende: Indagine sulla storia familiare del disturbo, poiché è noto che vi è una componente genetica. Analisi dettagliata dei sintomi di entrambe le fasi del disturbo (depressione e mania) e della frequenza e durata degli episodi. Identificazione di eventi stressanti o fattori scatenanti che possano influire sull’andamento del disturbo. Valutazione del supporto sociale e familiare del paziente, che è cruciale per la gestione del disturbo. Comorbidità e condizioni mediche generali: indagine su eventuali altre condizioni psichiatriche o mediche che potrebbero influenzare il decorso del disturbo (ad esempio, disturbi d’ansia o uso di sostanze). Strumenti Diagnostici: Per integrare la valutazione clinica, vengono utilizzati diversi strumenti di valutazione psicometrica e questionari: MADRS (Montgomery-Asberg Depression Rating Scale): misura la severità della depressione. CGI (Clinical Global Impression): valuta il grado complessivo di gravità del disturbo. Young Mania Rating Scale (YMRS): strumento specifico per la valutazione della mania. FAST (Functioning Assessment Short Test): valuta il funzionamento globale del paziente. MINI (Mini International Neuropsychiatric Interview): intervista diagnostica strutturata per varie condizioni psichiatriche. GAF (Global Assessment of Functioning): misura il funzionamento globale del paziente. Questionari Autosomministrati: State-Trait Anxiety Inventory: misura il livello di ansia. Altman Self-Rating Mania Scale: strumento utile per auto-valutare i sintomi maniacali. Questionario di autovalutazione sui sintomi della depressione: utile per monitorare i sintomi depressivi e la loro intensità. DB e Deficit Cognitivi Evidenze scientifiche suggeriscono che il DB è associato a deficit cognitivi stabili e localizzati che si manifestano in tutte le fasi del disturbo, inclusa la fase di remissione sintomatica. Questi deficit comprendono: Funzioni mnesiche ed esecutive: difficoltà nella memoria a breve termine, nella pianificazione e nel problem solving. Attenzione sostenuta: difficoltà a mantenere l’attenzione per periodi prolungati. Riduzione delle capacità di ricordare informazioni a breve termine (MDL) e di usarle in modo funzionale. Flessibilità cognitiva scadente Inoltre, l’incremento dell’età nei soggetti con DB è associato a disturbi delle funzioni visuo-spaziali, dei tempi di reazione e del linguaggio. La gravità della disfunzione cognitiva è correlata a: Il numero di episodi maniacali nel corso della vita. Il numero di ospedalizzazioni. L’esordio e la durata della malattia. Linee Guida NICE e Interventi Psicosociali Le linee guida NICE raccomandano l’adozione di una terapia combinata, che integra interventi psicosociali e trattamento farmacologico. Tali approcci sono particolarmente utili nei trattamenti per adulti, bambini e giovani, poiché in questi gruppi di età possono esserci complicazioni derivanti da altre condizioni, come il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD). Le linee guida pongono un’enfasi particolare sul coinvolgimento del paziente nel definire il trattamento, discutendo anche questioni relative alla contraccezione e ai rischi di gravidanza con le donne in età fertile, nonché sul monitoraggio e auto-gestione della malattia. Gli approcci psicosociali combinati con la terapia farmacologica sono fondamentali per gestire il DB, i principali sono: Psicoeducazione (PE): aumenta la consapevolezza riguardo la natura del disturbo e i segnali precoci. Terapia Cognitivo-Comportamentale (TCC): utile per il trattamento dei sintomi depressivi e maniacali. Family Focused Therapy (FFT): coinvolge la famiglia nella gestione del disturbo e nell’educazione sui sintomi. Terapia Interpersonale e dei Ritmi Sociali (IPSRT): aiuta a regolare i ritmi quotidiani e sociali per prevenire le recidive. 9- Fattori e Condizioni di Rischio per il Suicidio Il rischio suicidario: valutazione, fattori di rischio e strategie di intervento Il suicidio rappresenta una delle principali cause di morte a livello globale, con una prevalenza maggiore tra giovani e adulti affetti da disturbi mentali, come depressione, disturbo bipolare, schizofrenia e dipendenza da sostanze. La complessità del rischio suicidario richiede una valutazione accurata e un intervento tempestivo. Fattori di rischio suicidario I principali fattori che contribuiscono al rischio suicidario includono - Disturbi psichiatrici come depressione maggiore e i sintomi associati a questi (disturbo bipolare, schizofrenia e disturbi da abuso di sostanze) sono fortemente correlate al suicidio. - Fattori psicologici come traumi passati, esperienze di abusi, perdita di una persona cara o isolamento sociale possono causare una percezione di incapacità a gestire lo stress emotivo, influenzando il rischio suicidario. - Fattori sociali e ambientali come solitudine, disoccupazione, povertà, conflitti familiari o sociali, discriminazione e mancanza di una rete di supporto rappresentano elementi di vulnerabilità. - Fattori biologici e un’ereditarietà genetica di disturbi psichiatrici e alterazioni chimiche cerebrali, come disfunzioni nei neurotrasmettitori (serotonina e dopamina), sono stati collegati a un rischio maggiore. - Uso di sostanze frequentemente associato a comportamenti suicidari, poiché queste sostanze riducono le inibizioni e alterano il giudizio. - Storia