La S.S. e la S.N.C. PDF
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This document provides details on Italian law concerning società semplici (S.S.) and società in nome collettivo (S.N.C.). It covers topics such as publicity, incapacity law, contributions, obligations, and dissolution procedures. The legal implications involved with each are clearly explained to support an understanding of these business structures in Italy.
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La S.S. e la S.N.C. 1. La pubblicità e costituzione Per la S.S., originariamente, col codice del 42, non era previsto un regime pubblicitario. La situazione iniziò a mutare con la riforma del 93, ossia con la legge 580/1993, la quale prevedette un obbligo di iscrizione nella sez...
La S.S. e la S.N.C. 1. La pubblicità e costituzione Per la S.S., originariamente, col codice del 42, non era previsto un regime pubblicitario. La situazione iniziò a mutare con la riforma del 93, ossia con la legge 580/1993, la quale prevedette un obbligo di iscrizione nella sezione speciale con la sola funzione di certificazione anagrafica e pubblicità-notizia. Successivamente è poi intervenuto il d.lgs. 228/2001 che ha previsto, in aggiunta, la pubblicità-legale, per le sole società semplici esercenti attività agricole. Dunque si assistette a tale bipartizione pubblicitaria, da una parte avevamo le S.S. esercenti attività non commerciale e non agricola rimaste soggette ad una mera pubblicità-notizia, dall’altra, avevamo le S.S. non commerciali esercenti attività agricola che di contro erano soggette a pubblicità-legale. In merito alla costituzione delle S.S. e S.N.C., esse posso costituirsi mediante contratto sociale per le S.S. ovvero con atto costitutivo le S.N.C.. La società può essere conclusa però anche con altre modalità, ossia verbalmente o anche semplicemente per comportamenti concludenti. L’eventuale silenzio delle parti, in merito anche ad aspetti essenziali del contratto, non causa alcuna problematica in quanto sarà la legge stessa a colmare le lacune. I due tipi di società, una volta effettuato l’atto cost o contratto sociale, possono, in modo facoltativo, provvedere all’iscrizione nel registro delle imprese. La mancata iscrizione non causa invalidità nella formazione della società stessa, bensì un mutamento del regime giuridico applicabile. Infatti, le S.N.C. che non provvedono a registrarsi nel registro divengono S.N.C. irregolari, al contrario delle S.S. che rimangono tali indipendentemente dalla registrazione. Le S.N.C. che provvedono a registrarsi nel registro delle imprese e dunque di costituire S.N.C. regolare devono osservare l’art 2295, il quale specifica quali informazioni deve contenere un atto costitutivo. L’eventuale omissione di determinate informazioni non causa invalidità dell’intero atto costituivo in quanto la legge supplisce le parti mancanti, dunque, laddove nulla fosse stato previsto dagli imprenditori costituenti, sarà la legge a colmare le lacune. Infatti, se nulla dovesse essere previsto in merito ai conferimenti, si presume che i soci debbano provvedere al versamento di denaro in misura uguale. Ciò che può causare problema è l’eventuale conferimento di beni diversi dal denaro, ovvero il conferimento di beni immobili; la legge prevede che tali conferimenti, che sia il conferimento in proprietà ovvero in godimento, debbano essere effettuati per atto scritto a pena di nullità, con atto pubblico ovvero con scrittura privata autenticata. L’inosservanza di tali norme fa si che il conferimento non sia stato eseguito e dunque la possibilità di provvedere all’espulsione del socio se non provvede a conferire in modo diverso o corretto. 2. La partecipazione degli incapaci In merito alla partecipazione degli incapaci, la legge è chiara, afferma che chi non gode della piena capacità di intendere o volere, ovvero della piena capacità di agire, non può costituire società ex novo. Però la legge è vasta, e ha provveduto a disciplinare le varie singole ipotesi che possono verificarsi. Come ci esplica l’art. 2294, la partecipazione degli incapaci in S.N.C. è subordinata all’osservanza delle disposizioni del predetto art. che per l’appunto trattano dei soggetti incapaci. In merito al minore, interdetto ed inabilitato, la disciplina è abbastanza omogenea, proprio perché essi sono tutti privi della capacità di agire, prevedendo che questi non possano assolutamente costituire una S.N.C. ex novo. Per contro, nel caso in cui dovessero ereditare o ricevere in donazione una partecipazione, possono essere autorizzati dal giudice affinché conservino la posizione acquisita (indistintamente che l’abbiano ricevuta in successione ovvero prima che pervenisse l’incapacità). Un elemento però che contrasta la loro tutela è che però essi perdono la responsabilità limitata di cui godono; Pagina 1 di 16   dunque, per chiarirci meglio, immaginiamoci il caso di un interdetto che succede a suo padre, il quale gli lascia in eredità la posizione di socio di una S.N.C. regolare, 10mila euro di attivo e 50mila euro di debiti. Diciamo che se accetta l’eredità la prende abbastanza in culo, perché dovrà rimetterci di tasca sua i 40mila euro, se però accetta con beneficio di inventario (e ricordiamoci che l’incapace è obbligato ad accettarla in tal modo) gode del vantaggio di non adempiere ai debiti se non nella misura dell’attivo presente nell’eredità e acquista cosi, in modo pulito, la partecipazione in società. (Però siccome noi siamo bravi, sappiamo che i soci di una S.N.C. non godono della responsabilità limitata in merito alle obbligazioni sociali, dunque, siccome per legge non si può fare delle differenziazioni in merito all’adempimento dei debiti societari, l’incapace, perderà la sua limitata responsabilità non solo in qualità di socio, MA ANCHE NELL’ACCETTAZIONE DELL’EREDITà, quindi non potrà accettare l’eredità con beneficio di inventario (anche perché ricorda che chi diventa socio di una soc già precostituita risponde pure dei debiti passati, dunque, non puoi essere limitatamente responsabile, altrimenti che garanzie dai come socio? Verrebbero meno tutti i principi cardini su cui si fonda la S.N.C.). L’interdizione però, può anche essere sopravvenuta, ovvero divenire incapace durante il corso della vita. In tal caso il giudice può autorizzare la continuazione della partecipazione, sempreché gli altri soci non deliberino l’esclusione del socio interdetto o inabilitato ex 2286 c.c. In merito al minore emancipato la disciplina è leggermente diversa dal caso precedente, in quanto questo soggetto, acquista la capacità di agire e dunque può costituire, nonostante la minore età, una società ex novo, purchè si osservino le norme ex art. 394, 395 e 397 c.c.. tali articoli ci spiegano che l’emancipato può costituire una società ex novo purchè vi sia il consenso del giudice tutelare. Nello specifico, ex art 394, l’emancipazione conferisce al minore la capacità di compiere gli atti che non eccedono l’ordinaria amministrazione, in quanto per gli atti eccedenti, provvederà il minore stesso affiancato al curatore assegnatogli. Mentre, ai sensi del 397, il minore emancipato può esercitare impresa commerciale senza l’assistenza del curatore, sempreché esso sia autorizzato dal giudice tutelare, sentito però il curatore, che nel caso neghi il consenso (ex art 395) dovrà esplicare le ragioni che lo inducono concretamente a non cedere il proprio favore. Sempre nel caso in cui il giudice abbia acconsentito all’autorizzazione, questo potrà revocarla su istanza del curatore o d’ufficio, sentito il minore. Se il minore è stato autorizzato ad esercitare una attività commerciale ex novo, potrà compiere non solo gli atti di ordinaria amministrazione (i quali poteva già compiere in virtù della disciplina dell’emancipazione dettata dal 394) ma anche gli atti di straordinaria amministrazione, in virtù del 397, per concessione del tribunale. Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può anch’egli, come il minore emancipato, partecipare alla costituzione ex novo ad una società, salvo che sia diversamente disposto nel decreto di nomina dell’amministratore di sostegno o con successivo decreto del giudice tutelare. Ma come mai parlo di tali incapaci solo in merito alla costituzione di una S.N.C.? Perché la S.S., non è un’attività commerciale, dunque, i soci non acquistano la qualità di imprenditore e ciò vuol dire che chiunque può costituire S.S., indipendentemente che sia incapace o meno. Riassumendo, chi può fare una società ex novo previo consenso del tribunale? - Il minore emancipato e il beneficiario dell’amministrazione di sostegno. Chi invece non può costituire una società ex novo ma può acquistare la partecipazione in società previo consenso del giudice tutelare? - Il minore, l’interdetto e l’inabilitato. Pagina 2 di 16   3. L’invalidità della società Anche la costituzione di una S.N.C. può essere colpita da invalidità. Quale la nullità e l’annullabilità. La S.N.C. è colpita da nullità se il vizio è costituito nell’oggetto della società, ovvero con oggetto illecito o impossibile, quando però l’oggetto costituisce elemento determinante. (Cause di nullità ex 1418 c.c.) La costituzione di una S.N.C. è annullabile quando vi è un socio non pienamente capace di intende o volere ovvero è stato prestato un consenso viziato dal dolo, violenza o errore. (Cause di annullabilità 1425ss. c.c.) Le cause di invalidità possono altresì essere distinte in: Cause di invalidità che colpiscono l’intero contratto di società: ad esempio si pensi ad un contratto con oggetto illecito (contrabbando di coca). Cause di invalidità che colpiscono la singola partecipazione: ad esempio si pensi alla partecipazione di un minore non autorizzato. Le cause di invalidità che colpiscono la singola partecipazione possono determinarsi anche in un vizio tale da colpire l’intero contratto di società, causando addirittura lo scioglimento della società; ovvero, quando la partecipazione di un soggetto non autorizzato sia unico socio, e cioè, che la sua partecipazione sia essenziale (se la pluralità dei soci non viene ripristinata entro 6 mesi, cioè sostituendo l’eventuale socio minore con altro socio valido, la società deve obbligatoriamente sciogliersi, perché devono esserci almeno 2 soci) (ex art 1420 c.c. e 1446 c.c.) Ma cosa comporta la dichiarazione di annullabilità o di nullità dell’intero contratto? Beh, non vi sono grandi problemi se l’attività della società non è ancora iniziata, si tratta solo ed unicamente di definire, come in un contratto comune, solo i rapporti fra le parti contraenti. In particolare, la sentenza che accerta la nullità produrrà un effetto ex tunc, ossia le parti sono liberate dall’obbligo di eseguire i conferimenti promessi (come se non l’avessero mai promessi (questo vuol di ex tunc)) ed hanno diritto alla restituzione di quelli eventualmente conseguiti. La situazione, di contro, si fa più complessa se la società ha iniziato ad operare, intrattenendo relazioni commerciali con soggetti terzi. In tal caso la legge tutela quest’ultimi di fronte alla dichiarazione di nullità o annullabilità della società facendo salvi i loro crediti. Ciò vuol dire che la dichiarazione di nullità non pregiudica l’efficacia degli atti compiuti in nome della società dopo l’iscrizione nel registro delle imprese, inoltre, non sono liberi, i soci, dall’obbligo di eseguire i conferimenti ancora dovuti. La legge però non tutela solo le posizioni dei creditori e terzi, ma tutela anche i soci che comunque hanno investito denaro e tempo a favore della costituzione di una società, dunque, se la causa di nullità o annullabilità viene meno prima della sentenza del giudice, mediante modificazione dell’atto costitutivo, questi allora potranno continuare ad operare. Dunque, la sentenza di nullità intervenuta dopo l’inizio dell’attività opererà quindi come semplice causa di scioglimento della società. Perciò: 1. Restano in vita tutti gli atti precedentemente posti in essere in nome della società; 2. I soci non sono liberati dall’obbligo di eseguire i conferimenti promessi; Perché? Perché i conferimenti hanno come funzione principale non solo quello di dotare la società di liquidità necessaria affinché questa possa operare (comprare macchinari, materie prime etc..) ma anche per adempiere alle obbligazioni che la società contrae con i terzi contraenti. Ricordiamoci che i soci di una soc di persone sono responsabili in via sussidiaria, ciò vuol dire che il primo debitore e debitore diretto è la società, solo nel caso in cui essa non provvedere ad adempiere, previa dimostrazione dei creditori che la società non può obiettivamente provvedervi, allora possono escutere i soci e pretendere l’adempimento direttamente dal loro patrimonio personale. 3. Resta ferma l’autonomia patrimoniale della società e la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali. 4. Con la sentenza di nullità si apre il procedimento di liquidazione della società, che porterà all’estinzione della stessa dopo aver soddisfatto i creditori sociali e ripartito fra i soci l’eventuale residuo attivo di liquidazione. Pagina 3 di 16   in più…. Il libro argomenta una discussione che nel tempo è stata risolta pacificamente sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, in merito all’applicabilità dell’art 2332 (art per le società di capitali) anche alle società di persone. Secondo una interpretazione letterale, questo articolo non si potrebbe applicare alle soc. di persone, perché è inserito nel codice al capo V (capo che tratta delle S.P.A.). Ovviamente dottrina e giurisprudenza hanno dovuto affrontare il tema circa l’estensione della sua applicabilità anche alle società di persone, rispondendo in modo affermativo. Alla fine, questo art., ha una portata generale, non delineando aspetti specifici alle sole S.P.A., e nonostante quest’ultima abbia una piena capacità giuridica, a differenza di tutte le società di persone, l’articolo trova terreno fertile per la sua applicazione anche a queste altre categorie di società. Sanatoria della nullità: i soci possono, al fine di evitare lo scioglimento della società, provvedere al risanamento della nullità ex 2332.5 (disciplina estesa dalle società di capitali alle società di persone grazie alla dottrina e alla giurisprudenza) deliberando all’unanimità una modifica dell’atto cost (sanando il vizio). 4. I conferimenti Come già abbiamo intuito, i conferimenti sono essenziali affinché i futuri soci possano acquistare la qualità di socio. E ciò ce lo dice il 2253 c.c., secondo il quale "il socio è obbligato a eseguire i conferimenti determinati nel contratto sociale". I conferimenti devono essere eseguiti da tutti i soci, nella forma e nelle modalità previste da egli stessi nell’atto costitutivo, laddove niente fosse stato previsto, la legge supplisce a tali lacune prevedendo che i conferimenti debbano essere effettuati in denaro e in somma uguale. Infatti, nel silenzio del contratto: 1. Si presume che tutti i conferimenti debbano essere effettuati in denaro (ex. 2342 c.c.); 2. Se i conferimenti non sono determinati si presume che i soci siano obbligati a conferire, in parti uguali tra loro, quanto è necessario per il conseguimento dell’oggetto sociale. (Ex. 2253.2 c.c.). I conferimenti possono però essere effettuati in modalità diverse, si può prevedere il conferimento di beni mobili o immobili ovvero di beni anche immateriali, si pensi ai brevetti ad ulteriori opere di ingegno. La legge precisa che conferimento può essere anche il nome, purchè chi lo ceda goda di una importante autorità sociale, tale da apportare una ricchezza alla società stessa. Dunque oggetto di conferimento può essere: 1. Denaro; 2. Beni immateriali; 3. Beni immobili; 4. Conferimento d’opera; 5. Conferimento di crediti. In sostanza, nelle società di persone può essere conferito ogni entità (bene o servizio) suscettibile di valutazione economica ed utile per il conseguimento dell’oggetto sociale. Ma in una società è possibile conferire la propria responsabilità illimitata? NO. (Anche perché sono già illimitatamente responsabili, quindi che senso ha? In pratica non conferirebbero niente). In merito al conferimento dei beni, essi possono essere conferiti tanto in proprietà quanto in godimento. Nel primo caso, ossia del conferimento di beni in proprietà, si applicano le disposizioni in tema di vendita. Il socio in tal caso è obbligato a prestare la garanzia per evizione e per vizi. Per "garanzia per evizione" si intende che il compratore è privato in tutto o in parte del bene acquistato, a causa di una pronuncia giudiziale che stabilisce, in favore di un terzo, l'esistenza di un difetto di titolarità in capo al venditore che non avrebbe potuto trasferire il bene. (Es. io società acquisto la proprietà di un capannone dal socio "tizio", poi però arriva caio e dice "oh ma quel capannone è mio!! La società allora che deve fare? Eh nulla poraccia, gli tocca restituire l’immobile al legittimo proprietario. L’unica cosa che deve fare è escludere il socio a meno che questo non provvede a conferire altro.) ecco perché è essenziale che il socio dia una buona garanzia per evizione. Sul socio inoltre grava il rischio del perimento del bene per caso fortuito della cosa conferita finquando la proprietà non sia passata alla società (ex. 1415.) Pagina 4 di 16   L’eventuale perimento del bene conferito, antecedentemente all’acquisto dello stesso da parte della società, fa si che, se il socio non provvede al risanamento del bene o a conferire beni o cose