PSICO COMUNICAZIONE '24 PDF
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Summary
These notes cover basic communication concepts, including the Shannon-Weaver model, semiotic approaches, pragmatic principles, and Austin's theory of speech acts. The document discusses how context, intentionality, and shared understanding play critical roles in effective communication.
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10/10/2024 (prima lezione) Per la scuola della pragmatica è impossibile non comunicare, qualsiasi nostro gesto ha un signifi- cato. Comunicare vuol dire non essere soli, ci permette di stare a contatto con qualcun altro e trasmettere informazioni. La comunicazione non avviene sempre in maniera verb...
10/10/2024 (prima lezione) Per la scuola della pragmatica è impossibile non comunicare, qualsiasi nostro gesto ha un signifi- cato. Comunicare vuol dire non essere soli, ci permette di stare a contatto con qualcun altro e trasmettere informazioni. La comunicazione non avviene sempre in maniera verbale, ma anche tramite le imma- gini, mediante il nostro stesso corpo, perfino in maniera non intenzionale (arrossire). Il fallimento di una relazione è quasi sempre un fallimento di comunicazione (Bauman), è una frase che indica che la relazione è comunicazione; infatti, se vogliamo metterci in relazione con qualcuno dobbiamo per forza comunicare in maniera verbale/non verbale, intenzionale non intenzionale. Il concetto che sta alla base è che l’interazione è fondamentale, anche se non è sempre detto che si abbia voglia di comunicare qualcosa, di parlare. Il termine “comunicare” Deriva dal latino communico, che significa “mettere in comune” “rendere partecipe”, quindi di condi- visione. È un processo interpersonale e sociale che consente a individui e/o gruppi di scambiare informazioni e creare significati condivisi; quindi, in questa definizione si sottolinea la dimensione interpersonale e sociale della comunicazione, specificando che non si tratta di un soliloquio (parlare con sé stessi) ma di mettersi in relazione con qualcun altro individualmente o in gruppo. Un aspetto importante della comunicazione è la trasmissione di messaggi e ancor di più di significati. La comunicazione può avvenire facendo riferimento al presente, passato e futuro, anche condivi- dendo o non condividendo lo stesso luogo e tempo; inoltre, un aspetto principale è che avviene in un ambiente sociale. Comunicare significa entrare in relazione, tramite la quale i partecipanti condividono: - un sistema di suoni significativi (es. comunicazione umana e animale). - un sistema di segni e significati (es. lingua e segni dell’italiano rispetto al cinese). Il segno deve corrispondere a qualcosa di reale. - un insieme di regole e convenzioni (es. la grammatica serve a comunicare; anche il sistema musica può essere una forma comunicativa) Comunicazione e comportamento - il comportamento è qualsiasi azione motoria di un individuo percepibile anche dall’altro. Ogni comunicazione è un comportamento, in quanto si esprime attraverso azioni manifeste, anche se non tutti i comportamenti sono comunicazione, così esistono forme informative ma non comuni- cative. - la “comunicazione è uno scambio interattivo osservabile tra due o più partecipanti, dotato di in- tenzionalità reciproca e di un certo livello di consapevolezze, in grado di far condividere un signi- ficato sulla base di sistemi simbolici e convenzionali di significazione e di segnalazione secondo la cornice culturale di riferimento” (Anolli, 2017). C’è la necessità di un interscambio e di condividere dei simboli, dei significati e una cornice cul- turale (insieme di regole linguistiche; modo di fare i numeri sulle dita; vicinanza mentre si comu- nica). 1 1 I CONCETTI BASE DELLA COMUNICAZIONE 1.1 Modello Shannon-Weaver (1949) Il modello Shannon e Weaver è stato elaborato nel 1949 e aveva come obiettivo quello di migliorare la comunicazione a distanza su larga scala. È un modello basilare della comunicazione, matematico perché l’approccio è decisamente formare e descrive la comunicazione come una trasmissione di informazioni da un mittente ad un destinatario. Il messaggio passa attraverso una serie di processi per arrivare al destinatario; il modello analizza quali sono i processi. Prendiamo in analisi ogni parte che va a costituire il processo comunicativo: L’emittente (o fonte) è una persona o un oggetto che ha un messaggio da inviare ad un destinatario. Il trasmettitore può essere una persona o uno strumento che converte il messaggio, che viene quindi codificato, in segnale. Il canale è un’infrastruttura che veicola il segnale (come un filo o una rete), che può essere soggetto a disturbi (rumori). Il ricevente (o ricevitore) è una persona o uno strumento che riceve il segnare e lo interpreta, deco- dificandolo. Il destinatario è una persona o un oggetto che riceve il messaggio. Il feedback venne aggiunto più tardi e permette di avere una conferma da chi ha ricevuto il messag- gio. Il modello presenta dei limiti: - è un modello di comunicazione lineare (one-way), molto adatto alla comunicazione tra macchi- nari, ma non valido per la comunicazione umana poiché non tiene in considerazione la possibilità di una risposta da parte del destinatario. - è un modello contenitore, ovvero che viene data importanza al contenuto e non viene fatta atten- zione a ciò che le parole possono trasmettere, ossia l’interpretazione da parte del destinatario del messaggio (una parola o una frase non possiedono unicamente un significato, ma ci sono vari modi in cui è possibile recepire, percepire ciò che viene detto). - non tiene conto dell’intenzionalità del soggetto, dei messaggi e del contesto. 1.1.2 Approccio semiotico La semiotica è una scienza che studia la vita dei segni nel quadro della vita sociale. Analizza i signi- ficati che vengono creati, comunicati e interpretati attraverso vari sistemi di segni, che possono es- sere immagini, gesti, linguaggio, alfabeto delle varie lingue. Il compito della semiotica è studiare il rapporto tra segni e significati. Nello specifico, il segno è qualcosa che sta per qualcos’altro. Secondo l’approccio semiotico la co- municazione è possibile tramite un processo di significazione, ovvero la capacità di generare signi- ficati attraverso l’uso condiviso di segni o simboli. È diverso dall’approccio matematico, in cui si parlava di trasmettere un segnale, perché in questo modello si parla di capire il significato del segno e come questo può essere interpretato. Il triangolo semiotico, ideato da Ogden e Richards nel 1923: chiarisce in che relazione sono segno e significato. Il segno, che viene usato per gli scambi comunicativi (es. parola), simbolizza la refe- renza. Questa è una rappresentazione mentale o concetto/idea corrispondente ad un simbolo, che fa riferimento ad un referente, un elemento reale a cui si riferisce il simbolo. Il simbolo corrisponde in maniera diretta alla referenza e in maniera indiretta al referente. Umberto Eco parlava di fallacia referenziale, referendosi all’errore di far corrispondere il simbolo ad un unico referente (es. “è una cagna” ci si può riferire ad un cane femmina oppure ad una donna; “batterie” può indicare sia le batterie del telecomando, sia lo strumento musicale). 2 L’intenzionalità (Grice, 1975) si verifica quando l’emittente manifesta l’intenzione di comunicare al ricevente e il significato viene costruito nella relazione interpersonale. È una proprietà di un’azione compiuta in modo volontario, deliberato e di proposito per raggiungere un certo scopo. L’intenziona- lità nello scambio comunicativo avviene quando il messaggio è prodotto intenzionalmente dall’emit- tente ed è riconosciuto e interpretato dal destinatario. Il modello informativo prevede la trasmissione di contenuti e il recapitare messaggi (trasmissione volontaria di un segnale). Segue un processo unilaterale, in cui l’iniziativa parte sempre dall’emit- tente e il feedback risulta essere successivo ad esso. Il modello comunicativo prevede un coinvolgimento, è uno scambio volontario e consapevole di un messaggio. Prevede un legame tra i due interlocutori caratterizzato da simultaneità, motivo per cui il feedback è previsto fin dall’inizio. Non c’è una distinzione tra emittente e ricevente, poiché entrambi ricoprono un ruolo di creazione di messaggi e contenuti. - Intenzionalità informativa: volontà di comunicare un certo contenuto al destinatario, quindi qualcosa che il destinatario non sa. - Intenzionalità comunicativa: coinvolgere il destinatario e condividere un contenuto, quindi dire qual- cosa che il destinatario non sapeva o di cui non era consapevole. Viene coinvolta, in questo caso, l’intenzionalità del destinatario. Un altro fattore fondamentale è il contesto. A seconda del contesto lo stesso messaggio può assu- mere significati diversi, un’interpretazione diversa; chi comunica usa le informazioni fornite dal con- testo per ridurre le ambiguità. I processi inferenziali che sono fondamentali nella comunicazione, si riferiscono alle abilità di dedurre informazioni non esplicitate nel messaggio, collegare informazioni tra loro con le informazioni già possedute e dedotte dal contesto (es. sono già le 8!). Alcuni indizi contestuali: (Grice,1975) - Deissi: piano della comunicazione relativo agli elementi del messaggio che consentono un riferi- mento diretto alla situazione del discorso nello spazio e nel tempo (spaziale, temporale e di per- sona). - Presupposizioni: informazione implicata alla base di un enunciato, condivisa dagli interlocutori e data per scontata, es: “Piove anche oggi” (pioveva anche ieri, piove sempre) oppure “Mario ha riparato la bicicletta” (la bicicletta era rotta). - Implicatura conversazionale: impegno reciproco a integrare il significato letterale del messaggio con conoscenze già possedute; sono negoziate e dipendono dal contesto; es. “Enrico è un mo- stro” (persona spregevole o che è molto bravo a fare qualcosa). Introduce l’aspetto pragmatico. 1.1.3 approccio pragmatico Ci sono tre settori per lo studio della comunicazione umana: - la sintassi è lo studio delle relazioni formali tra i segni. - la semantica è lo studio del significato dei segni. - la pragmatica è lo studio dell’uso dei significati e ha una caratteristica di relazione. È una branca della linguistica che studia come il contesto influenza l’interpretazione del significato nel linguaggio, si concentra sull’uso pratico del linguaggio come azione. È un approccio che pone importanza alla relazione tra i segni e coloro che li interpretano e ai processi impliciti della comunicazione. 