Esame a Crocette: Product Placement e Moda (PDF)
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Prof. Pozzi
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Questi appunti del professor Pozzi contengono domande a crocette su product placement, moda e cinema. Vengono esaminate le tipologie di product placement, la sua evoluzione nel tempo, esempi storici, e le regolamentazioni in Italia.
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PROF. POZZI: esame a crocette 1. PRODUCT PLACEMENT CINEMATOGRAFICO DELLE AZIENDE DI MODA Il product placement rappresenta uno strumento fondamentale nel marketing moderno, che supera la tradizionale divisione tra pubblicità e sponsorizzazione. Questo approccio, parte del cosiddetto "new m...
PROF. POZZI: esame a crocette 1. PRODUCT PLACEMENT CINEMATOGRAFICO DELLE AZIENDE DI MODA Il product placement rappresenta uno strumento fondamentale nel marketing moderno, che supera la tradizionale divisione tra pubblicità e sponsorizzazione. Questo approccio, parte del cosiddetto "new marketing", introduce nuove modalità per promuovere i prodotti, integrando la pubblicità in tutte le fasi del ciclo di vita di un prodotto. Il product placement consiste nel posizionare un marchio all’interno di un’opera cinematografica o televisiva, dietro compenso economico. Oggi, questo strumento è meno evidente poiché integrato in modo naturale nella narrazione, evitando che appaia come un semplice invito all'acquisto, il che potrebbe ridurne l'e icacia. 1.1 MODA E CINEMA: UNA SINERGIA STRATEGICA Da sempre, gli stilisti hanno cercato di collocare i propri prodotti nei film, associandoli a personaggi celebri per ispirare il pubblico. Tuttavia, è essenziale che il messaggio pubblicitario venga comunicato in modo trasparente, ad esempio con l'uso di disclaimer, per rendere evidente che si tratta di una promozione. Il cinema, a sua volta, trae beneficio dal legame con la pubblicità, poiché si collega al mondo reale e, grazie al finanziamento derivante dalle sponsorizzazioni, può ridurre i costi di produzione. 1.2 LE ORIGINI DEL PRODUCT PLACEMENT Il primo esempio documentato risale al 1899, in un corto western ambientato in un saloon, dove compariva il marchio "Ballantine’s" su uno sfondo. Non è chiaro se ci fossero accordi commerciali, ma questo episodio rappresenta un precursore di una pratica che si è evoluta nel tempo. 1.3 TIPOLOGIE DI PRODUCT PLACEMENT Il product placement può essere distinto in tre principali categorie: Visuale (screen placement), il marchio è mostrato in primo piano, rendendolo facilmente riconoscibile. Verbale (script placement), che include riferimenti al marchio nei dialoghi, una pratica meno frequente ma e icace se ben integrata nella narrazione. Integrato (plot placement), dove il marchio diventa parte integrante della trama, il che lo rende il metodo più potente per catturare l’attenzione del pubblico. 1.3 EVOLUZIONE NEGLI ANNI ’80 E ’90 Durante gli anni ’80, il product placement era spesso percepito come una forma di pubblicità occulta. Le aziende, attraverso contratti di "cambio merci", fornivano gratuitamente i loro prodotti per garantirne la presenza sullo schermo, aggirando così le leggi sulla pubblicità. Nel tempo, questa pratica è stata rivalutata per la sua capacità di coinvolgere il pubblico e generare interesse verso i brand, portando alla necessità di una regolamentazione per tutelare sia i consumatori che le aziende coinvolte. 1.4 MODA E CINEMA: ESEMPI STORICI Negli anni ’30, Coco Chanel fu tra le prime a firmare un contratto pubblicitario con la Metro Goldwyn Mayer, collaborando con attrici come Gloria Swanson (Tonight or Never, 1931) e Jeanne Moreau (Les Amants, 1958). Elsa Schiaparelli adottò strategie ancora più innovative, associando i suoi prodotti a star come Mae West e Margaret Lockwood, arrivando persino a creare un profumo con una bottiglia ispirata alle forme di Mae West (Shocking Parfume). Con il passare del tempo, i legami tra moda e cinema si sono consolidati attraverso il celebrity endorsement. Ad esempio, Hubert de Givenchy collaborò con Audrey Hepburn in film iconici come Sabrina (1954) e Colazione da Ti any (1961), mentre Christian Dior e Yves Saint Laurent vestirono rispettivamente Marlene Dietrich e Catherine Deneuve, creando un connubio tra stile e narrazione cinematografica. 