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Università degli Studi di Torino

Prof. Barchi

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quantitative traits genetics plant genetics biology

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This document discusses the inheritance and heritability of quantitative traits in plants. It explores concepts like mean value and variance, highlighting their importance in understanding plant variation. The document presents data and calculations relevant to these concepts.

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LEZ. 9 31/10/2023 Prof. Barchi EREDITÀ ED EREDITABILITÀ DEI CARATTERI QUANTITATIVI Generalmente i caratteri più importanti rinvenibilii in una pianta non possono essere descritti come alternativi, antagonisti o nettamente contrastanti poiché le differenze risult...

LEZ. 9 31/10/2023 Prof. Barchi EREDITÀ ED EREDITABILITÀ DEI CARATTERI QUANTITATIVI Generalmente i caratteri più importanti rinvenibilii in una pianta non possono essere descritti come alternativi, antagonisti o nettamente contrastanti poiché le differenze risultano essere graduali lungo una scala continua di valori. Tale variazione è di natura quantitativa e i caratteri che mostrano questo tipo di variazione vengono perciò detti quantitativi o metrici. A differenza di quelli qualitativi (che sono controllati da uno o pochi geni, per questo gli individui possono essere raggruppati in classi distinte), questi caratteri variano secondo classi discrete ma possono essere misurati e quindi descritti mediante parametri numerici. I caratteri quantitativi non sono controllati da uno o due geni ma dipendono dall’azione di molti geni, per questo motivo sono anche detti poligenici, e sono soggetti ad una notevole influenza operata dall’ambiente. Le posizioni occupate da questi geni sui cromosomi corrispondono ai loci per i caratteri quantitativi (QTL, Quantitative Trait Loci). In generale, i dati che si ottengono in esperimenti sui caratteri quantitativi consistono di un certo numero di entità numeriche ottenute attraverso misurazioni. - Caraneri anatomici: statura, peso, grado di pigmentazione - Caraneri fisiologici: livello di auvità metabolica, velocità, produzione di lane, di uova - Caraneri comportamentali: rituali di accoppiamento, richiami di corteggiamento, apprendimento - Malaue complesse: diabete, ipertensione, obesità, malaue cardiovascolari 1 VALORE MEDIO Uno dei concetti più importanti in probabilità statistica è quello del valore medio di una variabile casuale. Nel caso di una variabile casuale discreta X in cui i valori possibili sono x1, x2, x3 … xn il valore medio (µ) di X è definito, quando le probabilità sono tutte uguali, da: µ = (x1, x2, x3)/xn Esiste anche la media ponderata, ovvero una variante della media aritmetica che si usa quando ciascun numero ha una determinata importanza che influisce sul calcolo: P = frequenza V = valore MP = ( 2 100 + 3 120 + 4 130 + 6 140 + 4 150 + 3 160 + 170 )/23 = 3170/23 = 137.8 La media gode di 2 proprietà: a. la ∑ degli scarj di ciascun dato dalla media è uguale a 0 ∑ (xi - µ) = 0 100 -137,8) + (100 – 137,8) + (120 -137,8)..................(170 -137,8) = 0 b. la ∑ dello scarto di ciascun dato dalla media, elevato al quadrato, è un minimo ∑ (xi - µ)2 = minimo (100 -137,8)2 + (100 – 137,8)2 + (120-137,8)2..................(170 -137,8)2 = MINIMO. Benché la media indichi il valore centrale del gruppo di osservazioni numeriche, questo dato da solo è insufficiente poiché non descrive il livello di variazione che caratterizza il gruppo di osservazioni costituenti il 58 campione. Il modo più corretto di procedere è di raccogliere le osservazioni in gruppi o intervalli di classe di ampiezza stabilita a priori in modo che sia possibile ottenere delle frequenze per ogni gruppo. 