Lezione 11 Mod I Patologia Generale PDF

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This document includes lecture notes from a General Pathology class on inflammation, specifically focusing on the resolution phase and chronic inflammation. The lecture discusses mediators, cytokines, and the interplay between the immune system and other factors in the inflammatory response. It includes discussions on topics like the role of the nervous system, and the difference between acute and chronic inflammation.

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PATOLOGIA GENERALE MOD. I - LEZIONE 11 Sbobinatore 1: Giulia Bentivegna Data: 14/11/2024 Sbobinatore 2: Dario Marretta Professoressa Anna Aiello INDI...

PATOLOGIA GENERALE MOD. I - LEZIONE 11 Sbobinatore 1: Giulia Bentivegna Data: 14/11/2024 Sbobinatore 2: Dario Marretta Professoressa Anna Aiello INDICE RIEPILOGO LEZIONE PRECEDENTE.................................................................................. 1 1.FASE DELLA RISOLUZIONE............................................................................................. 3 2.I MEDIATORI DELLA RISOLUZIONE................................................................................. 6 2.1 LE LIPOSSINE............................................................................................................ 7 2.2 LE RESOLVINE.......................................................................................................... 8 2.3 PROTECTINE E MARESINE...................................................................................... 9 2.4 RECETTORI DEGLI SPM (SPECIALIZED PRO-RESOLVING MEDIATORS)........ 10 3.LE CITOCHINE ANTINFIAMMATORIE............................................................................. 11 3.1 IL-10:......................................................................................................................... 11 4. IL SISTEMA NERVOSO E IL CONTROLLO DELLA RISPOSTA INFIAMMATORIA...................................................................................................... 14 5. L’INFIAMMAZIONE ACUTA E LA CRONICIZZAZIONE...................................... 16 5.1 COS’È L’INFIAMMAZIONE CRONICA............................................................... 17 5.2 LE CELLULE DELL'INFIAMMAZIONE CRONICA............................................. 20 5.3 ORIGINE DELLE CELLULE DELL’INFIAMMAZIONE CRONICA..................... 20 5.4 CITOCHINE NELL’INFIAMMAZIONE CRONICA............................................... 22 5.4.2 L'INTERLEUCHINA 12.................................................................................... 23 5.4.3 L’INTERLEUCHINA 4...................................................................................... 23 RIEPILOGO LEZIONE PRECEDENTE La scorsa lezione sono state analizzate le funzioni generali dei mediatori flogistici e attivazione di pathway molecolari; si è parlato nello specifico di mediatori dell’infiammazione acuta: interleuchine, dei TNF,, del ruolo ambiguo dell’IL-6 e il suo ruolo in qualità di citochina pro-infiammatoria e anti- infiammatoria; sono stati trattati i mediatori solubili, proteasi plasmatiche e in particolare è stato analizzato in che modo il sistema delle chinine abbia un ruolo chiave nel processo fibrinolitico che impedisce durante i processi infiammatori l’attivazione del processo coagulativo che si attiva fisiologicamente, ma che viene fisiologicamente interrotto. Altro argomento trattato la lezione precedente è la bradichinina, uno dei mediatori appartenente al sistema delle chinine, attivato durante il processo fibrinolitico; ha un ruolo chiave nel processo infiammatorio perché è un potente vasodilatatore e aumenta la permeabilità vasale, però il suo ruolo è strettamente controllato dall’organismo grazie alla sua inibizione da parte dell’enzima ACE o dall’enzima C1 Esterasi; la mancata inibizione della bradichinina è legata ad una patologia che prende il nome di angioedema, cioè edema che si verifica a carico dei vasi caratterizzato da un elevatissimo aumento della permeabilità vasale. sono stati fatti dei ragionamenti sulla pro e anti infiammazione, sia da un punto di vista fisiologico che da un punto di vista patologico. Ad esempio è stato constatato che le malattie infiammatorie esistono, che a scatenarle sono “agenti x” e poi a continuarle sono le citochine proinfiammatorie. Questa immagine rappresenta un esempio un po’ riassuntivo del modo in cui, in un contesto specifico, che è quello del microambiente tumorale, le stesse citochine proinfiammatorie che hanno il ruolo di difendere l’organismo da agenti patogeni, risultano essere esse stesse causa di malattia. Nella fattispecie, gli autori di questo lavoro (quello riportato nella slide) mettono in evidenza la genesi e il perpetuarsi del processo infiammatorio nel microambiente tumorale: sono state rappresentate le cellule inizianti il tumore in presenza però di stimoli patogenetici persistenti, si tratta dunque di un contesto in cui il sistema immunitario è attivato in maniera persistente da un PAMPs. Il PAMPs stimola varie cellule del sistema immunitario: i macrofagi, le cellule dendritiche, ma anche i fibroblasti che si trovano a livello interstiziale a produrre IL-1β anche grazie all’azione dell’inflammasoma, incaricato di attivare la prointerleuchina1β in interleuchina 1β. Contestualmente la cellula iniziante il tumore, produce interleuchina 33 che in questo specifico microambiente stimola il macrofago ad esprimere la proteina AP-1, e il macrofago stesso esponendo tale proteina secerne una citochina,il TGFβ,una citochina tipica dell’infiammazione cronica. Il TGFβ insieme ad altre citochine come IL-23 prodotta dalle cellule dendritiche, induce i linfociti TH17 a produrre a loro volta altre citochine pro-infiammatorie, ad esempio IL-17A, citochina che agisce a livello degli epiteli oppure IL-22 che generalmente stimola le cellule a riparare i danni genomici, in questo caso ha come bersaglio una cellula target che ha subìto un danneggiamento a causa di diverse genotossine… Si tratta tuttavia di un contesto in cui prevale l’infiammazione perché oltre allo stimolo dell’IL-22, c’è anche lo stimolo di IL-17, di IL-6, cioè stimoli pro-infiammatori, che in qualche modo mettono