1.5 REGOLAMENTAZIONE IN ITALIA In Italia, il product placement è stato regolamentato per la prima volta nel 2004 con il Decreto Urbani, ampliato successivamente nel 2010 con il Decreto Romani (D.lgs. 44/2010). Questi interventi legislativi richiedono che il product placement sia riconoscibile, veritiero e corretto, tutelando sia i marchi che il pubblico. 1.6 CASI RECENTI DI PRODUCT PLACEMENT Un esempio significativo è quello del film Blue Jasmine (2013), dove Cate Blanchett indossava Chanel e portava una borsa Hermès. In questo caso, il produttore chiese il permesso ai brand per utilizzare i prodotti, senza che fossero le aziende a richiederlo. Al contrario, in Una Notte da Leoni 2, l’uso non autorizzato di valigie Louis Vuitton portò a un contenzioso. Sebbene Louis Vuitton avesse contestato l’uso, i giudici diedero ragione ai produttori del film, riconoscendo l'opera come prodotto artistico da tutelare. 2. STEREOTIPI DI GENERE NELLE PUBBLICITÀ DI MODA Gli stereotipi di genere consolidano la divisione tra donne e uomini, spesso violando la dignità della donna. La pubblicità sessista è quella che rappresenta l’identità di genere di un individuo in modo stereotipato, contribuendo a perpetuare modelli sociali dannosi. Il CA stigmatizza tutte le pubblicità sessiste, anche quando si cerca di alimentare un’immagine sbagliata della persona come essere umano. Nella maggior parte dei casi, le donne sono rappresentate secondo due cliché: donna oggetto del desiderio e donna casalinga. Anni ’50: le pubblicità non avevano alcun tipo di controllo, e la donna veniva vista come oggetto, servo o lavoratrice domestica, spesso relegata all’ambiente domestico e mai rappresentata in contesti pubblici. Oggi: molti modelli classici sono stati ribaltati, spesso con ironia, ma il cambiamento non è sempre su iciente per eliminare le problematiche di fondo. La Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW), adottata nel 1979 e in vigore dal 1981, non è stata ratificata da molti stati islamici e dagli USA, ma l'Italia l’ha ratificata nel 1985 con la legge n.132/1985. Sebbene non preveda sanzioni, essa fornisce linee guida per incentivare le nazioni a promuovere politiche e iniziative a favore delle donne. Nel 2008, il Parlamento Europeo ha adottato una risoluzione sull’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini, evidenziando come l'ideale corporeo imposto dalla pubblicità possa avere e etti negativi, tra cui problemi alimentari, specialmente tra gli adolescenti. La risoluzione mira a combattere gli stereotipi e le violenze attraverso campagne di sensibilizzazione e sanzioni contro le rappresentazioni dannose. Strumenti internazionali come sanzioni, campagne di sensibilizzazione e premi sono utilizzati per contrastare gli stereotipi. In Italia, lo IAP (Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria) ha svolto un ruolo cruciale nel combattere la pubblicità sessista, promuovendo la cessazione delle pubblicità che violano gli articoli relativi alla comunicazione commerciale sleale, alla violenza, alla volgarità e all’indecenza, nonché alla dignità della persona. La normativa è stata aggiornata nel 2012, includendo esplicitamente la discriminazione di genere. Alcuni esempi di ingiunzioni sono: Ingiunzione 7/2009: violazione dell’art. 9-10 contro Relish, una marca di occhiali da sole che presentava le donne come oggetti degli uomini. Ingiunzione 126/2011: violazione dell’art. 10 contro Red, produttrice di camice, che mostrava una donna legata con una cravatta, con riferimenti sessuali. Nonostante gli sforzi, lo IAP non ha ancora considerato completamente la figura educativa della pubblicità. 