Neuropsicologia dello Sviluppo - Appunti PDF
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Questi appunti trattano la neuropsicologia dello sviluppo, soffermandosi sulle differenze tra i disturbi acquisiti e quelli evolutivi. Esaminano le correlazioni anatomo-cliniche e la plasticità cerebrale, sottolineando la variabilità individuale nello sviluppo cognitivo. L'approccio enfatizza l'interazione tra fattori biologici e ambientali.
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Lezione neuropsicologia dello sviluppo 07/10/2024 Qualunque tipo di disciplina che si occupa dello studio del comportamento si differenzia dalle altre rispetto all’oggetto di studio specifico e agli strumenti utilizzati. L’approccio neuropsicologico consiste nel fatto di poter osservare le correlaz...
Lezione neuropsicologia dello sviluppo 07/10/2024 Qualunque tipo di disciplina che si occupa dello studio del comportamento si differenzia dalle altre rispetto all’oggetto di studio specifico e agli strumenti utilizzati. L’approccio neuropsicologico consiste nel fatto di poter osservare le correlazioni anatomo cliniche (cervello-comportamento), qual è l’assetto neuro funzionale dal punto di vista cerebrale. L’approccio neuropsicologico studia il comportamento e in generale nasce in ambito patologico, per poi costruire ambiti di funzionamento anche nella normalità e con una continua interazione tra questi due aspetti patologi, con l’individuazione (dal punto di vista dei disturbi acquisiti) di quelli che sono i deficit selettivi che ci permettono di costruire modelli di funzionamento nella normalità. In fondo l’oggetto di studio è il comportamento di vario genere (comportamento cognitivo-emotivo- motivazionale) e le correlazioni che vi sono in questi comportamenti normale e alterato e come questo sia correlato con lesioni o disfunzioni dal punto di vista neuro funzionale (livello collegato con aree, strutture ecc..). Le alterazioni del comportamento legati a danni focali o danni legati a malattie neurodegenerative, quest’ultime non sono deficit, non sono lesioni ma modificazioni del comportamento, acquisiti che poi vengono persi in modo patologico rispetto all’invecchiamento; da un punto di vista del neurosviluppo si fa riferimento all’incapacità di acquisire comportamenti specifici in quell’età. La neuropsicologia nasce con lo studio dei disturbi acquisiti, con l’obiettivo di studiare un certo comportamento con strumenti adeguati a quell’oggetto di studio; ad esempio, se andiamo a studiare l’età evolutiva abbiamo bisogni di strumenti adatti e anche delle misurazioni del comportamento. Se valutiamo la memoria di un adulto, gli chiediamo quante parole si ricorda, nei soggetti più piccoli abbiamo bisogno di misure cosiddette indirette. N.B. Lo sviluppo e l’acquisizione delle competenze è legato al processo di specializzazione funzionale. ES. (Esiste la dislessia acquisita, in quanto dopo aver appreso quella competenza c’è una lesione in un posto specifico, dal punto di vista della neuropsicologia evolutiva, è perché quella zona non si è specializzata abbastanza, non ha raggiunto il livello di maturazione cerebrale che ha permesso la specializzazione cerebrale e a cui corrisponde l’acquisizione di competenze specifiche). Come sappiamo la neuropsicologia si basa su due fondamentali principi: Modularità: ogni funzione cognitiva è costituita da una serie di sottocomponenti specializzate e quasi indipendenti che possono venire danneggiati in modo selettivo; Trasparenza: la lesione cerebrale comporta la compromissione di un elemento specifico di un sistema intatto e si esprime con un preciso deficit cognitivo. Per questo motivo lavoriamo per dissociazioni e associazioni: → dissociazioni semplice: si verifica quando un paziente (o gruppo di pazienti) presenta risultati diversi in due compiti diversi (C1 e C2). Se C1 è danneggiata e C2 no, avremo una dissociazione forte: si può concludere che i due compiti dipendono da due sottosistemi separati e isolabili. Se C1 è gravemente danneggiata e C2 è lievemente danneggiata, avremo una dissociazione debole: dunque: o La lesione ha danneggiato il sottosistema di C1 e anche di C2 – oppure – o Per eseguire in modo corretto il compito C2 è necessaria l’integrità del sottosistema del compito C1. → dissociazione doppia: si verifica quando, sottoponendo due pazienti (o due gruppi di pazienti) alle stesse prove (C1 e C2), entrambi i pazienti presentano dissociazione semplice o forte, ma un paziente presenta una dissociazione opposta rispetto all’altro. Paziente1: C1 integra, C2 danneggiata Paziente2: C1 danneggiata, C2 integra Si può concludere che i compiti C1 e C2 soggiacciono a funzioni distinte e indipendenti l’una dall’altra e presentano una localizzazione cerebrale differente. Possono essere soggetti che presentano dei deficit a carico della memoria a breve termine e altri a carico della memoria a lungo termine. È la prova più evidente e significativa dell'esistenza di due sistemi separati, due moduli cognitivi per l'esecuzione dei due compiti che possono essere compromessi singolarmente da una lesione. È lo strumento più potente per dimostrare la specializzazione funzionale cerebrale. Quando parliamo di associazioni facciamo riferimento alla compromissione di un’area funzionale specifica che comporta la manifestazione associata di due sistemi. Se vi è un’alterazione dell’ippocampo, pochi pazienti eccezionalmente avranno solo la memoria anterograda o retrograda, affermiamo questo solo nei singoli casi. In generale nella nostra attività clinica abbiamo sempre delle associazioni di sintomi, es. se abbiamo una lesione frontale dell’emisfero sinistro, non avrò solo il disturbo del linguaggio (aprassia) o solo un disturbo del tono dell’umore o dell’inerzia, ciò avviene tutto insieme. Bisogna quindi compiere una valutazione generale facendoci guidare dalla lesione. Questi modelli sono stati considerati però inadatti a spiegare il tipo di comportamento che si verifica nell’adulto e poi nel bambino, in quanto l’oggetto di studio appare appunto diverso. I principali fattori di difficoltà: 1. Differenza tra disturbi acquisiti e degenerativi 2. Differenza tra deficit selettivi e pattern di deficit associati 3. La plasticità cerebrale e riorganizzazione funzionale. 1)Si osservano delle difficoltà anche da un punto di vista terminologico, perché dire che i disturbi acquisiti siano solo nell’adulto e quelli evolutivi siano presenti solo nel bambino, non è vero. I soggetti dislessici saranno sempre dislessici, anche in età adulta, perché avrà all’interno del suo sviluppo un’organizzazione funzionale ha acquisito la capacità di lettura in un modo peculiare. I soggetti che presentano quindi una neurodivergenza rimangono sempre così fino alla fine; esistono adulti con disturbi del neurosviluppo ed esistono bambini con disturbi acquisiti. Esistono una serie di condizioni eziologiche come, ad esempio, l’anossia durante il parto, che molto spesso sono la causa di alterazioni del comportamento (disabilità intellettiva), ciò che accade è che a causa della mancanza di ossigeno al cervello, le prime aree ad essere compromesse sono quelle basali (temporale e regioni ippocampali). A seguito di un trauma cranico, infatti, il paziente presenta problemi di memoria episodica e perdita di coscienza. Se questo si verifica alla nascita e vi è un’alterazione dell’ippocampo, il sg presenterà una difficoltà nell’imparare le cose, quindi il suo ritardo cognitivo non è legato ad aspetti genetici ma di tipo organico (alterazione della struttura). 