Il Novecento (Italian Literature) - PDF

Summary

This document provides a detailed overview of Italian literature in the 20th century, focusing on key movements and authors like Ungaretti and Pirandello. It discusses the evolution of poetry and prose, exploring themes of modernism, avant-garde movements, and the reflection of societal changes in literary works. The document includes detailed information on major figures and styles, including the Crepuscular movement, Futurism, and Expressionism.

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Il Novecento 1. Tra modernismi e avanguardie (1900-1919) le date di inizio secolo, dal punto di vista letterario, sono di fatto puramente indicative ma è possibile individuare delle svolte significative sulla base di alcune pubblicazioni di rilievo. Nel 1903, infatti, escono due opere che chiudono...

Il Novecento 1. Tra modernismi e avanguardie (1900-1919) le date di inizio secolo, dal punto di vista letterario, sono di fatto puramente indicative ma è possibile individuare delle svolte significative sulla base di alcune pubblicazioni di rilievo. Nel 1903, infatti, escono due opere che chiudono la fase dell’ottocento della nostra lirica, si tratta dei Canti di Castelvecchio di Pascoli e di Alcyone di D’Annunzio. Entrambe le opere presentano delle novità lessicali e sintattiche, sia la poetica degli oggetti di Pascoli che la sensualità delle parole di D’annunzio verranno parodiate e rielaborate lungo tutto il Novecento. Inoltre, all’inizio del secolo breve iniziano ad esplodere a livello europeo le avanguardie, ossia quei movimenti artistici che intendono rompere in modo definitivo con la tradizione, sia attraverso le opere sia attraverso le dichiarazioni di poetica. Alcuni di questi arrivano addirittura a rifiutare l’arte stessa in quanto istituzione come nel caso del dadaismo di Duchamp o dell’espressionismo, caratterizzato, quest’ultimo, da una voluta deformazione dei codici espressivi e dei soggetti delle varie arti. La fine di questa stagione può essere indicata in un lasso di tempo ampio; la prima guerra mondiale costituì un limite anche per la scomparsa prematura di diversi artisti e insieme un banco di prova per diverse avanguardie, in primis quella futurista che sostenne da sempre la lotta tra le nazioni europee e si schierò in prima fila a favore del movimento fascista. Altri autori, contrariamente, si opposero al massacro bellico proponendo opere di carattere autobiografico. LA POESIA Il crepuscolarismo Tendenza che si inizia a distaccare dal filone di Pascoli di d’Annunzio; venne coniato da Borgese per indicare un atteggiamento spirituale che non un preciso gruppo di autori, si tratta infatti di un movimento diramato in varie regioni d’Italia e non di un gruppo coeso caratterizzato da un restringimento della propria prospettiva vitale alle piccole cose quotidiane, alla banalità accettata un po’ con malinconia e un po’ con ironia. A ciò si lega l’utilizzo di un linguaggio ordinario: una poesia delle piccole cose. Il tema dell’inettitudine è presente in molte opere e diventa centrale per la costruzione dell’io poetico che rivendica la propria incapacità di vivere grandiosamente e di superare la meschinità borghese cara a d’Annunzio. Ricordiamo tra i vari poeti Sergio Corazzini con Piccolo libro inutile dove prevale il sentimento doloroso dell’impossibilità di fare poesia e la rivendicazione di una sincerità che porta al rifiuto degli artifici; Corrado Govoni e Marino Moretti, invece, presentano opere dove l’elencazione monotona di oggetti e di situazioni non rilevanti sono la loro caratteristica principale. Guido Gozzano ripropone temi già visti ma in chiave ironica riuscendo a demistificare le mitologie del sublime, anche qui care a d’Annunzio. L’io delle sue opere rifiuta di atteggiarsi rivelandosi come un “coso con due gambe/detto guidogozzano” proprio a voler sottolineare il proprio essere comune. Il futurismo Prima avanguardia nata in Italia è il futurismo dall’ideatore Marinetti formatosi a Parigi in riferimento alle tendenze sperimentali più avanzate della città francese. Pubblica grazie all’aiuto dell’amico Apollinaire il manifesto del futurismo dove elenca i principi essenziali della poetica futurista: il rifiuto totale di ogni forma di tradizione, accettazione del presente fatto di macchina e di velocità è di forza e di violenza, spinta verso il futuro in quanto espressione di un movimento rivoluzionario. Parole in libertà → creazione di composizioni tipografiche in cui le parole sono accostante senza nessi sintattici dove viene esaltata la violenza della guerra e viene estesa anche dal punto di vista grafico con parole onomatopeiche. La linea espressionista Filone della letteratura italiana del primissimo Novecento con la tendenza a far interagire diversi codici linguistici e stilistici diversi per ottenere effetti dissonanti e originali. Tra la linea espressionista italiana e l’espressionismo avanguardistico si presentano affinità ma anche differenze: la più vistosa è che il secondo affronta molto più direttamente i grandi temi della modernità, dal dominio delle macchine e dell’industria, alla necessità di un’estetica del brutto tra contrapporre all’estetismo del decadentismo: si presenta attento alle problematiche politico-rivoluzionarie. Molti autori del filone collaboravano con la rivista La Voce; la scrittura dei vociani si esprimeva nella forma di un frammento, ossia testi brevi e intensi, dalla forte evocatività il cui scopo era scavare nell’interiorità spirituale. Tra gli autori da ricordare Giovanni Boine e Piero Jahier: il primo è ricordato per i poemi in prosa, ovvero testi che tendono ad esprimere sentimenti lirici in frasi brevi. Il secondo, invece, alternò spesso tra poesia e prosa. GIUSEPPE UNGARETTI Di origini lucchesi, visse a lungo ad Alessandria d’Egitto per poi studiare a Parigi entrando in contatto con molti esponenti delle avanguardie, in particolare Apollinaire. Nella sua formazione eterogenea avvenuta inizialmente al di fuori dei centri culturali italiani più importanti, interagiscono interessi letterari e politicid che indussero il giovane a partecipare alla prima guerra mondiale, esperienza che si rivelerà traumatica e che portò l’autore a scrivere Il porto sepolto successivamente intitolato con L’allegria. Trasferitosi a Roma, decide di aderire al fascismo facendo proprie alcune istanze del regime e del cattolicesimo. Grazie a numerosi viaggi all’estero e ad un’intensa opera di traduzione riuscirò ad allargare la sua conoscenza dei classici. L’allegria Alla poesia viene riassegnata un’alta funzione, di ascendenza chiaramente simbolista, e lontana dall’ironia crepuscolare. Lo stesso porto, che rimanda a quello antico di Alessandria d’Egitto, inghiottito dal mare, appare sin dalla sua poesia un luogo orfico dove il poeta arriva e poi torna alla luce con i suoi canti e li disperde. Ciò che rimane è un “nulla/d’inesauribile segreto” e proprio questa contraddizione brilla la magia della parola lirica. La ricerca di un inesauribile segreto parte dall’ansia di giustificare una terribile trauma personale (quello della guerra) che porta l’io poeta e chiedersi quale sia il rapporto con Dio. Sentimento del tempo Il gusto per l’analogia tende ad essere più ricco; la poesia assume un valore sublime in sé e tende a creare miti. A tratti sembra essere la prosecuzione di alcune linee di forza attive nell’Allegria, ma non nasconde la perdita della dimensione esistenziale, nonché quella più sperimentale. Punto di riferimento della poesia ermetica. Altre opere Nelle opere successive, Ungaretti mantiene un tono in genere retoricamente elevato, sebbene tornino a volte in primo piano i drammi personali. Tutti i componenti ungarettiani vengono a formare un intero canzoniere, intitolato Vita d’un uomo, dove nel volume del 1969 vennero raccolte le poesie, accompagnate da introduzioni e note dell’autore, dall’apparato delle varianti, nonché da interventi critici. LA NARRATIVA E IL TEATRO Rispetto alla poesia, la narrativa italiana appare molto più vario. Ciò corrisponde a una situazione precisa: la narrativa si presenta in Italia dotata di una tradizione molto meno forte rispetto alla lirica e dominata per lungo periodo tempo dal modello de I promessi sposi. Nel primo novecento a ricoprire ruoli rilevanti sono d’Annunzio e Fogazzaro, mentre nel campo dell’editoria Edmondo De Amicis. Federico Tozzi La sua costituisce la narrativa espressionista più stimata. Con gli occhi chiusi, edito nel 1919 racconta del giovane Pietro innamorato di Ghisola, idealizzandola senza accorgersi che la ragazza non è ciò che lui vorrebbe. Solo quando scopre che lei è incinta in una casa di appuntamenti, cessa di amarla. La resa narrativa è interessante visto l’accostamento di rapidi quadri caratterizzati da punti di vista diversi e il normale flusso temporale risulta sconnesso. Si sottolinea, in questo modo, la dimensione psicologica del racconto. Il teatro e il melodramma Il teatro italiano nei primi anni del Novecento non presenta nessun tipo di innovazione sul piano della tecnica. Continua, però, il successo del genere teatrale più fortunato di Italia. Il melodramma, che trova in Puccini un autore di raffinata sensibilità melodica (Tosca, Madama Butterfly, Turandot). Tentativo di innovazione viene per il teatro dei futuristi che nelle serate proponevano testi in libertà, parodie, battute satiriche o paradossali più adatto a scandalizzare il pubblico borghese. LUIGI PIRANDELLO * Pirandello nasce ad Agrigento e studia tra Palermo e Roma, dove conosce lo scrittore Luigi Capuana. Si laurea a Bonn con una tesi sul dialetto agrigentino. Scrive saggi, novelle e romanzi ma i dissesti economici e la malattia mentale della moglie segnano questa fase. A partire dall’inizio del Novecento, concentrerà la sua riflessione su temi essenziali del suo tempo, come il rapporto tra arte e scienza e a poetiche quali l’umorismo di cui vi dedicherà un saggio nel 1908. Dopo varie prove poetiche, Pirandello inizia a scrivere novelle e romanzi quali L’esclusa e Il turno. In queste opere si colgono alcuni spunti della poetica pirandelliana come l’impossibilità di cogliere verità oggettive (relativismo) o la necessità di cogliere i lati nascosti delle personalità per superare apparenze e finzioni. Nell’opera Il fu Mattia Pascal(1904) l’autore abbandona le strutture veriste per sperimentare intrecci cari alla narrativa umoristica. La trama presenta delle singolari avventure del protagonista che, dopo aver vinto la roulette, decide di assecondare la storia del suo suicidio per approfittare dell’occasione e fuggire vestendo i panni di una nuova identità: quella di Adriano Meis. Tuttavia, dopo essersi trasferito a Roma, anche la nuova identità si renderà conto di non poter vivere liberamente come pensava fino a che non verrà riconosciuta burocraticamente. Decide così di riprendere l’identità di Pascal e di far ritorno al suo luogo d’origine, sebbene alla fine scoprirà che nel vecchio paese è stato sostituito sia come marito che come madre. Ed è grazie a questa opera che Pirandello può mettere in evidenza alcuni dei temi principali da lui affrontati: il contrasto tra la vita e la forma. Collegabile a questo tema è quindi anche il contrasto tra la persona e il personaggio. È pertanto evidente nell’opera del 1904 