diverse, la società possa escluderlo come socio (ex. 2286.2 c.c.). Di contro, il perimento successivo, rimane di responsabilità comunque del socio conferente purchè il perimento non sia dettato da causa imputabile alla società ovvero ad uno dei soci, in tal caso la società ovvero il socio dovranno provvedere al risarcimento dei danni causati, al proprietario, ovvero al conferimento in proporzione al danno causato (ex. 2281). I soci non possono godere e disporre del bene conferito da altri per interessi personali, in tal caso, per non incombere in una responsabilità extracontrattuale, serve il consenso unanime degli altri soci. Ex 2256). Un socio può conferire anche titoli di credito, (2255) in tal caso però il socio sarà obbligato in solido col debitore in caso di insolvenza, ovvero rischiare l’esclusione se dall’inadempimento, il socio non provvede in altro modo ad eseguire il conferimento promesso. Il bene però può essere conferito anche in godimento. In tal caso, la garanzia per il godimento è regolata secondo le norme sulla "locazione". Il bene conferito in godimento ovviamente resta di proprietà del socio; la società ne può godere, ma non ne può disporre (vuol di che lo può usare ma non lo può per es. vendere). Il socio inoltre ha diritto alla restituzione del bene al termine della società nello stato in cui si trova (e non nello stato in cui si trovava!!). Il socio d’opera In una S.N.C. è consentito che oltre ai soci conferenti, acquisiscano la qualità di socio anche i c.d. soci d’opera, ovverosia quei soggetti che anziché conferire beni materiali e tangibili conferiscono la propria opera artigianale o manuale senza alcun diritto salariale, bensì partecipando attivamente agli utili e alle perdite. Nel caso venisse meno, per quest’ultimo, la possibilità di svolgere le mansioni promesse, gli altri soci possono provvedere alla sua esclusione, si dice infatti che su di lui gravi il rischio di impossibilità di svolgimento della prestazione, anche per causa a lui non imputabile ex 2286 c.c In merito alla quantificazione della partecipazione agli utili, questo avrà diritto solo successivamente agli altri soci, ovverosia, l’utile conseguito nell’anno di esercizio sarà ripartito nelle modalità dettate dall’atto cost prima ai soci conferenti e successivamente al socio d’opera. Particolare è anche il trattamento del socio d’opera in sede di liquidazione della società. Egli parteciperà, in proporzione alla sua parte nei guadagni, solo alla ripartizione dell’eventuale attivo che residua dopo il rimborso del valore nominale del conferimento ai soci che hanno apportato capitali, non avrà invece diritto ad una quantificazione monetaria del lavoro svolto a favore della società. La dottrina ritiene che si possa però agilmente incorrere in un trattamento si sfavore nei confronti del socio in questione, dunque, la giurisprudenza ha provveduto a delineare che nulla vieta di attuare un riconoscimento in modo pattizio, al socio d’opera, da parte degli altri soci, un diritto di restituzione del valore dell’apporto. Se i soci non riescono a giungere ad un accordo congruo, essi possono ricorrere al giudice il quale deciderà secondo equità. Ex 2263.2 c.c. 5. Patrimonio sociale e capitale sociale I soci possono provvedere alla ripartizione dell’utile conseguito secondo quanto emerso dall’ultimo bilancio di esercizio. È importante in tal caso prendere come parametro di misura il capitale sociale nominale (ossia quando i soci hanno conferito nella totalità al momento della costituzione della S.N.C.) e il patrimonio sociale (ossia la somma dell’attivo e (-)passivo) se il patrimonio sociale eccede il capitale sociale nominale, i soci potranno provvedere alla ripartizione dell’eccesso in quanto si configura come utile prodotto nell’esercizio precedente. Può succedere che effettivamente una società abbia conseguito un utile, importante però è comprendere se esso sia fittizio o meno, ovvero, se vi è in bilancio inserito un utile ma il patrimonio sociale è inferiore al capitale sociale, esso non potrà essere ripartito tra i soci, finché non si avrà un’eccedenza di patrimonio sociale; e ciò ce lo delinea l’art 2303 c.c. secondo il quale "Non può farsi luogo a ripartizione di somme tra soci se non per utili realmente conseguiti." In questo caso i soci possono ricorrere all’art 2306, ossia alla riduzione di capitale, in sostanza, i soci, provvedono ad una modifica dell’atto cost riducendo proporzionalmente la totalità dei conferimenti dati inizialmente dagli stessi al fine della costituzione della società, successivamente, la somma ridotta verrà ripartita tra i Pagina 5 di 16   soci conferenti. Tale strategia è utilizzata per diverse situazioni, sia nel caso in cui la società non riesca da diversi esercizi a ripartire un utile, sia nel caso in cui i conferimenti apportati erano troppo alti, ma anche nel caso in cui la società abbia subito perdite tali da ridurre obbligatoriamente il capitale sociale, ovverosia quando il capitale sociale è superiore al patrimonio netto. Importante però che tale strategia non venga posta in essere: al fine di ledere i creditori ovvero i terzi contraenti; se è decorso meno di 3 mesi dalla costituzione della S.N.C. il tribunale può comunque autorizzare la riduzione di capitale, nonostante l’opposizione dei creditori, nel caso in cui la società dia una idonea garanzia ai terzi. (Ad esempio, la società ha necessità di ridurre il capitale sociale, però facendo cosi non presta più idonea garanzia ai creditori i quali facevano affidamento al capitale sociale presente in bilancio prima che i soci provvedessero alla riduzione, in tal caso, i creditori sicuramente agiranno contro i soci i quali possono dare come garanzia beni immobili di proprietà privata dei soci (che ricordiamo sono illimitatamente responsabili) come a far intendere "guarda è vero che riduciamo i capitale, ma vai tranquillo che se ci escuti noi non siamo nulla tenenti, caio ha un villone sui lago di massaciuccoli, se non adempiremo col patrimonio della società, i villone sarà tuo"). Purchè i soci rispettino le norme in tema di modificazioni dell’atto costitutivo. In tema di conferimenti diversi dal denaro, in questo caso non è necessario che i soci ricorrano alla valutazione dei conferimenti, essa è rimessa alla libertà delle parti. Vuol dire che se io, tizio e caio facciamo una soc, io metto 20.000, caio mette 30.000 e tizio una casa; se tizio ci dice quella casa vale 100.000 e comunque pare effettivamente quello il valore non è che andiamo a spende soldi per chiamare un perito e farci fare una valutazione economica al millimetro, perché: 1. Non ce l’ha chiesto nessuno (non c’è nessuna legge che lo impone per le S.N.C. (disciplina un po diversa invece se è una S.P.A. ) 2. Ci fidiamo del nostro socio. Se proprio non ci fidiamo facciamo sta benedetta valutazione, però ecco, non importa. Perché parlo del conferimento diverso dal denaro? Per dire che a comporre il capitale sociale nominale non sono solo il denaro ma anche beni (come già detto in precedenza) e la globalità di tali beni ci permette di comprendere il reale valore del capitale sociale nominale, importantissimo al fine di comprendere l’utile realmente conseguito dai soci durante l’esercizio commerciale, cosi da comprendere dunque quanto utile va ripartito (tenere a mente la distinzione dell’utile reale (ripartibile) e utile fittizio (non ripartibile), il cap sociale nominale ci permettere di capire, quale utile sia reale e quale invece fittizio. 