in secondo piano l’azione riparativa di IL-22 e invece attivano in maniera massiva il pathway di STAT3, il quale è collegato all’attivazione di NFkB (che nel contesto del microambiente tumorale è molto veloce), una proliferazione e un danneggiamento veloci; tutto ciò contribuisce ad aumentare la massa tumorale. Questa immagine mette in evidenza il crosstalk, il dialogo costante tra il microbiota intestinale e il sistema immunitario. Per la prima volta si è parlato di asse microbiota intestinale- sistema immunitario nel 2018. Emerge in particolare come una buona salute del microbiota intestinale di fatto contribuisca al mantenimento di un’immunità attenuata?? a livello intestinale. L'immagine mostra la presenza di un microbiota in eubiosi, con prevalenza di batteri commensali rispetto ai batteri patogeni: I batteri commensali infatti contribuiscono all’integrità degli epiteli, mantenuta anche grazie alle tight junction, dalla capacità di queste cellule epiteliali di produrre peptidi antimicrobici che agiscono contro i batteri patogeni. In questo contesto di stabilità del microbiota intestinale, il sistema immunitario che è sempre attivo, produce una minima quantità di citochine, quindi c’è un’ attivazione basale delle varie cellule dell’immunità sia innata che adattativa, nella fattispecie è possibile individuare linfociti T regolatori, TH17 ecc… Che cosa succede in una condizione di disbiosi? Un'alterazione del sistema immunitario può causare una disbiosi oppure è la disbiosi ad alterare il sistema immunitario? Ancora non si ha una risposta certa a questo quesito, è noto però che nel momento in cui il microbiota intestinale subisce dei fenomeni di disbiosi, si ha una prevalenza dei batteri patogeni sui batteri commensali con danni a carico dell’epitelio intestinale, il quale inizierà a produrre meno peptidi a fini trofici. I batteri patogeni, aumentati di numero penetrano la barriera epiteliale attivando il sistema immunitario che inizierà a produrre citochine che contribuiranno a danneggiare ancora di più l’epitelio; secondo alcuni autori questo sistema è alla base dello sviluppo di alcune malattie infiammatorie, anche molto gravi a carico degli intestini : morbo di Crohn, coliti, ecc… 1.FASE DELLA RISOLUZIONE Bisogna prestare attenzione ai termini che devono essere utilizzatii: in un processo infiammatorio acuto, la parola risoluzione si riferisce alla restitutio ad integrum, quindi al momento in cui il processo infiammatorio si conclude e tale conclusione coincide con l’eradicazione dell’agente patogeno; si tratta della migliore delle ipotesi in cui l’organismo riesce ad eradicare l’agente patogeno e riportare il tessuto alla condizioni omeostatiche di partenza; la situazione appena illustrata però non è l’unica che può verificarsi, ma si può anche andare incontro ad un processo di cronicizzazione e un processo di danno a carico del tessuto. -Il danno a carico del tessuto è un processo di necrosi tissutale strettamente legato ad un'elevata produzione di citochine pro infiammatorie da parte delle cellule del sistema immunitario. -Il processo di cronicizzazione è una delle ipotetiche evoluzioni del processo infiammatorio acuto che si verifica quando non si riesce ad eradicare la causa di malattia per cui nel tempo la produzione di citochine pro-infiammatorie diventa stabile, di conseguenza si ha uno switch sia in termini cellulari, sia in termini di citochine prodotte da parte degli attori del sistema immunitario. Nonostante nell’immagine riportata vengano rappresentate come fasi separate, in realtà c’è una forte interazione tra i vari esiti del processo infiammatorio acuto, forse l'unico esito a sé è proprio la risoluzione, perché coincide con un processo di eradicazione della causa di malattia e il ritorno all’omeostasi; il processo di cronicizzazione così come il processo di danno sono fortemente interconnessi, sicuramente uno dei motivi che può indurre l’insorgenza dell’infiammazione cronica è la mancata eliminazione dell’agente patogeno, però bisogna ricordare che l’infiammazione cronica può nascere di per sé come infiammazione cronica, ciò vuol dire che sin dal principio si manifesta in maniera diversa rispetto all’infiammazione acuta che è stata analizzata fino ad a adesso. Osservando tale immagine è possibile sottolineare un’altra parola chiave: guarigione. La parola guarigione viene comunemente usata per indicare l’esito finale di un processo patologico… In realtà in patologia generale la parola guarigione indica il susseguirsi di processi di riparazione a processi di danno… Non è detto che da un processo infiammatorio cronico si vada incontro ad un processo di risoluzione, anzi nella maggior parte dei casi molti processi infiammatori cronici non si risolvono( se con il termine risoluzione indichiamo l’eradicazione dell’agente patogeno), però da processi di infiammazione cronica si può guarire, cioè l’organismo prova a compensare attraverso processi di riparazione, danno, cicatrizzazione a cui segue altro danno e così via… La guarigione è un processo che deriva da meccanismi di riparazione: l’organismo reagisce attraverso un processo fibrotico, ad esempio: una miocardite è un processo di infiammazione del miocardio, un evento acuto che però si protrae nel tempo, perchè molto spesso le miocarditi sono patologie che superano le 48/72 ore, per cui subentrano dei danni a carico delle cellule del cuore; l’organismo cerca di riparare, infatti il processo infiammatorio attiva i fibroblasti, con la conseguente deposizione di tessuto connettivo… il risultato sarà la formazione di tessuto fibrotico, cosa comporta? il paziente che va incontro a questi processi guarisce, non muore, però il suo cuore non sarà lo stesso della condizione di partenza. Fino a qualche tempo fa si riteneva che il processo di risoluzione dell’infiammazione acuta, cioè eradicazione del microrganismo, fosse un processo passivo, perché si pensava il processo si autolimitasse, nel senso che i neutrofili sopravvivono in circolo per poco tempo per poi andare incontro a morte, in più le citochine pro-infiammatorie hanno emivita breve. Poco tempo fa si pensava che bastassero questi eventi affinchè il processo infiammatorio si interrompesse, in realtà si è capito che la risoluzione