come l’autore si ponga in contrasto al positivismo e al razionalismo (tutti temi trattati nell’opera L’umorismo del 1908). I romanzi successivi I vecchi e i giovani → sull’Italia post risorgimento fra scandali e arrivismi nel quale l’analisi sociale si coniuga con una critica implicita dello storicismo assoluto, poiché la storia come la vita non conclude e non mai definitiva. Si gira → che tratta il rapporto uomo/macchina attraverso il diario di un operatore cinematografico che non parla più a causa di un trauma che lo ha colto mentre girava una scena: su colgono vari spunti, da quest’opera, rispetto al teatro come lo scambio fra realtà e finzione. Uno, nessuno e centomila → Il tema della mancanza di un’identità viene portato fino alle estreme conseguenze in quest’opera. Vitangelo Moscarda, protagonista, dopo essere stato sconvolto dalla scoperta che i suoi conoscenti lo vedono in centomila modi diversi rispetto a come si percepisce, non solo accetta la disgregazione della sua individualità, ma cerca di annullarsi per uniformarsi a madre natura. Le novelle In Novelle per un anno veniva riunita tutta la sua produzione in 24 volume per un totale di 365 testi di diverso carattere: da comiche, drammatiche, surreali, umoristiche. Es: La carriola → un uomo che confessa di aspettare più di ogni altra cosa i momenti di solitudine per far fare la carriola alla sua cagnolina. L’assurdità dei comportamenti dei singoli e in genere dell’esistenza stessa emerge in moltissime novelle. La produzione drammaturgica Opere teatrali fino al 1920. Le prime opere appaiono legate al mondo siciliano ma dalla metà degli anni ‘10 viene approfondita la costruzione del personaggio teatrale che può incarnare le riflessioni dell’autore specie sulla funzione liberatoria dell’umorismo nei confronti delle forme e delle convenzioni sociali: il caso di Liolà, ad esempio, tratta il quarto capitolo del Fu Mattia Pascal. Un passo avanti viene fatto tra il 1917 e il 1918 dove l’autore affianca a testi regionalistici (La giara), i primi drammi grotteschi, come Così è se vi pare o Il giuoco delle parti che Pirandello raccoglierà sotto il titolo di Maschere nude I Sei personaggi e la fase maggiore La fase più importante del teatro di Pirandello si apre nel 1921 quando a Roma va in scena la prima di Sei personaggi; il dramma è fortemente rivoluzionario anche grazie all’espediente del metateatro, ripreso poi in Ciascuno a suo modo e Questa sera si recita a soggetto. Enrico IV è un altro dramma molto più considerevole nel quale il tema della pazzia viene posto al centro dell’azione che si svolge come un falso dramma storico. Il protagonista, che per molti anni ha creduto di essere Enrico IV di Germania, è invece rinsavito e tuttavia continua a fingere di essere pazzo, solo per potersi vendicare in un rivale in amore, ma anche per poter mettere in crisi la presunta razionalità dei sani di menti. I drammi dell’ultimo periodo Come tu mi vuoi → Pirandello d’autore. La nuova colonia, Lazzaro e I giganti della montagna → ultima fase per riprendere i temi mitologico-simbolici. 2.Riletture della tradizione Dopo la fine della prima guerra mondiale, la forza delle avanguardie diminuì sempre di più. La fase delle sperimentazioni, tuttavia, non terminò di colpo e a livello sia europeo che italiano diede alcuni risultati importanti, talvolta inquadrati sotto la categoria di modernismo: pensiamo a La terra desolata di Thomas Eliot e a L’Ulisse di Joyce. Al contrario delle avanguardie, questi capolavori come altri tendevano a voler ricostruire un rapporto con la tradizione, concepita ora come un repertorio da riconquistare vista la frammentarietà del presente. Abbiamo detto, quindi, che molte avanguardie si esaurirono dopo la fine del primo grande conflitto, spesso sostenuto proprio da questi intellettuali. Vari esponenti del futurismo, ad esempio, trovarono modo di continuare le loro battaglie, impegnandosi nel movimento rivoluzionario sovietico, all’opposto, fiancheggiando quelli di tipo fascista, come nel caso del futurista Marinetti. La nuova avanguardia può essere considerata il surrealismo, iniziato a Parigi che al contrario di quelle precedenti non muoveva una critica contro le istituzioni artistiche o contro la riduzione dell’arte a oggetto di mercato; piuttosto prendeva spunto da teorie psicanalitiche freudiane per dare spazio a tutti gli ambiti della creatività, derivati dall’inconscio e non dalla razionalità. I suoi risultati maggiori vennero da una forte connessione tra opere letterarie e opere pittoriche o cinematografiche, come nel caso di Un chien andalou di Bunuel. In Italia l’avvento del fascismo condizionò il dibattito culturale: i margini per una libera espressione delle opinioni politiche si annullarono a partire dal 1925 e molti intellettuali manifestarono il loro dissenso, non aderendo al regime, ad esempio. Croce fu uno dei pochi punti di riferimento degli antifascisti. Abbiamo poi Gramsci, del quale dopo la fine della guerra vennero pubblicati i Quaderni del carcere. Altrettanti furono gli autori che aderirono al regime, invece, come nel caso di d’Annunzio, Pirandello e Ungaretti. Varie furono le tendenze in ambito poetico nel periodo tra le due guerre: già nel 1919 la reazione alle avanguardie si manifestò chiaramente con la pubblicazione della rivista La Ronda che sosteneva un ritorno alla tradizione italiana. La poesia Nella lirica del periodo tra le due guerre, la prima novità è la rivalutazione delle forme canoniche da parte della rivista romana La Ronda edita tra il 1919 e il 1922. Fra i principali promotori si contano: Emilio Cecchi, per molti anni interprete delle novità letterarie italiane, nonché saggista raffinato, il romanziere ma anche poeta Riccardo Bacchelli e, infine, Vincenzo Cardelli che iniziò a pubblicare opere in versi e in prosa sulla rivista La Voce. Egli cercava un nuovo classicismo da lui definito a doppio fondo, ossia tale da nascondere un vuoto esistenziale ma con un’esteriorità perfetta. Il modello rappresentato dalla rivista La Ronda rappresentò un punto di riferimento per molte delle poetiche che si svilupparono in Italia tra gli anni venti e trenta. A Roma, agli intellettuali di regime veniva imposta l’adesione ai miti romani e imperiali del fascismo dittatoriale. L’ermetismo Negli anni trenta riprende forza il filone tardo-simbolista della lirica pura il quale trovava nell’Ungaretti del Sentimento del tempo un punto di riferimento. Questo filone con cui si voleva sottolineare il carattere oscuro di questo tipo di poesia, presenta in realtà caratteristiche distinte: da una parte si può individuare un ermetismo di giovani autori toscani, legati alla rivista Frontespizio e in particolare al critico Carlo Bo, di ispirazione cattolica e sostenitore di un’idea di Letteratura come vita, nome di una sua opera che mirava a contrapporre i valori religiosi e umanistici della poesia alla crudezza del regime fascista. Da un’altra parte, si distingue l’ermetismo di vari autori del sud, più propenso a una metaforicità accesa non prive di contatti con il surrealismo francese. Fra il gli esponenti più puri dell’ermetismo vanno segnalati: Salvatore Quasimodo e Alfonso Gatto. Entrambi operarono a Firenze negli anni ‘30, assumendo un ruolo autorevole nei circoli culturali e nelle riviste più stimate. Acque e terre di Quasimodo ottenne un enorme successo per poi essere seguito da Ed è subito sera. Poesia dialettale Rilevante è l’apporto dei dialetti, peraltro mal visti dal regime fascista che puntava a un purismo anche linguistico. In una situazione in cui il toscano manzoniano risulta conosciuto soltanto a una piccola parte della popolazione, la scelta della lirica in dialetto risulta essere in molti casi spontanea. Gli autori dialettali sono per lo più colti, e la loro opzione linguistica appare dettata spesso da ragioni come la difesa di culture minacciate dall’unificazione, l’opposizione all’italianizzazione forzata. In ogni caso, la forza dei dialetti consente in questo periodo di dare voce a sentimenti diversi. UMBERTO SABA Saba nacque a Trieste nel 1883. L’abbandono del padre, il rigore della madre e l’affetto della nutrice costituiscono presupposti autobiografici influenti sulla sua poesia. Essa si distingue sin dalle prime opere per l’apparente semplicità e cantabilità, che si rivelano invece una superficie pacificata sotto la quale si nascondono i conflitti. La sua formazione eterogenea, con studi umanistici e tecnici più volte interrotti; molte, però, furono le letture personali ampiamente meditate, da quelle di Nietzsche a quelle di diversi filosofi e intellettuali attenti alla psicanalisi. Saba rivendicò sempre la sua figura di irregolare e, nello stesso tempo, aspirò a un’integrazione che dovette rivelarsi difficile. Le sue origini ebree lo costrinsero ad abbandonare Trieste nel 1943. Sebbene, rimase fino alla morte al di fuori dei circoli culturali più attivi e influenti, specie a partire dagli anni Cinquanta, la sua poesia venne assunta a modello per la linea antinovecentesca o antinovecentista (opposta alle oscurità intellettualistiche delle avanguardie). La sua poesia si doveva caratterizzare come semplice e onesta, capace di costruire un rapporto franco con il lettore. Produzione poetica fino al 1921. Il primo Canzoniere Casa e campagna Trieste e una donna → entrambe le raccolte dedicate alla moglie Lina. Le prime liriche appaiono fuori tempo rispetto alle avanguardie, anche perché rimane molto legato alla sua Trieste mitteleuropea, nonostante i contatti con alcuni intellettuali. L’idea del Canzoniere, ideata già dal 1913 e compiuta in una prima versione nel 1921 risulta molto conservatrice; se si aggiunge che le forme metriche preferite di Saba sono quelle chiuse, come i sonetti, in particolare quelle che tendono alla cantabilità dei componimenti. Fra le poesie di maggior valore del primo Canzoniere, si debbono ricordare quelle che fondono una stilizzazione classicista con una scelta di immagini stranianti il caso è quello di A mia moglie, in cui Lina viene paragonata a una serie di animali non nobili come una pollastra, una cagna etc.. L’amore coniugale contrastato si esplicita in un un affetto quotidiano, singolare e profondo. In generale l’insieme dei testi assume la struttura di piccoli romanzi. Nel primo Canzoniere, Saba mira a una poesia da lui definita “onesta”, di una leggerezza che diventa chiarezza e definizione. Produzione poetica dal 1921 al 1957 Dopo la pubblicazione del primo Canzoniere, l’autore entra in contatto con alcuni giovani intellettuali e scrittori, come Debenedetti e Montale. In questi anni il poeta si avvicina sia alla psicanalisi che alla cultura europea contemporanea in generale, trovando modo di introdurre nel suo stile semplice note più forti di modernità (utilizzo della similitudine, uso più calcolato della prosa). Nuova tappa è segnata dal secondo Canzoniere,uscito nel 1945, nel quale confluiscono le raccolte successive al ‘21. In questa versione l’opera è divisa in tre grandi sezioni che possono simboleggiare le tre principali età dell’uomo. Saba ha lavorato una risistemazione complessiva, soprattutto in rapporto al tema dell’amore e a quello della guerra, letti in modo diverso rispetto alla fine della prima guerra mondiale. La sezione Cuor morituro è considerata molto rilevante dallo stesso autore; è