di tentativi precedenti - Ideazione suicidaria e impulsività: L’ideazione suicidaria acuta, specialmente se accompagnata da un piano dettagliato, e un alto livello di impulsività, spesso presente in episodi psichiatrici misti, aumentano il rischio. Segnali di allarme e valutazione del rischio I segnali di allarme come cambiamenti improvvisi nel comportamento, come isolamento o ritiro sociale, possono essere campanelli d’allarme, così come discorsi ricorrenti su morte e suicidio. La percezione di essere un peso per gli altri, l’aumento di comportamenti autolesionisti o l’abuso di sostanze, e la perdita di interesse per attività precedentemente piacevoli sono ulteriori indicatori di rischio.Valutazione dell’ideazione suicidaria La valutazione del rischio suicidario richiede l’esplorazione della durata e frequenza dei pensieri suicidari e della capacità del paziente di distoglierne la mente. È fondamentale considerare il rischio che tali pensieri si traducano in azioni, analizzando la gravità e la pianificazione dell’atto. L’ideazione suicidaria può assumere diversi significati: il desiderio di ricongiungersi con una persona amata, la volontà di punire o causare senso di colpa ad altri, la ricerca di sollievo da emozioni insostenibili o l’intenzione di porre fine a una vita percepita come priva di significato. L’autolesionismo, definito come il danneggiamento intenzionale del proprio corpo, non sempre implica un’intenzione suicidaria, ma può essere un indicatore di rischio che rappresenta una strategia disfunzionale per gestire emozioni insopportabili, trasformandole in dolore fisico. Tuttavia, esiste una progressione tra autolesionismo e pensieri suicidari, visibile attraverso frasi come: “Mi chiedo cosa vuol dire essere morti.” “So di volermi uccidere, ma non so come.” “Ho pensato a un piano preciso.” Strategie di prevenzione La prevenzione del suicidio si basa su diverse strategie integrate: Un piano di prevenzione personalizzato, sviluppato in periodi di stabilità, può ridurre il rischio durante le fasi acute. Limitare l’accesso ai mezzi suicidari, come armi o sostanze tossiche, è fondamentale. La consultazione con specialisti della salute mentale deve essere incoraggiata, superando la paura di un eventuale ricovero. Terapie farmacologiche (tra cui antidepressivi, anticonvulsivanti e antipsicotici) e approcci psicoterapeutici (come la terapia cognitivo-comportamentale) , se integrati, possono aiutare a ridurre l’aggressività e l’agitazione, dimostrandosi efficaci nella gestione dei pensieri suicidari. Un supporto psicologico e sociale continuo è essenziale per aiutare il paziente a superare la solitudine e l’impotenza. Terapie di gruppo, consulenze familiari e programmi di riabilitazione sociale sono utili per migliorare la qualità della vita e prevenire ricadute. A livello comunitario, campagne di sensibilizzazione e l’adozione di politiche pubbliche volte a migliorare l’accesso a risorse per la salute mentale, sono un passo cruciale per ridurre il numero di suicidi a livello globale. 10- La sintomatologia Psicotica I sintomi psicotici non si riferiscono a una diagnosi unica, ma sono un insieme di segni clinici che possono essere presenti in varie patologie psichiatriche. Tali sintomi possono manifestarsi in disturbi come Schizofrenia. Disturbo bipolare Disturbo schizoaffettivo Disturbo delirante Depressione maggiore con sintomi psicotici Demenza Anche l’uso di sostanze psicoattive, alcune malattie neurologiche o danni cerebrali possono essere fattori scatenanti di episodi psicotici. Un elemento comune in tutte le psicosi è l’alterazione della percezione della realtà, presentando sintomi che hanno un impatto significativo sulla vita quotidiana, influenzando il funzionamento sociale, scolastico e professionale. I pazienti possono sperimentare: Allucinazioni: percezioni sensoriali che non hanno una base reale. Deliri: convinzioni false che non si adattano alla realtà, mantenute anche di fronte a prove contrarie. Disfunzioni cognitive: difficoltà nella memoria, attenzione e funzioni esecutive. I sintomi psicotici sono divisi in due categorie: positivi e negativi: I sintomi positivi riflettono un’elevata attività cognitiva e sensoriale, spesso risultando in distorsioni delle funzioni mentali normali. Tra i sintomi positivi più comuni troviamo: Allucinazioni, ovvero percezioni sensoriali incontrollate ed errate , senza una base reale, queste possono essere di diversi tipi, tra cui uditive, visive, olfattive, tattili e cinestetiche. Deliri, convinzioni false che persistono nonostante le evidenze contrarie. Questi possono essere: - Non bizzarri: credenze che, pur essendo false, sono plausibili (es. credere di essere spiati). - Bizzarri: convinzioni assolutamente irrealistiche (es. credere che qualcuno abbia rimosso organi senza lasciare traccia). Eloquio disorganizzato: linguaggio incoerente, con difficoltà a seguire un filo logico. Comportamento disorganizzato o bizzarro: reazioni emotive e comportamentali inadeguate o incoerenti con il contesto. I sintomi negativi indicano una riduzione o perdita delle normali capacità cognitive ed emotive. Tra i sintomi negativi più comuni troviamo: Appiattimento affettivo: riduzione delle espressioni emotive, come la mimica facciale e il tono della voce. Alogia: riduzione nel fluire e nella produttività del pensiero