Letteratura italiana pt. 2 - PDF
Document Details

Uploaded by AgileIndium
Università di Bologna
2025
Andrea Garoffolo
Tags
Summary
Questo documento esplora le forme metriche della letteratura italiana, con un focus sulla canzone e la ballata. L'analisi comprende esempi e discussioni sulla struttura, le variazioni e lo schema dei versi. Viene esplorato anche il madrigale e la retorica.
Full Transcript
Letteratura italiana pt. 2 Andrea Garoffolo Febbraio 2025 1 Forme metriche 1.1 La canzone La canzone è la forma metrica più complessa: ha una struttura variabile, visto che cambia sia la struttura che il numero dei versi....
Letteratura italiana pt. 2 Andrea Garoffolo Febbraio 2025 1 Forme metriche 1.1 La canzone La canzone è la forma metrica più complessa: ha una struttura variabile, visto che cambia sia la struttura che il numero dei versi. Dante elogia la canzone nel De Vulgari Eloquentia e la definisce come la più complessa. È impossibile andare a rivedere tutte le forme metriche dal Medioevo ad oggi e quindi raggruppiamo le forme metriche in due gruppi principali: schemi fissi e schemi variabili. Dei primi abbiamo visto il sonetto e la sestina lirica; nel secondo schema vediamo altri più ricorrenti che sono più complicati data la loro struttura vari- abile e senza uno schema prefissato. La forma più complessa è la canzone, come l’endecasillabo lo è per i versi, è la forma più rappresentativa tra i metri. La canzone è la più difficile da strutturare e per noi che dobbiamo capirla, è la più difficile da interpretare: anche in questa struttura si usano principalmente gli endecasillabi (Dante lo fa), Petrarca invece codifica tutte le forme che Dante ha già fissato e le riutilizza in una codificazione definitiva e nel Canzoniere alter- nando endecasillabi e settenari. La differenza tra fisso e variabile è che tutti i componimenti avranno una struttura metrica uguale (es. sonetto: due quartine e due terzine, ma le rime sono libere); nella canzone non c’è questa fissità nella struttura e le strofe che compongono la canzone (le stanze) possono essere di due tipi: stanze divisibili e indivisibili. 1.1.1 Le stanze indivisibili Una stanza divisa in due parti, si dice, secondo la definizione dantesca, che è divisa in “fronte”, la prima metà, e “sirma” (o sirima), la seconda metà; Una stanza può inoltre presentarsi divisa in due parti di cui la prima formata da due o più piedi (anche se la forma più frequente è due) e la seconda parte, come sopra, detta sirma; oppure in due parti di cui la prima “fronte” e la seconda divisa in due volte. Per i piedi, come per le volte, lo schema delle rime e la struttura dei versi devono essere identici. 1 Il numero dei versi di un piede va in Petrarca da due a quattro, in Dante da tre a sei. Quando il primo verso della sirma rima con l’ultimo verso della fronte, questa struttura concatenante è detta “Chiave” (o Concatenatio). C’è infine il Congedo, una stanza più breve, che riprende in genere lo schema rimico della sirma. Facciamo un esempio di stanza indivisibile: Verdi panni, sanguigni, oscuri o persi A non vestı̀ donna unquanco b né d’or capelli in bionda treccia attorse C sı̀ bella, come questa che mi spoglia D d’arbitrio, e dal camin de libertade E seco mi tira, sı̀ ch’io non sostegno F alcun giogo men grave. g E pur s’arma talor a dolersi A l’anima, a cui vien manco b consiglio, ove ‘l martı̀r l’adduce in forse C rappella lei da la sfrenata voglia D sùbito vista; ché del cor mi rade E ogni delira impresa, et ogni sdegno F fa ‘l veder lei soave. g La prima indica che la canzone si può dividere in fronte e sirma, divisa a metà e l’ultimo verso della prima metà rima con il primo verso della seconda parte (si dice verso chiave). Queste due parti possono essere divise in ulteriori parti, che devono essere tra loro simmetriche e un sistema tale da formare delle relazioni tra loro (non possono essere IRRELATE). Esempio di stanza divisibile: Vergine bella, che di sol vestita, A coronata di stelle, al sommo Sole B piacesti sı̀, che ’n te Sua luce ascose C amor mi spinge a dir di te parole; B ma non so ’ncominciar senza tu’ aita, A et di Colui ch’amando in te si pose. C chiave Invoco lei che ben sempre rispose C chi la chiamò con fede: d Vergine, s’a mercede d miseria extrema de l’humane cose C già mai ti volse, al mio prego t’inchina, E soccorr’ a la mia guerra, f ben ch’i’ sia terra, f e tu del ciel regina. E 2 In questo schema, nelle strofe successive avranno le stesse modalità ma saranno differenti. 