2)In un bambino possono esistere le afasie ma è molto più probabile che vi sia un disturbo specifico del linguaggio, che è un problema legato all’acquisizione del linguaggio, in ambito evolutivo è meno frequente che esistano dei deficit selettivi, perché siamo difronte a disturbi legati alla mancata specializzazione funzionale. La dislessia (selettiva) la troviamo nei disturbi acquisiti dell’adulto, perché quelle aree si sono strutturate per specializzarsi non solo nella lettura ma anche nella struttura e nel calcolo, possiamo avere la dislessia, la disgrafia, la discalculia nell’adulto, gli uni separati dagli altri. Nel bambino lo definiamo (DSA) ovvero disgrafia, discalculia e dislessia insieme, al massimo possiamo trovare delle sproporzioni di patologia. Per svolgere una diagnosi differenziale ci troveremo difronte a dei pattern di deficit associati, non un deficit selettivo, non avremo mai solo un amnesico puro. Il più classico esempio è legato all’autismo, dove già nella definizione vi sono delle aree che sono compromesse, ovvero la prima area è legata al disturbo del linguaggio e della comunicazione e la seconda area fa rifermento alla presenza di stereotipie ed interessi ristretti. Da un punto di vista culturale si è modificata la modalità di pensare che l’individuo piccolo abbia un suo status specifico, ha delle difficoltà specifiche, peculiari. La sindrome di Down e la sindrome di Williams sono entrambe delle sindromi genetiche ma con profili associati diversi tra di loro, come se ci fosse una doppia dissociazione; i pz con la sindrome di Down hanno una difficoltà che si manifesta prevalentemente sugli aspetti verbali e non sugli aspetti visuo-spaziali al contrario accade con la sindrome di Williams, globalmente consideriamo la presenza di un ritardo mentale però con la stessa capacità intellettiva i pz con tale sindrome hanno una difficoltà sugli aspetti visuo-spaziali e non verbali. Dal punto di vista epigenetico è difficile avere un rapporto diretto tra genotipo e fenotipo perché esistono un sacco di forme diverse; possono presentarsi alterazioni genetiche ma insieme all’ambiente possiamo avere delle organizzazioni biologiche tali che possiamo avere delle forme di organizzazione diverse tra di loro. L’ambiente diventa quindi un aspetto fondante per l’acquisizione di qualsiasi competenza; è una variabile fondamentale che permette o non permette lo sviluppo di strutture neurali adatte. 3) La plasticità e la capacità di recupero sono dei fattori che caratterizzano qualunque organismo: se ad esempio io mi faccio un taglio sul braccio, ad un certo punto so che questo guarirà, questo processo di guarigione si basa sulla plasticità e la capacità di riproduzione, di cambiamento ma ci saranno dei segni in questo caso una cicatrice. Nel caso di una lesione cerebrale il cervello si riorganizza per lavorare, se c’è un buco ovviamente non si riproduce ma troverà un modo strategico di funzionare e si basa proprio sulla plasticità cerebrale sia quando si parla di disturbi acquisiti che di quelli evolutivi. Quindi nello sviluppo di alcune capacità si trovano delle variazioni, per cui nel corso della nostra vita abbiamo una traiettoria di sviluppo tipica o atipica e sono molto diverse tra di loro, all’interno dell’atipicità c’è una grande variabilità individuale che è legata al concetto della plasticità neurale cioè come nell’interazione soggetto-ambiente il cervello si è strutturato. La variabilità individuale, ovvero come interagiamo con l’ambiente, l’abbiamo sia nella neurotipicità sia nella patologia tanto che adesso noi consideriamo un problema del neurosviluppo non solo nelle difficoltà (ADHD, DSA, l’autismo) ma anche alcune condizioni di eccellenza come la plus dotazione, è un problema perché quest’ultimo per esprimersi al meglio ha bisogno di un ambiente capace di rispondere a quelle necessità, se non è così abbiamo tutte delle manifestazioni comportamentali di tipo patologico. All’interno della variabilità individuale non abbiamo solo quello che sta in mezzo ma abbiamo anche quello che sta ai lati, la plus dotazione e la disabilità intellettiva, sono tutte condizioni diverse ma che fanno parte tutte della necessità di un supporto legato all’apprendimento. Una lesione cerebrale in un bambino ha degli effetti a lungo termine minori rispetto a lesioni negli adulti, poiché il bambino con afasia a causa di una lesione cerebrale il disturbo del linguaggio è meno grave rispetto a quello di un adulto perché ha un sistema indifferenziato che deve ancora svilupparsi. Nella prospettiva evolutiva è cruciale lo sviluppo cognitivo, sia nello sviluppo normale che nello sviluppo patologico, un continuo confronto fra neuropsicologia degli adulti e neuropsicologia dei bambini ci può dare importanti informazioni su quelli che sono gli aspetti della plasticità neurale e quei fattori che sono implicati nello sviluppo. È molto importante la diagnosi precoce, ad esempio, nelle malattie neurodegenerative così che si può effettuare un rallentamento se lo intercetto dall’inizio, così come ad esempio da un punto di vista evolutivo posso intervenire per modificare l’ambiente e supportare quello che può essere uno sviluppo di tipo atipico. Lezione 14/10 METODI DI MISURAZIONE Se la neuropsicologia è lo studio della valutazione di quelle che sono disfunzioni non solo dal punto di vista cognitivo ma anche emotivo-motivazionali, e come questi due aspetti causino alterazioni del sistema nervoso centrale. Bisogna dunque cercare di capire come lo studio del comportamento e degli aspetti neuro funzionali possono essere indagati nell’ambito della neuropsicologia dello sviluppo. Abbiamo bisogno di utilizzare delle tecniche specifiche per l’individuo che abbiamo di fronte; in fondo la neuropsicologia dello sviluppo deve personalizzare quello che è il suo approccio neuropsicologico tenendo conto del tempo che passa, ovvero dinamicità della situazione. Nelle prime fasi di vita per studiare il comportamento, bisogna capire cosa il soggetto è in grado di fare, se non è in grado di parlare non posso studiare il linguaggio ma dobbiamo trovare altre strategie. Una soluzione potrebbe essere quella di sfruttare le risposte comportamentali che vengono date, a seconda delle varie fasce di età; sulla base di ciò possiamo misurare il comportamento e osservare cosa significa. Quando parliamo dei metodi di misurazione parliamo spesso di paradigmi sperimentali che sono utilizzati nella prima infanzia, il concetto di base è quello di sfruttare le poche risposte comportamentali che i bambini nel primo anno di vita sanno produrre spontaneamente (fissazione, suzione, rotazione del capo, battito cardiaco). Si basano sull’ideazione di una situazione sperimentale critica all’interno della quale la risposta prodotta dal soggetto consente di compiere inferenze sulla natura dei processi sottostanti. In genere non sono invasive e consentono delle rilevazioni oggettive attraverso l’utilizzo di strumenti che registrano le risposte dei soggetti. Vengono utilizzate per studiare diversi aspetti