e nel linguaggio. Abulia: incapacità di prendere iniziative o portare a termine attività quotidiane. Isolamento sociale: ridotto interesse per l’interazione sociale e le relazioni interpersonali. Diagnosi Differenziale La diagnosi differenziale rappresenta un passaggio cruciale per distinguere tra diverse condizioni psichiatriche che possono presentare sintomi simili, come deliri, allucinazioni, disorganizzazione del pensiero e sintomi affettivi. Identificare con precisione la patologia consente di adottare il trattamento più adeguato e di migliorare la prognosi del paziente. Schizofrenia La schizofrenia è una malattia psichiatrica cronica caratterizzata da: Deliri: credenze false che non cambiano nonostante prove contrarie (es. sentirsi perseguitati, convinzioni di grandezza). Allucinazioni: percezioni sensoriali in assenza di stimoli reali, come sentire voci inesistenti. Disorganizzazione del pensiero: discorso incoerente o incapacità di seguire un ragionamento logico. Sintomi negativi: riduzione della motivazione (abulia), appiattimento affettivo, isolamento sociale e anedonia (difficoltà a provare piacere). Criteri diagnostici: 1. Presenza di almeno due sintomi principali (deliri, allucinazioni, disorganizzazione del pensiero) per almeno un mese. 2. I sintomi devono persistere per almeno sei mesi, inclusi periodi di remissione parziale. 3. Deve esserci un impatto significativo sul funzionamento sociale, lavorativo o personale. La schizofrenia si distingue per la presenza predominante di sintomi psicotici e una durata minima di sei mesi. I sintomi affettivi (depressione o mania) non sono prominenti o costanti come nel disturbo schizoaffettivo. Disturbo Delirante Il disturbo delirante è caratterizzato da deliri persistenti in assenza di altri sintomi psicotici significativi. Caratteristiche principali: Deliri: credenze false, plausibili o bizzarre, che persistono nonostante prove contrarie. Funzionamento preservato: il paziente può mantenere un livello accettabile di funzionamento sociale e lavorativo, salvo interferenze dirette dei deliri. Assenza di allucinazioni o disorganizzazione del pensiero. Criteri diagnostici: 1. Deliri presenti per almeno un mese. 2. Assenza di sintomi che soddisfano i criteri per la schizofrenia. 3. Il comportamento del paziente non deve risultare chiaramente strano o bizzarro. Sottotipi del disturbo delirante 1. Erotomanico: convinzione che una persona sia innamorata del paziente. 2. Di grandezza (megalomania): convinzione di possedere talenti straordinari o di ricoprire un ruolo importante. 3. Geloso: convinzione infondata che il partner sia infedele. 4. Persecutorio: convinzione di essere perseguitati, spiati o sabotati. 5. Somatico: convinzione di avere gravi problemi fisici inesistenti (es. malattie o deformità). 6. Mistico: convinzione di avere un legame speciale con una divinità o una missione spirituale. 7. Misto: presenza di più temi deliranti senza predominanza di uno specifico. Disturbo Schizoaffettivo Il disturbo schizoaffettivo è una condizione in cui sintomi psicotici si combinano con alterazioni dell’umore. I sintomi principali sono: Psicosi: deliri, allucinazioni o disorganizzazione del pensiero, come nella schizofrenia. Disturbi dell’umore: episodi di depressione maggiore, mania o entrambi. Persistenza dei sintomi psicotici: i sintomi psicotici devono essere presenti per almeno due settimane in assenza di sintomi affettivi. Criteri diagnostici distintivi 1. La diagnosi richiede che i disturbi dell’umore siano prominenti per la maggior parte della durata della malattia. 2. I sintomi psicotici devono persistere anche quando i sintomi dell’umore sono assenti, differenziandolo da un disturbo dell’umore con psicosi. Gestione delle Voci La gestione delle voci è un aspetto cruciale nel trattamento dei pazienti psicotici. Le principali tecniche terapeutiche includono: Ascolto Incoraggiare il paziente a prestare attenzione alle voci, riducendo l’evitamento cognitivo. Tenere un diario delle voci può essere utile per monitorarne la frequenza e il contenuto. Dialogo Promuovere il dialogo tra il paziente e le voci, incoraggiando a porre domande diverse alle voci o a rispondere in modo diverso per cambiare il tipo di interazione. Negoziazione Quando le voci danno istruzioni dannose, il paziente può negoziare con esse, decidendo di non seguire le indicazioni o di limitarne l’influenza. Destinare un Tempo Specifico Il paziente può essere incoraggiato a dedicare un periodo specifico della giornata all’ascolto delle voci. Se le voci si manifestano al di fuori di quel momento, il paziente deve rispondere loro solo durante il tempo concordato. Farmaci Farmaci come gli antipsicotici e gli antidepressivi possono essere utilizzati per ridurre l’ansia associata alle voci, sebbene non siano sempre efficaci nel farle scomparire completamente. L’obiettivo è migliorare la capacità del paziente di esercitare un controllo sulle voci. 10- L’esame psicodiagnostico: definizione e utilità L’esame psicodiagnostico è un processo complesso che si articola in varie fasi: la raccolta, l’analisi e l’elaborazione delle informazioni psicologiche, finalizzata a comprendere meglio la situazione psicologica di un individuo. Uno degli aspetti importanti da sottolineare è che l’esame psicodiagnostico non si limita alla classificazione