Linguistica 1-9-13 PDF
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Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano (UCSC MI)
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This document discusses strategies of manipulation, focusing on the role of communication in establishing and maintaining totalitarian regimes. It examines the use of media and propaganda, considering the analysis of foundational texts, media and, importantly, educational materials. The author explores various types of manipulative communication, with reference to relevant theoretical models and historical examples.
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LA MANIPOLAZIONE Nel 900 assistiamo ad uso viziato della comunicazione, dove i regimi utilizzano le parole come armi. Quando analizziamo le strategie manipolatorie possono essere utili 3 testi. I primi sono i cosiddetti testi fondativi, testi che vengono...
LA MANIPOLAZIONE Nel 900 assistiamo ad uso viziato della comunicazione, dove i regimi utilizzano le parole come armi. Quando analizziamo le strategie manipolatorie possono essere utili 3 testi. I primi sono i cosiddetti testi fondativi, testi che vengono formulati per esprimere l’ideologia al potere, dopo di che bisogna di ondere quest’ideologia. Questo avviene attraverso i media e precisamente con la propaganda. Poi abbiamo un terzo tipi di testi: i testi scolastici, è importante il perpetuarsi nelle generazioni. A questo proposito importanza assumono i dizionari, formati da lemmi che contengono de nizioni, dove viene svolto un lavoro sulle voci dei dizionari e si arriva al semanticidio (si lavora sulla de nizione per quanto riguarda i termini più sensibili secondo l’ideologia al potere, ad es libertà) o addirittura al logocidio (alcuni termini vengono eliminati). APPROFONDIMENTO → TOWARDS A TYPOLOGY OF MANIPULATIVE PROCESSES Il tema dei processi manipolatori, strumento fondamentale per installare e consolidare i governi totalitari del ventesimo secolo mostra un interesse sia scienti co che culturale. Si vede subito come i regimi totalitari fondarono il loro potere non solo sulle loro forze economiche e militari, ma anche su un intero sistema comunicativo. Un’applicazione delle Scienze della comunicazione (discipline semiotiche e linguistiche, psicologia della comunicazione, studi di comunicazione istituzionale/organizzazionale/ corporativa, sociologia della comunicazione, lo studio dei media) nello studio di questi sistemi può dare una comprensione profonda delle organizzazioni totalitarie. Possiamo immaginare lo studio empirico di ideologie storiche e totalitarie con le metodologie menzionate, come basato su tre tipi di documenti, collegati a tre fasi della dinamica di un'ideologia totalitaria: de nizione dell'ideologia: analisi dei testi fondativi propagazione: analisi dei media riproduzione culturale: analisi di libri scolastici e dizionari Saremo in grado di costruire un’autentica tipologia di strumenti manipolatori solo quando saremo in grado di applicare questo approccio. Il primo compito è costruire una plausibile de nizione del termine manipolatorio (è il primo step perché se non condividiamo la stessa nozione di manipolazione non avremo modo di costruire alcuna ragionevole tipologia di device manipolatorio). Tuttavia non vi sono de nizioni di manipolazione soddisfacenti. Si può menzionare l'opera di Teun Van Dijk Ideology: a Multidisciplinary Approach → non de nisce formalmente la manipolazione stessa, ma la caratterizza come una forma di controllo mentale “i cui ricevitori non ne sono coscienti o di cui non possono facilmente controllare le conseguenze”. Come punto di inizio, siccome la manipolazione è un vizio della comunicazione, possiamo de nirla solo descrivendone i suoi aspetti fondamentali come un evento comunicativo, ossia basato sulle azioni. De nizione di manipolazione: Un messaggio è manipolatorio se modi ca la visione del mondo ( sico, sociale o umano, attuale o virtuale) nella mente della persona a cui si è rivolti, alla quale viene impedita