Microbiologia Clinica Completa PDF
Document Details
Uploaded by Deleted User
Tags
Related
- BIOL131 Medical Microbiology Lecture Notes PDF
- LEZIONE 1_CODA PDF - Corso Integrato di Microbiologia e Microbiologia Clinica 2023/2024
- LEZIONE 1_CODA.pdf Corso Integrato di Microbiologia e Microbiologia Clinica 2023/2024
- LEZIONE 1_CODA PDF - Corso Integrato di Microbiologia e Microbiologia Clinica 2023/2024
- MM. Medical Microbiology, 8th Edition, Clostridium, PDF
- Medical Microbiology Lecture 1 PDF
Summary
This document provides a comprehensive overview of clinical microbiology, covering the classification of microorganisms, including viruses, prions, bacteria, and fungi. It also outlines the fundamental concepts and characteristics of infectious agents, such as prions, and their modes of transmission and replication. The text discusses the role of prions in diseases like Creutzfeldt-Jakob disease and includes information on viruses and their classification.
Full Transcript
MICROBIOLOGIA CLINICA 1.0 INTRODUZIONE ALLA MICROBIOLOGIA: CLASSIFICAZIONE DEI MICRORGANISMI La microbiologia è la scienza che si occupa dello studio dei microrganismi, esseri viventi di piccole dimensioni non osservabili a occhio nudo, ma solo mediante l’uso del microscopio. È quindi importante ri...
MICROBIOLOGIA CLINICA 1.0 INTRODUZIONE ALLA MICROBIOLOGIA: CLASSIFICAZIONE DEI MICRORGANISMI La microbiologia è la scienza che si occupa dello studio dei microrganismi, esseri viventi di piccole dimensioni non osservabili a occhio nudo, ma solo mediante l’uso del microscopio. È quindi importante ricordare l’ordine di grandezza dei microrganismi: ci sono delle particelle molto piccole che possono infettare i batteri, i quali sono circa una decina di volte più piccoli di una cellula. I microrganismi li possiamo classificare inizialmente sulla base che siano cellulari o acellulari. I virus non sono considerati organismi viventi perché non sono in grado di riprodursi autonomamente, lo fanno a spese di un altro organismo vivente e quindi sono classificati come acellulari; non si parla di quindi di cellula virale, ma di particella virale. A livello di acellulari abbiamo: Virus. Prioni. A livello cellulare invece abbiamo la suddivisione in: Funghi protisti. Batteri. Archea. La microbiologia medica nasce nel 1600 con le prime scoperte dopo l’invenzione del microscopio. A quel punto è stato possibile vedere le prime forme microscopiche (quindi la cellula) che a occhio nudo non erano visibili, alterazioni cellulari e di conseguenza anche i batteri. Successivamente, a metà 1800, gli studi di Louis Pasteur, danno il via all’età dell’oro della microbiologia. A fine 1800, poi, Robert Koch definisce i suoi postulati. È il primo che riesce a mettere in relazione la malattia con la presenza di un agente patogeno. I postulati di Henle-Koch (serie di fasi sperimentali) enunciano che: 1. Il microrganismo per essere patogeno deve essere presente in tutti i casi della malattia che sono stati riscontrati. 2. Non deve essere presente negli individui sani né in altre malattie. 3. Il microrganismo deve essere isolato dal malato e deve crescere in una coltura pura: faccio una biopsia, faccio una coltura e a quel punto il battere che deve essere fonte della patologia; a quel punto deve saltar fuori, lo devo trovare. 4. La malattia deve essere riprodotta in un ospite animale sano suscettibile attraverso l’inoculazione della coltura pura. Questi postulati sono stati oggetto di alcune obiezioni, lui da per assunto che: Ogni malattia è provocata da un solo agente infettivo e viceversa. Noi però oggi sappiamo che virus diversi possono darci lo stesso tipo di malattia, ad esempio: la Sars-Cov-2 veniva e viene confusa con l’influenza; quindi, virus diversi causano una malattia che sembra la stessa. Viceversa, un solo virus può dare patologie diverse, ad esempio l’Herpes zoster. 1 Non si tiene conto di fattori (“determinanti”) che agiscono di concreto con l’agente; quindi, possono essere fattori ambientali o fattori personali del paziente. Un pz immunocompromesso ha una patologia diversa da un paziente che non è immunocompromesso, un paziente che vive in un ambiente di scarsa igiene, si ammala diversamente da un paziente che vive con una ottima igiene. È una scienza in continua evoluzione a causa del continuo emergere di nuove patologie infettive (malattie infettive emergenti) e della ricomparsa e diffusione di patologie che si ritenevano estinte o relegate a comunità ristrette. 1.1 CARATTERISTICHE GENERALI DEGLI AGENTI INFETTIVI: I PRIONI Nel 1732 scoperta la Scrapie nelle scimmie: la proteina mutata si chiama PrPSc (dove Sc sta per Scrapie). Inizialmente si pensava che fosse un agente infettivo (battere o virus), per questo non si capiva cosa fosse, poiché con le classiche tecniche di indagine del battere e del virus non se ne usciva. Facendo un filtrato con un filtro da 0,2 micrometri di dimensione non si vedeva niente; quindi, non era un battere e con i virus non c’era verso. Successivamente sono riusciti a capire che era semplicemente una proteina in cui il gene si trova sul braccio corto del cromosoma 20 e questa proteina si comporta come un vero e proprio agente infettivo, nel senso che la proteina mutata crea aggregati che possono risultare fortemente tossici a livello cellulare. Questa proteina, se mutata, crea problemi a livello nervoso, dando un’encefalopatia spongiforme, perché il cervello aveva, per l’appunto, un aspetto spugnoso, si creavano dei buchi. Questo agente infettivo è stato chiamato prione ed è l’acronimo di PRoteinaceous Infective ONe (=agente infettivo di natura proteica). I prioni sono quindi delle isoforme (forme alternative rispetto a una proteina PrPc) patogene di proteine normali. La proteina cellulare è PrPc, mentre quella mutata è PrPSc, che causa patologia; non è sempre la Scrapie ma può essere il Kuru, il Creutzfeldt- Jakob o altre malattie causate da prioni. Una mutazione a livello dell’amminoacido può cambiare la struttura tridimensionale, quindi una mutazione sulla struttura primaria di una proteina, ovvero a livello della sequenza amminoacidica, va a cambiare la struttura secondaria (foglietti o α-eliche) e questo influisce sulla struttura terziaria ovvero sulla conformazione finale. Il ruolo di PrPc non stato ancora del tutto chiarito: si sa che è una proteina che lega il rame, si sa che è una proteina che si trova soprattutto a livello dello spazio sinaptico e quindi regola le vescicole, ma la sua funzione precisa non è stata definita del tutto. La proteina mutata, essendo agente infettivo, deve avere qualche funzione in più. Le mutazioni possono essere: neutrali, possono causare gain of function o loss of function, quindi una funzione in più o perdita di una funzione. Se acquisiscono una funzione in più non è sempre positivo; in questo caso la sua funzione in più è di essere molto resistente alla digestione da parte degli enzimi proteolitici e riesce a far mutare anche le proteine PrPc. Questa è la pericolosità delle malattie prioniche. Quando ci si trova la proteina mutata accumulata a livello cellulare, quindi a livello citoplasmatico, può creare degli aggregati, i quali causano la formazione di vacuoli (molto più del normale). A questo punto si attivano dei corpi cellulari che normalmente non vengono attivati, alcuni vengono addirittura iperattivati; quindi, si ha l’effetto di una classica malattia infettiva. Infine, si ha dunque la morte delle cellule. 2 La PrPc è solubile nei detergenti e facilmente degradabile, mentre la PrPSc resiste anche ai comuni detergenti. La PrPSc (mutata), se a contatto con la PrPc, riesce a indurre un cambiamento conformazionale, fa cambiare quella “normale”, perchè si riproduce e questo può succedere a chiunque. La PrPSc (mutata), quindi, fa mutare la PrPc (sana). PrPSc + PrPc = 2 PrP Sc Questo significa che da una mutata più una normale ottengo due mutate, se ho due mutate più due normali ne ottengo quattro mutate e così via. Ciò significa che un organismo con la mutazione può trasmettere la malattia anche ad altri organismi che non hanno la PrPc mutata! La possibilità di trasmissione può avvenire per: Ereditarietà. Acquisizione per ingestione cibi contaminati. Via iatrogena: si riferisce a quel tipo di trasmissione che si verifica nel corso di pratiche mediche o chirurgiche. Può avvenire per introduzione di patogeni mediante strumentazione non sterile (chirurgia in assenza di asepsi, tatuaggi), oppure farmaci o vaccini accidentalmente contaminati da agenti patogeni. 1.2 I VIRUS I virus sono la particella effettiva più grande rispetto alle proteine prioniche. La scoperta del virus comincia a fine del 1800, quando viene identificato il primo virus, che è un virus vegetale ed è il mosaico del tabacco. Ha una forma a bastoncino molto allungato ed è formato da un acido nucleico al quale si agganciano delle proteine; questo acido nucleico spiralizza e forma questo bastoncello. Quindi ogni proteina crea un guscio protettivo, dando così il nome di capsomero (al bastoncello). Iniziò tutto pensando che fosse una proteina, in realtà poi hanno visto che bastava filtrare la linfa, la quale restava infettata. Da qui il nome virus, che propriamente significa veleno. Dopo ciò furono scoperti i primi virus animali, i batteriofagi (=virus dei batteri) e i virus parassiti obbligati (devono per forza trovare un ospite per riprodursi). Nel 1880 circa c’era il problema della febbre gialla, poiché c’erano degli insetti che facevano da untore, ovvero che trasportano il virus; quindi, si parla di infezione zoonotica (=infezione o malattia che può essere trasmessa direttamente o indirettamente tra gli animali e l'uomo). Nel 1932 si capisce che la febbre gialla era causata da un virus e che veniva trasmessa da un insetto, il quale riesce a portare l’agente infettivo; quindi, riescono a eliminare le zanzare e ad aprire il canale il canale di Panama. I virus sono “agenti filtrabili” (18-300 nm) e dipendono completamente dall’ospite per la loro diffusione e replicazione; se le condizioni non sono idonee muore. Questo succede perché se si rompe la struttura proteica che porta in giro l’acido nucleico del virus, il Dna o l’RNA esposto alla luce (e quindi agli ultravioletti) muore, si distrugge, si degrada. Un virione è una particella virale formata da genoma (Dna o RNA, mai compresenti), involucro (di natura proteica) e proteine essenziali (possono anche non esserci). Ha un involucro chiamato capside e una membrana pericapsidica, i quali hanno la funzione di protezione del genoma e diffusione, perché la facilitano e le conferiscono specificità. La facilitano perché la proteggono dai meccanismi di fagocitosi e a volte vien facilitato lo scivolamento del virione sulle superfici. 