2 VARIANZA La distribuzione di frequenze di un gruppo di valori permette quindi di descrivere graficamente un carattere quantitativo, cosa che la conoscenza della sola media non consente. Una distribuzione è detta normale quando è possibile riscontrare un andamento simmetrico: la classe del valore centrale corrispondente alla media costituisce il punto più elevato della distribuzione che scende poi regolarmente in entrambe le direzioni. Il valore medio fornisce una descrizione incompleta del campione: per comprendere la sua composizione è necessaria una misura della variabilità all’interno del campione stesso. Per descrivere la forma di una curva di distribuzione e per poterla paragonare con altre curve di distribuzione è stato trovato un modo che consente di misurare quanto i valori all’interno di una distribuzione si scostino dalla media. Questo parametro è la varianza, una misura della dispersione dei valori della variabile casuale attorno alla media µ. Se i valori sono concentrati vicino alla media, la varianza è piccola, mentre la varianza è grande se i valori sono dispersi lontano dalla media. La varianza è al sommatoria dei quadrati degli scarti rispetto alla media, diviso per il numero di gradi di libertà (di norma n - 1) Var (X) = ∑ (x - µ)2 / n – 1 La Curva di Gauss è la migliore rappresentazione della distribuzione della variabilità genetica per un carattere quantitativo in una popolazione. 3 DEVIAZIONE STANDARD Solitamente, la varianza viene comunque espressa considerando la sua radice quadrata: s = √s2 equivalente alla deviazione standard. La deviazione standard è spesso preferita alla varianza, poiché la deviazione standard è espressa nella stessa unità di misura dei valori originali, mentre la varianza è espressa nelle unità di misura elevate al quadrato. In una popolazione teorica con frequenza distribuite in modo normale, gli individui con valori compresi tra µ - σ e µ + σ sono il 68.26%, quelli con valori compresi tra µ - 2σ e µ + 2σ sono il 95.45%, mentre quelli con valori compresi tra µ - 3 σ e µ + 3 σ sono il 99.73%. A parità di valore medio del carattere misurato, la variabilità presente nella popolazione condiziona e determina la forma della curva di distribuzione: quando la maggior parte delle osservazioni sono raggruppate intorno ala media la variabilità del carattere è modesta e quindi la deviazione standard è piccola, viceversa quando le osservazioni si scostano molto dalla media la variabilità del carattere è notevole e conseguentemente al deviazione standard è grande. 4 COEFFICIENTE DI VARIABILITÀ La deviazione standard permette di valutare quanto 2 o più popolazioni, aventi medie simili, sono variabili. Per comparare la quota di variabilità tra 2 popolazioni con medie molto diverse: Es. 1) altezza 2 popolazioni frumento 1 a taglia bassa ed una a taglia alta 2) 2 caratteristiche diverse: altezza e diametro 59 Si usa il C.V. = coefficiente di variabilità = σ / μ x 100 Esempio (à): popolazione erba medica Apparentemente sembra ci sia maggior variabilità per il carattere altezza CV (h) = 10,85/53,59 x 100 = 20,25 CV (peso) = 8.50/23,28 x 100 = 36.35 La distribuzione carattere peso ha maggior dispersione. GENETICA QUANTITATIVA La variabilità di un carattere quantitativo nelle linee inbred e nei loro ibridi dipende soltanto da fattori ambientali. La caratterizzazione di un carattere quantitativo usualmente richiede la determinazione della media e della sua deviazione standard, usando un campione di dimensione adeguata, (rappresentativo dell’intera popolazione). LINEA PURA: gruppo di piante geneticamente eguali e omozigoti a tutti i loci In piante autogame gli individui sono il risultato di innumerevoli generazioni di autofecondazione. Le popolazioni di piante autogame sono costituite da un insieme di linee pure