Oncologia Medica 14/10/2024 - Lezione PDF

Summary

These lecture notes discuss pain management in oncology patients. It details the importance of considering the patient's emotional state and other factors that influence their perception of pain. Different causes of pain and factors influencing it are introduced. This document is an extract from lecture notes.

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LEZIONE ONCOLOGIA 14/10/2024 SBOBINATORE Egidio Lunghi Prima ora (16:00-17:00) REVISORE: Lucrezia Burico La prima ora di lezione è stata svolta dal Dott. Guglielmo Fumi. Oggi fac...

LEZIONE ONCOLOGIA 14/10/2024 SBOBINATORE Egidio Lunghi Prima ora (16:00-17:00) REVISORE: Lucrezia Burico La prima ora di lezione è stata svolta dal Dott. Guglielmo Fumi. Oggi facciamo un'infarinatura sulla gestione del dolore nel paziente oncologico, spero di farvi nascere una passione per la gestione non solo del dolore, ma la gestione dei sintomi sia nel paziente oncologico che non. Gli elementi che condivideremo in questa lezione sono trasversalmente preziosi qualunque sia la vostra specializzazione futura: avere attenzione non solo per la malattia che il paziente alberga, ma per i disturbi che inficiano la qualità di vita del paziente e che talvolta diventano essi stessi il vero problema è sicuramente una cosa non di poco conto. Non si tratta di concetti difficili, il difficile sta nell'applicazione dei concetti al singolo paziente, non tutti i pazienti con sintomi analoghi vanno gestiti nello stesso modo. Questo vale un po' per tutti i disagi che il paziente, spesso in maniera confusa, vi presenta; non tutti i disagi che il paziente vi riferisce sono collegati alla malattia che sieti intenti a curare, quindi bisogna avere un'attenzione particolare alla relazione con il paziente. "Il dolore è l'esperienza spiacevole, sensoriale ed emotiva, associata ad un danno dell'organismo attuale o potenziale" questa definizione sembra banale e ne troverte altre, ma ci sono aspetti importanti di questa definizione; è sensoriale ed emotiva perché non riguarda solo la nocicezione ma anche la percezione e l'interpretazione dello stesso. Il grafico, nonostante sia tratto da uno studio di una ventina d'anni fa, è ancora indicativo: indica la prevalenza di dolore nei pazienti oncologici suddivisi per nazionità, la più elevata è quella italiana. Il dolore ci interessa perché nonostante sia un sintomo che posso trattare, intervistando i pazienti con dolore "significativo", che poi definiremo meglio, solo tre quarti di questi pazienti ricevevano una terapia analgesica; perdipiù solo una piccola parte dei pazienti che ricevevano un trattamento giudicavano quel trattamento idoneo a sollevare il dolore. Il dolore che il paziente riferisce può avere diverse cause: - correlato direttamente alla presenza della malattia, ad esempio legato all'infiltrazione di un segmento scheletrico - correlato indirettamente alla presenza della malattia - correlato ai trattamenti, come un dolore post chirurgico, delle neuropatie post radioterapia, osteonecrosi come complicanza del trattamenti con bifosfonati - altri problemi indipendenti dal tumore, che si sovrappongono a questi creandoci difficoltà gestionale. 1 1 di 32 Dobbiamo quindi inquadrare bene il sintomo dolore per poter poi impostare un piano diagnostico e terapeutico. Della fisiologia dello stimolo doloroso la cosa che voglio evidenziare è l'influenza del sistema limbico sulla modulazione dello stimolo dolorifico. Praticamente, dallo stimolo nocicettivo alla percezione centrale, cioè alla consapevolezza della sensazione dolorifica, possono intervenire tutta una serie di interferenze favorenti o sfavorenti l'influenza del sistema limbico: lo stato emozionale del paziente può intervenire modificando la percezione del dolore, alzandone o abbassandone la soglia. Esistono tre componenti distinte del dolore: - una componente sensoriale, legata alla sede e al tipo del danno che il paziente percepisce - una componente cognitiva, ossia una valutazione che il paziente fa dello stimolo - un'interpretazione affettiva motivazionale Questo significa che il dolore va considerato un sintomo multidimensionale, l'interpretazione varia a seconda del contesto lavorativo, professionale, ecc. I tentativi di misurare il dolore forniranno solo informazioni approssimative se io non considero il contesto. Quando si parla di dolore totale ( o globale, si trovano vari termini ) si intende che ciò che il paziente esprime prende origine e viene modulato da molti aspetti; ad esempio, un paziente percepisce dolore in senso proprio, ma oltre a ciò con una malattia oncologica un lavoratore professionista vive la perdita dei suoi progetti per il futuro, si rende conto di non essere più valido per un'attività che fino a ieri lo faceva 2 2 di 32 sentire gratificato, che gli regalava un'importanza sociale. Tanti aspetti che non c'entrano apparentemente nulla con il dolore ne modulano la percezione, aumentandola o diminuendola. Perché il dolore non viene trattato adeguatamente? Ci sono vari ostacoli, una parte di responsabilità ce l'abbiamo noi in quanto operatori sanitari, perché c'è una scarsa conoscenza del problema, una scarsa attenzione o una mancata valutazione del sintomo; ad esempio il dolore non viene quantificato, non si chiede dove è localizzato, quali sono le sue caratteristiche ecc. La prescrizione degli oppiacei è anche ostacolata da una paura e una scarsa conoscenza dei farmaci, i loro effetti collaterali e il loro corretto utilizzo. I pazienti stessi sono un ostacolo al trattamento: il paziente con terapia del dolore impostata adeguatamente, che quindi non ha dolore, di solito fa dei "tentativi" senza dircelo, provando a diminuire la dose dei farmaci; se ad esempio raggiunge un buon controllo del dolore con 60 mg/24h di morfina, nel giro di 10-15 giorni comincia a provare ad assumerne meno, oppure prova a togliere dei farmaci con un'azione