Lettera Enciclica Laudato Si' del Santo Padre Francesco (PDF)
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2015
Papa Francesco
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L'enciclica Laudato Si', scritta dal Papa Francesco nel 2015, affronta la questione dell'ecologia integrale, evidenziando la connessione tra la cura del creato e la giustizia sociale. Il documento esorta a un cambiamento di stile di vita e di modelli di consumo per proteggere l'ambiente e considera le azioni umane come parte di un sistema globale.
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LETTERA ENCICLICA LAUDATO SI’ DEL SANTO PADRE FRANCESCO SULLA CURA DELLA CASA COMUNE LIBRERIA EDITRICE VATICANA In copertina: Creazione degli animali, Duomo di Monreale (PA) © Archivio Ultreya, Milano © Copyright 2015 – Libreria Editrice Vaticana – 00120 Città d...
LETTERA ENCICLICA LAUDATO SI’ DEL SANTO PADRE FRANCESCO SULLA CURA DELLA CASA COMUNE LIBRERIA EDITRICE VATICANA In copertina: Creazione degli animali, Duomo di Monreale (PA) © Archivio Ultreya, Milano © Copyright 2015 – Libreria Editrice Vaticana – 00120 Città del Vaticano Tel. 06.698.81032 – Fax 06.698.84716 ISBN 978-88-209-9578-2 www.vatican.va www.libreriaeditricevaticana.va 1. « Laudato si’, mi’ Signore », cantava san France- sco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo l’esistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: « Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con co- loriti flori et herba ».1 2. Questa sorella protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla. La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si mani- festa anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che « geme e soffre le doglie del parto » (Rm 8,22). Dimentichia- mo che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, 1 Cantico delle creature: Fonti Francescane (FF) 263. 3 la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora. Niente di questo mondo ci risulta indifferente 3. Più di cinquant’anni fa, mentre il mondo vacillava sull’orlo di una crisi nucleare, il santo Papa Giovanni XXIII scrisse un’Enciclica con la quale non si limitò solamente a respingere la guerra, ben- sì volle trasmettere una proposta di pace. Diresse il suo messaggio Pacem in terris a tutto il “mondo cattolico”, ma aggiungeva « nonché a tutti gli uomi- ni di buona volontà ». Adesso, di fronte al deterio- ramento globale dell’ambiente, voglio rivolgermi a ogni persona che abita questo pianeta. Nella mia Esortazione Evangelii gaudium, ho scritto ai membri della Chiesa per mobilitare un processo di riforma missionaria ancora da compiere. In questa Encicli- ca, mi propongo specialmente di entrare in dialogo con tutti riguardo alla nostra casa comune. 4. Otto anni dopo la Pacem in terris, nel 1971, il beato Papa Paolo VI si riferì alla problematica ecologica, presentandola come una crisi che è « una conseguenza drammatica » dell’attività incontrolla- ta dell’essere umano: « Attraverso uno sfruttamento 4 sconsiderato della natura, egli rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazio- ne ».2 Parlò anche alla FAO della possibilità, « sotto l’effetto di contraccolpi della civiltà industriale, di […] una vera catastrofe ecologica », sottolineando « l’urgenza e la necessità di un mutamento radicale nella condotta dell’umanità », perché « i progressi scientifici più straordinari, le prodezze tecniche più strabilianti, la crescita economica più prodigiosa, se non sono congiunte ad un autentico progresso sociale e morale, si rivolgono, in definitiva, contro l’uomo ».3 5. San Giovanni Paolo II si è occupato di que- sto tema con un interesse crescente. Nella sua prima Enciclica, osservò che l’essere umano sembra « non percepire altri significati del suo ambiente naturale, ma solamente quelli che servono ai fini di un im- mediato uso e consumo ».4 Successivamente invitò ad una conversione ecologica globale.5 Ma nello stesso 2 Lett. ap. Octogesima adveniens (14 maggio 1971), 21: AAS 63 (1971), 416-417. 3 Discorso alla FAO nel 25° anniversario (16 novembre 1970), 4: AAS 62 (1970), 833. 4 Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), 15: AAS 71 (1979), 287. 5 Cfr Catechesi (17 gennaio 2001), 4: Insegnamenti 24/1 (2001), 179. 5 tempo fece notare che si mette poco impegno per « salvaguardare le condizioni morali di un’autenti- ca ecologia umana ».6 La distruzione dell’ambiente umano è qualcosa di molto serio, non solo perché Dio ha affidato il mondo all’essere umano, bensì perché la vita umana stessa è un dono che deve esse- re protetto da diverse forme di degrado. Ogni aspi- razione a curare e migliorare il mondo richiede di cambiare profondamente gli « stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società ».7 L’autentico sviluppo umano possiede un carattere morale e pre- suppone il pieno rispetto della persona umana, ma deve prestare attenzione anche al mondo naturale e « tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato ».8 Pertanto, la capacità dell’essere umano di trasfor- mare la realtà deve svilupparsi sulla base della pri- ma originaria donazione delle cose da parte di Dio.9 6 Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991), 38: AAS 83 (1991), 841. 7 Ibid., 58: p. 863. 8 Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 di- cembre 1987), 34: AAS 80 (1988), 559. 9 Cfr Id., Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991), 37: AAS 83 (1991), 840. 6 6. Il mio predecessore Benedetto XVI ha rin- novato l’invito a « eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale e [...] correg- gere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente ».10 Ha ricordato che il mondo non può essere analizzato solo isolan- do uno dei suoi aspetti, perché « il libro della natura è uno e indivisibile » e include l’ambiente, la vita, la sessualità, la famiglia, le relazioni sociali, e altri aspetti. Di conseguenza, « il degrado della natura è strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana ».11 Papa Benedetto ci ha propo- sto di riconoscere che l’ambiente naturale è pieno di ferite prodotte dal nostro comportamento irre- sponsabile. Anche l’ambiente sociale ha le sue fe- rite. Ma tutte sono causate in fondo dal medesimo male, cioè dall’idea che non esistano verità indiscu- tibili che guidino la nostra vita, per cui la libertà umana non ha limiti. Si dimentica che « l’uomo non è soltanto una libertà che si crea da sé. L’uomo non crea se stesso. Egli è spirito e volontà, ma è an- 10 Discorso al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede (8 gennaio 2007): AAS 99 (2007), 73. 11 Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 51: AAS 101 (2009), 687. 7 che natura ».12 Con paterna preoccupazione ci ha invitato a riconoscere che la creazione risulta com- promessa « dove noi stessi siamo le ultime istanze, dove l’insieme è semplicemente proprietà nostra e lo consumiamo solo per noi stessi. E lo spreco della creazione inizia dove non riconosciamo più alcuna istanza sopra di noi, ma vediamo soltanto noi stessi ».13 Uniti da una stessa preoccupazione 7. Questi contributi dei Papi raccolgono la ri- flessione di innumerevoli scienziati, filosofi, teolo- gi e organizzazioni sociali che hanno arricchito il pensiero della Chiesa su tali questioni. Non possia- mo però ignorare che anche al di fuori della Chiesa Cattolica, altre Chiese e Comunità cristiane – come pure altre religioni – hanno sviluppato una profon- da preoccupazione e una preziosa riflessione su questi temi che stanno a cuore a tutti noi. Per citare solo un esempio particolarmente significativo, vo- glio riprendere brevemente parte del contributo del caro Patriarca Ecumenico Bartolomeo, con il quale 12 Discorso al Deutscher Bundestag, Berlino (22 settembre 2011): AAS 103 (2011), 664. 13 Discorso al clero della Diocesi di Bolzano-Bressanone (6 agosto 2008): AAS 100 (2008), 634. 8 condividiamo la speranza della piena comunione ecclesiale. 8. Il Patriarca Bartolomeo si è riferito partico- larmente alla necessità che ognuno si penta del pro- prio modo di maltrattare il pianeta, perché « nella misura in cui tutti noi causiamo piccoli danni eco- logici », siamo chiamati a riconoscere « il nostro ap- porto, piccolo o grande, allo stravolgimento e alla distruzione dell’ambiente ».14 Su questo punto, egli si è espresso ripetutamente in maniera ferma e sti- molante, invitandoci a riconoscere i peccati contro la creazione: « Che gli esseri umani distruggano la diversità biologica nella creazione di Dio; che gli esseri umani compromettano l’integrità della terra e contribuiscano al cambiamento climatico, spoglian- do la terra delle sue foreste naturali o distruggendo le sue zone umide; che gli esseri umani inquinino le acque, il suolo, l’aria: tutti questi sono peccati ».15 Perché « un crimine contro la natura è un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio ».16 14 Messaggio per la Giornata di preghiera per la salvaguardia del creato (1 settembre 2012). 15 Discorso a Santa Barbara, California (8 novembre 1997); cfr John Chryssavgis, On Earth as in Heaven: Ecological Vision and Initia- tives of Ecumenical Patriarch Bartholomew, Bronx, New York, 2012. 16 Ibid. 9 9. Allo stesso tempo Bartolomeo ha richia- mato l’attenzione sulle radici etiche e spirituali dei problemi ambientali, che ci invitano a cercare soluzioni non solo nella tecnica, ma anche in un cambiamento dell’essere umano, perché altrimenti affronteremmo soltanto i sintomi. Ci ha proposto di passare dal consumo al sacrificio, dall’avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità di condividere, in un’ascesi che « significa imparare a dare, e non semplicemente a rinunciare. È un modo di amare, di passare gradualmente da ciò che io voglio a ciò di cui ha bisogno il mondo di Dio. È liberazione dalla paura, dall’avidità e dalla dipendenza ».17 Noi cristiani, inoltre, siamo chiamati ad « accettare il mondo come sacramento di comunione, come modo di condividere con Dio e con il prossimo in una scala globale. È nostra umile convinzione che il divino e l’umano si incontrino nel più piccolo dettaglio della veste senza cuciture della creazione di Dio, persino nell’ultimo granello di polvere del nostro pianeta ».18 17 Conferenza al Monastero di Utstein, Norvegia (23 giugno 2003). 18 Discorso « Global Responsibility and Ecological Sustainability: Closing Remarks », I Vertice di Halki, Istanbul (20 giugno 2012). 10 San Francesco d’Assisi 10. Non voglio procedere in questa Enciclica senza ricorrere a un esempio bello e motivante. Ho preso il suo nome come guida e come ispirazio- ne nel momento della mia elezione a Vescovo di Roma. Credo che Francesco sia l’esempio per ec- cellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. È il santo patrono di tutti quelli che studiano e lavo- rano nel campo dell’ecologia, amato anche da molti che non sono cristiani. Egli manifestò un’attenzio- ne particolare verso la creazione di Dio e verso i più poveri e abbandonati. Amava ed era amato per la sua gioia, la sua dedizione generosa, il suo cuore universale. Era un mistico e un pellegrino che vi- veva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso. In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore. 11. La sua testimonianza ci mostra anche che l’ecologia integrale richiede apertura verso catego- rie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’u- mano. Così come succede quando ci innamoriamo 11 di una persona, ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Egli entrava in comunicazione con tutto il creato, e predicava persino ai fiori e « li invitava a lo- dare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione ».19 La sua reazione era molto più che un apprezzamen- to intellettuale o un calcolo economico, perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto. Per questo si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto ciò che esiste. Il suo discepo- lo san Bonaventura narrava che lui, « considerando che tutte le cose hanno un’origine comune, si sen- tiva ricolmo di pietà ancora maggiore e chiamava le creature, per quanto piccole, con il nome di fratello o sorella ».20 Questa convinzione non può essere di- sprezzata come un romanticismo irrazionale, per- ché influisce sulle scelte che determinano il nostro comportamento. Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con 19 Tommaso da Celano, Vita prima di San Francesco, XXIX, 81: FF 460. 20 Legenda Maior, VIII, 6: FF 1145. 12 il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentia- mo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la so- brietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea. La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero og- getto di uso e di dominio. 12. D’altra parte, san Francesco, fedele alla Scrittura, ci propone di riconoscere la natura come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci tra- smette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà: « Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore » (Sap 13,5) e « la sua eterna potenza e divinità vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute » (Rm 1,20). Per questo chie- deva che nel convento si lasciasse sempre una parte dell’orto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammi- rate potessero elevare il pensiero a Dio, autore di 13 tanta bellezza.21 Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode. Il mio appello 13. La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare. Il Creatore non ci abbandona, non fa mai marcia indietro nel suo progetto di amore, non si pente di averci creato. L’umanità ha ancora la capacità di collaborare per costruire la nostra casa comune. Desidero esprime- re riconoscenza, incoraggiare e ringraziare tutti co- loro che, nei più svariati settori dell’attività umana, stanno lavorando per garantire la protezione della casa che condividiamo. Meritano una gratitudine speciale quanti lottano con vigore per risolvere le drammatiche conseguenze del degrado ambientale nella vita dei più poveri del mondo. I giovani esi- gono da noi un cambiamento. Essi si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un fu- 21 Cfr Tommaso da Celano, Vita seconda di San Francesco, CXXIV, 165: FF 750. 14 turo migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi. 14. Rivolgo un invito urgente a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che vivia- mo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci tocca- no tutti. Il movimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino, e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favo- rito una presa di coscienza. Purtroppo, molti sforzi per cercare soluzioni concrete alla crisi ambientale sono spesso frustrati non solo dal rifiuto dei poten- ti, ma anche dal disinteresse degli altri. Gli atteg- giamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche. Abbiamo bi- sogno di nuova solidarietà universale. Come hanno detto i Vescovi del Sudafrica, « i talenti e il coinvol- gimento di tutti sono necessari per riparare il danno causato dagli umani sulla creazione di Dio ».22 Tutti possiamo collaborare come strumenti di Dio per la 22 Conferenza dei Vescovi Cattolici dell’Africa del Sud, Pastoral Statement on the Environmental Crisis (5 settembre 1999). 15 cura della creazione, ognuno con la propria cultura ed esperienza, le proprie iniziative e capacità. 15. Spero che questa Lettera enciclica, che si aggiunge al Magistero sociale della Chiesa, ci aiuti a riconoscere la grandezza, l’urgenza e la bellezza della sfida che ci si presenta. In primo luogo, farò un breve percorso attraverso vari aspetti dell’attua- le crisi ecologica allo scopo di assumere i migliori frutti della ricerca scientifica oggi disponibile, la- sciarcene toccare in profondità e dare una base di concretezza al percorso etico e spirituale che segue. A partire da questa panoramica, riprenderò alcune argomentazioni che scaturiscono dalla tradizione giudeo-cristiana, al fine di dare maggiore coeren- za al nostro impegno per l’ambiente. Poi proverò ad arrivare alle radici della situazione attuale, in modo da coglierne non solo i sintomi ma anche le cause più profonde. Così potremo proporre un’e- cologia che, nelle sue diverse dimensioni, integri il posto specifico che l’essere umano occupa in que- sto mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda. Alla luce di tale riflessione vorrei fare un passo avanti in alcune ampie linee di dialogo e di azione che coinvolgano sia ognuno di noi, sia la po- litica internazionale. Infine, poiché sono convinto 16 che ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo, proporrò alcune linee di maturazione umana ispirate al tesoro dell’esperien- za spirituale cristiana. 16. Ogni capitolo, sebbene abbia una sua te- matica propria e una metodologia specifica, ripren- de a sua volta, da una nuova prospettiva, questioni importanti affrontate nei capitoli precedenti. Que- sto riguarda specialmente alcuni assi portanti che attraversano tutta l’Enciclica. Per esempio: l’inti- ma relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle for- me di potere che derivano dalla tecnologia; l’invi- to a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita. Questi temi non vengono mai chiusi o abbandonati, ma anzi costan- temente ripresi e arricchiti. 17 CAPITOLO PRIMO QUELLO CHE STA ACCADENDO ALLA NOSTRA CASA 17. Le riflessioni teologiche o filosofiche sulla situazione dell’umanità e del mondo possono suo- nare come un messaggio ripetitivo e vuoto, se non si presentano nuovamente a partire da un confron- to con il contesto attuale, in ciò che ha di inedito per la storia dell’umanità. Per questo, prima di rico- noscere come la fede apporta nuove motivazioni ed esigenze di fronte al mondo del quale facciamo parte, propongo di soffermarci brevemente a con- siderare quello che sta accadendo alla nostra casa comune. 18. La continua accelerazione dei cambiamen- ti dell’umanità e del pianeta si unisce oggi all’inten- sificazione dei ritmi di vita e di lavoro, in quella che in spagnolo alcuni chiamano “rapidación” (rapidiz- zazione). Benché il cambiamento faccia parte della dinamica dei sistemi complessi, la velocità che le 19 azioni umane gli impongono oggi contrasta con la naturale lentezza dell’evoluzione biologica. A ciò si aggiunge il problema che gli obiettivi di questo cambiamento veloce e costante non necessariamen- te sono orientati al bene comune e a uno sviluppo umano, sostenibile e integrale. Il cambiamento è qualcosa di auspicabile, ma diventa preoccupante quando si muta in deterioramento del mondo e del- la qualità della vita di gran parte dell’umanità. 19. Dopo un tempo di fiducia irrazionale nel progresso e nelle capacità umane, una parte della società sta entrando in una fase di maggiore con- sapevolezza. Si avverte una crescente sensibilità riguardo all’ambiente e alla cura della natura, e ma- tura una sincera e dolorosa preoccupazione per ciò che sta accadendo al nostro pianeta. Facciamo un percorso, che sarà certamente incompleto, attraver- so quelle questioni che oggi ci provocano inquie- tudine e che ormai non possiamo più nascondere sotto il tappeto. L’obiettivo non è di raccogliere informazioni o saziare la nostra curiosità, ma di prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo, e così riconoscere qual è il contributo che ciascuno può portare. 20 I. Inquinamento e cambiamenti climatici Inquinamento, rifiuti e cultura dello scarto 20. Esistono forme di inquinamento che col- piscono quotidianamente le persone. L’esposizio- ne agli inquinanti atmosferici produce un ampio spettro di effetti sulla salute, in particolare dei più poveri, e provocano milioni di morti premature. Ci si ammala, per esempio, a causa di inalazioni di elevate quantità di fumo prodotto dai combustibili utilizzati per cucinare o per riscaldarsi. A questo si aggiunge l’inquinamento che colpisce tutti, causato dal trasporto, dai fumi dell’industria, dalle discari- che di sostanze che contribuiscono all’acidificazio- ne del suolo e dell’acqua, da fertilizzanti, insetticidi, fungicidi, diserbanti e pesticidi tossici in generale. La tecnologia che, legata alla finanza, pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici rela- zioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri. 21. C’è da considerare anche l’inquinamento prodotto dai rifiuti, compresi quelli pericolosi pre- senti in diversi ambienti. Si producono centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti l’anno, molti dei quali 21 non biodegradabili: rifiuti domestici e commercia- li, detriti di demolizioni, rifiuti clinici, elettronici o industriali, rifiuti altamente tossici e radioattivi. La terra, nostra casa, sembra trasformarsi sempre più in un immenso deposito di immondizia. In molti luoghi del pianeta, gli anziani ricordano con nostal- gia i paesaggi d’altri tempi, che ora appaiono som- mersi da spazzatura. Tanto i rifiuti industriali quan- to i prodotti chimici utilizzati nelle città e nei campi, possono produrre un effetto di bio-accumulazione negli organismi degli abitanti delle zone limitrofe, che si verifica anche quando il livello di presenza di un elemento tossico in un luogo è basso. Molte vol- te si prendono misure solo quando si sono prodotti effetti irreversibili per la salute delle persone. 22. Questi problemi sono intimamente legati alla cultura dello scarto, che colpisce tanto gli es- seri umani esclusi quanto le cose che si trasforma- no velocemente in spazzatura. Rendiamoci conto, per esempio, che la maggior parte della carta che si produce viene gettata e non riciclata. Stentiamo a riconoscere che il funzionamento degli ecosistemi naturali è esemplare: le piante sintetizzano sostanze nutritive che alimentano gli erbivori; questi a loro volta alimentano i carnivori, che forniscono impor- 22 tanti quantità di rifiuti organici, i quali danno luogo a una nuova generazione di vegetali. Al contrario, il sistema industriale, alla fine del ciclo di produzione e di consumo, non ha sviluppato la capacità di as- sorbire e riutilizzare rifiuti e scorie. Non si è ancora riusciti ad adottare un modello circolare di produ- zione che assicuri risorse per tutti e per le genera- zioni future, e che richiede di limitare al massimo l’uso delle risorse non rinnovabili, moderare il con- sumo, massimizzare l’efficienza dello sfruttamento, riutilizzare e riciclare. Affrontare tale questione sa- rebbe un modo di contrastare la cultura dello scar- to che finisce per danneggiare il pianeta intero, ma osserviamo che i progressi in questa direzione sono ancora molto scarsi. Il clima come bene comune 23. Il clima è un bene comune, di tutti e per tutti. Esso, a livello globale, è un sistema complesso in relazione con molte condizioni essenziali per la vita umana. Esiste un consenso scientifico molto consistente che indica che siamo in presenza di un preoccupante riscaldamento del sistema climatico. Negli ultimi decenni, tale riscaldamento è stato ac- compagnato dal costante innalzamento del livello del mare, e inoltre è difficile non metterlo in re- 23 lazione con l’aumento degli eventi meteorologici estremi, a prescindere dal fatto che non si possa attribuire una causa scientificamente determinabile ad ogni fenomeno particolare. L’umanità è chiama- ta a prendere coscienza della necessità di cambia- menti di stili di vita, di produzione e di consumo, per combattere questo riscaldamento o, almeno, le cause umane che lo producono o lo accentuano. È vero che ci sono altri fattori (quali il vulcanismo, le variazioni dell’orbita e dell’asse terrestre, il ciclo solare), ma numerosi studi scientifici indicano che la maggior parte del riscaldamento globale degli ul- timi decenni è dovuta alla grande concentrazione di gas serra (biossido di carbonio, metano, ossido di azoto ed altri) emessi soprattutto a causa dell’atti- vità umana. La loro concentrazione nell’atmosfera ostacola la dispersione del calore che la luce del sole produce sulla superficie della terra. Ciò viene po- tenziato specialmente dal modello di sviluppo basa- to sull’uso intensivo di combustibili fossili, che sta al centro del sistema energetico mondiale. Ha inci- so anche l’aumento della pratica del cambiamento d’uso del suolo, principalmente la deforestazione per finalità agricola. 