una sana attitudine verso la decisione (attitudine che risponde al suo interesse reale) e persegue l'obiettivo del manipolatore nell'illusione di perseguire il proprio obiettivo. Ma l'aspetto fondamentale che questa de nizione non considera precisamente è quanto/ come la manipolazione può riuscire a manipolare il mondo della persona a cui è rivolta senza essere scoperta. Per poter avere successo, una bugia deve sembrare vera, una promessa non sincera deve sembrare autentica. fi fi fi fi fi fi ff fi fi fi fi fi fi Il caso più interessante di manipolazione accade quando una persona già manipolata intende convincerne un'altra. Prove di aneddoti e testimonianze personali di persone che hanno sopravvissuto a regimi totalitari suggeriscono che gli e etti di un device manipolatorio sono molto ra orzati se applicati da qualcuno che è stato manipolato lui stesso. Questo ci porta a dire che il nostro compito è un'analisi critica che punta a scoprire processi manipolatori e auto manipolatori in modo da preservare la nostra società contemporanea dal ripetere i drammatici errori del passato. Sono state proposte varie de nizioni di manipolazione. Un messaggio si dice manipolatorio quando questo distorce la visione della realtà del destinatario, impedendogli un processo decisionale autentico. Il destinatario pensa di decidere a proprio favore ma in realtà decide negli interessi di chi lo sta manipolando. È di cile individuare quando veniamo manipolati. I processi manipolatori sono: 1. Violazione delle presupposizioni, Frege inizia dicendo che veniamo manipolati quando si utilizzano delle espressioni denotative. Fece l’esempio di “la volontà del popolo”, è un’espressione manipolatoria in quanto rimanda a un denotato generale o universale. Fa una distinzione tra senso e denotato. Ad esempio “Giacomo Leopardi, il poeta di A Silvia”, hanno signi cati diversi ma lo stesso denotato nella realtà. Il senso è il signi cato che viene veicolato dalle espressioni denotative, il denotato è l’oggetto nella realtà che viene individuato attraverso una certa espressione linguistica. Le presupposizioni sono dei signi cati a monte del nostro discorso. Ad esempio, “Luigi va a Roma”, è sbagliato dire esiste Luigi che va a Roma che esiste, quindi quando noi usiamo dei nomi, il nome fa scattare un presupposto di esistenza. Dal momento che un individuo utilizza un nome presuppone l’esistenza di quella cosa. Si parla di presupposto esistenziale. Quando diciamo un’espressione come volontà del popolo ci riferiamo ad un qualcosa di implicito, presupponiamo che esista , quando in realtà sussiste solamente una volontà individuale. Negli atti comunicativi avviene un accomodamento ai presupposti. Quando noi formuliamo un enunciato utilizziamo presuppositional accomodation. Da un lato abbiamo un asserted content, ciò che viene detto, che è esplicito, mentre dall’altro abbiamo un presupposed content, ossia ciò che è implicito, ciò che presupponiamo esista. Questi presupposed content rientrano nel common ground, che formano quindi un condiviso che fonda l’essere appartenenti alla stessa comunità parlanti, fonda un essere we. Questa condivisione di elementi che fanno parte del common ground costituisce la weness. 2. Istinto umano di riferirsi alla totalità, questa strategia fu utilizzata durante il regime di Hitler, attraverso la frase “il nemico del mio nemico è mio amico”. Si prende un nemico comune e si fa passare per la totalità delle ragioni che si condividono tra amici. Cake temptation: viene utilizzate quando si parla delle risorse, ad esempio quelle economiche. Le risorse che sono beni dinamici, ossia possono aumentare o diminuire, vengono presentate come un bene statico, una torta. “Dai a me le risorse che poi io me ne occuperò distribuendole in modo equo”. Agenda setting: quando le redazioni dei giornali devono stabilire gli argomenti da mettere in agenda. Succede che ci presentano una selezione di eventi accaduti e ce li presentano come la totalità degli eventi di quella giornata, come se fosse accaduto solo quello. Spesso i telegiornali terminano il servizio con “Queste sono le notizie per oggi”. Il fatto che ci dicano notizie e non informazioni però ci dice che le notizie sono delle informazioni più interessanti, che coinvolgono. Viene scelta una parte e viene fatta passare per il tutto. 