dei processi attentivi, percettivi e cognitivi. I paradigmi sperimentali utilizzati sono: PREFERENZA VISIVA: esistono delle caratteristiche di stimoli che sono preferite da un neonato rispetto ad altre. Sulla base di questo possiamo avere informazioni sulla percezione visiva del neonato; tale paradigma viene utilizzato quindi per studiare le preferenze visive spontanee che sono specificate per via innata e acquisite tramite l’esperienza. Nelle prime fasi, gli stimoli grandi, profondi, sono preferiti rispetto agli stimoli piccolo, quadrati. Se associo a quello stimolo un rinforzo positivo, il bambino continuerà a fissare quell’aspetto rispetto ad un altro; grazie a ciò potrò valutare l’esperienza dell’apprendimento rispetto a quelle che sono delle caratteristiche percettive. Sappiamo che guardare il volto umano è uno stimolo preferito, e questa è una caratteristica innata, anche presentare una sagoma che rappresenta due punti sopra e un punto sotto (sarebbero gli occhi e la bocca), il neonato lo preferisce rispetto ad un altro. Ad un certo, punto rispetto a sagome diverse, preferirà il volto della madre rispetto ad altri, tutto questo è legato all’esperienza. ABITUAZIONE VISIVA: abituarci ad uno stimolo o, meglio, riconoscerlo in qualche modo ci fa capire che cosa ho già visto oppure no; utilizziamo il paradigma dell’abituazione per studiare la memoria di riconoscimento e categorizzazione percettiva (per stimoli semanticamente correlati) ma anche la percezione visiva, acustica, olfattiva, tattile, possiamo utilizzarlo per discriminare tra due stimoli che differiscono per una o più caratteristiche. Se viene presentato sempre lo stesso stimolo, poi quest’ultimo viene cambiato, ciò che osserviamo è che cambia la risposta del soggetto; possiamo quindi utilizzare tale paradigma in modo indiretto per capire cosa è in grado di discriminare il bambino. CONDIZIONAMENTO (CLASSICO E OPERANTE) DELLA RISPOSTA DI SUZIONE, DELLA ROTAZIONE DEL CAPO: il condizionamento classico fa riferimento che uno stimolo in modo non consapevole evoca una risposta da parte di un individuo (es. quando il cane vede la ciotola e inizia a salivare perché sa che ci sarà il cibo). In relazione al neonato, quest’ultimo vede il biberon e comincia a succhiare velocemente perché sa che arriverà il latte. Il condizionamento operante si verifica quando un determinato comportamento viene notato da un altro stimolo che non c’entra niente, che è stato associato (es. se ad un certo punto sappiamo che prima di dormire parte la musica e che da qual momento in poi la mamma lo prende il braccio e lo coccola, il neonato sa già cosa succederà successivamente; la musica, quindi, attiva un comportamento che è specifico per un’altra situazione). Grazie al condizionamento possiamo studiare la percezione visiva e acustica, la capacità di discriminare due stimoli che differiscono per una o più caratteristiche, se il soggetto non riuscisse a discriminare tra i due stimoli, il condizionamento sarebbe esteso ad entrambi, pian piano che migliora la capacità di discriminazione, il condizionamento sarà specifico per uno stimolo. SCANSIONE VISIVA (REGISTAZIONE DEI MOVIMENTI OCULARI): i movimenti oculari riguardano la misurazione di un effettore, gli occhi si muovono, in riferimento sia alla fissazione che ai movimenti di inseguimento, possiamo misurare tale comportamento messo in atto in modo spontaneo, man mano che il soggetto è in grado di fare quel comportamento. Tale paradigma può essere utilizzato per osservare le caratteristiche specifiche di uno stimolo e fare delle differenze, da un punto di vista visivo le strategie di selezione delle informazioni utilizzate durante l’esplorazione dello stimolo, la natura dell’informazione che viene poi selezionata dallo stimolo. TECNICHE DI ATTIVAZIONE DELL’ATTIVITÀ CEREBRALE: consentono di ottenere delle mappe funzionali dell’attività neurale in tempo reale, basate sulle modificazioni dell’attività metabolica (flusso sanguigno) o dell’attività elettrica del cervello in risposta alla stimolazione. Permettono di indagare i correlati neurali di competenze percettive e cognitive precedentemente indagate con compiti comportamentali. Quando nasciamo non abbiamo capacità visive come quelle degli adulti, ma la capacità di fissazione matura nel corso del tempo man mano che migliora e cambia la maturazione cerebrale. Nella prima immagine a sinistra è molto più difficile cercare di capire dove il bambino guarda, a tre mesi invece è molto chiaro dove sta la fissazione. Grazie a questo abbiamo la possibilità di porre un oggetto a destra e uno a sinistra e capire dove il bambino guarda. In genere uno dei principi fondamentali su cui si basa tutto il nostro cervello è quello per cui siamo attirati dalla novità, per cui se vengono posti due stimoli ma ne viene guardato solo uno e non l’altro, vuol dire che per il soggetto quel determinato stimolo è quello nuovo (new) e l’altro è vecchio (hold); sulla base di questa caratteristica possiamo studiare cos’è la memoria. Il paradigma dell’abituazione visiva Consiste nella misurazione del decremento nella durata del tempo di fissazione visiva, in conseguenza della ripetuta presentazione di uno stesso stimolo, e del successivo incremento in corrispondenza della presentazione di uno stimolo nuovo, diverso da quello familiare per 1 o più caratteristiche. IDEA DI BASE: la tecnica sfrutta la spontanea tendenza del bambino a “preferire” la NOVITÀ, ossia fissare più a lungo uno stimolo nuova rispetto a una familiare. Si compone di 2 fasi: 1-fase di abituazione: lo stesso stimolo viene presentato ripetutamente al bambino e viene registrata la durata delle fissazioni. La presentazione continua fino a quando la somma dai tempi di fissazione non raggiunge una soglia predeterminata, o fino a quando i tempi di fissazione non diminuiscono al di sotto di un criterio predefinito dallo sperimentatore. 2-fase di violazione dell’aspettativa: lo stimolo familiare viene ripresentato insieme uno stimolo nuovo, diverso dal precedente per uno o più caratteristiche. In riferimento alla presenza dello stimolo nuovo presentiamo questa risposta ↓ ↓ ↓ ↓ ↓ ← dal momento in cui vediamo sempre AAAAAAA, arriva una risposta base che rimane sempre la stessa. Nel momento in cui viene presentato uno stimolo nuovo, risponde una certa intensità, man mano che si presenta sempre lo stesso stimolo, la risposta che viene data dal nostro cervello si abbassa fino ad arrivare ad un livello limite, se viene dato un altro stimolo il cervello riparte dando una risposta della stessa intensità. Questo meccanismo dell’abituazione ci permette in generale di compiere una segregazione tra lo stimolo target e tutto quello che ne deriverà, perché in genere risponderemmo a tutti gli stimoli sensoriali. (Il problema dell’autismo riguarda proprio il fatto che il meccanismo dell’abituazione non funziona, tutti gli stimoli rimangono uguali e si verifica un sopraccarico sensoriale). Noi siamo all’interno di un mondo esterno a noi, le nostre caratteristiche principali (soglia, distanza fra due stimoli, quanto tempo ci vuole per far si che il soggetto non percepisca più quello stimolo) sono come noi entriamo in rapporto con questo mondo esterno; possono esistere degli stimoli uditivi che noi possiamo non sentire in quanto percepiamo