Colangiocarcinoma - Oncologia - 16/10/2024

Document Details

WellBredEuphoria8350

Uploaded by WellBredEuphoria8350

Università per Stranieri di Perugia

2024

Tags

colangiocarcinoma oncologia tumori medicina

Summary

Questo documento presenta una panoramica sul colangiocarcinoma, un tumore maligno che interessa l'albero biliare. Vengono descritte le caratteristiche cliniche, i trattamenti locali e le terapie adiuvanti, con particolare attenzione alle forme intraepatiche e alle prospettive future di trattamento.

Full Transcript

ONCOLOGIA SBOBINATORE: ELISABETTA BURLINI 16/10/2024 1° ORA REVISORE: ANNA CAROLA CECCON COLANGIOCARCINOMA In questa lezione tratteremo il colangiocarcinoma...

ONCOLOGIA SBOBINATORE: ELISABETTA BURLINI 16/10/2024 1° ORA REVISORE: ANNA CAROLA CECCON COLANGIOCARCINOMA In questa lezione tratteremo il colangiocarcinoma da un punto di vista della presentazione clinica, della biologia della malattia, trattamenti loco-regionali e terapia adiuvante, standard nella malattia avanzata e infine delle prospettive future nel trattamento della forma intraepatica con farmaci quali gli IDH inibitori, EGF inibitori e l’immunoterapia. Il colangiocarcinoma è un tumore maligno che origina dalle cellule di rivestimento dell’albero biliare. Da un punto di vista anatomico, nel 10-20% dei casi, il colangiocarcinoma origina a livello intraepatico. A livello intraepatico abbiamo i dotti biliari minori e i dotti segmentali, a monte rispetto al dotto epatico di destra, il dotto epatico di sinistra e il dotto epatico comune. A livello di queste ultime tre strutture (dotto epatico di destra, sinistra e comune) troviamo il colangiocarcinoma ilare (o tumore di Klatskin); mentre i dotti biliari che si trovano a monte rispetto a queste strutture configurano il colangiocarcinoma intraepatico; infine, distalmente al dotto cistico che si immette nel dotto biliare comune a formare il coledoco, troviamo il colangiocarcinoma distale. 1 di 15 Esistono 3 modalità di crescita del colangiocarcinoma: 1. INTRADUTTALE: il tumore cresce all’interno del dotto biliare 2. PERIDUTTALE: il tumore cresce seguendo l’albero biliare ma ha una estrinsecazione aldilà del dotto biliare 3. FORMA MASS-FORMING Le prime due modalità sono tipiche di TUMORI INFILTANTI: mentre queste non sono valutabili con la TC, la forma mass-forming è valutabile con la TC. Nei tumori infiltranti si usa la colangio-RMN, che è l’esame principe per poter fare diagnosi di colangiocarcinoma. Mentre le forme intraepatiche si diagnosticano solitamente in forma più avanzata, le forme peri - ilare e distale si presentano con uno stadio relativamente più precoce, perchè danno più frequentemente ittero, che si configura con un aumento della bilirubina (la maggior parte è bilirubina diretta, quindi glucuronata), aumento degli enzimi (GAMMA-GT, fosfatasi alcalina, AST, ALT) per fenomeni di colestasi. Inoltre sono le forme con maggiore impedimento di flusso biliare fisiologico. Complessivamente, i colangiocarcinomi rappresentano il 10-15% dei tumori primitivi del fegato e nell’ambito di tutti i colangiocarcinomi la forma intraepatica rappresenta il 10-20%: la maggior parte dei colangiocarcinomi insorgono o a livello ilare (ovvero tra il dotto epatico di destra, di sinistra e il comune) oppure a livello distale; quella con meno frequenza è la forma intraepatica. A differenza di quanto visto nel caso dell’epatocarcinoma a riguardo delle infezioni virali e della NASH come fattori di rischio, nel caso del colangiocarcinoma è molto più dibattuta la correlazione ma si ritiene che abbiano un’importanza anche per quest’ultimo. 