Microbiologia Clinica PDF
Document Details
Uploaded by WorthSweetPea9134
Università degli Studi di Brescia
Tags
Related
- BIOL131 Medical Microbiology Lecture Notes PDF
- LEZIONE 1_CODA PDF - Corso Integrato di Microbiologia e Microbiologia Clinica 2023/2024
- LEZIONE 1_CODA.pdf Corso Integrato di Microbiologia e Microbiologia Clinica 2023/2024
- LEZIONE 1_CODA PDF - Corso Integrato di Microbiologia e Microbiologia Clinica 2023/2024
- MM. Medical Microbiology, 8th Edition, Clostridium, PDF
- Microbiologia Clinica Completa PDF
Summary
This document provides a detailed overview of clinical microbiology, covering general microbiology, the diagnosis of infections, modes of transmission, and the classification of various microorganisms, such as viruses, bacteria, fungi, and protozoa. The information includes details on bacterial characteristics, structures, and functions. It also discusses growth phases and sporulation in bacteria.
Full Transcript
MICROBIOLOGIA Microbiologia generale → scienza che studia la vita(bios=vita) di organismi estremamente piccoli [batteri/virus e altri organismi] Unità utilizzata: dai nanometri fino al bordo del visibile MICROBIOLOGIA CLINICA: studia microbi che interagiscono con l’uomo nell’ottica di dare una mala...
MICROBIOLOGIA Microbiologia generale → scienza che studia la vita(bios=vita) di organismi estremamente piccoli [batteri/virus e altri organismi] Unità utilizzata: dai nanometri fino al bordo del visibile MICROBIOLOGIA CLINICA: studia microbi che interagiscono con l’uomo nell’ottica di dare una malattia(= patogeni) obiettivo: DIAGNOSI EZIOLOGICA → capire l’origine dell’infiammazione *tutti i termini che terminano in -ite →infiammazione di … (polomonite, otite) ANTIBIOGRAMMI→ studio di antibiotici che combattono il batterio L’antibiogramma (ABG) è un test di laboratorio che consiste nel mettere un microrganismo a contatto con un antibiotico per valutare la resistenza e la sensibilità del microrganismo all’antibiotico.(consente anche la ricerca della MIC: concentrazione minima antibiotica necessaria per contrastare la crescita del batterio) Esistono microrganismi che colonizzano il nostro corpo, che in alcuni momenti come l’abbassamento delle difese immunitarie(sist. immunitario funziona male), creano delle malattie. Con la microbiologia si studia la struttura, fisiologia nell’ambito dei microorganismi più piccoli, non visibili ad occhio nudo, tranne alcuni casi in cui si possono osservare in quanto essi si riproducono e formano una COLONIA. I microorganismi si possono osservare ingrandendoli con i MICROSCOPI(ottici – elettronici), questi ultimi si chiamano MICROBI. I microorganismi che si studiano sono molto eterogenei tra loro. 1997,Prusiner – scopre una proteina idrofoba (più rigida rispetto all’ambiente in cui si trova) →presente nei neuroni La proteina muta e passando ad un altro organismo crea una MALATTIA(microrganismi patogeni) I batteri hanno una distribuzione ubiquitaria in natura e spesso vengono a contatto con uomo e animali. Tra i batteri parassiti per l’uomo esistono specie patogene in grado di provocare malattie da infezione spesso trasmissibili. I batteri si dividono in saprofiti che si nutrono a spese di organismi morti e sostanze organiche in decomposizione, opportunisti normalmente innocui ma in grado di provocare malattie in seguito ad indebolimento delle difese dell’ospite, e patogeni che danneggiano l’organismo causando in esso patologie. La fonte di infezione primaria è il luogo in cui il germe vive o si riproduce e da cui si diffonde per contagiare altri soggetti sensibili. Un organismo può essere malato oppure portatore sano, precoce, convalescente, cronico. Le modalità di trasmissione sono tutti i meccanismi di passaggio del germe dal malato al sano. Esiste la trasmissione diretta con cui si ha il passaggio immediato del germe dalla fonte all’ospite, e indiretta che riguarda l’emissione del germe prima nell’ambiente e poi il trasporto ad un individuo grazie a veicoli (mezzi inanimati come acqua, terreno, aria e alimenti) e vettori (mezzi animati come mosche, zanzare, zecche e pulci). Le vie di penetrazione sono quelle attraverso cui il germe penetra nel soggetto sano. La via transplacentare si verifica da madre a figlio durante la gravidanza come nel caso della rosolia, della sifilide e della toxoplasmosi. La via cutanea riguarda il passaggio attraverso lesioni della cute come nel caso del tetano. La via delle mucose invece comprende quelle genito-urinarie e la congiuntiva. Infine, la via umorale è rappresentata dal sangue come nel caso dell’AIDS, trasmesso attraverso trasfusioni e scambi di sigarette infette. Le vie di eliminazione sono invece quelle attraverso cui il soggetto infetto diffonde l’agente Patogeno. La via intestinale riguarda germi localizzati nell’intestino come per il tifo e il colera. La via respiratoria comporta l’eliminazione attraverso saliva, muco ed espettorato come nel caso della polmonite, dell’influenza e del morbillo. La via genito-urinaria è costituita da secrezioni e urina, come nel caso di gonorrea, AIDS e tubercolosi renale. La via epidermica, come per la scarlattina, avviene per squame della pelle ed infine quella ematica riguarda in sangue come nell’epatite B. Il potere patogeno di un batterio è definito come la capacità di un batterio di produrre danno in un organismo di una determinata specie. Esso dipende dall’organismo (razza, età, sesso, difese immunitarie) che dal batterio (fattori genetici, capacità di adattamento, adesione, resistenza alle difese, moltiplicazione, produzione di sostanze tossiche). La virulenza misura il grado di patogenicità del microrganismo, mentre la carica batterica infettante indica il numero di batteri che causa infezione con il contagio Classificazione: 1. VIRUS →parassiti intracellulari obbligati; non hanno struttura vivente, esiste solo il mutamento; vivono in cellule permissive, permettono al virus il mutamento/sviluppo, poi viene espulso(DNA/RNA) 2. CLAMIDIE, MICROPLASTI, RIKETTSIE(cellula per prendere energia) 3. BATTERI →microrganismi, hanno struttura vivente(nascono, crescono, si riproducono, muoiono) - UNICELLULARI 4. FUNGHI→in genere sono pluricellulari, si dividono in MUFFE e LIEVITI 5. PROTOZOI→unicellulari e parassiti MICROBI o GERMI: possono causare malattie sono molto diffusi solo una piccola parte è patogena batteri ne fanno parte e sono una categoria di microrganismi *spore = forze di resistenza del batterio BATTERI : colorazione in coltura[gram positivi, gram negativi] VIRUS: hanno membrana(- resistenti) non hanno membrana(rotavirus, poliovinus) –> sono più resistenti FUNGHI : MUFFE(penicellium) LIEVITI (monocellulari, sono più grossi e complessi) es. candida BATTERI →organismi unicellulari chiamati NUCLEOIDI Sono PROCARIOTI(carion=nucleo): sferici→ cocchi→gram +, gram - bastoncini →bacilli→gram +, gram - - es. escherichia coli spirale→spirilli→non si colorano, non si utilizza gram - es. sifilide Non hanno nucleo, il materiale nucleico non è avvolta dalla membrana ma è sparso nella cellula, non è distinto dal citoplasma. BATTERI Le forme dei batteri sono alla base della classificazione preliminare: Cocchi: forma rotondeggiante Diplococchi: attaccati a due a due secondo il piano verticale Streptococchi: disposizione a catena di cocchi Stafilococchi: disposizione a grappolo Bacilli: forma allungata Streptobacilli: disposizione a catena di bacilli Coccobacilli: forma intermedia tra cocchi e bacilli Spirilli o spirochete: spirale lunga e stretta L’80% del citoplasma batterico è costituito di acqua. Nel citosol troviamo acidi nucleici, enzimi, amminoacidi, carboidrati, lipidi, ioni organici e numerosi composti proteici che rappresentano le inclusioni citoplasmatiche. La sintesi proteica avviene grazie ai ribosomi, presenti in circa 15.000 e composti da due subunità che formano un complesso di 70S. La membrana cellulare è caratterizzata dall’assenza di steroli, sostituiti invece da terpenoidi con la stessa funzione di stabilizzazione e compattamento. Essa è sede del trasporto di elettroni e produzione di energia data l’assenza dei mitocondri e inoltre è sede di proteine di trasporto, pompe ioniche ed enzimi. Il mesosoma è una porzione della membrana citoplasmatica invaginata, punto di ancoraggio e di duplicazione del DNA batterico. La parete cellulare racchiude in un contenitore rigido la cellula batterica e la protegge dalla lisi osmotica. Essa ha la particolarità di presentare il peptidoglicano o mucopeptide, un polimero di acido N-acetilmuramico (NAM) e N-acitelglucosammina (NAG): tali catene glicaniche sono legate da legami trasversali medianti ponti tetrapeptidici[esclusiva dei batteri, non esistono senza→microplasmi) in PEPTIDOGLICANO→polimeto di acetilglicosobina + acido muranico] Nei Gram⁺ la parete è composta da uno spesso strato di peptidoglicano e da una rete di acidi tecoici e lipotecoici, che rappresentano una notevole barriera che si oppone al passaggio di macromolecole idrofobiche. Nei Gram⁻ il peptidoglicano è molto ridotto e questi microrganismi possiedono una membrana esterna detta strato lipopolisaccaridico. Esso è costituito da una parte lipidica e una saccaridica con struttura di base comune a tutti i microrganismi. La porzione esterna, invece, determina le diverse tossicità e contiene i diversi antigeni che distinguono le specie di batteri. Dall’interno verso l’interno troviamo: - Lipide A (porzione lipidica), costituito da un dimero di NAG fosforilato a cui si legano acidi grassi a lunga catena - Core (porzione saccaridica), un’oligosaccaride in cui sono presenti uno zucchero a 8 atomi di carbonio e uno a 7 - Antigene O (porzione esterna), un polisaccaride formato dalla ripetizione di zuccheri a 3/4/5C, responsabile della specificità antigenica e che permette la classificazione sierologica del Gram⁻. I flagelli sono strutture a forma di corda ondulata, formati da subunità proteiche avvolte ad elica e ancorati alla membrana batterica. Sono appendici molto sottili e lunghe (15-20 micron) che si protendono all’esterno della cellula batterica con la funzione di organi di propulsione, ovvero permettono ai batteri di muoversi verso le sostanze nutritive e lontano dalle sostanze tossiche. La presenza dei flagelli è una caratteristica esclusiva dei batteri di forma cilindrica, i quali a seconda della zona di inserzione si distinguono in monotrichi (un flagello polare), lofotrichi (un ciuffo