certi tipi di frequenze così come le frequenze visive. Essendo l’abituazione una caratteristica strutturale, ci serve per capire com’è il soggetto ma è una caratteristica propria del cervello, può essere una misura per capire se lo sviluppo cerebrale di quella persona ha un percorso giusto e se tale caratteristica può essere utilizzata per comprendere se il soggetto sta apprendendo delle competenze corrette rispetto al suo grado di valutazione CONDIZIONAMENTO OPERANTE La tecnica della suzione non nutritiva Bambini di 1-3 mesi apprendono a modificare la pressione con la quale succhiano al fine di ottenere un rinforzo visivo (messa a fuoco di una immagine). I bambini preferiscono che uno stimolo messo a fuoco rispetto a quando è sfumato, ad un certo punto dal momento che al sg piace vedere lo stimolo ben nitido si farà in modo che lo stimolo appaia nel modo corretto. Il bambino è geneticamente determinato a riconoscere i volti, quindi fa di tutto per vederlo meglio; il fatto che riesca ad associare il fatto che l’immagine diventa ciò che vuole lui è un’associazione stimolo-risposta che si basa sul sistema di memoria procedurale Il “Mobile Conjugate Reinforcement Task” (Rovee-Collier) A partire dai due mesi i bambini possono apprendere la relazione tra il movimento e le loro gambe e il movimento conseguente d'immobile appeso sopra il lettino. (Un nastro attaccato al “mobile” viene legato alla caviglia, in modo che, quando il bambino muova la gamba, si muova anche il “mobile”). Il bambino apprende la relazione tra un suo specifico comportamento (muovere la gamba in un certo modo) e il rimborso visivo (movimento del “mobile”). Possiamo studiare il meccanismo di memoria sulla base di un comportamento (movimento della gamba) che i bambini possono esprimere in modo non intenzionale, spontaneo. L’effetto pop-out si verifica quando un determinato target si differenzia dagli altri anche per una sola caratteristica di (colore o forma) salta all’occhioà pop- out. Se sono invece due caratteristiche che si congiungono allora è più difficile identificare lo stimolo, bisogna quindi un compito di ricerca visiva. In questo caso, per trovare il cerchio rosso impiegherò molto più tempo se posto all’interno di molti più distrattori (processo seriale), se esistono tanti stimoli ma solo uno si distingue rispetto ad una caratteristica, quello emerge rispetto al resto (processo parallelo). All’interno di compiti di ricerca visiva è stato possibile far osservare come utilizzare l’abituazione; negli stimoli familiari c’è una condizione pop-out e sulla base di questo possiamo anche comprendere se si tratta dello stimolo già visto, posto però al contrario. Sulla condizione non familiare il soggetto presenterà una risposta, mentre in quello familiare no perché lo stimolo è lo stesso. È stato utilizzato inoltre per capire come riprodurre l’effetto pop-out nel corso dello sviluppo, soprattutto per capire se il bambino è in grado di discriminare la presenza di un’informazione sola, invece di compiere una ricerca visiva. Col passare del tempo se riconosce dove sta lo stimolo aumentando il numero dei distrattori, il sg presenterà sempre lo stesso tipo di risposta. Il paradigma della scansione visiva Consiste nella registrazione dei movimenti oculari prodotti dal bambino durante l'esplorazione visiva di uno stimolo, attraverso l'utilizzo di una telecamera sensibile ai raggi infrarossi→ Eye Tracking System. → Consente di determinare le zone dello stimolo sulle quali si concentrano le fissazioni del bambino e i movimenti saccadici compiuti dal bambino per spostare lo sguardo una porzione all'altra dello stimolo. →Consente di analizzare le modalità di esplorazione visiva utilizzate dal soggetto, rappresentata da un tracciato dei movimenti oculari, e il tempo impiegato al bambino per esplorare diverse parti dello stimolo. I risultati ottenuti hanno dimostrato che: → Fin dalla nascita il bambino è un attivo e dinamico ricercatore di informazione, piuttosto che un selettore statico di stimoli. → Si verificano marcate modificazioni nel comportamento di esplorazione visiva nel corso dei primi due mesi di vita e oltre: i neonati e va meglio un mese tendono a concentrare le loro fissazioni su limitate porzioni dello stimolo (sul contorno, come ad esempio i capelli della mamma) e a effettuare numerosi movimenti oculari di ampiezza ridotta. I bambini più grandi (grazie allo sviluppo del giro fusiforme) compiono movimenti oculari ampi per esplorare zone più ampie dello stimolo. Tecniche di visualizzazione dell’attività cerebrale L’utilizzo di queste tecniche prevede la possibilità di correzione per il movimento; quindi, alcune volte determinate fotografie possono non essere considerate affidabili perché il movimento compiuto dal sg è stato troppo, l’algoritmo di correzione mi dice che non è affidabile, ecco perché durante le risonanze viene chiesto al pz di rimanere immobile. Se non si è in grado di rimanere fermi, come nel caso di bambini o anziani, vengono sedati, oppure vengono ricercate delle tecniche tali da poter permettere al soggetto di muoversi. In questo caso viene posto un caschetto dove qualsiasi movimento non compromette la rilevazione del comportamento. Gli event-related potentials, sarebbe l’elettroencefalogramma, quindi la risposta elettrica possiamo averla sia nello stato basale-normale oppure se ci sono delle alterazioni nel tracciato e se queste sono locali o diffuse. Questa misurazione dell’attività elettrica cerebrale possiamo compierla in modo spontaneo oppure in risposta ad uno stimolo. Quali fattori hanno portato a modificare la concezione del bambino nella prima infanzia? 1. Il mutamento nella prospettiva teorica→ il bambino non è una tabula rasa che impara tutto ciò che gli diciamo, ci sono delle caratteristiche innate che ci permettono di osservare qual è lo sviluppo. 2. I progressi in ambito tecnologico e metodologico→ fino a qualche tempo fa studiavamo il bambino sulla base dell’osservazione, con il passare del tempo si sono cominciati a strutturare dei paradigmi che ci permettono di studiare lo stato cerebrale di quel soggetto. 3. I progressi nelle conoscenze della funzionalità dei sistemi sensoriali alla nascita Qual è il sistema sensoriale che si sviluppa per primo? Il tatto, grazie alla presenza del liquido amniotico, il bambino percepisce i movimenti della madre perché cambiano le frequenze di risonanza dello stimolo presente. Il sg conosce il mondo grazie al movimento nel mondo, il primo atto cognitivo è quello che facciamo attraverso il sistema sensomotorio. Lezione 18/10 *VISTA→ se lo stimolo risulti essere più vicino o più lontano, esso non è a fuoco; si fa riferimento a una distanza di 20cm perché è la distanza delle sue mani, se diamo un gioco ad un bambino e lo poniamo ad una distanza minore o maggiore di 20cm il bambino non sarà in grado di vederlo. I sistemi sensoriali sono già funzionali alla nascita o prima della nascita. I neonati NON sono dei recettori passivi di stimolo e NON vengono semplicemente catturati dalle stimolazioni ambientali I neonati manifestano preferenze nei processi attentivi qualunque sia il sistema sensoriale coinvolto (visivo, uditivo, tattile, olfattivo e gustativo). N.B. Ciò non significa che i processi percettivi sono già definitivamente sviluppati alla