1.2 La teoria degli atti linguistici di Austin (1962) 3 “Dire qualcosa equivale a fare qualcosa” e quindi comunicare equivale ad agire. È un enunciato che non descrive solo un contenuto, ma serve a compiere delle vere e proprie azioni in ambito comuni- cativo, motivo per cui Austin parla di “atti”. Ne distingue tre: - locutorio, ciò che il parlante dice, è l’atto di dire qualcosa. Si riferisce alle azioni che si compiono per il solo fatto di parlare. - illocutorio, le intenzioni comunicative del parlante, è l’atto nel dire qualcosa. - perlocutorio, gli effetti che la comunicazione produce sull’interlocutore, è l’atto con il dire qualcosa. Esempi: a) atto locutorio: “ti chiedo perdono”; atto illocutorio: ammettere le proprie colpe e voler fare pace; atto perlocutorio: ottenere il perdono di quella persona. b) atto locutorio: “ti dichiaro colpevole”; atto illocutorio: disapprovare l’altro; atto perlocutorio: otte- nere che l’altro si scusi o ripari al torto. Ogni atto linguistico può avere una propria forza, può essere modulato sul piano pragmatico, con più o meno forza. L’atto locutorio può essere rafforzato con il tono, l’atto illocutorio può essere mo- dulato tramite la scelta delle parole (es. “devi farlo”, “potresti farlo”), mentre l’atto perlocutorio può avere diversi effetti a seconda del contesto, delle credenze, dello stato d’animo, delle motivazioni. 1.3 Le massime conversazionali di Grice (1975) Grice riteneva che la comunicazione necessitasse di un principio di cooperazione: dai il tuo contri- buto al momento opportuno, così com’è richiesto dagli scopi e dall’orientamento della conversazione in cui sei impegnato. Il principio si basa su un accordo di base tra i partecipanti per dare il proprio contributo allo scambio comunicativo, in cui si stabiliscono delle regole implicite che guidano la co- municazione efficace, sottolineando l’importanza della cooperazione reciproca. Il rispetto di questo principio fa sì che la comunicazione sia funzionale, in caso contrario si possono generare degli ostacoli di comprensione o di ascolto. Si articola in quattro regole o massime conversazionali: qualità, quantità, relazione, modo. - Qualità: non dire ciò che credi falso (il contenuto deve essere vero) e non dire ciò per cui non hai prove adeguate (il contenuto deve essere sostenuto da prove adeguate). - Quantità: dare un contributo tanto informativo quanto richiesto (deve soddisfare la richiesta di in- formazioni in modo adeguato agli scopi della conversazione), non dare un contributo meno o più informativo del necessario (non deve fornire poche o troppe informazioni). - Relazione: il messaggio deve essere pertinente e relativo all’argomento della comunicazione. - Modo/maniera: la comunicazione deve essere chiara e non ambigua, quindi evitare espressioni oscure, ambiguità, essere breve, ordinato nell’esposizione. 14/10/2024 (seconda lezione) 1.4 la pragmatica della comunicazione umana (Watzlawick, 1971) Il linguaggio ha delle conseguenze sul piano del comportamento e delle relazioni. Ruolo della comunicazione nella costruzione della realtà soggettiva delle persone e nella determi- nazione delle qualità delle relazioni interpersonali. La pragmatica della comunicazione è una teoria generale dell’interazione nella comunicazione in- terpersonale basata su cinque assiomi. Sono delle proprietà, delle regole e sono sintetizzate in due assiomi fondamentali: 4 - Tutto è comunicazione, non è solo quella verbale, ma anche silenzi e comportamenti, ogni azione trasmette un messaggio. - Ogni comportamento è comunicazione e ogni atto comunicativo è un comportamento, la comuni- cazione essendo intrinsecamente relazionale plasma e modifica costantemente le relazioni sociali. Anolli ritiene che non tutti i comportamenti siano comunicazione, a differenza di quanto sostiene W. I cinque assiomi: 1) Non si può non comunicare, ogni comportamento manifestato da una persona in presenza di una o più persone, indipendentemente dalla consapevolezza e intenzionalità comunicativa, è comunica- zione. A volte non si è consapevoli che si sta comunicando (arrossire). È possibile non rispondere, rifiutarsi di rispondere, rispondere senza rispondere, ma è impossibile non comunicare. È un grande passo in avanti rispetto alle precedenti interpretazioni, perché entrano in gioco anche comportamenti non verbali. 2) Ogni comunicazione veicola un contenuto e una relazione. Il contenuto è ciò che si vuole dire tramite il messaggio linguistico o non linguistico, mentre la relazione è quella che intercorre tra gli interlocutori della comunicazione e fornisce una chiave di lettura del contenuto. Tramite il contenuto è possibile capire anche la relazione tra chi sta parlando, per esempio “Fai quel lavoro”(capo-dipen- dente) e “Ci sarebbe da fare quel lavoro” (due persone di pari livello); si tratta dello stesso contenuto, ma la relazione è diversa. 3) La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra co- municanti. La punteggiatura è l’interpretazione della realtà, punto di vista. Il modo di interpretare la comunicazione è funzione della relazione tra i comunicanti e della punteggiatura chi interpreta. La stessa realtà comunicativa può essere letta in modi diversi a seconda della punteggiatura adottata, per esempio: Antonio smette di parlare perché Carlo brontola, ma Carlo brontola perché Antonio ha smesso di parlare. 4) Gli esseri umani comunicano con il modulo digitale e il modulo analogico. Il modulo digitale è il canale verbale e l’analogico è il canale non verbale. Il primo avviene tramite la comunicazione di suoni e parole, tramite cui si possono esprimere un numero infinito di messaggi in maniera dettagliato e preciso; è il canale verbale e veicola gli aspetti del contenuto. Il secondo avviene tramite movimenti del corpo e si possono esprimere in modo immediato alcune emozioni e sensazioni non altrimenti comunicabili; è il canale non verbale e veicoli gli aspetti di relazione. 5) Gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza. Nelle relazioni simmetriche si ha un rapporto paritario tra gli attori della comunicazione; nelle rela- zioni complementari dove gli attori in un determinato momento specifico riconoscono che ci sono posizioni diverse dall’altro. Alcuni tipi di relazione sono stabili dal contesto sociale e culturale: i due tipi di relazione non sono positivi o negativi di per sé, entrambe sono positive o negative a seconda delle situazioni. 1.5 La competenza comunicativa Si intende la capacità di comunicare, la quale avviene quando si ha la padronanza delle regole formali di una lingua e al saper costruire frasi ben formate da un punto di vista sintattico; comprende anche la capacità di produrre enunciati adeguati alla specifica situazione comunicativa. Saper co- municare si riferisce anche al grado in cui gli individui soddisfano e percepiscono di aver soddisfatto il loro scopo in una data situazione sociale. Ritornano i concetti di intenzionalità, consapevolezza ed efficacia. Quest’ultimo termine è un co- strutto specifico, è il sentirsi capaci di fare qualcosa e si declina in vari sensi, come l’autoefficacia scolastica/accademica, oppure quella comunicativa. È un aspetto che correla molto con la 5 competenza effettiva, ovvero quanto mi credo capace e quanto effettivamente sono capace di fare quella determinata cosa. La competenza comunicativa è divisa in tre rami: 1) Sintattica, capacità di produrre frasi formalmente corrette e di comprenderle come tali in base a regole grammaticali. 2) Semantica, associale le parole a oggetti, eventi o situazioni. 3) Pragmatica, capacità di comunicare tenendo conto del contesto in cui avviene la comunicazione. 2 IL LINGUAGGIO VERBALE 2.1 La comunicazione verbale Alla base della comunicazione verbale c’è il linguaggio (scritto e verbale), che è un sistema di inter- scambio tra esseri umani, un sistema elettivo di trasmissione di messaggio nella comunicazione umana. Il linguaggio è una funzione cognitiva che permette di acquisire e usare una o più lingue, insieme alla percezione, all’attenzione, la memoria. È qualcosa di “osservabile” nel cervello, e si riflette come funzione cognitiva a diverse aree che sono deputate al linguaggio: - l’area di Broca è coinvolta nella produzione e nell’articolazione delle parole. - l’area di Wernicke è cruciale per la comprensione del linguaggio. - la corteccia visiva gioca un ruolo importante nell’elaborazione di lettere e parole scritte. Si sviluppa nel tempo (i bambini non sanno leggere alla nascita); inoltre è un’area deputata al riconoscimento degli oggetti. - la corteccia motoria è coinvolta nell’articolazione, nel movimento. Le afasie sono delle difficoltà linguistiche a seguito di una lesione di una determinata area del cer- vello, come l’ictus. 2.2 Approccio psicolinguistico La psicolinguistica è la psicologia della lingua, studia i meccanismi di produzione e la comprensione del linguaggio. La lingua viene intesa come un sistema di simboli combinabili secondo precise regole così da poter generare un numero infinito di possibili messaggi. 1) Fonologia, studia il sistema di suoni che costituiscono un linguaggio. 2) Semantica, che studia il significato delle parole. 3) Sintassi, studia le regole per combinare parole e frasi. 4) Pragmatica, studia le relazioni tra linguaggio e contesto/scopo. 17/10/2024 (terza lezione) 2.3 La struttura piramidale della lingua 6 1) I fonemi sono i suoni che compongono una lingua, le parti più piccole di cui sono composte le parole; non corrispon- dono alle parole. Per ogni lingua due suoni linguistici sono fonemi differenti se sostituendo l’uno con l’altro cambia il significato delle parole in cui compaiono (es. rana-lana). Ogni lingua possiede un numero finito di fonemi che possono essere pronunciati con differenti variazioni regionali, individuali o contestuali, dette allofoni (es. tendo, “n” dentale; banco, “n” velare). Nelle lin- gue orientali la “l” e la “r” sono allofoni, non c’è la percezione della distinzione. I morfemi sono combinazioni di fonemi. I morfemi hanno significato e iniziamo a parlare, quindi, di se- mantica. Sono unità con cui combiniamo le parole, es: gatt (morfema) -o,-ino,-accio (morfemi legati che hanno un significato). Non possiamo combinare tutti i morfemi di una lingua infinitamente, ma ne ha di definite, ovvero le parole del vocabolario. Esistono poi delle non-parole, che sono delle combinazioni di possibili morfemi che non hanno significato: darta (regolare, quando vengono seguite le regole linguistiche); datza (irregolare, com- bina suoni che non sono combinati), drtzc (illegale, sono combinazioni di suoni che non possono avvenire nella lingua d’origine). 2) Il grafema è una rappresentazione grafica della lingua, l’unità grafica del linguaggio. Non è sempre detto che corrispondano a delle lettere, pensiamo al caso della lingua cinese. Nelle cosiddette “lin- gue opache” come l’inglese e il francese, c’è poca corrispondenza tra fonema e grafema (suono e simbolo), mentre nelle “lingue trasparenti” come l’italiano c’è una buona corrispondenza. 