polare di flagelli), anfitrichi (due flagelli ai due poli opposti) e peritrichi (lungo tutto il contorno); parte dell’interno del batterio, consentono il movimento/mobilità se presenti, la diffusione sarà più semplice I pili e le fimbrie sono strutture lineari proteiche di pilina disposte intorno al batterio, che favoriscono la sua adesione alle mucose. Infatti, le punte delle fimbrie contengono le lectine, proteine in grado di legare specifici zuccheri. La capsula costituisce l’esterno della parete cellulare, presente in vivo con funzioni protettive ma spesso assente in vitro. È un rivestimento facoltativo sia per la specie che per il momento di vita: viene prodotta solo in caso di necessità. I suoi ruoli principali sono l’adesione, l’inibizione della fagocitosi e del killing intracellulare, il mimetismo immunitario. I plasmidi sono molecole di DNA circolare extracromosomico di piccole dimensioni, dotate di attività replicativa. Sono più comuni nei batteri gram-negativi, non sono essenziali per la sopravvivenza della cellula Il glicocalice è una ragnatela non ben definita di fibrilline, presenta un ruolo nell’adereza dei batteri alle superfici ambientali *mancanza di mitocondri → producono energia a livello della membrana citoplasmatica (esoergonica ATP e ADP) Una spora è una forma alternativa di vita che ha come scopo quello di mantenere la specie in un periodo di condizioni avverse, in attesa di altre più favorevoli. In particolare, la spora resiste alla penetrazione di sostanze estranee, all’essicamento, alle radiazioni sia gamma che ultraviolette e al calore anche sopra i 100°C. Essa si forma tramite un processo di sporogenesi o sporulazione, che si svolge in 7 stadi e avviene in circa 10 ore. Si susseguono la formazione del filamento assiale, del setto sporale, di una membrana che avvolge il DNA, della corteccia, delle tuniche interna ed esterna e dell’esosporio. Infine, avviene la maturazione degli enzimi litici, che distruggono lo sporangio e rilasciano la spora libera. In condizioni ambientali favorevoli ed in presenza di acqua e sostanze nutritive, la spora germina liberando la cellula batterica che dallo stato vegetativo può avviarsi ad uno stato germinativo. CRESCITA La crescita batterica conosce quattro diverse fasi. - fase di lag rappresenta la lenta crescita iniziale poiché le cellule si devono adattare nel nuovo habitat. - fase logaritmica avviene quando, dopo che la macchina metabolica si è avviata, i batteri cominciano a replicarsi esponenzialmente - fase stazionaria, quando le cellule batteriche iniziano a competere per i nutrienti, la crescita si ferma e il numero di batteri diviene stabile - fase di morte: la produzione di metaboliti tossici e la diminuzione dei nutrienti causa la morte dei batteri Il rapporto ospite-parassita inizia con l’esposizione, l’adesione del batterio all’organismo e la successiva invasione di esso: così inizia la colonizzazione e la crescita, che correlatamente alla tossicità e all’invasività del parassita può causare diversi danni ai tessuti e la malattia. Nell’adesione, i batteri devono superare la repulsione elettronegativa che esiste fra la superficie della cellula batterica e quella della cellula epiteliale dell’ospite. Ciò è mediato da particolari strutture dette adesine. La moltiplicazione batterica in vivo consiste nel creare un microambiente favorevole e utilizzare particolari sostanze come fattori di crescita, ma anche adattarsi a condizioni sfavorevoli e produrre autonomamente fattori favorevoli oppure localizzarsi in ambienti migliori. Il danno viene provocato grazie all’attività anti-fagocitaria dei costituenti strutturali, alla diffusione dei batteri nei tessuti grazie agli esoenzimi e alla produzione di tossine, responsabili del danneggiamento. Esistono costituenti strutturali che i batteri utilizzano per la colonizzazione diverse dalla capsula. Tra queste, nei Gram positivi ricordiamo la proteina M con azione anti-fagocitaria, la proteina F che media l’adesione alle cellule epiteliali e la proteina A che si lega al frammento FC delle IgG impedendo la formazione dell’immunocomplesso. Nei Gram negativi invece il lipopolisaccaride danneggia l’attività delle ciglia causando danni all’epitelio respiratorio e l’alginato in quanto mucoso protegge il batterio dalla fagocitosi. Esistono anche diversi esoenzimi. Nei Gram positivi: - la ialuronidasi depolimerizza l’acido ialuronico, sostanza fondamentale del tessuto connettivo - la collagenasi dissolve il collagene, componente del tessuto muscolare - la coagulasi determina la precipitazione del fibrinogeno intorno alla cellula batterica ostacolando la fagocitosi ENDOTOSSINE Le endotossine sono sostanze di natura lipopolisaccaridica presenti nella membrana esterna LPS dei Gram-. Esse sono termostabili, hanno un effetto comune, non sono detossificabili e gli anticorpi non hanno effetto sul loro potere tossico. Le attività biologiche delle endotossine sono numerose, multifattoriali e possono agire a diversi livelli dell’organismo. I principali effetti biologici sono l’aumento del metabolismo proteico, la stimolazione dei linfociti T, l’alterazione della coagulazione del sangue con possibilità di trombi intravasali e la vasodilatazione periferica. Tale vasodilatazione è causata dall’aumento della permeabilità dei capillari e può provocare ipotensione, stasi ematica e nei casi peggiori possono portare allo shock tossico. Inoltre, un’altra caratteristica di rilievo delle endotossine è la pirogenicità, ovvero l’induzione della febbre. Ciò avviene in conseguenza della conduzione al rilascio di mediatori quali TNF (Tumor Necrosis Factor) e l’IL-1 (interluchina), citochine con effetti dannosi. ESOTOSSINE Le esotossine sono sostanze di natura proteica liberate all’esterno della cellula batterica e vengono prodotte sia da Gram+ che Gram-. Esse sono termolabili, hanno ognuna un effetto caratteristico, sono trasformabili in anatossine e possono essere neutralizzate dall’anticorpo specifico. Esse vengono classificate in base alla specificità della loro azione tossica in: - Tossine citolitiche che ledono le membrane delle cellule bersaglio, provocandone la morte - Tossine neurotrope, il cui bersaglio è rappresentato dalle cellule del sistema nervoso - Enterotossine che agiscono a livello delle cellule della mucosa intestinale - Tossine pantrope che danneggiano attraverso l’alterazione o il blocco di alcuni eventi metabolici Le tossine citolitiche, anche dette emolisine, attaccano i costituenti cellulari formando dei canali nella membrana plasmatica. Attraverso di essi la cellula perde acqua e sali, fino a morire per lisi osmotica. Le tossine neurotrope sono tossine che interferiscono con il meccanismo di trasmissione degli impulsi a livello periferico(tossina butulinica) o centrale (tossina tetanica). La tossina butulinica agisce inibendo la liberazione dell’acetilcolina a livello delle giunzioni neuromiscolari: in questo modo l’impulso non raggiunge il muscolo e viene provocata la paralisi flaccida. C. tetani invece produce una neurotossina termolabile che agisce bloccando il rilascio di neurotrasmettitori per le sinapsi inibitorie, provocando quindi una deregolazione delle sinapsi eccitatorie e quindi paralisi spastica. Le enterotossine sono esotossine che agiscono sull’intestino tenue, causando generalmente una forte secrezione di liquidi nel lume intestinale e determinando quindi vomito e diarrea. Un esempio è la tossina colerica di Eschericchiacoli. La tossina colerica (enterotossina) prodotta da V. cholerae è formata da due subunità A e B. Il frammento attivo A1 della subunità A esplica l’azione sulla proteina G attivatrice dell’enzima adenilato-ciclasi, il quale converte l’ATP in AMPc. Viene così a prodursi un accumulo di AMPc che provoca la fuoriuscita di ioni con conseguente secrezione di sodio, cloro, potassio, bicarbonato e acqua nel lume intestinale. La tossina difterica (pantropa) prodotta da C. diphtheriae produce un’esotossina formata da due componenti che rimangono uniti tramite un ponte disolfuro: la parte B di COOH e la parte A di NH2 che rappresenta la parte tossica. La tossina diffonde e si lega al fattore di crescita epidermica dell’eparina presente sulla superficie di molte cellule, in particolare cardiache e nervose. Essa viene dunque inglobata in una vescicola endocitica e viene scissa nelle due componenti ad opera di proteasi. La subunità A viene rilasciata nel citoplasma e catalizza la ribosilazione dell’adenosina-difosfato trasformandolo in ADP-ribosio. Questa molecola si lega al fattore di allungamento EF-2 della sintesi proteica: il complesso che ne risulta è inattivo e di conseguenza la sintesi proteica è bloccata. DUPLICAZIONE Nella fissione binaria la cellula dà origine a due cellule identiche. La duplicazione è molto veloce, ogni 20 minuti. Quando il batterio ha accumulato sufficiente energia per duplicarsi, aumenta la sua massa e a livello della parentese forma una invaginazione in cui si trovano molecole che ancorano il genoma duplicato alla membrana. L’invaginazione si approfondisce formando due cellule batteriche distinte con due cromosomi identici tra loro. La duplicazione del genoma avviene a livello dell’origine di replicazione, una sequenza di pochi nucleotidi. Si viene a formare una forcella da cui le DNA polimerasi replicano il materiale andando in direzioni opposte: il DNA batterico così ottenuto possiede un filamento di genoma parentale e uno di nuova sintesi, i due cromosomi sono identici a quello di partenza. Tuttavia, anche i batteri sono sottoposti a evoluzione con meccanismi di trasferimento e ricombinazione e mutazioni sia spontanee che indotte. La ricombinazione genica avviene per coniugazione, trasformazione e trasduzione. La coniugazione avviene mediante contatto tra due batteri grazie alla formazione di un pilo coniugativo (pilo F): una delle due cellule deve avere al suo interno un plasmide che codifica per il pilo. Questa cellula, quindi, può contattare altre cellule batteriche attraendole verso di sé. Si osserva la fusione della parete e della membrana, con formazione di un vero e proprio ponte. A questo punto, uno dei due filamenti del plasmide viene tagliato e passa verso l’altra cellula batterica. Le DNA polimerasi completeranno da una parte e dell’altra il filamento con la sua parte mancante con un processo detto “rolling circles” (replicazione a cerchio rotante). Due cellule con il plasmide