nascita. I livelli che dimostrano che il sistema visivo non è ancora maturo sono: RETINA (acuità visiva) Il sistema retinico non è ancora ben sviluppato tra la visione foveale e periferica. Nell’adulto il fatto che esistono più recettori nella parte della fovea, ci fa vedere che vediamo in modo diverso rispetto alla visione foveale che quella della retina periferica, poiché per vedere meglio ruotiamo la testa facendo sì che lo stimolo cadi lì dove vi è la fissazione. Questa differenza strutturale non è ancora definita nei bambini, per cui è quasi indifferente nel neonato osservare uno stimolo posto di fronte o lateralmente ACCOMODAMENTO CRISTALLINO Il potere di accomodamento del cristallino è limitato e il piano focale è fisso. Il neonato mette a fuoco stimoli posti a una distanza compresa tra i 20 e i 50 cm, andando avanti con il processo di maturazione questa distanza aumenta. La misurazione del mettere a fuoco un oggetto posto a distanza diverse, ci fa vedere quanto il sistema nervoso e quello visivo si stia sviluppando nei tempi giusti AMPIEZZA DEL CAMPO VISIVO Fa riferimento all’arco in cui il sg può identificare un oggetto, se l’ampiezza del campo visivo (nell’adulo) è ridotto parliamo di emianopsia, in quanto una parte del campo visivo non è presente, o di quadrantopsia. Più il campo visivo è grande e più siamo in grado di riconoscere quali stimoli sono presenti nell’ambiente. Ogni punto dello spazio esterno è rappresentato in un punto specifico della retina (rappresentazione retinotopica), si attiva un certo fotorecettore perché è presente uno stimolo in un punto specifico dello spazio. Avere uno sviluppo corretto del campo visivo significa che tutti i punti dello spazio sono rappresentati, e questa stessa rappresentazione retinotopica c’è anche a livello dell’aria visiva primaria. Il famoso distacco della retina fa riferimento che quest’ultima non manda più le informazioni a specifiche aree, non venendo più elaborate. Emianopsiaà compromissione della metà del campo visivo, se vi è un’emianopsia nello spazio sinistro non riusciamo a vedere lo stimolo, se ci spostiamo lo vediamo perché entra a far parte del campo visivo non compromesso. Neglectà sia rappresentazionale che egocentrico non abbiamo la consapevolezza dello stimolo Il fatto che il campo visivo sia ridotto ci dice che solo una parte dello è preso in considerazione dal neonato; quest’ultimo può selezionale stimoli posti ad una eccentricità massima di 40̊ dal centro del campo visivo (per l’adulto l’eccentricità massima è di 80̊. Il sistema visivo alla nascita: ACUITÀ VISIVA Coincide con il più piccolo angolo visivo sotteso da due punti riconosciuti come distinti. È indice del potere di risoluzione del sistema visivo, ossia indica la più elevata frequenza spaziale che l’occhio può percepire. Rivela le discriminazioni più sottili che l’occhio è in grado di compiere. È 30 volte inferiore rispetto a quella dell’adulto. Nel neonato l’acuità visiva non supera i 2 c/g (nell’adulto l’acuità si aggira intorno ai 30 c/g). SENSIBILITÀ AL CONTRASTO La curva di sensibilità al contrasto descrive le variazioni nella sensibilità al contrasto in funzione delle diverse frequenze spaziali. Soglia di sensi- bilità al contrasto: indica il contrasto minimo necessario per poter perce- pire un reticolo di una determinata frequenza spaziale. È 10 volte inferiore a quella dell’adulto. Il picco di massima sensibilità al contrasto nel neo- nato è intorno a 0.2 c/g. COLORE A 4 mesi i bambini vedono i colori come gli adulti normali. Bornstein et al (1976) hanno dimostrato che i bambini suddividono lo spettro luminoso in 4 categorie cromatiche principali (blu, verde, giallo e rosso). Es. cambiamento della stessa lunghezza d’onda tra 480 e 510 nm = percepito come transizione blu/verde; cambiamento della stessa ampiezza all’interno della medesima categoria cromatica (480 vs 450 nm) viene percepito come un altro esempio di blu. I colori cambiano per le lunghezze d’onda, abbiamo dei fotorecettori che sono i coni, che vedono il colore, e i bastoncelli che invece permettono la visione della luce e del buio, rispondono quindi a frequenze diverse. MOVIMENTI OCULARI Fino a 2 mesi di vita: gli oggetti in movimento vengono seguiti con una serie di scatti saccadicià spostamento degli occhi tra due punti di fissazione (quello che utilizziamo nella lettura). Attorno ai 2 mesi: i movimenti di inseguimento visivo diventano fluidi e continui. Il bambino muove gli occhi già in utero, e anche nell’oscurità: la scansione oculare è generata internamente e non costituisce una semplice reazione a uno stimolo che colpisce l’occhio. Regole che governano gli schemi di fissazione del neonato: 1. Se è sveglio e la luce non è troppo intensa, apre gli occhi 2. Se è in penombra, compie una ricerca attenta e controllata 3. Se è in penombra, senza figure presenti, ricerca i margini tramite scansioni piuttosto ampie e irregolari del campo visivo 4. Se trova un margine, conclude la scansione ampia e rimane in prossimità del margine. N.B. I neonati sono particolarmente propensi ad individuare i margini esterni degli oggetti che vedono. Tuttavia, se qualcosa di interessante è presente all’interno dello stimolo, spostano lo sguardo anche all’interno dell’oggetto. I bambini ricercano le caratteristiche salienti degli oggetti. (NO, esplorazione casuale dello stimolo). Percezione visiva Molte informazioni visive disponibili ad un adulto non lo sono per il neonato. Pur essendo immaturo, il sistema visivo è in grado fin dalla nascita di rispondere alle stimolazioni provenienti dall’ambiente. Il bambino nasce già preparato ad esplorare l’ambiente visivo. Alla nascita, il bambino può selezionare facilmente stimolo: ü di grandi dimensioni ü a forte contrasto ü a bassa frequenza spaziale ü posti ad una distanza compresa tra i 20 e i 30 cm ü non troppo distanti dal centro del campo visivo Pur essendo immaturo, il sistema visivo è in grado fin dalla nascita di percepire gli oggetti sociali più significativi presenti nel suo ambiente visivo. Le capacità visive neonatali, seppur limitate rispetto a quelle adulte, sono sufficienti per soddisfare i bisogni del bambino. Es. la distanza focale fissa corrisponde alla distanza media del volto della madre quando ha il bambino in braccio. Le ricerche condotte attraverso la tecnica della preferenza visiva hanno dimostrato alcune categorie di stimoli vengono preferiti dal bambino nei primi 3 mesi di vita: 1. STRUTTURA: gli stimoli strutturati rispetto a quelli non strutturati. Es. scacchiera è preferita a uno sfondo omogeneo bilanciato per contrasto. 2. CONTRASTO: sono preferiti gli stimoli che contengono che contengono un maggiore livello di contrasto 3. DIMENSIONE: stimoli grandi sono preferiti a stimoli piccoli (la dimensione preferita si modifica in funzione dello sviluppo del sistema visivo e corso dei primi 6 mesi di vita) 4. TRIDIMENSIONALITÀ: gli stimoli tridimensionali sono preferiti rispetto a quelli bidimensionali 5. PROSPETTIVA: gli stimoli presentati lungo il piano fronto-parallelo sono preferiti a quelli che hanno prospettive di angolo diverso. 6. MOVIMENTO: gli stimoli in movimento sono preferiti a quelli statici 7. CURVILINIARITÀ: le figure curvilinee sono preferite a quelle rettilinee 8. ORIENTAMENTO: l’orientamento orizzontale è preferito a quello verticale 9. MAGGIORE DENSITÀ NELLA METÀ SUPERIORE DELLA CONFIGURAZIONE: stimoli con più elementi nella parte alta sono preferiti a stimoli con più elementi nella parte bassa. 