angosciata e dissonante da un punto di vista stilistico. Successivamente, specie dopo il 1948, anno traumatico per motivi personali e per il corso preso dalla politica italiana, Saba si fece strada anche una sempre più insoddisfazione esistenziale che negli anni ‘50 si manifestò con nuove crisi e un incupimento definitivo, con numerosi riferimenti al tema della morte. Le altre opere Saba fu anche un ottimo prosatore e non mancano di certo storie legate al ricordo del mondo ebraico di Trieste, nonché ai fatti autobiografici tratti nel Canzoniere. Ricordiamo l’opera incompiuta e uscita postuma Ernesto, scritto nel 1953 che racconta di un’iniziazione omosessuale di un ragazzo, narrata con levità e naturalezza, grazie pure a un uso del dialetto triestino molto delicato e insieme rivelatore. EUGENIO MONTALE Nasce a Genova nel 1896 e la sua formazione fu molto eterogenea, nutrita di testi letterari italiani e francesi, nonché di classici. Inoltre, lesse e conobbe numerosi testi filosofici, morali e religiosi, tra cui Bergson e Boutroux, avversarsi del positivismo. In adolescenza iniziò ad avvicinarsi alla cultura italiana più viva leggendo pezzi giornalistici, successivamente, invece, iniziò a fare da recensore e autore di articoli più importanti. Ossi di seppia Si presenta come un’opera particolare: antiavanguardista ma allo stesso tempo non legata a un’idea tradizionalista di poesia. La critica ne parla in termini di classicismo paradossale, ossia di una formula la cui componente modernista è molto evidente all’interno dell’uso di elementi tradizionali. Nel caso della metrica, ad esempio, riscontriamo un’ampia presenza di endecasillabi o settenari ma mescolati ad altri versi imperfetti. Anche le rime regolari si alternano con assonanze o consonanze. L’io-lirico nell’opera si presenta come un soggetto debole, a suo modo un inetto, che però non si limita a enunciare la sua propria condizione in modo malinconico o ironico (come i crepuscolari). L’io di Montale confronta la sua condizione con quella moderna dell’intero genere umano, e denuncia il male di vivere, la sofferenza esistenziale di chi è ormai privo di una fede certa e di una reale volontà di agire ma, nonostante ciò, continua a cercare il miracolo. La fine dell’infanzia, ovvero la perdita di un rapporto diretto e ingenuo con la natura, sostituito dalla consapevolezza che la vita è crudele, più che vana, è il nucleo dell’opera. Le occasioni Nel 1927 Montale si trasferisce dalla Liguria a Firenze dove entra in contatto con autorevoli critici e scrittori dell’epoca. È nell’ambiente fiorentino che Montale ha modo di conoscere direttamente le tendenze in atto nella letteratura italiana e internazionale, grazie all’apertura culturale la vicinanza con tale ambiente permette al poeta di fare una rilettura raffinata dei grandi classici, oltre che alla stesura di traduzioni, tra cui quelle delle opere di Shakespeare. Sempre in questo contesto Montale incontra due donne poi presenti nella sua poesia: Drusilla Tanzi, in seguito sua sposa, e la dantista americana Irma Brandeis. È in questi anni che matura una svolta nella sua poetica. Se gli Ossi erano ancora un insieme segnato da una classicità chiara, le Occasioni si orientano verso un’oscurità tipica del periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento, che tuttavia risulta molto diversa rispetto a quella degli ermetici o di Ungaretti. La difficoltà consiste nel procedere per metonimie, per dettagli che stanno al posto del tutto e non per grandi o evidenti metafore come negli Ossi. Si rafforza in quest’opera l’importanza degli oggetti e sono caricati di una valenza simbolica. Si coglie l’adesione a una poesia di tipo metafisico che non mira a nascondere la realtà storica o biografica, ma piuttosto a farne la fonte concreta di una poesia “oggettiva”, portatrice di un valore universale. Valorizza, inoltre, il rapporto tra poesia e prosa. I testi di montale, tuttavia, non sono mai volutamente ambigui o irrazionali ma si prestano sempre ad un’interpretazione letterale. Fra le novità spicca l’esaltazione del tema dell’epifania miracolosa, dell’occasione che porta allo svelamento di una verità oltre le apparenze terrene, che può prendere forma grazie all’intervento di Clizia, la donna-angelo dai tratti stilnovistici. Concludendo, se molti temi di fondo degli Ossi (come la ricerca di un’uscita dal vuoto esistenziale) si ripropongono nelle Occasioni, essi risultano modificati grazie all’azione della donna-angelo e dei fantasmi liberatori, ma anche per la consapevolezza della necessità di difendere la cultura consegnataci dalla tradizione. La bufera e altro Montale dopo le Occasioni scrisse opere in riferimento alla seconda guerra mondiale, raccolti nel ‘43 e nel ‘45 sotto il titolo di Finisterre. Da questi testi deriva la prima sezione della terza raccolta uscita nel 1956 con il titolo di La bufera e altro. Quando si trasferisce a Milano diviene direttore del Corriere della sera ed è proprio l’attività giornalistica che lo porta a incontrare artisti, scrittori e diverse realtà culturali sia europee che extraeuropee. Nella Bufera, si accentuano i tratti manieristici e barocchi applicati a una realtà storica spesso più riconoscibile della raccolta precedente, ossia quello della guerra e del dopoguerra. Le vicende dell’io si collocano in questo panorama dal quale emerge nuovamente la figura di Clizia, così nominata in uno dei testi più alti della lirica montaliana: La primavera hitleriana. Rispetto alle Occasioni, sono più frequenti i testi interpretabili in termini di allegoria: oggetti, personaggi e vicendi che richiedono una seconda lettura. La struttura d’insieme (sempre andamento autobiografico- narrativo) si complica. Significativa è la parte finale della Bufera, intitolata Conclusioni provvisorie dove si riscontrano dei cambiamenti. Innanzitutto, l’io viene a coincidere più esplicitamente con quello autobiografico, specie per la rivendicazione di una dignità morale. Inoltre, il tema del male di vivere si concretizza nella storia presente, del fascismo e del dopoguerra. Satura e le ultime raccolte Dopo un lungo periodo di fermo, Montale inizia a scrivere nuovamente a partire dagli anni Sessanta. Il risultato di questo periodo è l’opera: Satura, molto diversa dalle produzioni precedenti dove sarà presente un rovesciamento ironico dei suoi temi precedenti. Lo stile diventa quello del comico-satirico sono molti i testi dove si combattono le assurdità della società di massa, i luoghi comuni e le posizioni ideologiche massimaliste (specie quelle di sinistra). Gli interventi sempre più conservatori da un punto di vista culturale e politico che Montale proponeva sul Corriere della sera, ora diventano qua il sottofondo per una resa poetica. La narrativa, il teatro e il cinema Dopo la fine della prima guerra mondiale emersero nella narrativa italiana due linee in parte contrastanti: (1) Promossa dalla rivista La Ronda che puntava a un prosa d’arte,che prendeva spunto dal frammentarismo e dal saggismo già diffusi dalla Voce, ma inserendoli in strutture più solide come racconti e novelle. (2) Sostenuta dal critico Giuseppe Antonio Borgese che con il romanzo Rubè cercava di interpretare il comportamento degli italiani nel periodo bellico e postbellico, attraverso quello di un giovane disorientato. Il precoce antifascismo di queste posizioni si coniugava con la ricerca di un nuovo tipo di realismo, ossia la necessità di mettere in primo piano l’interpretazione della realtà storica e quella della psicologia profonda dei personaggi. La prosa d’arte, il realismo magico, il fantastico La prosa d’arte trova a Firenze la sua patria e molti furono gli esponenti e sostenitori di questa forma espressiva. Fra gli autori più influenti ricordiamo Romano Bilenchi, attivo nell’ambito del cosiddetto fascismo di sinistra ed esponente della cultura marxista più parte al dialogo durante il secondo dopoguerra. Essa è caratterizzata da una narrativa in genere breve e fortemente lirica. Il realismo magico, invece, si differenzia da questo filo e privilegia una scrittura più fantastica o surreali, come nel caso di Alberto Savinio, fratello di De Chirico e autore di testi nei quali i temi mitologici o psicoanalitici risultano grotteschi e inquietanti. Più semplificate ma comunque ricche di componenti fantastiche sono le opere di Dino Buzzati come la sua celebre opera Il deserto dei tartari. Tommaso Landolfi, invece, è sicuramente tra gli autori più rilevanti: nato a Firenze, fu un ottimo conoscitore della lingua e della letteratura russa. Nei suoi testi si coglie una pulsione autodistruttiva che trova riscontro nell’esperienza autobiografica (elemento del gioco d’azzardo). Prime forme di un nuovo realismo In ambito teatrale le novità nel periodo fascista sono limitate. Ma in questo contesto si colloca l’opera di Eduardo de Filippo, dove nel 1931 realizza la sua opera più celebre: Natale in casa Cupiello nel quale emergono le tensioni di una modesta famiglia radunata per i preparativi natalizi. Il cinema venne invece utilizzato nell’epoca del regime come strumento di propaganda fascista con l’intento anche di valorizzare gli attori italiani in contrapposizione a quelli statunitensi. ITALO SVEVO Italo Svevo è lo pseudonimo assunto da Hector Schmitz, nato nel 1861 a Trieste da una famiglia di origini ebraica. Coltivò la sua passione per la letteratura e il teatro che lo aveva spinto alla lettura di molti classici sia italiani che tedeschi. Trieste era ancora sotto il dominio asburgico, pertanto era influenzata da una forte cultura mitteleuropea ma tuttavia marginale rispetto ai più autorevoli centri culturali italiani come Firenze. Il giovane scrittore si interessò anche di politica e di filosofia leggendo Schopenhauer e Darwin. Iniziò a pubblicare recensioni e racconti di cui quelli particolarmente interessanti vengono pubblicati sul quotidiano L’indipendente, come nel primo edito Una lotta dove viene presentato un tema tipico della sua letteratura: la sconfitta degli eccentrici, nella lotta darwiniana per sopravanzare nella vita. Nel 1906, dopo un periodo di allontanamento dalla letteratura, iniziò a studiare con James Joyce e entra in contatto con le teorie di Freud, che costituiranno una base fondamentale delle sue opere successive. Inizia la stesa del suo capolavoro La coscienza di Zeno nel 1919 edita poi nel 1923. Grazie a Joyce l’opera ottiene ottimi riscontri a Parigi e viene valutata positivamente anche in Italia. Quando la sua fama sta per raggiungere picchi molto alti, Svevo muore per un incidente d’auto nel 1928. Una vita Romanzo il cui titolo provvisorio era “Un inetto” che già spiega il carattere del protagonista. Alfonso Nitti è infatti un individuo modesto con un impiego in banca è incapace di portare a compimento i suoi sogni. È innamorato di Annetta Maller, figlia del proprietario di banca e dopo aver subito la morte della madre, Alfonso si sente incapace alla vita e decide di suicidarsi invece che di combattere il fratello di Annetta. L’inettitudine radicale è elemento centrale che sembra essere, soprattutto, un’applicazione delle teorie darwiniane che lo vedrebbero dalla parte dei deboli, destinato, dunque, a soccombere alla vita. Il finale con il suicidio, invece, sembra riprendere la posizione estrema di Schopenhauer sulla necessità di