per il pilo F non potranno però più contattarsi tra di loro. La trasformazione è un processo che avviene mediante DNA libero nell’ambiente che viene veicolato nella cellula batterica. I batteri devono essere competenti, ovvero possedere specifiche proteine sulla parete in grado di riconoscere e legare il DNA batterico libero e farlo passare all’interno distruggendo uno dei due filamenti che costituiscono il DNA. Nel citoplasma il filamento viene protetto da proteine che lo nascondono alla degradazione: giunto in prossimità del cromosoma, esse vengono sostituite dalla ricombinasi A (recA), enzima che permette il legame del DNA al cromosoma batterico, distruggendo una porzione del nucleoide originale. Non si crea ovviamente un appaiamento totale e la replicazione darà origine a due cellule figlie diverse: una con il genoma identico a quello parentale e l’altra con il genoma che presenta anche la porzione di filamento inserita. La trasduzione richiede la veicolazione del DNA ad opera dei batteriofagi (virus dei batteri), strutture molto semplici costituite dal genoma virale circondato da un capside proteico. Il batterio viene infettato dal virus, il cromosoma batterico viene degradato e suddiviso in tante piccole sequenze di DNA. Il batteriofago utilizza il meccanismo replicativo del batterio per formare il proprio genoma e le proprie proteine, creando altri virus che vengono rilasciati con la lisi della cellula. In alcuni casi, però, possono avvenire degli errori che provocano la creazione batteriofagi modificati, il cui materiale presenta una parte del genoma batterico. Questi virus, andando a infettare altri batteri, possono inserire una sequenza genomica che potrà ricombinarsi con quella del batterio infettato: questa è la cosiddetta trasduzione generalizzata. Esiste anche la trasduzione specializzata: nel caso di alcune specie di virus, il genoma virale può integrarsi nel cromosoma batterico durante l’infezione, rimanendo latente nel batterio. Nel momento in cui il virus si attiva, il genoma virale si stacca dal genoma batterico ma, nella separazione, una porzione del genoma batterico può restare unito al genoma virale e, alla successiva infezione, potrà ricombinarsi con il genoma del nuovo ospite. Crescono facilmente nel brodo(provetta)→scoperto da Pasteur nel 1850 crescita in agar(alga marina)in capsula di vetro(brodo gelificato→liquefazione a +45°) terreno arricchito →aggiunta di sangue emocultura→ sangue sterile terreni selettivi →sostanze che non fanno crescere ddeterinati germi(es. acidi biliari) COLORAZIONE NEELSEN Colorazione Zen Neelsen→ colorazione differenziale[evidenzia l’alcol resistenza] 1. colorante rosso: fuxina zenicata 2. decolorazione(acido acetilico e alcol etilico) 3. colorazione blu--> batteri rimangono blu - microbatteri diventano rossi in quanto sono resistenti agli alcol reazione di Mando(test time) CARATTERISTICHE GENERALI DEI VIRUS La flora microbica residente si trova in tutte le superfici corporee esposte all’ambiente circostante e sono colonizzate da una flora locale. Essa può contaminare i campioni ed inoltre, in alcuni casi, causare malattia, ma il suo vantaggio principale è l’essere in grado di proteggere dalle infezioni prevenendo la colonizzazione delle superfici epiteliali da parte dei patogeni. Il compito principale della microbiologia clinica è quello di porre diagnosi eziologica, ossia identificare l’agente patogeno responsabile della malattia infettiva allo scopo di suggerire un appropriato trattamento terapeutico. Altri obiettivi sono valutare l’efficacia della terapia e individuare l’eventuale presenza di portatori sani. Per raggiungere questo obiettivo è necessario che la garanzia della qualità sia estesa anche alle fasi non svolte direttamente in laboratorio, come la scelta delle indagini da effettuare, la corretta esecuzione del prelievo, la conservazione e il trasporto dei campioni. La fase preanalitica comprende: 1. Richiesta degli esami di laboratorio. Il laboratorio fornisce supporto indispensabile alla pratica clinica, la quale richiede l’inquadramento clinico- epidemiologico dell’infezione, l’individuazione dell’organo interessato, la formulazione del sospetto diagnostico ed infine, la scelta del materiale patologico da inviare al laboratorio. 2. Informazione e preparazione del paziente. Egli deve essere istruito sulle corrette modalità di prelievo, conservazione e trasporto del suo campione biologico che verrà esaminato per verificare la presenza o assenza di specifici microrganismi patogeni. 3. Raccolta del campione. Può essere prelevato da siti sterili (sangue, midollo, liquor, urine, tessuti, vie respiratorie inferiori, liquido pleurico) oppure da siti contaminati dalla flora autoctona (bocca, naso, vie respiratorie superiori, feci, espettorato, tratto genitale, cute, intestino). L’attendibilità dell’esame batteriologico dipende da vari fattori, tra i quali l’appropriatezza del campione, che dovrebbe essere raccolto nel momento giusto, prelevato da un distretto corporeo rappresentativo della patologia infettiva evitando contaminazioni e raccolto in quantità sufficienti per poter effettuare i test diagnostici necessari 4. Identificazione del campione. I risultati vanno interpretati a seconda del caso e sono volti alla ricerca di uno o più specifici patogeni. 5. Trasporto del campione, tenendo attenzione al potenziale rischio biologico per la salute degli operatori. Esso deve essere trasportato in adeguati contenitori sterili necessari per la corretta esecuzione delle indagini microbiologiche e, se necessario, in adeguati terreni (liquidi o agarizzati) di trasporto volti a conservarne le caratteristiche possedute al momento del prelievo. Inoltre, ciò deve avvenire a temperatura controllata (generalmente 4°C) e rapidamente, per evitare di causare una riduzione della vitalità dei microrganismi nel campione. I criteri per definire un campione non idoneo ad una diagnosi microbiologico, ovvero la non conformità della sua fase preanalitica sono il modulo di richiesta esame mancante o incompleto, il contenitore impropriamente identificato, sterile, danneggiato o non perfettamente chiuso, il campione contaminato o inviato in quantità insufficiente, l’impropria conservazione e trasporto. La diagnosi batteriologica può essere diretta o indiretta. Quella indiretta riguarda il siero del paziente, esaminato con metodo immunologico tramite la ricerca di anticorpi verso lo specifico agente batterico: comprende tecniche immunoenzimatiche (EIA) e immunofluorescenti (IFA). La diagnosi diretta è invece volta a stabilire la presenza dell’agente patogeno mediante esame microscopico, colturale, ricerca di antigeni e di sequenze geniche. L’esame microscopico a fresco si esegue soprattutto per la ricerca di microrganismi difficilmente colorabili con le tecniche disponibili ma evidenziabili invece in campo oscuro. Ciò accade per la ricerca di spirochete e leptospire. L’esame microscopico previa colorazione può essere effettuato invece mediante colorazioni semplici che prevedono l’impiego di un solo colorante (cristalvioletto, fucsina e blu di metilene) oppure mediante colorazioni differenziali che prevedono l’impiego di più coloranti come la colorazione di Gram e quella di Ziehl-Neelsen. L’esame colturale riguarda la coltura e l’isolamento in vitro dei batteri di interesse medico in sistemi artificiali denominati terreni di coltura, che si distinguono in base allo stato fisico. I terreni liquidi o brodi sono composti da peptone allo 0,5%, estratto di carne allo 0,3%, NaCl, H2O e tampone fosfato che mantenga il pH a 7. I terreni solidi o agar(brodo gelatinoso) hanno tale consistenza perché composti da un polisaccaride acido estratto da alghe rosse del genere Gelidium, che è formato dal 70% da agarosio e per il 30% da agaropectina. Viene addizionato al brodo in quantità pari al 2% e gelifica a 42-47°C, mentre diventa liquido a temperature sopra gli 80°C. I fattori che influenzano la crescita batterica sono la temperatura, l’ossigeno, il pH e la pressione osmotica. La temperatura per gli psicrofili va da -10°C a +20°C, per i mesofili da +10°C e +50°C e per i termofili da +40°C a +70°C. In base alla presenza di ossigeno esistono aerobi obbligati e facoltativi, microaerofili, anerobi obbligati e facoltativi. Il pH ottimale degli acidofili è al di sotto di 6, quello dei neutrofili va da 6 a 8 come nella maggior parte dei batteri e quello degli alcalofili è sopra 8. Per quanto riguarda la pressione osmotica del terreno, essa può essere modificata cambiando le concentrazioni di cloruro di sodio o di glucosio. Generalmente i microrganismi replicano meglio in un terreno con concentrazione osmotica più bassa della propria, in quanto questa condizione permette la penetrazione dell’acqua all’interno della cellula. Gli alofili invece crescono ad elevate concentrazioni saline tollerando anche elevate pressioni osmotiche. Gran parte dei batteri patogeni ha un tempo di duplicazione nell’ordine dei 40-60 min. In particolare, in vitro Eschericchiacoli ci impiega 20-30min, Mycobacterium tubercolosis 18 ore e Treponema pallidum 33 ore. DIAGNOSI BATTERIOLOGICA DIRETTA Una volta che dal campione biologico si sia verificata, su terreni opportuni, la crescita di colonie batteriche isolate si procede all’identificazione. Si inizia con l’ID presuntiva basata sui caratteri macroscopici (aspetto delle colonie, emolisi, viraggio, sciamaggio) e microscopici(morfologia e organizzazione delle cellule). L’ID finale è quella definitiva e può essere biochimica, immunologica, molecolare. Nell’identificazione biochimica, la determinazione della specie si basa sulla capacità del microrganismo in esame di metabolizzare zuccheri per via ossidativa o fermentativa, produrre specifici enzimi e prodotti metabolici. Il metodo manuale è l’API, mentre quello automatizzato è il VITEK. L’identificazione sierologica o immunologica ha come obiettivo finale quello di ricerca degli antigeni microbici direttamente nel campione biologico in esame. Le tecniche di identificazione sierologica comprendono: reazione di agglutinazione, reazione di immunofluorescenza e tecniche immunoenzimatiche (ELISA). Se si verifica agglutinazione significa che gli anticorpi utilizzati nei test si sono legati agli antigeni presenti nel campione mentre se non si verifica il batterio non è presente. I test molecolari si servono di biotecnologie per la ricerca rapida e l’identificazione