3 I virus possono essere: Nudi: sono la struttura base, acido nucleico + capside, che è la struttura estera che riveste l’acido nucleico ed è formato da capsomeri che possono essere tutti uguali o diversi. Rivestiti: qui ritroviamo la struttura base, con, in aggiunta, un envelope, una membrana esterna che ricopre ulteriormente il capside e fa si che il virus si “nasconda” di più dalle cellule del sistema immunitario e lo protegge ulteriormente, perché l’envelope è spesso parte della membrana cellulare della cellula che ha fatto replicare il virus. Il primo virus che attacca i batteri che è stato scoperto si chiama batteriofago. La prima immagine a microscopio che abbiamo di virus è proprio la sua: si riconosce la testa, costituita da capsomeri e sede dell’acido nucleico, poi c’è il collare, che con il tubo del core serve nella fase di iniezione di acido nucleico nella cellula che viene agganciata dal virus. Il virus viaggia all’interno del liquido in cui si trovano i batteri quando arriva alla superficie batterica si attiva un meccanismo per il quale le zampette si piegano e quando queste si piegano, fuoriescono le spine della coda. Queste spine forano la superficie dei batteri e questo favorisce l’iniezione del genoma. Dopodiché la testa si svuota. I virus possono essere classificati secondo il genoma, quindi essere a DNA o a RNA. La classificazione più nuova è quella chiamata classificazione di Baltimore, che suddivide i virus in 7 classi. Il DNA e l’RNA possono essere: singolo filamento; doppio filamento; lineare; circolare. L’RNA può essere: A strand positivo: è come il nostro RNA messaggero, ovvero va nei ribosomi e questi lo traducono direttamente in proteina. A strand negativo: necessita di una RNA polimerasi RNA-dipendente che crea una coppia; quindi, dal negativo ottengo il positivo e poi il positivo va direttamente dai ribosomi. Retrovirus: necessitano di tornare indietro, di tornare alla molecola di Dna. Il virus deve fare in modo che il suo RNA assomigli il più possibile a quello umano, quindi fa una retro-trascrittasi, cioè un enzima trascrive l’RNA al contrario. Il DNA viene poi copiato e trascritto da una polimerasi centrale, che non si accorge che è un DNA virale. I virus nudi sono più resistenti all’essicamento rispetto ai virus rivestiti perché i virus rivestiti hanno la membrana, ovvero un rivestimento, fatta di lipidi e i lipidi sono soggetti ad essicamento. Per questo motivo i virus nudi sono più difficili da rimuovere dalle superfici e conservano l’infettività per tempi più lunghi, poiché agganciano l’ospite e gli iniettano il proprio codice genetico. La trasmissione di questi virus può avvenire anche senza contatto diretto e, generalmente, vengono rilasciati dalla cellula per lisi (= spaccano la membrana della cellula dell’ospite). 4 I virus rivestiti conservano la loro infettività solo se è conservata l’integrità del pericapside. Hanno necessità di avere una quota di acqua nell’ambiente in cui si trovano; quindi, vengono trasmessi in soluzioni acquose e in condizioni di alta umidità. Sono più fragili dei virus nudi e sono trasmissibili attraverso i fluidi corporei. Possono essere trasmessi per lisi o per gemmazione, cioè si formano delle “bollicine” sulla membrana della cellula che ne ha determinato l’infezione. 1.2.1 Classificazione dei virus I virus posso essere classificati non solo secondo DNA o RNA, bensì anche sulla base: delle loro dimensioni; della loro morfologia; della presenza o assenza di membrana pericapsidica; del genoma; della sede della replicazione; dell’ospite; del tropismo: dipende dalla presenza di recettori che vengono riconosciuti; della patologia; del veicolo. 1.2.2 Replicazione dei virus È suddivisa in fasi: 1. Adsorbimento: fase di aggancio del virus sulla membrana della cellula. 2. Penetrazione e decapsulazione: ingresso del virus. La decapsulazione avviene solo se un virus è nudo: a volte il virus resta sulla superficie, dove libera il suo acido nucleico. I virus con envelope fondono la membrana del pericapside con quella della cellula o, dopo endocitosi, con una vescicola chiamata endosoma. 3. Esposizione (uncoating): viene liberato il DNA. 4. Biosintesi: distinta in veloce e tardiva. È la sintesi delle molecole che servono immediatamente per la replicazione del virus, per esempio la polimerasi virale. Quello che servirà dopo saranno le proteine di tipo strutturale che servono per creare il capside del virus. 5. Rilascio per: Lisi: la cellula esplode e fuoriescono i virioni; Esocitosi: si formano vescicole e il virus esce tramite queste; successivamente le stesse si fondono con la membrana, rilasciando così le cellule virali; Gemmazione: si formano queste goccioline di membrana cellulare, il virus esce portandosi via la membrana della cellula che l’ha prodotto. 6. Fuoriuscita dalla cellula. La cellula ospite fornisce tutto il necessario al virus, soprattutto i ribosomi, l’apparato di Golgi e il reticolo endoplasmatico, poiché avrà bisogno che le sue proteine seguano un folding preciso, cioè si pieghino correttamente. Il virus che il nostro corpo produrrà sarà diverso da quello che ci ha infettati, poiché le sue polimerasi sbagliano molto più di quelle delle nostre cellule; noi abbiamo la necessità di restare invariati nel tempo; infatti, la nostra polimerasi svolge un’attività di controllo e correzione (ad esempio: proof-reading). I virus, invece, non hanno sistemi di correzione per due motivi: Sono particelle piccole e devono mantenere un genoma piccolo. Se il virus non muta, il virus non resiste. Ad esempio, se il virus Sars-CoV-2 non fosse mutato, con il lockdown sarebbe morto subito; se invece è in grado di mutare e di adattarsi all’organismo il virus riesce a restare molto tempo, a diffondere e anche a fare il salto di specie o spillover, cioè a forza di 5 mutare, riesce a trovare il modo di passare da un animale all’altro (Sars-Cov-2 è passato dai pipistrelli all’uomo). I virus con l’envelope entrano e fondono la loro membrana con quella della cellula dell’ospite, poi entra il capside, che si rompe e viene rilasciato il genoma oppure rientrano per esocitosi, si crea una vescicola che è l’endosoma, il quale si rompe, viene quindi eliminato anche l’envelope virale e, quindi, a questo punto, si va a rompere il capside e viene liberato il genoma. Se ho virus nudi si legano ai recettori che si trovano sulla membrana cellulare, entrano e si formano delle vescicole, abbiamo un endosoma con liberazione poi del genoma. I picornavirus fanno una cosa chiamata viropessi: i picorna sono virus nudi che entrano usando un meccanismo endocitotico; quindi, si formano delle vescicole di endocitosi, ma l’endocitosi è mediata dal riconoscimento di un recettore specifico che si torva sulla cellula dell’ospite. I virus sono classificati anche secondo la loro organizzazione e secondo dove vanno a replicare. A parità, i virus a DNA possono esserci virus che devono replicare nel nucleo o quelli che vanno a replicare nel citoplasma e questo ne determinerà alterazioni cellulari differenti. 1.2.3 Ciclo replicativo virale È caratterizzato da un periodo latente e un periodo in cui la quantità di virioni aumenta notevolmente. Nella fase latente, prendendo come esempio il Sars-Cov-2, è quel periodo in cui si fa il tampone, il quale risulta negativo, nonostante l’individuo sia già stato infettato; quindi, c’è poco virus in circolo e potenzialmente è difficile contagiare qualcun altro. In questa fase il virus deve entrare nelle cellule e iniziare a replicare. C’è dunque questa fase esponenziale in cui aumenta il viral load (=carica virale), che poi raggiungerà un punto di soglia e cronicizza, ovvero resta così, oppure può andare in contro alla clearance, ovvero viene eliminato totalmente dal nostro sistema immunitario. Abbiamo quindi una trascrizione precoce di una parte del genoma che serve immediatamente; quindi, quegli enzimi che servono per far riprodurre velocemente l’RNA, ad esempio: una retro trascrittasi nei retrovirus, dove il virus a RNA necessita di un passaggio a DNA per integrarsi (come l’HIV), in quel caso il virus ha con sé, all’interno del virione, due molecole di retro trascrittasi che devono essere attive subito, in modo da copiare l’RNA del virus in una forma di DNA supplementare, e quindi salvare il genoma virale che altrimenti verrebbe distrutto. Ci sono dei geni che servono subito e dei geni che servono dopo: i geni precoci sono quei geni che vengono trascritti e tradotti immediatamente; quelli che servono dopo sono quelli che servono alla fine del ciclo replicativo, come le proteine strutturali, quelle dell’envelope. Una cosa molto importante è che il virus riesce a fare in modo che l’mRNA virale, anche se è stato prodotto dalla cellula, lega con maggiore efficienza i ribosomi cellulari; quindi, il virus fa in modo che la sintesi cellulare rallenti, cioè la normale produzione di proteine delle cellule rallenta per fare in modo che venga aumentata quella del virus. Le strategie che il virus può utilizzare per fare questo sono diverse: sono dipendenti dal sito di replicazione perché se il virus replica nel nucleo, dal nucleo poi deve passare nel citoplasma attraverso i pori nucleari. Struttura del genoma: se è a DNA o a RNA, se è a strand positivo o negativo. I passaggi delle sintesi macromolecolari dipendono dalla struttura del genoma, se è a DNA o a RNA. 6 Si può notare dall’immagine la classificazione di Baltimore: Gruppo 1: double strand DNA (+/-) Gruppo 2: single strand DNA (+) Gruppo 3: double strand RNA (+/-) Gruppo 4: single strand RNA (+) Gruppo 5: single strand RNA (-) Gruppo 6: single strand RNA (+) Gruppo 7: double strand DNA (+/-) I virus a RNA con l’RNA a doppio filamento sono dei frammenti di RNA che si uniscono per le estremità. Oltretutto, essendo a doppio strand, posso avere dei geni che vengono codificati sullo strand positivo o sullo strand negativo, posso avere una lettura sul filamento positivo e una lettura slittata sul filamento negativo. Posso avere il gene che si chiama APH e leggerlo sul filamento positivo, mentre su quello negativo la lettura slitta ogni 3 nucleotidi. Lo strand negativo fa in modo in modo che su centoventi basi ne ho 4-5, 2 sullo strand positivo e 2 sullo strand negativo. Questa doppia lettura permette ai virus di avere molti più geni in uno spazio ristretto, perché se sullo strand positivo leggo di 3 in 3 partendo da uno (1-2-3), sullo strand negativo leggo sempre di 3 in 3, ma partendo da due (2-3-1). A seconda del genoma il virus adotta strategie diverse per rubare i ribosomi alla cellula. I virus positivi creano delle poliproteine, ovvero una proteina lunghissima formata da proteine diverse attaccate l’una all’altra; se sono una attaccata all’altra significa che avrò un mRNA unico lunghissimo; quindi, avrò un unico mRNA per 10 proteine e non 10 mRNA per 10 proteine. Un RNA occupa un ribosoma, mentre 10 RNA occupano 10 ribosomi; perciò, al virus converrà avere un RNA unico, sceglierà un ribosoma e quello codificherà per 10 proteine. La poliproteina verrà poi tagliata nel numero di proteine da cui è formata (se formata da 10 proteine verrà tagliata in 10 pezzi). I virus a DNA e RNAss- usano più poliproteine. Viene scelto il virus con genoma segmentato, ovvero non c’è un solo filamento genomico, ma più di uno; questo significa avere molte più trascrizioni in contemporanea. Vengono prodotti tantissimi mRNA virali, i quali saranno molto di più rispetto all’mRNA della cellula, quindi, a livello probabilistico ho più possibilità che i ribosomi vadano a codifica mRNA virali. Il virus blocca la fuoriuscita dal nucleo degli mRNA perché la cellula produce l’mRNA nel nucleo, l’mRNA deve arrivare sui ribosomi che sono nel citoplasma, se il virus blocca la fuoriuscita dal nucleo i ribosomi sono tutti virali. 