coadiuvante. Fa dei tentativi perché associa il controllo del dolore all'andamento della malattia ( cosa spesso vera, in realtà ). Prova a resistere con 40 mg invece che 60 mg di morfina nelle 24 ore, che nel suo immaginario significa che la malattia sta andando meglio; tuttavia spesso questo va a scapito di un adeguato controllo del sintomo, lo dice "a denti stretti". C'è anche la paura di diventare un tossicodipendente, paura più dei familiari che del paziente stesso, il quale ha come priorità quella di non sentire più dolore. Sono degli ostacoli all'utilizzo di una terapia adeguata che derivano da preconcetti. Poi ci sono ostacoli di sistema, molti dei quali sono stati risolti dalla legge 38, che oramai ha più di 10 anni e che sancisce il diritto alle cure palliative e a una terapia del dolore per tutti i cittadini italiani: è una delle poche leggi che è stata approvata con il 100% di voti favorevoli. Questa legge ci obbliga ad effettuare una valutazione del dolore e del beneficio degli interventi per controllare il dolore, la cui omissione da una cartella clinica comporta una violazione della legge. Anche nelle amministrazioni sanitarie c'è poi una una sorta di "oppioidofobia", nasce più che altro dall'ignoranza sul problema. Recentemente negli Stati Uniti che è arrivata un'ondata di allerta riguardo alla cosiddetta "opioid epidemic", ossia un numero di morti tossiche legate ad un utilizzo inadeguato e autoprescitto del fentanil, che anche in Italia ci sta creando qualche difficoltà nel far accettare al paziente un trattamento con oppiacei, ma per fortuna questo è un problema ancora marginale. 3 3 di 32 Il dolore va valutato qualitativamente e quantitativamente. La VAS ( scala analoga visiva ) ha un significato più storico che altro. Al paziente veniva chiesto di imporre un segno sulla linea che va da nessun dolore al peggior dolore possibile, poi sulla faccia non visibile al paziente era riportata una scala numerica che noi andavamo a riportare in cartella; questo è utile perché quando un paziente riferisce dolore e io imposto una terapia, devo controllare se la terapia è adeguata, magari il paziente mi riferisce un miglioramento ma io devo quantificarlo e vedere se mi trovo ancora su un livello di dolore che devo trattare oppure se la terapia che ho fatto è sufficiente: non mi posso accontentare di un'approssimazione. 4 4 di 32 La scala a tre gradini della WHO è nata diversi decenni fa proprio per cercare di rendere la terapia del dolore facilmente comprensibile ai sanitari. Divide il dolore in tre gradini, e ad ogni gradino corrisponde in maniera abbastanza semplice un atteggiamento terapeutico. Per valutare il dolore del paziente si utilizza una scala numerica analoga alla VAS, con valori di PI ( pain intensity ) da 1 a 10, dove 1 corrisponde ad assenza di dolore e dove dieci è il massimo dolore che uno puo' pensare. Si chiede di valutare il dolore sia al momento, che negli ultimi giorni o settimane: - 1-3 dolore lieve; era previsto l'utilizzo dei farmaci non-oppioidi - 4-6 dolore moderato; er previsto l'utilizzo di oppioidi deboli ( codeina, tramadolo ) - 7 o più, dolore forte; utilizzo di oppioidi forti Il concetto di forte o debole dipende dal fatto che questi ultimi hanno un effetto tetto, condiviso anche dai FANS, cioè mentre gli oppiodi maggiori a dosaggi progressivamente crescenti offrono un risultato ed un'analgesia progressivamente crescente, gli oppioidi più deboli e gli antinfiammatori non danno un effetto analgesico maggiore oltre un certo dosaggio, mentre cresce la probabilità di effetti collaterali. La dose tetto nelle 24 ore della codeina, che si assume per via orale, è di 160 mg, mentre per il tramadolo è di 400 mg/24h sia per OS che per via parenterale. La dose tetto degli antinfiammatori varia a seconda del tipo di FANS. Il paracetamolo ha una dose tetto di 4 g, ma normalmente ci si ferma a 3 grammi. Gli adiuvanti non oppioidi sono farmaci che non nascono come analgesici ma che in situazioni particolari hanno un'azione antalgica, più freuquentemente in combinazione con gli oppioidi. A questi tre gradini ne sono stati aggiunti altri due, perché siamo diventati più sofisticati nel trattamento del dolore. Nel quarto gradino inserisco delle tecniche come la rotazione degli oppioidi, che consiste nel passare da una oppioide maggiore ad un altro, secondo alcune regole di rotazione; mi permette di ritrovare l'efficacia dei farmaci che i fenomeni di tolleranza stavano facendo perdere, senza arrivare a dosi 5 5 di 32 spropositate; in quest'ottica risolvo il timore che avevano, e ancora oggi hanno, alcuni pazienti che pensano "se comincio adesso a usare farmaci importanti come la morfina, poi se la situazione dovesse peggiorare, che farmaci posso usare?". È una tecnica relativamente semplice in mani esperte, che consente di recuperare una sensibilità in maniera assolutamente soddisfacente, senza raggiungere dosaggi di morfina che venivano raggiunti 30 anni fa, nella mia esperienza anche un grammo di morfina per via parenterale. Come ultimo gradino, nel 5% dei casi, abbiamo strategie di pertinenza prettamente anestesiologica ( blocchi neurolitici, pompe intratecali, neuromodulazioni, ecc. ). Ci sono dei pazienti che sperimentano ancora dolore significativo nonostante l'applicazione corretta dei farmaci e per questi gli anestesisti possono mettere in atto delle tecniche invasive. Si usano nel 5% dei casi, quindi da letteratura noi abbiamo fino al 95% di possibilità di gestire un dolore oncologico senza ricorrere a tecniche invasive. Il loro utilizzo deve essere considerato uno step successivo alla non risposta alla terapia medica, quindi è importante che ciascuno di voi abbia gli strumenti per potersi muovere nell'ambito dei farmaci. Cominciamo con il primo gradino, dal paracetamolo. In realtà non ci sono studi controllati che documentino l'efficacia reale del paracetamolo nel dolore tumorale, né da solo né in associazione