3) I sintagmi, è l’unità minima di una catena sintattica (struttura con cui si dispongono le parole all’interno della frase). I sintagmi sono costituiti da una testa (parte fondamentale) e da dei modifi- catori (altri elementi del sintagma). SN (sintagma nominale) è formato da un articolo e da un nome (il bambino…mangia la mela). Ogni parola all’interno del sintagma ha una sua importanza. I sintagmi nominali contengono un nome, quelli verbali un verbo e quelli preposizionali una preposi- zione. Si comprende che la sintassi è complessa ed è un modo per capire come noi processiamo le frasi. 4) Le frasi sono una combinazione di parole e sintagmi determinate da regole sintattiche. Queste permettono di combinare i simboli del linguaggio (parole) per produrre dei significati complessi (testi e discorsi). Secondo Chomsky la sintassi permette di proiettare il finito (parole, regole grammaticali) nell’infinito (numero di frasi) e rende il linguaggio naturale uno strumento di comunicazione unico. Le diverse lingue presentano notevoli differenze, ma tale differenze sono di tipo superficiale. Tutte le lingue conosciute condividono un numero di elementi in comune chiamati universali lingui- stici; regole a cui tutte le lingue rispondono. Gli universali linguistici sono: 1) ciascuna lingua ha un numero finito di fonemi, 2) da un numero finito di fonemi è possibile costruire un numero finito di parole, 3) le parole di una lingua (lessico) sono in numero finito, 4) la relazione tra ciascuna parola e il proprio significato è arbitraria (scelta), 5) in qualsiasi lingua è possibile produrre un numero infi- nito di frasi (produttività linguistica). 2.4 Lo sviluppo del linguaggio: l’acquisizione della lingua madre Il linguaggio è un’abilità cognitiva complessa, tuttavia si impara a parlare e comprendere con poco sforzo. I bambini imparano a parlare velocemente, iniziano presto, senza istruzione formale. È stato provato in vari esperimenti che i bambini sono predisposti ad imparare qualsiasi lingua, ri- spondono a tutte le distinzioni possibili tra suoni diversi. Durante il primo anno di vita sono esposti ad una specifica lingua e si specializzano a distinguere i suoni di quella lingua. 7 2.4.1 Acquisire le regole grammaticali Chomsky si è occupato anche di capire come vengono acquisite le regole grammaticali. C’è una sorprendente velocità con cui i bambini raggiungono la padronanza del linguaggio, uno strumento molto complesso. I bambini in età prescolare non imparano esplicitamente le regole grammaticali e non vengono corretti quando producono frasi scorrette: gli adulti tendono a correggere il contenuto, cioè gli errori semantici e concettuali, ma non correggono le frasi scorrette da un punto di vista grammaticale. 2.5 Teoria innatista di Chomsky Parte dal presupposto che i bambini sono in grado di acquisire inconsciamente le strutture gramma- ticali, con un addestramento scarso e perfino nullo. Negli anni ’50-’60 immagina l’esistenza di un meccanismo innato di acquisizione del linguaggio (LAD, Language Acquisition Device), che è un meccanismo biologico che fornisce le regole generali della grammatica (grammatica universale) co- muni a tutte le lingue (teoria generativista). È la base di una ricerca di un’universalità del linguaggio; ciò che fa Chomsky è riflettere sulle strutture grammaticali comuni a tutte le lingue, per poi specializzarsi in una. 2.5.1 Teoria integrazionista La teoria di Chomsky è stata successivamente criticata, poiché poneva poca attenzione al contesto linguistico in cui si è inseriti. Le teorie più accreditate oggi ritengono che ci sia un’integrazione tra l’innatismo e l’esperienza; quindi, nasciamo con dei meccanismi innati ma l’integrazione con l’esperienza nel contesto ci aiuterà a sviluppare il linguaggio. Uno dei concetti chiave di queste teorie è il periodo critico, ossia un periodo in cui il bambino sia immerso in un contesto linguistico. 2.5.2 Grammatica generativo – trasformazionale È una delle opere di Chomsky; egli individua questo tipo grammatica per descrivere il modo in cui noi utilizziamo le strutture grammaticali e le regole per creare i nostri messaggi nello scrivere. Le regole trasformazionali agiscono come una struttura superficiale, producono una frase diversa dalla originale, anche se il significato della frase rimarrà lo stesso si modificherà unicamente la forma sintattica. Da questo si intuisce che esiste una struttura superficiale e una struttura profonda. Un esempio può essere la trasformazione di una frase dall’attivo al passivo. La differenza che intercorre tra struttura superficiale e profonda è che, la prima riguarda la forma sintattica mentre la seconda il significato della frase. Le frasi che derivano da altre frasi tramite l’applicazione delle regole trasformazioni, secondo Chom- sky, hanno una diversa struttura superficiale, ma stessa struttura profonda. 2.6 Ambiguità sintattica Esistono frasi che hanno una struttura superficiale uguale e una profonda diversa: “La vecchia porta la sbarra”, “La vecchia legge la parola”. Questo è già stato visto nella pragmatica, cioè che alcune parole possono avere molteplici significati a seconda della situazione. Chomsky ritiene che la frase dichiarativa attiva sia la più semplice e ogni trasformazione richiede lavoro cognitivo e tempi di comprensione più lunghi. Di seguito scriviamo le frasi che a mano a mano richiedono un tempo di elaborazione e comprensione sempre maggiore: attive, passive, interroga- tive, negative, passive negative, doppia negazione. 8 21/10/2024 (quarta lezione) 2.7 Esperimento di Slobin (1966) È una teoria che ha messo in dubbio le teorie di Chomsky, per quanto riguarda la comprensione linguistica e riguardo la valenza della grammatica, della comprensione di un messaggio e della sin- tassi. Slobin tiene in considerazione il ruolo del significato e si concentra su frasi che hanno struttura pro- fonda uguale, ma struttura superficiale diversa (esempio: frasi attive e passive). Il compito dei partecipanti è verificare se l’immagine presentata sullo schermo corrisponda alla frase che è scritta, premendo il pulsante “vero” o “falso”. Le frasi presentate sono le seguenti: “Il cane insegue il gatto” (attiva) “Il gatto è inseguito dal cane” (passiva); “La ragazza innaffia i fiori” (attiva) “I fiori sono innaffiati dalla ragazza” (passiva”. Se dovessimo prevedere le possibili risposte, riprendendo la teoria chomskiana dovremmo dire che la frase passiva richiede più tempo di elaborazione. Gli effettivi risultati hanno mostrato che la frase passiva “Il gatto è inseguito dal cane” ha richiesto più tempo rispetto a quella attiva “Il cane insegue il gatto”, confermando la teoria di Chomsky; mentre le frasi del secondo esempio hanno richiesto uguale tempo di elaborazione andando contro la teoria proposta da Chomsky. L’interpretazione dei risultati è semantica. Le informazioni semantiche sono i significati delle parole che costituiscono degli indici rilevanti per l’elaborazione della frase. Per quanto riguarda la frase del cane e del gatto, potrebbe essere semanticamente accettabile anche la situazione opposta (il gatto insegue il cane), ovvero è una frase reversibile. Nel caso della seconda frase, non è semanticamente accettabile il caso opposto (i fiori innaffiano la ragazza) e per questo è chiamata frase irreversibile. Da questa interpretazione ne deriva che non tutto è grammatica, per cui viene fatta una critica a quanto elaborato da Chomsky. 2.8 Effetto di formulazione delle frasi Vediamo ora come si integra la semantica alla sintassi. Il modo in cui le frasi vengono formulate influenza poi la successiva interpretazione; la grammatica generativo-trasformazionale assume che a) il significato veicolato dalle frasi attive e passive sia lo stesso, che b) le frasi attive e passive siano parafrasi e che c) la frase negativa neghi quella affer- mativa e per questo il significato della frase dovrebbe essere privo di ambiguità. Anche la formulazione della frase potrebbe veicolare dei messaggi, per esempio una frase passiva potrebbe implicare più attenzione rispetto al soggetto (significato pragmatico e non semplicemente semantico). Questo per dire che la struttura profonda non è sempre semplice da ricavare anche se quella superficiale è diversa. 2.9 Effetti delle insinuazioni prodotte dai mezzi di comunicazione di massa (innuendo effect, 1981) Si tratta di un esperimento che mostra come la formulazione della frase sia fondamentale, compiuto da Wegner, Wenzlaff, Kerker e Beattie. Ai partecipanti venivano fatte leggere delle frasi di diversi tipi, che presentavano dei titoli fittizzi su un ipotetico candidato politico sul quale dovevano esprimere giudizi. Le frasi presentate sono le seguenti: 1) Bob Talbert linked with mafia. (affermativa) 2) Bob Talbert linked with mafia? (interrogativa) 3) Bob Tabert not linked with mafia. (negativa) 4) Bob Talbert celebrates birthday. (neutra) Il giudizio era definito da una scala che andava da 1 a 7(misure di preferenza), in cui 1 rappresentava un giudizio positivo e 7 un giudizio negativo (intelligente-stupido; buono-cattivo; onesto-disonesto). Risultò che la frase interrogativa e frase affermativa portavano allo stesso tipo di giudizio; quindi, 9 anche la formulazione superficiale veicola diversi tipi di strutture profonde in questo caso. Un’altra cosa interessante è che perfino la frase negativa porta a formulare dei giudizi negativi, nonostante venga affermato che il politico non è collegato alla mafia; questo perché ci sono degli effetti semantici che collegano il richiamo ad una negatività al richiamo del suo inverso, poiché sono semanticamente relati. Innuendo effect, che significa insinuazione: è l’incitazione a creare giudizi negativi e si rifà ai principi di cooperazione e in particolare alla massima di qualità, ovvero che il ricevente si aspetta di ricevere informazioni vere, plausibili. Il fatto di utilizzare una forma interrogativa implica inconsciamente che siano state fatte delle affermazioni che potrebbero essere ragionevoli. C’è, inoltre, una tendenza ad ascoltare come vera un’asserzione per il solo fatto che è stata fatta. 2.10 Tre tipi di elaborazione della frase Ci sono tre modi che utilizziamo per comprendere una frase: - Fonologia/ortografica, identificazione e riconoscimento dei singoli fonemi o grafemi (elaborazione di basso livello). - Sintattica, collega ogni parola all’interno della frase alla sua posizione sintattica; quindi, a ciascun elemento della frase viene assegnato uno specifico ruolo sintattico (albero sintattico). - Semantica, per ciascuna parola viene recuperato il corrispondente significato. 