10. VOLTO UMANO: stimoli che rappresentano anche in modo molto schematico il volto umano sono preferiti ad altri stimoli parificati per complessità. 11. VOLTO MATERNO: è preferito al volto di una donna estranea 12. VOLTI FEMMINILI: sono preferiti a volti maschili LO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO Questa è classica immagine che riporta lo sviluppo del sistema nervoso, dal concepimento fino alla nascita. Non c’è solamente un accrescimento di quantità delle varie aree del cervello (accrescimento di strutture) ma vi è tutta una fase di organizzazione funzionale (costruzione di network e organizzazione dei circuiti). Lo sviluppo viene visto dal punto di vista quantitativo e della forma che assume, la formazione parte a 25 giorni dal tubo neurale e sulla base di questo si differenzia tra sistema nervoso centrale e sistema nervoso periferico, man mano si formano quelle strutture che ci servono per far funzionare il nostro comportamento. (Patologia legata alla mancata chiusura del tubo neurale è nota come spina bifida).. La neurolazione è la formazione del tubo neurale, quando comincia la proliferazione cellulare (quando avviene il concepimento) inizialmente abbiamo dei foglietti, sono tre stadi: ectoderma, mesoderma ed endoderma e sono piatti, successivamente si crea una fessura che poi si chiude, è la fase in cui si è strutturato il tubo neurale. (Patologia legata alla mancata chiusura del tubo neurale è nota come spina bifida). Quando il tubo si chiude comincia a cambiare forma, la parte superiore è quella da cui deriverà il cervello (sistema nervoso centrale) mentre la parte inferiore è la spina dorsale (sistema nervoso periferico) già da subito inizia una differenziazione dal punto di vista anatomico ma anche dal punto di vista funzionale. Il principio di fondo è che andando avanti nello sviluppo vi è sempre un cambiamento di strutture e di neurofunzionalità. Nella parte superiore abbiamo quindi: proencefalo, mesencefalo e romboencefalo, queste porzioni man mano si sviluppano e assumeranno nuove forme, costituendo le cinque strutture dentro il cervello. Il proencefalo diventerà telencefalo e diencefalo, il mesencefalo rimane mesencefalo e il romboencefalo si divide a sua volta in metencefalo e mielencefalo, parte finale è il midollo spinale. Da queste, durante lo sviluppo del tubo neurale, derivano altre porzioni: nel romboencefalo rientrano il cervelletto e il ponte (che stanno al di fuori), alcune strutture sottocorticali; il diencefalo (es. sistema limbico) e il telencefalo (tutta la parte della corteccia) sono le strutture sottocorticali. Migrazione neuronale La migrazione neuronale avviene quando i neuroni si sviluppano e si pongono nello spazio giusto, e se ad un certo punto uno strato sembra essere occupato, il neurone si arrampica e si pone nello strato successivo. Riusciamo a capire che si tratta di strati diversi perché esistono tipologie diverse di neuroni in ogni strato e che sono connessi tra di loro; quindi, la forma e la funzione di ogni neurone dà la possibilità di avere starti diversi. Differenziazione neuronale Quando si forma il tubo neurale inizia il processo di differenziazione, momento in cui vengono prodotti i neuroni, le cellule, che si differenziano tra di loro perché vanno in posti diversi. Il processo che viene fatto è: si produce il neurone e successivamente migra all’interno del loro codice neuronale e si mette nel suo posto, il successivo che arriva si mette accanto e così via. Cominciano ad avere un collegamento fra quelli che stanno nello stesso strato e nella stessa colonna formando così la corteccia. Diverse forme di neuroni: stellato, piramidale, interneurone, stellato. Gli elementi sono sempre gli stessi, assumono delle forme diverse in base alla funzione che devono svolgere. Dopo che si sono costruite queste strutture cominciano ad organizzarsi, i neuroni sono fatti anche aventi una morte programmata, cioè, tendono ad eliminarsi per essere equilibrati. Se manca questo sfoltimento manca l’organizzazione. Es. nell’autismo c’è una mancanza di organizzazione legata alla morte cerebrale, ci sono alcune strutture più grandi nell’autismo rispetto ai neurotipici. Una struttura funziona in modo ottimale quando si sono portati al termine i processi di differenziazione e di specializzazione funzionale. Sinaptogenesi È la capacità di connettersi con altri neuroni; è la formazione di sinapsi, ovvero, sappiamo che un neurone comunica con un altro neurone solo se ci sono delle zone di contatto che in questo caso sono le sinapsi, le sinapsi possono essere di vario genere e sono sia quelle che poi parlano attraverso, sono direttamente attaccate, oppure esistono delle sinapsi che hanno dei neurotrasmettitori. La sinapsi è l'unico modo che ha un neurone di parlare con un altro e quindi di trasferire l'informazione. Esempio della rana: l’occhio guarda a 360 ° perché il processo è organizzato in modo crociato, per cui se lancia la lingua in alto a destra questo comando è eseguito dalla parte sinistra. Tutto questo accade perché c’è un’organizzazione neuro funzionale strutturale definita. Alcuni ricercatori volevano vedere se fosse legato alla genetica o all’ambiente; quindi, hanno cambiato l’assetto e da crociato è diventato lineare. Si è visto che la rana lanciava la lingua nella parte opposta dell’insetto e neanche dopo tanto tempo riusciva a riorganizzarsi; quindi, le leggi che regolano l’organizzazione del cervello sono geneticamente determinate dall'interazione con l'ambiente. La Sinaptogenesi è fatta in modo tale da riprodurre quell'organizzazione neuro funzionale necessaria per quell'organismo. Mielinizzazione Dopo che l’assone, il neurone, è andato verso un altro neurone e hanno fatto sinapsi, le connessioni che rimangono devo rimanere efficienti e per far sì che questo accada viene accelerato il processo di trasmissione sinaptica noto come mielinizzazione. La guaina mielinica che è una membrana fatta di lipidi che perdette l’accelerazione del passaggio dell’informazione, ci sono delle interruzioni tra una guaina e l’altra che si chiamano “nodi di Ranvier” che servono a fare in modo che in quel punto l'informazione salti al nodo successivo. La patologia legata all’alterazione del processo di mielinizzazione è nota come Sclerosi multipla, vi è una perdita di mielina e quindi la comunicazione tra i neuroni è più lenta e appaiono non sincronizzati. La maturazione cerebrale dobbiamo quindi pensarla come un continuo bilanciamento tra attività inibitoria ed attività eccitatoria. Nel corso del tempo la maturazione dei circuiti cerebrali è un processo lungo che termine oltre i 20 anni, permettendo di avere un funzionamento efficiente. Lezione 21/10 LO SVILUPPO DEL LINGUAGGIO Quando parliamo di disturbi acquisiti ci riferiamo ad una condizione in cui un individuo acquisisce una competenza linguista e ad un certo punto si presenta una difficoltà nel processare aspetti linguistici come conseguenza di un danno cerebrale. Da un punto di vista neuropsicologico quello che noi vedremo è che una difficoltà legata ad una funzione è sempre legata ad una alterazione