3. Istinto di appartenenza, es “se non la pensi così, non sei dei nostri” fi ff fi fi ffi ff fi Polarity temptation, avviene attraverso l’individuazione dei gruppi sociali/politici. Si de nisce il mondo dei noi e il mondo dei loro, viene diviso il mondo in modo manicheo, ossia tutto il bene sta da una parte, tutto il male dall’altra. Es noi siamo i buoni e loro sono i non buoni (da non confondere con cattivi → valori scalari e contrari mediati). Questo processo manipolatorio sorge in relazione a questi paradigmi che presentano una struttura scalare, dove vi è gradazione tra un estremo e l'altro, con la presidenza di stadi intermedi (alto… basso), (nero… bianco), (amico… nemico) eccetera. Qui la negazione di uno dei due estremi non coincide con l'a ermazione dell'altro: entrambi non possono essere veri, ma entrambi possono essere falsi. Questa strategia è stata usata parecchio nella propaganda sovietica (noi di ondiamo vita, loro seminano morte) e in 1984 di Orwell, romanzo distopico che presenta un mondo molto negativo a partire da situazioni che già accadono, in cui lavorano su una riduzione del vocabolario. MODELLI DELLA COMUNICAZIONE 1. Modello elaborato in ambito della teoria dell’informazione ➜ Shannon, molto utilizzato in ambito informatico, signi cativo perché è stato tenuto presente da vari linguisti (nota 23 p.25). In questo modello si chiede come avvenga la trasmissione di informazioni quando possono veri carsi dei problemi nel canale. Descrive la trasmissione da una sorgente a un receiver, componenti prettamente tecnologiche. Shannon introduce però un nuovo elemento tra di essi, una sorgente di disturbo. Ha elaborato un teorema che permette di trasmettere l’informazione senza problemi. Individua una capacità del canale, ossia la quantità massima di scambio informato che può passare dalla sorgente al receiver. Dopodiché è facilmente risolvibile il problema dei disturbi del canale, perché basterà trasmettere una quantità inferiore rispetto alla capacità del canale. 2. Modelli elaborati in sede linguistica ➜ Saussure, lo ricordiamo soprattutto per “Corso di linguistica generale” (pubblicato dopo la sua morte e scritto dai suoi alunni). A lui dobbiamo la nozione di segno. Il suo modello si chiama “Circuit de la parole”, circuito del discorso. Qui intervengono un mittente e un destinatario, producendo dei segni che vengono interpretati tramite un processo di codi ca (si scelgono i segni da utilizzare e si mettono in atto tramite un discorso ad es) e decodi ca (attribuire ad una parola il suo signi cato), e possono discutere tra di loro perché vi è un elemento comune, “la langue”, la lingua. L’ascolto del messaggio e la comprensione avviene grazie al fatto che il destinatario conosce i segni utilizzati. È anche il padre dello strutturalismo francese. ➜ Diverso è il modello strutturalista americano di Bloom eld. Lui segnala che il linguaggio è uno dei tanti comportamenti dell’uomo ed è strutturato in termini di stimolo e risposta. Ad un certo punto Bloom eld racconta di Jack e Jill, che durante una passeggiata, a lei viene voglia di una mela, quindi il desiderio di fame e allora lui va a raccogliere quella mela e gliela porta. L’atto linguistico di lei viene interpretato come risultato di qualcosa di sico - stimolo - risposta. ➜ Bühler, invece in Europa, rappresentante di una delle scuole funzionaliste. La lingua è uno strumento nalizzato alla comunicazione. Prende la nozione di segno e lo inserisce come nodo centrale al centro del rapporto fra mittente, destinatario e realtà. Il segno svolge una funzione che ci porta oltre il segno stesso. In rapporto al mittente il segno svolge una funzione di espressione (sintomo), in rapporto al destinatario una funzione di appello (segnale) e in rapporto