del processo infiammatorio è un processo attivo: vengono prodotte citochine antinfiammatorie, molecole diverse rispette a quelle analizzate fino a questo momento, che agiscono in pathway diversi o che inibiscono per esempio il pathway di NFkB, inoltre si verificano alcuni eventi a livello anatomico e fisiologico… Il processo di risoluzione dell’infiammazione acuta deve comprendere: -Un processo di riorganizzazione del vaso, perchè nell’infiammazione acuta, che è stata descritta come un fenomeno di angioflogosi, è un fenomeno caratterizzato dall’alterazione della permeabilità vasale, per cui come prima cosa, deve essere ricostituita l’integrità del vaso e tutte quelle modifiche messe in atto per aumentare la permeabilità devono revertire; -Dovrà cambiare anche l’interazione tra i leucociti e le cellule endoteliali: durante il processo infiammatorio le cellule endoteliali e i leucociti avevano espresso delle CAM che favorissero l'interazione, in questo caso l’interazione deve essere inibita, attraverso per esempio l’inibizione delle molecole favorenti l’interazione. -Un altra caratteristica del processo di infiammazione acuta è la formazione dell’essudato che deve successivamente eliminato: sarà eliminato in parte attraverso il drenaggio da parte dei vasi linfatici, in parte in maniera attiva mediante i macrofagi i quali metteranno in atto la pinocitosi. -Subentra la figura del monocita che dopo 48 ore viene richiamato verso i siti di infezione, passa a livello tissutale e sarà stimolato a effettuare la fagocitosi dei neutrofili morti per necrosi dopo aver effettuato efferocitosi ( nome che viene attribuito alla fagocitosi attuata dai neutrofili). !!Ricapitolando: i macrofagi fanno fagocitosi di eventuali patogeni, se ne sono rimasti, a livello tissutale, faranno efferocitosi dei detriti dei neutrofili andati incontro a morte per apoptosi e poi faranno pinocitosi dell’essudato nella parte finale del processo. Studiando il fenomeno dell risoluzione si è visto che questo dura diversi giorni: rispetto allo stimolo infiammatorio e alla durata del processo infiammatorio acuto, la fase della risoluzione è molto estesa ed è stata identificata una fase successiva alla risoluzione che prende il nome di post risoluzione, identificata con il periodo in cui cominciano ad essere più evidenti i risultati dell’immunità adattativa ( se si immagina il picco delle immunoglobuline, coincide con l’inizio della produzione delle igG, che segue un po’ un andamento simile). Se da un punto di vista cellulare avremo: prima il ruolo dei neutrofili, poi il ruolo dei monociti-macrofagi predominante durante il periodo della risoluzione, seguirà la fase dei linfociti nella post-risoluzione ( prima linfociti t-helper e citotossici, poi linfociti b che differenzieranno in plasmacellule, con produzione anticorpale specifica) 2. I MEDIATORI DELLA RISOLUZIONE Dal punto di vista della produzione dei mediatori, sono state identificate una serie di molecole che agiscono come mediatori dell anti- infiammazione; bisogna intendere l’antii- nfiammazione come processo a sé, non solo come processo di inibizione della pro- infiammazione. Esistono diversi meccanismi antinfiammatori, alcuni vengono attribuiti ai mediatori che prendono il nome di molecole della pro-risoluzione, molecole che agiscono nell’arco temporale della risoluzione; si tratta di mediatori di natura lipidica non solo acido arachidonico, EPA e DHA ma anche citochine, e meccanismi che coinvolgono il sistema nervoso centrale con primo arco riflesso e secondo arco riflesso l’immagine riportata era già stata presentata nelle lezioni precedenti, quando è stata analizzata la genesi degli eicosanoidi, facendo la distinzione tra gli Omega3 e gli Omega6. La maggior parte dei mediatori ottenuta a partire dall’acido arachidonico sono della serie degli Omega6, ma esistono anche mediatori che invece agiscono nell anti-infiammazione derivati dell’acido diomogammalinolenico, un precursore dell’acido arachidonico. Per quanto concerne la serie degli Omega3, si tratta di metaboliti derivati dell’acido EPA e derivati dell’acido DHA. E’ possibile collegare il discorso all’alimentazione facendo riferimento a cibi pro-infiammatori e cibi anti-infiammatori: se da un lato esiste tutta la letteratura che dimostra l’esistenza di cibi pro-infiammatori perché ricchi di acido arachidonico che può contribuire alla formazione di mediatori infiammatori anche in assenza di stimoli, dall’altra parte esistono degli alimenti che contengono acidi grassi della serie Omega3 come ad esempio l’ acido eicosapentaenoico e l’acido docosahexaenoico (EPA e DHA) che derivano dall’acido linolenico, ma va sottolineato che soltanto il 5% dell’acido linolenico viene convertito in EPA, e addirittura meno dello 0,5% viene convertito in DHA. Questi acidi grassi li troviamo nel nostro organismo in concentrazioni minime, ed è per questo che l’anti-infiammazione ha difficoltà a prevalere sulla pro-infiammazione e e facciamo spesso ricorso ai farmaci. Volendo elencare alcuni di questi alimenti: molti pesci come il salmone, le acciughe, le sardine, alcune alghe e alcuni ortaggi a foglia verde possono contenere EPA e DHA, invece l’acido linolenico è contenuto principalmente nelle mandorle; l’acido linoleico invece e l’acido arachidonico sono contenuti in vari olii e principalmente nella carne rossa. 