2.10.1 interazione tra sintassi e semantica Il processo di comprensione richiede l’elaborazione di una rappresentazione mentale (concetto astratto) del significato della frase. È necessario dare un ruolo grammatica alla frase che stiamo sentendo, come “Anna ama Andrea” e “Andrea ama Anna”; frasi che hanno un significato totalmente diverso anche se ciò che cambia sono solo le posizioni dei nomi. Qui ritorna il concetto che non basta sapere il significato della parola, ma è importante capire anche come sono poste all’interno della frase. È necessario recuperare la memoria a lungo termine, procedurale (è un bacino di memoria in cui conserviamo tutti i ricordi esperienziali, ma anche i significati delle parole) che è diversa dalla me- moria di lavoro (chiamata anche memoria a breve termine, che è un bacino di memoria momentaneo in cui conserviamo le informazioni per un breve periodo di pochi secondi, che devono essere utiliz- zate) Questo secondo tipo di memoria viene recuperata nel momento in cui devo produrre una frase, anche se i significati saranno ripresi dalla memoria procedurale. 2.10.2 modelli interattivi e modelli seriali Su questi meccanismi lavorano e si differenziano i modelli che interpretano l’interazione tra sintassi e semantica nel processo di comprensione della frase. - I modelli interattivi implicano una interattività tra sintassi e semantica, ossia mentre comprendiamo una frase i processi semantici e sintattici lavorano insieme. C’è, quindi, un’interdipendenza tra le componenti sintattiche e semantiche nella comprensione di una frase (se ci si accorge di un errore sintattico o di un’incongruenza c’è la possibilità di correggersi sul momento). - I modelli seriali sono l’opposto di quelli interattivi, infatti implicano un’autonomia e un’indipendenza tra sintassi e semantica, ciò significa che secondo un modello seriale viene prima compilato prima l’albero sintattico e poi si lavora sulla semantica (se ci si accorge di un errore sintattico si comincia nuovamente il processo). Questi processi valgono sia per la comprensione che per la produzione linguistica. 2.11 Il linguaggio è ambiguo a diversi livelli A) livello fonologico, il parlato è un flusso continuo, cioè non ci sono pause tra una parola e l’altra. “Lei è una donna ricca e famosa, di/amanti ne ha avuti molti?”. B) livello semantico, parole polisemiche; es. “Bello quel merlo”, l’animale o quello del castello? 10 C) livello sintattico, ambiguità strutturali; es: “Il poliziotto insegue il ladro con la pistola”, chi ce l’ha la pistola?; es: “Le hanno assegnato un incarico che svolgerà con entusiasmo ieri”, è una frase che non è sintatticamente scorretta, ma c’è un’interferenza tra analisi e sintassi per cui c’è bisogno di una ri-analisi e revisione dell’interpretazione iniziale. 2.11.1 strategie di analisi sintattica Es. “Il giocatore mosse le pedine e chiuse la partita”, è una frase che non ha delle ambiguità sintat- tiche, per cui viene processata in maniera lineare; es. “Il giocatore mosse le pedine guardò l’avver- sario”, invece ha delle ambiguità sintattiche e viene riprocessata e rielaborata. Il verbo in questo caso veicola ambiguità. 2.12 Strategia dell’attaccamento minimale (minimal attachment, frazier, 1978) Frazier nel ’78 dimostra che questa interpretazione è la più frequente e la più utilizzata. Quando l’interpretazione della frase risulta sbagliata è necessario ri-analizzarla. L’elaboratore sintattico è un meccanismo adibito alla processazione della frase; nel secondo esempio presentato precedente- mente l’elaboratore sintattico ritorna al verbo ambiguo e ricomincia l’analisi assumendo la seconda interpretazione. È una strategia secondo la quale l’elaboratore sintattico elabora la descrizione iniziale, in modo da costruire strutture sintattiche il più semplice possibile; viene preferita l’analisi più semplice che riduce il materiale da tenere attivo in memoria di lavoro. È meno dispendioso cognitivamente costruire mentalmente un albero sintattico semplice piuttosto che tenere in mente tutte le informazioni della subordinata e arrivare successivamente alla frase principale. Negli esperimenti di Frazer sono stati analizzati i tempi di lettura (determinano lo sforzo cognitivo, maggiore è il tempo maggiore è la complessità della frase) e i movimenti oculari (serve per vedere come si spostano gli occhi durante la lettura, le possibili fissazioni, se tornano indietro su una parola, segno che si sta cambiando strategia). 2.13 Strategia della chiusura differita (late closure, frazier 1978) Esempio: “Marco cercava il libro di Anna che era in cucina”. Chi è in cucina? Il libro o Anna? R: Anna. L’elaboratore sintattico in frasi con più interpretazioni ma ugualmente complesse dal punto di vista sintattico, attacca il materiale in arrivo al costituente aperto (di Anna), cioè i nodi in elaborazione. 2.14 Dubbi sulle strategie in lingue diverse: Cuetos e Mitchell (1988) hanno dimostrato che gli inglesi e gli spagnoli interpretano questo tipo di ambiguità in modo diverso. La frase di prima: i parlanti inglesi interpretano la frase nel senso che la ragazza è in cucina, i parlanti spagnoli la interpretano come se il libro si trovasse in cucina. I parlanti di lingue diverse differiscono per il tipo di elaborazione sintattica condotta e quindi per il tipo di rappresentazione mentale del significato della frase? Le ambiguità sintattiche sono esplicite e rilevate facilmente perché costringono il lettore a tornare indietro a rianalizzare la frase. Molto spesso si è inconsapevoli della diversa interpretazione possibile della frase. Esempi: Mangio la pizza con la forchetta; mangio la pizza con la birra; mangio la pizza con la zia. 3 CODICI VISIVI E CODICI VERBALI La comprensione migliore deriva dall’integrazione di due codici (codice scritto e codice visivo), anche se a volte il contenuto del messaggio può essere indipendente dal linguaggio usato. Non devono sempre essere integrati, quando ci sono per esempio immagini molto evocative o che sono ben radicate nella memoria a lungo termine. 11 3.1 Il codice visivo Quando non è accompagnato dal codice verbale ha un proprio potere semantico e veicola del signi- ficato. Uno dei fattori comunicazionali che favorisce in maniera più lampante sono i concetti di tipo spaziale (piantine geografiche, disegni anatomici, indicazioni stradali). È universale, il codice visivo può essere compreso anche da individui che non parlano la stessa lingua. Dipende dalla relazione di somiglianza strutturale/percettiva con l’oggetto descritto. 3.2 Regole di configurazione spaziale La percezione è un processo cognitivo complesso e interpretativo, non dipende solo dalle caratteri- stiche dello stimolo percepito ma anche dall’individuo che percepisce. Ci permette di percepire uno stimolo esterno (o anche interno), catturare l’informazione dello stimolo, tradurlo in impulsi nervosi che verranno interpretati dal nostro cervello creando una percezione. Alcuni principi di organizzazione percettiva sono considerati innati (psicologia della Gestalt). Il nostro sistema nervoso organizza la nostra percezione in modo automatico, permettendo di dare struttura a ciò che è elaborato dalla vista. 24/10/2024 (quinta lezione) La percezione ci aiuta a percepire la realtà esterna così com’è, ma è utile anche per organizzarla in qualcosa che possiamo comprendere; infatti, la realtà esterna è composta da energia, onde lumi- nose, onde sonore, gusto. Le sensazioni umane vengono tradotte dagli organi deputati in impulsi nervosi che il nostro cervello dovrà interpretare. La percezione è anche chiamata creativa, perché costruisce un po' la realtà esterna. Esistono dei processi percettivi innati e che non devono essere acquisiti; principi che sono stati formulati dalla psicologia della Gestalt, ovvero una scuola psicologica che venne prima del cogniti- vismo i cui studiosi si applicarono moltissimo nel comprendere meglio la percezione umana e la visione. Uno dei principi generici è l’articolazione figura-sfondo. È la semplice capacità di isolare le diverse configurazioni presenti nel campo visivo e soprattutto di percepire che cos’è una figura e che cos’è lo sfondo. Come è stato detto in precedenza, la nostra realtà è fatta di energie, di onde luminose che vengono tradotte in impulsi nervosi e c’è bisogno di un’organizzazione percettiva per capire come funzionano le onde o come si creano le tridimensionalità o come si raggruppano gli stimoli esterni per essere definiti come oggetti. Sebbene il triangolo non esista, lo sfondo fa sì che il nostro sistema percettivo lo riesca a raffigurare. Ci sono delle regole che stabiliscono questa articolazione figura- sfondo e ci permettono di distinguerli e dare un ruolo di sfondo e fi- gura. Si capisce meglio con le illusioni ottiche, come: 12 Le figure possono essere due: un bicchiere o due profili. Il concetto che sta alla base è che lo sfondo si estende dietro alla parte che viene percepita come figura e che non ha né forma né contorni. Nel momento in cui decido che la parte nera (bicchiere) è sfondo, perde il suo significato così come la forma e i contorni. L’articolazione figura-sfondo dipende anche dal tipo di margine: in questo caso la parte grigia viene per- cepita come sfondo e la parte nera è la figura. La ti- pologia di margine ci dà degli indizi su quella che è la figura e quello che è lo sfondo. L’articolazione figura-sfondo può dipendere dalla grandezza relativa e dai rapporti topologici: Le figure reversibili (illusioni ottiche) invertono sistematicamente la figura e lo sfondo. C’è un’insta- bilità percettiva, un’impossibilità di percepire le due figure contemporaneamente. 3.3 Principi di organizzazione percettiva Si basano su come riusciamo ad organizzare il campo visivo e percepire delle unità, distinguere le figure dallo sfondo e creare una figura intera e degli elementi che hanno un significato attraverso delle regole percettive innate. Sono raggruppati in modi diversi in funzione di leggi o principi di uni- ficazione (unificano le sensazioni esterne trasformandole in una sensazione unitaria). 13 Principio della vicinanza: tendenza a percepire come unica configurazione elementi vicini tra loro. È un principio che viene sfruttato anche dagli animali, come i banchi di pesci che unendosi danno l’impressione di essere un unico grande pesce. Prin- cipio della somiglianza: tendenza a percepire come unica confi- gurazione elementi simili tra loro. Abbiamo due forme di somiglianza, quella cromatica (per colore) e di forma. Nel primo caso organizziamo come unità i pallini che hanno lo stesso colore e nel secondo caso raggrup- piamo i rettangoli e le linee. Può diven- tare funzionale al nostro modo comunicativo, come vediamo negli spot pubblicitari di prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili. Anche la natura sfrutta questo principio, come il mimetismo (somiglianza cromatica). Principio della buona continuazione o destino comune: tendenza a percepire come unità elementi che sono coerenti nella forma e nella direzione. Percepiamo naturalmente come continua la linea che va da 1 a 2 e quella che va da 3 a 4, con uno sforzo cognitivo e ponendo atten- zione potremmo percepire come continua anche quella che va da 4 a 1 e da 3 a 2. Principio della chiusura: tendenza a percepire come unica raffigurazione elementi che formano o tendono a formare una figura chiusa. Per il bambino sarà una percezione più complessa, vede il triangolo ma non saprà il nome anche se si tratta di un principio innato. Principio dell’esperienza passata: tendenza a percepire come unica configurazione le forme fami- liari. Non è innato, a differenza dei quattro precedenti, infatti richiede che le forme siano già state viste. Non è molto forte come principio e agisce quando non agiscono altri fattori (visi nei quadri). Pareidolia: illusione subcosciente che tende a ricorrere a forme note oggetti e profili dalla forma casuale (entrata di una casa che sembra una faccia). Principio della pertinenza: tendenza a percepire come unica configurazione le forme coerenti, equi- librate, simmetriche e armoniche. 