con oppiacei, ma la realtà clinica quotidiana è talmente evidente da scoraggiare studi controllati: per cui il paracetamolo può, e in alcuni contesti deve, essere utilizzato, ad esempio in pazienti che non possono fare altri farmaci, oppure in combinazione ad oppiacei ad elevate dosi, situazione in cui talvolta da un'azione analgesica aggiuntiva, anche se i meccanismi non sono ben chiari. Come tutti i farmaci non è innocuo, ha bisogno di una valutazione preliminare rispetto alle interazioni, alla funzionalità epatica e all'utilizzo di anticoagulanti. Gli antinfiammatori sono i farmaci probabilmente più utilizzati in assoluto. Non ci sono evidenze che vi siano differenze tra loro in termini di efficacia, quindi è opportuno scegliere un farmaco che conoscete bene a dosaggio adeguato, preferibilmente a dosaggio pieno ( diverso per ogni farmaco ); va usato per brevi periodi e si può usare in combinazione agli oppiacei per ridurne gli effetti collaterali in fase di titolazione, ovvero quando si sta raggiungendo il dosaggio giusto. Gli antinfiammatori sono gravati da gastrolesività, da possibilità di provocare o aggravare un'insufficienza renale, rischio di scompenso cardiaco, insufficienza epatica. Ci sono diverse interazioni, ad esempio anche col cisplatino, anch'esso gastrolesivo. Usare più FANS contemporaneamente è assolutamente controindicato. In un paziente che non risponde ad un antinfiammatorio, è inutile provarne un altro, va cambiata tipologia di farmaco. Gli adiuvanti coanalgesici sono farmaci che non nascono come analgesici ma hanno un'azione che può coadiuvare l'azione degli analgesici veri, quindi farmaci a vario titolo associati alla terapia del dolore. 6 6 di 32 - Gli antidepressivi e gli anticonvulsilvanti hanno un'azione analgesica e posso in alcuni casi essere usati anche come unici farmaci per alcune patologie ( sciatalgie, tunnel carpale, cervico-sciatalgie, herpes zoster…) - Corticosteroidi, che hanno un'azione antinfiammatoria, possono essere impiegati in combinazione con oppioidi in tutte le patologie in cui vi è infiltrazione o compressione di strutture che danno stimoli dolorifici - Farmaci che controllano gli effetti collaterali degli oppiacei stessi - Cannabinoidi, che nella terapia oncologica hanno veramente un ruolo quasi nullo, e comunque solo con indicazioni precise Esistono poi delle tecniche adiuvanti, trasversali ai vari gradini della scala WHO: - Radioterapia; se ad esempio un paziente ha dolore da interessamento scheletrico si può irradiare la zona lesionata con un'efficacia sicuramente maggiore rispetto all'utilizzo di grosse dosi di farmaci, che vanno usati nell'attesa di un trattamento radiante per poi modulare i dosaggi; - Chemioterapia, che ha un significato analgesico per dolori da infiltrazione; il professore riporta che la mattina stessa ha visto un paziente con tumore al pancreas metastatizzato alla spalla che aveva avuto un netto miglioramento del dolore grazie a questa. Alcuni chemioterapici, come i taxani, possono però dare essi stessi dolore di tipo neuropatico; - Tecniche come la rotazione degli oppioidi; - Psicoterapia, di aiuto in quanto può modulare la soglia del dolore; Per quanto riguarda il dolore moderato ha una valutazione numerica da 4 a 6. Per questo gradino erano indicati dalla scala dalla scala WHO gli oppioidi deboli, specialmente la codeina. La codeina è un profarmaco della morfina, per cui l'efficacia è legata all'acetilazione che la trasforma in morfina. La quantità che viene trasformata in morfina non è preventivabile, variazioni genetiche possono portare in soggetti diversi risultati finali decisamente diversi, quindi bisogna fare attenzione, soprattutto ai pazienti anziani, visto che anche una dose banale può dare forti effetti, anche collaterali, come stordimento importante e quindi aumento del rischio di caduta, insufficienza renale. Sembra più debole, ma alla fine può creare più problemi di altri oppioidi che vantano una forza maggiore. Il tramadolo è un altro dei farmaci utilizzati ampiamente, ma da svariati anni abbiamo documentato che gli oppioidi maggiori a basse dosi hanno una migliore efficacia ed effetti collaterali sovrapponibili, c'è uno studio a cui ha partecipato anche il nostro centro e che alle valutazioni finali ha mostrato non solo un miglior controllo del dolore stesso, ma anche al miglior controllo di tutta una serie di sintomi a cascata che erano direttamente o indirettamente correlati al sintomo dolore. A volte si può identificare 7 7 di 32 un sintomo "target" ( che di solito è il dolore, ma potrebbe essere anche altro), e facendo regredire quello risolvo tutta una serie di sintomi correlati. Per quanto riguarda il dolore severo non si può prescindere dall'utilizzo degli oppioidi forti. Gli oppiacei che hanno un'azione mista agonista/antagonista (come la buprenorfina, e in parte il tapentadolo ) hanno un loro ruolo ma che viene in un secondo momento. Il professore specifica la differenza tra oppiacei, cioè i derivati dell'oppio, e gli oppioidi, farmaci di sintesi che mimano l'azione degli oppiacei; tuttavia dice che si tende, e lo fa anche lui, ad usarli come sinonimi. ( d'ora in poi verranno usati come sinonimi ). Esistono oppioidi: - Long-acting: fentanyl e buprenorfina transdermici; morfina solfato, ossicodone, tapendadolo, idromorfone per OS; il metadone, farmaco un po' più difficile da maneggiare, ma utilissimo e poco costoso; - Short acting, circa 4-6-8 ore; sono codeina e tramadolo, ma soprattutto soluzioni sublinguali di ossicodone, morfina e buprenorfina, che hanno un rapido assorbimento e un'azione più veloce; anche morfina cloridrato per via sottocutanea o endovenosa, con un'attività rapida e una durata sicuramente più breve; - Rapid-onset opioids, ossia varie formulazioni di fentanyl trasmucosale, li tratteremo più avanti per una particolare sintomatologia dolorosa ( breakthrough pain ); Titolazione degli oppioidi. Dopo aver capito