7 Vengono prodotte delle molecole interferenti che sono i micro-RNA (miRNA). Sono molecole molto piccole di RNA che riconoscono specifici geni, si agganciano e determinano, tramite vari tipi di meccanismo, la degradazione, ovvero la distruzione, degli mRNA messaggeri della cellula Il virus produce delle proteine che si attaccano ai ribosomi e fa in modo che quando arriva mRNA cellulare il ribosoma non lo riconosca. La fase finale è quella dell’assemblaggio del virione. L’assemblaggio avviene in modo autonomo e inizia nel momento in cui è tutto pronto; quindi, devono esserci tante coppie di genoma, tante proteine di struttura (capsomeri), poiché l’assemblaggio comincia quando la concentrazione di queste ultime è corretta. A volte sono necessari anche degli enzimi già pronti all’interno del core, cioè del capside, e devono essere presenti anche delle proteine che servono per l’infezione. Quindi, una volta che è tutto pronto il virus si auto assembla, il dove, però, dipende dal virus, da dove si replica, dal suo genoma. La fase di fuoriuscita del virus può avvenire per: Lisi Esocitosi Gemmazione: può avvenire a livello della membrana o del reticolo endoplasmatico. La trasmissione può essere di tipo verticale (da madre a figlio), ma si può avere anche la diffusione cell to cell tramite ponte citoplasmatico, che è il meccanismo che usano i batteri per fare lo scambio genico. I virus possono adottare un ciclo di tipo litico o lisogeno. Non tutti possono fare questa scelta e c’è la conversione da litico a lisogeno, a seconda dell’ambiente: se l’ambiente è favorevole il virus adotta un ciclo di tipo litico, mentre se l’ambiente non è favorevole adotta un ciclo di tipo lisogeno, cioè il virus entra, si integra nel DNA dell’ospite, resta lì buono e nel momento in cui l’ambiente esterno è favorevole fuoriesce. Il classico esempio è l’herpes, che insorge nel cambio di stagione, in un periodo di stress, cambio di temperatura, ecc.… La replicazione dei retrovirus necessita delle retro- trascrittasi. Il retrovirus trova il recettore, entra nella membrana, viene liberato l’RNA, c’è la retro- trascrittasi, che è un enzima del virus che serve per fare in modo che l’RNA del virus venga retro trascritto a DNA, il quale prende il nome di cDNA (DNA complementare alla molecola di RNA). Quest’ultimo viene creato in doppio filamento, viene portato nel nucleo e l’integrasi (enzima del virus) si inserisce nel DNA della cellula ospite, facendo sì che venga aggiunto il DNA del virus. A questo punto nel DNA dell’ospite troviamo il DNA virale che, quando arriva la polimerasi, trascrive il DNA della cellula e anche quello del virus. Viene prodotto l’RNA che avrà il cappuccio a 5’ e la coda 8 di polimerasi e che verrà copiato molte volte e con quello saranno le prodotte le proteine del capside e la retro-trascrittasi, che deve essere già presente nel virione. Nei casi di HIV il tutto arriva vicino alla membrana e si ha poi gemmazione. La polimerasi virale è un po’ “distratta” rispetto a quella umana: introduce molte mutazioni che servono al virus per desistere e per adattarsi. Il virus iniziale incassa molte mutazioni, le quali possono essere positive o negative per il virus: le mutazioni che inducono una maggior aggressività del virus, facilmente saranno mutazioni abolitive, nel senso che il soggetto muore subito, non è in grado di trasmetterlo o viene trasmesso molto poco; quelle che creano una forma virale più blanda, sono in grado di causare una patologia più grave, saranno quelle che facilmente verranno portate avanti; quindi, in un soggetto potremmo trovare genomi virali diversi, perché a ogni replicazione vengono inserite mutazioni diverse in maniera casuale. Non tutte le particelle virali prodotte sono infettive: se viene prodotta una particella virale che ha preso, ad esempio, 2mila paia di basi su 30mila, il virus è “zoppo”; quindi, il virus potrebbe non essere in grado di infettare. Il rapporto tra i virioni totali e i virioni funzionali generalmente può arrivare fino ad un massimo di 104; questo vuol dire che i virioni funzionali sono pochi rispetto a quelli totali. Generalmente un virus a RNA muta di più proprio perché l’RNA è una molecola più labile e quindi più in grado di mutare, ha un mutation rate più elevato; l’RNA contiene l’uracile, che muta molto di più rispetto alla timina del DNA. In un soggetto in cui ho più varianti dello stesso genoma virale, si può parlare di fattispecie, perché il virus può interessare tante mutazioni, tanto che sembra quasi una specie diversa; quindi, ho un soggetto che può produrre tantissime varianti. DEFINIZIONI IMPORTANTI: PATOGENO: microrganismo in grado di invadere l’organismo causando malattia (la minoranza). MALATTIA DA INFEZIONE: malattia causata dal contatto con il patogeno (contaminazione) che è sopravvissuto e si è moltiplicato (processo infettivo). INFEZIONE: crescita della popolazione microbica sulla superficie. Indispensabile per la malattia infettiva, ma non sufficiente. CONTAMINAZIONE: interazione tra ospite e parassita. PATOGENICITÀ: capacità di un microrganismo di causare un danno nell’ospite. L’instaurarsi della patologia dipende dalla patogenicità e dalle caratteristiche dell’ospite! PARASSITI: microrganismi dannosi per l’uomo. COMMENSALI: microrganismi che ricavano vantaggi senza crearne all’ospite o causare danni. SPETTRO D’OSPITE: organismo o cellula che può essere infettato da quel virus. CELLULA SUSCETTIBILE: cellula che presenta i recettori riconosciuti dalle proteine di membrana del virus (infettabile). CELLULA PERMISSIVA: infettata e che permette la trascrizione e la sintesi virale. INFEZIONE PRODUTTIVA: ottengo progenie virale attiva (c. permissive). INFEZIONE ABORTIVA: ottengo solo alcune proteine virali (virus difettivo o cellula non permissiva). 9 2.0 I BATTERI I batteri sono procarioti, visibili al microscopio e si aggirano come dimensioni sui micrometri. Sono unicellulari e li possiamo trovare a formare delle colonie. Differenze principali tra eucarioti e procarioti In generale, nella cellula procariote mancano tutti gli organelli racchiusi in una membrana (i ribosomi non sono organelli racchiusi da membrana). L’acido nucleico lo si trova principalmente condensato in una regione della cellula batterica definita nucleoide, il tutto disperso all’interno del citoplasma dove troviamo anche i ribosomi e poi troviamo una membrana citoplasmatica e la parete cellulare, che serve a conferire resistenza, a mantenere l’osmolarità e a mantenere la forma del batterio. La classificazione dei batteri può avvenire sulla base di: forma raggruppamento: se li troviamo singoli, raggruppati a 2, a 4, piuttosto che in un’unica catena; l’aspetto macroscopico delle colonie; caratteristiche di crescita: come crescono, se hanno bisogno di particolari condizioni; caratteristiche metaboliche; caratteristiche di antigenicità (sierotipizzazione): utile in ambito di diagnostica, è data dalle proteine che troviamo in superficie; il genotipo: il loro assetto genomico, i geni contenuti, la resistenza, la capacità a produrre tossine. Classificazione in base alla forma e al raggruppamento: 10 I cocchi: se sono a 2 sono diplococchi, se abbiamo una catena sono streptococchi, tetradi se sono a 4, sarcine se sono a 8, a grappolo sono stafilococchi; I bacilli: i coccobacilli che sono bacilli arrotondati alle estremità, i diplobacilli se sono a 2 e streptobacilli se sono disposti a catena. La forma microscopica è importantissima per una prima classificazione, quindi quando arriva un campione per il quale si sospetta un’infezione di tipo batterico se è possibile viene effettuato un vetrino. Classificazione in base alla forma: Classificazione in base alle colonie: Nel citoplasma dei batteri troviamo: DNA cromosomale e DNA extracromosomale, quindi il DNA plasmidico, in questo caso a doppio filamento e circolare; Granuli di riserva (glicogeno, polifosfati, solfuro…): il batterio non sempre si trova in ottime condizioni per poter sopravvivere, e questi granuli di riserva servono per fare in m odo che nel momento in cui dovesse mancare una sostanza essenziale loro l’abbiano di riserva; Alcuni hanno più di un cromosoma (vibrio cholerae); 11 Cromosoma di 1 mm (impacchettato); Replicazione bidirezionale (2 forche replicative); L’mRNA è policistronico: significa che contiene più geni, che deriva dalla trascrizione di più geni assieme; Assenza di strutture membranose (Golgi o RE) Formazione di polisomi: nei batteri non abbiamo una suddivisione dei luoghi in cui avviene la trascrizione e la traduzione, proprio perché manca la membrana nucleare, quindi queste avvengono nello stesso luogo, nel citoplasma, ciò vuol dire anche che molto spesso avvengono in contemporanea. Nello stesso memento in cui viene prodotta la molecola di mRNA, i ribosomi che si trovano liberi nel citoplasma (appunto perché non abbiamo RER) si agganciano alla molecola di mRNA e iniziano immediatamente a tradurre, e si avrà questo passaggio dal gene alla proteina nello stesso luogo e nello stesso momento, e quindi si troveranno più ribosomi in contemporanea sullo stesso mRNA, per questo si chiamano polisomi; La membrana citoplasmatica: Non contiene steroli ma opanoidi e proteine non glicosilate (manca il Golgi, quindi, non c’è glicosilazione); È una barriera di permeabilità e previene le dispersioni; È importante per la bioenergetica, il trasporto, la sintesi del peptidoglicano (che servirà per la classificazione dei batteri), trasduzione dei segnali ambientali; Divisione cellulare: ci sono delle zone chiamate mesosomi che sono queste invaginazioni all’interno della cellula importanti nel momento della divisione cellulare, cioè quando le due molecole di DNA all’origine della replicazione vengono spostate ai poli estremi della cellula batterica e inizia a formarsi il setto, che è diretta dai mesosomi. La parete cellulare: È un involucro rigido che circonda la membrana citoplasmatica, ma che manca nei micobatteri; Conferisce rigidità, forma e protezione meccanica; Contribuisce alla specificità antigenica, perché la specificità ce l’ho sulla porzione più esterna della cellula batterica; Può essere causa di attività pirogenica, quindi può causare la febbre; Può andare ad interferire con la fagocitosi Consente la suddivisione dei batteri in Gram+ (positivi) e Gram- (negativi). 2.1 LA SUDDIVISIONE DI GRAM 12 La suddivisione di Gram per colorazione permette di suddividere i batteri in Gram+ e Gram- a seconda del fatto che questi batteri riescano a trattenere la colorazione violetta o che invece non la trattengano, e il trattenimento maggiore o minore è dato dallo spessore del peptidoglicano. La struttura è sempre data dalla presenza della membrana plasmatica e dalla presenza del periplasma, che non è altro che lo spazio tra la membrana plasmatica e lo strato di peptidoglicano. Sia i Gram+ che i Gram- presentano il peptidoglicano, l’unica differenza è lo spessore. I Gram- sono caratterizzati dalla presenza del lipopolisaccaride (LPS), che non troviamo nei Gram+, che caratterizza la membrana esterna. Nella porzione della membrana esterna si trovano delle proteine, dette porine, che costituiscono dei canali utili a permettere il passaggio di sostanze dall’interno verso l’esterno. 