di patogeni umani, la tipizzazione dei microrganismi a fini epidemiologici, la ricerca di microrganismi non coltivabili, la determinazione dell’antibiotico-sensibilità e l’indagine diagnostica su campioni negativi all’esame colturale. Gli strumenti utilizzati sono le sonde molecolari specifiche a DNA per geni che identificano uno specifico patogeno. Le sonde, infatti, legano il DNA complementare presente nel campione, indicando la presenza del patogeno. Inoltre, permettono di individuare anche esigue quantità di acidi nucleici. Una volta eseguita l’identificazione del microrganismo in esame, si procede alla determinazione alla sensibilità/resistenza dell’isolato agli antibiotici: si svolge l’antibiogramma. DIAGNOSI BATTERIOLOGICA INDIRETTA È più tardiva di quella diretta, in quanto si può ricorrere ad essa soltanto quando si sia sviluppata già la reattività immunitaria dell’ospite. L’accertamento indiretto non richiede l’isolamento del germe e per questo preclude la possibilità di saggiare la sensibilità dell’agente eziologico verso i farmaci antimicrobici. La diagnosi indiretta si serve di reazioni di fissazioni del complemento che sfruttano la capacità del complemento, ovvero una serie di proteine presenti nel sangue, di attivarsi qualora vi sia una reazione immunologica. Un altro metodo è il test di agglutinazione in cui si L’identificazione dell’antigene mediante immunofluorescenza si svolge grazie al test IFA e a quello ELISA. Con il test ELISA diretto viene determinata la presenza dell'antigene, con quello indiretto la presenza di anticorpi contro l'antigene. Il metodo diretto prevede la copertura del fondo del pozzetto con un anticorpo specifico per l'antigene che vogliamo misurare e l’introduzione del campione, i cui antigeni si legheranno all'anticorpo. Si introduce poi un anticorpo legato ad un enzima specifico, il quale si unirà al complesso anticorpo-antigene, formando un terzo strato con prodotto colorato. Il rilevamento degli acidi nucleici virali avviene con test specifici, sensibili e veloci che permettono di rivelare anche virus che non stanno replicando. 1. Pattern elettroforetico ottenuto per digestione enzimatica delle endonucleasi di restrizione 2. Ibridazione molecolare con sonde specifiche marcate con radionuclidi o fluorofori che permettono la rivelazione del genoma 3. Amplificazione esponenziale in PCR delle sequenze bersaglio. Lo stampo può essere il DNA oppure l’RNA, che deve però prima essere retrotrascritto in cDNA. 4. Quantificazione con real time PCR, un sistema che permette di monitorare online l’andamento della reazione dell’amplificazione con la rilevazione della fluorescenza dei prodotti. Esso permette anche la quantificazione in quanto si ottiene una curva che consente di misurare per interpolazione il numero di molecole bersaglio presenti nel campione. DIAGNOSI VIRALE INDIRETTA Essa viene eseguita in maniera indiretta dimostrando una risposta immunitaria specifica e significativa. La tecnica principale con cui si ottiene è la sierologia, ovvero la ricerca di anticorpi o antigeni nel siero. Questo metodo consente: - La rivelazione di IgM durante l’infezione primaria. I criteri per diagnosticare un’infezione primaria sono la presenza di IgM e la sieroconversione. - La rivelazione degli aumenti di titolo anticorpale fra lo stato acuto e quello convalescente. Ciò permette di individuare i criteri per diagnosticare una reinfezione, che sono l’aumento di almeno una volta delle IgG fra siero acuto e siero convalescente, l’aumento di almeno 4 volte del titolo di IgG(memoria immunologica) e l’assenza di IgM. Un altro rilevamento utile è quello svolto con tecnica ELISA indiretto. Nel metodo indiretto si copre il fondo del pozzetto con l'estratto in cui potrebbe essere presente l’antigene di interesse e si aggiunge l'anticorpo coniugato con un marcatore enzimatico. Infine, si aggiunge il substrato dell'enzima con cui è stato marcato l'anticorpo: un cambiamento di colore indica la presenza degli antigeni nel campione, visto che l'enzima usato agisce sul substrato modificandolo. Tuttavia, la diagnosi va di solito confermata con la tecnica Western blot. La tecnica Western blot permette di identificare una determinata proteina in una miscela di proteine mediante il riconoscimento da parte di un anticorpo specifico. Per facilitare il riconoscimento, la miscela di proteine viene prima separata in base alle loro dimensioni e poitrasferita sul supporto per essere sottoposta al test vero e proprio PLASMA =/ SIERO I \ Prelievo con parte liquida senza anticoagulante antivoagulante la parte liquida STAPHYLOCOCCHI Sono cocchi gram positivi; esistono 2 gruppi: A. CATALASI POSITIVI AEROBI —> Staphylococcus, Stomatococcus, Micrococcus, Alloiococcus B. CATALASI NEGATIVI AEROBI —> Streptococcus, Enterococcus Habitat Mucose del tratto respiratorio dell’uomo Pelle,ombelico, ascella, faccia, mani, cuoio capelluto Polvere, muri, oggetti vari Caratteristiche generali degli Stafilococchi cocchi gram positivi (0.5-1.5μm) immobili asporigeni colonie rotonde, lisce, lucenti, con pigmentazione dal grigio al bianco e al giallo oro aerobi, anaerobi facoltativi catalasi-positivi coagulasi-positivi (S.Aureus) e negativi b-emolisi STAPHYLOCOCCUS AUREUS Fonti d’infezione: 1. per contatto diretto con soggetti portatori 2. lesioni umane esposte, cute e vie respiratorie) 3. oggetti contaminati 4. cibo contaminato GASTROENTERITE STAFILOCOCCICA 1. Provocata dall’ingestione di alimenti contaminati (carne lavorata come prosciutto e maiale salato, prodotti di pasticceria, gelato, insalate con uova) o impropriamente conservati. I cibi non hanno né aspetto né sapore alterati. 2. sintomi più tipici sono: nausea, vomito, dolori addominali, diarrea, eventuale sudorazione e mal di testa e conseguente disidratazione; no febbre. Il riscaldamento del cibo uccide i batteri ma non inattiva la tossina termostabile già presente nel cibo. 3. non è indicata una terapia antibiotica La classificazione di Lancefield ordina gli streptococchi beta-emolitici in gruppi identificati con le lettere maiuscole dell’alfabeto, dalla A alla U, sulla base del carboidrato C, che ha proprietà antigeniche. Caratteristiche generali A. cocchi gram positivi di 0.5-1μm disposti a catenelle B. aerobi-anaerobi facoltativi C. immobili D. asporigeni E. talora capsulati F. privi di citocromi G. importante nella catena respiratoria (resistenza alla sodio azide) H. catalasi negativi e ossidasi negativi I. omofermentanti —> il solo prodotto di fermentazione del glucosio è rappresentato dall’acido lattico J. crescono su terreni arricchiti formando colonie rotonde, dai margini regolari e sup.liscia, con emolisi parziale, completa e non emolisi STREPTOCOCCHI BETA-EMOLITICI DI GRUPPO A S. PYOGENES —> stato infiammatorio acuto del rinofaringe Habitat A. Commensali = del tratto respiratorio superiore dell’intestino, dell’app. genitale dell’uomo B. Ambiente = Scarsa sopravvivenza per sensibilità agli agenti fisico-chimici FONTI D’INFEZIONE —> l’uomo rappresenta il serbatoio naturale e il microrganismo viene trasmesso da persona a persona: attraverso la via respiratoria contatto diretto con la cute di individui malati o portatori sani specialmente nei posti affollati FARINGITE O FARINGOTONSILLITE ACUTA È la manifestazione infiammatoria acuta più frequente ed è associata ad una grave infiammazione purulenta (pus) dell’orofaringe posteriore e della zona tonsillare. I batteri presenti nelle goccioline respiratorie, si attaccano alla mucosa faringea, crescono, colonizzano e secernono tossine, danneggiando le cellule circostanti. È importante avviare il trattamento idoneo per prevenire complicanze. SCARLATTINA complicanza della faringite streptococcica si sviluppa con eruzione esantematica su collo, tronco, estremità, che si diffonde, in risposta alla produzione di esotossina. Pallore circolare intorno alla bocca, palmo delle mani e pianta dei piedi. Lingua a fragola (patina bianco-giallastra che si spela lasciando superficie rossa e scorticata)l’eruzione cutanea scompare nei successivi 5-7 giorni ed è seguita da desquamazione le complicanze suppurative sono rare. Diagnosi di laboratorio Esame microscopico (colorazione di Gram) Ricerca degli antigeni pneumococcici (reazione di agglutinazione) Isolamento del germe dalle sedi infette e COLTIVAZIONE su idonei terreni Test della bacitracina per l’identificazione degli S beta-emolitici del gruppo A (più pericolosi) Test sierologici Terapia —> La penicillina rimane il farmaco di prima scelta nel trattamento delle infezioni causate da streptococchi beta-emolitici di gruppo A. STREPTOCOCCHI B-EMOLITICI DI GRUPPO B S. AGALACTIAE GENERALITÀ Componente della flora microbica commensale del tratto vagino-cervicale e nel tratto gastrointestinale. La colonizzazione genitale con streptococchi di gruppo b è stata associata con alto rischio di nascita prematura. Agente eziologico della sepsi puerperale, di setticemia (infezione di microbi nel sangue), polmonite e meningite (membrane che avvolgono il cervello) La trasmissione avviene da madre infetta al bambino nel momento del parto, mentre fra gli adulti la trasmissione avviene tramite contatto sessuale Dopo colorazione di gram è indistinguibile da s.pyogenes, le colonie sono burrose con una piccola zona di beta-emolisi. Possono essere suddivisi in 11 sierotipi antigeticamente distinti in base a 3 marker sierologici: -L’antigene b (antigene polisaccaridico della parete) -Polisaccaridi capsulari tipo-specifici -La proteina di superficie (antigene c) Diagnosi di laboratorio Rivelazione antigenica (mediante agglutinazione con lattice, saggi EIA) è poco sensibile, l’esame colturale è l’unico metodo diagnostico per stabilire se donne gravide sono colonizzate da Streptococchi di gruppo B identificazione (mediante test CAMP) Terapia e prevenzione -La penicillina G è il farmaco d’elezione, che viene utilizzata assieme ad un amminoglicoside nelle infezioni gravi. -Per la prevenzione si raccomanda screening nelle donne gravide alla 35-37 settimana di gestazione. STREPTOCOCCO PNEUMONIAE GENERALITÀ -Di forma lanceolata con tendenza a presentarsi appaiati (diplococchi gram+) -È un parassita obbligato dell’uomo, poiché sensibile agli agenti ambientali -Le infezioni possono essere esogene (attraverso goccioline del portatore) o endogene (stato di debilitazione generale, danni respiratori di una precedente infezione) -Il rischio di malattia è