che tipo di dolore ha il paziente devo scegliere un farmaco. Prima lo scelgo a breve durata d'azione: questo mi serve per capire qual è la risposta del paziente a quel farmaco, che dose usare e se devo cambiare tipologia; posso iniziare con flaconi di morfina o ossicodone+paracetamolo ( combinazione fissa ); do questa formulazione al paziente e valuto il controllo del dolore a 2-3 giorni, per poi passare alla terapia a lento rilascio per semplificarne lo schema terapeutico, evitando che debba assumere morfina 6/7 volte al giorno come accade in alcuni pazienti. Un esperto può anche iniziare con un farmaco long acting ( anche chiamato a slow release ), ma deve sempre includere una "rescue dose", ossia una "terapia di salvataggio" per il dolore acuto. La via transdermica è indicata quando l'assunzione orale è controindicata o difficoltosa ( ad esempio per tumori del tratto GI ) e quando si ha una bassa compliance da parte del paziente: in questo caso si usano cerotti da 12 microgrammi di fentanyl o morfina sottocutanea. È sempre importante inserire un farmaco 8 8 di 32 a rapido rilascio, per controllare il dolore acuto. In caso di dolore ingravescente che non viene controllato dalla terapia, ricorro ad un'infusione sottocutanea continua di morfina. Il breakthrough cancer pain ( BTP ) è una temporanea ( qualche minuto ) esacerbazione del dolore che si verifica su un dolore cronico di base, già sotto controllo. Si manifesta ogni tanto, improvvisamente, non è prevedibile. Si tratta grazie ad un farmaco che il paziente prende al bisogno, come il Fentanyl transmucosale, in formulazioni che permettono di risolvere a casa un dolore molto velocemente e di terminare la loro azione sempre velocemente, a differenza di formulazioni orali che impiegano 30-40 minuti per entrare in effetto. Questo mi permette di non alzare la terapia di fondo. Quest'ultima andrebbe modificata se questi episodi sono molto frequenti, allora non sono indicati i rapid-onset, ma una revisione della terapia oraria. Gli effetti indesiderati degli oppioidi vanno conosciuti, possono anche portare alla sospensione del farmaco in alcuni pazienti. Sono: - Stipsi, effetto collaterale più importante e costante negli oppiacei, per cui dobbiamo sempre considerare di inserire dei lassativi assieme agli oppiacei, oltre a consigliare misure di carattere generale; - Nausea, vomito, e sonnolenza, frequenti nei primi giorni di terapia; - Confusione, allucinazioni e mioclono, che si verificano solo in pazienti che incrementano la dose molto rapidamente; - Prurito, abbastanza frequnte, che non è segno di una manifestazione allergica ed è temporaneo - Ritenzione urinaria per effetti anticolinergoci, per cui il paziente può sviluppare un globo vescicale, e va cateterizzato per risolverlo; la terapia del dolore, in questi casi, non va interrotta, va continuata 9 9 di 32 con il catetere che può essere tolto dopo qualche giorno, visto che questo effetto, come gli altri ( fatta eccezione per la stipsi ) è temporaneo; - Depressione respiratoria, evento eccezionale che avviene solo per errori di dosaggio o per autosomministrazione; L'importante, in questa lezione, sono i concetti, e non tanto le nozioni. Concetti da ricordare sono: - un controllo del dolore fin dall'inizio è preferibile e comporta un controllo migliore anche successivamente; infatti ritardare la terapia antalgica significa far sviluppare al paziente nuove terminazioni nervose che aumentano la sensibilità al dolore; - Il controllo del dolore va ricercato nell'arco delle 24 ore: qui il professore fa un esempio di un paziente a cui viene somministrata una terapia del dolore al bisogno, cioè il paziente assume l'analgesico solo quando ricomincia a sentire dolore; questo è sbagliato, perché quando il dolore dura per più di 12h al giorno, si deve impostare una terapia oraria, fissa, in modo da prevenire il dolore e non trattarlo solo dopo l'insorgenza dello stesso; la terapia al bisogno va bene solo se uno sente dolore ogni 2-3 giorni, non più; - Vi è necessità di una adeguata titolazione, tutti i pazienti hanno bisogno di farmaci e dosi diverse; - Devo perseguire il controllo del dolore non solo a riposo, ma nelle varie attività che deve svolgere; questo vale anche nel corso di manovre assistenziali, ad esempio prima della toletta del paziente andrebbe somministrato un analgesico a rapido assorbimento; quello che non si deve fare è anticipare l'orario di somministrazione della terapia di fondo, perhé questa terapia usa farmaci a lento rilascio, non adatti per gestire dolori nel breve periodo; - Il placebo non va usato, a meno che non rientri in un percorso di cura del paziente; - La dipendenza psicologica è un fenomeno raro, la dipendenza fisica, per contro, è fisiologica e va ovviata con la rotazione degli oppioidi - È importante ascoltare il paziente e conoscere i suoi desideri, a volte funzione meglio che aumentare i dosaggi Il professore valuta di un caso clinico, ce ne sono altri tra le slide ( li possiamo guardare se vogliamo, ma sono esempi ) Un paziente con carcinoma del corpo pancreatico localmente avanzato non resecabile; si manifesta con dolore subcontinuo e tipoco dolore "a barra" dei quadranti superiori, che irradia posteriormente; trova beneficio in una posizione fetale. L'assunzione di antiinfiammatori, che assume al bisogno, danno scarso risultato. Un precedente tentativo con oppiacei è stato sospeso per sospetta allergia, visti un prurito diffuso e sonnolenza. Riporta di essere "intollerante" agli oppiacei. Lamenta anche anoressia, astenia, insonnia, riduzione delle sue attività quotidiane; ha un ECOG di 2. Come abbiamo detto prima, dobbiamo valutare: - Il tipo di dolore, in questo caso probabilmente nocicettivo-viscerale, con verosimile componente neuropatica per contatto con le strutture nervose posteriori; - Intensità e durata del dolore: documenta dolore moderato-severo con esacerbazioni fino a 10 punti 2- 4 volte