6. La partecipazione dei soci agli utili e alle perdite Tutti i soci hanno diritto di partecipare agli utili e il dovere di partecipare alle perdite. Essi godono tuttavia della massima libertà nella determinazione della parte a ciascuno spettante e non è in particolare necessario che la ripartizione sia proporzionale ai conferimenti. I soci hanno un solo limite, il non incombere nel c.d. patto leonino, ex art 2265 c.c.. Nulli devono altresì considerarsi anche i criteri di ripartizione congegnati in modo tale da determinare la sostanziale esclusione di uno o più soci dalla partecipazione agli utili o alle perdite. Di contro però sono lecite le clausole che prevedono la partecipazione agli utili o alle perdite in misura diversa dall’entità della partecipazione del singolo socio. I soci, al fine di evitare che uno di essi partecipi alle perdite ovvero agli utili, potrebbero incorrere nello stipulare il c.d. patto parasociale, ossia un patto extra-societario, concluso privatamente tra i soci stessi, che ha il medesimo fine del patto leonino, ovviamente, anche in tal caso, il predetto patto, rientra nell’applicazione del 2265, dunque è vietato. Perchè tali patti siano nulli però è necessario che essi siano fatti senza giusta causa e dunque in frode alla legge, infatti, per esempio non può considerarsi nullo il patto con cui un socio si impegni a riversare ad un altro tutti gli utili di sua spettanza, a titolo di rimborso di un prestito ricevuto. (Es. io ho bisogno di un prestito perchè sto messa male a cash cosi vo dal mio socio Sempronio e gli dico "amico mio mi servono urgentemente 20.000, non ti preoccupare che appena li ho te li restituisco. Sempronio siccome non si fida di me mi dice, amico mio te li do a patto che noi Pagina 6 di 16   stipuliamo un patto parasociale, in cui io dichiaro di darti questi 20.000 euro, ma tu in cambio mi dai l’utile che produciamo quest’anno in bilancio per un valore massimo del denaro che ti ho prestato. Ecco ora mettiamo caso che la società produce proprio 20.000 euro, mi pare matematico che io non percepisca manco un euro da questo utile. Dunque secondo le regole del patto leonino io per un esercizio intero non ho partecipato alla ripartizione degli utili per la sua totalità, è nullo questo patto? Assolutamente no, la causa c’è, non è fatto in frode alla legge. Per frode alla legge si intende quando un soggetto vuole divenire socio ma non vuole partecipare alla ripartizione delle perdite, dunque con patto leonino o parasociale redige con gli altri soci che questi dovranno puntualmente rimborsargli i soldi da lui spesi per adempiere alle obbligazioni societarie; questo è frodare la legge, perchè si sta andando contro alla vera natura della S.N.C., ossia alla responsabilità illimitata.). Un caso interessante che ho personalmente approfondito è la sentenza 17498/2018 della cassazione. In sostanza è molto dibattuto in dottrina e in giurisprudenza se nella disciplina dell’art 2265 c.c. vi rientri anche il c.d. patto di retrocessione a prezzo garantito; un patto a cui si può ricorrere quando una società per azioni è in difficoltà finanziarie. Con tale patto, alcuni soci si impegnano a riacquistare le azioni sottoscritte da nuovi soci finanziatori ad un prezzo predeterminato in modo tale da escludere ogni partecipazione del finanziatore alle perdite che si possono verificare tra l’acquisto e la cessione delle azioni. Nella sentenza sopra citata, due società finirono in causa proprio perchè avevano redatto il patto di retrocessione a prezzo garantito al fine di far fronte alla crisi del 2008 e impedire che la società ricevente fallisse. Nello specifico, la società sopaf S.P.A. col tale patto si obbligava a riacquistare le azioni acquistate dalla dea partecipazioni S.P.A. la quale dichiarò che avrebbe finanziato (in questo modo indiretto) la sopaf affinchè essa non fallisse, purchè ovviamente questa non subisse perdite e purchè la sopaf restituisse non solo il valore nominale delle azioni ma anche un plusvalore a titolo di tasso di interesse (ciò che appunto incentivava la dea partecipazioni S.P.A. a fare il predetto patto). La dea S.P.A. infatti avrebbe potuto, in sede assembleare, votare ogni aumento del capitale e versare qualsiasi importo senza rischio di perdite, essendo proprio un investimento destinato ad essere totalmente rimborsato. Nella sentenza vengono esposte le ragioni della ricorrente (la DEA PARTECIPAZIONI S.P.A.) (la SOPAF SPA è detta controricorrente). la prima motivazioni, per cui pensa di aver ragione la ricorrente, è che secondo lei tale patto non viola il 2265 perchè non è un patto leonino, bensì un patto parasociale che però, il tribunale, nella senterà, aveva parificato al patto leonino (tanto è vero che l’impugnazione della sentenza del tribunale venne interamente respinta dalla corte d’appello, impugnazione effettuata dalla dea partecipazioni S.P.A. perchè anche la corte d’appello considerava nullo l’accordo tra le due parti in virtù del fatto che il patto parasociale rientra nella disciplina del 2265) tale prima motivazione venne respinta infatti anche dalla cassazione (che dunque diede ragione sia al tribunale ed anche alla corte d’appello). Sempre in sostegno alla prima tesi, la DEA S.P.A., afferma che per rientra, tale loro accordo nella disciplina del 2265, a partecipare al patto dovevano essere tutti i soci e non solo alcuni come invece avevano concretamente fatto. In particolare, la dea S.p.A. afferma che non era vero che essa era esente dalla responsabilità alle perdite in quanto avrebbe potuto non vendere le proprie quote perchè magari il valore totale delle stesse nel mercato non avevano raggiunto il prezzo garantito inizialmente. (In altre parole la dea ha detto "se la società avesse fallo non pensate che anche io avrei corso il rischio di non vedermi restituire il finanziamento che ho erogato per vie traverse acquistando le loro azioni? Questo nostro patto ha senso solo se grazie al mio finanziamento la società si riprende, se fallisce io in primis perdo il mio finanziamento erogato, anche perchè ricordiamoci che in sede di liquidazione giudiziale i soci sono gli ultimi a vedersi erogare l’attivo residuo, subito dopo ai creditori e obbligazionisti, dunque non avevano una tutela normativa tale da proteggere la maggior parte del finanziamento). Il secondo motivo, afferma che tale art. è per le S.S. e si collega al fatto che i soci della S.S. sono illimitatamente responsabili a differenza dei soci di una S.P.A., perché sola norma parla di "patto" termine usato per le società di persone, di solito invece nelle S.P.A. si parla di "statuto". Inoltre il 1322 subordina i contratti non appartenenti ad una disciplina in particolare, alla verifica che essi siano quantomeno "diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico" ; dunque è importante analizzare l’interesse concretamente perseguito dalle parti che abbiano concluso sto patto di retrocessione a prezzo garantito. Infatti il motivo del patto era quello di finanziare l’impresa. La cassazione ha infatti ritenuto superato il vaglio del 1322 in quanto, pur esistendo diverse modalità di finanziamento, nulla vieta che la causa sia mista, ovvero associativa e di finanziamento, con la connessa funzione di garanzia assoluta dalla titolarità azionaria e dalla facoltà di uscita dalla società senza la necessita di pervenire, alla liquidazione dell’ente (cioè avesse chiesto il prestito alla banca e poi non avesse provveduto ad adempiere, la banca l’avrebbe fatta liquidare la società, invece la dea S.P.A. no, non è un ente creditizio come la banca). La stessa riforma del 2003 ha incentivato e favorito la pluralità delle tecniche di Pagina 7 di 16   reperimento presso i terzi delle risorse finanziarie finalizzate a rafforzare o permettere la realizzazione di un’impresa, diversa dai tradizionali canali di ricorso al credito bancario. Inoltre, come sono lecite le azioni riscattabili, che possono essere considerate modalità di finanziamento sella società, allora anche il patto detto prima si pico usare come modalità di finanziamento. La dea S.P.A. in questo caso si adduce tutti i diritti ed obblighi del suo status senza però partecipare agli utili e alle perdite; proprio perciò si rivela un interesse meritevole di tutela ex 1322 c.c. quale obiettivo è il finanziamento di una impresa societaria In sostanza è accolto tutto ciò dal 1322 in quanto è considerata una modalità di reperimento di finanziamenti a condizioni più favorevoli anche nei casi in cui il sistema bancario non lo concederebbe, senza necessità di sottoporre i beni del patrimonio del finanziato, a vincoli reali o di ricercare onerose garanzie personali. (Fine del mio foglietto ho detto tutto, per qualsiasi cosa vatti a rivede la sent). 7. La responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali Per le obbligazioni sociali risponde innanzi tutto la società col proprio patrimonio che per l’appunto costituisce garanzia primaria di quanti concedono credito alla società. Tale garanzia però non è esclusiva, proprio perché, come già sappiamo, i soci sono illimitatamente responsabili, dunque, per le obbligazioni sociali si dice che rispondono personalmente ed illimitatamente anche i singoli soci. La disciplina però muta, a seconda che si tratti di S.S. ovvero di S.N.C.. : SE SI TRATTA DI UNA S.S.: La responsabilità di tutti i soci è parzialmente derogabile, ciò vuol dire, semplicemente, che un socio può essere escluso dalla illimitata responsabilità in merito a specifiche obbligazioni. A conferma di ciò ci viene incontro la lettura dell’art 2267 c.c. , secondo il quale "….rispondono i soci che hanno agito in nome e per conto della società e salvo patto contrario, anche gli altri soci…" questa frase ci permette di comprendere ben due cose. 1. I creditori agiranno nei confronti del socio col quale hanno intrattenuto la relazione commerciale. 