2 di 15 Nel caso del colangiocarcinoma c’è un’incidenza e mortalità diversa a seconda della zona geografica: Giappone, Corea, Taiwan, Hong Kong, Thailandia, Ungheria e Repubblica Cieca hanno una maggiore incidenza e mortalità. L’Europa e gli USA hanno un’incidenza e mortalità intermedie. L’America e il Sudamerica invece hanno un’incidenza e moralità basse. Si tratta di una malattia relativamente rara, dunque ci sono pochi trial clinici, le linee guida sono abbastanza evasive e soltanto recentemente si è definita più nel dettaglio la biologia molecolare di questa neoplasia. 3 di 15 CARATTERISTICHE ISTOPATOGENETICHE, GENETICHE E MOLECOLARI Bisogna distinguere 2 forme: 1. FORMA INTRAEPATICA: può essere mass-forming o con una crescita intraduttale e periduttale, che può coinvolgere sia i piccoli dotti che i dotti più ampi prima del dotto epatico di destra e di sinistra. Tale forma si caratterizza per: - Mutazioni di IDH1, IDH2 - Gene di fusione di FGFR2 (fibroblast growth factor receptor 2) - Mutazione di BRAF Queste alterazioni sono “targettabili”, ovvero esistono delle terapie che hanno come target tali mutazioni genetiche, che sono praticamente assenti sia nella forma ilare che nella forma distale. Dunque la fase diagnostica da un punto di vista molecolare è molto più spinta nella forma intraepatica rispetto alle altre due. 2. FORME ILARE E DISTALE: non presentano alterazioni molecolari targettabili. CIRROSI La cirrosi ha un’importanza soprattutto per la scelta della terapia, ma, a differenza di quanto accade nell’epatocarcinoma dove è un parametro per definire le forme precoci, intermedie, tardive e terminali (classificazione BCLC), nel colangiocarcinoma si usa la classificazione TNM. 4 di 15 APPROCCI TERAPEUTICI Nell’approccio terapeutico bisogna tenere in considerazione diversi fattori: - Estensione del tumore - Condizioni cliniche del paziente - Valutazione accurata della funzionalità epatica - Gestione della malattia epatica sottostante Inoltre è richiesta una valutazione multidisciplinare. Il 60-70% dei pazienti con colangiocarcinoma sono diagnosticati in fase avanzata considerando anche che non esistono screening. Per diversi anni il trattamento palliativo con la chemioterapia è stato lo standard per questo tipo di pazienti; oggi invece abbiamo nuove opzioni di terapia. È possibile fare un TRATTAMENTO LOCALE, al fine di fare un “down-staging” di lesioni ampie a livello intraepatico soprattutto, tramite la chemio-embolizzazione o la chemio-radio- embolizzazione (uso di sfere che hanno degli emittenti radioattivi alpha, beta che possono ampliare il campo di azione, che va al di là del blocco vascolare legato alla chemio-embolizzazione). 5 di 15 I trattamenti locoregionali nella maggior parte dei casi sono dei trattamenti palliativi, che servono a determinare una riduzione di massa. Qua vediamo che anche dopo l’intervento chirurgico, nelle forme ilari e nelle forme della colecisti (nelle forme extraepatiche esiste anche il colangiocarcinoma che origina dalla colecisti), le recidive sono molto frequenti perché nella maggior parte dei casi la malattia viene diagnosticata in fasi avanzate poiché con sintomi tardivi. Le recidive loco-regionali sono più frequenti nelle forme ilari, mentre nelle forme della colecisti sono più frequenti le metastasi a distanza. La sopravvivenza è superiore nelle forme ilari rispetto alle forme della colecisti. 