nosografica, cioè alla categorizzazione del paziente all’interno di un disturbo mentale, ma, piuttosto, mira ad approfondire l’analisi delle caratteristiche uniche di una persona, favorendo una conoscenza più dettagliata e completa delle sue dimensioni psicologiche. Modalità di conduzione dell’esame psicodiagnostico Nella pratica clinica, l’esame psicodiagnostico può essere effettuato in due modalità principali: 1-Colloquio clinico In alcuni casi, l’esame psicodiagnostico inizia con il colloquio clinico, che rappresenta il primo passo fondamentale dell’esame psicodiagnostico. Si tratta di un processo di indagine attivo, non passivo, il cui obbiettivo principale è esplorare a fondo il problema del paziente, non limitandosi ad ascoltarlo, ma investigando attivamente sui suoi pensieri, emozioni e comportamenti. Il colloquio clinico si basa su tre aspetti principali: Materiale cognitivo-verbale: ciò che il paziente pensa, sente e dice di sé. Osservazione comportamentale: durante il colloquio, si osservano anche i comportamenti del paziente, come le sue reazioni fisiche e verbali. Interazione interpersonale: l’interazione tra paziente e psicologo, che può rivelare aspetti significativi del comportamento interpersonale. Il colloquio clinico si articola in diverse fasi: Apertura: saluti iniziali, creazione di un’atmosfera accogliente. Parte centrale: esplorazione del problema, che può essere condotta in modo libero o strutturato. Chiusura e restituzione: conclusione del colloquio, con un feedback sul processo e sul percorso da seguire. 2-Tecniche psicodiagnostiche specialistiche Quando si tratta di una valutazione più strutturata, l’esame psicodiagnostico si avvale di tecniche diagnostiche precise, come test psicologici, questionari e interviste strutturate. Questo tipo di approccio è più approfondito e specialistico. L’esame psicodiagnostico è utile per rispondere a vari quesiti specifici, tra cui: La valutazione dell’indicazione per un percorso terapeutico. La valutazione delle condizioni psicologiche in contesti legali (es. richiesta di adozione o di transizione di genere). L’accertamento delle componenti psicologiche di una condotta criminale. L’integrazione di accertamenti medico-diagnostici, come quelli utilizzati nella riabilitazione o nella terapia del dolore. L’esame psicodiagnostico si avvale di un modello multidimensionale che integra tre principali canali informativi: Canale verbale: le informazioni che emergono attraverso la comunicazione verbale del paziente. Osservazione diretta: l’analisi del comportamento del paziente durante il colloquio. Registrazione strumentale: la misurazione dei parametri psicofisiologici, come la frequenza cardiaca e la conduttanza cutanea. Tecniche psicodiagnostiche L’esame psicodiagnostico si avvale di diverse tecniche, tra cui: 1.Assessment psicofisiologico: la valutazione delle risposte psicofisiologiche del soggetto, come la frequenza cardiaca, la pressione sanguigna, e l’attività mioelettrica, confrontando il livello di attivazione a riposo con quello durante stimoli specifici, al fine di identificare eventuali disallineamenti tra il resoconto soggettivo del paziente e i dati misurati. L’alessitimia, che rappresenta l’incapacità di riconoscere e verbalizzare le emozioni, può interferire con questo tipo di valutazione, rendendo difficile l’integrazione dei dati psicofisiologici con l’esperienza soggettiva. 2. Osservazione: l’osservazione del comportamento del paziente nell’ambiente naturale, come in strutture residenziali o scolastiche. Questo metodo si avvale di periodi di osservazione estesi per evitare il cambiamento comportamentale dovuto alla consapevolezza di essere osservati. Griglie di osservazione: strumenti specifici, come la Time Behavioral Checklist, che aiutano il clinico a registrare e analizzare in modo sistematico i comportamenti osservati. Automonitoraggio: il paziente stesso registra i propri comportamenti, consentendo una valutazione più dettagliata e diretta di eventi interni, come pensieri ed emozioni. 3.Interviste strutturate: queste sono tecniche standardizzate dove il contenuto e le modalità delle domande sono predefiniti. Tra le interviste strutturate più comuni, troviamo: AAI (Adult Attachment Interview): una tecnica per classificare lo stile di attaccamento nei soggetti adulti, basata su un’intervista semistrutturata che esplora le esperienze del paziente con le principali figure di attaccamento. Type-A Coronary Prone Behavior Structured Interview: un’intervista che misura la reattività emozionale di un individuo, connessa al rischio di malattie cardiovascolari. SCID-5 (Structured Clinical Interview for DSM-5): una flowchart per diagnosticare disturbi psichiatrici, basata su moduli specifici per ciascun tipo di disturbo. Camberwell Family Interview: intervista rivolta ai familiari dei pazienti psichiatrici per esplorare le emozioni espresse in relazione alla malattia del familiare. Errori di valutazione e bias Il processo di valutazione psicodiagnostica può essere influenzato da diversi bias, tra cui: Anchoring bias: tendenza a concentrarsi su informazioni iniziali, che possono distorcere il giudizio complessivo. Confirmation bias: la propensione a cercare solo informazioni che confermino un’ipotesi iniziale. Diagnosis momentum: la tendenza a essere influenzati dal contesto, che può