2. Non possono i creditori pretendere l’adempimento da un socio diverso da quello col quale ha intrattenuto rapporti commerciali se cosi pattuito tra i soci. Patto che però deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, in mancanza, la limitazione della responsabilità ovvero l’esclusione della stessa, sono opponibili solo a coloro che ne hanno avuto effettiva conoscenza. Per ovvie ragioni, in nessun caso può essere esclusa la responsabilità di tutti i soci. SE SI TRATTA DI UNA S.N.C.: Per la S.N.C. invece la responsabilità di tutti i soci è inderogabile. Non può assolutamente essere esclusa la responsabilità di alcun socio tanto che l’eventuale patto contrario non ha effetto nei confronti dei terzi. I nuovi soci, sono anch’essi, nel caso, obbligati ad adempiere, anche alle precedenti obbligazioni contratte dalla società alla sua entrata. Sono esclusi dal pagamento invece tutti quei soci che hanno perso la qualifica di socio e purchè sia decorso un anno dalla loro cessione. Ciò in quanto l’anno successivo alla cessazione del rapporto sociale con la società è utile per i creditori al fine di dichiarare il fallimento del socio ovvero per soddisfarsi sulle obbligazioni rimaste inadempiute. Decorso un anno l’ex socio è libero da ogni obbligazione. Se di contro l’informazione non è stata correttamente diffusa per atto pubblico o scrittura privata autenticata depositata nel registro delle imprese ovvero non è stato reso noto in modo formale ai creditori, per il socio non decorre l’anno sopra menzionato e di conseguenza sarà obbligato ad adempiere non solo per le obbligazioni contratte dalla società nel periodo in cui egli stesso esercitata la qualifica di socio, ma anche per le obbligazioni contratte dalla società successivamente allo scioglimento del rapporto sociale. Importante tenere a mente la distinzione della pubblicità tra S.N.C. regola e irregolare: la S.N.C. regolare deve provvedere a iscrivere nel registro delle imprese, anche su istanza dello stesso socio interessato, nel caso di inerzia da parte della società, lo scioglimento del rapporto sociale; Pagina 8 di 16   Invece in caso di S.N.C. irregolare, il termine di un anno comincia a decorrere dal momento in ci sono state osservate le formalità per rendere noto ai terzi lo scioglimento del rapporto sociale che consiste nel potarli a conoscenza attraverso mezzi idonei (pec etc…) Il decesso di uno dei soci, non fa si che esso sia escluso dal pagamento dei debiti sociali, bensì i debiti saranno trasferiti agli eredi, i quali saranno obbligati in solido nell’adempimento. La legge afferma che gli eredi sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento. La responsabilità sussiste però solo verso i terzi e perciò, qualora nulla sia stato pattuito al momento della liquidazione della quota,, l’ex socio o gli eredi del socio defunto, che siano stati costretti a pagare i debiti sociali, avranno diritto di regresso per l’intero verso gli altri soci, ma soprattutto, prima ancora dalla società (anche perché sappiamo che prima debitrice sociale è la società stessa, solo in via sussidiaria lo sono anche i soci). Nel caso in cui il rapporto sociale si sciolga limitatamente ad un socio questo ha diritto, al pari dei suoi eredi in caso di decesso del socio, ad una somma di denaro che rappresenti il valore acquistato dalla quota nel giorno in cui si è verificato lo scioglimento. Il pagamento della quota spettante al socio deve essere fatto entro 6 mesi dal giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto. Ma quando è responsabile la società e quando lo sono invece i soci? Come abbiamo facilmente intuito, sono entrambi responsabili innanzi alle obbligazioni sociali, ma fra essi sussiste un ordine gerarchico col quale devono rispondere. Ovviamente prima debitrice indiscussa è la società, ciò implica che la società non è posta sullo stesso piano della società. Dunque i soci sono responsabili in solido fra loro, ma solo in via sussidiaria con la società, in quanto godono del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale. I creditori sono cioè tenuti a tentare di soddisfarsi sul patrimonio della società prima di poter aggredire il patrimonio personale dei soci. Tale beneficio di preventiva escussione opera però in modo distinto a seconda che si tratti di una S.S. e S.N.C. irregolare o S.N.C. regolare. Nella S.S. o S.N.C. irregolare: In tali due tipi di società il creditore può rivolgersi direttamente al singolo socio illimitatamente responsabile e sarà questi a dover invocare la preventiva escussione del patrimonio sociale indicando, ex art 2268 c.c., " i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi ". Il beneficio di escussione opera quindi in via di eccezione ed il socio sarà tenuto a pagare ove non provi, indicandoli specificatamente, che nel patrimonio sociale esistono beni non solo sufficienti, ma anche prontamente ed agevolmente aggregabili dal creditore istante. Ciò perché nella S.S. manca un vero e proprio bilancio di esercizio, che consenta ai creditori di attingere notizie sulla consistenza del patrimonio sociale (dunque, detto brutto, se i creditori vogliono i soldi, fanno prima a chiederlo ai soci, poi se questi hanno i soldi nella società invocano la preventiva escussione del patrimonio sociale, altrimenti glieli danno di tasca loro). Analogo discorso vale anche per la S.N.C. irregolare perché pure loro alla fine operano come una S.S., non sono ne iscritti e spesso manco tengono le scritture contabili o comunque anche se le tenessero nudo le pubblicano?? Non sono iscritte nel registro delle imprese, dunque i creditori, anche nella S.N.C. irregolare, possono andare direttamente dal socio). Nella S.N.C. regolare: nella S.N.C. regolare invece il beneficio di escussione è più intenso in quanto opera automaticamente. Anche se la società è in liquidazione, i creditori sociali "non possono pretendere il pagamento dai singoli soci, se non dopo l’escussione del patrimonio sociale". Ex 2304 c.c.. al riguardo però non basta che il creditore abbia richiesto il pagamento alla società o abbia ottenuto una sentenza di condanna nei confronti della stessa; è necessario altresì che abbia infruttuosamente esperito l’azione esecutiva sul patrimonio sociale. Ovviamente se vi sono circostanze oggettive dimostranti la certezza dell’inutilità della preventiva escussione, è ovvio che sia inutile farla bensì ricorrere a chiedere direttamente l’adempimento ai soci. Disciplina comune ad entrambe (ora parlo in merito a tutte e due le tipologie di soc) Se un socio provvede ad adempiere una obbligazione sociale per intero, esso ha diritto ad esercitare, nei confronti degli altri soci, il c.d. diritto di regresso, ovverosia chiedere a ciascun socio una parte di denaro proporzionale al Pagina 9 di 16   numero di soci (dunque, se io pago 10mila di debito e siamo due soci, all’altro gli vo a chiede 5 mila cosi si fa pari). Di contro se i soci possiedono partecipazioni distinte, in tal caso i soci provvederanno a ripartire la prestazione pagata in proporzione alla loro quota di partecipazione (dunque se io possiedo il 70% della soc e l’altro mio socio il 30% , non posso più chiedergli 5 mila euro come prima, ma bensì 3 mila). importante però che il socio prima di ricorrere ad esercitare l’azione di regresso contro i soci deve provvedere a farlo innanzi tutto nei confronti della società, proprio perché essa è la reale e principale debitrice contro i creditori. 8. I creditori personali dei soci Il patrimonio della società non può essere escusso per debiti personali dei soci salvo eccezioni. Inoltre, ex art 2271 vige il divieto di compensazione, ovverosia non può il creditore particolare di un socio compensare col debito che questo ha con la società. Nel caso di una S.S. o una S.N.C. irregolare, il creditore particolare di un socio può far valere i propri diritti sugli utili del socio laddove il patrimonio personale del socio fosse irrisorio o renda il creditore impossibile a soddisfarsi sullo stesso. In tal caso, il creditore, nel caso in cui gli utili del socio fossero insufficienti al soddisfacimento, può chiedere in ogni momento la liquidazione della quota del suo debitore. La quota in tal caso deve essere liquidata entro 3 mesi dalla domanda, salvo non venga deliberato lo scioglimento della società. Per la S.N.C. regolare invece vige la regola ex art 2305, secondo il quale il creditore particolare del socio, finché dura la società, non può chiedere la liquidazione della quota del socio debitore, il creditore potrà solo ed unicamente far valere i suoi diritti sugli utili spettanti al debitore. Se la società di contro giunge a termine della sua durata prevista dall’atto cost, in questo caso si applica l’art 2307, secondo il quel il creditore può opporsi alla proroga della società entro 3 mesi dalla iscrizione della deliberazione di proroga espressa nel registro delle imprese, se la proroga invece è tacita, il creditore particolare potrà in ogni momento chiedere la liquidazione della quota del socio debitore. quindi in questo pezzo devo parlare del fatto che : 1. Il patrimonio è insensibile ai debiti dei soci 2. Il divieto di compensazione 3. I creditori devono rifarsi al massimo sull’utile spettante al socio debitore 4. Non può il creditore chiedere la liquidazione della quota finché la società è in vita 1. A meno che non sia terminata la durata della società, 1. Se la durata è prorogata per atto scritto depositato nel registro delle imprese otterrà la liquidazione della quota entro 3 mesi dalla domanda, sempre che tale domanda non conduca allo scioglimento della società 2. Se è prorogata tacitamente il creditore potrà ottenere la liquidazione in ogni momento. 