maggiore fra i bambini, gli anziani, i fumatori, le persone affette da malattie croniche PATOGENESI A. Le manifestazioni patologiche sono causate principalmente dalla risposta dell’ospite all’infezione piuttosto che dalla produzione di fattori tossici specifici. B. Caratteristica delle infezioni da streptococco è la mobilizzazione di cellule dell’infiammazione verso il focolaio d’infezione. C. S. pneumoniae colonizza l’orofaringe e poi in situazioni particolari diffonde fino ai polmoni, i seni paranasali e l’orecchio medio e per via ematica può raggiungere il cervello. POLMONITE ACUTA È una delle cause principali di morte nelle persone anziane. La polmonite è preceduta frequentemente da un’infezione virale del tratto respiratorio superiore o medio. MENINGITE Dopo che è stato sviluppato un vaccino contro Haemophilus influentiae, S. pneumoniae è diventato la causa più comune di meningite. Test di laboratorio A) sensibilià all’optochina—> se nel terreno di coltura, e si crea un alone significa che il microbo sta morendo. B) Esame microscopico e reazione di Quellung —> streptococchi beta-emolitici di gruppo a polivalenti anticapsulari vengono mescolati con i batteri e la miscela viene esaminata al microscopio. Un aumento di rifrangenza intorno ai batteri indica una reazione positiva per s. Pneumoniae C) Test di solubilità alla bile —> i ceppi di S.pneumoniae vengono rapidamente lisati quando le autolisine sono attivate dopo esposizione alla bile. Mettendo una goccia di bile sulla colonia isolata questa viene solubilizzata in pochi minuti, mentre altri Streptococchi restano immodificati. Trattamento e prevenzione La penicillina è la più utilizzata. Con l’insorgenza di ceppi resistenti alla penicillina sono stati introdotti 2 tipi di vaccino: polisaccaridico coniugato (PCV7) ENTEROCOCCHI ENTEROCOCCUS HABITAT COMMENSALI: del tratto intestinale tratto epatobiliare tratto genitale dell’uomo AMBIENTE Acqua Suolo Alimenti Gli enterococchi provocano raramente la malattia in individui normali e sani e possono diffondere in siti normalmente sterili causando: Infezioni dell’apparato urinario Batteriemia-sepsi Endocardite subacuta Infiammazione della membrana interna del cuore Infezione del tratto biliare Ascessi intra-addominali FATTORI DI RISCHIO Pazienti ricoverati per un lungo periodo Abuso di vancomicina e antibiotici a largo spettro ( antibiotici che colpiscono tutti i batteri presenti) Manipolazione e possibile colonizzazione del tratto gastrointestinale, biliare e genitourinario Pazienti immunodepressi Pazienti con insufficienza renale Microscopio ottico Colorazione di gram su liquido cerebrospinale Isolamento dell’agente patogeno da un fluido normalmente sterile come sangue o liquido cerebrospinale Colture su agar cioccolato, tayer-martin (colonie ossidasi positive) I portatori possono essere individuati attraverso esami colturali da tamponi rinofaringei Test basati sulla capacità di fermentazione degli zuccheri (il glucosio che il maltosio) TRATTAMENTO E PREVENZIONE La meningite batterica è un’emergenza medica, pertanto il trattamento antibiotico non può attendere una diagnosi batteriologica definitiva. In passato la meningite era trattata con penicillina G o ampicillina. Nel 2005 è stato approvato un vaccino MCV4 tetravalente. Per la profilassi dei familiari di un individuo infetto viene utilizzata solitamente la rifampicina. NEISSERIA GONORRHOEAE A differenza dei meningococchi non sono capsulati FONTI D’INFEZIONE E TRASMISSIONE Il principale serbatoio d’infezione sono le persone con infezione asintomatica. E’ molto sensibile alla disidratazione e pertanto non sopravvive a lungo fuori dal corpo umano. La trasmissione di solito avviene attraverso i rapporti sessuali o durante il passaggio del bambino attraverso il canale del parto. Le donne hanno più probabilità di acquisire l’infezione rispetto all’uomo. Dopo la Chlamidya la gonorrea è la seconda malattia più comunemente trasmessa per via sessuale. I PILI rappresentano uno dei fattori di virulenza più importanti perchè favoriscono l’adesione alla superficie delle cellule epiteliali e mucosali e conferiscono resistenza alla fagocitosi PATOGENESI Solo i gonococchi provvisti di pili sono virulenti. I pili e la proteina Opa facilitano l’adesione del gonococco alle cellule epiteliali dell’uretra, del retto, della cervice, della faringe o della congiuntiva rendendo possibile la loro colonizzazione. Consentono al batterio di resistere alla fagocitosi e di attraversare l’epitelio da una parte all’altra entrando in circolo. La produzione di IgA proteasi permette di eludere il sistema immunitario. Il polisaccaride provoca danno endoteliale con infiammazione. IMPORTANZA CLINICA INFEZIONI DEL TRATTO UROGENITALE INFEZIONI RETTALI osservate prevalentemente nei maschi omosessuali FARINGITE per contatto oro-genitale INFEZIONE DISSEMINATA è rara per la capacità limitata di moltiplicarsi nel torrente circolatorio (a differenza dei meningococchi). Si manifesta con febbre, dolore, artrite purulenta, pustule sulla cute che possono sviluppare focolai di necrosi. DIAGNOSI DI LABORATORIO L’individuazione al microscopio di Neisserie all’interno di polimorfonucleati è sufficiente per avanzare il sospetto di infezione gonococcica ed indicare che il soggetto deve essere sottoposto a terapia. Per la diagnosi certa è necessario l’esame colturale e l’identificazione biochimica. Essendo sensibili alle condizioni ambientali è opportuno l’utilizzo di terreni di trasporto specifici. TRATTAMENTO E PREVENZIONE Buona parte dei microrganismi risponde bene al trattamento con cefalosporine di III generazione. La streptomicina vien utilizzata per pazienti allergici e vien somministrata per via intramuscolare. A volte si associa doxiciclina efficace contro le Chlamydiae che danno infezione contemporanea. MICOBATTERI Caratteristiche generali Bacilli lunghi e sottili che possono dar luogo a forme filamentose Aerobi obbligati: vivono solo in presenza di ossigeno Immobili Asporigeni = non producono spore Parete insolita fortemente idrofobica (cera) Batteri acido resistenti Resistenti a numerosi disinfettanti chimici, all’essicamento, ma non al calore a ai raggi uv Ritmo di crescita lento sul terreno di coltura. STRUTTURA DELLA PARETE Una membrana citoplasmatica interna Uno spesso strato di peptidoglicano legato con gli acidi micolici Assenza di membrana esterna. Lo strato di peptidoglicano è legato con polisaccaridi (arabinogalattani) i cui terminali sono esterificati ad acidi micolici. Questo strato è ricoperto di polipeptidi e da uno strato idrofobico di ac. Micolici. Le catene peptidiche dello strato esterno sono importanti antigeni che stimolano la risposta immunitaria all’infezione. Doppio strato lipidico peptidoglicano MYCOBACTERIUM TUBERCULOSIS FONTI D’INFEZIONE E TRASMISSIONE I pazienti con tubercolosi polmonare attiva disperdono i microrganismi nell’ambiente mediante la tosse, creando delle gocce di aerosol infette. Data la loro resistenza all’essicamento i microrganismi possono restare vitali nell’ambiente per lunghi periodi di tempo. Il contagio avviene da persona a persona per via aerogena (inalazione di aerosol). Per contrarre l’infezione sono necessari contatti ripetuti e prolungati. AZIONE PATOGENA I micobatteri inalati raggiungono gli alveoli polmonari, si moltiplicano nell’epitelio polmonare e nei macrofagi I fagociti infettati possono essere distrutti (ricominciano cicli di fagocitosi, replicazione batterica e lisi cellulare) oppure i micobatteri possono crescere all’interno dei macrofagi e rimanere vitali all’interno dell’ospite per lunghi periodi di tempo Il microrganismo non produce tossine e la sua virulenza dipende dalla sua capacità di sopravvivere e crescere all’interno delle cellule ospiti Dopo 2-4 settimane, alcuni bacilli riescono a sopravvivere all’azione del sistema immunitario e sono disseminati attraverso il sangue in siti extrapolmonari INFEZIONI Sono intracellulari e generalmente comportano la formazione di lesioni granulomatose e a lento sviluppo, responsabili di distruzione tissutale. La malattia nel caso dei micobatteri non è dovuta alla presenza del batterio (crescita lenta), ma alla risposta immunitaria cellulo-mediata dell’ospite responsabile del danno tissutale. La tubercolosi può interessare qualsiasi organo, ma la maggior parte delle infezioni è limitata ai polmoni. LA TUBERCOLOSI PRIMARIA (FASE INIZIALE) - Insorge nei soggetti che non hanno avuto contatti precedenti con il microrganismo -Contratta attraverso le vie respiratorie -Lesione iniziale in un bronchiolo o alveolo nel lobo med. O inf. -I microrganismi vengono internalizzati dai fagociti mononucleati locali -L’episodio morboso si esaurisce nel giro di 2-3 giorni anche se l’escrezione fecale del microrganismo da parte dei soggetti convalescenti può persistere per un mese -Sono presenti lesioni infiammatorie a carico dell’intestino tenue e del grosso intestino, la batteriemia è rara, eccetto nei soggetti con immunodeficienza FEBBRE ENTERICA O FEBBRE TIFOIDE Salmonella typhi è la più causa più importante per questa sindrome Malattia sistemica, aumento graduale della temperatura, sintomi addominali, brividi, sudorazione, cefalea, anoressia, astenia, angina, tosse stizzosa, mialgia, diarrea o stipsi Periodo d’incubazione 10-14 giorni, risoluzione in 4 settimane mortalità = 15%, con terapia antibiotica DIAGNOSI DI LABORATORIO La ricerca di anticorpi per gli antigeni Vi, H, O si esegue ricercando il potere agglutinante di diluzioni progressive di siero (REAZIONE di WIDAL). CLOSTRIDI CARATTERISTICHE GENERALI -Appartengono alla famiglia delle Bacillaceae -Bacilli gram-positivi di grandi dimensioni con estremità arrotondate -La maggior parte sono mobili (flagelli peritrichi) -Anaerobi obbligati (ottengono l’energia necessaria attraverso processi di fermentazione) -Catalasi negativi -Inibiti o danneggiati dall’ossigeno libero -Producono endospore -Infezioni dei tessuti molli, della cute, colite da antibiotici, diarrea -Sintetizzano le più potenti esotossine conosciute (botulismo, tetano ecc…) -Si sviluppano su terreni arricchiti in presenza di un agente riducente come la cisteina -Coltura in anaerobiosi su agar sangue Habitat La formazione delle endospore facilita la loro elevata sopravvivenza nell’ambiente. Le spore sono resistenti ai disinfettanti chimici, all’esposizione ai raggi ultravioletti o alle temperature d’ebollizione per un certo periodo