portare a conclusioni premature. Order effect: l’influenza che l’ordine delle informazioni raccolte ha sulla valutazione finale. Overconfidence bias: eccessiva fiducia nelle proprie capacità di valutazione. Premature closure: conclusioni affrettate prima di aver raccolto tutte le informazioni necessarie. Questi bias devono essere attentamente monitorati per garantire una valutazione accurata e completa del caso. Test psicodiagnostici autovalutativi (autosomministrati) I test psicodiagnostici autosomministrati, o autovalutativi, sono strumenti che il paziente può completare in modo autonomo. Questi test si integrano con i colloqui clinici, fornendo una valutazione oggettiva di specifici costrutti psicologici e psicopatologici. È fondamentale che l’impiego di questi test sia strutturato in modo gerarchico: Si inizia con test ad ampio spettro, come il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI), la Batteria CBA o il Millon Clinical Multiaxial Inventory-III (MCMI-III). Successivamente, si utilizzano test più mirati e specifici, come lo State-Trait Anxiety Inventory (STAI) o il Beck Depression Inventory (BDI), che esplorano aree più ristrette del funzionamento psicologico. Esempi di test psicodiagnostici: 1. Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI): Uno dei test psicologici più usati, l’MMPI valuta tratti di normalità e psicopatologia. Comprende scale per ipocondria, depressione, paranoia, schizofrenia e altri aspetti psicologici. Inoltre, include scale di controllo per identificare eventuali tentativi di inganno. 2. Batteria CBA (Cognitive Behavioral Assessment): Un insieme strutturato di test che indagano aree disfunzionali nella vita del paziente. Include una cartella autobiografica che favorisce la ricostruzione della storia psicologica del soggetto, utile per il monitoraggio durante l’intervento psicologico. 3. State-Trait Anxiety Inventory (STAI): Strumento che misura l’ansia sotto due forme: l’ansia di stato (transitoria) e l’ansia di tratto (tendenza stabile nel tempo). È utile per distinguere fra le risposte ansiose a situazioni specifiche e la predisposizione a reagire ansiosamente. 4. Beck Depression Inventory (BDI): Questo test misura non solo la presenza della depressione, ma anche la sua intensità. Viene utilizzato per monitorare l’evoluzione del disturbo durante il trattamento. 5. Millon Clinical Multiaxial Inventory-III (MCMI-III): Specificamente progettato per diagnosticare i disturbi di personalità, questo test analizza vari pattern di personalità e sindromi cliniche, seguendo la classificazione del DSM per i disturbi di personalità. Tecniche proiettive Le tecniche proiettive si basano sull’idea che le risposte a stimoli ambigui possano rivelare aspetti nascosti della personalità. Questi strumenti non sono psicometrici come i test precedenti, ma offrono insight significativi sui conflitti interiori, i bisogni e le emozioni del paziente. Le risposte sono interpretate come proiezioni della psiche del soggetto. Esempi di tecniche proiettive: 1. Rorschach: Consiste in dieci tavole con macchie di inchiostro che il paziente deve interpretare. Le risposte sono analizzate per determinare fattori come la localizzazione, il contenuto, e l’originalità. 2. Test di Appercezione Tematica (TAT): Presentazione di immagini incomplete a cui il soggetto attribuisce un significato. L’interpretazione delle immagini aiuta a esplorare il mondo interno del paziente. 3. Disegni e giochi: Test come il disegno della figura umana o l’uso della sabbia (gioco del vassoio) permettono di esplorare simbolicamente le dinamiche psicologiche. 4. Test dei colori (Luscher): Il soggetto seleziona colori, e la scelta riflette aspetti emotivi e psicologici. 11-La Classificazione dei Disturbi Mentali e il DSM Per molto tempo, non é esistito un linguaggio comune tra i clinici riguardo alla diagnosi dei disturbi mentali, causando interpretazioni diverse di condizioni simili, un disturbo borderline poteva essere diagnosticato come schizofrenia o nevrosi a seconda del medico consultato. Questa mancanza di standardizzazione comportava anche differenze significative nelle stime di incidenza e frequenza dei disturbi, come nel caso della schizofrenia, che era 10 volte più diagnosticata a New York rispetto a Londra negli anni ’50 e ’60. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha affrontato questa sfida creando il Manual of the International Classification of Diseases (ICD), inizialmente senza includere le malattie mentali, che furono inserite solo nel 1946. Nel 1952, fu creato il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Diseases (DSM), poiché la classificazione dell’ICD era troppo generale. Oggi, il DSM e l’ICD sono sistemi diagnostici che utilizzano un approccio categoriale, classificando i disturbi mentali in categorie discrete, contribuendo a una buona affidabilità inter-rater. DSM e ICD: Sistema Categoriale e Empirismo Il DSM e l’ICD si basano su una classificazione categoriale, che assegna ogni disturbo a una categoria specifica, non permettendo sovrapposizioni tra categorie diverse, aiutando a ottenere una buona concordanza tra i professionisti. La definizione dei disturbi viene fatta tramite gruppi di lavoro che includono esperti in specifiche aree psicopatologiche e cliniche. Il DSM è fondato su un approccio empirico, con la