placare la volontà di continuare a vivere. Senilità Esce il secondo romanzo nel 1898 nel quale si coglie una capacità di introspezione psicologica. Le vicende lasciano il posto a un intreccio con quattro personaggi: il principale è Emilio Brentani che si innamora di Angiolina che, però, rivela presto la sua rozzezza e si invaghisce di Stefano Balli. Anche la sorella di Emilio (Amalia) è innamorata di Balli e soffre al punto da ridursi in fin di vita per la sua scelta di Angiolina; anche Emilio alla fine del romanzo si trova solo, incapace di agire e in grado solo di sognare. Emerge così una forte contrapposizione tra i deboli-sognatori (Emilio-Amalia) e i forti-realisti (Angiolina e Stefano) che si presentano darwinianamente molto più adatti alla vita. Molti dei temi qua affrontati verranno ripresi e scomposti ne La coscienza di Zeno. La coscienza di Zeno Negli anni tra il 1899 e il 1923 dove l’autore sembra apparentemente aver abbandonato la scrittura per dedicarsi al commercio nella ditta del suocero, inizia a leggere con molto interesse la letteratura anglosassone e settecentesca. La tecnica umoristica, pertanto, viene messa in pratica da Svevo che scrive racconti e fiabe incentrati su situazioni singolari, pseudoscientifiche, ricchi di dialoghi a vivaci e prospettive stranianti. È nel 1919 che inizia la stesura della Coscienza di Zeno, pubblicato poi nel 1923; nel frattempo l’autore viene a conoscenza di alcune teorie freudiane che gli permettono di approfondire le sue idee sull’animo umano, intrecciandosi con quelle dell’evoluzionismo. Il risultato è la nascita di un personaggio del tutto nuovo nel panorama italiano: un commerciante poco abile, sposatosi in modo quasi grottesco, affidatosi poi alle cure della psicoanalisi senza un’effettiva fiducia nella stessa, ma costretto a scrivere una sorta di memoriale degli eventi più significativi della propria vita. L’interruzione della cura è la base della narrazione. Secondo il modello umoristico, tuttavia, il racconto non procede in modo lineare ma, apparentemente, a caso. Zeno si presenta come un personaggio nevrotico e mentitore, soggetto a problemi psicosomatici, portatore di teorie singolari e comunque inaccettabili dai più. Esordisce parlando dei suoi numerosi tentativi di smettere di fumare, prosegue parlando del rapporto difficile che ha con il padre e della storia del suo matrimonio. Nell’ultimo capitolo scritto in forma di diario si riferisce al periodo iniziale del primo conflitto mondiale e Zeno conclude il suo racconto ipotizzando la distruzione del mondo con una bomba gettata al centro della terra da un uomo un po’ più ammalato degli altri. Zeno non è, dunque, più solo un inetto: è un po’ normale e un po’ pazzo che però interpreta bene entrambi i lati, ciò che gli manca è la certezza di un destino. Al suo posto rimangono ipotesi, supposizioni, teorie: in particolare, la sua idea è che tutti gli uomini siano in realtà ammalati e che la salute, di fatto, non esiste. Non esistono quindi deboli e forti, ma solo malati consapevoli o meno, da ciò il singolo si può riscattare attraverso l’amore fisico, come quello di Zeno che prova nei confronti dell’amante Carla, oppure può gettarsi in condizioni estreme come quella della guerra. Il paziente Zeno Cosini reputa tuttavia di essere guarito, diventando un bravo commerciante, mentre invece la chiusura sembra incompatibile con la sua visione del mondo, basata su un continuo affermare e smentire fatti, piuttosto che su dati certi. CARLO EMILIO GADDA Nasce a Milano nel 1893 da padre ungherese ed insegnante di materie letterarie. Nonostante sia alto- borghese, la famiglia si trova in difficoltà economica a causa delle spese eccessive. Dopo la morte del padre, Carlo Emilio si lega sempre più alla madre che lo spinge ad intraprendere studi di ingegneria, nonostante la passione per le lettere. Allo scoppio della prima guerra mondiale, si arruola come ufficiale volontario ma viene fatto prigioniero dopo la sconfitta di Caporetto ed è alla fine della guerra che viene a sapere della morte del fratello Enrico. Gadda inizia negli anni Venti a scrivere abbozzi di romanzi e trattati, pubblicati poi dopo la morte. Tra questi ricordiamo: Racconto italiano di ignoto del Novecento e La meccanica che contengono riflessioni sulle caratteristiche che deve avere il romanzo moderno in rapporto alla tradizione. Riflessione che inizia in questo periodo e che sarà fondamentale per le sue opere, è quella relativa ai rapporti tra i vari registri linguistici, da quello aulico a quello tecnico-scientifico fino a quelli popolari, dialettali e gergali. In questi testi iniziano a emergere alcuni temi poi ripetuti successivamente nella sua produzione come quello della persona moralmente retta ma incapace di difendersi che viene emarginata dalla società o quello della donna, casta o impura, che viene uccisa violentemente o, ancora, quello dei comportamenti dell’intera società in periodi di profonda crisi, come nel caso di una guerra. La cognizione del dolore Dopo la morte della madre Adele, Gadda è costretto a prendere dolore decisioni che aumentano i suoi sensi di colpa e la sue nevrosi. Poco dopo inizia a scrivere il primo dei suoi romanzi maggiori. La cognizione viene pubblicata sulla rivista Letteratura tra il 1938 e il 1941. Quest’opera mette in evidenza la difficoltà dell’autore a chiudere definitivamente le opere; ciò implica che la critica debba interpretare i finali e, per l’autore, che il punto essenziale della sua opera non sia la trama. In questo autore troviamo l’utilizzo e la mescolanza di sinonimi, di lingue come unico modo per rappresentare il mondo nella sua infinita complessità. Il romanzo si apre nel paese sudamericano del Maradagàl in cui i reduci di guerra non hanno mai visto il fronte: il povero don Gonzalo Pirobutirro deve subire angherie e minacce di ogni tipo, diventando ancora più nevrotico e esasperato. Le parti satirico-grottesche si alternano con altre molto più dolore e drammatiche, come il dialogo tra il protagonista e un medico, nel quale il primo rivela il suo male oscuro, legato in parte al rapporto di amore e odio con la madre. Nel quinto tratto (nome con cui Gadda chiama le sezioni del romanzo) viene adottato il punto di vista di lei nel quale si comprende il suo rammarico non riuscire a instaurare un rapporto col figlio. Dopo vari avvenimenti si arriva a una conclusione tragica benché non del tutto compiuta: la madre viene trovata agonizzate, forse a causa di un’aggressione da parte di estranei o da parte del figlio. L’essere nevrotico di Gonzalo non dipendono solo dalla complessità di questo legame tra madre e figlio, ma anche dall’incapacità di adattarsi all’imperfezione del mondo, alle ingiustizie e ai soprusi, alla mentalità dei borghesi. Del suo male oscuro, però, si continua a ignorare la causa poiché le ragioni sono molteplici. Il linguaggio varia molto, dal falso spagnolo, al fiorentino colto, al napoletano con anche l’utilizzo di costruzioni sintattiche complesse. Quer pasticciaccio brutto de via Merulana Il testo si presenta in forma di giallo, incentrato su un delitto avvenuto a Roma in pieno regime fascista. La vittima è una donna residente in un palazzo signorile e figlia di un profittatore di guerra. Il commissario Francesco Ingravallo è amico di famiglia e viene incaricato delle indagini. Tuttavia, il romanzo più che puntare alla scoperta degli indizi e delle spiegazioni, procede per deviazioni,piste sbagliate quindi sembra che a contare sia l’indagine conoscitiva del detective, più che quella concreta. Rispetto alla Cognizione, qui la narrazione è più consequenziale e procede alternando al romanesco popolare molti altri linguaggi e gerghi. La trama è una sorta di canovaccio molto libero: le deviazioni dall’inchiesta principali sono molteplici, innanzitutto per seguire un furto di gioielli avvenuto nello stesso palazzo della vittima; poi per approfondire la biografia di molti personaggi in apparenza secondari; poi per proporre lunghe e minuziose descrizioni. In quest’opera, Gadda non mancò di muovere una polemica contro il fascismo. In un primo momento della sua vita, infatti, l’autore si mostrò vicino agli ideali fascisti ma si accorse presto di quanto becero, retorico e ingiusto fosse il governo di Mussolini. La critica e il dibattito culturale Il regime ha di fatto condizionato il dibattito culturale fornendo limitati margini per una discussione. A livello filosofico-politico in contrapposizione a Benedetto Croce (punto di riferimento della cultura antifascista) si schierò Giovanni Gentile il cui apporto al regime fascista fu determinante, specie per una vasta riforma scolastica. Altri avversarsi del fascismo furono Pietro Gobetti e il già citato Antonio Gramsci. Nonostante le restrizioni, furono numerose le riviste letterarie attive durante il periodo fascista: da Solaria a Letteratura. Grazie all’appoggio del regime, durante il ventennio si rinforzò la cultura popolare e quella di massa e il mezzo di comunicazione più diffuso oltre ai giornali fu la radio. 3.I nuovi realismi e l’impegno dei letterati Dopo la fine della seconda guerra mondiale e la fine delle dittature nazifasciste, la rinascita delle cultura italiana ed europea avviene in uno scenario internazionale profondamente cambiato. L’Europa si trova divisa tra due blocchi con la lacerazione emblematica della Germania; l’Italia, invece, è paese di frontiera a contatti diretto con Stati comunisti ma allo stesso tempo più influenzata rispetto ad altri dalla politica statunitense e, dopo aver redatto la Costituzione della nuova Repubblica, viene a lungo governata dalla DC. Molti scrittori in questo contesto sentirono il bisogno di far uscire la propria voce e iniziarono ad aprirsi sempre più spazi culturali per un libero dibattito: riviste promosse da scrittori e intellettuali,i giornali e la radio propongono interventi culturali di alto livello, mentre le case editrici cominciano a tradurre opere fondamentali della contemporaneità e a lanciare nuovi autori. La linea di tendenza che ebbe maggiore successo fu quella del realismo motivata dalla spinta a descrivere l’enormità degli eventi accaduti. La grande fase delle avanguardie e dei modernismi non era passata invano, cosicché elementi sperimentali si colgono negli autori del cosiddetto neorealismo. La Poesia Nell’immediato dopoguerra l’ambito della poesia subisce dei cambiamenti: l’ermetismo lascia il posto a una lirica più diretta e concreta ed è Montale, grazie alla sua poesia complessa ma intrisa di concretezza, a diventare il modello più seguito dai giovani autori. Mario Luzi Uno dei maggiori esponenti dell’ermetismo fiorentino. Dopo Avvento notturno egli comincia ad avvicinarsi a una poetica piena di riferimenti alla realtà della fine degli anni Quaranta fino al culmine della sua produzione segnata con Nel magma. Si tratta di una raccolta in cui, in una trama piena di rimandi al Purgatorio dantesco, i dubbi esistenziali dell’io-lirico, vicino a quello autobiografico, vengono esaminati in componimenti polifonici e da versi spesso lunghi e non regolari. Fra le nuove propensioni, quella al neorealismo si concretizza in poesia di caratteri quotidiani e di riferimenti storici; da un punto di vista della forma, prevalgono tecniche prosastiche (versi lunghi, linguaggio semplice). I modelli utilizzati