disfunzionale del sistema nervoso centrale, tutto ciò determina l’acquisizione di una competenza in un modo un po’ diverso o la non acquisizione di quella competenza specifica. Epigeneticaà esiste un corredo genetico che ci predispone all’acquisizione di una determinata competenza ma questo codice genetico si esprime nell’interazione con l’ambiente che dà il profilo specifico dell’espressione genica. (Es. geneticamente sono predisposto ad acquisire il linguaggio, nel mio corredo vi è la capacità di acquisire il linguaggio in modo diverso, nell’interazione con l’ambiente si osserva quanto questa mia caratteristica si esprime nella realtà). Noi nasciamo per imparare a parlare, ciò si osserva da un punto di vista morfologico perché vi è una differenza tra l’emisfero destro e l’emisfero sinistro, quelle aree in cui poi si sedimenta il linguaggio sono inoltre più estese (lobo temporale). Si tratta soprattutto di una capacità prettamente umana, in quanto si va incontro una differenza tra linguaggio e comunicazione, poiché anche i non umani hanno ovviamente la capacità di comunicare fra di loro, noi comunichiamo con gli animali ma non utilizziamo il linguaggio. Noi esseri umani non solo siamo in grado di sviluppare questa competenza, siccome umani e non umani hanno e utilizzano dei codici per comunicare, allora si pensò che la differenza tra l’uomo e il non umano semplicemente fosse la presenza di un problema legato alla produzione linguistica, si faceva quindi riferimento alla presenza di un sistema articolatorio che non permettesse l’emissione di suoni adatti al linguaggio, cercando di capire se ciò fosse possibile utilizzando un altro tipo di linguaggio ovvero il linguaggio dei segni. Era sì possibile insegnare alcune parole ma la differenza era legata al fatto che non venissero utilizzati in maniera intenzionale ma presentati come stimolo-risposta ma non utilizzate in specifici contesti. Esiste una specializzazione funzionale, questo è chiaro perché esiste una lateralizzazione emisferica in quanto rappresenta il culmine della specializzazione funzionale, legata ad una certa area e quindi all’ottimizzazione dell’uso di quella funzione. AREA MOTORIA→ esecuzione fonetica AREA PREMOTORIA→ programmazione dell’articolazione, cui c’è una rappresentazione astratta del buffer fonetico CORTECCIA FRONTALE→ in cui avvengono delle associazioni semantiche CORTECCIA TEMPORO-PARIETALE→ avviene una codifica fonetica e anche l’ingresso uditivo CORTECCIA EXTRASTRIATA→ codifica visiva e ingresso visivo CORTECCIA UDITIVA PRIMARIA→ elaborazione uditiva primaria (parola parlata) CORTECCIA STRIATA→ elaborazione visiva iniziale (parola scritta) (partiamo dal basso verso l’alto) Tutto ciò lo possiamo considerare il network neurofunzionale del linguaggio, in cui a livelli diversi ma collaborando, possiamo avere i tre livelli di elaborazione del linguaggio: → elaborazione fonologica → elaborazione sintattica → elaborazione sintattica Il modello a cui adesso ci riferiamo non è legato esclusivamente ad un processo di produzione e di comprensione ma a livelli di elaborazione perché, se il sg ha un problema a livello di elaborazione sintattica, lo avrà sia a livello di produzione linguistica che di comprensione. Bisogna dunque considerare ciò con una visione più di insieme, di livelli di elaborazione. Questo network è dunque legato all’elaborazione linguistica che è attivo sempre per tutti i livelli di elaborazione, scritta, orale, semantica, sintattica, fonologica, sia in fase di produzione che di comprensione; quello che noi osserviamo è come quell’aspetto specifico il network si rimodula per eseguire quel determinato compito. Per arrivare a tale livello abbiamo bisogno di un’alta specializzazione funzionale, il linguaggio è lateralizzato, lesioni a livello diversi danno diverse forme di afasia; vi è un’acquisizione di competenze che vanno poi a svilupparsi e a specializzarsi, tutto ciò è strettamente legato a quello che noi chiamiamo maturazione motoria. Se l’acquisizione di competenze motorie segue l’andamento previsto questo deve essere associato ad una acquisizione di capacità linguistiche. Poiché il cervello matura, si sviluppa e modula non soltanto la grandezza ma la morfologia di alcune strutture neurali e come quest’ultime siano connesse è chiaro che questa stessa capacità vale per tutti i network. I fattori innati ci permettono di distinguere gli stimoli linguistici che sono i fonemi (unità di base) rispetto a tutti gli altri suoni che sentiamo nel mondo, per noi è innata la capacità di riconoscere alcuni aspetti che sono stimoli linguistici. Il linguaggio è una capacità appresa che mostra un periodo critico, nelle prime fasi di vita se noi misuriamo le aree uditive primarie, la capacità di discriminare tra due fonemi diversi, vediamo che nell’emisfero sinistro il planum temporalis (giro di Heschl) ha una risposta come ampiezza di un potenziale evento correlato che è maggiore rispetto all’emisfero destro. Nell’emisfero sinistro noi siamo specifici, più attenti nell’identificare due suoni differenti rispetto all’emisfero destro, e questo accade all’interno di quello che viene chiamato “periodo critico”. Vi sono periodi in cui determinate zone cerebrali che sono adibite all’assegnazione fonetica sono più predisposte a cogliere le differenze ma ciò dura fino a un certo periodo di tempo, soprattutto nel planum temporale a sinistra già alla nascita, gli stimoli linguistici attirano l’emisfero sinistro piuttosto che l’emisfero destro. Nel periodo critico i neonati sono organizzati in modo tale che possano discriminare tra stimoli linguistici e non linguistici, un aspetto fondamentale nell’acquisizione del linguaggio è l’individuazione nel segnale acustico percepito dai componenti fondamentali, deve avviene, cioè, la segmentazione. Le componenti fondamentali del linguaggio sono i fonemi e cioè quei suoni distinti dagli altri suoni di una lingua che rendono possibile l’identificazione di sillabe e parole. L’insieme dei fonemi costituisce l’insieme dei suoni di una lingua (i fonemi sono distinte dalle lettere dell’alfabeto) e ogni lingua utilizza circa 40 fonemi. I soggetti che presentano una difficoltà nella discriminazione fonetica saranno quelli che andranno incontro alla dislessia. Bisogna capire che lo stessa fonema si presenta nel mondo in forme diverse, una stessa persona può pronunciare lo stesso fonema in modo diverso a seconda delle situazioni; infatti, il passaggio successivo alla segmentazione è la categorizzazione, che operiamo se si chiede di distinguere due parole che differiscono per un fonema, riuscendo a differenziare che si tratta dello stesso fonema in condizioni diverse. I fonemi sono gli elementi costituitivi di un linguaggio (es. rana-lana), capisco che si tratta di due parole diverse se distinguo il fonema -ra da - la. Sono categorie di suoni non identici ma funzionalmente equivalenti. In neonati sono capaci di distinguere i fonemi di tutte le lingue, tra i 6 e i 12 mesi la capacità di distinguere i fonemi non appartenenti alla lingua madre (di cui ho esperienza) è perduta. La capacità di distinguere i fonemi è innata ed è presente anche nella scimmia. La selezione è guidata dall’apprendimento. Fra tutti i parlatori di lingue diverse condividiamo gli stessi processi dell’acquisizione