24. A sua volta, il riscaldamento ha effetti sul ciclo del carbonio. Crea un circolo vizioso che ag- 24 grava ancora di più la situazione e che inciderà sulla disponibilità di risorse essenziali come l’acqua po- tabile, l’energia e la produzione agricola delle zone più calde, e provocherà l’estinzione di parte della biodiversità del pianeta. Lo scioglimento dei ghiacci polari e di quelli d’alta quota minaccia la fuoriuscita ad alto rischio di gas metano, e la decomposizione della materia organica congelata potrebbe accentua- re ancora di più l’emissione di biossido di carbonio. A sua volta, la perdita di foreste tropicali peggio- ra le cose, giacché esse aiutano a mitigare il cam- biamento climatico. L’inquinamento prodotto dal biossido di carbonio aumenta l’acidità degli oceani e compromette la catena alimentare marina. Se la tendenza attuale continua, questo secolo potrebbe essere testimone di cambiamenti climatici inauditi e di una distruzione senza precedenti degli ecosiste- mi, con gravi conseguenze per tutti noi. L’innalza- mento del livello del mare, ad esempio, può creare situazioni di estrema gravità se si tiene conto che un quarto della popolazione mondiale vive in riva al mare o molto vicino ad esso, e la maggior parte delle megalopoli sono situate in zone costiere. 25. I cambiamenti climatici sono un problema globale con gravi implicazioni ambientali, sociali, 25 economiche, distributive e politiche, e costituisco- no una delle principali sfide attuali per l’umanità. Gli impatti più pesanti probabilmente ricadranno nei prossimi decenni sui Paesi in via di sviluppo. Molti poveri vivono in luoghi particolarmente col- piti da fenomeni connessi al riscaldamento, e i loro mezzi di sostentamento dipendono fortemente dalle riserve naturali e dai cosiddetti servizi dell’e- cosistema, come l’agricoltura, la pesca e le risorse forestali. Non hanno altre disponibilità economi- che e altre risorse che permettano loro di adattarsi agli impatti climatici o di far fronte a situazioni ca- tastrofiche, e hanno poco accesso a servizi socia- li e di tutela. Per esempio, i cambiamenti climatici danno origine a migrazioni di animali e vegetali che non sempre possono adattarsi, e questo a sua volta intacca le risorse produttive dei più poveri, i qua- li pure si vedono obbligati a migrare con grande incertezza sul futuro della loro vita e dei loro fi- gli. È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle conven- zioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa. Purtroppo c’è una generale indifferenza di fronte a queste tragedie, che accadono tuttora in diverse 26 parti del mondo. La mancanza di reazioni di fron- te a questi drammi dei nostri fratelli e sorelle è un segno della perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni società civile. 26. Molti di coloro che detengono più risorse e potere economico o politico sembrano concen- trarsi soprattutto nel mascherare i problemi o na- sconderne i sintomi, cercando solo di ridurre alcuni impatti negativi di cambiamenti climatici. Ma molti sintomi indicano che questi effetti potranno essere sempre peggiori se continuiamo con gli attuali mo- delli di produzione e di consumo. Perciò è diven- tato urgente e impellente lo sviluppo di politiche affinché nei prossimi anni l’emissione di biossido di carbonio e di altri gas altamente inquinanti si riduca drasticamente, ad esempio, sostituendo i combu- stibili fossili e sviluppando fonti di energia rinno- vabile. Nel mondo c’è un livello esiguo di accesso alle energie pulite e rinnovabili. C’è ancora bisogno di sviluppare tecnologie adeguate di accumulazio- ne. Tuttavia, in alcuni Paesi ci sono stati progressi che cominciano ad essere significativi, benché siano lontani dal raggiungere una proporzione importan- te. Ci sono stati anche alcuni investimenti in mo- dalità di produzione e di trasporto che consumano meno energia e richiedono minore quantità di ma- 27 terie prime, come pure in modalità di costruzione o ristrutturazione di edifici che ne migliorino l’effi- cienza energetica. Ma queste buone pratiche sono lontane dal diventare generali. II. La questione dell’acqua 27. Altri indicatori della situazione attuale sono legati all’esaurimento delle risorse naturali. Conosciamo bene l’impossibilità di sostenere l’at- tuale livello di consumo dei Paesi più sviluppati e dei settori più ricchi delle società, dove l’abitudine di sprecare e buttare via raggiunge livelli inauditi. Già si sono superati certi limiti massimi di sfrut- tamento del pianeta, senza che sia stato risolto il problema della povertà. 28. L’acqua potabile e pulita rappresenta una questione di primaria importanza, perché è in- dispensabile per la vita umana e per sostenere gli ecosistemi terrestri e acquatici. Le fonti di acqua dolce riforniscono i settori sanitari, agropastorali e industriali. La disponibilità di acqua è rimasta re- lativamente costante per lungo tempo, ma ora in molti luoghi la domanda supera l’offerta sostenibi- le, con gravi conseguenze a breve e lungo termine. Grandi città, dipendenti da importanti riserve idri- 28 che, soffrono periodi di carenza della risorsa, che nei momenti critici non viene amministrata sem- pre con una adeguata gestione e con imparzialità. La povertà di acqua pubblica si ha specialmente in Africa, dove grandi settori della popolazione non accedono all’acqua potabile sicura, o subiscono sic- cità che rendono difficile la produzione di cibo. In alcuni Paesi ci sono regioni con abbondanza di ac- qua, mentre altre patiscono una grave carenza. 29. Un problema particolarmente serio è quel- lo della qualità dell’acqua disponibile per i poveri, che provoca molte morti ogni giorno. Fra i poveri sono frequenti le malattie legate all’acqua, incluse quelle causate da microorganismi e da sostanze chimiche. La dissenteria e il colera, dovuti a servizi igienici e riserve di acqua inadeguati, sono un fatto- re significativo di sofferenza e di mortalità infantile. Le falde acquifere in molti luoghi sono minacciate dall’inquinamento che producono alcune attività estrattive, agricole e industriali, soprattutto in Pae- si dove mancano una regolamentazione e dei con- trolli sufficienti. Non pensiamo solamente ai rifiuti delle fabbriche. I detergenti e i prodotti chimici che la popolazione utilizza in molti luoghi del mondo continuano a riversarsi in fiumi, laghi e mari. 29 30. Mentre la qualità dell’acqua disponibile peggiora costantemente, in alcuni luoghi avanza la tendenza a privatizzare questa risorsa scarsa, tra- sformata in merce soggetta alle leggi del mercato. In realtà, l’accesso all’acqua potabile e sicura è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale, perché determi- na la sopravvivenza delle persone, e per questo è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani. Questo mondo ha un grave debito sociale verso i poveri che non hanno accesso all’acqua potabile, perché ciò significa negare ad essi il diritto alla vita radicato nella loro ina- lienabile dignità. Questo debito si salda in parte con maggiori contributi economici per fornire acqua pulita e servizi di depurazione tra le popolazioni più povere. Però si riscontra uno spreco di acqua non solo nei Paesi sviluppati, ma anche in quelli in via di sviluppo che possiedono grandi riserve. Ciò evidenzia che il problema dell’acqua è in parte una questione educativa e culturale, perché non vi è consapevolezza della gravità di tali comportamenti in un contesto di grande inequità. 31. Una maggiore scarsità di acqua provo- cherà l’aumento del costo degli alimenti e di vari prodotti che dipendono dal suo uso. Alcuni studi hanno segnalato il rischio di subire un’acuta scarsità 30 di acqua entro pochi decenni se non si agisce con urgenza. Gli impatti ambientali potrebbero colpire miliardi di persone, e d’altra parte è prevedibile che il controllo dell’acqua da parte di grandi imprese mondiali si trasformi in una delle principali fonti di conflitto di questo secolo.23 III. Perdita di biodiversità 32. Anche le risorse della terra vengono de- predate a causa di modi di intendere l’economia e l’attività commerciale e produttiva troppo legati al risultato immediato. La perdita di foreste e boschi implica allo stesso tempo la perdita di specie che potrebbero costituire nel futuro risorse estrema- mente importanti, non solo per l’alimentazione, ma anche per la cura di malattie e per molteplici servizi. Le diverse specie contengono geni che pos- sono essere risorse-chiave per rispondere in futuro a qualche necessità umana o per risolvere qualche problema ambientale. 33. Ma non basta pensare alle diverse specie solo come eventuali “risorse” sfruttabili, dimenti- 23 Cfr Saluto al personale della FAO (20 novembre 2014): AAS 106 (2014), 985. 31 cando che hanno un valore in sé stesse. Ogni anno scompaiono migliaia di specie vegetali e animali che non potremo più conoscere, che i nostri figli non potranno vedere, perse per sempre. La stragrande maggioranza si estingue per ragioni che hanno a che fare con qualche attività umana. Per causa nostra, migliaia di specie non daranno gloria a Dio con la loro esistenza né potranno comunicarci il proprio messaggio. Non ne abbiamo il diritto. 