1.2 La ballata È il metro più vicino alla Canzone: ha come caratteristica la presenza di una strofa che si chiama ripresa, refrain o ritornello, ovvero una strofa che veniva ripetuta dopo ogni tot. Questa struttura era pensata per la danza e si presenta con questo ritornello iniziale, che viene indicato con le ultime lettere dell’alfabeto e questo verso riprende la struttura dell’ultima strofa della ballata (come lo era per la canzone): la differenza più evidenza è che la strofa della ballata è più breve ma anche questa si può dividere in due. In questo caso si può dividere in I mutazione e II mutazione e devono essere SIMMETRICHE e lo stesso tipi di versi (nella canzone si chiamavano piedi. La lunghezza della ripresa (1, 2, 3 o 4 versi) determina anche la classificazione del componimento, detto ballata minima quando la ripresa è costituita da un verso, minore da due versi, mezzana o media da tre versi e grande da quattro. Esempio: Lassare il velo o per sole o per ombra, X ripresa o refrain donna, non vi vid’io y poi che in me conosceste il gran desio Y ch’ogni altra voglia d’entr’al cor mi sgombra. X Mentr’io portava i be’ pensier’ celati, A I mutazione ch’ànno la mente desiando morta, B vidivi di pietate ornare il volto; C ma poi ch’Amor di me vi fece accorta, B II mutazione fuor i biondi capelli allor velati, A et l’amoroso sguardo in sé raccolto. C ¿ [concatenatio] Quel ch’i’ più desiava in voi m’è tolto: C volta sı̀ mi governa il velo d che per mia morte, et al caldo et al gielo, D de’ be’ vostr’occhi il dolce lume adombra. X 1.3 Il madrigale Il madrigale è un sonetto più breve che ha strutture diverse, è una forma molto usata, soprattutto per le forme musicate. Questa forma avrà grande fama nel Cinquecento soprattutto con la forma musicata e sarà una forma di intratteni- mento molto utilizzata. Molto raramente vediamo comparire anche i settenari ma solitamente endecasillabi e c’è la possibilità di avere versi irrelati e non connessi. 3 Non al suo amante più Diana piacque, A quando per tal ventura tutta ignuda B la vide in mezzo delle gelide acque, A ch’a me la pastorella alpestra et cruda B posta a bagnar un leggiadretto velo, C ch’a laura, il vago et biondo capel chiuda, B tal che mi fece, or quand’egli arde ’l cielo, C tutto tremar d’un amoroso gielo. C 1.3.1 Il madrigale cinquecentesco Il Madrigale cinquecentesco è una forma metrica libera in endecasillabi e settenari, con rime a schema libero e senza obbligo che tutti i versi siano connessi, quindi con la possibilità di versi irrelati. Si tratta di una forma di poesia per musica, ma il rapporto dei testi poetici con la musica è assai variabile: come la musica madrigalistica può utilizzare testi diversi dal madrigale (come il sonetto), cosı̀ quelle forme poetiche, che dal punto di vista metrico sono dette “madrigali”, possono essere autonome rispetto all’utilizzazione musicale. 