2.1 LE LIPOSSINE La prima categoria di mediatori che viene direttamente ricavata dall’acido arachidonico che a sua volta deriva dall’acido linoleico sono le lipossine, che potrebbero essere considerate un alterego dei leucotrieni, con la differenza che non vengono metabolizzate dall’enzima ciclossigenasi, ma dalla famiglia di enzimi delle lipossigenasi, della quale esistono varie isoforme: 15-LOX, 5-LOX ecc… -A livello di eosinofili, monociti e cellule epiteliali l’acido arachidonico viene convertito dalla 15-LOX in un intermedio, il 5-HS-PETE, questo intermedio a sua volta viene convertito da un’altra lipossigenasi, la 5-LOX, presente principalmente a livello delle piastrine, dei monociti e dei polimorfonucleati in lipossina A4 (per giungere a questo risultato in realtà sono presenti altre reazioni a carico di idrolasi, che però non sono di nostro interesse) -L’acido arachidonico può essere direttamente metabolizzato dall’enzima 5-LOX a livello dei leucociti per poi essere metabolizzato ulteriormente dalla 12-LOX presente nelle piastrine in un’altra lipossina che è la lipossina B4. -Esiste una categoria particolare di lipossina prodotta a partire da una COX anch’essa molto particolare, che si chiama COX-2 acetilata, che viene attivata dall’aspirina, quindi è una COX specifica attivata da un farmaco. (Sono già stati affrontati gli effetti dell’acido acetilsalicidico , Che oltre ad essere un FANS cioè un farmaco antinfiammatorio e un farmaco anticoagulante, è anche responsabile dell’attivazione della forma acetilata della COX-2) La forma acetilata della COX-2 Produce delle lipossine che prendono il nome di aspirin triggered lipoxin, cioè lipossine che derivano direttamente dall’aspirina. Questi intermedi sono a loro volta modificati dalla 5-LOX in altre due lipossine che prendono il nome di 15-epi-lipossina A e 15-epi- lipossina B. 2.2 LE RESOLVINE Si originano dall’acido DHA o dall’acido EPA: -si ottengono resolvine della serie D, la resolvina D1 e la resolvina D2, a partire dall’acido DHA per opera della COX-2, quindi dagli stessi enzimi che mediano i mediatori pro infiammatori. Tali resolvine legano recettori a sette eliche transmembrana. -Se invece si parte dall’acido EPA, sempre grazie all’azione delle COX-2, si ottengono resolvine E1 ed E2, anch’ esse legate a recettori a sette eliche transmembrana, accoppiati a proteine G. Il fatto che sono le stesse COX a indurre la produzione dei mediatori antinfiammatori, deve fare riflettere sulle tempistiche in cui vengono usati gli antinfiammatori: quando viene utilizzata un’antinfiammazione farmacologica, come in caso di febbre, raffreddore etc… questa va ad inibire l’attività antinfiammatoria dell’organismo stesso, spegnendo solamente la pro-infiammazione, perché non viene dato il tempo all’organismo di produrre da solo le sostanze antinfiammatorie( che magari vengono prodotte ma in quantità ridotte). Nel momento in cui si utilizza un farmaco che a blocca l’attività della COX-2, in particolare se vengono utilizzati i FANS, verranno bloccate anche le lipossigenasi e conseguentemente non verranno più prodotti nè mediatori pro-infiammatori né mediatori antinfiammatori, bisognerebbe piuttosto dare il tempo all’organismo di reagire. 2.3 PROTECTINE E MARESINE protectine e maresine derivano entrambe dall’acido DHA, cambia la localizzazione, le prime si trovano nei tessuti periferici, in modo particolare nel tessuto nervoso, infatti la maggior parte delle protectine vengono definite neuroprotectine, a identificare il loro ruolo protettivo e antinfiammatorio a livello del sistema nervoso centrale; un’elevata quantità di protectine viene prodotta dagli eosinofili che oltre a produrre la principale protectina, cioè la D1 è in grado anche di produrre la resolvina3. -Dall’acido DHA ma solo a livello macrofagico troveremo le maresine: la maresina 1 ottenuta attraverso un meccanismo diretto e la maresina 2 che invece origina da uno degli intermedi prodotti durante la produzione della maresina 1. Attraverso quali meccanismi agiscono i mediatori dell’ anti infiammazione? il principale meccanismo che è stato individuato dalla professoressa leggendo la più recente letteratura scientifica, riguarda l’inibizione dell’interazione tra i leucociti e le cellule endoteliali, per cui agiscono determinando un’inibizione delle ICAM che avevano favorito l’interazione tra la cellula endoteliale e il neutrofilo, monocita… in maniera riflessa dunque agiscono anche sulla permeabilità vasale perché inibiscono l’attività dei dilatazione delle cellule endoteliali inoltre favoriscono un reclutamento dei monociti che si localizzeranno a livello interstiziale , si attiveranno in macrofagi mettendo in atto le loro funzioni già trattate. 2.4 RECETTORI DEGLI SPM (SPECIALIZED PRO-RESOLVING MEDIATORS) Per quanto riguarda i recettori si sa poco, se non che: -le resolvine della serie E e della serie E1, Legano un recettore che si chiama chemerina R23,recettori a sette eliche transmembrana che inibisce la chemiotassi dei neutrofili, però si è anche visto che ha un’elevata affinità anche un leucotriene della serie B4 agendo da antagonista. Nel momento in cui la cellula esprime il recettore, ad essa si lega il leucotriene B4 ma non si attiva a cascata nessun Pathway. -La resolvina D1 ha come recettore principale DRV1; -Altre lipossine, sia quelle A4, sia quelle derivate dall’attivazione dell’aspirina legano il recettore a sette eliche transmembrana accoppiato a proteine G chiamato ALX. Svolge un ruolo antinfiammatorio anche la proteina annessina1. Perchè sono stati precedentemente citati gli acidi grassi EPA e DHA che possono derivare dai cibi? Perchè si è visto che questi stessi acidi grassi svolgono un ruolo antinfiammatorio anche liberi a livello dello spazio extracellulare; si è visto che interagiscono con un recettore, il GPR120, il quale ha un’attività di inibizione sui pathway attivati da NFkB. Oltre ad agire a livello extracellulare EPA e DHA, possono agire anche a livello citoplasmatico perché legano recettori citoplasmatici che prendono il nome di recettori citoplasmatici par-γ che come nel caso del recettore GPR120, sono in grado di inibire i pathway di NFkB. 3.LE CITOCHINE ANTINFIAMMATORIE Verranno trattati principalmente l’IL-10 e il TNFβ. Va ricordato che hanno un ruolo attivo nell’antinfiammazione sia l’antagonista di IL-1α, sia il recettore decoy (anche chiamato recettore R2) che può legare IL-1 ma non determina l’attivazione a cascata di nessun pathway. 