3.4 Processi percettivi in diverse culture 14 Persone appartenenti a culture diverse sembrano percepire, categorizzare e memorizzare diversa- mente le stesse scene. Esperimento di Masuda e Nisbett (2001), in cui veniva mostrato ai partecipanti un’illustrazione dall’in- terno di un acquario e i soggetti intervistati (americani e giapponesi) dovevano descriverla. Come risultati di questo esperimento risulta che i processi percettivi sono diversi. Per quanto ri- guarda gli americani (cultura occidentale) hanno un processo percettivo analitico, ovvero la perce- zione si concentra su stimoli salienti, indipendenti dal contesto e infatti descrivevano come primi gli oggetti principali (i pesci). I giapponesi (cultura orientale) hanno un processo percettivo olistico, privilegiano le relazioni tra oggetti, risultano più dipendenti dal contesto e infatti descrivevano come primi gli oggetti dello sfondo. anche se le somiglianze percettive tra i popoli sono maggiori delle differenze, alcune di queste di- mostrano che la percezione può essere influenzata dalla cultura. La percezione è un processo crea- tivo, soggettivo in parte anche se abbiamo dei principi oggettivi e organizzativi. 3.5 Organizzazione della conoscenza La nostra conoscenza è organizzata nella memoria, sistema complesso che gli studiosi e i ricercatori hanno tentato di organizzarla in sistemi. Una classificazione di base è la seguente: Esistono vari tipi di memoria come possiamo vedere, ma in questo corso ci focalizzeremo soprattutto sulla memoria a lungo termine nella quale risiedono le nostre conoscenze. La memoria sensoriale è un magazzino di memoria velocissimo in cui viene impressa l’immagine per pochissimi secondi e poi si cancella. La memoria di lavoro è un magazzino di memoria in cui si immagazzinano le informazioni di cui necessitiamo in quel dato momento. 3.6 La memoria a lungo termine Memoria dichiarativa: è il “sapere cosa”, ovvero tutte le conoscenze esplicite dei fatti, di parole, di simboli, di episodi vissuti. È una memoria di conoscenza esplicita e consapevole. È dichiarativa perché possiamo dichiarare la nostra conoscenza. La memoria procedurale è il “sapere come” e si riferisce alle conoscenze di cui facciamo uso nel mettere in atto procedure, non è un tipo di cono- scenza che deve essere esplicitata. Viene messa in atto implicitamente, in attività come camminare, cucinare, andare in bicicletta. La memoria dichiarativa è a sua volta composta da memoria semantica e memoria episodica. Quella semantica conserva delle rappresentazioni mentali (ciò che sappiamo) riguardo a parole, concetti, simboli, le loro proprietà e relazioni reciproche. Conserva anche conoscenze extralinguisti- che che riguardano il mondo fisico (es. Roma è la capitale d’Italia, che è una conoscenza fattuale, è così). Quest’ultimo aspetto la distingue da quella episodica o autobiografica che si occupa di 15 conservare i ricordi (es. A Roma ho visitato il Colosseo). Vengono conservate informazioni spazio- sensoriali relative a “dove” e a “quando” la traccia mnestica si è formata. 3.7 I modelli di organizzazione della conoscenza Ci sono due classi di modelli relativi alla memoria semantica, sviluppati nel corso del tempo dagli studiosi che volevano comprendere sempre più il funzionamento della memoria semantica. Il primo modello prevede due sistemi di memoria semantica distinti, multipli e indipendenti. Il secondo modello prevede un unico sistema di memoria semantica. Il modello indipendente prevede diverse tipologie di memoria. Il modello del doppio codice (Paivio, 1971,1986) è quello più comune: Prevede due sistemi di memoria: a) sistema verbale che è specializzato nel trattare le informazioni di tipo linguistico, attivo in compiti di produzione e percezione del linguaggio (leggere o udire una parola); b) sistema non verbale che è specializzato in stimoli non linguistici, attivo in compiti come l’analisi di oggetti, di immagini e di scene. I due sistemi dialogano attraverso connessioni referenziali. 16 La critica più diffusa a questo tipo di modelli riguarda la ridondanza delle informazioni, che relative ad un concetto sono replicare in ogni sistema (anche per lingue). È difficile pensare che la nostra memoria possa avere così tante informazioni al suo interno, che richiedono una grande quantità di energie. 3.8 Il sistema semantico unico A seguito di questa critica viene sviluppato questo modello, in cui si ipotizza l’esistenza di un unico sistema semantico in cui conserviamo tutti i concetti che abbiamo in memoria e sostiene che questi codici non siano separati. In questo il codice in cui sono rappresentate le informazioni è amodale e indipendente dal tipo di stimolo, dalla lingua utilizzata e dalla modalità di presentazione (visiva, acu- stica, tattile, olfattiva). Questo sistema funziona con la rete semantica, dove ci sono dei nodi (concetti) e delle connessioni (relazioni tra concetti). Le relazioni tra i concetti possono essere di tipo: a) categoriale, topo-leone b) gerarchico, topo-animale c) associativo, topo-formaggio d) misto , topo-gatto Più i concetti sono vicini nello spazio semantico, più sono vi- cini nel loro significato. Il recupero delle informazioni dipende dall’attivazione dei nodi concettuali, tramite il meccanismo della diffusione dell’attivazione. È un concetto che fa riferimento al funziona- mento dei sistemi informatici e anche del sistema neurale (impulsi a cellule vicine). L’attivazione si propaga ai nodi più vicini e diminuisce di intensità al trascorrere del tempo e all’aumentare della distanza. L’effetto priming (Meyer, Schvanenveldt, Ruddy, 1975) prova l’esistenza della rete semantica, è a favore della diffusione dell’attivazione. Dimostra che nel momento in cui pensiamo ad una parola si attivano anche altre parole in rife- rimento a quella. In questi esperimenti c’è l’idea di base che da uno stimolo prime segua uno stimolo target: Ritornando all’esperimento dell’Innuendo effect, la frase negativa (Bob Talbert not linked with mafia) richiama alla memoria dei concetti semanticamente correlati. 17 Capita anche quando leggiamo dei messaggi persuasivi contro gli stereotipi, che molto spesso non funzionano (es. “Le persone di colore sono più pigre dei bianchi”). 28/10/2024 (sesta lezione) 3.8.1 Concetti, unità della memoria semantica Le parole hanno una relazione arbitraria con la realtà, mentre le figure ne hanno una non arbitraria. Per spiegare meglio quest’ultimo concetto, possiamo dire che siamo noi a sce- gliere che cosa identifica una data parola. Le figure e le forme sono forme superficiali dei concetti e necessitano di processi di elabora- zione diversi. 3.8.2 Modello di memoria semantica amodale È un modello integrato, un modello unico (identifica un unico sistema semantico). 1) sistema modale: sistema in grado di rappresentare informazioni provenienti dalla realtà visiva, sia dalle parole (udite o scritte), mediante un codice comune astratto. Non separa parole e immagini a differenza degli altri sistemi visti in precedenza; è amodale perché non è specifico del modo in cui vengono rappresentati; 2) Ha un sistema di accesso e riproduzione specifica per stimoli e modalità; 3) Il sistema accede a informazioni visive scritte o udite che arrivano ad un sistema unitario semantico e successivamente si suddividono nei vari processi produttivi. La parte superiore è il sistema di accesso, quello inferiore il sistema semantico 18 3.8.3 Il sistema di accesso Il modello prevede tre componenti, nel momento in cui vedo una parola scritta devo analizzarla visivamente, entrando nella prima componente. 1) Lessico ortografico: nel momento in cui vedo una parola devo analiz- zarla visivamente; si tratta di un ba- cino in cui sono contenute tutte le pa- role che si conoscono. Successivamente si passerà al si- stema concettuale, ma prima si dovrà trovare la parola nel lessico. 2) Lessico fonologico; in cui avviene un’analisi delle parole udite. 3) Sistema di descrizione strutturale, per l’elaborazione delle immagini. Avviene un’analisi pittorica che accederà nuovamente al sistema semantico. 3.8.4 Accesso lessicale Una delle prove che il sistema semantico è sepa- rato dall’accesso lessicale (prima dobbiamo ricer- care il significato all’interno del nostro vocabola- rio mentale per poi passare al sistema semantico) è l’esempio delle parole omofone o omografe (parole che si scrivono in maniera identica). Esempio: batteria (strumento musicale, batterie del telecomando), solo nel sistema semantico viene disambiguata. Le informazioni concettuali sono rappresentate in una componente separata (sistema semantico) rispetto a quella lessicale (lessico ortografico, fo- nologico). Data una parola l’accesso lessicale viene solo per quella parola? No perché, quando accediamo si aprono diverse parole. Prove sperimentali: il tempo necessario per riconoscere una parola è correlato con la porzione di parola che si deve ascoltare prima che diventi distinguibile in modo inequivocabile (Marslen-Wilson, 1987). Se sento la parola parodia, nel momento in cui percepisco il suono “par” nel mio cervello si creano varie possibilità di fine della parola, fino a quando non riesco a disambiguarla. Ci sono vari concor- renti durante la percezione linguistica. 19 Modello della coorte Esiste una coorte di possibili candidati al riconoscimento della parola e si restringe sempre più man mano che nuove informazioni vengono acquisite. 