al giorno - Sollievo grazie ai farmaci antinffamiatori: modesto, di breve durata - Distress associato: notevole Per questo caso devo usare sicuramente una terapia around-the-clock visto il suo dolore subacuto continuo. Devo preferire gli oppiacei con sommistazione orale ( es 5mg ogni 4/6h, oppure una dose equivalente di ossicodone/paracetamolo ), controllando se quest'intolleranza sia effettivamente tale, o 10 10 di 32 solo un effetto collaterale passeggiero. Per quanto riguarda i FANS, andrebbero lasciati da parte visto che sono poco efficaci. Una volta definita la terapia di base, devo anche prevedere una rescue dose di una formulazione a rilascio immediato per contrastare il breakthrough pain. Inoltre, in questo caso inserisco anche lassativi e cortisone. Alla valutazione a 72h il dolore è più accettabile ( basso-moderato ) e le esacerbazioni si sono ridotte di numero e di intensità. Il paziente ha ripreso ad alimentarsi e a dormire, tuttavia ha ritenzione vescicale, e, ad un esame ecografico, trovo un globo vescicale. In questo caso, non sospendo gli oppiacei, però metto un catetere e prescrivo degli alfa-litici. Nei giorni successivi posso, nella maggioranza dei casi, togliere il catetere. Domande: - riguardo al caso clinico: se il paziente crede veramente di essere allergico agli oppiacei e diffida del medico che prova a prescriverglieli di nuovo oppiacei, come si gestisce il paziente? È fondamentale in questo caso fermarsi e parlare con il paziente, fare un'anamnesi puntuale e ragionare se quella che riporta il paziente può, in questo caso, essere veramente un'allergia; in questo caso sarebbe stato veramennte strano, essendo la prima volta che prendeva oppiacei si sarebbe dovuto trattare di una reazione idiosincrasica; io in ogni caso ho inserito anche un po' di cortisone e ho tenuto una dose relativamente bassa, per mitigare gli effetti di una eventuale allergia. È molto importante conoscere bene gli effetti collaterali dei farmaci. Va anche detto che bisogna provare gli antidolorifici, non ci sono veramente altre opzioni farmacologiche. - Con un paziente che per convinzioni culturali o religiosi rifiuta la terapia analgesica, come ci si comporta? Non credo esistano pazienti per motivi religiosi rifiutano il trattamento del dolore, magari hanno un'interpretazione particolare della sofferenza. Troverete però pazienti che rifiutano gli oppiacei, indipendentemente dal motivo. Bisogna spiegarli che il dolore, in questo caso, non è una cosa utile, anzi è un peso aggiuntivo per il suo fisico già provato. - Domanda sul breakthrough pain, che ho inserito nella parte inerente. 11 11 di 32 LEZIONE ONCOLOGIA 14/10/2024 SBOBINATORE: Lucrezia Burico Seconda ora (17:00 – 18:00) REVISORE: Egidio Lunghi La seconda ora della lezione di oggi è stata trattata dal Dott. Luca Marcomigni. NB: leggere tutte le slide inserite, in quanto la spiegazione è stata fatta principalmente tramite la loro lettura. EMERGENZE ONCOLOGICHE Perché parliamo di emergenze oncologiche? L’emergenza è ovviamente una condizione che mette a repentaglio la vita del paziente. Possono essere emergenze legate al tumore, ma anche ai trattamenti eseguiti. Molte di esse possono essere prevenute ed anticipate con le profilassi, e possono essere corrette e controllate se riconosciute prontamente. Particolare enfasi va messa quando un’emergenza si presenta in pazienti con tumori potenzialmente guaribili o ben curabili: in questo caso l’emergenza richiede una diagnosi tempestiva e un trattamento congruo. Vero è che spesso il paziente oncologico è portatore di varie patologie concomitanti: i problemi medici infatti possono essere molto complessi in un paziente oncologico. Affrontare le emergenze in questo tipo di pazienti ha però lo stesso valore che affrontarle in un paziente internistico puro. Cosa deve aggiungere quindi l’oncologo rispetto all’internista? Quando egli affronta una emergenza, deve domandarsi: 1. Qual è l’efficacia dei trattamenti disponibili per la neoplasia 2. Qual è lo scopo 3. Quali sono i tipi di trattamento: non è la stessa cosa trattare un’emergenza in un paziente terminale rispetto che in paziente che ha appena iniziato il suo percorso terapeutico (e che quindi presenta una malattia potenzialmente curabile). 12 di 32 L’oncologo deve chiedersi infatti: Se il paziente in questione è stato pre-trattato Quali sono le condizioni generali del paziente Dove poter arrivare con il trattamento Se la malattia ha possibilità di guarigione, oppure se il paziente sta facendo solo un trattamento sintomatico palliativo E’ sempre importante dunque porsi queste domande, è il ragionamento che sottende all’approccio di qualsiasi emergenza. In letteratura ci sono vari modi per classificare le emergenze oncologiche: questa modalità di classificazione esposta nella slide è quella che rappresenta meglio le emergenze. Vediamo adesso ad una ad una le varie categorie di emergenze oncologiche, tenendo a mente però che l’ultimo gruppo non è stato trattato (ovvero “emergenze causate da complicazioni indotte dal trattamento”, all’interno delle quali troviamo la “sindrome da lisi tumorale” ed “effetti indesiderati dei farmaci”). I. EMERGENZE INFETTIVE Dobbiamo porre molta attenzione al particolare aspetto di una complicanza che si può verificare in corso dei trattamenti oncologici: la NEUTROPENIA FEBBRILE. In questa condizione troviamo contemporaneamente: 1. neutropenia (indotta da farmaci, chemioindotta) 2. febbre Rappresenta un’emergenza in quanto può essere associata a mortalità e morbilità elevate, oltre che ai costi sanitari ovviamente. 