34. Probabilmente ci turba venire a conoscen- za dell’estinzione di un mammifero o di un volatile, per la loro maggiore visibilità. Ma per il buon fun- zionamento degli ecosistemi sono necessari anche i funghi, le alghe, i vermi, i piccoli insetti, i rettili e l’innumerevole varietà di microorganismi. Alcu- ne specie poco numerose, che di solito passano inosservate, giocano un ruolo critico fondamentale per stabilizzare l’equilibrio di un luogo. È vero che l’essere umano deve intervenire quando un geosi- stema entra in uno stadio critico, ma oggi il livello di intervento umano in una realtà così complessa come la natura è tale, che i costanti disastri causati dall’essere umano provocano un suo nuovo inter- vento, in modo che l’attività umana diventa onni- presente, con tutti i rischi che questo comporta. Si viene a creare un circolo vizioso in cui l’intervento 32 dell’essere umano per risolvere una difficoltà mol- te volte aggrava ulteriormente la situazione. Per esempio, molti uccelli e insetti che si estinguono a motivo dei pesticidi tossici creati dalla tecnologia, sono utili alla stessa agricoltura, e la loro scomparsa dovrà essere compensata con un altro intervento tecnologico che probabilmente porterà nuovi ef- fetti nocivi. Sono lodevoli e a volte ammirevoli gli sforzi di scienziati e tecnici che cercano di risolvere i problemi creati dall’essere umano. Ma osservando il mondo notiamo che questo livello di intervento umano, spesso al servizio della finanza e del con- sumismo, in realtà fa sì che la terra in cui viviamo diventi meno ricca e bella, sempre più limitata e gri- gia, mentre contemporaneamente lo sviluppo della tecnologia e delle offerte di consumo continua ad avanzare senza limiti. In questo modo, sembra che ci illudiamo di poter sostituire una bellezza irripe- tibile e non recuperabile con un’altra creata da noi. 35. Quando si analizza l’impatto ambientale di qualche iniziativa economica, si è soliti conside- rare gli effetti sul suolo, sull’acqua e sull’aria, ma non sempre si include uno studio attento dell’im- patto sulla biodiversità, come se la perdita di alcune specie o di gruppi animali o vegetali fosse qualco- sa di poco rilevante. Le strade, le nuove colture, le 33 recinzioni, i bacini idrici e altre costruzioni, vanno prendendo possesso degli habitat e a volte li fram- mentano in modo tale che le popolazioni animali non possono più migrare né spostarsi liberamente, cosicché alcune specie vanno a rischio di estinzione. Esistono alternative che almeno mitigano l’impatto di queste opere, come la creazione di corridoi bio- logici, ma in pochi Paesi si riscontra tale cura e tale attenzione. Quando si sfruttano commercialmente alcune specie, non sempre si studia la loro modalità di crescita, per evitare la loro eccessiva diminuzione con il conseguente squilibrio dell’ecosistema. 36. La cura degli ecosistemi richiede uno sguardo che vada aldilà dell’immediato, perché quando si cerca solo un profitto economico rapido e facile, a nessuno interessa veramente la loro pre- servazione. Ma il costo dei danni provocati dall’in- curia egoistica è di gran lunga più elevato del bene- ficio economico che si può ottenere. Nel caso della perdita o del serio danneggiamento di alcune spe- cie, stiamo parlando di valori che eccedono qualun- que calcolo. Per questo, possiamo essere testimoni muti di gravissime inequità quando si pretende di ottenere importanti benefici facendo pagare al re- sto dell’umanità, presente e futura, gli altissimi costi del degrado ambientale. 34 37. Alcuni Paesi hanno fatto progressi nella conservazione efficace di determinati luoghi e zone – sulla terra e negli oceani – dove si proibisce ogni intervento umano che possa modificarne la fisio- nomia o alterarne la costituzione originale. Nella cura della biodiversità, gli specialisti insistono sulla necessità di porre una speciale attenzione alle zone più ricche di varietà di specie, di specie endemiche, poco frequenti o con minor grado di protezione efficace. Ci sono luoghi che richiedono una cura particolare a motivo della loro enorme importan- za per l’ecosistema mondiale, o che costituiscono significative riserve di acqua e così assicurano altre forme di vita. 38. Ricordiamo, per esempio, quei polmoni del pianeta colmi di biodiversità che sono l’Amaz- zonia e il bacino fluviale del Congo, o le grandi fal- de acquifere e i ghiacciai. È ben nota l’importan- za di questi luoghi per l’insieme del pianeta e per il futuro dell’umanità. Gli ecosistemi delle foreste tropicali hanno una biodiversità di grande comples- sità, quasi impossibile da conoscere completamen- te, ma quando queste foreste vengono bruciate o rase al suolo per accrescere le coltivazioni, in pochi anni si perdono innumerevoli specie, o tali aree si 35 trasformano in aridi deserti. Tuttavia, un delicato equilibrio si impone quando si parla di questi luo- ghi, perché non si possono nemmeno ignorare gli enormi interessi economici internazionali che, con il pretesto di prendersene cura, possono mettere in pericolo le sovranità nazionali. Di fatto esistono « proposte di internazionalizzazione dell’Amazzo- nia, che servono solo agli interessi economici delle multinazionali ».24 È lodevole l’impegno di organi- smi internazionali e di organizzazioni della società civile che sensibilizzano le popolazioni e coopera- no in modo critico, anche utilizzando legittimi mec- canismi di pressione, affinché ogni governo adem- pia il proprio e non delegabile dovere di preservare l’ambiente e le risorse naturali del proprio Paese, senza vendersi a ambigui interessi locali o interna- zionali. 39. Neppure la sostituzione della flora selvati- ca con aree piantate a bosco, che generalmente sono monocolture, è solitamente oggetto di un’adeguata analisi. In realtà essa può colpire gravemente una biodiversità che non è albergata dalle nuove specie che si piantano. Anche le zone umide, che vengono 24 V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoame- ricano e dei Caraibi, Documento di Aparecida (29 giugno 2007), 86. 36 trasformate in terreno agricolo, perdono l’enorme biodiversità che ospitavano. In alcune zone costiere è preoccupante la scomparsa degli ecosistemi costi- tuiti da mangrovie. 40. Gli oceani non solo contengono la mag- gior parte dell’acqua del pianeta, ma anche la mag- gior parte della vasta varietà di esseri viventi, molti dei quali ancora a noi sconosciuti e minacciati da diverse cause. D’altra parte, la vita nei fiumi, nei la- ghi, nei mari e negli oceani, che nutre gran parte della popolazione mondiale, si vede colpita dal pre- lievo incontrollato delle risorse ittiche, che provo- ca diminuzioni drastiche di alcune specie. Ancora si continua a sviluppare modalità selettive di pesca che scartano gran parte delle specie raccolte. Sono particolarmente minacciati organismi marini che non teniamo in considerazione, come certe for- me di plancton che costituiscono una componente molto importante nella catena alimentare marina, e dalle quali dipendono, in definitiva, specie che si utilizzano per l’alimentazione umana. 41. Addentrandoci nei mari tropicali e subtro- picali, incontriamo le barriere coralline, che corri- spondono alle grandi foreste della terraferma, per- ché ospitano approssimativamente un milione di 37 specie, compresi pesci, granchi, molluschi, spugne, alghe. Molte delle barriere coralline del mondo oggi sono sterili o sono in continuo declino: « Chi ha tra- sformato il meraviglioso mondo marino in cimiteri subacquei spogliati di vita e di colore? ».25 Questo fenomeno è dovuto in gran parte all’inquinamen- to che giunge al mare come risultato della defo- restazione, delle monoculture agricole, dei rifiuti industriali e di metodi distruttivi di pesca, special- mente quelli che utilizzano il cianuro e la dinamite. È aggravato dall’aumento della temperatura degli oceani. Tutto questo ci aiuta a capire come qualun- que azione sulla natura può avere conseguenze che non avvertiamo a prima vista, e che certe forme di sfruttamento delle risorse si ottengono a costo di un degrado che alla fine giunge fino in fondo agli oceani. 42. È necessario investire molto di più nella ricerca, per comprendere meglio il comportamen- to degli ecosistemi e analizzare adeguatamente le diverse variabili di impatto di qualsiasi modifica importante dell’ambiente. Poiché tutte le creature 25 Conferenza dei Vescovi Cattolici delle Filippine, Let- tera pastorale What is Happening to our Beautiful Land? (29 gennaio 1988). 38 sono connesse tra loro, di ognuna dev’essere ri- conosciuto il valore con affetto e ammirazione, e tutti noi esseri creati abbiamo bisogno gli uni de- gli altri. Ogni territorio ha una responsabilità nella cura di questa famiglia, per cui dovrebbe fare un accurato inventario delle specie che ospita, in vista di sviluppare programmi e strategie di protezione, curando con particolare attenzione le specie in via di estinzione. IV. Deterioramento della qualità della vita umana e degradazione sociale 43. Se teniamo conto del fatto che anche l’es- sere umano è una creatura di questo mondo, che ha diritto a vivere e ad essere felice, e inoltre ha una speciale dignità, non possiamo tralasciare di consi- derare gli effetti del degrado ambientale, dell’attuale modello di sviluppo e della cultura dello scarto sulla vita delle persone. 44. Oggi riscontriamo, per esempio, la smisu- rata e disordinata crescita di molte città che sono diventate invivibili dal punto di vista della salute, non solo per l’inquinamento originato dalle emis- sioni tossiche, ma anche per il caos urbano, i pro- blemi di trasporto e l’inquinamento visivo e acusti- 39 co. Molte città sono grandi strutture inefficienti che consumano in eccesso acqua ed energia. Ci sono quartieri che, sebbene siano stati costruiti di recen- te, sono congestionati e disordinati, senza spazi verdi sufficienti. Non si addice ad abitanti di questo pianeta vivere sempre più sommersi da cemento, asfalto, vetro e metalli, privati del contatto fisico con la natura. 45. In alcuni luoghi, rurali e urbani, la priva- tizzazione degli spazi ha reso difficile l’accesso dei cittadini a zone di particolare bellezza; altrove si sono creati quartieri residenziali “ecologici” solo a disposizione di pochi, dove si fa in modo di evi- tare che altri entrino a disturbare una tranquillità artificiale. Spesso si trova una città bella e piena di spazi verdi ben curati in alcune aree “sicure”, ma non altrettanto in zone meno visibili, dove vivono gli scartati della società. 46. Tra le componenti sociali del cambiamen- to globale si includono gli effetti occupazionali di alcune innovazioni tecnologiche, l’esclusione socia- le, la disuguaglianza nella disponibilità e nel consu- mo dell’energia e di altri servizi, la frammentazione sociale, l’aumento della violenza e il sorgere di nuo- ve forme di aggressività sociale, il narcotraffico e 40 il consumo crescente di droghe fra i più giovani, la perdita di identità. Sono segni, tra gli altri, che mo- strano come la crescita degli ultimi due secoli non ha significato in tutti i suoi aspetti un vero progres- so integrale e un miglioramento della qualità della vita. Alcuni di questi segni sono allo stesso tempo sintomi di un vero degrado sociale, di una silenzio- sa rottura dei legami di integrazione e di comunio- ne sociale. 