13 Le fasi della colorazione Gram Fase 1: prevede la colorazione con il cristal-violetto; Fase 2: vengono messi a contatto i batteri con una soluzione iodio-iodurata; Fase 3: avviene la decolorazione, in cui i Gram- perdono il cristal-violetto perché non sono in grado di trattenerlo; Fase 4: colorazione con il rosso safranina, che permette di visualizzare i Gram-. Il peptidoglicano è un glican-tetrapeptide caratterizzato da 4 peptidi; queste catene di 4 amminoacidi si legano tra il 3° e il 1°, quindi si formano delle reti di peptidoglicano che vengono tenute insieme da degli enzimi (transpeptidasi, transglicosilasi D-carbossipeptidasi). Degli antibiotici (penicillina e b-lattamici) vanno. distruggere questi enzimi e quindi riescono ad impedire la formazione del peptidoglicano. Il peptidoglicano si forma a partire dalla membrana dei batteri, e a mano a mano che si forma questo polimero viene portato esternamente in parete. LPS (lipopolisaccaride) Lo troviamo nei Gram- ma non nei Gram+, e si può suddividere in 3 porzioni. Andando dall’interno verso l’esterno abbiamo: Lipide A: è una porzione lipidica che troviamo agganciata alla membrana e funziona come endotossina batterica, idrofobico; Core polisaccaridico: porzione comune a tutte le molecole di LPS e idrofila; Polisaccaride o-specifico: permette la distinzione tra i batteri, definita antigene-o, è un polimero specifico per la specie e per il ceppo; quindi, permetterà di distinguere e classificare al meglio i batteri Gram-, ha effetto sull’attività pirogena (può scatenare la febbre), porta a forti risposte nell’ospite ed in concentrazioni molto elevate può portare addirittura alla morte del soggetto. 2.3 MICOBATTERI Parete cellulare I micobatteri non hanno il peptidoglicano, ma hanno una parete che è costituita principalmente da cere, glicolipidi e glicoproteine. La colorazione dei micobatteri (se utilizzo una colorazione di Gram) non sarà efficace quindi non saranno visibili, perché appunto non hanno il peptidoglicano, quindi devo utilizzare un’altra colorazione, la Ziehl-Neelsen, che mette in evidenza la caratteristica di questi batteri che sono acido-resistenti; quindi, la colorazione darà un risultato azzurrino e violetto. Sono molto più resistenti ad alcuni disinfettanti e ad alcuni antibiotici, in più avendo una parete così particolare, oppongono resistenza ai meccanismi fagocitotici del nostro sistema immunitario, quindi, sono più difficili da sconfiggere per l’organismo ma anche da eliminare dall’ambiente. La parete cellulare è ricca di lipidi (acidi micolici e arabinogalattani). I lipidi conferiscono proprietà di: 14 acido resistenza; lenta crescita; resistenza ai detergenti; resistenza ai comuni disinfettanti; antigenicità Capsula Ancora più esternamente troviamo la capsula, che può essere presente come no e ciò dipende dal fatto che questi batteri siano in grado di produrla. La troviamo ovviamente all’esterno della parete, conferisce maggior protezione e aiuta anche nella fase di adesione del patogeno e quindi è un fattore di virulenza. Può essere prodotta o non prodotta e questo dipende da fattori genetici e ambientali. La si può suddividere in 3 strati: lo strato S: che funge da filtro molecolare; capsula propriamente detta (di natura peptidica): evita l’essicamento, favorisce l’adesione cellula- cellula e cellula-substrato, è fattore di virulenza e riduce l’attrito, cioè facilita la fase di scivolamento del microorganismo facendo in modo di aumentare anche la sua disseminazione; lo strato mucoso: serve per catturare gli antibiotici ed evitare che entrino nella cellula. Fimbrie e flagelli I micobatteri si muovono attraverso fimbrie o flagelli. I flagelli sono delle strutture molto allungate e poco numerose, mentre le fimbrie sono in numero maggiore ma più corte e ricoprono quasi interamente il microorganismo che le produce. In base a dove si trovano i flagelli, posso classificare il microorganismo come: monotrico: con un solo flagello; lofotrico: con più flagelli ad un’estremità; anfitrico: con due flagelli, uno ad ogni estremità; peritrico: se li trovo su tutta la superficie. La struttura dei flagelli si ancora alla membrana citoplasmatica, attraversa il peptidoglicano e il periplasma, e poi fuoriesce questo filamento composto principalmente da flagellina, che per i batteri Gram- costituisce antigene-H. 15 Biofilm Alcuni batteri possono produrre biofilm, e in genere viene prodotto in tempo molto lunghi, anche anni. Il biofilm (o biopellicola, slime, microfouling) viene prodotto quando i batteri hanno colonizzato una superficie, è una sostanza tipo colla che facilita l’adesione di altri batteri della stessa specie e li protegge. I batteri sono quindi protetti dal sistema immunitario e da altri batteri, e possono continuare a riprodursi. Ad un certo punto il numero di batteri aumenta continuamente fino a quando il biofilm non viene considerato maturo, ed inizia la disseminazione dei batteri (alcuni batteri si distaccano dal biofilm ed iniziano ad andare a diffondere) 16 Esempi: Spore In alcuni casi, nei Gram+, quando l’ambiente è sfavorevole (pochi nutrienti, temperature non idonee) i batteri passano dallo stato vegetativo allo stato quiescente, con la produzione della spora. La spora è importante perché resiste alle condizioni sfavorevoli, anche per secoli. Quando poi le condizioni risulteranno idonee avremmo la fase di germinazione. Fase in cui si forma la spora: sporulazione; Fase in cui la spora si chiude e si ritorna all’organismo vegetativo: germinazione. È una struttura multi-stratificata, perché deve permettere la resistenza e deve mantenere i nutrienti che ha immagazzinato fino a quel momento. La struttura della spora è costituita da: una parte centrale in cui si trova il DNA del batterio, il peptidoglicano, la membrana plasmatica e il citoplasma; lo strato di cortex; esternamente due tuniche, una esterna e una interna. 17 La sporulazione e la germinazione (non chiede le fasi, vuole solo che le vediamo) sporulazione germinazione Classificazione delle spore: In base a forma: sferica (Clostridium spp); ellittica (Bacillus spp). In base a dimensioni: diametro superiore (C. tetani); diametro inferiore (B. anthracis). In base alla posizione: terminale o sub-terminale (Clostridium spp); centrale o para-centrale (Bacillus spp); laterale (rara). Caratteristiche delle spore: Elevata termoresistenza, resistono ad ebollizione 100°C, ma vengono inattivate in autoclave 121°C; Elevata resistenza ad antibiotici e disinfettanti; Sopravvivono per molti anni nel terreno e su oggetti inanimati; quindi, ferite infettate da terra possono essere infettate con spore; Sono metabolicamente quiescenti, quindi gli antibiotici sono inefficaci; Si formano soltanto in carena di nutrienti, quindi si avrà sporogenesi quando i fattori necrotici limitano l’accesso ai nutrienti (gangrena); Sopravvivono in ambiente acido. 2.4 REPLICAZIONE BATTERICA La replicazione batterica avviene per scissione binaria con crescita esponenziale (da 2 a 4, da 4 a 8... ). 18 I batteri si possono anche classificare in base a dove è collocato il setto che si forma durante la scissione binaria, e anche sulla base del tempo di replicazione, che può variare da un minimo di 20 minuti a giorni (dipende dalla specie e dalle condizioni ambientali). La crescita della popolazione dipende dalla sintesi del peptidoglicano. I batteri producono gli enzimi importanti per trasportare i precursori del peptidoglicano sintetizzati e anche per la loro degradazione, nel senso che favoriscono un ricambio del peptidoglicano sulla parete cellulare. Questi enzimi sono il bactoprenolo, che trasporta i precursori e le autolisine, che sintetizzano e degradano. Le fasi della replicazione: 1. Fase di latenza: utile ai batteri per adattarsi all’ambiente e recuperare tutti i nutrienti di cui hanno bisogno; 2. Fase esponenziale di crescita dei batteri (tanti nutrienti e una popolazione ridotta); 3. Fase stazionaria: in questa fase si hanno batteri che muoiono e batteri nuovi (equilibrio tra popolazione che nasce e nutrienti); 4. Fase di morte: tutti i batteri iniziano ad avere “svuotato” l’ambiente in cui vivono dalle sostanze nutritive; quindi, faranno più fatica a replicarsi e sarà maggiore la quota di batteri che muore rispetto a quella che si moltiplica e di conseguenza la nascita di nuovi batteri (aumenta la concentrazione di sostanze di scarto e diminuiscono i nutrienti). I batteri per la replicazione necessitano di: Ferro (siderofori); Acqua, azoto, carbonio, lipidi, energia, aria; Alcuni sono aerobi obbligati e altri anaerobi obbligati, quindi è importante la presenza o assenza di ossigeno; In base al metabolismo possiamo distinguere i batteri come autotrofi, eterotrofi, chemiotrofi e fototrofi; quindi, varia anche la modalità con cui questi producono energia. 2.5 GENETICA BATTERICA I batteri si scambiano materiale genetico attraverso: Coniugazione: trasferimento diretto da un batterio all’altro; Trasformazione: cattura del DNA dall’ambiente esterno; Trasduzione: passaggio di geni batterici mediato da virus; Infezione virale: provoca integrazione di acidi nucleici virali; Trasferimento di trasposoni: ovvero segmenti di DNA dotati della capacità di spostarsi in autonomia. 19 Importante per la replicazione dei batteri è la presenza di plasmidi, che vengono classificati sulla base delle funzioni aggiuntive che la cellula acquisisce dopo l’acquisizione dei plasmidi. Possono essere classificati in: Degradativi, che contengono dei geni all’interno per degradare le sostanze tossiche; Col, contengono dei geni che codificano per le colicine, ovvero tossine che servono per uccidere altri batteri; Della virulenza, che riescono a trasformare l’ospite in patogeno; F, che consentono lo scambio di materiale genetico; R, che conferiscono resistenza ad alcuni antibiotici. Scambio del materiale genetico − Coniugazione: ci sono dei batteri, chiamati cellule F+ che contengono il plasmide F (donatori), e delle cellule F- che non contengono il plasmide F (riceventi). Le cellule F+ sono caratterizzate sulla loro superficie completamente ricoperta da ciglia, che ad un certo punto prendono contatto con un batterio F-, che invece ha la parete liscia. Si induce un ponte citoplasmatico a partire da una di queste fimbrie che aggancia la cellula batterica e la mette in comunicazione. Una volta che è avvenuto l’aggancio, si rompe un filamento del plasmide e in contemporanea parte la sua replicazione; quindi, un filamento del plasmide si srotola e inizia a passare attraverso il ponte citoplasmatico nell’altra cellula (ricevente). A mano a mano che si srotola parte la replicazione, perché abbiamo un filamento interno che fa da stampo a quello esterno. Il DNA passa nella cellula F-, nel momento in cui entra nella cellula inizia anche in questo caso la copia del filamento con la direzione opposta, circolarizza, e quindi poi troveremo che nella cellula inizialmente F+ avremo un nuovo filamento che completa il doppio filamento del plasmide, nella cellula F- avremo un filamento che deriva dalla cellula F+ e un filamento nuovo che ha sintetizzato lei sulla base dello stampo. A questo punto la cellula inizialmente F- contiene anche lei una copia del plasmide F e produrrà anche lei tutte le fimbrie in superficie, e diventando F+ potrà contattare altre cellule F- e ricominciare il ciclo. 