di tempo, mentre sono distrutte nelle condizioni standard dell’autoclave (121°C per 15min ). Potere patogeno dei clostridi Capacità di sopravvivere in condizioni ambientali avverse mediante la formazione di spore Rapida crescita in ambienti ricchi di nutrimento e privi di ossigeno Capacità di produrre numerose tossine istolitiche, enterotossine e neurotossine SPECIE CLINICAMENTE SIGNIFICATIVE La maggior parte dei clostridi sono innocui saprofiti, ma alcuni sono patogeni per l’uomo e responsabili di alcune malattie. A. C. PERFRINGENS —> causa infezioni istotossiche, cioè distruttive dei tessuti, es. mionecrosi o gangrena gassosa e intossicazioni alimentari B. C. DIFFICILE —> causa la colite pseudomembranosa (infezione colon) associata all’uso di antibiotici C. C. TETANI—> agente eziologico del tetano D. C. BOTULINUM —> agente causale del botulismo Difese aspecifiche A. Lisozima: azione anti-batterica su gram-positivi, è presente in quasi tutti i secreti dell’organismo umano. B. Sistema del complemento: un complesso sistema enzimatico di 20 proteine, presente nel siero, ad azione litica su microrganismi e cellule estranee. C. Interferoni: una famiglia di proteine prodotte dalle cellule eucariotiche in risposta a diversi stimoli infettivi, che conferiscono protezione immediata per la produzione di enzimi ad azione antivirale, per il periodo che intercorre prima della comparsa degli anticorpi specifici contro il microrganismo infettante. D. Microflora: flora microbica di pelle e mucose esercita un ruolo protettivo sia con l’azione competitiva antagonista verso i microrganismi patogeni, sia con la produzione di bacteriocine. E. Fagocitosi: meccanismo di difesa aspecifica cellulare per eccellenza che consiste nella ingestione e digestione di particelle da parte di singole cellule (fagociti) che hanno come funzione principale quella di rimuovere ed uccidere i microrganismi del torrente circolatorio, cosi come dai tessuti F. Infiammazione: in grado di circoscrivere l’infezione evitando la disseminazione dei germi patogeni(acuta o cronica). I tessuti linfoidi possono essere classificati in: 1. ORGANI LINFOIDI PRIMARI —> Tessuti in cui i linfociti esprimono per la prima volta i recettori per l’antigene (midollo osseo, timo) 2. ORGANI LINFOIDI SECONDARI —> siti dove si sviluppa la risposta linfocitaria verso gli antigeni estranei (linfonodi, milza, tessuto linfoide associato alle mucose ed il sistema immunitario cutaneo) IL COMPLEMENTO E’ un sistema formato da una serie di proteine presenti normalmente nel siero, i cui componenti una volta attivati sono in grado di reagire in una successione regolare provocando la lisi dei batteri gram-negativi. L’attivazione del complemento può avvenire attraverso 2 meccanismi: Via classica mediata dall’immunocomplesso Via alternativa che non necessita dell’intervento dell’anticorpo specifico TIPI DI RIPSPOSTE IMMUNITARIE ADATTATIVE In base alle componenti del sistema immunitario implicate le risposte immuni specifiche possono essere classificate in: 1.IMMUNITA’ UMORALE È mediata da anticorpi che sono prodotti dai linfociti B (10- 15% dei circolanti) L’immunità umorale è il principale meccanismo di difesa contro i microbi extracellulari e le loro tossine poiché gli anticorpi secreti possono legarsi sia ai microbi sia alle tossine agevolandone l’eliminazione 2.IMMUNITA’ CELLULO-MEDIATA I microbi intracellulari, come virus e alcuni batteri, sopravvivono e proliferano all’interno dei fagociti e di altri tipi cellulari e diventano inaccessibili agli anticorpi circolanti. L’immunità cellulare elimina i serbatoi d’infezione attraverso l’eliminazione dei microbi residenti nei fagociti o nelle cellule infette portando alla lisi queste cellule infettate. Le cellule presentanti l’antigene catturano la molecola estranea, la “processano” e la “presentano” ai linfociti T che si attivano e promuovono lo sviluppo di una risposta immunitaria adeguata I LINCOCITI — CLASSI FUNZIONALI LINFOCITI B Essi riconoscono gli antigeni extracellulari o sulla membrana cellulare e si differenziano in cellule secernenti anticorpi, svolgendo pertanto il ruolo di mediatori dell’immunità umorale. Sono le SOLE cellule in grado di produrre gli anticorpi. LINFOCTI T I precursori originano dal midollo osseo e poi migrano nel timo dove maturano. NON producono anticorpi. Si suddividono in sotto-popolazioni distinte: A. Linfociti T helper secernono citochine che promuovono la proliferazione e la differenziazione delle stesse cellule T, linfociti B e macrofagi. Le citochine attivano e reclutano granulociti e macrofagi. B. Linfociti T citotossici sono capaci di lisare cellule che esprimono antigeni estranei C. NK sono coinvolte nella risposta innata contro virus e microbi intracellulari D. T regolatori svolgono il ruolo di inibire le risposte immunitarie. ANTICORPI ED ANTIGENI Il legame Ag-Ab non è covalente. Gli Abs possono essere prodotti in forma solubile dai linfociti B o trovarsi sulla membrana di tali cellule. Quando il sangue o il plasma coagulano, gli Abs restano nella fase fluida chiamata siero. Classi anticorpali Esistono diverse classi di anticorpi o isotipi detti: IgA, IgD, IgE, IgG, IgM. Le regioni comuni delle catene pesanti conferiscono la capacità di legare il complemento. Ogni molecola anticorpale è dotata di una sequenza aminoacidica unica a livello del sito per l’antigene. IgG Costituiscono il 75% di tutte le Ig presenti nel siero dei vertebrati. Hanno durata media di 25-30 giorni Attraversano la placenta, fissano il complemento, legano le tossine. IgA -Hanno la funzione di difendere le mucose dalla invasione dei microrganismi. -Nel siero sono in forma monomerica -Oltre ad essere nel sangue sono riscontrabili anche nei prodotti di secrezione delle ghiandole esocrine (latte, saliva, lacrime ecc…) IgM Sono reperibili solo nel sangue, non attraversano la placenta Hanno vita media di 5-10 giorni. Sono le prime Ig prodotte nella risposta anticorpale primaria. IgD A. Sono poco rappresentate nel siero umano (1%). B. Hanno vita media di circa 13 giorni. C. Sono espresse dai linfociti B. INDAGINI SIEROLOGICHE 1. Dosaggio Immunoenzimatico 2. Immunofluorescenza 3. Immunofluorescenza Diretta 4. Immunofluorescenza Indiretta 5. Immunoblotting O Western Blotting Vaccini —> Gli anticorpi prodotti a seguito di una vaccinazione o somministrati a scopo terapeutico possono prevenire o ridurre l’insorgenza della malattia impedendo all’agente infettivo di raggiungere l’organo bersaglio Strategie per lo sviluppo di vaccini -Vaccini microbici attenuati e/inattivati -Vaccini con antigeni purificati (a subunità antigeniche) -Vaccini con antigeni sintetici -Vettori virali vivi -Vaccini a DNA (l’inoculo di un plasmide contenente cDNA codificante per un antigene proteico determina una risposta umorale e cellulare) -ecc… IMMUNITA’ ADATTATIVA o ACQUISITA IMMUNITA’ ATTIVA quando un individuo immunizzato partecipa attivamente alla risposta verso l’antigene IMMUNITA’ PASSIVA quando si trasferisce ad un individuo cellule o siero di soggetti specificamente immunizzati Entrambe le forme di immunità forniscono resistenza alle infezioni e sono specifiche per gli antigeni microbici, ma solo le risposte immunitarie attive generano MEMORIA IMMUNIOLOGICA. VIRUS I virus sono parassiti endocellulari obbligati. Ciò è dovuto al fatto che mancano dell’informazione genetica che codifica l’apparato necessario per la generazione di energia metabolica (ATPasi) e per la sintesi di proteine (ribosomi): sono assolutamente dipendenti dalla cellula ospite per queste funzioni. Le dimensioni variano da 20-30 nm a 300 nm (1nm=10-6mm) e per questo solo le cellule infette si osservano al microscopio ottico. Le particelle virali, infatti, sono osservabili solo al microscopio elettronico. I virus sono organismi sub-cellulari essenzialmente costituiti da un acido nucleico (DNA o RNA) a cui sono legate proteine strutturali ed enzimi, formando nell’insieme il nucleocapside, e un involucro proteico detto capside. Alcuni virus hanno anche un rivestimento esterno composto da glicoproteine e membrana: esso viene chiamato envelope o mantello o peplos o pericapside. L’acido nucleico è strettamente impacchettato nel capside. Può essere a singola o a doppia catena, segmentato o non segmentato, lineare o circolare. Inoltre, può trovarsi associato a ioni positivi o a proteine basiche utili per neutralizzare le cariche negative dei gruppi fosfato. I virus: - a RNA occupano il citoplasma(ribosomi) - a DNA occupano il nucleo(passaggi dell’acido nucleico virale) I avviene la trascrizione→ cerca di bloccare alcune sintesi della cellula la cellula produce proteine in base agli acidi nucleici diventati virali traduzione(mRNA traducono in proteine)→RNA/DNA polimerasi virali RNA/DNA polimerasi cellulari Le proteine virali presenti appunto nei virus si distinguono in: - Proteine funzionali che permettono all’acido nucleico di replicarsi, come le polimerasi - Proteine strutturali incorporate nelle nuove particelle virali come costituenti del capside o come strutture particolari presenti nell’envelope - Proteine che alterano alcune funzioni della cellula ospite - Proteine strettamente associate agli acidi nucleici - Proteina di matrice anche detta M Il capside è il rivestimento proteico con funzione di protezione, riconoscimento dei recettori e guida del genoma al nucleo. Le forze che legano insieme i suoi protomeri sono non covalenti e la sua struttura è regolare. Esso definisce la simmetria del virione, che può essere icosaedrica, elicoidale, complessa (Poxvirus e Rhabdovirus) o binaria (fagi ovvero virus batterici). Il mantello è presente su tutti i virus a simmetria elicoidale ed in alcune famiglie con capside a simmetria icosaedrica. La sua natura chimica può essere lipidica o glicolipidica. I virus acquisiscono il mantello nella fase tardiva del ciclo d’infezione, dopo l’assemblaggio del nucleocapside. Il mantello può originare dalla membrana citoplasmatica nel caso dei virus a RNA, dalla membrana nucleare nel caso dell’herpes virus e a volte dall’apparato del Golgi. Sul mantello sono presenti glicoproteine virali come l’emagglutinina (HA) che permettono l’adsorbimento del virione sulle cellule sensibili. CAPSIDE NUDO CON ENVELOPE PROPRIETA’ Resistente ad alte temperature, acidi, detergenti ed essicamento. È rilasciato dalla cellula per lisi. È distrutto da acidi, detergenti, essicamento e calore. È rilasciato per gemmazione