1.4 La retorica in poesia e prosa Il livello retorico di un testo riguarda sia il suo aspetto morfologico, sia quello sintattico e sia quello semantico e accomuna il discorso poetico in senso stretto a quello narrativo, sebbene in poesia rappresenti un aspetto essenziale della sua fenomenologia L’arte retorica, vale a dire quella che per i classici era “l’arte del parlare e dello scrivere in modo ornato” si fonda sull’uso delle cosiddette figure retoriche. Queste vengono distinte in diverse categorie, ma qui useremo la classifi- cazione più semplice, e tra l’altro direttamente collegata alla già citata dis- tinzione saussuriana tra significante e significato. Le figure retoriche del significante (che coinvolgono la forma e il suono delle parole) e figure retoriche del significato (che coinvolgono il senso, la struttura sintattica e la selezione delle parole). Le figure retoriche sono tante e riguardano i suoni (aspetto fonetico), la sintassi : 1.4.1 Figure retoriche del significante Enjambement: La figura retorica dell’enjambement è quella per la quale si prolunga il periodo logico-sintattico oltre la misura metrica del verso. Conosciuta anche con il nome di “inarcatura”, la figura retorica rompe in sostanza il parallelismo tra metro e sintassi con un risultato espressivo che coinvolge contemporaneamente tutti i livelli fin qui analizzati, compreso quello semantico. 4 Anafora: una figura retorica, in cui una o più parole all’inizio di un sintagma verbale sono ripetute anche nei sintagmi successivi. In poesia, naturalmente, il sintagma è costituito dal verso, perciò si potrà dire che l’anafora è l’iterazione dell’incipit di un verso nei versi successivi. Esempio: Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l’etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Allitterazione: si ha quando si ripetono due o più volte le consonanti iniziali di parole vicine (non necessariamente contigue). Esempio: Amor, ch’a nullo amato amar perdona, [... ] E caddi come corpo morto cade Onomatopea: L’Onomatopea: dal greco ónoma, nome e poiéo, fare, si ha l’onomatopea quando la resa fonica di una parola o di più parole insieme, tende a riprodurre (imita) il suono del significato cui si riferisce. L’onomatopea è una figura assai frequente in poesia sia per il suo effetto musicale che per la sua capacità di evocare atmosfere sonore, per il suo potere descrittivo e per il potere del legame tra suono e senso. Esempio:... Sciacqua, sciaborda, scroscia, schiocca, schianta, romba, ride, canta,... L’uso delle figure retoriche non è esclusivo della poesia ma anche nella prosa ma anche lı̀ dove il messaggio che vogliamo veicolare deve rimanere attaccato al cervello di chi lo ascolta, come nei discorsi politici o nei jingle musicali. 1.4.2 Figure retoriche di significato Metafora: Dal greco metaphérō, porto oltre, è una figura retorica che, attraverso accostamenti inconsueti, inusuali di concetti e significati lon- tani aggiunge qualcosa di ulteriore alla consueta percezione della realtà. La metafora, che è quindi un caso di anomalia semantica1, poiché viola determinate regole di selezione, combinando lessemi assolutamente inusu- ali. Esempio: Quell’attore è un cane. Metonimia: come la metafora, opera un trasferimento semantico. Qui però più che un accostamento, vi è una sostituzione di un termine per un altro, essa è “fondata su una relazione di contiguità logica e/o materiale”. Quindi utilizzare un nome per indicarne un altro, uno scambio fra due termini che hanno una relazione fra loro. Esempio: Bere una bottiglia, guardare un Picasso. 5 Sineddoche: si ha quando una parola esprime il “proprio” concetto abit- uale al quale se ne “abbina” un altro, che ha con il primo una relazione di “quantità”. “Nei termini classici la sineddoche esprime totum pro parte ‘il tutto per la parte’, o pars pro toto ‘la parte per il tutto”. Esempio: Gli Stati Uniti per gli USA Ossimoro: è una sorta di antitesi in cui si accostano parole di senso opposto e che sembrano escludersi l’un l’altra. Esempio: Un urlo sordo. Sinestesia: è un particolare tipo di metafora che consiste nell’associazione di termini appartenenti a domini sensoriali diversi. La sinestesia diventa “emblema” delle corrispondenze sentimentali e analogiche della poesia simbolista [Morier 1981] ricorrente nella poesia pascoliana. Esempio: fioco fragore, fragile squillo. 