9. L’attività sociale Il modello legale di amministrazione previsto per le soc di persone è quello ex 2257, ossia l’amministrazione disgiunta, ciò vuol dire che nel silenzio delle parti, sarà questo il modello di amministrazione adottato. L’amministrazione di una S.N.C. può essere congiuntiva (art 2558) o disgiuntiva (2257). L’amm disgiuntiva si applica allorquando nulla viene previsto nell’atto cost. In tal caso tutti i soci sono amministratori e il vantaggio risiede proprio nel fatto che ciascun socio può in autonomia prendere decisioni. L’eventuale disaccordo di uno o più soci si risolve con la possibilità di questi di proporre opposizione, la quale viene votata a maggioranza dai soci pro quota e non per testa, ciò che verra votata sarà non la decisione assunta dal socio disgiuntamente bensì la meritevolezza Pagina 10 di 16   dell’opposizione; opposizione che deve però essere effettuata prima che l’operazione venga posta in essere. I soci possono prevedere nell’atto costitutivo una clausola di arbitraggio secondo la quale una decisione contrastante possa essere deferita ad uno o più arbitri. Anche tale decisione assunta dall’arbitro potrà essere impugnata purchè sia stata assunta secondo mala fede. L’amministrazione congiuntiva deve essere prevista dall’atto cost. Una decisione in tal caso va assunta col consenso di tutti i soci amministratori per il compimento delle operazioni sociali. Può però essere prevista la maggioranza anziché l’unanimità per alcune operazioni sociali. Se però i soci nulla prevedono se non la sola amministrazione congiuntiva allora si presume che le decisioni debbano essere prese all’unanimità dai soli amministratori delineati dall’atto cost. La rigidità di tale modalità di amministrazione è temperata però dalla possibilità di poter assumere decisioni anche individualmente, dal singolo amministratore purchè dettata da una situazione di urgenza al fine di evitare un danno grave alla società. Queste due modalità di amministrazione possono anche essere combinate, prevedendo che per alcune questioni si utilizzi la prima modalità ovvero la seconda per altre operazioni sociali. 10. Amministrazione e rappresentanza La società acquista diritti e assume obblighi per mezzo dei soci che ne hanno la rappresentanza. In mancanza di diversa disposizione tutti i soci, in quanto illimitatamente responsabili, sono amministratori. In cosa consiste il potere di rappresentanza? Il potere di rappresentanza è il potere di agire nei confronti dei terzi in nome della società, dando luogo all’acquisto di diritti e all’assunzione di obbligazioni da parte della stessa, ex 2266 c.c. È possibile prevedere nell’atto costitutivo però che alcuni soci non godano dei poteri amministrativi. In tal caso vige un obbligo di informativa per gli amministratori nei confronti dei soci non amministratori, i quali questi potranno inoltre consultare tutte le scritture contabili e gli atti mediante i quali gli amministratori pongono in essere decisioni rilevanti in merito alla società. La società può prevedere, per una maggiore gestione societaria delle regole specifiche, oltre alla possibilità di escludere alcuni soci dall’amministrazione, possono prevedere la firma congiunta per gli atti eccedenti uno specifico importo, anche se l’amministrazione è disgiunta. Tale disciplina non è applicabile alle S.S. e S.N.C. irregolari in quanto non iscritte nel registro imprese. I soci amministratori vengono nominati direttamente nell’atto costitutivo ovvero, nell’atto è possibile specificare che essi saranno nominati con atto separato. I soci amministratori nominati nell’atto cost possono essere revocati solo con voto unanime degli altri soci sempre che sussista una giusta causa. Di contro, chi è stato nominato con atto separato vedrà applicarsi le norme sulla revoca del mandato, le quali prevedono la possibilità di revocare l’amministrazione anche non sussistendone una giusta causa. Di fronte all’inerzia della società, in caso di giusta causa, qualsiasi socio può ricorrere giudizialmente per revocare l’amministrazione di un socio. Gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società per l’adempimento degli obblighi ad essi imposti per legge e dal contratto sociale. Se però uno di essi riesce a dimostrare la sua esenza da colpa, allora la responsabilità per l’atto specifico potrà essere revocata. Gli amministratori sono obbligati a tenere le scritture contabili e a provvedere agli adempimenti pubblici. Essi possono compiere solo atti volti a soddisfare e conseguire l’oggetto sociale. Il mandato si presume oneroso ex art 1709, ciò implica una maggiorazione di retribuzione a favore degli amministratori, di contro, se l’amministrazione è in capo ad un socio d’opera, esso non potrà vantare alcuna presunzione di onerosità sul proprio mandato, ma solo una più elevata partecipazione agli utili. In merito alla nomina di un amministratore esterno, ciò non è possibile per le S.S. e S.N.C. irregolari in quanto il rischio potrebbe esplicarsi nella volontà degli stessi di eludere l’illimitata responsabilità innanzi ai terzi. Pagina 11 di 16   La pratica è possibile invece per le S.N.C. regolari, in quanto, come si evince dall’art 2291, tutti i soci sono illimitatamente responsabili, dunque, il problema, in tal caso, non sussiste. Divieto di concorrenza ex 2301, secondo il quale, i soci non possono, senza il consenso degli altri, esercitare alcuna attività concorrente all’attività esercitata dalla società per cui opera, ne partecipare come socio illimitatamente responsabile per altra società concorrente. Di contro, se il socio già antecedentemente alla nascita di tale società, era socio di altra società, il consenso si presume, in quanto, di contro, non avrebbero consentito a quest’ultimo la partecipazione nella costituzione della società. L’eventuale violazione di tale norma comporta per il socio l’obbligo al risarcimento del danno verso la società, ovvero, l’applicazione del 2286, ossia prevedere l’esclusione del socio inadempiente. Secondo il 2252, il contratto sociale può essere modificato solo col consenso di tutti i soci, purchè non sia convenuto diversamente. È possibile trasferire la propria quota, sia inter vivos che mortis causa, ma per ciò serve il consenso degli altri soci, ovvero possono concordare preventivamente nell’atto cost, ossia una clausola mediante la quale stabiliscono la libera trasferibilità tra vivi o morti della quota; può però anche avvenire che la propria quota sia trasferibile anche per comportamenti concludenti, e ciò avviene quando gli altri soci consentono, senza contestazione, all’acquirente della quota o agli eredi del socio defunto, l’esercizio dei diritti spettanti al dante causa. Possono convenire nell’atto che la quota è liberamente trasferibile sia mortis causa che inter vivos, ovvero che la quota sia trasferibile anche con comportamenti concludenti quando i soci non contestano all’acquirente l’acquisizione della quota, di contro, se i soci si oppongono, devono provvedere alla liquidazione della quota agli eredi. Tutte le modificazioni dell’atto devono essere registrate nel registro delle imprese ovvero portate a conoscenza dei terzi mediante mezzi idonei ovvero provare che essi ne erano già entrati a conoscenza con i giusti mezzi. Ciò però laddove si tratti di S.N.C. irregolare ovvero S.S. non esercente attività agricola. 