2.1 INIZIATIVE INTERNAZIONALI L'ASA (Advertising Standards Authority) nel Regno Unito ha allargato il campo di indagine e sviluppato nuovi temi, come l’intervento contro l'uso di Photoshop nelle pubblicità. L’uso di immagini ritoccate è stato considerato ingannevole, soprattutto nel settore della moda e della cosmesi, contribuendo a ra orzare gli stereotipi di bellezza che creano un modello errato e di icile da raggiungere. Art. 3: Le pubblicità non devono essere ingannevoli, soprattutto se promuovono immagini falsate, creando distorsioni delle percezioni corporee, che possono causare disturbi alimentari. Negli USA, il dibattito sull'immagine della donna è presente da tempo, grazie alla di usione degli studi di genere nelle università. Due principali autorità regolano la pubblicità: Il Governo tramite la Federal Trade Commission, che applica principi simili a quelli dello IAP e ha norme contro l’uso di Photoshop e la concorrenza sleale. Gli inserzionisti, attraverso l’Advertising Self-Regulatory Council (ASRC), che monitora la veridicità delle pubblicità e l'uso di immagini ritoccate, specialmente nel campo della cosmesi. Tra le campagne più importanti vi è il Self-Esteem Act, che promuove la salute mentale dei giovani, più vulnerabili ai messaggi pubblicitari. Un esempio controverso è la campagna di H&M, che ha utilizzato il ritocco per modificare i corpi delle modelle, creando un'immagine falsa del corpo femminile. Questo tipo di pubblicità mette a rischio non solo la veridicità delle immagini, ma anche il benessere delle modelle coinvolte. 3. PUBBLICITÀ, MODA E GREENWASHING Lo sviluppo sostenibile ha origine dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo del 1987. Il termine è stato coniato da Gro Brundtland nel rapporto Brundtland, che definisce lo sviluppo sostenibile come ciò che soddisfa i bisogni attuali senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri. Tuttavia, questo principio rimane vago e di icile da applicare, poiché non specifica gli strumenti o le modalità operative. A livello europeo, lo sviluppo sostenibile è entrato nei trattati fondativi dell'UE negli anni '90. 3.1 MODA E SOSTENIBILITÀ La moda ha adottato l'idea di sviluppo sostenibile per lanciare un messaggio legato al consumo responsabile. Negli ultimi anni, infatti, il consumo di prodotti tessili è aumentato, con un corrispondente aumento degli scarti e dei vestiti invenduti, dovuti all'eccessiva produzione. È emersa quindi la necessità di produrre prodotti sostenibili, ottenuti tramite metodi eco-compatibili: Uso di materiali sostenibili. Tagli che riducono gli scarti tessili. Produzione tramite energie pulite. Uso di tinte non nocive. Evitare lo sfruttamento di bambini e donne sottopagate. Utilizzo di packaging eco-friendly. Questi principi sono stati utilizzati per creare slogan che alimentano l'idea di moda sostenibile, attraendo i consumatori. 3.2 CROLLO DEL RANA PLAZA Il crollo del Rana Plaza in Bangladesh è stato un tragico evento che ha messo in luce la realtà della produzione tessile in paesi a basso costo. Nonostante l'edificio fosse già visibilmente danneggiato, la zona tessile non fu evacuata. Alcune aziende, come Benetton, si dichiararono estranee all'accaduto, ma in realtà erano coinvolte, poiché i fornitori di Benetton operavano in quell'edificio. Questo ha portato allo scandalo del movimento Clean Clothes. Benetton aveva recentemente introdotto un codice etico, ma non lo applicò ai suoi fornitori, nonostante il codice prevedesse il rispetto delle norme sociali ed etiche. 