6 di 15 Un intervento con margini positivi e coinvolgimento linfonodale configura una popolazione di pazienti che ha una prognosi negativa: i pazienti R0 all’intervento hanno prognosi migliore, rispetto ai pazienti con intervento R1, cioè micro o macroscopicamente interessato, caso in cui viene fatto trattamento palliativo con ricostruzione della via biliare. È poi ovviamente peggiore la prognosi in pazienti che hanno linfonodi positivi e migliore in coloro che presentano linfonodi negativi. Sono stati fatti una serie di studi in fase adiuvante, cioè dopo l’intervento chirurgico radicale, con diversi farmaci, quindi in polichemioterapia rispetto alla sola osservazione, ma che non hanno evidenziato alcun effetto. L’unico studio che ha dimostrato un effetto della terapia adiuvante e che ricopre un ruolo nelle scelte terapeutiche è lo studio BILCAP (studio inglese), il quale ha definito un nuovo standard. Ad oggi, dopo la chirurgia radicale, si somministra capecitabina per 6 mesi, perché questa ha dimostrato una riduzione del rischio di recidiva ed un miglioramento della sopravvivenza in questi pazienti. 7 di 15 Standard odierno: Capecitabina per 6 mesi come trattamento adiuvante dopo l’intervento chirurgico per colangiocarcinoma, sia questo intra-epatico o extra-epatico. Fino a poco tempo fa, nella maggioranza dei pazienti con malattia avanzata, cisplatino+gemcitabina erano il regime di riferimento, ma con risultati scarsi in quanto la sopravvivenza mediana è di circa 12 mesi. (Sopravvivenza mediana: 50% sotto la mediana, deceduto, 50% sopra che sopravvive). Quindi: - stadio precoce: chirurgia e il trattamento adiuvante chemioterapico con la capecitabina. - forma localmente avanzata e nella forma metastatica: chemioterapia da sola. 8 di 15 Stadio 1-2 quindi tumori resecabili, che sono circa il 30-40%, si fa resezione completa e poi terapia adiuvante. Stadio 3 e 4 quindi malattia localmente avanzata inoperabile, si fa chemioterapia palliativa, la quale ha dimostrato un vantaggio negli schemi combinati, cisplatino+gemcitabina, rispetto alla monoterapia, sia in termini di sopravvivenza libera da progressione che in termini di sopravvivenza globale. In terapia di seconda linea la chemio da un beneficio però sono pochi i pazienti che ne possono beneficiare quindi è un tumore che in linea generale risponde poco al trattamento. Nel momento in cui viene fatta la diagnosi, per evidenza di bilirubina alta, ciò che deve essere necessariamente fatto è de-tendere la via biliare tramite colangiopancreatografia retrograda endoscopica (ERCP). L’ERCP si effettua quando è presente un’occlusione distale a livello del c oledoco: attraverso l’endoscopio si arriva alla papilla di Vater, si fa una sfinterotomia, si incannula e si mette uno stent. Quando invece l’occlusione non è distale ma è legata ad un tumore intra-epatico o ad un tumore ilare, è necessario effettuare un’ecografia, dimostrare che le vie biliari sono dilatate e poi si può 9 di 15 incannulare la via biliare intraepatica con un approccio percutaneo partendo dall’alto e arrivando alla zona dove c’è la stenosi e a quel punto si mette lo stent. Quindi se l’occlusione è bassa si de- tende la via biliare on ERCP, altrimenti si fa un approccio percutaneo e la conditio sine qua non per farlo è che la via biliare sia dilatata. Quello che si è visto è che il colangiocarcinoma non è un’unica malattia e che soprattutto nella forma intra-epatica abbiamo delle mutazioni che sono targettabili e che è giusto che noi sappiamo. È stata fatta una valutazione genetica dei colangiocarcinomi e sappiamo che nelle forme intra- epatiche rispetto a quelle extra- epatiche e a quelle della colecisti, lo spetto mutazionale è completamente diverso. Sono tutti colangiocarcinomi ma dal punto di vista molecolare sono delle malattie completamente diverse. Alterazioni genetiche nell’intra-epatico (iCCA): - IDH1 mutato nel 20% dei pz - FGFR2 gene di fusione nel 15% dei pz - BRAF mutato nel 5% dei pz 10 di 15 Quindi se abbiamo un colangiocarcinoma intra-epatico possiamo identificare una terapia target nel 40% dei casi. ClarIDHy è il primo studio che ha valutato un inibitore di IDH; Ivosidenib vs placebo, nei pz che erano progrediti a uno o due cicli precedenti di chemioterapia. Si vede il vantaggio nell’utilizzo dell’IDH inibitore per quel che riguarda la sopravvivenza libera da progressione e c’è un vantaggio. Osserviamo un vantaggio in termini di sopravvivenza globale in quei pazienti che sono stati successivamente trattati a progressione con Ivosidenib, dopo progressione con una chemioterapia tradizionale scelta dall’investigatore oppure in non trattamento. 