alla realtà la funzione di rappresentazione (simbolo). Momento molto importante è anche quello della comprensione, introduce il concetto di semiosi deittica. Se osserviamo la parola io, questa usata in diversi momenti indica sempre qualcosa di diverso, a seconda del contesto. Ci sono diversi tipi di segno che hanno una diversa semiosi, in quanto si riferiscono al contesto. fi fi fi fi fi fi fi fi fi fi ff ff ➜ Jakobson, fa parte della scuola di Praga, è il linguista che ha individuato i fattori costituitivi del processo comunicativo: mittente che manda un messaggio al destinatario tramite un canale o contatto, in un determinato contesto, per fare ciò devono però condividere un codice. A ciascuno di questi fattori corrisponde una funzione: mittente- comunicativa, destinatario-conativa, messaggio-poetica, contesto-referenziale, codice- metalinguistica, canale-fàtica. Fasci di funzioni presenti in ogni testo, ma in cui ne prevale una. È riuscito a spiegare cosa sia la poetica nel saggio Linguistics and Poetics (dispensa pag 38-41, 42-48). Ha spiegato la funzione poetica all’interno di una concezione linguistica unitaria. Segnala che il testo poetico organizza in modo particolare gli assi della combinazione e della segnalazione. Ciascun messaggio nasce dall’intersezione tra di essi. Ad esempio “Paolo fuma”, questi due elementi sono stati selezionati da un’insieme di elementi equivalenti, ossia potrebbero esserci altri nomi o azioni al loro posto. Avviene quindi un processo di selezione e combinazione in qualsiasi enunciato. Il testo poetico però li organizza in modo particolare: proietta il principio dell’equivalenza dall’asse della selezione a quello della combinazione. Ci sono elementi equivalenti ricorrenti. Es. nella terzina dantesca si ripete l’endecasillabo, la rima. Ha dato importanza alla traduzione, è stato con lui che è stata vista nella sua profonda visione linguistica, come cuore del processo interpretativo. Riprende Peirce, un segno sta nella sua trasposizione in altri segni, li interpretiamo e quindi traduciamo un segno in altri segni. Russell sosteneva che se un parlante non ha piena conoscenza di qualcosa, allora non può interpretarlo. J però non era completamente d’accordo, anzi, sostiene che basta collegare a quel qualcosa la nostra esperienza (formaggio ➔ cibo, latte). In questo modo sarà possibile capire quel termine. La traduzione può essere di 3 tipi: - endolinguistica o intralinguistica, traduciamo all’interno della stessa lingua, coincide con il comprendere; - interlinguistica, tra due lingue; - intersemiotica, da un sistema semiotico all’altro, ad esempio da un’immagine a un discorso. 3. Modelli elaborati in sede pragmatica, quando noi parliamo compiamo delle azioni: il dire è un fare con le parole. ➜ John Austin, “How to do things with words”, è una raccolta di alcune conferenze. Segnala che osservando le espressioni linguistiche, ce ne sono alcune in cui le stesse parole corrispondono con l’azione (es. sei licenziato, ti prometto). Accanto a degli enunciati assertivi, constativi, ci sono anche gli enunciati performativi che permettono di compiere l’azione, che altrimenti non si potrebbe realizzare. Qualsiasi uso del linguaggio è in qualche modo performativo, introduce il concetto di speech act, un atto comunicativo. Il parlante compie un atto: - locutivo, atto in cui combiniamo le parole; - illocutivo, azione che noi compiamo in quel determinato speech act; - perlocutivo, gli e etti che lo speech act ottiene, il risultato di un comando ad esempio. ➜John Searle, riprende la teoria di Austin e in particolare si so erma sul livello illocutorio. Propone una classi cazione delle azioni che vengono compiute da un parlante quando compie atti linguistici: atti rappresentativi, direttivi, commissivi. - “Paolo fuma abitualmente”, mediante atti linguistici di questo tipo noi rappresentiamo la realtà, atto rappresentativo. - “Chiudi la porta!”, è un ordine, un atto direttivo - “Ti prometto una ricompensa”, esprimere una promessa apre un compito, ci porta ad