3.3 GREENWASHING Il greenwashing (letteralmente "lavaggio verde") si riferisce a pratiche di sostenibilità fasulle adottate da aziende, che utilizzano green claims per suggerire erroneamente che un prodotto, servizio o imballaggio abbia un impatto ambientale ridotto rispetto ai concorrenti. I green claims sono a ermazioni come "biodegradabile" senza specificare in che misura lo sia. Queste pratiche mirano a razionalizzare i consumi delle imprese e incentivare i consumatori a fare scelte più consapevoli. Alcuni esempi di azioni per contrastare il greenwashing: UE: la Commissione Europea ha introdotto norme per proteggere l'ambiente e incentivare sia le imprese che i consumatori a promuovere un cambiamento. Camera Nazionale della Moda Italiana, 2012: l'industria tessile emette quanto una acciaieria, motivo per cui è stato creato il Manifesto per la Sensibilità, che fornisce linee guida per una moda sostenibile. IAP: l'articolo 12 (tutela dell’ambiente naturale) introdotto nel 2011 stabilisce che le a ermazioni ambientali devono essere veritiere, pertinenti e scientificamente verificabili. ARPP (Autorité de régulation professionnelle de la publicité): il sistema di controllo pubblicitario francese ha un codice simile a quello italiano e a erma che la pubblicità non può fare promesse globali se non rispetta i tre pilastri dello sviluppo sostenibile (sociale, economico, ambientale). Code of non-broadcast advertising and direct & promotional marketing (UK): qualsiasi a ermazione ambientalista deve essere verificata scientificamente e deve considerare tutto il ciclo di vita del prodotto. 3.4 CASO H&M Un esempio di greenwashing è la controversia con H&M negli USA, dove è stata intentata una class action contro l'azienda. La causa ha riguardato il marketing fuorviante dei sustainable clothing (abbigliamento sostenibile). La causa legale ha evidenziato che H&M non aveva un istituto che controllasse e sospendesse la pubblicità ingannevole, mettendo in dubbio la veridicità delle loro a ermazioni sull'impatto ambientale dei prodotti. 4. PUBBLICITÀ DI MODA E RISPETTO DELLA DIVERSITÀ CULTURALE → Gucci e il maglione: Un maglione con un collo molto alto, dove appare solo la bocca, ha suscitato controversie in quanto ricordava la pratica del blackface (attore bianco che si dipinge il volto di nero con labbra rosse marcate). Questo gesto veniva utilizzato per rappresentare le persone afroamericane in modo stereotipato, come fannulloni e simbolo della segregazione. Le accuse, soprattutto dagli USA, portarono Gucci a scusarsi. → Dolce&Gabbana e il lancio del nuovo negozio a Shanghai: La campagna pubblicitaria per il negozio e la sfilata in Cina includeva tre spot, ognuno con una modella che cercava di mangiare cibo italiano con le bacchette (spaghetti, pizza e cannolo). Nel terzo spot, la modella a erma: "I can't, it's too big for me", suggerendo un sottinteso sessuale o ensivo. → Matthew Williamson e gli abiti etiopi: Gli abiti creati da Williamson venivano presentati come nuovi, ma in realtà erano ispirati alla cultura etiope. Pur non violando diritti di marchio, il copiare i vestiti di una cultura nazionale è considerato immorale. Un'o esa culturale è emersa quando una denuncia dall'u icio intellettuale di Addis Abeba accusò Williamson di aver copiato senza attribuire l'ispirazione. → Paul Smith e il sandalo Robert: Il sandalo creato da Paul Smith è identico a uno tipico del Pakistan. Smith lo ha descritto come un suo modello esclusivo, ma gli abitanti di Peshawar (Pakistan) sui social hanno denunciato che il design era obsoleto per loro e che il prezzo di 500$ era esagerato. → Urban Outfitters e la Navajo collection: Nel 1943, il governo USA concesse alle tribù indiane di registrare il marchio e i disegni tipici. Urban Outfitters non ha mai a ermato di produrre oggetti Navajo, ma ha dichiarato che i loro prodotti sono ispirati ai Navajo. I Navajo hanno denunciato, sostenendo che la pubblicità fosse menzognera e che i prodotti non erano creati da loro. Nel 2019, le due parti hanno firmato un accordo finanziario e una collaborazione. → Isabel Marant e