3.8.5 Accesso alle immagini, riconoscimento di oggetti Come accediamo all’immagine prima di arrivare al sistema semantico? Ci sono tante teorie sulla percezione, infatti prenderemo in analisi solamente la teoria della percezione di Marr (1982): una delle più accreditate, anche se questo modello sta cambiando. Spiega come costruiamo la realtà percettiva, come riusciamo ad arrivare all’oggetto complesso senza andare a parlare di contesto. Primo stadio: abbozzo primario bidimensionale 2-D; è quello che arriva nella nostra retina, che deve essere elaborato a seconda delle dimensioni (profondità e orientamento). Secondo stadio: abbozzo a due dimensioni e mezzo 2H-D (profondità e orientamento) – viewer centred. Terzo stadio: Modello tridimensionale 3-D – object centered. La nostra retina non funziona in modo tridimensionale, perché le arriva un’immagine piatta che poi acquisisce tridimensionalità grazie al cervello. Costruisce, infatti, la profondità e orientamento a se- conda degli indizi monoculari e bioculari. Nel secondo stadio costruiamo un oggetto che non vediamo, il cervello costruisce quello che non vede. 3.9 Processo di produzione Consiste nel denominare o nello scrivere quello che stiamo leggendo. Andiamo dal nostro sistema semantico astratto e torniamo a costruire e a riprendere il nostro voca- bolario. 20 A) Lessico fonologico in uscita per la risposta orale (buffer fonemico: l’informazione che permette la corretta pronuncia della parola viene trasferita in un magazzino di memoria temporaneo). B) Lessico ortografico in uscita per la rispo- sta scritta (buffer grafemico). Si tratta della memoria di lavoro, che viene usata per parlare e per leggere. Il processo di lettura viene scompo- sto in due parti e la loro esistenza è stata provata in molti esperimenti. Via lessicale, accede al lessico e al sistema concettuale; recupera il si- gnificato della parola (sistema se- mantico). Permette il riconoscimento della forma intera di una parola tramite l’attivazione della corrispondente entrata lessicale prima nel lessico ortografico e poi nel lessico fonolo- gico. Permette il riconoscimento di parole irregolari e parole frequenti. Via non lessicale, che non neces- sita del sistema semantico; la usiamo per leggere parole che non conosciamo e per parole con pronuncia regolare o non parole che assomigliano a parole regolari (conversione grafema-fonema e converte la parola in suono). Queste due vie hanno in comune lo stazio iniziale (analisi visiva/ortografica) e quello finale (buffer fonemico, bacino di memoria in uscita). Le due vie non sono mai totalmente indipendenti, si interse- cano sempre un po' l’una con l’altra. CAPITOLO 4: COMUNICAZIONE NON VERBALE 4.1 Differenze tra comunicazione verbale e non verbale Comunicazione verbale: usa parole dette o scritte, può esprimere informazioni complesse con spe- cificità. Con essa siamo in grado di veicolare messaggi complessi, informazioni specifiche, può essere rafforzativa, ma anche contradditoria. Comunicazione non verbale: non utilizza parole, né scritte né dette, ha carattere di immediatezza. Il linguaggio verbale viene arricchito, disambiguato e anche sostituito dalla comunicazione non ver- bale. La comunicazione non verbale può servire ad arricchire il linguaggio verbale. I due sistemi concorrono alla determinazione del significato, oppure possono essere in contraddizione. 21 4.1.2 Sistema non verbale Il sistema non verbale si distingue in: a) intenzionale, quando veicoliamo il messaggio con intento e siamo consapevoli di quello che stiamo facendo e dicendo (fare “shh” con il dito sulla bocca); b) inconsapevole/ non intenzionale, fatta di risposte comportamentali di cui non siamo consapevoli (postura, modo di porsi davanti ad un interlocutore, espressioni facciali) e di risposte fisiologiche spontanee (sudorazione, dilatazione delle pupille, aumento del battito cardiaco). Possono essere comunicazione per gli altri, ma anche per noi stessi (se sento che il battito cardiaco sta aumentando posso capire di essere agitata; me lo sto comunicando). I messaggi non verbali permettono di trasmettere atteggiamenti e intenzioni all’interlocutore o di inferire atteggiamenti e intenzioni all’interlocutore. Possiamo comunicare qualcosa, ma anche inter- pretare la comunicazione dell’altro analizzando il suo linguaggio non verbale. La comunicazione non verbale ha un ruolo importante per veicolare aspetti di relazione (fa capire a livello interpersonale le intenzioni comunicative; non è sempre traducibile per tutti e può richiedere tempo), sostenere e completare la comunicazione verbale (gesticolare, anche se il gesto può non avere significato), regolare le interazioni (feedback). È il canale privilegiato per comunicare le emozioni. 4.1.3 Sistemi della comunicazione non verbale 1) Sistema vocale: (paralinguistico). È legato alla co- municazione verbale, non include le parole, ma il modo in cui vengono prodotte e sfrutta il canale vocale e uditivo. Comprende tre modalità: a) il tono, ovvero l’intonazione, ov- vero la frequenza della voce e sua modulazione (modo in cui cam- biamo la frequenza vocale). Può variare il significato letterale (es: ironia); b) l’intensità, volume vocale, della voce e sua modulazione (es: ac- cento enfatico, stati emotivi come rabbia/tristezza); c) tempo, ossia la velocità, il ritmo e le pause della voce (es: silenzio). Il silenzio può essere classificato in vari modi: a) psicolinguistici/paralinguistico, interrompe il flusso comunicativo (es: momenti di esitazione). b) interattivi, es: turno del parlato, aiuta l’interazione tra i comunicatori. c) socioculturali, norme culturali nella gestione dei due silenzi precedenti. Es: in Occidente si predi- ligono turni veloci con brevi silenzi, perché il silenzio equivale ad una minaccia, alla mancanza di cooperazione per la gestione della conversazione; invece, in Oriente si allungano i tempi di silenzio, che è un indicatore di fiducia, di confidenza, di armonia e di intesa. 2) Sistema cinesico: del movimento (mimica facciale, gesti, movimenti corporei). Coinvolge la me- scolatura corporea e include segnali codificati e intenzionali (indicare, lingua dei segni) e segnali spontanei (espressioni facciali, postura). 22 a) mimica facciale: indice di stati emotivi e di personalità (tratti di personalità, può esprimere il proprio grado di amicalità). Alcune emozioni sembrano universalmente riconosciute (facilmente identificabile in ogni cultura), ma è importante il contesto (es: sorriso felice vs sorriso imbarazzato). Teoria neuro-culturale (Ekman; 1972, 1977, 1982) Paul Ekman, grande studioso della mimica facciale e delle emozioni. Egli ha creato un sistema di riconoscimento. Ha dimostrato che il ruolo della cultura non è sempre determinante nella mimica facciale delle emozioni. Ritiene che la mimica facciale sia qualcosa che è funzionale alla sopravvi- venza. Secondo Ekman, che riprende la teoria di Darwin, l’espressione delle emozioni attraverso la mimica facciale deriva dall’evoluzione, è innata e dipende da una serie di programmi neurofisiologici di origine genetica (derivano da anni di evoluzione e sono universali). Secondo Ekman, esistono movimenti facciali tipici per le emozioni di base, che corrispondono a dei cambiamenti dei muscoli della fronte, delle sopracciglia, delle palpebre, delle guance, del naso, delle labbra e del mento. Le altre azioni compiute dal volto sono primarie o fondamentali e sono universali e condivise da tutte le culture; sono delle “non – emozioni”, cioè atti che regolano l’interazione ver- bale, commenti sulla comunicazione, messaggi volontari. Le emozioni di base sono sei: paura, sorpresa, rabbia, disgusto, tristezza, gioia, disprezzo, senso di colpa, vergogna, imbarazzo (aggiunte da Ekman). Sono state aggiunte ma sono più controverse, perché spesso vengono confuse con altre. Quelle aggiunte sono state riportate da un gruppo di ricerca che lavora ancora sulle idee di Ekman, ormai andato in pensione. Lo sguardo, che fa sempre parte del sistema cinesico, è veicolo di comunicazione non verbale. consente il contatto visivo e lo spostamento dell’attenzione su un punto (incitare l’altro a spostare l’attenzione su un altro oggetto o persona), è importante nella gestione dei turni conversazionali. Il contatto oculare (sguardo percepito) aumenta l’attivazione nervosa in molte specie e in particolare nella nostra. È fondamentale per l’avvio di qualsiasi rapporto interpersonale, perché può essere informazione di interesse, per veicolare informazioni sul nostro status (chi è in posizioni di leader utilizza di più uno sguardo diretto rispetto ad un dipendente) e può avere valore di minaccia e di pericolo, è caratteristico delle situazioni di seduzione e di innamoramento. 23 Favorisce la cooperazione, è un segnale potente per chiedere e ottenere consenso sul proprio punto di vista. Ci sono delle differenze culturali sul prolungamento dello sguardo. I gesti, che fanno sempre parte del sistema cinesico si suddividono in sei tipologie. - Gesticolazione: accompagna la comunicazione verbale. - Pantomima: rappresentazione gestuali di una situazione, ovvero quando qualcosa viene mimato. - Emblemi (gesti simbolici): gesti convenzionali che hanno un preciso significato (es: dito davanti alla bocca per esprimere silenzio). - Gesti deittici: usati per indicare, porre attenzione verso un oggetto o una persona. - Gesti motori: movimenti ripetuti (es: tamburellare, tremolio della gamba, giocherellare con i capelli). - Linguaggio dei segni: linguaggio codificato e condiviso, è un linguaggio complesso e per questo diverso dagli altri. Ha una propria semantica e grammatica, un gruppo di persone che lo utilizza in maniera formale. Postura e movimenti corporei: sono legati alla cultura, ma alcuni pattern sono abbastanza costanti. È il modo in cui poniamo il nostro corpo, è diverso dalla prossemica. Es: abbassamento del corpo come segnale di umiltà; rilassamento muscolare come segnale di potere; chiusura delle spalle come segno di insicurezza. Sono degli schemi convenzionali. In un esperimento si è fatto mettere un bastone dietro le spalle a chi doveva presentare un argo- mento, per vedere se effettivamente la postura potesse influire sull’esito comunicativo e, infatti, si è notato che stare in una posizione eretta portasse ad avere più autostima e sicurezza durante la presentazione. 31/10/2024 (settima lezione) 4.2 Sistema prossemico È un sistema che si occupa dell’organizzazione dello spazio in maniera principale e del contatto corporeo. Per quanto riguarda la gestione dello spazio riprendiamo l’esempio di Hall (1966), il quale quantificò quattro intervalli di distanza: Restano delle categorie abbastanza condi- visibili. La distanza tra gli interlocutori è in- dice comunicativo. Nello spazio dell’intimità (0-50 cm) rien- trano gli affetti. È uno spazio in cui pos- siamo sentirne l’odore, per esempio. Nello spazio personale (50-120 cm) rien- trano le persone con cui abbiamo confi- denza, ma che non sono intime. Lo spazio sociale (120-240 cm) è dell’inter- gruppo, ossia quello spazio tra noi e il resto delle persone. Non rientrano in questo spa- zio persone con cui non abbiamo confi- denza o che non conosciamo; permette libertà di movimento. Permette di andarsene se vogliamo, di evitare il contatto olfattivo, è uno spazio meno pervasivo. Lo spazio pubblico (oltre i 240 cm) è quello che possiamo vedere tra un professore e la sua classe, dove avviene una comunicazione pubblica appunto. 