3.1 IL-10: inibiscelle cellule dendritiche; media una riduzione dell’espressione dei complessi maggiori di istocompatibilità; impedisce l’interazione con le cellule T ; riduce la produzione da parte di cellule dendritiche di citochine pro infiammatorie; a livello dei mastociti inibisce (o comunque riduce) la produzione citochinica e impedisce l’attivazione del ,mastocita per opera delle immunoglobuline di tipo E; ha anche un ruolo di inibizione sugli eosinofili agisce invece a feedback positivo, cioè stimola le cellule che ne percepiscono il segnale, quindi tutta una serie di linfociti di tipo T-Helper alla produzione di IL-10; modula la produzione anticorpale favorendo la produzione degli anticorpi della memoria, quindi delle IgG, rispetto ad altre tipologie di immunoglobuline. Il recettore dell’interleuchina 10 appartiene alla famiglia di classe II delle citochine ed agisce sotto forma di tetramero. Il recettore lega due molecole di interleuchina 10, la prima forma cioè R1, lega la prima molecola di interleuchina 10, la seconda parte del recettore lega una seconda molecola di interleuchina 10 e l'interazione con le molecole di interleuchina 10 favorisce la dimerizzazione. Il dimero è una forma recettoriale leggermente diversa perché la componente R1 possiede la proteina JAK, invece il recettore R2 agisce da co-recettore possedendo un residuo tirosinchinasico. Quindi la formazione di questo complesso esamerico poi alla fine comporta l'attivazione a cascata di un pathway e il protagonista, il fattore di trascrizione in questo caso è la proteina STAT3, ma l'interleuchina 10 può attivare anche fattori STAT1 e fattori STAT5. I fattori STAT fosforilati hanno la capacità di penetrare all'interno del nucleo e di agire da fattore di trascrizione. Cosa trascrive in questo caso specifico STAT3 fosforilato sottoforma di dimero? Trascrive tutta una serie di geni implicati nell'antinfiamazione. Ma si è visto che un ruolo chiave dell'interleuchina 10 è quello di impedire la traslocazione nucleare di NF-kB, quindi evidentemente, in qualche modo che ancora non è stato ben definito, lo lega a livello citoplasmatico e lo induce alla degradazione proteosomale, quindi impedisce la sua traslocazione a livello nucleare. L'attivazione del recettore dell’interleuchina 10 comporta l'attivazione e trascrizione, di geni implicati nella risposta antinfiammatoria, AIR gene. L’interleuchina 10 è implicata nella trascrizione di geni SOCS. I geni SOCS sono geni codificanti per molecole che sopprimono l'attività delle citochine proinfiammatorie. Alla produzione delle proteine SOCS si arriva o direttamente, perchè l'interleuchina 10 ne media la trascrizione genica o indirettamente attraverso un particolare recettore a cui l'interleuchina 6 si lega. Un'altra cosa che fa l’interleuchina 10 è quella di attivare la trascrizione di specifici miRNA che si è visto essere implicati nell’ inibizione della risposta pro-infiammatoria, cioè inibiscono o mediano la distruzione e l'inattivazione di specifici mRNA codificanti per citochine pro- infiammatorie. 3.2 TUMOR GROWTH FACTOR β Da un lato agisce sicuramente come mediatore nell'anti- infiammazione, dall'altro inibisce, tutta una serie di cellule dell'immunità innata, quindi attive durante le prime fasi del processo infiammatorio. Però il tumor growth factor β ha un ruolo anche nel processo di riparazione, quindi nell'induzione della formazione del tessuto fibrotico. Inibisce tutta una serie di cellule implicate nell'attivazione dell'infiammazione acuta, dall'altro lato è implicato nella polarizzazione preferenziale dei macrofagi M2 e nell'inibizione del macrofago M1. La si vede implicata nello stimolo di alcune cellule che sopprimono il processo infiammatorio, che sono indicate come MDSC, cioè sono cellule che derivano dalle cellule mieloidi e che sopprimono la risposta proinfiammatoria; ha un ruolo importante anche nello stimolo dell'interleuchina 6 da parte dei linfociti T helper 17. Le cellule tumorali per favorire la sopravvivenza possono indurre la produzione di tumor growth factor β(proprio il nome della citochina è stata data dai tumori). Il processo di attivazione del tumor growth factor β è molto complicato. Ne esistono tre isoforme, β1, β2 e β3, ma l'attivazione, più studiata in termini di processi infiammatori è il tumor growth factor β1. Il tumor growth factor β1 è associato alla proteina latente LAP, che mantiene il tumor growth factor inattivo, cioè impedisce di legare il recettore. Ci sono vari modi per attivare il tumor growth factor β e i più importanti sono o il clivaggio proteolitico, quindi agiscono delle proteasi che staccano la proteina latente, oppure si associa al complesso LAP tumor growth factor beta un'altra proteina che si chiama LTBP che va a rimuovere agganciandola la proteina LAP, attivando il tumor growth factor β1. Anche in questo caso si nota un legame doppio, quindi l'attivazione del segnale è associata a un interazione di due tumor growth factor β con una porzione dimerica del recettore, costituito dalla componente R2 e dalla componente R1, però l'unica di queste due componenti che può indurre l'attivazione del segnale è la componente R1, perché è quella che possiede i domini che possono essere fosforilati, e in particolare il dominio che viene fosforilato è SMAD2; SMAD2 fosforila a cascata SMAD3 e si forma un complesso trimerico con SMAD4 per entrare all'interno del nucleo. Sotto forma quindi di complesso trimerico, il complesso SMAD è implicato sia nella trascrizione di geni antiapoptotici sia nella produzione di composti pro-fibrotici, perché in effetti il TGF-β ha un ruolo preponderante nei processi fibrotici, quindi nella produzione di tessuto fibrotico. 4. IL SISTEMA NERVOSO E IL CONTROLLO DELLA RISPOSTA INFIAMMATORIA L'attività antinfiammatoria, oltre che con la produzione di mediatori, di natura proteica e di natura lipidica, si può esplicare anche attraverso l'attivazione del sistema nervoso centrale. Si analizzeranno due tipi di riflessi, il primo arco riflesso, che è un riflesso antinfiammatorio di natura colinergica e il secondo arco riflesso che corrisponde nell'attivazione dell'asse ipotalamo-ipofisi- surrene. Si è visto che sempre le citochine pro-infiammatorie insieme anche ad un'allarmina, che è la proteina HMGB1, possano essere veicolati, oltre che attraverso il circolo sanguigno anche attraverso il nervo vagale afferente a livello del nucleo motore dorsale. A livello del nucleo motore dorsale stimolano l'attivazione di un nervo efferente per eccellenza che è il nervo vagale, quindi sotto il controllo del sistema nervoso parasimpatico. Il nervo vagale stimola la produzione di un neurotrasmettitore che è l'acetilcolina. L'attivazione del sistema vagale afferente stimola, in questo contesto specifico, l'esposizione da parte di diverse tipologie di macrofagi, i macrofagi epatici, i macrofagi splenici, i macrofagi del tratto gastrointestinale, di un recettore