Linee omozigoti ottenute per autofecondazione ripetuta di piante allogame (eterozigoti) sono dette linee inbred. Il numero linee pure presenti in una popolazione di piante autogame o di linee inbred ottenute per ripetute autofecondazioni è potenzialmente: 2n (n = numero di loci) Considerando 3 loci: 2n = 23 = 8 ESPERIMENTO DI NILSSON – EHLE (frumento) 1908 Nilsson-Ehle analizzando il colore della cariosside in frumento tenero, è stato il primo genetista a trovare un modello naturale in grado di spiegare l’eredità dei caratteri quantitativi. Consapevole che le variazioni ambientali erano in grado di modificare il fenotipo, egli intuì che l’unico modo efficace per risalire al genotipo era quello di compiere esperimenti di incrocio controllato al fine di valutare l’espressione del carattere in esame nelle piante delle popolazioni segreganti. 60 Quando piante di una linea pura a cariossidi colorate (rossastre) venivano incrociate con piante di un’altra linea pura a cariossidi non colorate (bianche), tutte le piante della generazione F1 presentavano cariossidi mediamente colorate. Questo risultato non permetteva di escludere un controllo monogenico con dominanza incompleta. Tuttavia, la generazione F2 prodotta da queste piante non mostrava la segregazione 1:2:1 attesa nel caso di monoibrido, evidenziando invece una ampia variabilità di colorazione: insieme a piante con cariossidi colorate, ma di intensità variabile (dal rosso molto chiaro al rosso molto scuro), erano presenti anche piante con cariossidi non colorate (bianche). Secondo Nilsson-Ehle, in frumento esistevano tre diverse coppie alleliche ad altrettanti loci responsabili della determinazione del colore della cariosside, cioè A'A/B'B/C'C con geni A', B' e C' per il rosso e geni A, B e C per il bianco. I geni in grado di contribuire alla manifestazione fenotipica del carattere vennero chiamati “plus” e quelli senza effetto alcuno sulla colorazione delle cariossidi vennero chiamati “minus”. Ciascuna di queste coppie alleliche segiiva i modelli di segregazione mendeliani, così che la discendenza F2 ottenuta da eterozigoti ad un solo locus (ad esempio, A'A) era composta da piante con cariossidi rosse (A'A' e A'A) e bianche (AA) nel rapporto 3:1. Quando invece erano interessati due loci (ad esempio A'A e B'B), la discendenza F2 mostrava piante con cariossidi rosse di intensità variabile (A'–B'– , A'–BB e AAB'–) e bianche (AABB) nel rapporto 15:1. Analogamente, la discendenza F2 ottenuta da eterozigoti ai tre loci (A'AB'BC 'C) presentava piante con cariossidi rosse, ma con intensità di colore ancora più variabile, e bianche (AABBCC) nel rapporto 63:1. Tali modelli di segregazione erano ottenuti quando non venivano considerate le diverse possibili tonalità comprese tra il rosso molto chiaro e il rosso molto scuro. In realtà, a differenza delle cariossidi bianche, non tutte le cariossidi rosse avevano la stessa gradazione di risultato suggeriva che i fenotipi rossi potevano essere dati da genotipi diversi ed, in particolare, che l’intensità del colore potesse essere determinata dal numero di geni plus, rappresentando così il risultato di un effetto cumulativo. Sulla base della sperimentazione condotta, Nilsson-Ehle formulò l’ipotesi che più coppie alleliche segreganti in maniera indipendente, ereditate in assenza di dominanza ed aventi azione uguale e additiva sul fenotipo potessero spiegare i risultati relativi al grado di espressione del carattere nella generazione F2. L’azione di ognuno degli alleli per il rosso è quella di aggiungere un certo grado di colorazione alle cariossidi, così che la gamma di fenotipi osservabili nelle varie discendenze segreganti risponde ai diversi genotipi possibili in F2 a seconda del numero di loci in condizione eterozigote nelle piante F1. 