4.2.1 Contatto corporeo Sollecita il sistema aptico, ossia cosa possiamo fare attraverso l’esplorazione del tatto. Non si tratta solo della mimica facciale, ma ricaviamo delle informazioni anche tramite il contatto. La distanza sociopsicologica tra le persone è un fattore chiave nella gestione della comunicazione aptica. Ci sono delle differenze culturali, in particolare: 24 - cultura della distanza → la distanza interpersonale è grande, ogni riduzione spaziale è percepita come invasione; si dà più valore al fatto di essere distanti. - cultura della vicinanza → la distanza è ridotta e viene valutata come freddezza o ostilità. È importante riferirsi al contesto culturale quando parliamo di comunicazione non verbale, perché spesso non è universale. 4.3 Rappresentazioni visive Ne abbiamo parlato in precedenza quando abbiamo affrontato i codici visivi. Si riferisce ad usare le immagini per comunicare. Ci sono molti elementi della comunicazione non verbale che sono comunicati attraverso rappresentazioni visive e sono particolarmente importanti nella comunicazione di massa, perché ha caratteristiche di riproducibilità e immediatezza. Il problema della comunicazione di massa e quella tramite video è comunicare le emozioni, che avviene tramite le emoticon. 4.4 Funzioni della comunicazione non verbale La comunicazione non verbale regola e influenza i processi cognitivi a diversi livelli: A) livello individuale (es: processi di auto-persuasione): i segnali non verbali sono cruciali nel segna- lare anche a noi stessi i nostri stati d’animo e i nostri atteggiamenti. - Hanno una doppia natura e possono essere delle manifestazioni del nostro Io e del nostro stato d’animo e di stati psicologici soggiacenti (gioia-sorridere) oppure anche essere causa dei nostri stati psicologici (sorridere-gioia). Per capire meglio, pensiamo che una persona sicura di sé tiene le spalle più aperte, mentre una persona più insicura ha una postura più chiusa. Questo è un riflesso del nostro stato psicologico interiore e trasmette qualcosa anche agli altri, ma dall’altra parte è possibile anche che siano causa dei nostri stati d’animo. L’influenza degli stati corporei sugli atteggiamenti può avvenire secondo tre processi principali (Bri- nol e Petty, 2008). - La comunicazione non verbale può essere indizio, ovvero elemento informativo. L’esperimento consisteva nel chiedere ai partecipanti di valutare un ideogramma cinese neutro che non dovrebbe veicolare nessuna emozione. È stato valutato più piacevole se si ha il braccio piegato verso se stessi (simula vicinanza) , meno se verso l’esterno. - Agiscono sul modo e le quantità di elaborazione delle informazioni. Rispetto a questo è stato fatto un esperimento dal quale si evinceva che tendiamo ad essere più persuasi da un messaggio quando siamo sdraiati. - Influenzano la sicurezza delle persone nelle proprie idee e persone (schiena dritta e petto in fuori inducono a maggiore autostima). B) livello interpersonale (es: stretta di mano): si parla di comunicazione tra due individui. È impor- tante per regolare l’interazione interpersonale e per i turni comunicativi. Un’altra funzione è quella di segnalare, creare e cambiare atteggiamenti (dissonanza tra comunicazione verbale e segnali non verbali). - La distanza interpersonale può essere veicolo di comunicazione non verbale. - L’imitazione è una tendenza nella comunicazione non verbale; tendiamo a imitare le persone che ci sono più gradite e che esprimono giustizi con i quali siamo d’accordo. - Possono essere usati come strumenti di autopresentazione, che può essere espressiva (scopo di comunicare qualcosa su noi stessi) e strategica (per piacere agli altri). - Può essere uno strumento di persuasione (es: un breve contatto fisico ha effetti positivi nell’intera- zione con gli altri; può determinare proattività). - Può essere funzionale in ambito clinico (comunicazione facilitata). Sincronizzare i propri compor- tamenti non verbali con quelli del terapeuta potrebbe portare ad un beneficio nella terapia clinica, ma anche nella psicanalisi. 25 C) livello intergruppi (es: differenze di status sociale): comunicazione non verbale all’interno di gruppi, in contesti più ampi. I segnali non verbali hanno funzione di: - segnalare l’appartenenza sociale, per cui a livello cinesico tendiamo ad avere movimenti di approc- cio verso i membri del nostro gruppo e movimenti di evitamento verso membri di gruppi diversi dal nostro. Anche il modo di vestirsi è un modo di comunicare, perché tendiamo a vestirci in maniera simile agli appartenenti del gruppo. - regolare le interazioni tra membri di gruppi sociali, dal quale si capisce per esempio chi è in posi- zione di potere e chi no. - mantenere o ridurre le differenze sociali, infatti membri di gruppi di minoranze sorridono a gruppi di maggioranza per prevenire un comportamento discriminatorio. C’è una tendenza a mostrarsi com- piacenti o ad avere un atteggiamento corporeo non verbale di benevolenza verso chi fa parte di un gruppo di maggioranza. D) livello della comunicazione di massa (es: cartelli pubblicitari): il ruolo della comunicazione non verbale è quello di: - fornire delle informazioni in maniera rapida e sintetica che spesso avviene tramite una percezione visiva (segnale della farmacia) - trasmettere dei valori o degli stereotipi plasmando i sistemi di rappresentazione e atteggiamento; è anche la funzione persuasiva della comunicazione di massa (valori legati alla magrezza). a) faceism (prominenza facciale), chi gode di maggiore status è rappresentato con i primi piani, mentre chi gode di status minore è rappresentato a figura intera. b) spatial agency bias (asimmetria spaziale), sono preferite delle azioni che si svolgono nel senso della scrittura (sx verso dx). il termine “bias” indica una distorsione sistematica nel modo in cui ela- boriamo le informazioni e prendiamo decisioni (bias di conferma, per la quale facciamo caso solo alle informazioni che validano il nostro pensiero e la nostra idea, scartando quelle che potrebbero non sostenerlo). - orientamento del comportamento di consumo, che si riferisce al ruolo della stimolazione sensoriale verso la promozione di prodotti e servizi. Andiamo oltre il sistema cinesico, facendo riferimento all’odore e al sapore che possono influenzare il comportamento (si tratta di una comunicazione per- suasiva). Per esempio, ambienti che hanno un buon profumo inducono emozioni positivi inducendo maggiormente il cliente all’acquisto. Si parla di congruenza inter-sensoriale, ovvero la congruenza tra la categoria del prodotto e la stimolazione sensoriale. CAPITOLO 5: COMUNICAZIONE PERSUASIVA 5.1 La funzione persuasiva della comunicazione Una funzione centrale degli atti comunicativi è quella di esercitare un’influenza sulle persone. Lo fa influenzando o “manipolando” la realtà sociale, cercando di far accettare all’interlocutore la nostra visione del mondo, in senso lato. Si tratta, in sostanza, di influenzare l’altro in modo che cambi atteggiamento e possibilmente comportamento. La volontà di persuadere non significa effettiva- mente persuadere l’altro, per esempio se diciamo cosa vorremmo mangiare non significa volere che l’altro cambi idea su cosa vuole mangiare a cena. La comunicazione persuasiva punta a produrre dei cambiamenti, a influenzare l’altro su: - opinioni, per esempio la comunicazione politica. - credenze, per esempio il medico che tenta di convincere il paziente a fare attività. - atteggiamenti, per esempio il genitore che educa il figlio. - valori, per esempio un insegnante che insegna valori agli alunni. Non sempre questo significa cambiare dei comportamenti, anche se la finalità ultima della comuni- cazione persuasiva sarebbe cambiare sia atteggiamenti che comportamenti. Non sempre ciò si traduce in un comportamento effettivo, perché per esempio il fatto che il medico dica al proprio paziente che mezz’ora di attività al giorno porta grandi benefici non comporterà che poi la persona faccia effettivamente quello che il medico ha suggerito. 26 5.2 Gli elementi della persuasione: approccio atomistico Deriva dagli studi di Carl Hovland dell’Università di Yale, iniziati negli anni ’40. Fu uno dei primi ad avere un buon finanziamento da parte degli Stati Uniti, che a quel tempo stava tentando di convin- cere i cittadini ad entrare in guerra (Yale attitude change approach). Venne incaricato di studiare possibili strategie di comunicazione persuasiva o di individuare gli elementi che rendono una comu- nicazione persuasiva. La fonte per essere persuasiva deve: - essere credibile affinché abbia una certa efficacia persuasiva. La credibilità può essere distinta in competenza e in affidabilità: a) competenza (expertise) si riferi- sce alle conoscenze e alle capacità che la fonte deve avere per risolvere determinati problemi (li- vello di istruzione, l’intelligenza, lo status sociale); b) affidabilità, che si basa sulla fiducia che ripo- niamo in essa e sulla capacità che essa ha nell’usare correttamente le proprie competenze; però una persona affidabile può influenza gli altri anche senza avere competenze. Effetto della competenza (esperimento Hovland e Weiss, 1951) I partecipanti leggevano un messaggio relativo all’utilità della costruzione di sottomarini nucleari attribuito a 1) premio Nobel per la fisica, 2) un giornale filocomunista. Gli atteggiamenti dei partecipanti venivano rilevati prima della lettura del testo, subito dopo la let- tura e dopo quattro settimane. I risultati mostrano che le se le fonti vengono ritenute credibili è più facile che ci sia un cambia- mento nelle proprie opinioni, in particolare questo avveniva subito dopo la lettura ma in quattro set- timane l’effetto persuasivo era scomparso. Secondo gli attori dopo la lettura del messaggio la credibilità della fonte influenza l’accettabilità del messaggio, ma che questo abbia un decadimento temporale e che con il passare del tempo av- venga una dissociazione tra argomenti e fonte, portando l’attenzione sugli argomenti e determi- nando la fine dell’effetto persuasivo. Un esperto può essere persuasivo anche se non è affidabile? In questa situazione decade l’effetto dell’expertise perché il ricevente è consapevole che la fonte ha intenzioni persuasive (es. conflitti di interesse). L’effetto persuasivo viene reso più forte quando la fonte sostiene una posizione diversa da quella attesa e contro i propri interessi; invece, quando la fonte sostiene una posizione uguale a quella attesa, i riceventi giudicano la fonte sincera, ma tendenziosa e per questo l’effetto persuasivo non sarà forte. 04/11/2024 (ottava lezione) 5.2.1 Aspetto fisico (piacevolezza) Non ci si basa solo sull’aspetto fisico, ma anche su quanto per noi è positiva e piacevole una fonte. Per spiegare in maniera semplice il concetto facciamo riferimento all’esperimento di Chaiken, del 1979. In questo esperimento c’è un gruppo sperimentale (serve per verificare l’ipotesi fatta dagli scienziati) e un gruppo di controllo (serve per controllare che l’ipotesi sia veritiera oppure che si possa verificare anche in un contesto neutro). 