1.5 La Narratologia Andiamo a scoprire gli strumenti di analisi di un altro tipo che va ad analizzare gli strumenti di comunicazione di un testo narrativo, tutti quei testi che con- tengono una narrazione (non esclude la poesia, perché esistono forme letterarie che sono narrative in versi). Questo studio si chiama Narratologia. La narratologia è una sezione dello strutturalismo, che è a sua volta una corrente critica che prende le mosse dall’analisi linguistica e semiologica di Fer- dinand De Saussure. Tra gli strutturalisti (tra Mosca e Pietroburgo) si dis- tacca un gruppo, che viene definito dei “Formalisti”, che applicano la metodica semiologica-strutturalista all’analisi delle opere letterarie. La medesima analisi, applicata ai testi narrativi, viene detta “Narratologia”. Tra i maggiori formal- isti russi Šklovskij, Propp (su cui si tornerà più avanti) ma soprattutto Boris Tomaševskij che nel 1925 (Milano 1978) pubblica il saggio Teoria della letter- atura, in cui teorizza, appunto, il metodo narratologico, cioè il tipo di analisi che si affronta nell’analisi di un testo. I concetti cardine delle prime teorizzazioni narratologiche sono quelle di fab- ula e quella di intreccio: Fabula: è l’insieme dei motivi significativi della storia in ordine crono- logico. L’idea astratta di ciò che l’autore vuole rappresentare o di cosa si vuole raccontare, una sorta di scaletta. Cesare Segre definisce le parti della fabula come funzioni cardinali, ovvero quelle parti essenziali e necessarie perchè la storia proceda in qualche modo. Intreccio: invece l’insieme dei motivi, anche quelli irrilevanti, cosı̀ come l’autore li ordina e li presenta nell’opera. ’E la disposizione ultima come viene presentata al fruitore. Rientrano nell’intreccio anche elementi non strettamenti narrative, come sequenze riflessive, pause, digressioni ecc. 6 Nel considerare il rapporto tra la fabula e l’intreccio è, infatti, inevitabile che vengano messe in evidenze delle anacronie, cioè delle discrepanze nella sequenza temporale della fabula rispetto a quella dell’intreccio. In questo senso vengono messe in evidenze delle anacronie, cioè delle discrepanze nella sequenza tempo- rale della fabula rispetto all’intreccio. Quindi, queste sono degli sbalzi temporali avanti o indietro che si chiamano rispettivamente prolessi/anticipazione o flashback. 1.5.1 Vladimir Propp, Morfologia della fiaba (1928 - ed. italiana 1966 Attraverso dello studio delle fiabe del folklore russo, Propp presenta un modello di fiaba che si ripresenta sempre in questi modelli e propone uno schema che trova elementi con delle funzioni. Queste possono essere sistemati in modo differente in base all’autore. Propp individua le principali 31 funzioni principali: Alcune le possiamo leggere per far capire l’esempio: mediazione; la partenza dell’eroe; la reazione dell’eroe; Propp si ferma sull’idea che l’utilizzo e lo spostamento di queste funzioni può portare alla creazione di una struttura fiabesca. Queste funzioni permettono di creare un collegamento tra i personaggi e le azioni, che permette di tracciare un elenco di ruoli La strada aperta da Prop ci permette di avere un nuovo tipo di analisi e di ap- proccio al testo. ’E infatti, fuori di ogni dubbio che le tipologie del racconto presentate da Propp sono riscontrabili in quasi tutti i tipi di testi. 7 1.5.2 Umberto Eco e i racconti su 007 Umberto Eco nel saggio Le strutture narrative in Fleming (1978) analizza i racconti sull’agente segreto scritti da Fleming e ritrova elementi costanti che si combinano nelle varie opere: smonta la macchina narrativa ed evidenzia come questi punti rimangano invariati a fronte di diverse combinazioni che poi portano alla medesima risoluzione finale. Le azioni narrative corrisponderebbero a mosse di una partita a scacchi su una scacchiera che presenta sempre lo stesso schema. Se Propp ha preparato uno schema per gli studi del testo, Eco propone un’analisi completa dei testi proponendo uno schema che si ripropone spesso. 