11. Scioglimento del singolo rapporto sociale Si può avere scioglimento del singolo rapporto sociale per 3 distinte motivazioni: per morte, per recesso e per esclusione. In caso di morte, la legge afferma che i soci devono provvedere alla liquidazione della quota agli eredi superstiti. In alternativa, i soci possono: scogliere anticipatamente la società, con la conseguenza che gli eredi non si vedranno più liquidare la quota entro i 3 mesi, bensì dovranno attenere la liquidazione dell’intera società e partecipare alla ripartizione dell’eventuale attivo residuo. Ovvero, possono decidere di continuare il rapporto sociale con gli eredi, semprechè questi vi acconsentano. I soci possono però anticipatamente prevedere due clausole in caso di decesso di un erede: la clausola di continuazione e la clausola di consolidazione. Per clausola di consolidazione si intende che la quota del de cuius verrà ripartita tra i soci superstiti, agli eredi sarà devoluto solo il valore della stessa. Per clausola di continuazione invece si intende che il rapporto sociale continua con gli eredi. Tale clausola può essere ripartita in ulteriori 3 sottocategorie: Abbiamo la clausola di continuazione facoltativa, in tal caso non solo l’erede dovrà acconsentire al suo subingresso in società in qualità di socio ma anche i soci superstiti con votazione unanime dovranno acconsentire all’acquisizione di quest’ultimo della qualità di socio. Abbiamo la clausola di continuazione obbligatoria, secondo la quale l’erede dovrà indubbiamente prestare il proprio consenso all’acquisto della qualità di socio, ma, in caso contrario, questo sarà obbligato a risarcire i danni ai soci. Pagina 12 di 16   Infine abbiamo la clausola successoria, da molti in dottrina considerata nulla perché violante delle norme in tema di patto successorio considerate nulle nel nostro ordinamento, tale clausola prevede che gli eredi diventino in automatico soci subentrando al de cuius. Gli eredi per impedire tale automatismo dovranno provvedere ad accettare l’eredita con beneficio di inventario, in quanto non solo l’erede potrebbe non voler divenire socio, ma si attribuirebbe la responsabilità illimitata con l’obbligo di provvedere all’adempimento delle obbligazioni antecedenti al suo subingresso contro la sua volontà, semprechè egli non accetti con beneficio di inventario. Recesso Il socio può recedere in due distinte modalità a seconda che la società sia stata pretesta a tempo indeterminato ovvero determinato. Nel caso in cui la società sia a tempo indeterminato, i soci potranno recedere in qualsiasi momento anche senza giusta causa purchè ne diano preavviso di 3 mesi. Di contro, se la società è a tempo determinato, il recesso sarà ancora consentito solo però nel caso in cui provi la giusta causa, se sussiste, egli potrà recedere senza obbligo di preavviso, analogo discorso se la società è a tempo indeterminato. Esclusione L’esclusione si distingue in esclusione di diritto ex 2288 ovvero in esclusione per volontà dei soci ex 2286 c.c. Per esclusione di diritto si intende escluso il socio nei confronti del quale è stata aperta una procedura di liquidazione giudiziale. È escluso di diritto anche il socio nei cui confronti un suo creditore particolare abbia ottenuto la liquidazione della quota ex 2270. Per esclusione per volontà dei soci invece si ha quando un socio abbia dato luogo a gravi inadempienze circa il proprio dovere derivante da norme di legge ovvero dal contratto sociale, ovvero, in caso di interdizione, inabilitazione o per attribuzione di amministratore di sostegno. Può essere escluso per volontà dei soci anche il socio d’opera cui sia venuta meno la possibilità di continuare ad apportare la propria opera manuale ovvero intellettuale per la quale esso divenne originariamente socio. È altresì escluso per volontà dei soci, il socio che si sia obbligato a conferire in proprietà o in godimento un bene immobile il quale sia però perito per causa non imputabile ad altri soci, senza che egli abbia provveduto al risanamento del bene. In tutti questi casi, i soci provvederanno con votazione a maggioranza pro-quota, sempre che nell’atto cost non sia stato disposto diversamente, e la delibera motivata verrà comunicata al socio entro 30 giorni. Tale delibera potrà essere dal socio impugnata e in caso di accoglimento dell’istanza da parte di questo, egli potrà essere nuovamente reintegrato con obbligo da parte dei soci di risarcire i danni e le perdite da questo subito. I soci, possono prevedere la clausola compromissoria (mediante la quale le questioni relative all’esclusione vengono deferite alla decisione degli arbitri) al fine di impedire che tali situazioni possano disperdersi in sedi giudiziali e in lungaggini, sempreché i soci non siano due, in tal caso vige l’obbligo per le parti di recarsi in tribunale, proprio perché vi sarebbe il rischio di ledere la minima composizione richiesta per legge per costituire una società. Nel caso di previsione di clausola compromissoria, la questione sarà deferita a degli arbitri. Liquidazione della quota. In tutti i casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente ad un socio, questi o i suoi eredi hanno diritto alla liquidazione della quota sociale. Più precisamente, "hanno diritto soltanto ad una somma di denaro che rappresenti il valore della quota" ex 2289 c.c. Il che significa che un socio non può pretendere l restituzione dei beni conferiti in proprietà quand’anche ancora presenti nel patrimonio sociale. Ne può pretendere la restituzione dei beni conferiti in godimento finquando dura la società, salvo che non sia stato pattuito diversamente. Naturalmente nel determinare la quota di liquidazione in denaro spettante a tale socio si dovrà tenere conto delle utilità che la società riceve dall’ulteriore godimento del bene. Pagina 13 di 16   Il valore della quota è determinato in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento del rapporto, tenendo conto però anche dell’esito delle eventuali operazioni ancora in corso, in particolare è importante che la società tenga conto del valore effettivo del bene e non quello prudenziale risultante dal bilancio d’esercizio. In più…. (questo discorso si comprende bene con commerciale 2: immaginiamo che il socio tizio conferisca in proprietà, all’inizio, un capannone dal valore di 1milione, come sapete il mercato immobiliare varia molto negli anni come varia anche il valore di per se del bene (perisce, vengono apportate migliorie, deterioramento nel tempo etc…) il valore del capannone, nel bilancio, viene inserito alla voce "immobili" dunque in questo caso, nel bilancio, nella posizione dell’attivo vedremo "immobili : 1milione di euro. Decorsi, per esempio, 10 anni, il valore del bene è sicuramente mutato, e un socio, caio, decida di recedere dalla società perché si è rotto le balle, in questo caso bisogna fare il calcolo della quota a lui spettante per uscire dalla società. Nella liquidazione della quota a lui spettante si calcola anche il valore di questo benedetto capannone, che però oggi non vale più un milione, bensì 2 (perché per es. a fianco ci hanno costruito la metro, i soci lo hanno ingrandito etc…quindi ha preso valore nel tempo) però in bilancio ci sarà comunque scritto, anche dopo sti 10 anni, immobili : 1milione, anche se ne vale due. Come mai? Perché il plusvalore acquisito negli anni è inserito in un’altra voce in bilancio che si chiama "RISERVA DI RIVALUTAZIONE" ecco in questa voce ci sarà l’altro milione, ossia il plusvalore acquistato dal capannone negli ultimi 10 anni ). Il pagamento della quota spettante al socio deve essere effettuato entro 6 mesi dal giorno in cui si è verificato lo scioglimento del rapporto e nell’ipotesi di scioglimento su richiesta del creditore particolare, entro 3 mesi dalla richiesta. Ex 2270 c.c.. 12. Scioglimento della società Le cause di scioglimento della S.S. e S.N.C. sono delineate dall’art. 2272 c.c.: 1. Il decorso del termine fissato nell’atto costitutivo; 2. Il conseguimento dell’oggetto sociale o la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo; 1. In tale categoria vi rientra anche la "insanabile discordia" ossia quando i soci non riescono più a operare tra loro, quando si determina una paralisi assoluta e definitiva dell’attività sociale, che non sono imputabili a gravi inadempienze di uno o più soci, tali da deliberarne l’esclusione di uno o più soci, bensì perché proprio essi oramai sono entrati in conflitto (si stanno tutti sui cazzo e chiudono la soc). 