11 di 15 La sopravvivenza è maggiore con la terapia target rispetto a quella non- target. Un secondo target è l’FGFR2 gene di fusione che si trova esclusivamente nei colangiocarcinomi intra- epatici (è presente nel 10-16% dei pz con colangiocarcinoma negli Stati Uniti ed in Europa). Il farmaco target inibitore dell’FGFR2 gene di fusione è il Pemigatinib. I pazienti che fanno terapia con Pemigatinib hanno una sopravvivenza mediana di 21 mesi. Il professore sottolinea come anch’esso abbia un gruppo di pazienti che rispondono molto bene a tale farmaco e che sono andati avanti per anni con questa terapia. 12 di 15 Ci sono alcuni effetti collaterali: - Iperfosfatemia che però si risolve dando il Malox per ridurre l’assorbimento dei fosfati. - Fatigue - Tossicità ungueale da onicopatia - Stomatite - Nausea - Disgeusia Sono comunque effetti affrontabili anche giocando con la dose del farmaco stesso. Si è osservato come la maggioranza dei pazienti risponde a questo tipo di terapia, soprattutto se si parla di geni di fusione. 13 di 15 Pemigatinib è soltanto uno dei farmaci FGFR2 inibitori. Abbiamo anche: Infigratinib, TAS-120. Derazantinib, Erdafitinib. Questi farmaci hanno una selettività maggiore, soprattutto l’Erdafitinib rispetto al Pemigatinib, per cui si stanno facendo anche degli studi di utilizzo di FGFR2 inibitori di nuova generazione quando c’è progressione al trattamento utilizzando inibitori FGFR2 gene di fusione di prima generazione. Il beneficio con inibitori di FGFR2 gene di fusione sono immediati, nel giro di qualche settimana dall’inizio del trattamento il pz si sente meglio. Circa il 5% dei pz ha mutato BRAF e analogamente a quanto visto per il melanoma, rispondono molto bene al trattamento con BRAF e MEK inibitori. 14 di 15 Lì dove non c’è la terapia target è possibile fare l’immunoterapia. Uno studio ha usato chemioterapia + Durvalumab che è un anti PD-L1, evidenziando una superiorità rispetto alla sola chemioterapia. Questo è il nuovo standard nella malattia avanzata e che può essere preso in considerazione sia nelle forme intra che extra- epatiche nei pazienti con forme non targettabili. Conclusioni: bisogna capire che esistono malattie diverse: intraepatiche, extraepatiche ed ilari. Bisogna, soprattutto nelle intraepatiche, fare un’analisi genetica andando a screenare con NGS le mutazioni target tra cui IDH, BRAF, FGFR2 gene di fusione. Lì, dove invece non ci sono mutazioni rilevabili, la chemio-immunoterapia gioca un ruolo importante. I trattamenti di seconda e terza linea con la chemioterapia, così come la prima linea con la sola chemioterapia danno dei risultati insufficienti. Importanti sono la terapia di supporto ed il trattamento dell’occlusione della via biliare o per via percutanea o con ERCP al fine di de-tendere la via biliare e ridurre la bilirubina. Di FGFR2 con NGS di solito non si valuta la mutazione del gene perché solitamente è presente una traslocazione con formazione di un gene di fusione. Sono queste ultime le forme che rispondono maggiormente agli FGFR2 inibitori. Le forme con mutazione non sono tutte targettabili e alcune non rispondono proprio alle terapie. 15 di 15

Use Quizgecko on...
Browser
Browser