27 L’esperimento consisteva nel presentare dei filmati di comunicatori attraenti e di comunicatori non attraenti che argomentavano a favore di una certa tesi. È bene precisare che la valutazione sull’aspetto fisico dei comunicatori venne fatta precedentemente da altri partecipanti. Al gruppo sperimentale vennero presentati video di comunicatori attraenti, mentre a quello di con- trollo video di comunicatori non attraenti. I partecipanti devono esprimere il grado di accorso con la posizione espressa nei messaggi. Risultò che i comunicatori più attraenti sembrano essere più persuasivi, senza che abbia qualche importanza il genere della persona, ma perché si ritiene che siano più ottimisti, più sicuri delle proprie opinioni, con un’autostima più alta. I risultati, ad ogni modo, non sono univoci. Generalmente le persone attraenti sviluppano abilità persuasive, questo perché durante tutto il corso della vita hanno avuto feedback positivi che hanno aumentato l’autostima e la fiducia nelle proprie idee e convinzioni. [Approfondimento → the halo effect (l’effetto alone): si verifica quando una persona, un prodotto o un’azienda brilla come il sole e per questo non li vediamo chiaramente e associamo ad essi ogni sorta di qualità anche non correlate. Venne identificato per la prima volta nel 1907 dallo psicologo americano Fredrick Wells. L’effetto contrario è l’effetto corno, per il quale una persona considerata meno bella viene associata a una serie di difetti (poco intelligente, poco intraprendente, etc.). Questo effetto ha permesso di spiegare come mai alcuni insegnanti dessero voti più alti a studenti più belli. Da uno studio successivo è poi emerso che gli studenti che godevano dell’effetto alone, lo “perdevano” nel momento in cui le lezioni e le verifiche venivano fatte su piattaforme online.] I cambiamenti prodotti nel ricevente dalla credibilità, attrazione e potere della fonte si differenziano per natura e stabilità: - fonte credibile induce a processi di internalizzazione, ovvero si integrano le nuove opinioni nel sistema di credenze e di valori preesistenti. - fonte attraente induce a processi di identificazione, ovvero avviene un cambiamento nell’atteggia- mento motivato dal desiderio di stabilire una relazione gratificante con la fonte. 5.2.2 Potere Induce a effetti di condiscendenza e si tratta di un cambiamento molto superficiale dell’atteggia- mento, dovuto dal fatto che il ricevente riconosce alla fonte il controllo di eventuali ricompense o punizioni. Se si appoggiano le opinioni di una persona di potere si potrebbero avere delle ricompense, qual- cosa di positivo indietro. Un classico esempio è il rapporto tra capo e dipendente. 5.2.3 Stile comportamentale Credibilità, bellezza e status sono caratteristiche stabili della fonte, intrinseche. Oltre alle caratteri- stiche stabili, la fonte può aumentare la propria efficacia tramite lo stile comportamentale; si tratta, quindi, di qualcosa che può mettere in atto. Facciamo un esempio: un breve contatto fisico aumenta la probabilità che il destinatario accolga con favore una richiesta o valuti positivamente la fonte o il messaggio, o sia più propenso ad aiutarlo. Si tratta di brevi contatti fisici, se fosse prolungato diventerebbe invadente (tenere a mente l’aspetto culturale del contatto fisico). 4.2.4 Sleeper effect (non presente nel manuale) Questo effetto spiega che l’impatto delle fonti non credibili possa crescere con il tempo. Questo accade perché nel tempo ripensiamo e ricordiamo il messaggio, ma ci dimentichiamo del fatto che è stato riportato da una fonte non credibile. 28 Si tratta di una persuasione ritardata, che avviene quando il ricevente dimentica la fonte del mes- saggio. Se da prima non credevamo alla fonte (per vari motivi, magari aveva perso credibilità) ten- denzialmente ci dimentichiamo che è stata quella a riportare il messaggio. 5.3 Il messaggio Il programma di ricerca del gruppo di Yale si basava su due ipotesi principali: - la struttura del messaggio, per essere persuasivo, dovesse favorire l’apprendimento (compren- sione e memorizzazione) dei suoi contenuti. - le argomentazioni, per essere efficaci devono contenere in modo esplicito i vantaggi che derivano dall’accettazione della posizione sostenuta in sostituzione di quella propria del ricevente e/o degli svantaggi che derivano dalla sua accettazione. Solo in questo caso aumentiamo la probabilità che il ricevente rimanga persuaso dal messaggio. 5.3.1 Efficacia delle argomentazioni I messaggi bilaterali mettono in luce i punti di forza e di debolezza, vantaggi e svantaggi delle argo- mentazioni aumentando gli elementi di giudizio a disposizione e la credibilità della fonte. Risulta che siano più persuasivi, a differenza di quelli unilaterali (presentano un solo punto di vista). Quest’ultimi sono efficaci se il ricevente ha già un’opinione in linea con il messaggio. Esperimento di Hovland, Lumsdaine e Sheffield (1949) Si verifica l’efficacia persuasiva dei messaggi bilaterali e unilaterali sulla durata della Seconda Guerra Mondiale, ipotizzando che sarebbe durata altri due anni. Il messaggio unilaterale risultata più persuasivo per coloro che inizialmente erano d’accordo con il contenuto, mentre il messaggio bilaterale era più efficace per chi all’inizio era scettico riguardo al contenuto. In questo rientra anche il concetto di bias di conferma, per il quale ricerchiamo e notiamo maggior- mente messaggi che riprendono le nostre convinzioni e sostengono le nostre opinioni. 5.3.2 Appello alla paura Sono messaggi che fanno leva sulle conseguenze negative di un comportamento, favoriscono il cambio di atteggiamento ma non sempre di un comportamento. 29 Esperimento di Janis e Feshbach (1953) Ai partecipanti venivano presentati tre tipi di messaggi pensati per convincerli a lavarsi i denti più spesso. I messaggi inducevano un livello di paura basso, medio, alto. Dai risultati risultò che i messaggi che inducevano una paura bassa erano più efficaci nel migliorare le abitudini di igiene dentale degli studenti. Per spiegare questo effetto, del tutto inaspet- tato, gli studiosi dissero che i messaggi ad un alto livello di paura spingessero gli stu- denti a reagire in modo difensivo, portandoli a negare l’importanza della minaccia. I mes- saggi che suscitano paura sono più efficaci se, oltre a spaventare vengono presentati in modo da far percepire una soluzione e far sentire le persone in grado di metterla in atto. Teoria della motivazione alla protezione: l’in- dividuo è motivato ad attuare comportamenti di protezione quando: a) percepisce il pro- blema come grave, b) si ritiene vulnerabile, c) percepisce i comportamenti raccomandati come efficaci, d) si sente in grado di attuarli (self-effi- cacy). [Approfondimento→ dissonanza cognitiva: sensazione scaturita da un conflitto di idee, convinzioni, valori e atteggiamento dell’individuo. In parole semplici, vuol dire sostenere due idee che sono in contraddizione tra loro, generando disagio e tensione. Esempio: si sa che fumare fa male, ma molti continuano a farlo.] È più facile mantenere le proprie abitudini, piuttosto che affrontare una dissonanza cognitiva e cam- biare comportamento. 5.3.3 Apprendimento e memorizzazione del messaggio Un messaggio vivido è più efficace perché è più visibile; quindi, verrà più facilmente colto e memo- rizzato. Il messaggio deve essere concreto, di impatto percettivo, di impatto emotivo ed essere vicino (in termini temporali, sensoriali, spaziali). In particolare, l’impatto percettivo si riferisce agli stimoli che attraggono la nostra attenzione, tramite processi automatici innati che sono frutto dell’evoluzione. - Gli stimoli in movimento attraggono la nostra attenzion e hanno una motivazione evolutiva perché come esseri umani abbiamo bisogno di controllare quello che si muove attorno a noi. - Gli stimoli salienti attraggono a scopo difensivo, così come quelli in movimento. Un classico esempio sono i cartelloni pubblicitari con i prismi girevoli: il movimento delle immagini moltiplica la visibilità, incrementa gli affari e permette di creare un circuito pubblicitario vincente, che permette di distinguersi nettamente dalla concorrenza, che opera solamente nella pubblicità statica. - Stimoli di comportamenti sociali di valore evolutivo, come il richiamo a fattezze infantili, il richiamo dello sguardo e il richiamo di segnali sessuali. 5.4 Il ricevente Quali sono le caratteristiche che deve possedere per essere convincibile? 30 Rispetto alla sfera della personalità, il ricevente deve avere una predisposizione ad essere influen- zato; inoltre, è più facile persuadere qualcuno i cui atteggiamenti precedenti sono poco definiti. Altre caratteristiche personali rendono il ricevente più convincibile: - autostima, le persone con alta autostima sembrano essere meno predisposte ad essere persuase. Sono persone più sicure di sé, che credono alle proprie convinzioni e idee. -aggressività, le persone più aggressive sono più resistenti alla persuasione (non sempre confer- mato). Sono meno aperte ad accogliere nuove prospettive. - intelligenza, le persone più intelligenti sono più resistenti alla persuasione e risultano maggiormente capaci di rispondere ai messaggi persuasivi, ma solo se questi sono logici e precisi, altrimenti risul- tano insensibili. Si parla di intelligenza in senso cognitivo, ma in senso più lato le competenze verso una determinata materia. - genere, non è una caratteristica sempre univoca e a volte contestata. Le donne hanno una generale tendenza a cambiare opinione dopo essere state esposte a messaggi persuasivi; sono più soggette alla persuasione e questo potrebbe dipendere dal fatto che le donne sono tipicamente socializzate per essere più collaborative rispetto agli uomini e di conseguenza tendono a considerare la confor- mità e la condiscendenza come un tratto positivo. È qualcosa di culturalmente determinato e non dipende da un fattore innato. L’effetto è più rilevante nelle situazioni face to face. Dipende, inoltre, dal contenuto del messaggio. Sia uomini che donne sono più facilmente soggetti alla persuasione su temi di cui sanno poco. 5.5 Modelli teorici di persuasione Principalmente ce ne sono due, che sono piuttosto simili tra loro: - modello della probabilità di elaborazione (Petty e Cacioppo, 1981) - modello euristico sistematico (Eagly e Chaiken, 1980-84) Si tratta di modelli duali, infatti prevedono che il cambiamento degli atteggiamenti sia l’esito dei due processi, che sono di natura diversa. Il modello duale può essere considerato anche un continuum (modello unimodale), per cui non è necessario dividere i due processi. Il processo cognitivo varia a seconda della motivazione e abilità cognitive del ricev