1.5.3 Il tempo del racconto Per fornire un’analisi appropriata del rapporto tra fabula e intreccio, dobbiamo analizzarla dal punto di vista temporale. Si cerca di comprendere la natura del ”Tempo” del racconto che può essere più o meno lungo e avere un ritmo più o meno intenso a seconda di come ciascun elemento viene utilizzato dall’autore nel comporre le sequenze narrative Quando parliamo di tempo usiamo termini diversi: infatti per indicare la fabula parliamo di racconto; mentre quando parliamo di intreccio parliamo di storia. Il dialogo è l’unico momento in intreccio e dialogo coincidono. Il sommario è dominato dalla rapidità del racconto con tempi diluiti per quanto riguarda la storia. L’analisi ha tempi diversi: c’è una riduzione della storia e un ampliamento del racconto. Infine, con l’ellissi c’è un salto temporale nella storia. Scena o dialogo = unico momento del racconto in cui i due tempi cor- rispondono perfettamente. Sommario = è un momento di sintesi di un lasso di tempo che può durare anche anni, per questo il racconto si riduce ma la storia si ampia. 8 Analisi = è il procedimento inverso, per il quale il narratore si ferma su un particolare momento analizzando ogni singolo elemento attraverso un’introspezione psicologica o investicativa. In questo caso il tempo del racconto sarà più lungo rispetto a quello della storia. Ellissi = è un vero e proprio salto temporale, per mezzo del quale si possono eclissare momenti più o meno lunghi (ES. ”20 anni dopo” Pausa = è un rallentamento del tempo come l’analisi ma in questo caso blcca effettivamente l’avanzamento della storia. Può essere una stasi de- scrittiva oppure di tipo speculativo (dove si descrivono le intenzioni o le emozioni dei protagonisi). Descriptio = una sequenza statica che interrompe la narratio nel mo- mento in cui viene rappresentato un luogo o un personaggio. In pratica il testo si ferma per descrivere qualcosa. La descrizione in un opera serve principalmente come funzione pittorica in cui si mostra ciò che vedono i personaggi e pone il problema del rapporto visivo tra un personaggio e gli oggetti, cioè tra la loro percezione dello spazio e ciò che questo rapporto rappresenta nel contesto dell’opera. Inoltre, può rappresentare un’overture perchè annuncia il tono dell’opera o è proprio l’incipit dell’opera. Oppure infine, può essere di carattere distensivo psicologico, dopo un momento di suspance. Lo studioso Angelo Marchese compie una lettura del passo manzoniano ”Addio ai monti”, seguendo le indicazioni suggerite da Jurij Lotman riguardo la simbologia dello spazio nel testo letterario: secondo quest’interpretazione lo spazio raccolto del borgo è visto come spazio interno, luogo intimo in cui i protagonisti sono in qualche modo protetti mentre alla città tu- multuosa sono accostate percezioni negative. Un’altra dicotomia indicata da Marchese sono i due mondi contrapposti degli umili come Lucia e Renzo e dei signori prepotenti come Don Rodrigo e i suoi aiutanti. In questo senso, lo spazio letterario non è solo una semplice scenografia ma è molto ”connotativo” e plurisemico, dà specifiche connotazione all’azione. Secondo lo studioso sovietico Lotman, lo spazio può essere metaforicamente diviso in due porzioni, attraverso una zona di confine (una frontiera): una parte interna e una esterna rappresentata come un cerchio chiuso (in) protetto da una frontiera e all’esterno il resto (es). L’esempio è una casa/una corte protetta da delle mura e chiusa, ovvero l’in e l’esterno invece rappresenta l’es. Ci dev’essere un’azione che porti i protagonisti a spostarsi dall’in all’es. In questa sfida che i personaggi vivono si possono trovare più frontiere e trovare addirittura più es. Possiamo avere anche un Es positivo e un Es negativo, come nella Commedia di Dante o nella Gerusalemme Liberata di Tasso. Ciò che sottolinea Lotman e ha dismostrato è come l’opera letteraria sia costruita principalmente su un principio di opposizione semantica binaria di due realtà antitetiche separate da una ”frontiera”. Il superamento di tale limite si compie infrangendo un divieto o rompendo uno schema abitudinario, ciò determina l’avvio della storia. 9