dai poeti neorealisti vengono applicati innanzitutto al racconto poetico della Resistenza, poi a quello delle condizioni del proletariato. Linea antinovecentesca: Sandro Penna, Giorgio Caproni, Attilio Bertolucci Sandro Penna A fianco di quella neorealista, riprende la linea dello stile semplice che aveva trovato in Saba il suo maggiore esponente. Questa tendenza è definita antinovecentesca per il suo rifiuto delle forme letterarie tipiche e in particolare delle sperimentazioni d’avanguardia. Sandro Penna, nelle sue liriche più alte, domina una percezione fresca e apparentemente ingenua degli attimi vitali, spesso connotati dalla dialettica fra nascita e appagamento/frustrazione dei desideri. C’è pertanto una distillazione del reale che trova i suoi esiti più compiuti in poesie brevissime. È una poesia immediata, nel senso di “priva di mediazioni” → “Forse la giovinezza è solo questo / perenne amare i sensi e non pentirsi”. Giorgio Caproni Caproni nasce in Liguria, terra che fa spesso da sfondo alle sue opere. Dopo una fase di impegno, prima nella Resistenza, poi nella sinistra socialista, Caproni torna a pubblicare poesia che confluiscono in una delle raccolte più apprezzate: Il passaggio d’Enea. Stilizzazione e chiusura formale si accentuano, prevalentemente come difesa umana nei confronti di una materia terribile quale quella delle pressioni naziste in guerra. Nelle raccolte successive, dopo un’ulteriore riferimento autobiografico sta volta dedicato alla scomparsa della madre, Caproni arriva a una sorta di costruzione teatral-narrativa in versi, con i dialoghi di personaggi- maschere dell’autore del Congedo del viaggiatore cerimonioso. Qui il tendenziale nichilismo di Caproni assume un tono sempre più pacato che ci introduce all’ultima fase della sua poesia, di matrice più filosofica e teologica. Il nulla domina la realtà. Attilio Bertolucci Si presenta come un altro esponente dell’antinovecentismo. Tra le sue opere più importanti troviamo La capanna indiana, dove la descrizione della vita nelle campagne supera i limiti del microevento in sé per aspirare a una dimensione più narrativa. Poesia dialettale Continua la produzione poetica in dialetto: Linea lombarda → caratterizzata da una propensione verso le realtà quotidiane, e da un linguaggio prosastico, oltre che da un sentimento etico-civile molto pronunciato. Sebbene i fatti siano deboli per poter definire un buon numero di tratti stilistici che potessero definire effettivamente questa linea, ciò non toglie che molti poeti della Lombardia o di altre regioni del nord abbiano sentito una rilevante affinità di gruppo. Il gruppo Officina → più marcata la poetica degli autori che si radunarono intorno alla rivista bolognese Officina, fondata da Leonetti, Roversi e Pasolini. I presupposti sono un rifiuto dell’ermetismo e del neorealismo; viene invocato un nuovo sperimentalismo che unisce uno stile aperto e una lettura della società sullo sguardo del pensiero gramsciano. Narrativa, il teatro e il cinema Nel secondo dopoguerra la narrativa riceve il forte impulso di dover raccontare i fatti terribili della lotta contro il nazifascismo. La prima risposta a questa nuova esigenza non arriva, tuttavia, dai romanzi, bensì dal cinema. Ricordiamo infatti i capolavori Roma città aperta e Paisà di Rossellini, Sciuscià di De Sica. Al modello cinematografico si ispirano molti scrittori, sia realisti che neorealisti di questa fase. Sono poi moltissimi i testi scritti in primo luogo per offrire una testimonianza, incentrati molto sull’esigenza di un’immediata documentazione: è il caso di Se questo è un uomo di Primo Levi. La riacquisizione della libertà di stampa e il dibattito politico e culturale sulla rifondazione dello Stato italiano dopo la fine del fascismo favorirono la nascita di un’editoria di varia formazione. Esemplare fu la vicenda della casa editrice fondata da Giulio Einaudi che coinvolse filosofi, storici e letterati, fra cui Vittorini, Pavese e successivamente Calvino. Alberto Moravia Nasce a Roma nel 1907 e a causa di una grave forma di tubercolosi è costretto a passare lunghi periodi di isolamento durante l’adolescenza, durante i quali sviluppa la sua passione per la scrittura. Nel 1929 pubblica quello che verrà considerato il suo capolavoro: Gli indifferenti. È un’opera di un realismo singolare, senza storia poiché non ci sono riferimenti temporali. Il protagonista Michele Ardengo viene a sapere della tresca tra la propria madre e l’amante Leo e, in un gesto tragico e grottesco, arriva a sparare al profittatore con una pistola scarica. Il presupposto da cui si parte è che la borghesia sia ormai priva di valori e i giovani si adattano, disposti ai compromessi poiché indifferenti a tutto. Dopo aver sposato la scrittrice Elsa Morante, Moravia pubblica Agostino, la storia di un adolescente della buona borghesia che durante una vacanza in Versilia, viene iniziato dai ragazzi popolani alla vita concreta e al sesso. Di qui in poi l’autore inizierà a proporre sempre più testi legati alla storia italiana del dopo guerra (La romana; La ciociara; Racconti romani). La sua fama viene anche sancita dalle frequenti trasposizioni cinematografiche delle sue opere e proprio allora lo scrittore sente il bisogno di rinnovarsi, cercando di adattare alle nuove istanze del romanzo sperimentale i suoi temi costanti: analisi del vuoto esistenziale e morale della borghesia, nonché del rapporto tra denaro, sesso e società. Nasce così un altro testo: La noia, storia del contrastato rapporto tra Dino, pittore privo di ispirazione, e la modella Carla. Elio Vittorini Anch’egli iniziò l’attività letteraria durante il Ventennio. Dopo vari racconti, alla fine degli anni ‘30 pubblicò sulla rivista Letteratura il suo capolavoro Conversazione in Sicilia. Si tratta di un romanzo a sfondo simbolico- allegorico, nel quale il rientro in Sicilia del protagonista Silvestro diventa occasione per una riflessione sul proprio ruolo politico e sulla condizione dell’Italia intera e in specie delle zone più emarginate nel momento finale del regime. Vittorini sentì il bisogno di trovare nuove forme di impegno nel dopoguerra ricordando anche la battaglia della Resistenza e promuovendo la rivista Il Politecnico, progressista ma non rigidamente di sinistra. Cesare Pavese Pavese si formò a Torino, entrando in contatto con intellettuali ostili o poco affini al fascismo riuniti attorno a Einaudi. Il suo primo interesse riguardò la letteratura angloamericana, che iniziò a tradurre dopo la laurea (Moby Dick, ad esempio). Nelle sue prime prove, in particolare nelle poesie di Lavorare stanca si colgono gli effetti della cultura americana. Intanto, Pavese si è subito due anni di confino per sospetto antifascismo: la sua salute è peggiorata e così anche il suo stato di depressione, divenuto sempre più frequente. Nel dopoguerra aderisce al PC e rafforza la collaborazione con la casa editrice Einaudi: i suoi interessi sono però più mitologici e antropologici. Il mito, infatti, in quanto fondo primitivo e inconscio da riscoprire dietro la razionalità moderna, è tema costante nelle sue opere. Tra il ‘45 e il ‘50 Pavese svolge un’intensa attività come scrittore e saggista, e il suo primo romanzo importante, Paesi tuoi, presenta un’ambientazione di tipo realista che lascia qui spazio ad aspetti simbolici e antropologici come il rapporto tra violenza e amore. Tuttavia, le sue opere più fortunate furono quelle che riguardavano la storia contemporanea, come nel caso de Il compagno, dove l’intellettuale Corrado, rifugiatosi in collina durante la guerra, si interroga sul rapporto con Cate e con suo figlio, che potrebbe essere il frutto di una loro relazione persino di fronte alla crudeltà della guerra Corrado non riesce a prendere una posizione. Tra neorealismo e memorialismo Il quadro della narrativa degli anni quaranta e cinquanta risulta caratterizzato da vari modi di intendere il nuovo realismo che viene definito generalmente come neorealismo, sebbene siano pochi gli scrittori inseribili entro strette categorie. Fra quelli che hanno rappresentato il filone ideologicamente impegnato nella narrativa neorealista citiamo Vasco Pratolini che parte dalla sua esperienza diretta delle condizioni del popolo e pubblica a questo proposito romanzi legati alla vita dei quartieri poveri di Firenze. Schematizzando le opposizioni fra eroi positivi, vicini agli ideali comunisti, e borghesi negativi, progetta una trilogia dal titolo Una storia italiana, incentrata sulle lotte politiche e sociali fra Otto e Novecento. Il primo romanzo, Metello, fu al centro di un’aspra polemica tra sostenitori e detrattori. Carlo Cassola è un altro autore di successo che narra vicende scottanti come le violenze della guerra e del dopo guerra, in particolare nel suo romanzo La ragazza di Bube. Ancora più vicino a un’idea di letteratura come ricordo è Giorgio Bassani la cui condizione di ebreo, duramente colpito dal fascismo, trapela in molte opere. Alla condizione ebraica fa così riferimento anche Natalia Ginzburg anch’essa inserita nell’ambiente einaudiano. Lessico famigliare fornisce un quadro delicato del periodo del regime fascista, facendo ricordo a forme idiolettiche, ossia tipiche della famiglia origine, e a ricordi efficacemente trattati. Carlo Levi Cristo si è fermato a Eboli è l’opera più fortunata dell’autore Carlo Levi e con questa si entra nel campo del memorialismo, per intendere opere di carattere memoriale, storico e autobiografico. Si tratta di un resoconto scarno e incisivo dell’esperienza di confinamento in Lucania, per ordine del governo fascista, volto a dimostrare l’arretratezza di tutto il Sud d’Italia. Nel dopoguerra Levi si è impegnato anche politicamente per risolvere i problemi del meridione. Molti altri testi memorialistici andrebbero in relazione alle varie esperienza belliche. In modo particolare Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, rievocazione della terribile tragedia dell’armata italiana in Russia; Rigoni ha poi continuato la sua attività di scrittore. Primo Levi Il torinese di origine ebraico Primo Levi viene catturato durante la guerra di Resistenza e deportato ad Auschwitz dove rimane fino al gennaio del ‘45. L’esperienza del lager risulta cruciale per tutto il resto della sua vita e più volte cerca di tornare sull’evento nel tentativo di comprenderlo nel suo insieme, invece che limitarsi a ricordarlo. La sua opera più famosa è sicuramente il diario memoriale Se questo è un uomo, in cui la cultura classica e la formazione scientifica di Levi si colgono nell’organizzazione di questo testo. L’animo razionalista di questo scrittore lo spinge a chiedersi come sia stato possibile arrivare agli estremi da lui provati. Vengono proposti impliciti ed espliciti confronti con l’Inferno dantesco. Tuttavia, il libro ha saputo conquistare un pubblico mondiale per la sua tragica essenzialità. Un tono assai più comico si trova nell’opera La tregua che si apre con la liberazione del lager da parte dell’Armata rossa e racconta le vicende dovute affrontare dall’autore prima di poter rientrare a casa. Il viaggio attraverso molti paesi dell’Est durante tutto il 1945 porta alla conoscenza di realtà impensabili e di personaggi da opera buffa ma, alla fine, anche a ritrovare i tedeschi connazionali degli aguzzini incapaci di chiedere perdono. La