colinergico, quindi della subunità del recettore colinergico che lega l’acetilcolina. L'acetilcolina legata alla subunità α7 del recettore dell'acetilcolina, si è visto che inibisce l'attivazione dei pathway di NF-kB per cui come riflesso indiretto avremo la riduzione della produzione delle citochine pro-infiammatorie. Il secondo arco riflesso che viene attivato è l'asse ipotalamo-ipofisi-surrene. Alcune citochine pro- infiammatorie hanno la capacità diretta o indiretta di attraversare la barriera ematoencefalica. “Questo aspetto sarà affrontato un po' più approfonditamente quando si parlerà di ipertermia febbrile.” A livello ipotalamico, oltre che agire a livello del range e della temperatura corporea, le citochine proinfiammatorie stimolano la produzione da parte dell'ipofisi dell'ormone adrenocorticotropo. Ormone adrenocorticotropo che a sua volta stimola il surrene a produrre il cortisolo, uno dei principali glucocorticoidi. Sulla struttura del cortisolo sono poi stati disegnati i più famosi farmaci antinfiammatori. I glucocorticoidi sono tra i primi antinfiammatori che vengono prodotti fisiologicamente come risposta all'infiammazione, e si è visto che possono agire sull'antinfiammazione in una maniera doppia: sia attivamente sia inibendo la risposta pro-infiammatoria. Le modalità di attivazione sono due e sono riassunte in questa immagine: i glucocorticoidi hanno, una forte lipofilia, quindi attraversano la membrana plasmatica e legano i recettori per i glucocorticoidi che sono dei recettori solubili che si trovano a livello citoplasmatico. Il recettore lega il glucocorticoide e penetra all'interno del nucleo e si può verificare una doppia attivazione. Il recettore legato al glucocorticoide va incontro a dimerizzazione, e lega in questa conformazione, delle regioni promotrici a livello del DNA che favoriscono la trascrizione degli elementi GRE, gli elementi di risposta ai glucocorticoidi. Questo processo di attivazione e trascrizione dei geni GRE prende il nome di transattivazione. I Geni GRE comprendono tutta una serie di geni, codificanti per proteine implicate nell'antinfiammazione, quindi l'annessina 1, gli antagonisti dell'interleuchina 1, il recettore decoy ecc... Ma esiste anche una seconda modalità che serve per esplicare l'attività antinfiammatoria. In forma monomerica si è visto che il recettore non è in grado di legare il DNA, ma è in grado di legare eventuali fattori di trascrizione legati al DNA. Ovviamente i glucocorticoidi legati al loro recettore hanno un'altissima affinità per NF-kB, per cui interagiscono con NF-kB legato al livello del DNA pronto a trascrivere geni e ne inibiscono la trascrizione genica, quindi inibiscono l'attività sulla trascrizione genica di NF-kB. Questa tipologia di attivazione prende il nome di trans-repressione, quindi attività anti-infiammatoria che si esplica in due modi diversi, o attivamente attraverso la transattivazione quando il recettore è presente in forma dimerica e quindi agisce direttamente sulla trascrizione dei geni GRE, quindi i geni di risposta ai glucocorticoidi, o indirettamente attraverso la trans repressione, il recettore presente in forma monomerica inibisce l'attivazione della trascrizione di geni pro- infiammatori, in particolare si è visto che inibisce l'attività di NF-kB. Per concludere, tra le proteine che agiscono sempre, quindi tra i mediatori dell'antinfiammazione, vi è una molecola che prende il nome di Annessina 1. L'annessina 1 è una proteina secreta dai neutrofili verso la parte finale del loro ciclo di vita ma anche di monociti e macrofagi e si è visto proprio avere un ruolo sia nella riduzione della produzione di citochine proinfiammatorie da parte di queste cellule, sia nella nell'induzione alla morte per apoptosi dei neutrofili. Morte per apoptosi dei neutrofili che richiama macrofagi che fanno la pinocitosi, la fagocitosi e l’efferocitosi. Come si vede dall’immagine finché c'è bilanciamento di tutte queste forze, di tutti questi effettori, tutto procede per il meglio; nel momento in cui qualcosa va storto e fallisce l'ant- inibizione, fallisce l'inibizione della pro-infiammazione, cresce la probabilità che si possa sviluppare una malattia pro- infiammatoria. 5. L’INFIAMMAZIONE ACUTA E LA CRONICIZZAZIONE L'infiammazione cronica può derivare da processi di infiammazione acuta o può nascere di per sé come infiammazione cronica. L’ascessualizzazione è un esempio di cronicizzazione, una delle varianti degli essudati. L’ascesso è un ingombro anatomico caratterizzato, proprio dalla prevalenza dei macrofagi, da un insieme di cellule morte, da un insieme di cellule di neutrofili andate incontro ad apoptosi, da pus e da una capsula fibrotica che lo avvolge. Quindi di fatto l'accesso è un esempio facile da studiare, di processo infiammatorio acuto che evolve verso un processo di infiammazione cronica. 5.1 COS’È L’INFIAMMAZIONE CRONICA La definizione di infiammazione cronica non è facile, non esiste una definizione unica e univoca di infiammazione cronica: - alcuni la considerano solo come un'evoluzione dell'infiammazione acuta perché ritengono che si passi sempre dall'interessamento dei vasi; -altri escludono che necessariamente siano coinvolti i vasi sanguigni e ritengono che invece sia l'infiammazione dei tessuti; -altri tendono a definire l'infiammazione cronica sottolineando le sue differenze rispetto all’infiammazione acuta: l'infiammazione acuta è l'infiammazione dei neutrofili, mentre l'infiammazione cronica è l'infiammazione dei macrofagi. Si può definire come un'evoluzione del processo infiammatorio acuto perché vi è la resistenza dell'agente patogeno, ma bisogna immaginare che alcune forme di infiammazione nascano con quelle caratteristiche citologiche di cui adesso si parlerà. Quindi predominanza direttamente di macrofagi, scarso interessamento dei vasi sanguigni, danneggiamento a carico dei tessuti e così via. Una cosa è certa, se per l'infiammazione acuta si sono dati dei tempi di risoluzione, generalmente la risoluzione del processo infiammatorio acuto avviene nell'arco di 48-72 ore, questa definizione temporale per l'infiammazione cronica non si può dare. Non si può dare perché appunto non è detto che il processo infiammatorio cronico vada incontro a fenomeni