e talvolta per lisi cellulare. CONSEGUENZE È facilmente diffuso, può essere essiccato mantenendo l’infettività, può sopportare le diverse condizioni dell’intestino e resistere ai detergenti. Deve rimanere in ambiente umido e non sopravvive nel tratto gastro-intestinale: è molto fragile. Si diffonde con gocce d’acqua, secrezioni, trapianti d’organi, trasfusioni di sangue e non uccide necessariamente la cellula per diffondersi. La classificazione tassonomica dei virus avviene secondo diversi criteri: il tipo di acido nucleico, la simmetria del capside, la presenza di envelope, l’architettura del genoma in base alle classi di Baltimore, le modalità replicative, la polimerasi associata al virione, il diametro del virione in nm, il numero dei capsomeri e le dimensioni del genoma in kb. La classificazione ufficiale dei virus è la International Committee on Taxonomy of Viruses (ICTV), che si articola nel seguente modo: - Ordine (-virales) - Famiglia (-viridae) - Sottofamiglia (-virinae) - Genere (-virus) - Specie PATOGENESI VIRALE 1. Riconoscimento della cellula target 2. Attacco 3. Penetrazione 4. Denudamento 5. Sintesi macromolecolari (replicazione del genoma) 6. Assemblaggio 7. Rilascio. Il riconoscimento e l’attacco riguarda il contatto tra virus e cellula. Vengono rilasciati gli antirecettori virali (VAP) ed in risposta la cellula i suoi recettori cellulari. Molte proteine usate come recettori appartengono alla famiglia delle Immunoglobuline. La penetrazione avviene in modo diverso in base che il virus abbia il mantello o meno. I virus senza mantello praticano l’internalizzazione mediante endocitosi e trasferimento all’interno del citoplasma in una vescicola endocitica oppure mediante fagocitosi. Quelli con il mantello invece fondono l’envelope lipoproteico direttamente con la membrana cellulare esterna. Ciò richiede la presenza di proteine specifiche presenti nel mantello del virione, come la proteina F nei paramixovirus, la glicoproteina gB negli herpesvirus e la glicoproteina 90 del virus respiratorio sinciziale. Il denudamento rappresenta l’inizio della fase di eclissi. Comprende l’azione delle proteasi sul capside proteico e degli enzimi lisosomiali sulle strutture proteiche, ma la resistenza degli acidi nucleici agli enzimi nucleolitici cellulari. La sintesi delle macromolecole consta in tre fasi: La trascrizione del genoma virale in mRNA, la traduzione dei messaggeri virali in proteine e la replicazione. L’assemblaggio rappresenta la fine della fase di eclissi: avviene nel citoplasma delle cellule infettate nel caso di virus a RNA e nel nucleo nel caso dei virus a DNA tranne i Poxvirus. Qui avviene l’assemblaggio delle copie del genoma virale e delle differenti proteine strutturali per formare i nuovi virioni. Il rilascio delle nuove particelle virali consiste nella liberazione dei virus senza mantello per esocitosi e di quelli con mantello per gemmazione. Alcune nuove particelle virali sono in grado di acquisire il mantello: gli herpesvirus da un foglietto interno della membrana nucleare e i togavirus dal reticolo endoplasmatico. La patologia può essere una conseguenza diretta di come il virus ha risolto i suoi tre problemi esistenziali ovvero riprodursi, trasmettersi e difendersi, ma può anche essere una conseguenza della risposta dell’ospite. Infatti, spesso la risposta immunitaria non colpisce esclusivamente il virus ma causa danni collaterali anche all’ospite stesso. La selezione naturale favorisce i virus con scarso potere patogeno e per questo molte infezioni virali sono asintomatiche. Un virus, per essere patogeno, deve possedere diverse caratteristiche: l’infettività ovvero la capacità di penetrare e replicarsi in un certo tessuto, la patogenicità ovvero la capacità di arrecare danno e malattia, la virulenza ovvero la forza con cui viene indotta la malattia, l’invasività ovvero l’efficacia con cui viene colpito un certo organo bersaglio. La patogenicità è legata da una parte alle caratteristiche del virus, dall’altra alla permissività e alla capacità di risposta dell’ospite. Un importante determinante di essa è il tropismo, ovvero la tendenza a localizzarsi o accumularsi prevalentemente in una determinata zona. La virulenza è invece una proprietà relativa e per quantificarla si usano parametri come la dose infettante 50 (la dose che infetta il 50% delle colture) o la dose letale 50 (la dose che uccide il 50% degli animali inoculati). Un virus virulento causa una malattia rilevante mentre un virus avirulento o attenuato può al massimo determinare una patologia lieve. La virulenza dipende dal tipo di virus, dalla dose introdotta, dalla via di trasmissione e dalla risposta dell’ospite TRASMISSIONE La via di penetrazione più comune è costituita dalle mucose del tratto respiratorio, ma anche alimentare e urogenitale. Inoltre, il virus può penetrare dalla congiuntiva, dall’epidermide e attraverso ferite o punture. La trasmissione aerea avviene per aerosol come nell’influenza o per contatto diretto come nel rhinovirus. La superficie polmonare umana è di circa 140 m2 e contiene numerose difese meccaniche (cellule ciliate, secrezioni mucose) e difese specifiche (IgA e macrofagi alveolari). Se le manifestazioni cliniche di queste infezioni virali sono la rinite, la laringite e la faringite allora i virus coinvolti possono essere rinovirus, coronavirus, virus sinciziale respiratorio, virus dell’influenza e della parainfluenza, adenovirus, herpes virus e il virus di epstein-barr. Se le manifestazioni cliniche sono tracheiti, bronchiti, bronchioliti e broncopolmonite allora i virus coinvolti possono essere virus dell’influenza e della parainfluenza, adenovirus e virus sinciziale respiratorio. La trasmissione oro-fecale riguarda solo i virus resistenti a condizioni ambientali estreme come il pH acido dello stomaco. L’epitelio intestinale è ricoperto di villi che rappresentano una barriera molto efficiente ma gli adenovirus, rotavirus ed enterovirus riescono a replicare in questa sede. Oltre a questi, anche il poliovirus è un patogeno alimentare. Il superamento della barriera cutanea avviene attraverso lo strato corneo protettivo, che è costituito da cellule morte nella parte più esterna dell’epidermide. La possibilità di ingresso può verificarsi per trauma (herpes gladiatorum e wrestler), punture di antropodi (toscana virus, TBE) che spesso causano encefaliti, morsi di animali (rabbia, hantavirus, ebola) o inoculazione parenterale per chirurgia, dentista, droghe endovena, tatuaggi e piercing (HBV, HCV, HIV, CMV). INFEZIONI VIRALI L’infezione può essere localizzata, disseminata o sistemica. Dal sito di infezione iniziale, le infezioni virali possono rimanere localizzate oppure i virus possono diffondersi attraverso il circolo ematico per viremia. Il virus può trovarsi libero nel plasma oppure in forma cellulo-associata con linfociti e monociti. La replicazione nel sito di penetrazione spesso produce poche particelle virali (viremia primaria), mentre se l’infezione diviene sistemica e interessa vari organi si verifica la produzione di alti livelli di virus (viremia secondaria). Le manifestazioni dell’infezione virale possono essere asintomatiche, sintomatiche o acute. Esistono infatti diversi possibili esiti di un’infezione virale: - La cellula evolve in tumorale - La cellula funziona da serbatoio con produzione limitata e lenta di virus - La cellula sopravvive non riconosciuta dalle difese immunitarie, non causa danni ma si può riattivare in un secondo momento in seguito a vari stimoli dando luogo ad un’infezione litica - La cellula muore e si lisa, provocando il rilascio del virus ma non potendo più riprodursi. In alcuni casi si può verificare un effetto citopatico, ovvero si osserva fusione tra le cellule, con formazione di sincizi, grazie alle proteine virali ad attività fusogena come nel paramyxovirus. Il periodo di incubazione è il tempo che intercorre fra l’inizio dell’infezione e la malattia clinicamente evidente. Esso cambia a seconda del virus e coincide con lo sviluppo delle varie fasi. Il virus che causa infezione acuta può essere eliminato dall’organismo grazie alle difese immunitarie, con conseguente risoluzione dell’infezione come per il raffreddore, l’influenza e l’epatite A. L’infezione diventa cronica quando le difese dell’organismo contrastano le cellule virali e la malattia si riduce o scompare, ma il virus persiste nell’organismo replicando a bassi livelli. Il paziente conduce una vita quasi normale anche per molti anni, finché non si sviluppa una grave malattia come per l’HBV, l’HCV e l’HIV. L’infezione invece diventa latente quando le difese dell’organismo impediscono al virus di replicare ma non lo eliminano dall’organismo. La malattia finisce, il genoma del virus rimane in alcune cellule e, in condizioni particolari, può riattivarsi dando luogo alle recidive come per l’HSV e l’VZV. Le difese dell’ospite contro le infezioni virali si dividono in aspecifiche chimico-fisiche e immunitarie. Le difese aspecifiche comprendono le barriere fisiche (epidermide con strato corneo, epitelio ciliato e muco), temperatura (febbre) e pH (HCl gastrico). Le difese immunitarie invece comprendono l’immunità innata e quella adattativa: la prima si serve di meccanismi non specifici o a bassa intensità (IFN, cellule NK), la seconda utilizza meccanismi specifici (mastociti, macrofagi, neutrofili, cellule dendritiche, linfociti T e plasmacellule). Fuoriuscita del virus: gemmazione→cellule parassite rimangono integre lisi→ la cellula si rompe e i parassiti si spargono in altre cellule(INFEZIONE VIRALE) riproduzioni arbotive →non avviene la riproduzione virus non regisce→possibile riattivazione a distanza di anni(es. fuoco di Sant’Antonio) Trasformante→virus altera/muta l’acido nucleico(trasformazione maligna) della cellula e le fa diventare tumorali EBV→mononucleosi virus C dell’epatite→manifestazione carcinomatose della cellula cellule T→linfociti(producono citochine) - immunità delle cellule mediata→attivano cellule per la risposta immunitaria HBV→può trasformarsi in tumorale HPV→malttie sessuali *[CAPSIDE = involucro o rivestimento proteico che circonda l’acido nucleico del genoma CAPSOMERI = unità morfologiche osservate al microscopio elettronico sulla superficie delle particelle virali icosaedriche VIRUS DIFETTIVO = particella virale carente in qualche fase della replicazione INVOLUCRO = membrana lipoproteina che circonda alcune particelle virali, che viene acquisita durante il processo di gemmazione attraverso la membrana nucleare o cellulare NUCLEOCAPSIDE = complesso proteina-acido nucleico rappresentante la forma assemblata del genoma virale UNITA’ STRUTTURALI = proteine fondamentali che costituiscono la struttura dell’involucro VIRIONE = particella virale completa. In alcuni casi coincide con il nucleo capside, nei virioni più complessi comprende nucleo capside più l’involucro che lo circonda] CLASSIFICAZIONE DEI VIRUS Questo tipo di classificazione permette di distinguere il virus dalle proprie caratteristiche genetiche e dalle le vie di replicazione. 