la comunità messicana: Isabel Marant ha creato una camicia "ispirata" alla tradizione della tribù Tlahuitoltepec, che ha una camicia distintiva fatta a mano da ciascun membro della tribù. La camicia di Marant, identica a quella tradizionale, è stata venduta a un prezzo molto maggiore, suscitando accuse di plagio. La comunità ha chiesto che fosse rimossa dalla collezione Primavera-Estate 2015. → Oskar Metsavaht: Stilista brasiliano, ha creato ASAP (As Sustainable As Possible, As Soon As Possible), promuovendo l'idea che gli stilisti occidentali, se si ispirano o utilizzano materiali provenienti da tribù minori o straniere, dovrebbero riconoscere la paternità estera e la sostenibilità del lavoro locale. Metsavaht ha collaborato con una tribù amazzonica che ha creato tessuti resistenti usando la pelle dei pesci, supportando la comunità locale con progetti come la creazione di un asilo e la fornitura di acqua. 5. GENDER FLUIDITY E STRATEGIE MARKETING PER LA MODA La scelta della neutralità di genere nelle campagne pubblicitarie e nelle collezioni è stata adottata anche in passato, come ad esempio durante il periodo delle su ragette, dove la "maschilizzazione" del vestiario femminile diventava una necessità. Durante i conflitti mondiali, le donne erano costrette a sostituire gli uomini in fabbrica, e nel 1914 la prima legge italiana che permette alle donne di lavorare senza il permesso maschile segnò un cambiamento importante. In questo contesto, la moda si collegava strettamente alle istanze sociali. La prima donna a far indossare i pantaloni fu Coco Chanel, mentre Marlene Dietrich fu fotografata molte volte con abiti maschili per rivendicare la figura della donna in un periodo in cui in Francia era vietato per le donne indossare i pantaloni. Stella McCartney ha creato una linea genderless e sostenibile, ispirata all'estetica streetwear e alla nuova generazione. Utilizzando tessuti eco-friendly e cruelty-free, ha lanciato la #StellaShared unisex capsule, ispirata dal fatto che i suoi genitori, Linda e Paul, si scambiavano spesso gli abiti, e ha imparato a cucire vestiti di sartoria maschile dal sarto del padre. Anche Gucci con il progetto The MX ha proposto un'idea di genderless e sostenibilità, vedendo la moda come uno strumento per portare avanti lotte sociali e rappresentando l'idea che il genere è ormai un concetto superato. Anche i colossi del fast fashion si stanno adeguando alla gender fluidity, aggiungendo proposte gender neutre e indi erenti tra uomo e donna, come nel caso di Zara con la collection Denim Wo(man). Il concetto di genderless ha radici lontane, con la moda che ha sempre sfidato le norme di genere: Ernesto Michaelles, in arte Thayaht, con la creazione della tuta, un unico pezzo di tessuto tagliato a forma di T, con sette bottoni, nel 1919. Jacques Esterel con la gonna da uomo, che pur avendo un carattere avanguardista, aveva anche un aspetto di tradizione. Oggi, anche marchi storici stanno producendo collezioni neutre, soprattutto nel settore dei gioielli, come Bulgari con la collezione B.zero1 Rock nel marzo 2020 e Dior con la collezione Gem Dior. Infine, è importante menzionare la disforia di genere, un disagio profondo nei confronti del proprio corpo, che viene vissuto come estraneo, anche rispetto a quello che la società si aspetta dagli individui riguardo agli atteggiamenti e alle aspettative di genere. 