20 − Trasformazione: ci sono delle cellule batteriche, definite cellule competenti, che hanno sulla loro superficie un recettore chiamato fattore di competenza che è in grado di agganciare molecole di DNA che si trovano nell’ambiente in cui si trova il batterio. Queste molecole vengono agganciate da questo fattore di competenza e il DNA estraneo verrà portato all’interno della cellula attraverso un canale. A questo punto la cellula batterica si troverà ad avere il suo genoma + i geni portato all’interno. La trasformazione viene usata con tecniche di ingegneria genetica: si utilizzano cellule con fattori di competenza per portare all’interno della cellula plasmidi creati in laboratorio. Elementi genici mobili: Plasmidi; Elementi fagici; Elementi trasponibili: − Sequenze di inserzione (Is) − Trasposoni (Tn) Isole di patogenicità o virulenza (gruppi di geni). − Trasduzione generalizzata: avviene ad opera di un’infezione virale, quindi un batteriofago, che attacca i batteri, viene quindi iniettato il DNA virale che determina l’inizio del ciclo litico ovvero la frammentazione del DNA della cellula batterica ma anche del DNA stesso del virus che l’ha attaccata. Il virus si replica e proprio nel momento in cui si replica potrà introdurre all’interno del proprio capside porzioni o del suo genoma virale o porzioni del genoma batterico, casualmente. Avrò quindi dei virus che andranno ad attaccare altre cellule batteriche portando con sé o il loro genoma o quello del batterio, e così avrò lo scambio di geni tra batteri. 21 − Trasduzione specializzata: avviene sempre nel momento in cui avviene l’infezione, ma il ciclo è lisogeno, non litico; quindi, il DNA del virus si integra nel DNA batterico (si aggancia all’interno del DNA batterico) e nel momento in cui avviene la frammentazione del DNA, questa produrrà frammenti misti con DNA batterico e virale, frammenti in cui ho solo DNA virale e frammenti in cui ho solo DNA batterico. Quindi quando avverrà l’infezione di altre cellule da parte del virus gli lascerà il suo DNA ma probabilmente anche il DNA della cellula batterica precedente. 22 Nel ciclo litico l'infezione di un batterio da parte del DNA virale porta direttamente alla moltiplicazione del virus e alla lisi della cellula ospite. Nel ciclo lisogeno un profago inattivo viene replicato come parte del cromosoma ospite. 3.0 I FUNGHI Sono organismi eucarioti, solo 200 sono patogeni per l’uomo; Sono generalmente aerobi o anaerobi facoltativi (possono vivere e crescere in presenza o in assenza di ossigeno); Generalmente immobili (unicellulari -> lieviti, pluricellulari -> muffe); Crescono bene con un pH basso di circa 5, con un basso contenuto di azoto e umidità, e resistono bene alla pressione osmotica (possono vivere in alte concentrazioni di sale e zuccheri); 23 La maggior parte causano le infezioni definite opportunistiche o nosocomiali in pazienti immunocompromessi o ricoverati. Classificazione dei funghi: avviene su base morfologica, sulla presenza e la forma delle spore, delle caratteristiche di crescita e sulla loro capacità degradativa. I funghi vengono classificati per: Morfologia; Spore (presenza e forma); Caratteristiche ultrastrutturali; Caratteristiche biochimiche; Caratteristiche molecolari; Capacità degradative. La struttura dei funghi è tipica della cellula eucariotica. I LIEVITI I lieviti sono unicellulari, le cellule sono anche definite blastospore e sono anaerobi facoltativi (in presenza di O2 vengono metabolizzati in H20 e CO2, in assenza di O2 abbiamo la fermentazione alcolica, quindi etanolo (EtOH) e CO2). Si riproducono per gemmazione o scissione come i batteri. LE MUFFE Le muffe sono organismi pluricellulari, costituiti da un micelio costituito da un insieme di filamenti detti ife. Le ife si accrescono velocemente e sulla loro parete sono presenti fibrille di chitina. 24 Il micelio può essere diviso in vegetativo, che si trova sulla base e ha funzioni di apportare i nutrienti, e aereo, che si trova sulla parte più superficiale e ha funzione replicativa. Le ife che formano il micelio possono essere suddivise in: Settate: in cui le cellule che le costituiscono sono poste una di seguito all’altra e sono separate da un setto di divisione completo; Parzialmente settate: in cui le singole cellule sono separate da setti di divisione parziale; Non settate: in cui le singole cellule mandano di un setto di divisione e quindi sono costituite da una massa citoplasmatica unica. Un’altra caratteristica che permette la distinzione è la forma degli elementi riproduttivi definiti conidi. Nel momento in cui vengono rilasciate le spore a partire dai conidi per gemmazione o per frammentazione si formano artroconidi. I FUNGHI DIMORFI I funghi si dividono in lieviti o muffe, ma esiste un gruppo in comune, definito dimorfo, che comprende delle specie di funghi che a seconda delle condizioni ambientali riescono a passare dalla condizione di muffa alla condizione di lievito e viceversa. LE SPORE Le spore vengono raggruppate in formazioni che morfologicamente ci permettono di distinguerle. MICOSI UMANE Le micosi da funghi vengono caratterizzate per tipo di tessuto e caratteristiche della specie fungina. A livello del tessuto vengono classificate in: Superficiali: colpiscono gli strati cornei più superficiali della pelle e annessi cutanei; (Muco)cutanee: colpiscono lo strato cheratinizzato della cute, annessi e mucose. I danni tissutali sono sintomatici con una risposta dell’ospite; Sottocutanee: colpiscono la cute e i tessuti sottocutanei più profondi (per inoculazione traumatica) ed hanno una risposta immunitaria rilevante. Sono micosi localizzate; Profonde: micosi che arrivano al polmone da cui si possono propagare per via ematica con una forte reazione immunitaria (micosi disseminate e micosi sistemiche); Opportunistiche: funghi commensali che diventano patogeni. 4.0 PARASSITI 25 I parassiti sono tutte le specie di protozoi ed elminti (vermi) che vivono a spese di un’altra per svolgere un’azione patogena. I protozoi danno infezione mentre gli elminti danno infestazione. Si può avere sviluppo della malattia con o senza sintomi. L’ospite può essere: Definitivo: quello in cui si ha la riproduzione del parassita; Intermedio: maturazione di forme infestanti che si trasmettono al definitivo; Terminale: dove si ha la forma infestante dei parassiti. La distribuzione geografia varia da specie a specie dei parassiti, e la diffusione dei parassiti dipende dal grado di igiene nonché dal grado di controllo che si ha sull’introduzione di alimenti. La localizzazione del parassita nell’ambiente e nell’organismo ospite dipende dal ciclo biologico, che deve essere conosciuto a pieno per il campionamento nel momento in cui il medico ha un sospetto clinico. Al parassita non conviene uccidere l’ospite e se lo dovesse fare sarebbe uno sbaglio, ed è un problema soprattutto per fragili e immunocompromessi. Protozoi Sono eucarioti monocellulari che si riproducono attraverso la riproduzione sessuata nell’ospite e asessuata all’esterno. La forma metabolicamente attiva viene chiamata trofozoite, e in alcuni casi possono creare delle cisti che li proteggono. Protozoi che possono creare patologie nell’uomo (non lo chiede): Elminti Sono vermi che fanno parte del regno Animalia, hanno un apparato digerente abbastanza sviluppato e sono caratterizzati da tessuti differenziati (possono essere formati da un sistema scheletrico di tipo idraulico, oppure da un tessuto muscolare). Si dividono in platelminti (cestodi e trematodi) e in nematodi. Il tipo di diagnosi avviene sulla morfologia del corpo dell’individuo adulto. Esempi: 26 − Cestodi Possono andare da pochi millimetri ad 1 metro, hanno un corpo piatto segmentato caratterizzato da una testa che viene chiamata scolice che presenta uncini e ventose per agganciarsi all’ospite. Il passaggio avviene da un ospite intermedio e viene ingerito da quello che sarà poi l’ospite definitivo e l’infestazione si ha per ingerimento delle uova. Il corpo viene chiamato strobilo ed è diviso in tanti segmenti detti proglottidi. Sono ermafroditi e se durante la rimozione viene rotto, i segmenti che rimangono possono riprodursi. − Trematodi Sono vermi piatti, più piccoli dei cestodi e vanno da pochi mm a pochi cm, hanno un corpo piatto non segmentato, e si agganciano alle mucose tramite le ventose che hanno sul loro corpo. L’apparato digerente è ben sviluppato e sono ermafroditi. Gli ospiti intermedi sono sempre molluschi di acqua dolce, e l’ospite definitivo si ha per ingestione o penetrazione transcutanea delle larve. − Nematodi Sono vermi visibili ad occhio nudo, non sono ermafroditi ma hanno due sessi separati. A livello anatomico sono circolari e appiattiti a livello della bocca e dell’ano, il corpo è attraversato da uno strato di muscolatura importante e all’interno racchiude un idroscheletro, che mantiene la forma e permette il movimento. L’infestazione dell’ospite umano avviene per via oro-fecale, attraverso l’ingestione delle uova, o per via transcutanea, anche senza la presenza di ferite. Sono localizzati nell’intestino e compiono i seguenti passaggi: intestino - mucosa - vasi - cuore - cervello/fegato/occhi/muscoli - polmoni. 4.0 MICROBIOTA Il microbiota è un insieme di microorganismi che occupano delle piccole nicchie del nostro corpo ed è caratterizzato da un determinato tipo di microrganismi e da determinate frequenze; quindi, se ho lo stesso microrganismo che costituisce più microbioti, non è detto che abbai la stessa frequenza, cioè che sia 27 rappresentato nella stessa percentuale rispetto al totale delle specie microbiche presenti o al totale delle unità microbiche presenti. Sono suddivisi in batteri buoni e batteri cattivi, dove quelli buoni costituiscono il microbiota; sono utilissimi perché servono per la produzione delle vitamine (B e K), per la degradazione di sostanze che da soli non siamo in grado di degradare. Hanno anche delle funzioni più importanti che sono: Funzioni metaboliche: Produzione di SCFAs Sintesi di vitamine e amminoacidi Trasformazione degli acidi biliari Fermentazione di substrati non digeribili e del muco Produzione di sostanze con azione antimicrobica Funzioni protettive: Resistenza alla colonizzazione da patogeni Competizione con i patogeni Attivazione del sistema immunitario Tolleranza verso i simbionti Funzioni trofiche e strutturali: Crescita e differenziazione di enterociti (=cellula epiteliale a livello dei villi intestinali) Strutturazione dello strato mucoso intestinale Sviluppo di villi e cripte intestinali Regolazione della vascolarizzazione dei villi Controllo della permeabilità attraverso le giunzioni serrate intestinali I microbioti ci accompagnano dalla nascita: nel momento in cui nasce un bambino viene ricoperto da testa a piedi da batteri che si trovano nell’aria, di cui alcuni rimarranno sulla cute, mentre altri no. Con il primo respiro viene inalata aria, quindi tutto l’albero respiratorio viene ricoperto dai batteri, che poi caratterizzano la sua flora batterica. Dalla prima ingestione di latte materno o latte in formula (=latte in polvere) avrà ingerito dei batteri. Il latte in formula viene preparato cercando di inattivare le salmonelle, quindi l’acqua calda a 70 gradi, però non è sterile; perciò, verranno ingeriti batteri in ogni caso. Chi viene allevato con latte in formula e non con latte materno, ha un microbiota che è un po’ più debole. 