47. A questo si aggiungono le dinamiche dei media e del mondo digitale, che, quando diventano onnipresenti, non favoriscono lo sviluppo di una capacità di vivere con sapienza, di pensare in pro- fondità, di amare con generosità. I grandi sapienti del passato, in questo contesto, correrebbero il ri- schio di vedere soffocata la loro sapienza in mezzo al rumore dispersivo dell’informazione. Questo ci richiede uno sforzo affinché tali mezzi si traducano in un nuovo sviluppo culturale dell’umanità e non in un deterioramento della sua ricchezza più pro- fonda. La vera sapienza, frutto della riflessione, del dialogo e dell’incontro generoso fra le persone, non si acquisisce con una mera accumulazione di dati che finisce per saturare e confondere, in una spe- cie di inquinamento mentale. Nello stesso tempo, 41 le relazioni reali con gli altri, con tutte le sfide che implicano, tendono ad essere sostituite da un tipo di comunicazione mediata da internet. Ciò permet- te di selezionare o eliminare le relazioni secondo il nostro arbitrio, e così si genera spesso un nuovo tipo di emozioni artificiali, che hanno a che vedere più con dispositivi e schermi che con le persone e la natura. I mezzi attuali permettono che comunichia- mo tra noi e che condividiamo conoscenze e affetti. Tuttavia, a volte anche ci impediscono di prendere contatto diretto con l’angoscia, con il tremore, con la gioia dell’altro e con la complessità della sua espe- rienza personale. Per questo non dovrebbe stupire il fatto che, insieme all’opprimente offerta di questi prodotti, vada crescendo una profonda e malinco- nica insoddisfazione nelle relazioni interpersonali, o un dannoso isolamento. V. Inequità planetaria 48. L’ambiente umano e l’ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontare ade- guatamente il degrado ambientale, se non prestia- mo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale. Di fatto, il deterioramen- to dell’ambiente e quello della società colpiscono 42 in modo speciale i più deboli del pianeta: « Tanto l’esperienza comune della vita ordinaria quanto la ricerca scientifica dimostrano che gli effetti più gra- vi di tutte le aggressioni ambientali li subisce la gen- te più povera ».26 Per esempio, l’esaurimento delle riserve ittiche penalizza specialmente coloro che vivono della pesca artigianale e non hanno come sostituirla, l’inquinamento dell’acqua colpisce in particolare i più poveri che non hanno la possibilità di comprare acqua imbottigliata, e l’innalzamento del livello del mare colpisce principalmente le po- polazioni costiere impoverite che non hanno dove trasferirsi. L’impatto degli squilibri attuali si mani- festa anche nella morte prematura di molti poveri, nei conflitti generati dalla mancanza di risorse e in tanti altri problemi che non trovano spazio suffi- ciente nelle agende del mondo.27 49. Vorrei osservare che spesso non si ha chiara consapevolezza dei problemi che colpisco- no particolarmente gli esclusi. Essi sono la maggior 26 Conferenza Episcopale Boliviana, Lettera pastorale sull’ambiente e lo sviluppo umano in Bolivia El universo, don de Dios para la vida (2012), 17. 27 Cfr Conferenza Episcopale Tedesca. Commissione per gli Affari Sociali, Der Klimawandel: Brennpunkt globaler, intergenerati- oneller und ökologischer Gerechtigkeit (settembre 2006), 28-30. 43 parte del pianeta, miliardi di persone. Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economici inter- nazionali, ma per lo più sembra che i loro problemi si pongano come un’appendice, come una questio- ne che si aggiunga quasi per obbligo o in maniera periferica, se non li si considera un mero danno col- laterale. Di fatto, al momento dell’attuazione con- creta, rimangono frequentemente all’ultimo posto. Questo si deve in parte al fatto che tanti professio- nisti, opinionisti, mezzi di comunicazione e centri di potere sono ubicati lontani da loro, in aree urba- ne isolate, senza contatto diretto con i loro proble- mi. Vivono e riflettono a partire dalla comodità di uno sviluppo e di una qualità di vita che non sono alla portata della maggior parte della popolazione mondiale. Questa mancanza di contatto fisico e di incontro, a volte favorita dalla frammentazione del- le nostre città, aiuta a cauterizzare la coscienza e a ignorare parte della realtà in analisi parziali. Ciò a volte convive con un discorso “verde”. Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio socia- le, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri. 44 50. Invece di risolvere i problemi dei poveri e pensare a un mondo diverso, alcuni si limitano a proporre una riduzione della natalità. Non manca- no pressioni internazionali sui Paesi in via di svilup- po che condizionano gli aiuti economici a determi- nate politiche di “salute riproduttiva”. Però, « se è vero che l’ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell’ambiente, va riconosciu- to che la crescita demografica è pienamente com- patibile con uno sviluppo integrale e solidale ».28 Incolpare l’incremento demografico e non il con- sumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi. Si pretende così di legittimare l’attuale modello distributivo, in cui una minoranza si crede in diritto di consumare in una proporzione che sarebbe impossibile generalizzare, perché il pianeta non potrebbe nemmeno contene- re i rifiuti di un simile consumo. Inoltre, sappiamo che si spreca approssimativamente un terzo degli alimenti che si producono, e « il cibo che si butta via è come se lo si rubasse dalla mensa del pove- 28 Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Com- pendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 483. 45 ro ».29 Ad ogni modo, è certo che bisogna prestare attenzione allo squilibrio nella distribuzione della popolazione sul territorio, sia a livello nazionale sia a livello globale, perché l’aumento del consumo porterebbe a situazioni regionali complesse, per le combinazioni di problemi legati all’inquinamento ambientale, ai trasporti, allo smaltimento dei rifiuti, alla perdita di risorse, alla qualità della vita. 51. L’inequità non colpisce solo gli individui, ma Paesi interi, e obbliga a pensare ad un’etica delle relazioni internazionali. C’è infatti un vero “debito ecologico”, soprattutto tra il Nord e il Sud, connes- so a squilibri commerciali con conseguenze in am- bito ecologico, come pure all’uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da al- cuni Paesi. Le esportazioni di alcune materie prime per soddisfare i mercati nel Nord industrializzato hanno prodotto danni locali, come l’inquinamen- to da mercurio nelle miniere d’oro o da diossido di zolfo in quelle di rame. In modo particolare c’è da calcolare l’uso dello spazio ambientale di tutto il pianeta per depositare rifiuti gassosi che sono an- dati accumulandosi durante due secoli e hanno ge- nerato una situazione che ora colpisce tutti i Paesi 29 Catechesi (5 giugno 2013): Insegnamenti 1/1 (2013), 280. 46 del mondo. Il riscaldamento causato dall’enorme consumo di alcuni Paesi ricchi ha ripercussioni nei luoghi più poveri della terra, specialmente in Africa, dove l’aumento della temperatura unito alla siccità ha effetti disastrosi sul rendimento delle coltiva- zioni. A questo si uniscono i danni causati dall’e- sportazione verso i Paesi in via di sviluppo di rifiuti solidi e liquidi tossici e dall’attività inquinante di imprese che fanno nei Paesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro capitale: « Constatiamo che spesso le imprese che operano così sono multinazionali, che fanno qui quello che non è loro permesso nei Paesi svilup- pati o del cosiddetto primo mondo. Generalmente, quando cessano le loro attività e si ritirano, lasciano grandi danni umani e ambientali, come la disoccu- pazione, villaggi senza vita, esaurimento di alcune riserve naturali, deforestazione, impoverimento dell’agricoltura e dell’allevamento locale, crateri, colline devastate, fiumi inquinati e qualche opera sociale che non si può più sostenere ».30 52. Il debito estero dei Paesi poveri si è tra- sformato in uno strumento di controllo, ma non 30 Vescovi della Regione Patagonia-Comahue (Argenti- na), Mensaje de Navidad (dicembre 2009), 2. 47 accade la stessa cosa con il debito ecologico. In di- versi modi, i popoli in via di sviluppo, dove si tro- vano le riserve più importanti della biosfera, conti- nuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro. La ter- ra dei poveri del Sud è ricca e poco inquinata, ma l’accesso alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è loro vieta- to da un sistema di rapporti commerciali e di pro- prietà strutturalmente perverso. È necessario che i Paesi sviluppati contribuiscano a risolvere questo debito limitando in modo importante il consumo di energia non rinnovabile, e apportando risorse ai Paesi più bisognosi per promuovere politiche e programmi di sviluppo sostenibile. Le regioni e i Paesi più poveri hanno meno possibilità di adottare nuovi modelli di riduzione dell’impatto ambientale, perché non hanno la preparazione per sviluppare i processi necessari e non possono coprirne i costi. Perciò, bisogna conservare chiara la coscienza che nel cambiamento climatico ci sono responsabilità di- versificate e, come hanno detto i Vescovi degli Stati Uniti, è opportuno puntare « specialmente sulle ne- cessità dei poveri, deboli e vulnerabili, in un dibat- 48 tito spesso dominato dagli interessi più potenti ».31 Bisogna rafforzare la consapevolezza che siamo una sola famiglia umana. Non ci sono frontiere e barriere politiche o sociali che ci permettano di iso- larci, e per ciò stesso non c’è nemmeno spazio per la globalizzazione dell’indifferenza. VI. La debolezza delle reazioni 53. Queste situazioni provocano i gemiti di sorella terra, che si uniscono ai gemiti degli abban- donati del mondo, con un lamento che reclama da noi un’altra rotta. Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli. Siamo invece chiamati a diventare gli strumenti di Dio Padre perché il nostro pianeta sia quello che Egli ha sognato nel crearlo e risponda al suo pro- getto di pace, bellezza e pienezza. Il problema è che non disponiamo ancora della cultura necessaria per affrontare questa crisi e c’è bisogno di costruire lea- dership che indichino strade, cercando di rispondere alle necessità delle generazioni attuali includendo 31 Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, Global Climate Change: A Plea for Dialogue, Prudence and the Common Good (15 giugno 2001). 49 tutti, senza compromettere le generazioni future. Si rende indispensabile creare un sistema normativo che includa limiti inviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi, prima che le nuove forme di pote- re derivate dal paradigma tecno-economico finisca- no per distruggere non solo la politica ma anche la libertà e la giustizia. 54. Degna di nota è la debolezza della rea- zione politica internazionale. La sottomissione del- la politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene co- mune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti. In questa linea il Documento di Aparecida chiede che « negli interventi sulle risorse naturali non prevalgano gli interessi di gruppi eco- nomici che distruggono irrazionalmente le fonti di vita ».32 L’alleanza tra economia e tecnologia finisce per lasciare fuori tutto ciò che non fa parte dei loro interessi immediati. Così ci si potrebbe aspettare so- lamente alcuni proclami superficiali, azioni filantro- piche isolate, e anche sforzi per mostrare sensibilità 32 V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoameri- cano e dei Caraibi, Documento di Aparecida (29 giugno 2007), 471. 50 verso l’ambiente, mentre in realtà qualunque tentati- vo delle organizzazioni sociali di modificare le cose sarà visto come un disturbo provocato da sognatori romantici o come un ostacolo da eludere. 55. A poco a poco alcuni Paesi possono mo- strare progressi importanti, lo sviluppo di controlli più efficienti e una lotta più sincera contro la cor- ruzione. È cresciuta la sensibilità ecologica delle popolazioni, anche se non basta per modificare le abitudini nocive di consumo, che non sembrano re- cedere, bensì estendersi e svilupparsi. È quello che succede, per fare solo un semplice esempio, con il crescente aumento dell’uso e dell’intensità dei con- dizionatori d’aria: i mercati, cercando un profitto immediato, stimolano ancora di più la domanda. Se qualcuno osservasse dall’esterno la società plane- taria, si stupirebbe di fronte a un simile comporta- mento che a volte sembra suicida. 