vocazione letteraria di Levi viene confermata da altri testi successivi, nei quali lo scrittore si misura con il racconto, il saggio, la poesia e poi con il romanzo. Si coglie spesso l’esperienza legata ai campi di concentramento, ma emerge nei nuovi testi l’esperienza di uno scrittore-scienziato, sensibile alla materialità caotica del reale. Lo sforzo narrativo maggiore è dato sicuramente dal romanzo Se non ora, quando? Basato sulle testimonianze della lotta degli ebrei contro il nazifascismo prima della fine della guerra, quest’opera mirerebbe a trattare in modo epico questa terribile prova del popolo giudeo con vari riferimenti alla Bibbia. Infine, la sua opera più efficace dell’ultima produzione leviana, risulta essere I sommersi e i salvati dove attraverso una raccolta di saggi, Levi ripensa all’intera realtà dei campi di concentramento, individuando aspetti sfuggiti a lui e agli altri singoli testimoni, come l’esistenza di una zona grigia dove agiscono i conniventi e gli oppressori. I sommersi sono coloro che non possono raccontare le testimonianze poiché vittime delle persecuzioni naziste. I salvati, dunque, hanno il compito di descrivere e continuare nello sforzo di comprendere, compito che può essere trasmesso a coloro che non hanno vissuto direttamente l’esperienza del lager, ma si impegnano affinché questa non si ripeti. Beppe Fenoglio Sempre appartenente alla narrativa legata alla guerra, troviamo l’opera di Fenoglio. Egli è colto alla sprovvista dall’armistizio dell’8 settembre del 1943 mentre è a Roma come allievo ufficiale e, una volta rientrato nelle Langhe, si unisce alle formazioni partigiane come quelle di sinistra e successivamente con quelle badogliane. Dopo momenti drammatici, lo scrittore partecipa alla vittoria degli antifascisti nel ‘45 e subito dopo pensa di scrivere un diario romanzato di alcune sue vicende che racchiude in Appunti partigiani, testo ricco di verve narrativa, eroicomica e segnato dal tono gioioso del sopravvissuto. Negli anni successivi iniziano ad arrivare le difficoltà più forti: la vocazione letteraria non gli offre un lavoro per cui è costretto a impiegarsi in una ditta enologica, e negli anni ‘50 ancora non riesce a pubblicare molti lavori. Vari testi riguardano la vita delle Langhe: le storie proposte, accese e drammatiche, trovano un efficace stilizzazione a metà tra il testo scritto e il racconto popolare. Troviamo poi Primavera di bellezza, in cui il protagonista Johnny, dopo la formazione militare a Roma, fugge dopo l’Armistizio dell’8 settembre e si unisce ai ribelli sulle colline sopra Alba, ma viene ucciso quasi subito in combattimento. Nonostante le numerose fasi rielaborative, il romanzo non riuscì mai ad assumere una fisionomia convincente. Il partigiano Johnny, invece, venne rivelato con la pubblicazione di un testo ritrovato tra le sue carte. Questo ampio frammento espone la vicenda di Johnny tra i partigiani in modo più dettagliato rispetto alla Primavera e, soprattutto, con un linguaggio ricco di metafore, neologismi, costruzioni ardite, adatto a rendere epica la narrazione della Resistenza. Fenoglio qui rielabora gli stessi episodi in senso drammatico, cogliendo la costante presenza della morte, dietro le imprese dei partigiani. Johnny parte, quindi, con l’impulso di combattere i nazifascisti ma finisce per comprendere come la guerra non dia gloria, bensì la percezione della propria fragilità corporea e della fine imminente. Sebbene fedeli ai valori antifascisti, la vittoria finale non riscatta fino infondo chi è morto. Una questione privata racconta la figura di Milton, che rispetto a Johnny agisce in solitaria. Lo scrittore qua si concentra su una storia d’amore collocata sullo sfondo tragico della guerra. L’amore di Milton nei confronti di Fulvia diventa ossessivo e folle quando il giovane, all’inizio del romanzo, viene a sapere di un probabile legame tra la ragazza e il suo amico e compagno partigiano Giorgio. Milton vorrebbe chiarire la sua “questione privata” ma Fulvia è lontana e Giorgio è appena caduto nelle mani dei fascisti. L’intero romanzo propone i vari disperati tentativi di Milton di trovare un prigioniero da scambiare: i suoi spostamenti ci permettono di avere un immagine della guerra nella sua brutalità. Elsa Morante Pur muovendosi nell’ambiente romano come il marito Moravia e l’amico Pasolini, il percorso di Morante fu più appartato. La sua difficile infanzia condizionò molto delle sue produzioni come quelle che tendevano a una ricostruzione fiabesca dei rapporti familiari: molte opere giovani sono infatti racconti per bambini o fantastici. Nel 1943 si concentrò sul primo grande romanzo Menzogna e sortilegio, uscito nel ‘48. La storia viene narrata da Elisa che rievoca luoghi e tempi lontani ma non precisati: sua madre Anna ama il cugino Edoardo, spietato e menzognero. Le passioni e le falsificazioni vengono portate sino al all’esasperazione e, alla fine, dopo la morte di tutti i protagonisti, Elisa si ritrova con il gatto a cercare di capire quanto è accaduto. La narratrice si accorge di come i fatti non siano come appaiono, che gli inganni sono necessari alla vita stessa dei diversi personaggi, visione realistica e deformazioni favolose o oniriche si intersecano nel racconto. L’isola di Arturo è un romanzo che esce nel 1957 e la cui vicenda prende forma a ridosso della seconda guerra mondiale. Il protagonista Arturo racconta in veste di giovane-adulto le sue storie infantili e adolescenziali. Arturo vive con la cagnetta ed è orfano di madre dalla nascita e poco seguito dal padre: lontano dalla realtà storica, si crea un mondo mitico, del quale egli stesso si considera il piccolo re, nato sotto la stella di Arturo e del sovrano Artù. In questo contesto magico-fiabesco, subentra la figura della nuova sposa del padre, un’adolescente, la quale dopo poco diventa una madre sostitutiva e poi amante sognata di Arturo. Quest’ultimo, consapevole della meschineria del padre e della falsità delle magie infantili, viene introdotto sessualmente ad una vedova e parte poi dalla sua isola. La forza del romanzo è data anche dalla capacità di costruire un racconto di formazioni e quasi d’avventura ma che nasconde componenti psicanalitiche significative. La storia → altro romanzo la cui gestazione fu molto lunga. Dagli anni Sessanta la scrittrice si era interessata sempre di più ai problemi socioeconomici del proprio tempo per far emergere una riflessione circa i destini dell’intera umanità. Con questo romanzo, Morante affronta le storture che travolgono i singoli, e in particolare i deboli, nella grande macchina degli avvenimenti mondiali. Protagonista è una maestra che difende il suo piccolo Useppe, concepito da un ignoto soldato tedesco. Dopo diversi accadimenti, ora comici, ora tragici, il figlioletto muore: la donna viene rinchiusa in manicomio poiché impazzita. L’attenzione al popolo e ai deboli ad oggi può essere letto come una critica nei confronti dell’indifferenza della storia e sulla crudeltà. La narrativa meridionale Numerosi sono gli altri filoni da seguire nel periodo più fecondo per la narrativa italiana. Segnaliamo i numerosi intrecci fra letteratura e giornalismo, rappresentati da Mario Soldati. Viene apprezzato anche il filone satirico-umoristico nel quale si distinguono due scrittori molto impegnati anche come sceneggiatori cinematografici: Cesare Zavattini e Ennio Flaiano. Vitaliano Brancati Accenno particolare alla narrativa meridionale che vive una stagione piena specie a Napoli e in Sicilia. Brancati è sicuramente tra gli autori da citare, autore vicino al fascismo e scrittore di idee conservatrici satirico. Tra le sue opere ricordiamo Don Giovanni in Sicilia ,dove viene derisa le figure e i comportamenti dei mariti siciliani. Giuseppe Tomasi di Lampedusa Gattopardo è un romanzo storico del principe Giuseppe Tomasi di Lampedusa, uscito postumo. Ne è protagonista il principe Fabrizio di Salina che attraversa il periodo traumatico della spedizione garibaldina e della fine del Regno delle Due Sicilie. Ai nuovi governanti del Regno d’Italia che lo vorrebbero in Senato, il principe oppone le sue considerazioni sull’impossibilità di cambiare la storia siciliana fatta di millenni di dominazione straniera: ogni modifica politico- sociale non potrebbe mutare la sostanza delle cose. L’opera ottenne un grande successo, nonostante le critiche da parte della sinistra, anche grazie alla trasposizione cinematografica di Visconti. Teatro e cinema Nella metà del Novecento mentre si affermano autori come De Filippo, prende forma un filone incentrato sull’analisi psicologica e interiore con sfumature esistenzialiste: è il caso di Ugo Betti e Diego Fabbri, quest’ultimo con tracce inquietamente religiose dove riesamina le ragioni della fede cattolica. Innovativi risultati vengono anche da nuove messinscene di drammi classici come quelli prodotti dal giovane Giorgio Strehler. Abbiamo già parlato dell’importanza che il cinema ricopre nel secondo dopoguerra e Cinecittà diventa un polo di attrazione di numerosi scrittori. I film più validi degli anni Cinquanta-Sessanta vengono da registi come Antonioni e Fellini. A quest’ultimo dobbiamo il film-simbolo di quegli anni: La dolce vita, che riesce a far comprendere l’evoluzione della società italiana dallo stato di distruzione postbellica agli inizi del boom economico, sottolineando la perdita dei valori tradizionali. Si collocano nello stesso contesto i film della cosiddetta “commedia all’italiana” capaci di proporre figure-tipo. PIER PAOLO PASOLINI Pasolini nasce a Bologna nel 1922 e sin dall’adolescenza si mostra interessato alla poesia e specialmente nel contesto contadino sviluppa un forte sentimento del sacro. La sua formazione culturale avviene principalmente a Bologna dove studia Lettere, ma si appassiona anche di arte e di cinema. Pasolini compone nel 1942 la prima raccolta poetica in dialetto friulano e subito dopo si laurea con una tesi su Pascoli. Durante la guerra non combatte nella Resistenza, mentre il fratello Guido viene ucciso dai partigiani di Tito. Negli anni successivi inizia a farsi notare da diversi critici e si iscrive al Partito comunista, diventa insegnante di materie letterarie in Friuli; tuttavia, un’accusa di abusi su minori lo costringe a emigrare a Roma con la madre negli anni ‘50. è qua che inizia un’attività artistica più intensa. Negli anni Sessanta, la posizione di Pasolini si fa più difficile e scomoda poiché attaccato sia dagli apparati di partito (conservatori o di sinistra), sia da intellettuali neoavanguardisti. Ciononostante egli mantiene un ruolo centrale nell’ambito culturale italiano, anche grazie all’amicizia con Moravia e Morante. Nel 1968 si accentua la sua propensione alle interpretazioni controcorrente degli eventi storici e politici, come quando si schiera a favore dei poliziotti contro i giovani ribelli, figli della buona borghesia. È qua che inizia a sfidare ogni forma di potere in difesa di sue convinzioni: i diritti degli omosessuali, la lotta contro le industrie o in generale contro la distruzione dei valori autentici della civiltà contadina. Nel frattempo continua la produzione di opere cinematografiche che gli garantiscono il successo anche a livello internazionale, è il caso di Salò e le 120 giornate di Sodoma. Nel novembre del 1975 Pasolini viene ucciso in