28 Viene stabilita una simbiosi con l’ospite umano, la quale viene suddivisa in: Resistente: questo tipo di flora sarà per sempre e ha degli effetti positivi sull’ospite. Transitoria: questo tipo di flora rimane per qualche giorno, qualche settimana, un mese al massimo e può essere sia positiva che negativa. Laddove la flora resistente sia in buono stato, quindi i rapporti di frequenza delle popolazioni vengano mantenuti, i batteri stiano bene, coprono tutta la nicchia, a quel punto la flora transitoria non darà danni, anche se potenzialmente potrebbe darli. Laddove possano esserci delle disbiosi a carico della flora resistente, quella transitoria si può infilare, creando appunto delle alterazioni. In condizioni particolari questi batteri possono arrivare a sopprimere dei fattori di virulenza, ovvero possono attivare l’attivazione di geni che si trovano presenti a livello dei plasmidi. Ogni distretto è caratterizzato dalla presenza di alcune specie microbiche che lo distinguono e caratterizzano rispetto agli altri distretti, perché le condizioni del pH e le condizioni dei nutrienti sono diverse, le condizioni di umidità sono differenti. Se una specie microbica è presente in più di un distretto e rappresenta un microbiota, non sarà presente nella stessa percentuale e questo rende noto il fatto che più nicchie avranno un numero di specie microbiche diverso. Il maggior numero di specie microbiche è a livello dell’intestino, perché ha molte funzioni, a livello di superficie è più vasta, cambia l’ambiente (ad esempio, se un microbiota sta bene nel duodeno, non starà bene nel cieco). La disbiosi crea dei problemi, anche se in realtà è una causa-effetto: se un individuo ha già dei problemi di salute, è possibile che questo creerà una disbiosi; se c’è disbiosi potrebbero comparire dei problemi di salute. Disbiosi significa riduzione di eterogenicità (ovvero una riduzione di specie microbiche presenti), sia a livello di specie sia a livello di frequenze; se viene meno una specie microbica, ce ne sarà un’altra che prenderà il sopravvento. Partendo dal fatto che il microbiota è importante a livello metabolico e a livello funzionale, se vengono alterate queste percentuali posso avere squilibri a livello metabolico e funzionale. Le cause di questo squilibrio sono: Stili di vita: fumo, cambiare spesso alimentazione (viaggi) Fattori genetici: il nostro corpo inizia a produrre defensine, soprattutto in situazioni di stress, le quali vanno a distruggere le specie microbiche. Patologie Infezioni Farmaci Quando nasciamo i batteri ricoprono la nostra cute, alla prima inalazione ricoprono il nostro apparato respiratorio, alla prima ingestione di latte l’apparato digerente; siamo dunque ricoperti di batteri su tutte le superfici a contatto con l’esterno, i quali ci aiutano ad evitare l’ingresso di altri batteri e ci fanno da barriera. Ci sono diversi tipi di barriere: Fisiche: Cute e mucose: nel momento in cui deve essere fatto un prelievo o un’iniezione, si crea un foro sulla cute e quindi un punto d’ingresso a livello di una barriera che inizialmente era intatta; per questo è importante pulire con l’alcol e fare l’iniezione in breve tempo, poiché il microbiota sulla cute (self) va bene, all’interno (non-self) no. Self è tutto ciò che siamo noi, che viene riconosciuto grazie al complesso MHC, il quale fa sì che i nostri linfociti T riescano a riconoscerle come cellule del nostro corpo. Tutto ciò che non ha questo complesso proteico 29 viene riconosciuto come estraneo; questo a volte succede con i tumori. Tutto ciò che è esterno viene attaccato dal sistema immunitario. Flusso di aria in vie respiratorie: il flusso d’aria serve a spazzare via, ad esempio la tosse. Flusso di urina in vie urinarie Lacrime in congiuntiva: servono per spazzare via. Le lacrime contengono il lisozima, il quale è presente nelle lacrime, nella saliva e nel latte materno; è stato uno dei primi anticorpi che sono stati scoperti. Fleming lo si ricorda per la penicillina, ma ha scoperto anche il lisozima: aveva un grosso raffreddore mentre piastrava i batteri; sta male e resta a casa dal laboratorio. Quando torna trova un buco sulla piastra, c’era un punto in cui i batteri non crescevano. Tutto questo succede una seconda volta, con la differenza che si rende conto di aver lacrimato sulla piastra, notando successivamente che l’effetto era lo stesso della volta precedente, cioè i batteri non crescevano nel punto in cui si era posata la lacrima. Da qui fa partire la ricerca e scopre che nelle lacrime è presente il lisozima, che è uno degli antibiotici più potenti prodotti dal corpo umano (non lo produciamo sufficientemente per permetterci di non prendere alcun tipo di antibiotico). Chimiche: Variazioni di pH (stomaco, vagina) Acidi grassi (cute) Produzione di sostanze antimicrobiche: o Lisozima (lacrime, saliva, latte materno) o Lattoferrina o Defensine o Bile: fa calare di molto il pH Microbiologiche: Microbiota a livello: o Intestinale o Cutaneo o Genito-urinario o Respiratorio Sistema immunitario: Innato: lo abbiamo a partire dalla nascita, garantisce sempre una risposta aspecifica ed è dato dalla presenza di mastociti, macrofagi, ovvero tutte quelle cellule del nostro SI che riconoscono un agente estraneo e lo eliminano in vario modo. Adattivo: quello che ognuno di noi si crea a partire dalla nascita in poi. A mano a mano che l’individuo entra in contatto con agenti estranei, il corpo reagisce. Chiaramente la reazione del SI innato arriva prima di quella del SI adattivo, poiché è aspecifico, mentre quello adattivo prima riconosce l’agente estraneo e poi interviene. La seconda volta lo riconosce subito, ma deve trovare l’anticorpo adatto che lo riconosce, che torna alla plasmacellula che l’ha prodotto, la attiva e così monta la risposta anticorpale. Adattativo significa anche che viene acquisito e riconosciuto l’agente estraneo perché: o Lo si incontra, cioè l’individuo viene infettato; quindi, si entra in contatto direttamente, naturalmente, il corpo lo riconosce e produce gli anticorpi. 30 o Si fa il vaccino, il quale può essere basato sull’iniezione del patogeno vivo, morto (è integro, ma viene tolta la parte di patogenicità), disattivato al calore (vengono denaturate le proteine, viene poi alterata la membrana e a quel punto l’acido nucleico non ha più una struttura), disattivando con i raggi UV (rompo l’acido nucleico e lo frammento) I meccanismi per contrastare i patogeni sono basati principalmente sulla fagocitosi. Quando è presente un battere tra le cellule, arrivano, ad esempio, i macrofagi, i quali vanno a creare una sorta di allungamenti della membrana, viene agganciato il microbo, viene accerchiato, si rifonde la membrana, si forma un endosoma che andrà a fondersi con il lisosoma. I lisosomi contengono fino a 50 enzimi diversi per distruggere tutto ciò che sta all’interno della loro membrana; a questo punto avviene la fusione tra lisosoma ed endosoma, formando così il fago-lisosoma. Il pH all’interno del lisosoma è all’incirca 3.5, quindi viene distrutto tutto dagli enzimi. Dopodiché il fago-lisosoma viene portato a livello della membrana plasmatica e fuoriesce. Tutto questo ricorda le antigen-presenting cells (cellule presentanti l’antigene o APC): accade che il microrganismo viene fagocitato, viene distrutto col processo di formazione del fago-lisosoma; dopodiché i frammenti non vengono rilasciati nell’ambiente, ma vengono portati, tramite il complesso MHC, sulla superficie. Vengono attivati dei linfociti particolari, detti CD4+, i quali arrivano ed entrano in contatto con questo antigene (che è un pezzo del patogeno che è stato fagocitato) e a questo punto inizia la fase di riconoscimento. Questo significa che la cellula che ha fatto fagocitosi diventerà una cellula che presenta l’antigene. Se non è presente il meccanismo di fagocitosi, la presentazione dell’antigene può essere fatta direttamente dalla cellula che viene infettata, perché produrrà le proteine del batterio e alcune di queste, successivamente, verranno portate sulla superficie. 31 Un’altra capacità che hanno le cellule infettate è quella di andare a produrre interferone, il quale viene rilasciato dalla cellula infettata nelle vicinanze (quindi a tutte le cellule vicine). Questo fa sì che le cellule che captano la presenza di interferone, attivino dei meccanismi di difesa che vanno a contrastare l’ingresso del virus. La trasmissione della malattia parte dal microrganismo, che può essere a livello della sorgente o del serbatoio. Il serbatoio può essere presente o può non essere presente e non è in grado di infettare altri esseri umani; può moltiplicarsi, ma non infettare. La sorgente è il microbo che viene infettato e che può infettare a sua volta. A questo punto inizia il meccanismo di trasmissione che può essere orizzontale (per contatto, esposizione) o verticale (madre-figlio). La trasmissione è suddivisibile in trasmissione di tipo diretto e trasmissione di tipo indiretto. La trasmissione indiretta è quella in cui un soggetto infettato non può essere oggetto di trasmissione lui stesso, quindi, a quel punto, c’è necessità di un intermedio (ad esempio nella malaria: serve necessariamente il passaggio attraverso una zanzara, la quale è considerata un artropode vettore, ovvero punge una persona infetta e successivamente una sana, trasmettendo così l’infezione). Una volta avvenuta la trasmissione il patogeno deve penetrare: la penetrazione avviene attraverso una specifica porta d’ingresso (ad esempio la viropessi deve essere riconosciuta attraverso un recettore in particolare), cioè una cellula in grado di poter essere infettata da quel virus. Un altro fattore molto importante è la dose infettante. Ad esempio, infezione da HIV, si è in un momento in cui il controllo dell’infezione è molto buono, i pazienti aderenti alle terapie hanno un viral load (=presenza di agenti virali nel sangue) non rilevabile. Con i materiali che abbiamo al giorno d’oggi in laboratorio si riesce a rintracciare anche una sola particella in 1ml, però risulta positivo dalle 20 particelle in su, dalle 20 in giù dicono che non è rilevabile, quindi i virioni prodotti sono pochissimi. Se i virioni prodotti sono pochissimi può anche essere che non siano infettivi: nel momento in cui sono perfettamente aderenti alla terapia antivirale, la dose infettante che loro rilasciano tramite il rapporto sessuale, sia così bassa che non è sufficiente per infettare un’altra persona. La dose infettante è diversa per patogeno, è diversa per porta d’ingresso ed è importante per stabilire se ci possa essere l’infezione o no. Le zoonosi sono delle patologie che si trasmettono partendo da una patologia degli animali e si possono trasmettere tramite: Una trasmissione aerogena: cioè per via aerea Vettori: insetti che pungono l’animale e che poi entrano in contatto con l’essere umano Vicinanza stretta con gli animali: ad esempio, il passaggio dello spillover di HIV. Inizialmente, l’antenato di HIV era SIV, che era il virus delle scimmie che causava immunodeficienza; questo accadeva in Africa, dove le scimmie erano considerate come animali domestici, perciò il contatto era molto stretto, quindi