13 di 32 Possiamo vedere in questa slide degli schemi di trattamento chemioterapici (alcuni di questi un po’ obsoleti) ai quali sono associate neutropenia e febbre. La neutropenia febbrile rappresenta la più importante tossicità dose- limitante: il problema non è solo però il grado di neutropenia, ma anche la durata: entrambe infatti condizionano il rischio infettivo nei confronti di batteri e miceti, e possono ritardare o richiedere la riduzione del dosaggio dei chemioterapici e quindi influenzare la prognosi. Fattori di rischio correlati alla neutropenia febbrile Possono essere legati a: paziente (età, condizioni cliniche generali, stato nutrizionale, patologie concomitanti, focolai infettivi già in essere come ferite o infezioni tissutali) patologia: la neutropenia è più frequente laddove c’è una infiltrazione midollare (midollo osseo), quindi un’estensione di malattia ossea, che può limitare la riserva funzionale midollare e peggiorare il rischio di neutropenia a dispetto di uno stesso trattamento chemioterapico 14 di 32 trattamento: un malato che deve iniziare un trattamento di prima linea è diverso da un malato pluri-trattato (leggere la slide per i fdr correlati al trattamento) Valutazione del paziente con febbre e neutropenia E’ indispensabile avere i mezzi per valutare un paziente con neutropenia febbrile: non tutte le condizioni cliniche sono uguali. Le neutropenie possono essere infatti distinte in condizioni ad ALTO RISCHIO o a BASSO RISCHIO. Una neutropenia ad alto rischio si presenta quando è anticipata o prolungata rispetto alle attese, è annche più grave del previsto (quando PMN sotto < 100 per mm^3 di sangue), quando ci sono condizioni cliniche come ipotensione, mucosite, polmonite, sintomi neurologici, infezioni di CVC oppure segni di insufficienza epatica o renale. Di fronte a situazioni del genere non basta trattare il malato con terapia antibiotica per bocca e mandarlo a casa —> il rischio che questa situazione si complichi è molto alto: spesso i pazienti in questo caso devono essere ricoverati, e fare terapia antibiotica empirica per via endovenosa. Diversa invece è la condizione di una neutropenia a basso rischio: il paziente non presenta comorbidità importanti, e ha una normale funzione d’organo (soprattutto epatica e renale). Evoluzione dell’infezione Il problema della infezione è che si può complicare, ed evolvere verso stadi successivi di compromissione d’organo che portano da una sindrome infiammatoria fino allo shock settico. In queste diapositive possiamo trovare il termine “sepsi severa”: ad oggi è un termine che non viene più considerato come una entità a sé. In questo caso è stato volutamente lasciato per farci capire quanto sia progressivo il problema della infezione in un paziente oncologico. 15 di 32 Passiamo quindi da SIRS (risposta clinica infiammatoria sistemica) a → SEPSI quando alla SIRS è associata una infezione confermata, arrivando poi alla → SEPSI SEVERA, quando alla sepsi è associata una insufficienza d’organo. Ad oggi, come detto, non si utilizza più il termine sepsi severa: da sepsi si passa direttamente a → SHOCK SETTICO: si presenta con anormalità circolatorie (ipotensione) che non risponde alla somministrazione di fluidi, con anormalità metaboliche-cellulari che mettono a rischio la vita di un paziente. Lo shock settico è uno shock distributivo dove c’è una inappropriata vasodilatazione periferica: la funzione cardiaca è normale ma il sistema vascolare periferico risponde al rilascio di citochine indotte dalla sepsi stessa verso una vasodilatazione inappropriata. L’incidenza di mortalità legate alle complicanze che l’infezione può determinare è progressivamente maggiore, fino a raggiungere una mortalità anche > del 50% in caso di shock settico. 16 di 32 Le infezioni, soprattutto in ospedale, sono in incremento e molto frequenti: originano soprattutto dal tratto urinario, apparato respiratorio, ferite chirurgiche oppure nascono direttamente come infezioni sistemiche. Il rischio di contrarre una infezione è più frequente in ambiente ospedaliero in pazienti immunocompromessi. L’aumento della incidenza delle infezioni è aumentato dalla presenza di comorbidità e dall’impiego di dispositivi che possono favorire l’accesso di batteri: CVC, ventilazione assistita, cateteri vescicali. L’età avanzata è un altro fattore di rischio importante, come vediamo nella slide qui sotto. Quindi tornando al discorso della importanza di valutare un paziente con neutropenia febbrile: una corretta valutazione significa collocare il paziente nel suo adeguato percorso terapeutico. Un paziente ad ALTO RISCHIO: deve essere necessariamente ricoverato e trattato con terapia empirica per VIA ENDOVENOSA; Un paziente a BASSO RISCHIO: può essere candidato ad una terapia empirica ORALE. 17 di 32 Per valutare se un paziente rientra in una categoria ad alto o basso rischio, possiamo utilizzare degli SCORE. MASCC (multinational association for supportive care in cancer) ha elaborato uno score (punteggio) per quantificare il rischio di evoluzione negativa di una neutropenia febbrile. Più alto è lo score, minore è la mortalità. In questa slide possiamo vedere uno schema riassuntivo (slide trattata molto velocemente): I malati a basso rischio: possono fare terapia con fluorochinoloni e beta lattamici per os Ad alto rischio: beta lattamici o vancomicina con segni di ipotensione, o carbapenemici e cefalosporine (anche di 5° generazione) Per quanto riguarda la somministrazione del fattore di crescita granulopoietico: non è raccomandato per ridurre il rischio di una evoluzione peggiorativa di una infezione, anche se è in largo uso, perché riduce la durata di neutropenia e della ospedalizzazione. 18 di 32 II. EMERGENZE TROMBOEMBOLICHE Il tromboembolismo venoso rappresenta una delle principali cause di morbilità e mortalità nei pazienti oncologici. I fenomeni che si presentano sono essenzialmente: trombosi venosa profonda ed embolia polmonare. Fattori di rischio (leggere la slide) Commenti aggiuntivi alla slide: * Correlati al paziente: VTE: si intende “episodio di tromboembolismo venoso” ** Correlati alla malattia: una malattia localmente estesa è diversa da una malattia metastatica. Tumori del tratto GI, dell’encefalo, polmone, sfera ginecologica, del rene, linfomi e mieloma sono quelli più a rischio di promuovere una trombosi venosa. ***Correlati al trattamento: TF: sta per “tissue factor”. Una chemioterapia che promuove l’attivazione dell’endotelio, della espressione di TF può aumentare il rischio trombotico. Clinica (leggere la slide) Commenti aggiuntivi alla slide: tosse secca con emottisi, sincope o ipotensione sono presenti in caso in cui l’embolia polmonare sia massiva. 