impegnarci a qualcosa, atto commissivo. ➜ Paul Grice, ha studiato il processo comunicativo dal punto di vista della cooperazione. In un processo comunicativo, gli interlocutori cooperano, collaborano. Individua un modello in cui individua delle massime, le massime di Grice, ossia i requisiti che deve ff fi ff avere un discorso, così come viene richiesto, in base allo scopo e al contesto. Questi requisiti sono speci cati nelle massime e sono: 1. Quantity, il contributo comunicativo deve essere informativo così come quanto viene richiesto, non in più. 2. Quality, non si deve dire ciò che si ritiene falso, o ciò di cui non abbiamo abbastanza evidenze certe. 3. Relation, essere pertinenti, deve esserci un nesso. 4. Manner, bisogna evitare oscurità delle espressioni, evitare ambiguità, deve essere breve e deve essere in ordine. ➜ Dan Sperber e Deirdre Wilson, con la Relevance Theory, si so ermano sulla massima della pertinenza, ampliandola. Segnalano un aspetto che teniamo in conto quando traduciamo, ossia il contesto, fondamentale per interpretare un messaggio. Del contesto fanno parte anche il mittente e il destinatario. I messaggi producono e etti contestuali, ossia vanno a modi care il contesto. Avviene un cambiamento. Anche loro segnalano il ruolo fondamentale delle inferenze, che ci permettono di ricostruire tutti quei signi cati nascosti, impliciti. Sono fondamentali perché permettono al destinatario di ricostruire il senso inteso dal mittente. La pertinenza dipende dal rapporto tra gli e etti contestuali e gli sforzi cognitivi necessari per interpretarlo. Meno è lo sforzo, più è pertinente. EVENTO COMUNICATIVO Un atto comunicativo è un evento. Per individuare il semanticismo del termine evento, dobbiamo tenere conto del latino eventum (e-venio, arrivare) e del tedesco ereignis (Eigen, impadronirsi). È qualsiasi cosa che (ci) accade, qualcosa che ci cambia, ci muove, produce un cambiamento nel destinatario, avvenuta comunicazione. È uno stato di cose dinamico che cambia la realtà, frutto dell'incontro di due iniziative: l'atto del dire realizza un evento comunicativo solo quando corrisponde ad un atto di ascolto. Tra tutti gli eventi c'è la classe particolare degli eventi, quelli comunicativi, quelli prodotti dai soggetti umani per comunicare. L’evento comunicativo veicola un senso, de nito da Peirce, come habit change: il senso produce un cambiamento. Habit deriva dal latino habitus (comportarsi in un certo modo) e dal greco héxis (atteggiamento che abbiamo nei confronti della realtà). Habit change signi ca quindi andare a modi care il nostro atteggiamento stabile. Il messaggio ci sollecita a lasciarci coinvolgere e ci porta a cambiare. Senso è una parola polisemantica. Può signi care percezione (i 5 sensi), direzione, avere buon senso, accezione, insensatezza. Bisogna partire più che altro dalla de nizione di non- senso. L’insensatezza è la mancanza di ragioni adeguate, è irragionevolezza. Quindi il senso ha a che fare con la ragionevolezza. Costruendo a volte degli enunciati insensati, abbiamo dei non sensi arti ciali che vengono costruiti a scopo metalinguistico (quello che serve per spiegare una lingua). Ci sono anche vari testi che rientrano nel lone del Teatro dell’assurdo, del teatro del non- senso, come Waiting for Godot di Beckett. Per quanto riguarda i testi sui soggetti psicotici, ci comunicano apparente non-senso, ma in realtà hanno un senso. Quindi possiamo dire che non esiste veramente un non-senso perché ciascun parlante sa che il suo interlocutore andrà a cercare il senso di quello che sta dicendo, tutto deve avere senso. Il non-senso è solo un esito metalinguistico. Comunicare come agire Noi continuiamo a intrecciare azioni grazie alla comunicazione verbale. La comunicazione presuppone la partecipazione di almeno due soggetti. Si ricorre ad essa quando il singolo soggetto non è in grado di realizzare il proprio obiettivo e cerca di coinvolgere altri soggetti (joint action): a questo punto ci sono 2 scenari possibili: fi fi fi fi fi fi fi ff ff ff fi fi fi