partecipazione di oltre 1000 specialisti e 60 associazioni scientifiche. Anche se il DSM-5 (pubblicato nel 2013) e l’ICD-11 (versione aggiornata del sistema internazionale di classificazione delle malattie) sono stati creati separatamente, oggi sono interconnessi. Il DSM-5 rimane il riferimento per la ricerca sui disturbi mentali e la psicopatologia, mentre l’ICD-11 è utilizzato per la gestione clinica, economica e organizzativa dei servizi sanitari. Il Sistema Multiassiale nel DSM-IV Nel DSM-IV-TR (Text Revision) fino al 2000, i disturbi mentali erano classificati secondo un sistema multiassiale: Asse 1: diagnosi delle sindromi cliniche (es. disturbi dell’umore, psicosi) Asse 2: condizioni psicopatologiche e ritardo mentale Asse 3: condizioni mediche generali Asse 4: problemi psicosociali e ambientale Asse 5: valutazione del funzionamento globale del paziente Il DSM-5 ha introdotto un modello ibrido, che integra l’approccio dimensionale e categoriale valutando la presenza o assenza di un disturbo, ma anche la sua gravità, intensità e frequenza. La definizione di disturbo mentale nel DSM-5 è descritta come una sindrome che comporta un’alterazione significativa della cognizione, dell’emotività o del comportamento, con una disfunzione nei processi psicologici, biologici o evolutivi. Il PDM è un manuale di classificazione psicoanalitico creato nel 2006, che si integra con il DSM ha una funzione principale di spiegare il funzionamento mentale attraverso un approccio multidimensionale, che comprende: Asse P: personalità (organizzazione del funzionamento mentale della persona) Asse M: funzionamento mentale (capacità di elaborare informazioni, autoregolazione, qualità delle relazioni, ecc.) Asse S: sintomi e preoccupazioni manifeste Il DSM-5 raggruppa i disturbi mentali in categorie principali, ordinate per l’età di esordio: 1. Disturbi del neurosviluppo 2. Disturbi dello spettro della schizofrenia e altri disturbi psicotici 3. Disturbi bipolari e correlati 4. Disturbi depressivi 5. Disturbi d’ansia 6. Disturbi ossessivo-compulsivi e correlati 7. Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti 8. Disturbi dissociativi 9. Disturbo da sintomi somatici e correlati 10. Disturbi alimentari 11. Disturbi del sonno-veglia 12. Disfunzioni sessuali 13. Disforia di genere 14. Disturbi da comportamento dirompente, controllo degli impulsi e della condotta 15. Disturbi correlati a sostanze e dipendenze 16. Disturbi neurocognitivo 17. Disturbi di personalità 18. Disturbi parafilico 19. Altri disturbi mentali 20. Disturbi del movimento indotti da farmaci 21. Altre condizioni che richiedono attenzione clinica 12- Disturbi d’Ansia e Disturbi Ossessivo-Compulsivi Paura e Ansia: Due Pattern di Risposta La paura e l’ansia sono due risposte fondamentali regolate dal Sistema Nervoso Autonomo (SNA), ma presentano differenze sostanziali: Paura: È una reazione di allarme immediata e intensa in risposta a un pericolo reale e presente governata da uno stimolo esterno e si manifesta attraverso l’attivazione del meccanismo “attacco-fuga”, essenziale per preservare l’incolumità fisica. Ansia: Si tratta di una sensazione di apprensione più generalizzata e orientata verso un pericolo futuro ipotetico governata da uno stimolo interno e comporta un evitamento generale, che può variare in intensità e durata. Ansia: Funzione Adattiva e Caratteristiche Patologiche In condizioni normali, l’ansia ha una funzione adattiva, permettendo di individuare rapidamente i pericoli e mobilitare risorse per affrontarli, funzione paragonabile a quella del dolore, in quanto fornisce informazioni essenziali per la sopravvivenza. Tuttavia, l’ansia diventa patologica quando è eccessiva e si manifesta al di fuori di contesti realistici di minaccia. L’ansia patologica si configura come un costrutto bidimensionale, composto da: 1. Aspetti cognitivi, quali pensieri ripetitivi, preoccupazioni incontrollabili e difficoltà decisionali. 2. Aspetti psicofisiologici, come tensione muscolare, insonnia, irrequietezza e alterazioni del sistema nervoso autonomo. La preoccupazione, componente centrale dell’ansia, è un’attività cognitiva involontaria e incontrollabile, spesso associata a disagio emotivo e ebbene inizialmente orientata alla soluzione di problemi, quando assume intensità elevata può trasformarsi in evitamento cognitivo, rallentando i processi decisionali e inducendo comportamenti di procrastinazione. Epidemiologia dei Disturbi d’Ansia I disturbi d’ansia sono tra i più diffusi nella popolazione generale, colpendo il 29% degli individui (secondo dati statunitensi) almeno una volta nella vita. Rappresentano la categoria di disturbo mentale più comune tra le donne e la seconda più comune tra gli uomini. Questi disturbi hanno un’età di insorgenza precoce, spesso in adolescenza o nella giovane età adulta, e sono associati a numerose patologie fisiche croniche, come: Asma Dolore cronico Ipertensione Malattie cardiovascolari Sindrome del colon irritabile Inoltre, le persone con disturbi d’ansia sono grandi fruitori dei servizi sanitari, data la loro elevata comorbidità con altre condizioni psichiatriche e fisiche. Strutture Neurobiologiche Coinvolte Nei disturbi d’ansia, si osservano un’iperattivazione dell’amigdala (centrale nell’elaborazione delle emozioni), livelli elevati di noradrenalina e una ipoattività