19 di 32 Diagnosi Non possiamo fare gli esami strumentali a tutti in partenza. Perciò, cosa può orientare un clinico? Abbiamo due score: stimando il rischio di TVP ed embolia polmonare, essi possono orientare verso l’esecuzione di indagini strumentali. Ad esempio, se il punteggio di Wells è > 5 il rischio che ci troviamo di fronte ad una embolia polmonare diventa molto probabile. In ogni caso, la diagnosi finale è sempre STRUMENTALE. L’esame clinico e i parametri vitali sono fondamentali, ma il GOLD standard è: ECO-DOPPLER VENOSO degli arti inferiori per trombosi venosa profonda TAC con sequenze angiografiche per embolia polmonare Molto infrequente, che ora è poco usato, ma che una volta era il gold standard, è la scintigrafia polmonare perfusionale. Trattamento Troviamo: Eparina a basso peso molecolare Nelle persone allergiche alla eparina a basso PM: fondaparinux L’uso di eparina non frazionata è molto limitato a casi selezionati, che non possono giovare delle due opzioni precedenti. 20 di 32 Si usano ancora vecchi anticoagulanti come il warfarin (antagonista della vitamina K) nei pazienti oncologici che hanno eseguito chirurgie a livello delle valvole cardiache ad esempio Oggi ci sono i nuovi anticoagulanti orali, molto maneggevoli per i pazienti: l’impossibilità di un monitoraggio e la mancanza di un antidoto non li rende però sempre facilmente utilizzabili. Filtro cavale: nei pazienti con sanguinamenti attivi e che presentano controindicazioni all’utilizzo di farmaci anticoagulanti. Trattiamo adesso una serie di emergenze strutturali ostruttive da tumori che occupano spazio: sindrome della vena cava superiore, compressione midollare, ipertensione endocranica e tamponamento cardiaco. IIIa. SINDROME della VENA CAVA SUPERIORE Una neoplasia può determinare stenosi della VCS. nel 90% dei casi si tratta di neoplasie intra-toraciche primitive nel restante 10% dei casi sono delle neoplasie toraciche secondarie (quindi metastasi), come neoplasie germinali extra-gonadiche La neoplasia più associata è il tumore del polmone (soprattutto il microcitoma rispetto allo squamocellulare, anche se la differenza è minima): fino a un 10% dei pazienti con carcinoma del polmone può presentare questa sindrome. 21 di 32 Segni e sintomi Tra i sintomi troviamo: - dispnea - gonfiore del volto - tosse - ortopnea - alterazione stato mentale (nei casi avanzati) -disfonia, disfagia, cefalea, vertigini -sincope, dolore toracico In base all’aumentato grado di ostruzione c’è una gravità crescente dei sintomi. Inoltre, i sintomi sono spesso aggravati dai cambiamenti di posizione del tronco. Tra i segni invece, troviamo: - edema a livello di collo e viso, detto “a mantellina” - dilatazione delle vene superiori - cianosi - evidenza di varici venose nella superficie anteriore del torace - edema della laringe e della lingua - versamento pleurico Diagnosi Clinicamente la sindrome della VCS è riconoscibile, ma come sempre per trovare la causa precisa è necessaria una diagnosi strumentale, che comprende: RX torace Broncoscopia Angio-TC torace ECODOPPLER arti superiori RMN 22 di 32 Trattamento È necessario trattare la causa: alcuni tumori hanno infatti dei trattamenti specifici risolutivi. In alcuni casi è anche necessario ritardare il trattamento (nella slide è scritto di 1-2 giorni, ma a volte anche di più) per dare tempo di eseguire una corretta diagnosi, ed indirizzare quindi ad un trattamento terapeutico, come radioterapia, chirurgia, chemioterapia ecc. Prognosi !!! Dipende dalla eziologia → solitamente la sopravvivenza è a 10 mesi, ma se la sindrome si presenta nel contesto dei tumori del polmone la sopravvivenza media è molto più corta → 5 mesi. IIIb. COMPRESSIONE MIDOLLARE Si presenta quando una neoplasia primitiva, oppure una o più delle sue metastasi, causano compressione del midollo spinale. E’ una emergenza perché diagnosi e trattamento tardivo possono causare danni neurologici irreversibili. La causa più frequente è data dalla invasione e compressione del midollo da metastasi vertebrali extra- durali. 23 di 32 Meno frequenti sono invece le invasioni endorachidea o ependimale di alcune neoplasie, per diffusione liquorale. I tumori piu frequenti che danno compressione midollare sono a carico del polmone, mammella, prostata e rene. Non di rado la compressione midollare è il primo segno di una neoplasia primitiva o di metastasi di una neoplasia primitiva occulta (può essere proprio il sintomo di esordio di una neoplasia metastatica). Sintomi e segni (leggere la slide) Commento alla slide: i sintomi tardivi devono essere tempestivamente affrontati. Diagnosi Il gold standard rimane la RMN del RACHIDE, in quanto quantifica l’entità del danno. Obiettivo terapeutico Consiste in: ristabilire le normali funzioni neurologiche controllare il tumore a livello locale stabilizzare la mobilità/integrità vertebrale controllare il dolore 24 di 32 Prognosi Il fattore più importante nell’ambito della prognosi è il tempo. Troviamo poi la radiosensibilità della neoplasia. Il 10% dei pazienti che hanno recupero funzionale completo, sviluppano una paralisi successiva. IIIc. IPERTENSIONE ENDOCRANICA Ricordiamo che la cavità endocranica è una struttura chiusa → quello che c’è all’interno non ha spazio per essere gestito in termini di pressione. Normalmente all’interno della cavità cranica oltre al sangue sia nella componente arteriosa che venosa, troviamo il liquido cefalorachidiano. Una massa o un edema che occupa spazio, toglie spazio al sangue arterioso, venoso e al liquore fino a quando non comporta il rischio di erniazione. Le cause più frequenti di ipertensione sono scritte nelle slide. Segni e sintomi (leggere slide) 25 di 32 La scala di Glasgow è importante per valutare lo stato neurologico del paziente e dare un grado di urgenza al trattamento della ipertensione endocranica. Diagnosi La diagnosi è coadiuvata dall’esame obiettivo, a cui possiamo aggiungere un esame del fondo dell’occhio, esami emato- chimici (che però sono aspecifici). La rachicentesi è sconsigliata perché il rischio di erniazione per ex vacuo può essere molto elevato. Indispensabile è la RMN con MDC, che rappresenta il gold standard. In alto a destra vediamo una neoplasia primitiva dell’encefalo, in basso a destra una serie di innumerevoli metastasi che determinano compressione sui ventricoli, in basso a sinistra un esteso ictus ischemico. 