circostanze mai veramente chiarite. La poesia La sua prima vocazione è quella poetica e la sua raccolta di esordio, Poesie e Casarsa, manifesta una notevole propensione verso temi affini a quelli del simbolismo o del surrealismo: fanciulli destinati alla morte, o il Narciso del mito che rappresentano una visione del mondo inquieta. Troviamo poi Le ceneri di Gramsci, poemetti in terzine in cui enfatizza alcune sue convinzioni, ormai consolidate, si veda il mito del popolo come portatore di un sano vitalismo, la contrapposizione ideologica nei confronti della borghesia mediocre. Molti alti saranno gli scritti poetici di Pasolini, così come lo furono le stesse revisioni d’autore: è il caso di La nuova gioventù che ripropone e riscrive La meglio gioventù, con l’intento di sottolineare lo snaturamento del contesto socioculturale italiano, a causa del capitalismo. Pasolini narratore (e regista) Nel tentativo di superare i vincoli del neorealismo, egli tenta una sperimentazione anche in ambito narrativo. Pasolini nel dopoguerra aveva aderito alle idee comuniste, privilegiando, tuttavia, scelte più a favore del popolo che non del partito. Il sogno di una cosa è dedicato, ad esempio, alle lotte contadine in Friuli. Sui popolani delle borgate, si concentra lo sguardo dell’autore quando scrive Ragazzi di vita, un romanzo che propone episodi cronologicamente separati, tenuti assieme soprattutto dalla presenza di alcuni personaggi, fra cui il principale è Riccetto. Le imprese dei ragazzi sono seguite in maniera almeno apparentemente oggettiva; gran parte della forza narrativa risiede nei dialoghi secchi, scritti in un romanesco vivace e gergale, mentre le descrizioni sono talvolta segnate da un forte lirismo. Pasolini, così, vuole mettere in pratica le sue idee sul plurilinguismo. L’opera appare come un romanzo picaresco, spesso drammatico e violento ed è in genere populista perché i giovani pasoliniani possono violare la legge ma rimangono pur sempre migliori d’animo rispetto ai borghesi capitalisti. Il suo primo romanzo suscita scandalo e subisce un processo di oscenità. Successivamente, Pasolini continua la sua scomoda attività pubblicando Una vita violenta: la figura di Tommasino Puzzilli, prima teppista e poi militante comunista che si sacrifica in modo quasi eroico, appare tuttavia troppo stereotipato e ideologizzato. Di fatto Pasolini si rende conto che la scrittura non è sufficiente per esprimere le sue potenzialità narrative, motivo per cui sceglie di passare alla regia cinematografica. Regia: Accattone è il primo film di Pasolini e deriva da un racconto ispirato al mondo delle borgate dove riesce a stilizzare assai meglio le idee populiste grazie all’utilizzo di specifiche inquadrature (tipo primi piani) oltre che a immagini colte attraverso inquadrature su pitture rinascimentali. Salò o le 120 giornate di Sodoma, ambientato nel periodo finale del fascismo si presenta come un’allegoria sui rapporti tra potere, erotismo e violenza. Nello stesso periodo, fino alla morte, Pasolini lavorò al suo capolavoro letterario Petrolio, pubblicato postumo e incompiuto. In questo testo canovaccio vengono trattati senza censure i grandi temi cari a Pasolini: la natura del potere politico in Italia, l’invadenza del capitalismo, distruttore delle radici contadine, nonché della bontà del popolo; e, ancora, le repressioni degli impulsi erotici, le pulsioni di morte etc. In quest’opera vengono espresse alcune propensioni di fondo di Pasolini: la ricerca del sacro in persone, situazioni e atti che ne sembrano estranei, la creazione letteraria come espressione corporea e vita. I saggi Pasolini interviene in molti modi nel dibattito politico e culturale italiano. Sappiamo essere promotore di riviste come Officina a Bologna, oltre che essere polemista su altri periodici. Pasolini si mostra pronto a cogliere le modifiche sostanziali della nostra società, è attento all’evoluzione linguistica e difensore dei dialetti, oltre che sensibile al mutamento antropologico dato dall’industrializzazione e dal successivo arrivo dei mass media. Nella sua produzione di saggi possiamo intravedere una vena pedagogica anche se, talvolta, gli insegnamenti sono soprattutto l’espressione di una costante volontà di un intervento su una realtà amata e allo stesso tempo odiata per la sua imperfezione e per il peso esercitato dai poteri repressivi. ITALO CALVINO Nasce a Cuba nel 1923 da una famiglia di scienziati. La sua formazione è laica e tecnica (studierà agraria a Torino) e la sua militanza nella sinistra è precoce: combatte durante la Resistenza in una brigata partigiana comunista. Da quell’esperienza provengono i primi testi pubblicati. A partire dal 1946 inizia anche la sua attività da giornalista e saggista, nonché interprete dei rapidi mutamenti nella società italiana. Calvino alterna testi a sfondo fiabesco, con chiari riferimenti alla realtà contemporanea. Tuttavia, dopo un periodo di crisi con il Partito comunista e dopo una fase di ripensamento della propria poetica, lo scrittore sceglie una strada nuova per la sua scrittura che porterà alla produzione del meta- romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore che gli conferisce celebrità a livello internazionale. Produzione narrativa Il sentiero dei nidi di ragno mostra alcuni tratti peculiari dell’autore; infatti, la materia storica viene volutamente filtrata attraverso una struttura di tipo fiabesco, in cui il protagonista non è un partigiano adulto, bensì il piccolo Pin: ciò produce un effetto di straniamento, quasi come se la guerra fosse una sorte di terribile gioco. Calvino risulta incapace di narrare una storia alla maniera dei realisti ottocenteschi o dei neorealisti coevi. La sua fisionomia si delinea pienamente nel 1952 quando esce il primo della trilogia I nostri antenati, ossia Il visconte dimezzato, seguito poi da Il barone rampante e Il cavaliere inesistente. In questi testi il punto di riferimento è il conte philosophique degli illuministi francesi, come Voltaire o Diderot. Le vicende singolari, sino al limite dell’ironia e della parodia, valgono soprattutto per il loro significato allegorico e riguardano la natura umana e il senso della storia. Indirettamente Calvino affronta i problemi dell’intellettuale e della scrittura, come quando nel secondo della trilogia introduce il personaggio del giovane barone Cosimo Piovasco di Rondò, che preferisce vivere tra gli alberi invece che sulla terra e osserva da quel luogo i grandi eventi storici. È in questi anni che Calvino decide di lasciare l’impegno con il Partito comunista, deluso dalla politica repressiva dell’URSS. Alla fine degli anni ‘50 lo scritture oscilla tra tentativi di avvicinamento alla cronaca e l’interesse per il fantastico, il romanzesco e il fiabesco. E di quest’ultima fase sicuramente un’opera particolarmente importante è La giornata di uno scrutatore, dove viene riflessa un’esperienza autobiografica: la visione diretta dei portatori di handicap durante l’attività di scrutatore presso il seggio elettorale. Per un razionalista come Calvino, affascinato e preoccupato dai lati oscuri della biologia e della psiche, l’incontro a tu per tu con soggetti privi molte funzioni intellettive costituì un forte stimolo all’analisi di ciò che è bene nell’azione politica, e si chiede se sia giusto che questi uomini possano votare o essere aiutati a votare e si chiede anche cosa sia l’umano e fino a che punto arrivi. Produzione narrativa semiotico-postmoderna Dal 1964 Calvino si dedica sempre più alla riflessione sulle modalità scientifiche e letterarie di interpretazione della realtà. Il suo sguardo si rivolge a Parigi dove si discute delle nuove posizioni strutturaliste e semiologiche (riflessione teorico sul linguaggio e sul significato di tutti i segni, sia naturali che culturali). Calvino inizia ad orientarsi verso la metaletteratura, ossia verso la riflessione sulle modalità di scrittura e di interpretazione del mondo; questa propensione continua per Calvino a veicolare un tentativo di rappresentare il reale, ormai sempre più complesso e stratificato, sebbene ancora conoscibile. Il primo testo che si inserisce nella nuova poetica calviniana è la raccolta Le cosmicomiche nella quale troviamo uno stile complicato dall’uso di un lessico para-scientifico con riferimenti a scrittori fantastico- paradossali, come l’argentino Borges. Ma troviamo anche riferimenti a opere popolari, come appunto i fumetti o le comiche cinematografiche, per proporre altri tipi di ipotesi di interpretazione del cosmo. Nella raccolta successiva Ti con zero compaiono racconti basati su particolari procedimenti, che porteranno poi a scritture legate a determinati vincoli e tassonomie. Gli esiti più evidenti di questa fase si colgono in alcuni scritti a partire dal ‘68 riuniti poi col titolo Il castello dei destini incrociati e basati sulle figure dei tarocchi, con storie intrecciate secondo simmetrie perfette. Un esito più complesso di questa fase si coglie nelle Città invisibili dove si immagina un racconto composto dalla descrizione di città fantastiche fatta da Marco Polo e Kublai Kan durante i loro dialoghi. Il razionalista Kublai tende a ridurre a modelli sempre più astratti tutto il reale raccontato dal veneziano, salvo poi accorgersi che come esito si arriva sempre al nulla. Viceversa, Polo sa bene che le sue città possono non esistere (essere desideri o ricordi) ma è comunque capace di trovare sempre nuovi stimoli per interpretare il reale e superare il nulla di Kublai. E se reale e fantastico possono spostare i confini e nel finale, dunque, le città utopiche si mescolano con quelle reali, l’unico atteggiamento eticamente sostenibile pare quello di non cedere al negativo, proseguendo la ricerca fondamentale (e forse infinita) di una possibile verità-felicità. Le ultime opere narrative di Calvino portano alle estreme conseguenze alcune premesse di questa fase: Se una notte d’inverno un viaggiatore e i racconti brevi di Palomar. Produzione critica e di saggi Alcuni saggi degli anni Cinquanta e Sessanta esaminano questioni fondamentali della narrativa coeva come il rapporto letteratura/storia o sulla necessità di riuscire a demistificare letterariamente la visione del mondo piatta proposta dai modelli capitalistici. Talvolta Calvino interpreta le tendenze in atto nella letteratura italiana e internazionale basandosi anche sulle sue scelte come responsabile dell’Einaudi. Postume sono uscite Lezioni americane preparate per un ciclo di conferenze ad Harvard ma non ultimate dall’autore. Nelle cinque a noi pervenute vengono affrontate delle sfide cui la letteratura deve rispondere (leggerezza, l’esattezza etc..) 4. Le varie forme dei nuovi sperimentalismi Con gli inizi degli anni Sessanta assistiamo a profonde modifiche del rapporto tra cultura alta e cultura popolare sempre più al centro dell’attenzione dei mass media e del sistema commerciale. Esemplare è il caso della musica: quella sperimentale e volta viene confinata in settori molto ridotti, mentre quella leggera diventa indispensabile per il pubblico di ogni età, specie per quello giovanile (nascono nuovi idoli come Presley, i Beatles e i Rolling Stones). Conseguenza di questo tipo riguarda pure la poesia con la stagione dei cantautori che si affermano in Francia, negli USA e in Italia come nel caso di Bob Dylan. Di