del sistema serotoninergico Secondo LeDoux (1996), esistono due percorsi principali nella valutazione del pericolo: Strada inferiore: Processo rapido e automatico, mediato dall’amigdala, che consente una risposta immediata alla minaccia, le terapie farmacologiche agiscono prevalentemente su questa, riducendo la risposta emotiva automatica Strada superiore: Processo più lento e dettagliato, mediato dalla corteccia, che permette una valutazione razionale dello stimolo, le terapie psicologiche influenzano questa, migliorando la valutazione cognitiva dello stimolo. Fattori Ambientali e Psicologici Molteplici fattori contribuiscono allo sviluppo dei disturbi d’ansia, tra cui: Modelli di attaccamento insicuri durante l’infanzia. Eventi di vita stressanti o traumatici. Caratteristiche genitoriali e stili educativi eccessivamente critici o iperprotettivi. Pensieri disfunzionali, come la percezione del mondo come intrinsecamente pericoloso. Distorsioni cognitive che influenzano l’attenzione, la memoria e l’elaborazione delle informazioni. Disturbo d’Ansia Generalizzato (GAD) Il disturbo d’ansia generalizzato (GAD) è caratterizzato da preoccupazioni croniche ed eccessive che riguardano numerosi aspetti della vita quotidiana, presentandosi come uno stato di allerta costante e generalizzato, che si protrae per almeno sei mesi. Secondo il DSM-5, il GAD si diagnostica se: L’ansia e la preoccupazione si manifestano per la maggior parte dei giorni per almeno sei mesi. Le preoccupazioni risultano difficili da controllare. Si accompagnano almeno tre dei seguenti sintomi: irrequietezza, affaticabilità, difficoltà a concentrarsi, irritabilità, tensione muscolare e alterazioni del sonno. I pazienti spesso riferiscono sensazioni costanti di agitazione, difficoltà nel prendere decisioni e previsioni catastrofiche riguardo al futuro. Le linee guida NICE (National Institute for Health and Care Excellence) raccomandano interventi integrati per la gestione del GAD: 1.Gestione immediata: Informazioni e supporto al paziente. Tecniche di problem solving. Farmaci ansiolitici. Autoaiuto. 2.Trattamenti a lungo termine: Terapie psicologiche, che integra tecniche di rilassamento e controllo della respirazione. Terapie farmacologiche con antidepressivi e ansiolitici. Programmi di autoaiuto per favorire l’autonomia del paziente e prevenire le ricadute. Attacchi di panico Gli attacchi di panico sono episodi di ansia intensa, breve e transitoria, caratterizzati da una paura o terrore acuto. Durante un attacco di panico, si avvertono almeno 4 dei seguenti sintomi: Palpitazioni o tachicardia Sudorazione Tremore Dispnea, sensazione di soffocamento Sensazione di asfissia Dolore al petto Nausea o disturbi addominali Sensazione di sbandamento o svenimento Derealizzazione o depersonalizzazione Paura di perdere il controllo o di impazzire Paura di morire Parestesie Brividi o vampate di calore Questi sintomi, sebbene possano variare in intensità e manifestazione, sono comuni durante gli attacchi di panico e portano frequentemente alla ricerca di assistenza medica, dato che molti di questi sintomi sono fisici. Si distinguono due tipi di attacchi di panico 1. Attacchi di panico provocati dalla situazione: Questi attacchi si manifestano durante o in attesa di una situazione temuta, come nel caso del disturbo post-traumatico da stress, è evidente un legame diretto tra lo stimolo e la risposta emotiva. 2. Attacchi di panico inaspettati, non provocati: Questi si verificano all’improvviso, senza preavviso, anche in assenza di uno stimolo apparente. L’esperienza soggettiva è spesso descritta come una sensazione di morte imminente, come se si fosse sul punto di avere un infarto o un ictus, oppure di impazzire o perdere il controllo. Disturbo di panico Il disturbo di panico si manifesta con attacchi di panico ricorrenti e inaspettati, che si verificano almeno una volta al mese. Gli attacchi possono comparire anche durante periodi di relax, durante il sonno o in situazioni quotidiane come guidare o trovarsi in mezzo alla folla. La persona può sviluppare una costante preoccupazione riguardo la possibilità di nuovi attacchi. Affinché un evento venga classificato come attacco di panico, devono essere presenti almeno 4 dei 13 sintomi descritti precedentemente. Il primo attacco di panico è spesso preceduto da un periodo di stress, che può essere lieve o intenso, o da eventi di vita particolarmente difficili, come la perdita di una persona cara, una separazione, un licenziamento o essere stati vittima di un crimine. Tuttavia, esiste una percentuale di persone che sviluppa il disturbo senza aver vissuto eventi stressanti significativi. Gli attacchi di panico sono più comuni (circa il 23% della popolazione) rispetto al disturbo di panico vero e proprio, inoltre, non tutti gli adulti che sperimentano un singolo attacco di panico sviluppano il disturbo di panico. Agorafobia L’agorafobia è caratterizzata dalla paura e dall’evitamento di luoghi affollati, come centri commerciali, cinema e negozi, temendo di trovarsi in situazioni in cui sarebbe difficile o imbarazzante scappare, o dove sarebbe complicato chiedere aiuto. Questa fobia può svilupparsi come complicanza dopo attacchi di panico in luoghi affollati, in cui si collega l’ansia agli stimoli o situazioni precedenti. L’agorafobia è composta da due elementi principali: 1. Ansia: la persona prova una forte ansia associata alla presenza in luoghi pubblici o affollati. 