6. BLOGGER, INFLUENCER E NEW WORLD OF ADVERTISING Da un punto di vista giuridico, gli influencer sono in continuo aumento grazie alla crescita dell’uso di Internet e al grande impatto economico che hanno nel mondo. Ciò solleva il problema della regolamentazione delle loro attività, dovuto alla combinazione di due aspetti: Messaggi promozionali: è necessario fornire agli influencer gli strumenti critici per orientare i loro follower in modo consapevole, con attenzione da parte delle associazioni e delle ONG. Creazione di contenuti editoriali: i contenuti che rendono un influencer tale, spesso diventano di icili da distinguere da normali messaggi pubblicitari. L’obiettivo principale è evitare la pubblicità occulta e ingannevole, che risulta di icile da controllare a causa della quantità di prodotti e della di icoltà nel riconoscerli. Inoltre, gli influencer e i blogger non appartengono propriamente al mondo pubblicitario o della moda. Nei blog si crea un forte legame di fiducia grazie al racconto quotidiano e credibile in cui viene inserito il prodotto, riducendo l’attenzione critica dell'utente. Secondo lo IAP (Istituto dell'Autodisciplina Pubblicitaria), se un commento riguarda un prodotto, può essere considerato pubblicità, e se c’è un corrispettivo, è sicuramente pubblicità. La Direttiva sui Servizi di Media Audiovisivi (2010/13/UE) stabilisce che le comunicazioni sui media audiovisivi devono essere facilmente riconoscibili in ogni ambito, con l’obiettivo di tutelare il consumatore. Questo include la protezione dai messaggi promozionali nascosti, che diventano più di icili da identificare tramite i dati di profilazione degli utenti. La moda è fortemente legata alla reputazione. Quando un brand entra in un mondo come quello dei social o del green, deve seguire delle linee guida rigorose per non compromettere la propria immagine. Altrimenti, il brand perde fiducia e reputazione. In Gran Bretagna, la tutela della pubblicità è svolta dall’UK Competition and Markets Authority (CMA), che obbliga le pubblicità a contenere sempre un disclaimer (ad esempio, #adv) per la protezione dei consumatori. Negli USA, la Federal Trade Commission (FTC) regola la pubblicità, monitorando il legame tra brand e influencer. Se gli influencer non rispettano l'inserimento dei disclaimer, la FTC invia lettere di moral suasion. Dal 2017, le Endorsement Guides sono state aggiornate per includere i social media. Gli influencer devono rivelare se hanno un rapporto con un brand, evitando di dare per scontato qualcosa, anche con su icienza nei contenuti e conoscendo i loro follower. 7. MODA E INTELLIGENZA ARTIFICIALE (IA) L'Intelligenza Artificiale (IA) sta trasformando il settore della moda, ridefinendo il processo di creazione del prodotto e il modo in cui il consumatore interagisce con il brand e il prodotto. Alcuni degli impatti più significativi includono: 1. DESIGN GENERATIVO: L'IA sta rivoluzionando il design grazie a tecniche come le reti neurali generative (GAN). Queste reti sono in grado di creare nuovi modelli di abbigliamento innovativi, generando design originali e unici. 2. PERSONALIZZAZIONE: L'IA è in grado di suggerire design personalizzati, adattati alle preferenze specifiche dei clienti. Questo porta a un’esperienza di acquisto più su misura, migliorando la relazione tra consumatore e prodotto. 3. SOSTENIBILITÀ: L'IA o re soluzioni sostenibili per il settore della moda, riducendo gli sprechi e evitando surplus di produzione: Produzione su richiesta: grazie alle scansioni 3D del corpo, è possibile produrre capi su misura, riducendo gli sprechi legati alla produzione in eccesso. Tracciabilità della filiera: l'IA può monitorare ogni fase della produzione, garantendo trasparenza e controllo su come vengono realizzati i prodotti. Algoritmi sostenibili: l'IA può suggerire scelte produttive più eco-friendly per ridurre la carbon footprint e l'impatto ambientale. Nel 2013, la Commissione ambientale invitava gli Stati a implementare due metodologie per monitorare l'impatto ambientale: PEF (Product Environmental Footprint): si concentra sull'impronta ecologica del prodotto. OEF (Organisation Environmental Footprint): si concentra sull’impronta ecologica a livello aziendale. L'industria della moda è sempre più coinvolta in iniziative per la sostenibilità. Nel 2019, è stato creato il Fashion Pact con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale della moda, inclusi il tentativo di ridurre le emissioni di gas serra. Inoltre, le aziende ora devono rispettare normative come la Norma UNI ISO 14064, che calcola l’impronta di carbonio in tre aree: 1. Emissioni dirette: provenienti direttamente dalle operazioni aziendali. 