la possibilità di graffiarsi, di entrare in contatto con i fluidi è molto alta. 32 Contratto diretto con gli animali: morsi. Consumo degli alimenti Il processo infettivo è uguale per tutte le malattie, è sempre necessaria: una porta d’ingresso una dose infettante, la quale dipende dal patogeno, ma anche dal soggetto; a seconda delle nostre condizioni fisiche possiamo essere infettati da una dose che è più bassa rispetto alla dose che infetta una persona col sistema immunitario migliore del nostro. Per un ospite in condizioni “normali” di salute, quindi in buona salute, i patogeni possono essere obbligati (microrganismi che sono sempre in grado di causare una patologia, ad esempio i virus) od occasionali (diventano patogeni solo quando esprimono i fattori di virulenza, ad esempio le disbiosi). Per gli ospiti compromessi (immunocompromessi, fragili, pz anziani, pz appena operati) i patogeni che causano una patologia possono essere obbligati, occasionali od opportunisti. Le infezioni opportunistiche principali sono le micosi; quindi gli opportunisti sono quei patogeni che in un pz sano non causano un danno, ma lo causano in un pz che ha già delle problematiche a prescindere. Per quanto riguarda i batteri, i funghi e i protozoi, abbiamo meccanismi di patogenicità diversi. Inizialmente si ha l’esposizione al patogeno; una volta che l’individuo è stato esposto al patogeno, questo deve trovare la sua porta d’ingresso e deve riuscire a aderire alla cute o alle mucose; l’adesione è facilitata da adesine, delle molecole prodotte dai patogeni per facilitarla. Dopo aver aderito alla cute o alle mucose riesce ad inserirsi e a diffondersi, quindi a colonizzare e a crescere. Per l’adesione e la colonizzazione è importante il tropismo, cioè ogni patogeno riesce ad aderire e attaccare un certo tipo di cellula; quindi, è la specificità del patogeno per l’infezione di un distretto e di un tipo cellulare (i virus respiratori hanno un tropismo per le vie respiratorie). Per quanto riguarda la colonizzazione e la crescita bisogna ricordarsi anche che, allo stesso tempo, il patogeno non vuole uccidere il suo ospite (se lo uccide muore anche lui), per cui è in grado di produrre delle sostanze per non danneggiare l’ospite, ma anzi, facilitare il processo che di adesione che continua. I fattori di virulenza che vengono prodotti sono tutti in grado di aumentare la propria diffusione e replicazione e andranno a danneggiare l’ospite; quindi, i patogeni potranno produrre tossine, andranno a invadere i tessuti e indurranno distruzione tissutale, la quale potrebbe essere un meccanismo non voluto, ma invadendo dei tessuti le cellule vengono alterate, quindi, viene alterato il tessuto, dando una parte più o meno consistente di distruzione. Viene perciò indotta una patologia a livello del sistema immunitario; quindi, posso avere un eccesso della reazione infiammatoria oppure si può creare autoimmunità, ovvero alterare il 33 processo di produzione degli anticorpi. Il tutto darà poi origine alla malattia, la quale si potrà risolvere o cronicizzare. Dopo la fase di colonizzazione e crescita, abbiamola fase di disseminazione, cioè l’invasione dell’organismo dell’ospite. L’infezione avviene sull’epitelio (pelle, gola, polmone, intestino, vie urinarie), da qui passa al sistema linfatico dove il patogeno viene filtrato dai linfonodi, che hanno una certa capacità. Dal sistema linfatico passano nel torrente circolatorio e da qui possono raggiungere tutti gli altri distretti; quindi, la disseminazione può essere: Diretta: cellula-cellula o tramite gli organi Linfatica Ematica Il campione che deve essere prelevato deve essere appropriato al quesito diagnostico; la tipologia del campione dipende dal sospetto diagnostico, nel senso che se si cerca la presenza di batteri o di virus, si agirà in due modi differenti. È necessario conoscere il ciclo biologico del sospetto patogeno in modo da sapere che tipo di campione andare a prelevare e dove prelevarlo (se si cerca sempre nel sangue non è detto che si trovi). I campioni devono essere informativi dell’infezione, cioè devono essere nella quantità idonea per poter rilevare l’infezione. Un altro problema è che l’operatore deve proteggersi dalle contaminazioni; quindi, bisogna utilizzare delle tecniche per evitarle. Quindi, a seconda del sito di infezione, verrà scelto un campione specifico: ad esempio, se si sospetta un’infezione del sangue, si preleverà un campione di sangue, il quale va mantenuto a temperatura ambiente perché ci si aspetta una setticemia (ci si aspettano dei batteri nel sangue) e andando a congelarlo verrà rotta la parete che i batteri creano. Per le urine è la stessa cosa e per evitare che aumenti di molto la flora batterica il campione verrà conservato a 4°. 34 La cosa importante è sapere quando viene trasportato il campione, come viene trasportato e per quanto tempo deve essere mantenuto in condizioni idonee prima che il campione venga analizzato. Un’altra cosa importante è il meccanismo di raccolta e di trasporto del campione perché: Bisogna informare il pz sulla procedura che si utilizzerà per prelevare il campione (mi permette di avere un pz più collaborativo se sa cosa deve essere fatto). Bisogna garantire la privacy: ad ogni pz viene fornito un codice che lo accompagnerà per tutti gli esami a livello ospedaliero (è un codice alfa-numerico) e un’etichetta che viene stampata; quindi, i nomi vengono messi in laboratorio. Se si chiede di fare un auto-prelievo, bisogna fornire le informazioni: ad esempio, “ricerca di sangue occulto nelle feci”, è un auto-prelievo, quindi viene fornito il vasetto col cucchiaino nel tappo e il pz si fa l’auto prelievo a casa, dopo che gli è stato spiegato esattamente come eseguire l’esame. Le modalità di raccolta devono essere il più possibile e quando possibile in condizioni asettiche per evitare la contaminazione, poiché c’è il rischio di un’alterazione dei rapporti quantitativi delle componenti (quindi vengono aggiunte specie batteriche a quelle che già erano presenti) oppure c’è il rischio di inibire la crescita, cioè possono essere aggiunte delle sostanze che rallentano la crescita batterica. A seconda dell’esame cambia anche il tipo di prelievo, che può essere: Diretto: avviene in siti sterili Indiretto: c’è un transito durante la raccolta, cioè si attraversano più tipi di tessuti. Chiaramente più strati vengono attraversati, più è alto il rischio di contaminazione. In siti colonizzati da un microbiota residente: ad esempio, un tampone nell’orofaringe o un tampone nasale; lì sarà presente un microbiota proprio dell’individuo di cui bisognerà tener conto durante l’esame e quando sarà fatta la diagnosi. La difficoltà di interpretazione dipende dalla modalità di raccolta del campione e dal rischio di contaminazione presente. La raccolta deve essere effettuata nel momento più appropriato, possibilmente 35 nella fase acuta della malattia, perché il campione sarà più informativo, sarà più ricco di batteri, e durante le secrezioni mattutine, poiché vengono bloccate tutte le secrezioni durante la notte o comunque vengono rallentate. Se il rilascio del patogeno è intermittente, la raccolta andrà fatta più volte, perché non è detto che nel momento in cui viene fatta la raccolta ci sia il rilascio; per sapere che il rilascio è intermittente è necessario conoscere il ciclo replicativo del patogeno, che studierò nel momento del sospetto diagnostico (la malaria ha un rilascio intermittente). La quantità di campione deve essere idonea per poter eseguire l’esame e il campione deve essere confezionato e contrassegnato prima del trasporto, cioè bisogna avere un contenitore idoneo per quel tipo di esame (ad esempio provette con tappi diversi perché contengono conservanti diversi), che deve essere adeguato alla tipologia di esame, sterile e monouso; i contenitori non devono mettere a rischio l’operatore quando va ad effettuare l’analisi, deve essere adeguato alla modalità di prelievo. Il trasporto generalmente avviene in tempi più brevi possibili a temperatura ambiente, per evitare di alterare i campioni, poiché i microrganismi sono termosensibili; passate le due ore dal prelievo l’ideale sarebbe refrigerare, ovvero mettere i campioni in frigo per evitare crescite e alterazioni dei rapporti se si sospettano batteri. Nel caso dei virus si può semplicemente refrigerare. Quando bisogna fare trasporti lunghi è necessario confezionare il campione secondo delle linee guida che vengono emanate dal ministero o dall’OMS. Il principio è che devono essere confezionate per non arrecare danno o rischio a chi effettua il trasporto e per mantenere intatto il campione durante tutto il tempo del trasporto; a seconda del campione ci sono regole diverse: nel caso di un prelievo e di sospetto dell’infezione del tessuto, si potranno usare dei terreni di trasporto che permettono di mantenere la popolazione microbica, ovvero nei terreni liquidi (o solidi, a seconda del sospetto che si ha) ci sono delle sostante, dei principi nutritivi, che servono per mantenere in vita la popolazione. Se vengono a mancare oppure il trasporto è troppo lungo, si può avere la morte della popolazione batterica; questo significa che quando viene effettuata l’analisi non si trova più la popolazione oppure si trovano dei microrganismi morti. È importante mantenere le condizioni, poiché ci sono dei microrganismi che sono anaerobi obbligati; quindi, devono assolutamente essere trasportati in assenza di ossigeno (sistemi di anaerobiosi). Per fare questo ci sono dei camp, dove vengono inseriti i campioni e ci sono delle buste con delle sostanze che eliminano l’ossigeno all’interno di questo contenitore ermetico. Ogni campione è associato ad un rischio biologico che dipende dal campione stesso. Quando il campione arriva in laboratorio viene valutata la conformità, cioè se: il campione è corretto è in buono stato: se il campione arriva rotto significa che è già stato contaminato la conservazione è stata eseguita in maniera adeguata: se arriva un campione refrigerato e il sospetto è di un’infezione batterica, si può fare l’analisi, ma è possibile non trovare alcun battere. Solo per urgenze o esami invasivi si procede anche senza conformità, ma si annota. 