di questa competenza e il modo in cui la sviluppiamo anche se questa viene fatta su forme differenti. Il processo di segmentazione è uguale per tutte le lingue così come lo è il processo di categorizzazione. Queste osservazioni rivelano che la categorizzazione è necessaria ma non è sufficiente a determinare lo sviluppo del linguaggio (ce l’hanno anche le scimmie), perché non è semplicemente la discriminazione, la segmentazione e la categorizzazione che fa di noi un parlatore perché questi aspetti devono essere organizzati in un modo. Nell’uomo il sistema dei fonemi è plastico, cioè sulla base di ciò che viene udito dal bambino i confini fonetici delle categorie fonemiche vengono adattate alla lingua madre. Durante questo fenomeno si possono perdere le categorizzazioni non usate dalla lingua madre che possono essere riacquistate da adulti solo con training estremamente prolungati. La selezione delle categorie dei fonemi non è tutto ciò che serve per sviluppare il linguaggio ma i bambini mostrano anche apprendimento di altri aspetti: - Astrarre i pattern del linguaggio: bambino che sono stati allenati con premi (giochi) a girare la testa in un senso in risposta a una vocale e nel senso opposto a un’altra vocale riescono a farlo in risposta a varie persone e con varie intonazioni possono già a 9 mesi distinguere tutte le sillabe che cominciano con una consonate nasale da quelle che iniziano con b, d, o g. Probabilmente già in utero riescono ad acquisire le costruzioni e gli accenti tipici della fase materna (che infatti preferiscono ad altre appena nati). Il linguaggio subisce un fortissimo impatto da ciò che viene udito neo primi mesi di vita. Bambini cresciuti in assenza di stimolazione linguistica non sviluppano un linguaggio. Parte di questo effetto deriva dall’isolamento sociale ed anche i sordi mostrano gravi problemi nello sviluppo nello sviluppare il linguaggio. La stimolazione linguistica che il bambino riceve regola quindi i processi con cui si sviluppa il linguaggio: a 6 mesi preferiscono fonemi che sono tipici della loro lingua madre e a 9 mesi perdono la capacità di distinguere consonanti che non sono tipiche della lingua madre (l da r per i giapponesi). Inoltre, il linguaggio inizia ad avere l’intonazione tipica della lingua madre. A un anno il processo di specializzazione è ormai molto indirizzato: bambini americani non distinguono più la p dalla b spagnole. Quindi ciò che diciamo a un bambino nei primi 6 mesi di vita ha un impatto forte anche se il bambino non comprende ciò che diciamo. Il processo di categorizzazione viene fatto a priori ma sulla base dell’esperienza, nel mondo in cui siamo immersi, se sentiamo il fonema -ra detto in tanti modi, con accenti differenti, da persone differenti, dovrò essere in grado di dire che -ra è lo stesso. Costruisco una rappresentazione astratta del fonema e lo riconosco in qualunque forma venga esperito. Per i fonemi sono presenti dei prototipi specifici a cui vengono assimilati i suoni simili (effetto magnete), in qualche modo il prototipo raccoglie in sé tutte quelle caratteristiche specifiche di quel fonema, andando incontro poi alla comparazione del prototipo con il suono udito; ciò avviene alla fine del processo di categorizzazione. I prototipi sono quindi plastici e sono adattati ai fonemi uditi con maggiore frequenza dall’infante. In un esperimento, di 6 8 mesi sono stati esposti per circa due minuti ha 8 suoni che formavano una serie. I bambini venivano familiarizzati con stimoli dell'intera distribuzione, ma sperimentavano diverse situazioni di frequenza. Un gruppo “bimodale” udiva presentazioni più frequenti di stimoli all'estremità della distribuzione; un gruppo “unimodale”, riceveva presentazioni più frequenti di stimoli nella parte centrale della distribuzione. Dopo la familiarizzazione venivano esaminati con una tecnica di preferenza di ascolto. I bambini del gruppo bimodale discriminavano i suoni, mentre quelli del gruppo monomodale non discriminavano. Altri fattori importanti per la comprensione del linguaggio sono: - l’apprendimento dell’organizzazione fonotattica (come mettere insieme i fonemi), a 9 mesi i bambini preferiscono in genere mettere insieme i fonemi che ricorrono frequentemente nella propria lingua. - Suddivisione del linguaggio in unità: basata sulla capacità precoce di rilevare gli elementi ritmici degli stomi acustici. Questa capacità potrebbe essere alla base della individuazione delle parole e delle sillabe. La preferenza per la lingua materna osservata già la nascita potrebbe basarsi sulla precoce maturità di questa capacità acustica. Tuttavia, questa capacità mostra miglioramenti con lo sviluppo. A due mesi si distinguono disillabi che per l'accento (pàba vs. pabà) e l'accento potrebbe aiutare a distinguere le parole. A 6 - 9 mesi i bambini distinguono i confini delle parole grazie all'accento (in inglese le parole con l'accento sulla prima sillaba, doctor, candle). - Un altro parametro è l’analisi statistica: quando si susseguono fonemi l’aspetto importante è capire la transizione tra parola e l’altra, è raro che ci sia una transizione tra una parola e un’altra parola (es. bimbo-bello, bo-bel è stato udito con meno frequenza di bim-bo e bel-lo e quindi avviene la suddivisione in bimbo bello). Esp. Vengono create due parole inesistenti pabiku e tibudo e vengono presentate ripetutamente al bambino bi-ku e raramente ku-ti. Dopo questo “training” i bambini riconoscevano pabiku e tibudo come distinte. Il linguaggio che noi indirizziamo ai bambini è specializzato per facilitare il loro sviluppo. Anche in modo inconsapevole utilizziamo un modo di parlare che è più lento, con lettere più scandite, per dare la possibilità al bambino di comprendere, è quel linguaggio noto come ” madrese”, preferito dai piccoli rispetto a uno stesso discorso indirizzato a adulti, e cioè il linguaggio con cui parliamo ai neonati è caratterizzato da: toni di frequenza più alta intonazioni esagerate cadenza più alta L’interazione sociale (madre) è cruciale. È quel tipo di linguaggio che dovremmo utilizzare con persone straniere, la cosa fondamentale è riuscire a parlare più lentamente perché permette di migliorare la discriminazione fonetica e applicare quella capacità di individuare l’organizzazione sintattica. All’interno della teoria dei neuroni a specchio c’è la teoria premotoria del linguaggio, ovvero imparo a parlare perché costruiamo una base condivisa di significato, che si basa sul movimento, imparando così anche l’esposizione. Tale teoria si basa sul fornire al neonato gli stimoli nel modo più corretto e semplice possibile, questo principio ci deve guidare nell’interazione con il bambino anche dal punto di vista educativo, poiché il fatto di modificare il nostro modo di parlare nella relazione con il bambino è perché già sappiamo di favorire un processo di apprendimento. Se nell’adulto interveniamo quando c’è una patologia allora io riabilito, lavorando su quella funzione, dal punto di vista evolutivo per acquisire una competenza, bisogna capire qual è la difficoltà, qual è il processo che non funziona e che non gli ha permesso di acquisire quella competenza ma bisogna lavorare fondamentalmente sull’ambiente che gli permetta di avere lo stimolo nella forma più adatta rispetto alla competenza che possiede.