56. Nel frattempo i poteri economici conti- nuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca del- la rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’am- biente. Così si manifesta che il degrado ambienta- le e il degrado umano ed etico sono intimamente 51 connessi. Molti diranno che non sono consapevoli di compiere azioni immorali, perché la distrazione costante ci toglie il coraggio di accorgerci della re- altà di un mondo limitato e finito. Per questo oggi « qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta ».33 57. È prevedibile che, di fronte all’esaurimen- to di alcune risorse, si vada creando uno scenario favorevole per nuove guerre, mascherate con nobili rivendicazioni. La guerra causa sempre gravi danni all’ambiente e alla ricchezza culturale dei popoli, e i rischi diventano enormi quando si pensa alle armi nucleari e a quelle biologiche. Infatti « nonostante che accordi internazionali proibiscano la guerra chi- mica, batteriologica e biologica, sta di fatto che nei laboratori continua la ricerca per lo sviluppo di nuo- ve armi offensive, capaci di alterare gli equilibri natu- rali ».34 Si richiede dalla politica una maggiore atten- zione per prevenire e risolvere le cause che possono dare origine a nuovi conflitti. Ma il potere collegato 33 Esort. ap. Evangelii gaudium (24 novembre 2013), 56: AAS 105 (2013), 1043. 34 Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, 12: AAS 82 (1990), 154. 52 con la finanza è quello che più resiste a tale sforzo, e i disegni politici spesso non hanno ampiezza di vedu- te. Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era urgente e necessario farlo? 58. In alcuni Paesi ci sono esempi positivi di risultati nel migliorare l’ambiente, come il risana- mento di alcuni fiumi che sono stati inquinati per tanti decenni, il recupero di boschi autoctoni, o l’abbellimento di paesaggi con opere di risanamen- to ambientale, o progetti edilizi di grande valore estetico, progressi nella produzione di energia non inquinante, nel miglioramento dei trasporti pubbli- ci. Queste azioni non risolvono i problemi globali, ma confermano che l’essere umano è ancora ca- pace di intervenire positivamente. Essendo stato creato per amare, in mezzo ai suoi limiti germo- gliano inevitabilmente gesti di generosità, solida- rietà e cura. 59. Nello stesso tempo, cresce un’ecologia superficiale o apparente che consolida un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità. Come spesso accade in epoche di profonde crisi, che richiedono decisioni coraggiose, siamo tentati di pensare che quanto sta succedendo non è cer- 53 to. Se guardiamo in modo superficiale, al di là di alcuni segni visibili di inquinamento e di degrado, sembra che le cose non siano tanto gravi e che il pianeta potrebbe rimanere per molto tempo nelle condizioni attuali. Questo comportamento evasi- vo ci serve per mantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo. È il modo in cui l’essere umano si arrangia per alimentare tutti i vizi autodi- struttivi: cercando di non vederli, lottando per non riconoscerli, rimandando le decisioni importanti, fa- cendo come se nulla fosse. VII. Diversità di opinioni 60. Infine, riconosciamo che si sono sviluppa- te diverse visioni e linee di pensiero in merito alla situazione e alle possibili soluzioni. Da un estremo, alcuni sostengono ad ogni costo il mito del pro- gresso e affermano che i problemi ecologici si ri- solveranno semplicemente con nuove applicazioni tecniche, senza considerazioni etiche né cambia- menti di fondo. Dall’altro estremo, altri ritengono che la specie umana, con qualunque suo interven- to, può essere solo una minaccia e compromettere l’ecosistema mondiale, per cui conviene ridurre la sua presenza sul pianeta e impedirle ogni tipo di in- 54 tervento. Fra questi estremi, la riflessione dovrebbe identificare possibili scenari futuri, perché non c’è un’unica via di soluzione. Questo lascerebbe spazio a una varietà di apporti che potrebbero entrare in dialogo in vista di risposte integrali. 61. Su molte questioni concrete la Chiesa non ha motivo di proporre una parola definitiva e ca- pisce che deve ascoltare e promuovere il dibattito onesto fra gli scienziati, rispettando le diversità di opinione. Basta però guardare la realtà con sincerità per vedere che c’è un grande deterioramento della nostra casa comune. La speranza ci invita a ricono- scere che c’è sempre una via di uscita, che possiamo sempre cambiare rotta, che possiamo sempre fare qualcosa per risolvere i problemi. Tuttavia, sembra di riscontrare sintomi di un punto di rottura, a causa della grande velocità dei cambiamenti e del degra- do, che si manifestano tanto in catastrofi naturali regionali quanto in crisi sociali o anche finanziarie, dato che i problemi del mondo non si possono ana- lizzare né spiegare in modo isolato. Ci sono regio- ni che sono già particolarmente a rischio e, aldilà di qualunque previsione catastrofica, è certo che l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista, perché abbiamo smesso di pensare 55 ai fini dell’agire umano: « Se lo sguardo percorre le regioni del nostro pianeta, ci si accorge subito che l’umanità ha deluso l’attesa divina ».35 35 Id., Catechesi (17 gennaio 2001), 3: Insegnamenti 24/1 (2001), 178. 56 CAPITOLO SECONDO IL VANGELO DELLA CREAZIONE 62. Perché inserire in questo documento, ri- volto a tutte le persone di buona volontà, un capi- tolo riferito alle convinzioni di fede? Sono consa- pevole che, nel campo della politica e del pensiero, alcuni rifiutano con forza l’idea di un Creatore, o la ritengono irrilevante, al punto da relegare all’ambi- to dell’irrazionale la ricchezza che le religioni pos- sono offrire per un’ecologia integrale e per il pieno sviluppo del genere umano. Altre volte si suppone che esse costituiscano una sottocultura che dev’es- sere semplicemente tollerata. Tuttavia, la scienza e la religione, che forniscono approcci diversi alla realtà, possono entrare in un dialogo intenso e pro- duttivo per entrambe. I. La luce che la fede offre 63. Se teniamo conto della complessità della crisi ecologica e delle sue molteplici cause, dovrem- mo riconoscere che le soluzioni non possono veni- 57 re da un unico modo di interpretare e trasformare la realtà. È necessario ricorrere anche alle diverse ricchezze culturali dei popoli, all’arte e alla poesia, alla vita interiore e alla spiritualità. Se si vuole vera- mente costruire un’ecologia che ci permetta di ripa- rare tutto ciò che abbiamo distrutto, allora nessun ramo delle scienze e nessuna forma di saggezza può essere trascurata, nemmeno quella religiosa con il suo linguaggio proprio. Inoltre la Chiesa Cattolica è aperta al dialogo con il pensiero filosofico, e ciò le permette di produrre varie sintesi tra fede e ragio- ne. Per quanto riguarda le questioni sociali, questo lo si può constatare nello sviluppo della dottrina sociale della Chiesa, chiamata ad arricchirsi sempre di più a partire dalle nuove sfide. 64. D’altra parte, anche se questa Enciclica si apre a un dialogo con tutti per cercare insieme cam- mini di liberazione, voglio mostrare fin dall’inizio come le convinzioni di fede offrano ai cristiani, e in parte anche ad altri credenti, motivazioni alte per prendersi cura della natura e dei fratelli e sorelle più fragili. Se il solo fatto di essere umani muove le per- sone a prendersi cura dell’ambiente del quale sono parte, « i cristiani, in particolare, avvertono che i loro compiti all’interno del creato, i loro doveri nei con- fronti della natura e del Creatore sono parte della 58 loro fede ».36 Pertanto, è un bene per l’umanità e per il mondo che noi credenti riconosciamo meglio gli impegni ecologici che scaturiscono dalle nostre con- vinzioni. II. La sapienza dei racconti biblici 65. Senza riproporre qui l’intera teologia della Creazione, ci chiediamo che cosa ci dicono i grandi racconti biblici sul rapporto dell’essere umano con il mondo. Nel primo racconto dell’opera creatrice nel libro della Genesi, il piano di Dio include la cre- azione dell’umanità. Dopo la creazione dell’uomo e della donna, si dice che « Dio vide quanto ave- va fatto, ed ecco, era cosa molto buona » (Gen 1,31). La Bibbia insegna che ogni essere umano è crea- to per amore, fatto ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26). Questa affermazione ci mostra l’immensa dignità di ogni persona umana, che « non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno. È capace di conoscersi, di possedersi, di liberamente donar- si e di entrare in comunione con altre persone ».37 San Giovanni Paolo II ha ricordato come l’amore 36 Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, 15: AAS 82 (1990), 156. 37 Catechismo della Chiesa Cattolica, 357. 59 del tutto speciale che il Creatore ha per ogni es- sere umano « gli conferisce una dignità infinita ».38 Coloro che s’impegnano nella difesa della dignità delle persone possono trovare nella fede cristiana le ragioni più profonde per tale impegno. Che meravi- gliosa certezza è sapere che la vita di ogni persona non si perde in un disperante caos, in un mondo governato dalla pura casualità o da cicli che si ripe- tono senza senso! Il Creatore può dire a ciascuno di noi: « Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto » (Ger 1,5). Siamo stati concepiti nel cuore di Dio e quindi « ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, cia- scuno è amato, ciascuno è necessario ».39 66. I racconti della creazione nel libro della Genesi contengono, nel loro linguaggio simboli- co e narrativo, profondi insegnamenti sull’esisten- za umana e la sua realtà storica. Questi racconti suggeriscono che l’esistenza umana si basa su tre relazioni fondamentali strettamente connesse: la relazione con Dio, quella con il prossimo e quella 38 Cfr Angelus ad Osnabrück (Germania) con le persone di- sabili, 16 novembre 1980: Insegnamenti 3/2 (1980), 1232. 39 Benedetto XVI, Omelia per il solenne inizio del ministero petri- no (24 aprile 2005): AAS 97 (2005), 711. 60 con la terra. Secondo la Bibbia, queste tre relazioni vitali sono rotte, non solo fuori, ma anche dentro di noi. Questa rottura è il peccato. L’armonia tra il Creatore, l’umanità e tutto il creato è stata distrutta per avere noi preteso di prendere il posto di Dio, rifiutando di riconoscerci come creature limitate. Questo fatto ha distorto anche la natura del man- dato di soggiogare la terra (cfr Gen 1,28) e di col- tivarla e custodirla (cfr Gen 2,15). Come risultato, la relazione originariamente armonica tra essere umano e natura si è trasformato in un conflitto (cfr Gen 3,17-19). Per questo è significativo che l’armo- nia che san Francesco d’Assisi viveva con tutte le creature sia stata interpretata come una guarigione di tale rottura. San Bonaventura disse che attraver- so la riconciliazione universale con tutte le creature in qualche modo Francesco era riportato allo stato di innocenza originaria.40 Lungi da quel modello, oggi il peccato si manifesta con tutta la sua forza di distruzione nelle guerre, nelle diverse forme di violenza e maltrattamento, nell’abbandono dei più fragili, negli attacchi contro la natura. 67. Noi non siamo Dio. La terra ci precede e ci è stata data. Ciò consente di rispondere a un’ac- 40 Cfr Legenda Maior, VIII, 1: FF 1134. 