36 Per quanto riguarda la diagnosi microbiologica è quella diagnosi che permette di: Identificare il patogeno. Capire la causa o una delle cause. Valutare l’efficacia della terapia (es: antibiogramma). Identificare i pz che sono stati infettati per evitare contagi, ecc (vedi pandemia Covid). La diagnosi può essere fatta in modo diretto o in modo indiretto. La diagnosi diretta è la migliore, la più precisa, poiché permette di identificare direttamente il patogeno o parti di esso. La diagnosi indiretta, invece, va a valutare la risposta immunitaria, ovvero la presenza di anticorpi rivolti a quel patogeno; in alcuni casi la risposta immunitaria può essere alterata. La diagnosi indiretta viene fatta sul sangue o sul siero e si vanno a cercare gli anticorpi o linfociti reattivi, quindi T e B che sono stati attivati; con la diagnosi diretta, invece, si vanno a prelevare fluidi corporei, quali sangue, urine, liquor. Se è possibile scegliere, solitamente, si preferisce quella diretta, che è più specifica; se, invece, c’è bisogno di velocità si preferisce quella indiretta. Le tecniche principali per la diagnosi sono: Microscopia: ci devono essere degli operatori ben preparati. Colorazione di gram Colorazione Ziehl-Neelsen Indagini colturali con identificazioni tramite la MALDI-TOF: il campione viene messo in coltura, ipotizzando il sospetto di un’infezione batterica; ovviamente, a seconda del sospetto del patogeno, verrà utilizzato un mix del terreno diverso, perché ogni patogeno ha necessità di ambienti diversi. Le piastre possono avere colore diverso e possono essere utilizzate delle piastre in cui si va a testare la capacità biochimica di quel patogeno, ovvero la capacità di quel patogeno di degradare alcune sostanze e questo aiuterà nella tipizzazione del batterio. Dopo aver fatto l’indagine colturale, verranno presi i batteri che vengono caricati in questa MALDI-TOF, che permette: L’identificazione specie-specifica sulla base degli antigeni. Possono fare indagini molecolari (PCR) per andare a identificare il genoma e cercare geni specifici di quelle specie batteriche o virali. Andare a ricercare gli antigeni e le tossine che sono stati rilasciati. 37 Per quanto riguarda la diagnosi indiretta si cercano gli anticorpi sfruttando la loro modalità di azione: sappiamo che si muovono per agglutinazione oppure si può eseguire una ricerca per immunofluorescenza, cioè sfruttando un anticorpo che si lega all’anticorpo che è stato prodotto e il legame va ad attivare un fluoroforo, quindi, il microscopio rileva la fluorescenza e se viene rilevata significa che è presente il patogeno. A seconda della fluorescenza rilevata si può calcolare la quantità. Per la ricerca di linfociti reattivi si va a ricercare la secrezione dell’interferone (IFN) γ (gamma), che è una citochina che viene rilasciata dalle cellule una volta che queste vengono attivate dalla presenza dei patogeni, ovvero in risposta ad un’infezione virale. Il test ELISA (letto all’inglese: elaisa) si basa tutto sulla fissazione dell’antigene, quindi, si ha un siero in cui si immagina di avere un patogeno, vengono inseriti degli anticorpi che si legano e riconoscono il patogeno, vengono eliminati gli anticorpi in eccesso e vengono aggiunti gli anticorpi secondari, i quali si legheranno agli anticorpi primari. Ad esempio, si ha l’antigene X, l’anticorpo per l’antigene X si chiama anticorpo primario e viene prodotto in un coniglio; l’anticorpo secondario è legato ad un enzima e riconosce tutti gli anticorpi che sono stati prodotti dal coniglio, quindi si ha l’antigene, l’anticorpo che lega l’antigene e l’anticorpo che lega il primo anticorpo. A questo punto si aggiunge il liquido che contiene il substrato e il substrato dell’enzima che è agganciato all’anticorpo. A questo punto si ha l’antigene, il quale si è legato all’anticorpo primario e secondario e quest’ultimo colorerà il liquido che è stato aggiunto (tanto anticorpo = tanto colore; poco anticorpo = poco colore; dove non c’è anticorpo la soluzione resterà limpida). Dopodiché c’è un lettore di piastre che legge l’intensità di colore e, tramite una scala, dirà la quantità di antigene. Gli anticorpi possono essere sfruttati per il test di agglutinazione; quindi, si ha un campione contenente batteri e, a parte, degli anticorpi legati a delle particelle (sferette di lattice). Vengono presi questi anticorpi e vengono mescolati col campione e quello che succederà sarà l’agglutinazione, ovvero gli anticorpi si legheranno tra di loro, creando così dei granelli nel campione. Quello che si vedrà nel campione positivo saranno tanti grani di colore, i quali non sono altro che complessi che si sono formati di queste particelle di anticorpi che hanno legato i batteri; dove il legame non c’è, non c’è fluorescenza. I saggi molecolari sono quelli basati sulla ricerca del DNA specifico: nel caso dei virus, se sono virus a RNA si farà retro-trascrizione per produrre DNA complementare e si cercheranno i geni nel DNA complementare. Si usano delle sonde che sono disegnate esattamente sul genoma del virus; viene poi fatta un’amplificazione e si osserva se è riuscita oppure no: se è riuscita il patogeno non c’è e a volte basta questo. In altri casi c’è bisogno di sapere quale sia il titolo virale, cioè quante particelle virali sono in circolo in quel momento nel pz. Per fare questo è necessario usare un saggio che permetta di seguire la moltiplicazione del numero di copie di DNA in tempo reale: ad esempio, se si parte con 100, al primo ciclo ce ne saranno 200, al secondo ciclo ce ne saranno 400 e così via. Questo si può seguire con delle molecole che emettono fluorescenza nel momento 38 in cui si crea la doppia elica, quindi, quando si crea la doppia elica la fluorescenza aumenta; più aumenta la fluorescenza più questo significa che il numero di copie iniziali era alto. La PCR prevede l’utilizzo di due sonde (catene di polinucleotidi), poste una prima e una dopo il gene che si vuole verificare e prevede anche l’utilizzo della polimerasi; dopodiché comincia la reazione: il DNA è a doppia elica, perciò, la prima fase consiste nell’apertura della doppia elica. Una volta che il DNA è aperto arriva la polimerasi che trova una sonda che le fa da innesto e trova la sonda in fondo. La polimerasi copia e, a questo punto, ho un frammento di DNA che è stato copiato due volte. Questa cosa viene ripetuta 25-30 volte in modo tale da amplificare il numero di copie. Successivamente, con un sistema di individualizzazione del DNA si va a vedere se questo pezzo nel campione era presente oppure no. Questa tecnica si può fare sfruttando la fluorescenza, poiché permette di contare il numero di copie iniziali; a seconda dell’intensità di fluorescenza significa che all’inizio ne era presente poco o tanto. Ci sono delle tecniche che si chiamano RealTime-PCR, poiché ad ogni copia che fa una polimerasi, si inserisce un intercalante delle basi che li conta, cioè si segue nel tempo l’aumento della fluorescenza e quindi l’aumento delle copie, che aumentano in maniera esponenziale perché raddoppiano ogni volta. (l’intercalante emette fluorescenza nel momento in cui si è legato ad un’elica e le due eliche si chiudono) 39 Si può fare una diagnosi basata sulle proteine, utilizzando una tecnica che viene chiamata Western Blot che prevede la separazione delle proteine (antigeni che si trovano sulla superficie dei batteri) che si trovano nel campione, il quale viene caricato su un gel di poliacrilamide, che funge da setaccio tridimensionale. Questo gel ha dei pozzetti e in ogni pozzetto viene inserito un campione diverso e si fanno separare, sulla base del peso molecolare, le proteine, le quali sfruttano la carica elettrica. Le proteine saranno separate, ma non si potranno visualizzare; quindi, si trasferiscono dal gel, tramite questo meccanismo che sfrutta la corrente elettrica, a una membrana, sulla quale resta restano separate. Avendole su una membrana si può utilizzare l’anticorpo che andrà a legarsi solo sulla proteina che si vuole analizzare. Se si vede la banda c’è la proteina e quindi il patogeno, se non si vede significa che il patogeno non è presente. Se la banda è tanto grossa di patogeno ce n’è una grande quantità, se è sottile ce ne sarà in minor quantità. Si possono usare tecniche basate sull’immunofluorescenza, cioè si preleva una goccia di campione in cui si sospetta ci sia il patogeno e ci si mettono gli anticorpi specifici che saranno legati a una molecola fluorescente: se l’anticorpo lega verrà emessa fluorescenza e questo significa che sarà presente l’antigene. 40 5.0 ANTIBIOTICI Tutto parte da Flemming, fenomenale biologo che ha scoperto la penicillina e il lisozima, un potente (ma non così tanto da permetterci di evitare qualsiasi farmaco) antimicrobico prodotto dal nostro corpo. Mentre coltivava degli stafilococchi ha trovato una piastra in cui questi non erano presenti perché si era sviluppata la colonia di una muffa; la analizza e capisce che è una colonia di penicillium e che viene prodotta una sostanza, per l’appunto la penicillina, la quale è in grado di distruggere gli stafilococchi. Questa sostanza era prodotta e rilasciata dalla muffa stessa ed andava ad impregnare la piastra dove si trovavano gli stafilococchi. Dalla scoperta della penicillina in poi è cominciata una ricerca sugli antibiotici che hanno un effetto diverso sulla crescita batterica. È stata commercializzata negli anni ’40 e poco alla volta sono stati scoperti altri composti, che possono essere di origine naturale, di sintesi o semisintetici. Quando c’è un cambio di generazione del farmaco, non è altro che una piccola modifica della molecola che permette di migliorare la resa, di evitare l’insorgenza di reazioni al farmaco e permette di ridurre gli effetti collaterali. Se si riesce ad avere un buon numero di farmaci, migliora l’aspettativa di vita: oggi giorno la qualità di igiene è di gran lunga migliore del secolo scorso, in cui c’era la guerra, e il progresso scientifico ci ha permesso di sviluppare nuovi farmaci. Oggi si è in grado, grazie ai farmaci, di curare malattie che nel secolo scorso e precedenti erano mortali. Quando si parla di antibiotici si parla di farmaci antibatterici, i quali vengono somministrati per evitare che venga messo a soqquadro il sistema immunitario e che quindi eventuali infezioni batteriche possano emergere. Si tratta di molecole che sono molto piccole e possono avere un’azione: Battericida: possono uccidere i batteri. Batteriostatica: possono inibire la crescita dei batteri. L’effetto è dipendente dalla concentrazione ([C]-dipendenti) e per lo più sono specie-dipendenti, ovvero ci sono antibiotici che vanno bene per alcune specie batteriche e alcuni per altre. Ci sono quelli ad alto spettro (=uccidono tutto), che però hanno effetti collaterali più pesanti e possono mettere l’individuo più a rischio di disbiosi. Questo significa che la tossicità per quelli che non sono ad ampio spettro è selettiva, rivolta nei confronti dei batteri. Gli antibiotici vanno a bloccare la sintesi della parete cellulare; questo significa che se non c’è sintesi di parete non si ha la produzione. Possono alterare la struttura della membrana plasmatica, hanno effetto a livello citoplasmatico oppure si legano sulle subunità dei ribosomi, quindi alterano la sintesi proteica. Ci sono anche 41 quelli che vanno a influire sulla replicazione del DNA o gli antimetaboliti, cioè bloccano il metabolismo del batterio. Nel momento in cui si utilizza un antibiotico è importante che venga utilizzato secondo le modalità, i tempi e le concentrazioni che vengono prestabilite dal medico, mantenendolo per tutta la durata e senza protrarlo nel tempo. Gli antibiotici possono essere a largo spettro oppure possono essere più specifici; se vengono usati a sproposito andranno ad uccidere i batteri “buoni” o più deboli e la circolazione di batteri che resta sarà di quelli più resistenti che si moltiplicheranno. L’effetto più clamoroso dell’antibiotico-resistenza lo si vede su pz con infezioni respiratorie croniche come la fibrosi cistica. Tutti questi pz sono più soggetti alle infiammazioni delle vie respiratorie, poiché hanno questo muco che non permette l’eliminazione dei patogeni; quindi, questi pz devono continuare a fare cicli di antibiotici regolarmente. Qui chiaramente si hanno casi di antibioti