2. Emissioni indirette: legate alla produzione di energia, calore e vapore utilizzati dall’azienda. 3. Emissioni esterne indirette: relative a processi esterni, come il trasporto, che sono comunque collegati all’attività aziendale. 4. TRASFORMAZIONE DELL’ESPERIENZA DI ACQUISTO: L'IA sta cambiando anche il modo in cui i consumatori acquistano vestiti, con esperienze più personalizzate grazie alla tecnologia del virtual try-on, che permette di provare virtualmente i vestiti prima dell’acquisto. Inoltre, vengono utilizzati strumenti come i cookies e le previsioni di mercato per creare strategie di marketing mirate. Sono inoltre emersi nuovi business nell’ambito della moda digitale: NFT (Non-Fungible Tokens): permettono di creare e vendere capi di abbigliamento virtuali nel metaverso. NFC (Near Field Communication): una tecnologia di comunicazione wireless utilizzata per la lotta alla contra azione dei prodotti. 5. IA E INFLUENCER: L'IA ha anche introdotto la figura degli avatar digitali, creati al computer per promuovere marchi e brand. Questi avatar possono essere modellati a piacimento e operano senza riscontri negativi. Esempi noti sono Shudu Gram e Lil Miquela, influencer virtuali che collaborano con aziende di moda. 6. PASSAPORTO DIGITALE (DPP): Il Passaporto Digitale del Prodotto (DPP) è un documento che raccoglie tutte le informazioni relative a un prodotto per garantire la sua tracciabilità e commercializzazione, soprattutto nel mercato europeo. Può essere in formato digitale o cartaceo e spesso utilizza la tecnologia NFC per garantire l'autenticità e la trasparenza. Questo strumento consente ai consumatori di risalire a ogni fase della produzione del prodotto, aumentando la fiducia nel processo. Molti brand di moda, come Prada, Cartier, e OTB, hanno iniziato a utilizzare la blockchain per creare una tracciabilità sicura dei loro prodotti, entrando in un registro digitale aperto. Nel 2019, il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) ha lanciato un progetto pilota per proteggere i prodotti “Made in Italy” utilizzando la blockchain, garantendo l'autenticità dei capi e la loro provenienza. 7. EXTENDED PRODUCER RESPONSIBILITY (EPR): Il modello di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) implica che il produttore sia responsabile per l’intero ciclo di vita del prodotto, dalla produzione allo smaltimento. In Italia, questo approccio è stato integrato nel Piano per la Strategia Nazionale per l’economia circolare del 2022, ma non sono ancora stati eliminati i decreti precedenti. 8. STRUMENTI DI TUTELA DELLA CREATIVITÀ NELLE SFILATE DI MODA Le sfilate di moda, che oggi rappresentano un'importante vetrina per i brand e un momento di espressione artistica, sono diventate anche oggetti tutelati dalla legge, in particolare attraverso il diritto d'autore. La loro evoluzione storica e il crescente valore come eventi creativi hanno portato a una serie di strumenti giuridici per tutelare la creatività che le anima. 8.1 STORIA E TRADIZIONE DELLE SFILATE Le sfilate di moda hanno una lunga storia che a onda le radici nell'800: Le poupée de mode erano bambole in miniatura, vestite con abiti di moda, utilizzate per promuovere le collezioni. Queste bambole venivano spedite in bauli contenenti anche altri abiti, e per velocizzare il viaggio venivano munite di passaporto. La Francia è stata pioniera nell'uso delle riviste di moda, come Le Mercure Galant (1672) e Vogue (1892), che divennero strumenti essenziali per promuovere il lavoro dei designer. Charles Frederich Worth, considerato il fondatore dell'haute couture, è anche l'inventore delle moderne sfilate di moda. Tra la fine dell'800 e l'inizio del '900, Worth espose i suoi abiti tramite manichini in legno e fu il primo a utilizzare modelle per esibire i capi in passerella. La sua moglie, Marie Vernet, fu la prima modella di Worth. 