1. Classe I: Virus a DNA a doppio filamento (Adenovirus, Herpesvirus, Poxvirus) 2. Classe II: Virus a DNA a singolo filamento a senso positivo (Parvovirus) 3. Classe III: Virus a RNA a doppio filamento (Reovirus) 4. Classe IV: Virus a RNA a singolo filamento a senso positivo 5. Classe V: Virus a RNA a singolo filamento a senso negativo 6. Classe VI: Virus a RNA a singolo filamento a senso positivo con intermedio DNA (Retrovirus) 7. Classe VII: Virus a RNA a doppio filamento di DNA con intermedio RNA (Hepadnavirus) TAPPE DELLA PATOGENESI VIRALE (importante) 1. Entrata del virus nell’ospite 2. Replicazione virale primaria 3. Diffusione virale - danneggiamento cellulare 4. Risposta del sistema immunitario dell’ospite 5. Eradicazione del virus o insorgenza di una infezione persistente e disseminazione virale RISPOSTA IMMUNE DELL’OSPITE A. I virus provocano una risposta tissutale differente da quella causata dai batteri B. Le cellule infettate dal virus possono essere lisate dai linfociti citotossici, in seguito al riconoscimento di polipeptidi virali presenti sulle superfici cellulari C. Gli anticorpi neutralizzanti bloccano la fase di attacco e denudazione Oltre all’immunità specifica, alcuni meccanismi di difesa aspecifica dell’ospite possono essere attivati dall’infezione virale, come per esempio la produzione di interferoni D. I virus hanno sviluppato una grande varietà di strategie per eludere la risposta immunitaria dell’ospite EFFETTI DELL’INFEZIONE VIRALE La risposta di una cellula ospite all’infezione causata da un virus può manifestarsi con: Infezione abortiva = caratterizzata da effetti scarsi o non percepibili (non vien prodotta alcuna progenie) Infezioni persistenti = caratterizzate da alterazione della specificità antigenica della superficie della cellula ospite dovuta alla presenza di glicoproteine virali. Possono essere&Croniche, Latenti, Ricorrenti ecc… Infezioni litiche = caratterizzate da morte della cellula causata dall’espressione dei geni virali che interrompono le funzioni essenziali della cellula ospite PROFILASSI E TERAPIA Norme igieniche Somministrazione di immunoglobuline (anticorpi preformati) Vaccini Farmaci antivirali (per via generale o locale) REPLICAZIONE DEI VIRUS A DNA Durante il ciclo replicativo vengono prodotte - numerose copie dell’acido nucleico virale – proteine dell’involucro che si riuniscono per formare il CAPSIDE. L’acido nucleico virale contiene le informazioni necessarie per programmare la cellula ospite infettata a sintetizzare le macromolecole virus-specifiche necessarie per la produzione della progenie virale. Il capside stabilizza l’acido nucleico virale nei confronti dell’ambiente extracellulare e rende più facile l’attacco e la penetrazione del virus dopo il contatto con le cellule suscettibili RETROVIRUS La famiglia dei Retroviridae si differenzia dagli altri virus a RNA per la presenza di un particolare enzima, la trascrittasi inversa, che converte il genoma a RNA a singolo filamento virale in un genoma a DNA a doppio filamento. Struttura dei retrovirus -Sono diploidi (2 copie identiche del genoma a RNA a filamento singolo +) -La replicazione procede attraverso un intermedio a DNA chiamato provirus che si integra in maniera casuale nel cromosoma -Fra il capside e l’envelope è interposta una proteina di matrice esterna (MA), la quale guida l’ingresso del provirus all’interno del nucleo VIRUS DELL’IMMUNODEFICIENZA UMANA (HIV) Quasi tutti i soggetti infettati da HIV a causa delle carenze indotte dal virus a carico del sistema immunitario, vanno incontro a patologie e ad infezioni opportunistiche letali che si manifestano dopo un lungo periodo di incubazione (da qui il nome di virus lenti). Struttura Il capside contiene gli elementi necessari per la replicazione virale: 2 copie identiche di RNA singola catena a polarità positiva o La trascrittasi inversa (enzima) Integrasi Proteasi Envelope costituito da un doppio strato fosfolipidico e da proiezioni proteiche rappresentate da proteine virus specifiche (Gp120 e Gp41) ORGANIZZAZIONE DEL GENOMA DI HIV Il genoma di HIV costituito da 3 geni strutturali principali: -GAG che codifica per la sintesi della proteina del nucleo capside -POL che codifica la sintesi della trascrittasi inversa, integrasi e proteasi -ENV codifica la produzione di proteine transmembrana e di superficie Variabilità genetica L'HIV può andare incontro a variazioni della propria struttura genetica (mutazioni), che si verificano soprattutto in seguito ad errori di "copiatura" da parte della trascrittasi inversa (enzima che codifica del DNA ad RNA). Fasi del ciclo replicativo 1. Attacco ad un recettore specifico per HIV esposto sulla superficie cellulare 2. Penetrazione del virus nella cellula 3. Trascrizione inversa dell’RNA virale in DNA 4. Integrazione del provirus nel DNA della cellula ospite 5. Trascrizione e traduzione delle sequenze integrate del DNA virale 6. Assemblaggio e maturazione della progenie infettante MODALITA’ DI TRASMISSIONE DI HIV La trasmissione avviene attraverso 3 modalità: 1. Trasmissione sessuale HIV è presente nel liquido seminale e nelle secrezioni cervico vaginali ed è trasmesso sia attraverso il rapporto omosessuale che eterosessuale. 2. Via parenterale trasfusioni (sangue, plasma) aghi contaminati (contatto accidentale, scambio di aghi o siringhe tra tossicodipendenti) 3. Trasmissione perinatale una donna HIV-positiva ha un 15-40% di probabilità di trasmettere l’infezione al figlio attraverso PREVENZIONE E CONTROLLO 1. Amantadina e rimantadina 2. Zanamivir 3. Vaccini prevenzione e controllo HERPESVIRUS Importanti caratteristiche degli Herpesvirus: Producono infezioni litiche, persistenti, latenti ed immortalizzati Sono in grado entrare in uno stato di latenza in seguito ad un’infezione primaria del proprio ospite naturale Persistono per tutta la vita dell’ospite Si riattivano spesso specialmente nei pazienti immunocompromessi Alcuni sono cancerogeni Sono ubiquitari L’immunità cellulo-mediata è necessaria per il controllo dell’infezione Struttura degli Herpesvirus Capside icosaedrico Envelope lipoproteico (replicazione per gemmazione dalla membrana nucleare) Tegumento (spazio tra envelope e capside contenente materiale di natura proteica) Genoma costituito da una molecola di DNA lineare a doppio filamento, che codifica da 70 a 200 proteine che non vengono incorporate nella particella virale REPLICAZIONE A. Avviene all’interno del nucleo della cellula ospite B. Varia da 18 h (herpes simplex) a oltre 70h (citomegalovirus). C. La regolazione della trascrizione è definita controllo a cascata in quanto l’espressione di una prima serie di geni è necessaria per l’espressione di una seconda serie di geni che a loro volta sono indispensabili per l’espressione di una terza serie di geni. VIRUS DELL’HERPES SIMPLEX 2 ceppi maggiori: Tipo I: Herpes Orale (HSV-1) —> trasmissione per contatto orale tramite il bacio, dita contaminate di saliva, uso comuno degli spazzolini ecc… Tipo II: Herpes Genitale (HSV-2) —> trasmissione per contatto sessuale PATOGENESI A. Entrambi i virus si moltiplicano nelle cellule epiteliali della superficie mucosale dove stabiliscono un ciclo infettante litico, con conseguente produzione di vescicole o ulcere superficiali contenenti il virus infettante. B. Negli individui immunocompetenti, l’infezione epiteliale rimane localizzata in quanto i linfociti T citotossici riconoscono gli antigeni HSV specifici esposti sulla superficie delle cellule infette. C. L’infezione latente si verifica nei gangli regionali, come conseguenza dell’ingresso dei virioni infettanti nei neuroni sensoriali le cui terminazioni sono a livello del sito di infezione. PREVENZIONE Evitare il contatto con le lesioni Rapporti sessuali sicuri Parto cesareo TRATTAMENTO Analogo della guanina (aciclovir) inibisce la sintesi del DNA Altri antivirali utilizzati sono amciclovir e penciclovir VIRUS DELLA VARICELLA ZOSTER Presenta affinità biologiche (latenza nei gangli sensoriali) e genetiche con HSV, infatti appartiene alla stessa sottofamiglia. Le infezioni primarie di VZV provocano la varicella, mentre la riattivazione causa la comparsa dell’herpes zoster o fuoco di Sant’Antonio La varicella è una malattia altamente contagiosa, soprattutto infantile, caratterizzata da un’eruzionvescicolosa generalizzata sulla cute e sulle mucose PATOGENESI La trasmissione avviene per via inalatoria, con infezione a carico della mucosa respiratoria seguita dalla diffusione ai linfonodi regionali. La progenie si riversa nel torrente circolatorio e nel sistema linfatico, va incontro ad un secondo ciclo di riproduzione nel fegato e nella milza, per poi diffondere in tutto il corpo attraverso i leucociti mononucleati infetti. L’infezione si estende alle cellule endoteliali dei capillari ed infine alle cellule epiteliali della cute con comparsa dopo 2-3 settimane di vescicole contenti il virus. L’individuo risulta contagioso da 2 giorni prima della comparsa dell’esantema. IMPORTANZA CLINICA Periodo di incubazione variabile da 10-21 giorni, in media 14-16 giorni Febbre, malessere, cefalea, dolori addominali precedono di qualche giorno l’esantema Le eruzioni cutanee iniziano a livello del cuoio capelluto, del volto o del tronco in forma di macule eritematose, che evolvono nelle caratteristiche vescicole contenenti il virus. Nel giro di 48 ore queste vescicole si trasformano in pustule e iniziano a ricoprirsi di croste. La guarigione avviene spontaneamente. TRATTAMENTO La varicella in bambini in buone condizioni non richiede alcuna terapia, mentre richiede trattamento in neonati o pazienti immunocompromessi con immunoglobuline. PREVENZIONE A. Somministrazione di immunoglobuline anti-varicella-zoster (neonati o immunocompromessi). B. Vaccino con virus vivo ed attenuato dal 1995