61 cusa lanciata contro il pensiero ebraico-cristiano: è stato detto che, a partire dal racconto della Ge- nesi che invita a soggiogare la terra (cfr Gen 1,28), verrebbe favorito lo sfruttamento selvaggio della natura presentando un’immagine dell’essere uma- no come dominatore e distruttore. Questa non è una corretta interpretazione della Bibbia come la intende la Chiesa. Anche se è vero che qualche vol- ta i cristiani hanno interpretato le Scritture in modo non corretto, oggi dobbiamo rifiutare con forza che dal fatto di essere creati a immagine di Dio e dal mandato di soggiogare la terra si possa dedurre un dominio assoluto sulle altre creature. È importan- te leggere i testi biblici nel loro contesto, con una giusta ermeneutica, e ricordare che essi ci invitano a « coltivare e custodire » il giardino del mondo (cfr Gen 2,15). Mentre « coltivare » significa arare o lavo- rare un terreno, « custodire » vuol dire proteggere, curare, preservare, conservare, vigilare. Ciò implica una relazione di reciprocità responsabile tra essere umano e natura. Ogni comunità può prendere dalla bontà della terra ciò di cui ha bisogno per la propria sopravvivenza, ma ha anche il dovere di tutelarla e garantire la continuità della sua fertilità per le gene- razioni future. In definitiva, « del Signore è la terra » (Sal 24,1), a Lui appartiene « la terra e quanto essa 62 contiene » (Dt 10,14). Perciò Dio nega ogni prete- sa di proprietà assoluta: « Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e ospiti » (Lv 25,23). 68. Questa responsabilità di fronte ad una terra che è di Dio, implica che l’essere umano, do- tato di intelligenza, rispetti le leggi della natura e i delicati equilibri tra gli esseri di questo mondo, perché « al suo comando sono stati creati. Li ha resi stabili nei secoli per sempre; ha fissato un decreto che non passerà » (Sal 148,5b-6). Ne consegue il fatto che la legislazione biblica si soffermi a pro- porre all’essere umano diverse norme, non solo in relazione agli altri esseri umani, ma anche in rela- zione agli altri esseri viventi: « Se vedi l’asino di tuo fratello o il suo bue caduto lungo la strada, non fingerai di non averli scorti [...]. Quando, cammin facendo, troverai sopra un albero o per terra un nido d’uccelli con uccellini o uova e la madre che sta covando gli uccellini o le uova, non prenderai la madre che è con i figli » (Dt 22,4.6). In questa linea, il riposo del settimo giorno non è proposto solo per l’essere umano, ma anche « perché possano go- dere quiete il tuo bue e il tuo asino » (Es 23,12). Così ci rendiamo conto che la Bibbia non dà adito 63 ad un antropocentrismo dispotico che non si inte- ressi delle altre creature. 69. Mentre possiamo fare un uso responsa- bile delle cose, siamo chiamati a riconoscere che gli altri esseri viventi hanno un valore proprio di fronte a Dio e « con la loro semplice esisten- za lo benedicono e gli rendono gloria »,41 perché il Signore gioisce nelle sue opere (cfr Sal 104,31). Proprio per la sua dignità unica e per essere do- tato di intelligenza, l’essere umano è chiamato a rispettare il creato con le sue leggi interne, poi- ché « il Signore ha fondato la terra con sapienza » (Pr 3,19). Oggi la Chiesa non dice in maniera sem- plicistica che le altre creature sono completamen- te subordinate al bene dell’essere umano, come se non avessero un valore in sé stesse e noi potessimo disporne a piacimento. Così i Vescovi della Ger- mania hanno spiegato che per le altre creature « si potrebbe parlare della priorità dell’essere rispetto all’essere utili ».42 Il Catechismo pone in discussione in modo molto diretto e insistito quello che sarebbe 41 Catechismo della Chiesa Cattolica, 2416. 42 Conferenza Episcopale Tedesca, Zukunft der Schöpfung – Zukunft der Menschheit. Erklärung der Deutschen Bischofskonferenz zu Fragen der Umwelt und der Energieversorgung (1980), II, 2. 64 un antropocentrismo deviato: « Ogni creatura ha la sua propria bontà e la sua propria perfezione [...] Le varie creature, volute nel loro proprio essere, ri- flettono, ognuna a suo modo, un raggio dell’infinita sapienza e bontà di Dio. Per questo l’uomo deve rispettare la bontà propria di ogni creatura, per evi- tare un uso disordinato delle cose ».43 70. Nel racconto di Caino e Abele, vediamo che la gelosia ha spinto Caino a compiere l’estrema ingiustizia contro suo fratello. Ciò a sua volta ha causato una rottura della relazione tra Caino e Dio e tra Caino e la terra, dalla quale fu esiliato. Questo passaggio è sintetizzato nel drammatico colloquio tra Dio e Caino. Dio chiede: « Dov’è Abele, tuo fratello? ». Caino dice di non saperlo e Dio insiste: « Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto, lontano da [questo] suolo » (Gen 4,9-11). Trascurare l’impegno di coltivare e mantenere una relazione corretta con il prossimo, verso il quale ho il dovere della cura e della custodia, distrugge la mia relazione interiore con me stesso, con gli altri, con Dio e con la ter- ra. Quando tutte queste relazioni sono trascurate, 43 Catechismo della Chiesa Cattolica, 339. 65 quando la giustizia non abita più sulla terra, la Bib- bia ci dice che tutta la vita è in pericolo. Questo è ciò che ci insegna il racconto di Noè, quando Dio minaccia di spazzare via l’umanità per la sua persi- stente incapacità di vivere all’altezza delle esigen- ze della giustizia e della pace: « È venuta per me la fine di ogni uomo, perché la terra, per causa loro, è piena di violenza » (Gen 6,13). In questi racconti così antichi, ricchi di profondo simbolismo, era già contenuta una convinzione oggi sentita: che tutto è in relazione, e che la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni con la natura è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri. 71. Anche se « la malvagità degli uomini era grande sulla terra » (Gen 6,5) e Dio « si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra » (Gen 6,6), tuttavia, attraver- so Noè, che si conservava ancora integro e giusto, Dio ha deciso di aprire una via di salvezza. In tal modo ha dato all’umanità la possibilità di un nuovo inizio. Basta un uomo buono perché ci sia speran- za! La tradizione biblica stabilisce chiaramente che questa riabilitazione comporta la riscoperta e il ri- spetto dei ritmi inscritti nella natura dalla mano del Creatore. Ciò si vede, per esempio, nella legge dello 66 Shabbat. Il settimo giorno, Dio si riposò da tutte le sue opere. Dio ordinò a Israele che ogni settimo giorno doveva essere celebrato come giorno di ri- poso, uno Shabbat (cfr Gen 2,2-3; Es 16,23; 20,10). D’altra parte, fu stabilito anche un anno sabba- tico per Israele e la sua terra, ogni sette anni (cfr Lv 25,1-4), durante il quale si concedeva un com- pleto riposo alla terra, non si seminava e si racco- glieva soltanto l’indispensabile per sopravvivere e offrire ospitalità (cfr Lv 25,4-6). Infine, trascorse sette settimane di anni, cioè quarantanove anni, si celebrava il giubileo, anno del perdono universale e della « liberazione nella terra per tutti i suoi abitanti » (Lv 25,10). Lo sviluppo di questa legislazione ha cercato di assicurare l’equilibrio e l’equità nelle re- lazioni dell’essere umano con gli altri e con la ter- ra dove viveva e lavorava. Ma, allo stesso tempo, era un riconoscimento del fatto che il dono della terra con i suoi frutti appartiene a tutto il popolo. Quelli che coltivavano e custodivano il territorio dovevano condividerne i frutti, in particolare con i poveri, le vedove, gli orfani e gli stranieri: « Quando mieterete la messe della vostra terra, non mieterete fino ai margini del campo, né raccoglierete ciò che resta da spigolare della messe; quanto alla tua vigna, non coglierai i racimoli e non raccoglierai gli acini 67 caduti: li lascerai per il povero e per il forestiero » (Lv 19,9-10). 72. I Salmi invitano con frequenza l’essere umano a lodare Dio creatore, Colui che « ha disteso la terra sulle acque, perché il suo amore è per sem- pre » (Sal 136,6). Ma invitano anche le altre creature alla lode: « Lodatelo, sole e luna, lodatelo, voi tutte, fulgide stelle. Lodatelo, cieli dei cieli, voi, acque al di sopra dei cieli. Lodino il nome del Signore, per- ché al suo comando sono stati creati » (Sal 148,3-5). Esistiamo non solo per la potenza di Dio, ma da- vanti a Lui e con Lui. Perciò noi lo adoriamo. 73. Gli scritti dei profeti invitano a ritrovare la forza nei momenti difficili contemplando il Dio potente che ha creato l’universo. La potenza infinita di Dio non ci porta a sfuggire alla sua tenerezza pa- terna, perché in Lui affetto e forza si coniugano. In realtà, ogni sana spiritualità implica allo stesso tem- po accogliere l’amore divino e adorare con fiducia il Signore per la sua infinita potenza. Nella Bibbia, il Dio che libera e salva è lo stesso che ha creato l’universo, e questi due modi di agire divini sono in- timamente e indissolubilmente legati: « Ah, Signore Dio, con la tua grande potenza e la tua forza hai fatto il cielo e la terra; nulla ti è impossibile [...]. Tu 68 hai fatto uscire dall’Egitto il tuo popolo Israele con segni e con miracoli » (Ger 32,17.21). « Dio eterno è il Signore, che ha creato i confini della terra. Egli non si affatica né si stanca, la sua intelligenza è in- scrutabile. Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato » (Is 40,28b-29). 74. L’esperienza della schiavitù in Babilonia generò una crisi spirituale che ha portato ad un approfondimento della fede in Dio, esplicitando la sua onnipotenza creatrice, per esortare il popolo a ritrovare la speranza in mezzo alla sua infelice situa- zione. Secoli dopo, in un altro momento di prova e di persecuzione, quando l’Impero Romano cercò di imporre un dominio assoluto, i fedeli tornarono a trovare conforto e speranza aumentando la loro fiducia in Dio onnipotente, e cantavano: « Grandi e mirabili sono le tue opere, Signore Dio onnipo- tente; giuste e vere le tue vie! » (Ap 15,3). Se Dio ha potuto creare l’universo dal nulla, può anche in- tervenire in questo mondo e vincere ogni forma di male. Dunque, l’ingiustizia non è invincibile. 75. Non possiamo sostenere una spiritualità che dimentichi Dio onnipotente e creatore. In que- sto modo, finiremmo per adorare altre potenze del mondo, o ci collocheremmo al posto del Signore, 69 fino a pretendere di calpestare la realtà creata da Lui senza conoscere limite. Il modo migliore per collo- care l’essere umano al suo posto e mettere fine alla sua pretesa di essere un dominatore assoluto della terra, è ritornare a proporre la figura di un Padre creatore e unico padrone del mondo, perché altri- menti l’essere umano tenderà sempre a voler im- porre alla realtà le proprie leggi e i propri interessi. III. Il mistero dell’universo 76. Per la tradizione giudeo-cristiana, dire “creazione” è più che dire natura, perché ha a che vedere con un progetto dell’amore di Dio, dove ogni creatura ha un valore e un significato. La natu- ra viene spesso intesa come un sistema che si ana- lizza, si comprende e si gestisce, ma la creazione può essere compresa solo come un dono che scatu- risce dalla mano aperta del Padre di tutti, come una realtà illuminata dall’amore che ci convoca ad una comunione universale. 