fronte alla diffusione della cultura di massa sostenuta dal sistema capitalistico vi è anche la nascita di una nuova fase sperimentale che sotto l’etichetta generica di pop art; in quest’ottica è sintomatica l’opera di Andy Warhol. Sin dagli anni Trenta, inoltre, è stato rilevato, soprattutto da parte di Walter Benjamin, che la riproducibilità perfetta contrasta con l’unicità dell’evento artistico e che la dimensione umana degli artisti risulta schiacciata e appiattita, poiché ormai ridotti ad un’icona (una superficie senza profondità). Da molti questa nuova condizione è stata definita postmoderna. La poesia Agli inizi degli anni sessanta esplode il fenomeno della neoavaguardia, una tendenza sperimentale dove il ribaltamento doveva essere prima di tutto linguistica, basata sul rifiuto delle forme e degli stili tradizionali in corrispondenza a un rifiuto ideologico della cultura borghese. Dietro parte dei neoavanguardisti riunitisi a Palermo nel ‘63 sotto il nome Gruppo 63, stavano premesse simili come l’adesione al marxismo, attenzione alla psicanalisi, nonché all’antropologia e all’etnologia, l’attenzione al linguaggio. Edoardo Sanguineti Sicuramente si tratta del più acuto teorico della neoavanguardia, interprete originale e provocatorio di classici come Dante e della letteratura italiana del Novecento. I presupposti marxisti e psicanalitici si colgono già nella sua prima e forse maggiore opera poetica Laborintus dove la storia di una depressione viene tradotta in lunghe strofe composte da versi informe, privi di ritmicità e il testo appare, invece, come un’aggregazione di lingue diverse e di citazioni e allusioni straniate. I modelli tradizionali e moderni vengono quasi fusi in un unico composto in cui lo stravolgimento linguistico può essere utile per tornare a far vedere la realtà autentica, appiattita dal linguaggio capitalistico che ha azzerato tutti gli altri. Altri sperimentalismi Elio Pagliarani → La ragazza Carla mette in versi la storia di un’impiegata; la sua poetica è fortemente improntata dall’ideologia marxista sino agli anni Settanta, poi aperta a varie suggestioni filosofiche e scientifiche. Non punta sicuramente alla dissoluzione linguistica, infatti, in altre sue opere vediamo fondere stili diversi ma senza perdere una forte comunicabilità. Amelia Rosselli → sempre ai margini del Gruppo 63 si colloca questa autrice che usa le varie lingue familiari come strumento di espressione poetica che parte da ambito oggi identificabile con l’inconscio in quanto sede di traumi profondi, ma anche come capacità cognitiva di leggere la realtà in modi fuori dagli schemi. Il linguaggio qua viene stravolto ma non per motivi ideologici, bensì per veicolare una visione scomposta e disgregata di eventi e persone (quasi come un quadro cubista). Nei suoi testi riscontriamo una ritmicità ripetitiva. In Tutto il mondo è vedovo emergono verità psicologiche molto personali. Vittorio sereni Si forma a Milano seguendo corsi di letteratura e filosofia e frequentando giovani scrittori. Inizia ben presto a comporre testi d’impronta ermetica. Parte come sotto ufficiale durante la seconda guerra mondiale e viene successivamente fatto prigioniero in vari campi di lavoro nell’Africa settentrionale, da quest’esperienza nasce la raccolta Diari d’Algeria dove gli elementi autobiografici si fondono con il tentativo di interpretare l’intero dramma del conflitto, sotto forma di poesia. Sereni era inoltre in grado entrare in dialogo con personalità molto diverse, ma mantenendo una fisionomia autonoma. Esito più alto della sua lirica è Gli strumenti umani; cerca di coniugare aspetti autobiografici e lettura del presente attraverso un dettato appena sopra la prosa molto variato da un punto di vista tematico; inoltre è calibrato dal punto di vista linguistico. I protagonisti sono vicende e oggetti della quotidianità che si caricano di ulteriori significati. Andrea Zanzotto Si forma a Padova dove legge poeti romantici tedeschi, francesi e italiani. Dopo vari periodi di depressione fa pubblicare una serie di liriche dove si sente l’aspirazione a un linguaggio che mira a trovare dietro la realtà significati profondi. La Beltà è il capolavoro dell’autore dove decide di immergersi nel linguaggio inteso come generatore di infiniti sensi, ma di per sé priva di significato. È interessato ai suoni, liberamente connessi a creare nuove interazioni e nuovi sensi. La narrativa, il teatro e il cinema La narrativa tradizionale entra in crisi con l’anno di esplosione delle sperimentazioni neoavanguardiste: il 1963. Soprattutto negli anni Settanta, la narrativa viene considerata meno adatta a interpretare il presente rispetto alla saggistica o a varie forme di poesia popolare. Significativo è il nuovo spazio riservato alla scrittura delle donne, sulla spinta del femminismo. Alberto Arbasino Si mostra interessato allo svecchiamento della narrativa e della cultura italiana, colto indagatore delle opere d’avanguardia così come degli aspetti più bassi della letteratura di massa. Rappresenta la via più interessante del romanzo sperimentale, grazie al suo Fratelli d’Italia, incentrato su alcuni giovani artisti che seguono le più importanti attività culturali in Italia e all’estero e che entrano in contatto con realtà molto diverse tra loro, dalla piccola borghesia ai migliori salotto mondani. Questo romanzo si distingueva nella sua prima versione per l’assenza di una trama ben fatta, per l’inserimento di brani saggistici e di riflessioni sul destino dell’arte nell’epoca di massa. Nelle versioni successive, il campionario si amplia e le modifiche stilistiche sono numerose: resta però la mescolanza di toni,stili, episodi diversi, tenuti assieme alla posizione ironica, snob dell’autore implicito. La trama è semplice, segue le avventure dei giovani artisti in giro per l’Italia e l’Europa in un’estate del ‘60, anche con l’intento di realizzare un affresco della società italiana del secondo Novecento. Giorgio Manganelli I temi da lui affrontati sono soprattutto quelli legati all’indagine sulla morte e sugli aspetto reconditi della natura umana, indagati con gusto grottesco e uno stile sempre raffinato. Come dimostra il suo pseudo-trattato Hilarotragoedia e il saggio La letteratura come menzogna, Manganelli mira a esplorare gli aspetti fittizi e fantastici della scrittura. Numerosi sono gli scritti che elaborano un linguaggio più comico; insieme a Manganelli possiamo citare il pittore milanese Emilio Tadini o Gianni Celati, quest’ultimo ha mirato a una scrittura comico-grottesca proponendo personaggi surreali contro il conformismo e il perbenismo. Varie forme di espressionismo narrativo Un gruppo di autori propone elaborazioni stilistiche che si possono definire di tipo espressionistico. Al contrario del Gruppo 63 che mirava a uno stravolgimenti delle strutture linguistiche, gli espressionisti puntano a una mescolanza di linguaggi per ottenere un distacco dalle forme più standardizzate dell’italiano; anche la valenza ideologica è in genere meno vistosa. Antonio Pizzuto → privilegia più gli aspetti di costruzione straniata del racconto e della narrazione. Luciano Bianciardi → più aggressivo nell’uso dei gerghi, si mostra polemico contro la societù italiana e in particolare verso le burocrazie Luigi Meneghello → la cui attenzione linguistica è più attenta; nell’opera Libera nos a Malo è presente una rievocazione dell’infanzia e dell’adolescenza nel microcosmo del paesino che si concretizza di forme dialettali ormai sconosciute. Egli tuttavia non gioca sul rimpianto del passato, bensì ironicamente sulla nostalgia. Vincenzo Consolo → adotta un linguaggio di stile elevato per trattare in genere argomento storici in modo all’apparenza tradizionale. Leonardo Sciascia Egli parte da una formazione e un ideale narrativo illuminista e nei suoi romanzi rilegge la storia passata e recente con polemica e satira. Pubblica il giallo Il giorno della civetta con protagonista il capitano Bellodi, impegnato a contrastare la mafia. I suoi sforzi, che lo portano a capire le infinite ramificazioni e implicazioni del fenomeno mafioso in Sicilia, sono resi vani dalle trame politiche: ma ancora alla fine del romanzo viene ribadita la volontà di combattere. Nelle opere successive Sciascia esamina le ascendenze storiche e i vari legami del sistema dei rapporti sociali siciliani, allargando poi lo sguardo all’intera politica italiana. Nella sua ultima fase, l’autore privilegia la ricostruzione di precisi eventi politici, senza dimenticare la matrice illuminista. Paolo Volponi Il suo primo romanzo Memoriale mette a nudo i meccanismi dell’alienazione nelle fabbriche attraverso la storia dell’operaio Albino Saluggia, che da realistica diventa poi assurda e paranoica: è il sistema che produce tali conseguenze e tutto l’opera di questo autore si può leggere proprio come un tentativo di riformare le storture dei sistemi sociali imposti dal capitalismo. Negli anni successivi, Volponi punta sempre più verso l’allegoria e il racconto satirico, impiegando anche storie di animali per rappresentare la situazione politica del tempo come nel caso de Il pianeta irritabile. Goffredo Parise e altri outsider In contemporanea con gli autori fino ad ora citati, ne furono attivi molti altri di grande successo che però risultano più difficilmente collocabili e si utilizza, pertanto, la categoria di outsider. Parise è celebre per i suoi romanzi ma anche per i reportages da paesi allora esotici in veste di inviato del Corriere della sera. Dopo alcuni successi, raggiunge forti risultati con le due serie di Sillabari composte da racconti breve dedicate a singole voci, come amore e solitudine. Tratta di una via particolare nella narrativa italiana, giocata sul piano della grazie, delle allusioni e delle risonanze create da un dettato apparentemente nitido e semplice. Sono testi narrativi a forte valenza sapienziale, quasi ad aforismi i protagonisti di queste microstorie intuiscono una verità profonda, attraverso eventi improvvisi o epifanie. Altri outsider: Ottiero Ottieri → interessato alla psicanalisi e a lungo in cura, si occupò del grande fenomeno dell’alienazione, soprattutto in rapporto alla condizione degli operai nelle fabbriche. Giuseppe Berto → romanzo psicanalitico Il male oscuro che rimane in ai margini anche per la sua militanza politica sotto il fascismo. Nuove narratrici La nuova fase dell’editoria inizia a dare spazio a numerose voci femminili. Si tratta di casi diversi tra di loro ma accomunati dalla volontà di far emergere alcune delle tante forme di costrizione e discriminazione, se non di violenza, subita dalle donne. Dacia Maraini → Memorie di una ladra. Oriana Fallaci → versante prima giornalistico e poi narrativo. Goliarda Sapienza → attrice per un lungo periodo emarginata e addirittura imprigionata; romanzo di successo L’arte della gioia Il teatro , il cinema e l’affermarsi delle televisione Carmelo Bene → trasgressivo e volutamente eccessivo nei suoi drammi Dario Fo → più ideologico-politico; in quasi tutti i suoi testi rivendica la liberazione degli istinti, l’adesione alla vitalità del popolo, l’opposizione alle forme di repressione, specialmente quella poliziesca. La critica e il dibattito culturale 5. La letteratura nell’epoca della globalizzazione

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