8.2 L'EVOLUZIONE DELLE SFILATE E IL CONCETTO DI SHOW COUTURE Nel corso del tempo, le sfilate hanno acquisito una dimensione sempre più teatrale e spettacolare: Inizialmente, le sfilate si svolgevano in silenzio, ma negli anni '70 Gianmarco Giammetti, cofondatore di Valentino, introdusse la musica nelle passerelle, rendendo la sfilata un momento di comunicazione emotiva e spettacolo. Questo cambiamento ha aperto la strada alla creazione di una connessione tra la moda e il pubblico. Un esempio emblematico di come la musica e la moda si fondono è la sfilata di Valentino a Parigi nel 1989, accompagnata dalla musica di Ennio Morricone, che ha creato un forte legame emotivo tra gli abiti e il pubblico. Le sfilate si sono trasformate in vere e proprie performance artistiche, spesso definite come "fashion factory" o show couture. La sfilata è diventata uno strumento di espressione creativa, portando con sé una forte componente emozionale. 8.3 LA TUTELA LEGALE DELLE SFILATE Le sfilate di moda sono considerate opere artistiche e sono tutelate dal diritto d'autore in virtù della loro natura creativa. Secondo la legge, le sfilate possono essere considerate come opere coreografiche e pantommime, entrambe tutelate ai sensi dell'art. 2, comma 3 della legge sul diritto d’autore. Opera coreografica: si riferisce all'arte di comporre balletti e coreografie, e quindi anche la disposizione dei modelli e il loro movimento sulla passerella possono essere tutelati se fissati in modo permanente. Opera pantomimica: si tratta di rappresentazioni teatrali che si basano esclusivamente sull'azione mimica, come il comportamento delle modelle durante la sfilata. La tutela si estende anche al processo creativo che accompagna la progettazione delle sfilate, che deve essere fissato in modo scritto o registrato in altro formato. Questo rende la sfilata tutelabile anche in assenza di una performance dal vivo, a condizione che ci sia una documentazione che descriva i dettagli della sfilata. 8.4 ESEMPI DI SFILATE ICONICHE TUTELATE Le sfilate non sono solo esibizioni artistiche, ma anche eventi emotivamente coinvolgenti che ra orzano l’identità del brand. Diversi designer hanno utilizzato location e scenografie uniche per esprimere la loro visione creativa, alcune delle quali sono state particolarmente tutelate: Fendi (2016): la sfilata di Fendi nella Fontana di Trevi di Roma ha creato un legame emotivo tra il brand e la città, utilizzando l'arte e il patrimonio storico come parte integrante dell’esperienza. Chanel (2014): a Parigi, la sfilata di Chanel si è svolta all'interno di un supermercato ricostruito, un'idea innovativa che ha portato la haute couture in un contesto quotidiano, cercando di abbattere le barriere tra lusso e quotidianità. Pierre Cardin (2007): a Pechino, sfilate sulle dune del deserto cinese hanno mostrato l'intenzione del brand di espandersi e a ermarsi in nuovi mercati, creando un legame con il luogo. Dolce&Gabbana (2014): a Capri, il brand ha celebrato il paesaggio e l'identità della sua terra d'origine, creando un forte legame tra il Made in Italy e il mondo intero. 8.5 PROTEZIONE DELLE SFILATE COME OPERE CREATIVE Per le sfilate, così come per altre forme di espressione artistica, la progettazione è tutelata dal diritto d'autore. L'opera coreografica, che descrive i movimenti e le interazioni tra le modelle, così come la rappresentazione pantomimica, possono essere tutelate come opere creative a condizione che vengano fissate in modo permanente. Questo significa che ogni elemento che costituisce l'evento, dal movimento delle modelle alla scenografia, alla musica, può essere tutelato per proteggere il diritto d'autore degli stilisti e delle case di moda.