3. La volontà di tutti i soci, salvo che l’atto costitutivo non preveda che lo scioglimento anticipato della società può essere deliberato a maggioranza.; 4. Il venir meno della pluralità dei soci, se nel termine di 6 mesi questa non è ricostituita; 5. Altre cause previste nel contratto. Ecco tutte queste cause operano automaticamente, ovvero di diritto. Ogni socio può agire giudizialmente per il loro accertamento e gli effetti dello scioglimento decorrono in ogni caso da quando la causa si è verificata, non da quando è accertata. La società in stato di liquidazione. Verificatasi una causa di scioglimento la società entra automaticamente in stato di liquidazione e nella S.N.C. tale situazione deve essere espressamente indicata nell’atto cost. La società però non si estingue immediatamente, in quanto i soci devono provvedere al soddisfacimento die creditori sociali ed alla distribuzione fra i soci dell’eventuale residuo attivo. Nel mentre i soci amministratori possono solo ed unicamente compiere i c.d. affari urgenti ex 2274 c.c. (l’eventuale violazione di detto principio comporta che le operazioni compiute non saranno imputabili alla società bensì delle obbligazioni risponderanno personalmente gli amministratori che li hanno posti in essere) ed inoltre non possono neanche intraprendere nuove operazioni, anche in tal caso risponderanno personalmente e solidalmente gli amm per gli affari intrapresi in violazione del divieto ex art 2279 c.c. Fatto ciò, i soci devono dare avvio al procedimento di liquidazione attraverso la nomina dei liquidatori ex 2275 c.c. Resta fermo l’obbligo dei soci di conferire i versamenti ancora dovuti, nei limiti in cui i "fondi disponibili risultano insufficienti per il pagamento dei debiti scoiali" ex 2280 c.c. I creditori particolari da ora in poi dovranno attendere la liquidazione della società, ciò vuol dire che non possono più pretendere la liquidazione della quota del socio debitore. Pagina 14 di 16   I soci possono revocare la liquidazione solo se votata all’unanimità, la conseguenza di ciò sarà l ritorno alla normale attività di gestione della società. PROCEDIMENTO DI LIQUIDAZIONE Il procedimento di liquidazione di una S.S. è disciplinato dagli art 2275-2283 c.c. Il procedimento di liquidazione di una S.N.C. è disciplinato dagli art 2309-2312 c.c. Il procedimento legale di liquidazione inizia con la nomina di uno o più liquidatori, che richiede il consenso di tutti i soci se nell’atto cost non è stato previsto diversamente. In caso di disaccordo fra i soci, i liquidatori saranno nominati dal presidente del tribunale ex 2275. i liquidatori possono essere revocati per volontà di tutti i soci ed in ogni caso dal tribunale (in sede contenziosa) per giusta causa, su domanda di uno o più soci. Se invece si tratta di una S.N.C. regolare allora la nomina dei liquidatori deve essere iscritta nel registro delle imprese. Se invece si tratta di S.N.C. irregolare allora, la nomina dei liquidatori deve essere portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, per rendere opponibile il mutamento intervenuto nella gestione e nella rappresentanza della società. Con l’accettazione della nomina, i liquidatori, prendono il posto degli amministratori. Questi devono consegnare ai liquidatori i beni e i documenti sociali e prestare loro il conto della gestione relativo al periodo successivo all’ultimo rendiconto (ossia gli devono da i bilancio). Gli amministratori e i liquidatori devono poi redigere insieme l’inventario (il c.d. bilancio di apertura della liquidazione) , dal quale risulta lo stato attivo e passivo del patrimonio sociale, ex 2277 c.c. Entrano cosi in funzione i liquidatori, il cui compito è quello di definire i rapporti che si ricollegano all’attività sociale: conversione in denaro dei beni, pagamento dei creditori, ripartizione fra i soci dell’eventuale residuo attivo.. I liquidatori sono perciò investiti per legge del potere di compiere tutti gli atti necessari per la liquidazione, e se i soci non hanno disposto diversamente, possono vendere anche in blocco i beni aziendali. Inoltre, ai liquidatori, compete anche la rappresentanza legale della società, anche in giudizio. Ex 2278 c.c. In particolare, per procedere al pagamento dei creditori sociali, i liquidatori possono chiedere ai soci i versamenti ancora dovuti, ma solo se i fondi disponibili risultano insufficienti. Possono addirittura chiedere ai soci le somme necessarie per adempiere a tutte le obbligazioni sociali rimaste inadempiute (cioè, se mancano versamenti chiedono i versamenti, ma se sono stati versati già tutti i conferimenti e il denaro sociale non basta per pagare tutti i creditori allora chiedono ai soci i soldi mancanti, anche perché, la S.N.C. è a responsabilità illimitata, quindi gli tocca salda tutto di tasca loro), comunque il denaro richiesto dai liquidatori è proporzionale alla loro responsabilità ed in proporzione della parte di ciascuno alle perdite. Ex 2280 c.c. Questi liquidatori hanno un duplice divieto: 1. Non possono intraprendere nuove operazioni, cioè non possono porre in essere tutte quelle operazioni che non consistono nell’attività liquidatoria. 2. Non possono ripartire tra i scoi, neppure parzialmente, i beni sociali finchè i creditori nn sono stati tutti soddisfatti o non sano state accantonate le somme necessarie per pagarli. 1. La violazione del divieto espone i liquidatori a responsabilità civile nei confronti dei creditori sociali ed è anche sanzionata penalmente (ricordiamoci che i liquidatori possono essere tanto persone esterne quanto anche gli stessi soci (ecco che qui la norma interviene, in quanto i soci potrebbero agire per un interesse personale al fine di ripartire l’utile c.d. fittizio o comunque residui di attivo che obiettivamente non c’è perché deve andare tutto ai creditori). 2. Inoltre i liquidatori dovranno redigere il rendiconto-bilancio annuale se la liquidazione si protrae per oltre un anno. 2633 c.c. Pagina 15 di 16   una volta fatto tutto ciò, cioè pagati i creditori, i liquidatori possono cominciare a ripartire i beni sociali, ossia restituire ai soci i beni che essi hanno conferito in godimento, se però tali beni sono periti o deteriorati per causa imputabile agli amministratori, i soci hanno diritto al risarcimento dei danni a carico del patrimonio sociale, salva l’azione di responsabilità contro i soci. Se avanza l’attivo allora sarà ripartito anche quello. Se rimangono solo beni immobili da ripartire (o si liquidano e si ripartisce il valore in denaro degli stessi ovvero possono applicare il 2283 provvedendo alla divisione delle cose comuni (es. capannone a me, macchinario a te). regola presente solo per le S.N.C. regolari, i liquidatori devono redigere il bilancio finale di liquidazione ed il piano di riparto ex 2311. Bilancio finale di liquidazione: è in sostanza il rendiconto della gestione fatta dai liquidatori in cui si esporranno le entrate e le uscite verificatesi e la situazione patrimoniale finale Il piano di riparto: è invece una proposta di divisione tra i soci dell’attivo residuo. Questi due documenti sopra menzionati, vanno comunicati ai soci per mezzo di una raccomandata con ricevuta di ritorno e se i soci non li impugnano entro 2 mesi si considerano approvati. Se appunto il bilancio finale viene considerato approvato, i liquidatori si considerano liberati di fronte ai soci (è una forma di tutela per i liquidatori). L’estinzione della società Fatto tutto quello che ho elencato nel paragrafo prima, la società si considera ESTINTA. La situazione se pare semplice per la S.N.C. regolare, di contro non lo è per la S.N.C. irregolare, perché se dovesse erroneamente rimanere insoddisfatto un creditore, questo potrà rivalere il proprio credito anche oltre l’anno di rivalsa, dunque la società non si può agilmente considerare estinta al pari di una S.N.C. regolare alla quale basta pubblicare sul registro delle imprese l’avvenuta estinzione della società e provvede (i liquidatori) alla cancellazione della stessa dal registro, in cui i creditori nulla potranno più ottenere, anche se il loro credito è rimasto insoddisfatto, proprio perché la cancellazione della soc dal registro determina l’estinzione totale della società. E la cancellazione impedisce la rivalsa dei creditori sia che i soci l’abbiano cancellata in buona fede, sia che essi l’abbiano fatto in mala fede (cioè cancellata alla svelta affinchè qualche creditore rimanesse inadempiuto e intascarsi i soldi). ma allora davvero finisce qui la tutela dei creditori? No, in realtà possono ancora ottenere il proprio credito, essi possono agire contro gli ex soci rivalendosi sul loro patrimonio personale, ovvero contro i liquidatori, semprechè il mancato pagamento sia loro imputabile a colpa o dolo. Accertata la colpa o dolo, i liquidatori saranno esposti non solo all’adempimento ma anche alle sanzioni penali ex 2633 c.c. Le scritture contabili, devono essere consegnate dai liquidatori ai soci della soc i quali dovranno conservare tutti i documenti per 10 anni dalla cancellazione della soc. Il fallimento della società estinta. I creditori della S.N.C. possono infine chiederei fallimento della società entro un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese. La situazione è ben più complessa per le S.N.C. irregolari, perché siccome non sono iscritte nel registro, non si ha il termine di cancellazione della società dal quale far decorrere l’anno che consente ai soci di pretendere il fallimento, infatti, visto che manca tale termine, la disgrazia dei soci risiede proprio qui, ossia i creditori possono chiedere il fallimento anche dopo anni. Pagina 16 di 16