di risoluzione, però si è visto che il processo infiammatorio cronico va incontro a fenomeni di guarigione. Fenomeni di guarigione che, come si diceva, sono dei fenomeni caratterizzati da una ripetizione ciclica tra eventi di danneggiamento tissutale che coinvolgono la morte, la necrosi dei tessuti, che si susseguono a eventi di riparazione, a cui si susseguono eventuali eventi di morte cellulare. Come si diceva poc'anzi, è possibile che il fenomeno fibrotico rimanga limitato ad alcune parti, ad alcune zone ed è quello che si verifica nella formazione dei granulomi che derivano da fenomeni infettivi, ma si vedrà che esistono anche delle forme aspecifiche di infiammazione cronica in cui i fenomeni fibrotici sono più diffusi. L'infiammazione cronica specifica è per esempio quella che caratterizza le patologie autoimmuni, alcune forme di artriti caratterizzate da processi fibrotici diffusi e le allergie. Quindi, c’è grande distinzione della definizione, tra gli immunologi e i clinici. Gli immunologi la definiscono il periodo in cui prevalgono i macrofagi, invece i clinici la definiscono come un'infiammazione ricorrente che non va incontro a risoluzione vera e propria, quindi che può andare incontro a guarigione, ma che non va incontro a risoluzione vera e propria, per quello che si è definito essere la risoluzione. L'infiammazione cronica è chiamata istoflogosi perché è un'infiammazione che interessa il tessuto, che non coinvolge i vasi sanguigni. Tutti quegli eventi di modifica della permeabilità capillare, formazione degli essudati, nei processi infiammatori cronici puri non si vedono, non si assiste a un'alterazione della permeabilità vasale. Si assiste invece ancora una volta alla formazione e deposizione di tessuto fibrotico, che è una caratteristica poi comune al processo della riparazione. È un fenomeno che coinvolge, così come il processo riparativo, l'angiogenesi, quindi al contrario stimola la produzione di nuovi vasi sanguigni. È un processo che coinvolge cellule diverse rispetto a quelle che fino adesso si sono analizzate. Se nell'infiammazione acuta prevale l'immunità innata, nell'infiammazione cronica prevale l'attività delle cellule dell'immunità adattativa, quindi essenzialmente prima i macrofagi che fanno da collegamento e poi i linfociti T helper e i linfociti B. Quindi si iniziano a delineare tutta una serie di caratteristiche peculiari di questo processo infiammatorio che la differenziano da quanto finora analizzato. Molto spesso nei processi infiammatori cronici proprio a livello tissutale si delineano delle aree di necrosi, quindi il danneggiamento a carico dei tessuti dovuto: o alla persistenza del microrganismo o l'attività delle stesse citochine proinfiammatorie induce necrosi del tessuto che rimane all’interno, di strutture citologiche altamente caratterizzate come i granulomi, proprio da questo tessuto necrotico poi originerà l'angiogenesi. Per quanto riguarda le cause eziologiche, possono indurre processi infiammatori cronici sicuramente le infezioni, le infezioni persistenti. Uno dei microrganismi più studiati, implicati nella genesi, proprio causa eziologica di infiammazione cronica, è il Mycobacterium tuberculosis. E’ il Mycobacterium tuberculosis per diversi motivi: innanzitutto perché è un batterio particolarmente virulento e poi perchè inibisce il burst ossidativo, quindi di fatto impedisce al macrofago di produrre le specie più attive dell'ossigeno, che sono tra i mediatori maggiormente implicati proprio nell'uccisione batterica. Poi altre sostanze che possono indurre processi di infiammazione cronica sono quelle definite, sostanze esogene irritanti, quindi sostanze che si possono inalare e con cui ci si può ferire. L'asbestosi come detto all’inizio del corso è una patologia infiammatoria cronica derivante dall'inalazione delle fibre dell'asbesto. La fibra dell'asbesto, si inala, quindi è sufficientemente piccola da essere respirata, ma sufficientemente grande da resistere ai fenomeni di fagocitosi. Ma ci sono altre sostanze che possono dare luogo alla formazione di granulomi e quindi i processi infiammatori cronici, metalli, schegge e così via. Poi ci sono le malattie autoimmuni, quindi si immagini che la presenza degli autoantigeni attiri verso un tessuto specifico autoanticorpi, che aggrediscono il tessuto danneggiandolo e quindi la patologia autoimmune di fatto comporta un processo infiammatorio cronico che però nella maggior parte dei casi è un processo di low grade inflammation, quindi un'infiammazione di basso grado, in alcuni casi. In altri casi, come nell'artrite reumatoide, nella sclerodermia o nel lupus, il processo infiammatorio cronico non solo è diffuso, ma può causare l'eccessiva formazione di fibrosi in tutto l’organismo. 5.2 LE CELLULE DELL'INFIAMMAZIONE CRONICA. Le cellule dell'infiammazione cronica, sono i linfociti T Helper e i macrofagi. Tra l'altro questa immagine ricorda immediatamente l'interazione tra queste due tipologie cellulari, un dialogo fitto e ordinato tra le due cellule. Il macrofago tenta di effettuare la fagocitosi, esprime una componente, del microrganismo,sul complesso maggiore di istocompatibilità, lo presenta al linfocita T e lo attiva. 5.3 ORIGINE DELLE CELLULE DELL’INFIAMMAZIONE CRONICA I macrofagi coinvolti nel processo infiammatorio cronico sono macrofagi attivati, quindi si distinguono dai macrofagi residenziali, quelli che si trovano già a livello tissutale, e sulla base della produzione dei mediatori pro-infiammatori sono state identificate due categorie di macrofagi, i macrofagi M1 e i macrofagi M2. -I macrofagi M1 sono la tipologia di macrofago che agisce maggiormente in presenza di uno stimolo infettivo perché il macrofago M1 ha una capacità di effettuare la fagocitosi e una spiccata capacità a uccidere i microrganismi intracellulari e a produrre citochine pro-infiammatorie. -I matrofagi M2 invece, hanno una produzione citochinica differente, producono più che altro interleuchine implicate nel differenziamento e hanno un ruolo chiave nei processi di riparazione. Esiste una tipologia di macrofago prevalente nel processo infiammatorio cronico? La risposta della professoressa è no, nel senso che ci sono alcune malattie infiammatorie croniche in cui prevale il macrofago