77. « Dalla parola del Signore furono fatti i cieli » (Sal 33,6). Così ci viene indicato che il mon- do proviene da una decisione, non dal caos o dalla casualità, e questo lo innalza ancora di più. Vi è una scelta libera espressa nella parola creatrice. L’uni- 70 verso non è sorto come risultato di un’onnipotenza arbitraria, di una dimostrazione di forza o di un de- siderio di autoaffermazione. La creazione appartie- ne all’ordine dell’amore. L’amore di Dio è la ragione fondamentale di tutto il creato: « Tu infatti ami tutte le cose che esistono e non provi disgusto per nessu- na delle cose che hai creato; se avessi odiato qualco- sa, non l’avresti neppure formata » (Sap 11,24). Così, ogni creatura è oggetto della tenerezza del Padre, che le assegna un posto nel mondo. Perfino l’effimera vita dell’essere più insignificante è oggetto del suo amore, e in quei pochi secondi di esistenza, Egli lo circonda con il suo affetto. Diceva san Basilio Magno che il Creatore è anche « la bontà senza calcolo »,44 e Dante Alighieri parlava de « l’amor che move il sole e l’altre stelle ».45 Perciò, dalle opere create si ascende « fino alla sua amorosa misericordia ».46 78. Allo stesso tempo, il pensiero ebraico- cristiano ha demitizzato la natura. Senza smettere di ammirarla per il suo splendore e la sua immen- sità, non le ha più attribuito un carattere divino. In 44 Hom. in Hexaemeron, 1, 2, 10: PG 29, 9. 45 Divina Commedia. Paradiso, Canto XXXIII, 145. 46 Benedetto XVI, Catechesi (9 novembre 2005), 3: Insegna- menti 1 (2005), 768. 71 questo modo viene sottolineato ulteriormente il nostro impegno nei suoi confronti. Un ritorno alla natura non può essere a scapito della libertà e del- la responsabilità dell’essere umano, che è parte del mondo con il compito di coltivare le proprie capa- cità per proteggerlo e svilupparne le potenzialità. Se riconosciamo il valore e la fragilità della natura, e allo stesso tempo le capacità che il Creatore ci ha dato, questo ci permette oggi di porre fine al mito moderno del progresso materiale illimitato. Un mondo fragile, con un essere umano al quale Dio ne affida la cura, interpella la nostra intelligenza per riconoscere come dovremmo orientare, coltivare e limitare il nostro potere. 79. In questo universo, composto da sistemi aperti che entrano in comunicazione gli uni con gli altri, possiamo scoprire innumerevoli forme di rela- zione e partecipazione. Questo ci porta anche a pen- sare l’insieme come aperto alla trascendenza di Dio, all’interno della quale si sviluppa. La fede ci permette di interpretare il significato e la bellezza misteriosa di ciò che accade. La libertà umana può offrire il suo intelligente contributo verso un’evoluzione positiva, ma può anche aggiungere nuovi mali, nuove cause di sofferenza e momenti di vero arretramento. Questo dà luogo all’appassionante e drammatica storia uma- 72 na, capace di trasformarsi in un fiorire di liberazio- ne, crescita, salvezza e amore, oppure in un percorso di decadenza e di distruzione reciproca. Pertanto, l’azione della Chiesa non solo cerca di ricordare il dovere di prendersi cura della natura, ma al tempo stesso « deve proteggere soprattutto l’uomo contro la distruzione di sé stesso ».47 80. Ciononostante, Dio, che vuole agire con noi e contare sulla nostra collaborazione, è anche in grado di trarre qualcosa di buono dai mali che noi compiamo, perché « lo Spirito Santo possiede un’inventiva infinita, propria della mente divina, che sa provvedere a sciogliere i nodi delle vicende umane anche più complesse e impenetrabili ».48 In qualche modo, Egli ha voluto limitare sé stesso cre- ando un mondo bisognoso di sviluppo, dove molte cose che noi consideriamo mali, pericoli o fonti di sofferenza, fanno parte in realtà dei dolori del par- to, che ci stimolano a collaborare con il Creatore.49 47 Id., Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 51: AAS 101 (2009), 687. 48 Giovanni Paolo II, Catechesi (24 aprile 1991), 6: Insegna- menti 14/1 (1991), 856. 49 Il Catechismo insegna che Dio ha voluto creare un mon- do in cammino sino alla sua perfezione ultima, e che ciò implica la presenza dell’imperfezione e del male fisico: cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, 310. 73 Egli è presente nel più intimo di ogni cosa senza condizionare l’autonomia della sua creatura, e an- che questo dà luogo alla legittima autonomia delle realtà terrene.50 Questa presenza divina, che assicu- ra la permanenza e lo sviluppo di ogni essere, « è la continuazione dell’azione creatrice ».51 Lo Spirito di Dio ha riempito l’universo con le potenzialità che permettono che dal grembo stesso delle cose possa sempre germogliare qualcosa di nuovo: « La natura non è altro che la ragione di una certa arte, in spe- cie dell’arte divina, inscritta nelle cose, per cui le cose stesse si muovono verso un determinato fine. Come se il maestro costruttore di navi potesse con- cedere al legno di muoversi da sé per prendere la forma della nave ».52 81. L’essere umano, benché supponga anche processi evolutivi, comporta una novità non pie- namente spiegabile dall’evoluzione di altri sistemi aperti. Ognuno di noi dispone in sé di un’identità personale in grado di entrare in dialogo con gli altri 50 Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, 36. 51 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae I, q. 104, art. 1, ad 4. 52 Id., In octo libros Physicorum Aristotelis expositio, lib. II, lectio 14. 74 e con Dio stesso. La capacità di riflessione, il ra- gionamento, la creatività, l’interpretazione, l’elabo- razione artistica ed altre capacità originali mostrano una singolarità che trascende l’ambito fisico e bio- logico. La novità qualitativa implicata dal sorgere di un essere personale all’interno dell’universo mate- riale presuppone un’azione diretta di Dio, una pe- culiare chiamata alla vita e alla relazione di un Tu a un altro tu. A partire dai testi biblici, consideriamo la persona come soggetto, che non può mai essere ridotto alla categoria di oggetto. 82. Sarebbe però anche sbagliato pensare che gli altri esseri viventi debbano essere considerati come meri oggetti sottoposti all’arbitrario dominio dell’essere umano. Quando si propone una visione della natura unicamente come oggetto di profitto e di interesse, ciò comporta anche gravi conseguenze per la società. La visione che rinforza l’arbitrio del più forte ha favorito immense disuguaglianze, in- giustizie e violenze per la maggior parte dell’umani- tà, perché le risorse diventano proprietà del primo arrivato o di quello che ha più potere: il vincitore prende tutto. L’ideale di armonia, di giustizia, di fra- ternità e di pace che Gesù propone è agli antipodi di tale modello, e così Egli lo esprimeva riferendosi 75 ai poteri del suo tempo: « I governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore » (Mt 20,25-26). 83. Il traguardo del cammino dell’universo è nella pienezza di Dio, che è stata già raggiunta da Cristo risorto, fulcro della maturazione universale.53 In tal modo aggiungiamo un ulteriore argomento per rifiutare qualsiasi dominio dispotico e irre- sponsabile dell’essere umano sulle altre creature. Lo scopo finale delle altre creature non siamo noi. Invece tutte avanzano, insieme a noi e attraverso di noi, verso la meta comune, che è Dio, in una pienezza trascendente dove Cristo risorto abbrac- cia e illumina tutto. L’essere umano, infatti, dotato di intelligenza e di amore, e attratto dalla pienezza di Cristo, è chiamato a ricondurre tutte le creature al loro Creatore. 53 In questa prospettiva si pone il contributo del P. Teilhard de Chardin; cfr Paolo VI, Discorso in uno stabilimento chimico-farma- ceutico (24 febbraio 1966): Insegnamenti 4 (1966), 992-993; Giovanni Paolo II, Lettera al reverendo P. George V. Coyne (1 giugno 1988): Insegnamenti 11/2 (1988), 1715; Benedetto XVI, Omelia nella celebra- zione dei Vespri ad Aosta (24 luglio 2009): Insegnamenti 5/2 (2009), 60. 76 IV. Il messaggio di ogni creatura nell’armonia di tutto il creato 84. Insistere nel dire che l’essere umano è im- magine di Dio non dovrebbe farci dimenticare che ogni creatura ha una funzione e nessuna è superflua. Tutto l’universo materiale è un linguaggio dell’amo- re di Dio, del suo affetto smisurato per noi. Suolo, acqua, montagne, tutto è carezza di Dio. La storia della propria amicizia con Dio si sviluppa sempre in uno spazio geografico che diventa un segno molto personale, e ognuno di noi conserva nella memoria luoghi il cui ricordo gli fa tanto bene. Chi è cresciu- to tra i monti, o chi da bambino sedeva accanto al ruscello per bere, o chi giocava in una piazza del suo quartiere, quando ritorna in quei luoghi si sente chiamato a recuperare la propria identità. 85. Dio ha scritto un libro stupendo, « le cui lettere sono la moltitudine di creature presen- ti nell’universo ».54 I Vescovi del Canada hanno espresso bene che nessuna creatura resta fuori da questa manifestazione di Dio: « Dai più ampi pa- norami alle più esili forme di vita, la natura è una 54 Giovanni Paolo II, Catechesi (30 gennaio 2002), 6: Insegna- menti 25/1 (2002), 140. 77 continua sorgente di meraviglia e di reverenza. Essa è, inoltre, una rivelazione continua del divino ».55 I Vescovi del Giappone, da parte loro, hanno detto qualcosa di molto suggestivo: « Percepire ogni crea- tura che canta l’inno della sua esistenza è vivere con gioia nell’amore di Dio e nella speranza ».56 Questa contemplazione del creato ci permette di scoprire attraverso ogni cosa qualche insegnamento che Dio ci vuole comunicare, perché « per il credente con- templare il creato è anche ascoltare un messaggio, udire una voce paradossale e silenziosa ».57 Possia- mo dire che « accanto alla rivelazione propriamente detta contenuta nelle Sacre Scritture c’è, quindi, una manifestazione divina nello sfolgorare del sole e nel calare della notte ».58 Prestando attenzione a questa manifestazione, l’essere umano impara a riconosce- re sé stesso in relazione alle altre creature: « Io mi 55 Conferenza dei Vescovi Cattolici del Canada. Com- missione Affari Sociali, Lettera pastorale “You Love All That Ex- ists… All Things Are Yours, God, Lover of Life” (4 ottobre 2003), 1. 56 Conferenza dei Vescovi Cattolici del Giappone, Reve- rence for Life. A Message for the Twenty-First Century (1 gennaio 2001), 89. 57 Giovanni Paolo II, Catechesi (26 gennaio 2000), 5: Insegna- menti 23/1 (2000), 123. 58 Id., Catechesi (2 agosto 2000), 3: Insegnamenti 23/2 (2000), 112. 78 esprimo esprimendo il mondo; io esploro la mia sacralità decifrando quella del mondo ».59 86. L’insieme dell’universo, con le sue molte- plici relazioni, mostra al meglio la ricchezza inesau- ribile di Dio. San Tommaso d’Aquino ha sottoline- ato sapientemente che la molteplicità e la varietà provengono « dall’intenzione del primo agente », il Quale ha voluto che « ciò che manca a ciascuna cosa per rappresentare la bontà divina sia supplito dalle altre cose »,60 perché la sua bontà « non può es- sere adeguatamente rappresentata da una sola crea- tura ».61 Per questo, abbiamo bisogno di cogliere la varietà delle cose nelle loro molteplici relazioni.62 Dunque, si capisce meglio l’importanza e il signifi- cato di qualsiasi creatura, se la si contempla nell’in- sieme del piano di Dio. Questo insegna il Catechismo: « L’interdipendenza delle creature è voluta da Dio. Il sole e la luna, il cedro e il piccolo fiore, l’aquila e il passero: le innumerevoli diversità e disuguaglianze stanno a significare che nessuna creatura basta a se 59 Paul Ricœur, Philosophie de la volonté. 2. Finitude et Culpabi- lité, Paris 2009, 216 (trad. it.: Finitudine e colpa, Bologna, 1970, 258). 60 Summa Theologiae I, q. 47, art. 1. 61 Ibid. 62 Cfr ibid., art. 2, ad. 1; art. 3.