26 di 32 Trattamento (leggere slide) Desametasone ad alte dosi per ridurre l’edema Nelle prime fasi di gestione dell’emergenza può essere utile l’utilizzo di mannitolo (diuretico osmotico) per favorire diuresi osmotica A volte è necessario un intervento di neurochirurgia di urgenza per favorire la derivazione liquorale IIId. TAMPONAMENTO CARDIACO E’ una condizione in cui l’aumento del liquido endopericardico comporta un aumento di pressioni a carico soprattutto delle sezioni destre del cuore → grave conseguenza sulla dinamica cardiaca globale. Può rappresentare il primo segno di una malattia neoplastica, ma normalmente è espressione di una infiltrazione per contiguità che si sviluppa nel tempo come evoluzione peggiorativa di una neoplasia. Non a caso in circa il 35% dei deceduti per tumore sono presenti (durante il riscontro diagnostico) segni di tamponamento cardiaco. Sintomi e segni Commenti alla slide: il polso paradosso, non è scontato che sia rilevabile in un paziente con un versamento pericardico in corso di tamponamento. 27 di 32 Terapia La pericardiocentesi è sicuramente l’approccio più importante. Passiamo adesso ad un’altra classe di emergenze, quelle legate ai disordini endocrino-metabolici. IVa. IPERCALCEMIA E’ la principale emergenza oncologica di tipo endocrino-metabolico, e si riscontra in 1/5 dei pazienti con neoplasie. Non per forza una ipercalcemia si associa alla presenza metastasi ossee. Segni e sintomi Dipendono dalla velocità dell’aumento del calcio: Un aumento rapido provoca sintomi neurologici → agitazione, depressione, sonnolenza e coma Meno frequentemente si sviluppano sintomi neurologici quando l’aumento dei livelli di calcio è più lento Ci sono dei gruppi di pazienti in cui è più difficile valutare sintomi neurologici, in quanto magari anziani con patologie cognitive già presenti. In ogni caso, quando c’è un peggioramento severo l’ipercalcemia va considerata. 28 di 32 Inoltre, sedativi o narcotici possono peggiorare il quadro di ipercalcemia → se la sospettiamo quindi, l’utilizzo di questi farmaci andrebbe evitato. Diagnosi Prevede: Clinica Esami di laboratorio: dosaggio della calcemia insieme a calciuria, albuminemia, ecc Strumentale: RX, scintigrafia, TC, RMN, PET/TC Trattamento Il trattamento è multimodale, e prevede: Idratazione: riduce i livelli di calcio diluendolo in circolo, e aumenta l’escrezione renale Diuretici Bisfosfonati Calcitonina 29 di 32 IVb. IPONATRIEMIA E’ un’altra emergenza che rientra nel contesto dei disordini endocrino-metabolici, ma è stata trattata velocemente. L’omeostasi del sodio sierico è finemente regolata da più componenti, soprattutto dal rene e dall’encefalo. Il livello di sodio sierico scende, sottoi 135-130 possiamo parlare di iponatriemia. Una lieve iponatriemia è frequentissima nei pazienti ospedalizzati, mentre meno frequente è la forma moderata e soprattutto severa. Si presenta per esempio nel 15% dei pazienti con microcitoma, ed è legata ad una sindrome da inappropriata secrezione di ADH, o per essere più generici ad una sindrome da inappropriata antidiuresi (SIAD). Quello che succede in questo caso è che il volume extra-cellulare è normale, l’acqua libera aumenta in circolo ma il sodio rimane uguale. I sintomi principali sono di tipo neurologico, e vanno dalla cefalea ad irritabilità, nausea, vomito, rallentamento motorio, confusione fino → al coma. Spesso i sintomi dipendono dalla velocità di insorgenza di iponatriemia: il paziente può essere anche asintomatico se la condizione si sviluppa in maniera lenta e cronica, mentre può essere in pericolo di vita se essa si manifesta in maniera acuta. 30 di 32 Algoritmo diagnostico L’iponatriemia viene valutata tramite la valutazione della osmolarità plasmatica e della osmolarità urinaria: Osmolarità plasmatica ridotta Con osmolarità urinaria aumentata Se queste due condizioni si presentano, pensiamo ad una SIAD. Trattamento E’ necessario il trattamento della causa sottostante, con contemporanea infusione di soluzione fisiologica ipertonica. All’inizio del trattamento andiamo a controllare la natriemia ogni 2-4 ore, poi successivamente ogni 4-6 ore → in base ai valori raggiunti, si modificherà di conseguenza la velocità di diffusione. Complicanze trattamento La correzione rapida può portare a sindrome da demielinizzazione osmotica: si presenta con un danno neurologico irreversibile e prognosi pessima. Il danno è legato prevalentemente ad una mielinolisi pontina. 31 di 32 !!! Mai superare un aggiustamento di più di 12mEq nelle prime 24h !!! Trattamento farmacologico E’ indispensabile → la soluzione ipertonica nelle fasi acute fa risalire i livelli di natriemia, ma il trattamento con antagonisti del recettore della vasopressina (VAPTANI) è fondamentale → il gold standard più usato è il TOLVAPTAN. Questo risulta essere un potente diuretico che va usato con molta discrezione e in ambiente ospedaliero. Durante la somministrazione della terapia farmacologica è necessario sospendere la somministrazione della soluzione ipertonica. 32 di 32

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