di tipo M1 ovvero tutte quelle malattie che derivano dalla presenza di batteri persistenti ,,ad esempio la tubercolosi e ci sono malattie infiammatorie croniche in cui invece prevale la tipologia di macrofago M2. Molte patologie autoimmuni, molte patologie autoimmuni, allergiche tipo l'asma e molte di quelle patologie caratterizzate, sulla base degli esempi che fatti, si può capire dalla produzione proprio di tessuto fibrotico eccessivo Un po' stesso discorso si può fare per i linfociti. I linfociti T helper, attivati a seguito del dialogo visto poc'anzi con i macrofagi; anche i linfociti si differenziano, in linfociti T helper di tipo 1 e i linfociti di tipo 2 e anch'essi sono implicati in attività apparentemente separate. Anche gli stimoli infiammatori che li attivano sono diversi : -i T-helper 1 sono attivati prevalentemente dall’ interferone gamma e dall'interleuchina 12 e hanno un ruolo ancora una volta tipico nelle patologie infiammatorie croniche caratterizzate da infezioni fondamentalmente, quindi alla presenza di microrganismi. -i linfociti T helper 2 che invece sono stimolati a differenziarsi sempre a partire dai macrofagi, ma per azione di interleuchine differenti tipo la 4, la 3 o anche a volte la 12, si ritrovano maggiormente coinvolti in malattie autoimmuni, malattie allergiche e così via. L'interazione tra il linfocita e il macrofago è un'interazione che si autoalimenta quindi attraverso dei processi a feedback positivo più linfocitiT i macrofagi reclutano, più macrofagi vengono reclutati e così via a creare proprio un circuito. E questa attivazione diretta tra il macrofago e linfocita T definisce quello che nel processo infiammatorio cronico viene definito infiltrato linfomonocitario. Si vedrà dall'emocromo che la predominanza della componente linfocitaria o della componente monocitaria contemporaneamente sono indici di processi infiammatori cronici.Invece quando si è in presenza di una infezione di natura virale che non è sfociata in processi infiammatori cronici si assiste a un netto aumento dei linfociti sui monociti. Altre cellule coinvolte nel processo infiammatorio cronico sono le plasmacellule, quindi i linfociti B attivati che producono anticorpi nei confronti degli antigeni presenti in maniera persistente; Sono attivate le altre due categorie di polimorfonucleati non analizzate fino a questo momento, i basofili nelle malattie di natura allergica, gli eosinofili nelle infestazioni parassitarie… Altre cellule che nulla hanno a che vedere con il sistema immunitario, ma che sono coinvolte nei processi infiammatori cronici sono i fibroblasti, da un lato, stimolati dal tumor necrosis factor beta a produrre tessuto fibrotico e le cellule endoteliali a conclusione delle cellule che vengono attivate progressivamente nel processo. 5.4 CITOCHINE NELL’INFIAMMAZIONE CRONICA Le più importanti citochine proinfiammatorie coinvolte nel processo di infiammazione cronica sono l’interleuchina 12 e l’interferone gamma. Le cellule che producono interferone gamma, sono sempre la maggior parte di cellule dell'immunità innata. Rispetto ad altre citochine analizzate si notano le cellule NK. Le cellule NK sono tra le principali cellule dell'immunità innata a produrre interferon gamma in risposta a infezioni di natura virale principalmente e poi ci sono le cellule dell'immunità adattativa, quindi linfociti T e per linfociti B. 5.4.1 L’INTERFERONE GAMMA I ruoli principali dell’ interferon gamma, sono: -Aumentare la capacità da parte delle APC di esprimere l'antigene insieme al complesso maggiore di istocompatibilità di secondo tipo. L'interferone gamma, -Ha un ruolo cruciale nell'attivazione e nella polarizzazione dei linfociti Th1, -Induzione della fagocitosi e del burst ossidativo da parte dei macrofagi con conseguente produzione di ROS e anche attivazione di iNOS, quindi dell'ossido nitrico sintasi inducibile. -Attività sulle plasmacellule: stimola la maturazione del linfocita B con produzione di immunoglobuline di memoria, quindi con la produzione di IgG. Un'altra categoria di linfociti che producono interferone gamma sono i linfociti innati. Quindi tutte queste cellule sono cellule secernenti interferone che si lega a un recettore di natura dimerica. Ancora una volta si nota che il recettore è costituito da due monomeri differenti, il recettore R1 e il recettore R2, a cui si legano proteine diverse da un lato JAK1 e dall’altro JAK2. Si attiva STAT1, che fosforilato va incontro ad attivazione, penetra all'interno del nucleo e va a trascrivere geni di risposta agli interferoni. Sono tutta una serie di geni implicati da un lato nell'amplificazione della risposta infiammatoria, dall'altro lato anche nella maturazione della cellule. Proprio poc'anzi si è detto che l'interferone gamma stimola la polarizzazione dei linfociti T-Helper in T-Helper 1. 5.4.2 L'INTERLEUCHINA 12 Le cellule secernenti IL-12 sono: monociti/macrofagi, neutrofili, cellule dendritiche,linfociti B. L'IL- 12 ha un ruolo diverso da tutti quelli analizzati fino a questo momento, perché ha un ruolo chiave nella maturazione cellulare. L’IL-12 è stata già vista nei fenomeni dell'ematopoiesi, quindi nei processi di differenziamento genico. Però, al di là dell'ematopoiesi, si nota che IL-12 svolge un ruolo di immunomodulazione a livello delle cellule NK, stimolando da parte delle cellule NK la produzione di interferon gamma, poi stimola il differenziamento dei linfociti T helper e in particolare la polarizzazione verso il T helper 1 rispetto al T helper 2 e poi ancora ne stimola la proliferazione, quindi l'aumento proprio in termini numerici. I linfociti T helper di tipo 1 sotto stimolo di IL-12 ancora una volta produrranno interferone gamma implicato nella maturazione dei linfociti B, per cui si avrà un incremento ancora una volta delle Immunoglobuline di tipo G e una riduzione di produzione di tutti gli altri anticorpi. 5.4.3 L’INTERLEUCHINA 4 IL-4 ha un ruolo marginale nei processi di infiammazione cronica, è una delle principali citochine insieme alla 5 e alla 13 prodotte dai T helper 2 e quindi avente un ruolo chiave o nelle manifestazioni di natura parassitaria o soprattutto nelle malattie infiammatorie croniche di natura allergica.

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