2. Evitamento: la persona sviluppa strategie di evitamento per evitare situazioni in cui la fuga potrebbe essere difficile o vergognosa, anche sviluppando una condizione di isolamento. Fobie specifiche Le fobie specifiche sono caratterizzate da una paura marcata e persistente, che viene riconosciuta come eccessiva o irragionevole, suscitata da oggetti o situazioni specifiche, tendendo a evitare le situazioni che li espongono agli oggetti o alle situazioni temute. Le fobie specifiche causano una significativa interferenza con le attività quotidiane, sociali e lavorative della persona. Caratteristiche delle fobie specifiche Un sintomo fobico tipico dura almeno 6 mesi o più e può compromettere seriamente la vita della persona. Questo disturbo non è meglio spiegato da altre condizioni, come gli attacchi di panico, l’agorafobia, la fobia sociale, il disturbo ossessivo-compulsivo o il disturbo post-traumatico da stress. Ad esempio, nella fobia del sangue, iniezioni e ferite, è presente una risposta lipotimica vasovagale, caratterizzata inizialmente da un’accelerazione della frequenza cardiaca, seguita da una decelerazione e un abbassamento della pressione sanguigna, differente dalla risposta fisiologica solita nelle altre fobie, che comporta solo un’accelerazione cardiaca. Avvicinandosi allo stimolo temuto, la persona con fobia può essere sopraffatta da un’intensa paura o ansia, che variano in intensità, inducendo a comportamenti di evitamento o fuga. Il comportamento fobico viene rinforzato da: - L’ evitamento che porta a una riduzione temporanea dell’attivazione ansiosa, creando un ciclo che perpetua la fobia. - L’ attenzione che la persona può ricevere da altri, con il rinforzo di vicinanza emotiva e il controllo sul comportamento degli altri. Nel DSM-5, le fobie specifiche sono suddivise in vari sottotipi, tra cui: Animali Ambienti naturali Sangue, iniezioni e ferite Situazionali (come la claustrofobia) Altre (come la paura di soffocare, vomitare o stare in spazi ristretti) Ipotesi eziologiche delle fobie specifiche Le fobie specifiche possono essere spiegate tramite varie teorie: Ipotesi freudiana: la fobia potrebbe avere un significato simbolico. Un esempio è la storia del piccolo Hans, che spostava la sua paura dei cavalli sul padre, a causa del conflitto edipico e del timore della rabbia paterna. Ipotesi cognitivo-comportamentale: la fobia sarebbe l’esito di un processo di condizionamento. Come dimostrato sperimentalmente sugli animali, un’esperienza traumatica associata a uno stimolo specifico può scatenare una risposta fobica. Le fobie possono essere trattate con tecniche come la desensibilizzazione sistematica, il modellamento partecipato, l’esposizione graduale e la ristrutturazione cognitiva delle cognizioni fobiche. Fobia Sociale La fobia sociale è caratterizzata da una paura marcata e persistente verso una o più situazioni sociali o prestazionali, come parlare in pubblico o interagire con persone non familiari, temendo di agire in modo inadeguato o di comportarsi in modo imbarazzante e che gli altri le giudichino negativamente. Questa paura può scatenare una serie di reazioni, tra cui l’ansia anticipatoria, ovvero una preoccupazione che inizia settimane prima dell’evento che viene percepito come minaccioso, che può diventare un circolo vizioso: la preoccupazione prima dell’evento aumenta l’ansia, portando a un comportamento di evitamento o ad una prestazione inferiore, che a sua volta rinforza la convinzione di inadeguatezza e di essere giudicati negativamente dagli altri. Il disturbo è suddiviso in due sottocategorie nel DSM V: La prima riguarda le situazioni in cui è richiesta una performance, come parlare in pubblico. La seconda sottocategoria riguarda situazioni in cui non è richiesta una performance, come mangiare in pubblico, e in questi casi può essere associato a un disturbo evitante di personalità. Cause Psicologiche della Fobia Sociale Le cause psicologiche della fobia sociale sono legate a esperienze di condizionamento classico o vicariante per imitazione). Molte persone affette da questo disturbo riconoscono l’origine del problema in esperienze traumatiche o umilianti vissute in passato, come ad esempio episodi di bullismo. Le differenze individuali giocano un ruolo fondamentale, con fattori di rischio che includono esperienze di separazione conflittuale dei genitori, conflitti familiari o abusi, che alimentano l’idea di imprevedibilità e incontrollabilità. I bias cognitivi sono un altro fattore importante nel manifestarsi della fobia sociale. Le persone con questo disturbo tendono a temere sempre il rifiuto o la valutazione negativa da parte degli altri, interpretando le informazioni ambigue nei contesti sociali come negative, favorendo un’autoimmagine di inadeguatezza. Dal punto di vista evoluzionistico, la fobia sociale potrebbe essere il risultato di una reattività intensa verso le espressioni facciali di disapprovazione o aggressività, legate alle gerarchie sociali che prevedono dominanza e sottomissione tra conspecifici. Cause Biologiche e Trattamento della Fobia Sociale Le cause biologiche della fobia sociale sono principalmente legate a tratti temperamental

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