61 Considerando l’incrocio che coinvolgeva linee pure omozigoti per alleli diversi a due dei tre possibili loci per il colore delle cariossidi, ad esempio AABBCC A'A'B'B'CC, la composizione fenotipica della popolazione F2 doveva essere quella illustrata in figura, tenendo anche conto dell’assenza di segregazione al terzo locus coinvolto. Poiché l’allele C l’intensità del colore rosso è data dal numero di alleli A' e B' che nel genotipo delle diverse piante agiscono in maniera additiva. La linea pura con cariossidi colorate presenta ciascuno dei fattori A' e B' per il colore (geni “plus”) in doppia dose, mentre la linea pura con cariossidi bianche ha soltanto gli alleli A e B per il non colorato (geni “minus”). Le frequenze fenotipiche attese nella popolazione F2 in relazione al numero di alleli per il rosso sono quindi le seguenti: 1/16 (4 alleli plus), 4/16 (3 alleli plus), 6/16 (2 alleli plus), 4/16 (1 allele plus) e 1/16 (0 alleli plus). Tenendo conto dell’intensità del colore rosso, la segregazione avviene quindi secondo un rapporto 1:4:6:4:1. Le frequenze fenotipiche in relazione al numero di alleli per il rosso presenti nelle piante della F2 sono pertanto le seguenti: 1/64 (6 alleli plus), 6/64 (5 alleli plus), 15/64 (4 alleli plus), 20/64 (3 alleli plus), 15/64 (2 alleli plus), 6/64 (1 alleli plus) e 1/64 (0 alleli plus). Benché la distribuzione risulti ancora discontinua, le dimensioni di ciascuna classe sono piuttosto ridotte e tendono a ridursi ulteriormente e a differenziarsi sempre meno tra loro con una distribuzione simile a quella normale. Quando un carattere quantitativo è controllato da molti geni risulta praticamente impossibile riconoscere le diverse classi fenotipiche poiché l’effetto additivo dei singoli geni è di solito troppo modesto per essere discriminato. Con n coppie alleliche il numero dei fenotipi possibili nella F2 è pari a 2n+1 mentre i rapporti fenotipici attesi in F2 ammettendo segregazione indipendente ed effetti additivi è data dall’espansione del binomio (a+b)2n. inoltre, bisogna considerare l’effetto che l’ambiente esercita sulla manifestazione di un carattere quantitativo,, fino a poterne modificare anche sostanzialmente il valore fenotipico. Un fenomeno particolare che può verificarsi analizzando l’espressione di un carattere quantitativo è quello riconducibile alla variazione trasgressiva. Prendendo in considerazione l’incrocio tra due linee pure di frumento aventi entrambe cariossidi rosse di intensità intermedia, le piante F1 saranno triibride (A'AB'BC'C) con cariossidi di tonalità intermedia rispetto ai parentali per la presenza in tutit i genotipi di tre alleli plus. Nella popolazione F2 potranno, invece, aversi anche genotipi con soli alleli plus (A'A'B'B'C'C) e genotipi con soli alleli minus (AABBCC), e conseguentemente saranno visibili fenotipi con manifestazioni di colore più estreme (cariossidi rosso molto scure e bianche) di quelle delle linee pure usate nell’incrocio iniziale. Quando è possibile rinvenire nella generazione filiale varianti trasgressive, cioè piante che presentano il carattere quantitativo con manifestazioni fenotipiche più estreme di quelle dei genotipi parentali, si parla di segregazione trasgressiva. La quota di variazione trasgressiva aumenta con la complessità del carattere quantitativo, cioè con il numero di geni coinvolti, e passando dalla F2 alle generazioni successive, mentre la frequenza delle varianti trasgressive diminuisce all’aumentare della complessità dell’ibrido. 62 I dati ottenuti da questi esperimenti hanno consentito di formulare l’ipotesi poligenica, secondo la quale l’eredità dei caratteri quantitativi è da ricondurre all’azione e alla segregazione di numerose coppie alleliche che possiedono effetti additivi identici o quasi sul fenotipo e che non manifestano dominanza completa. Le assunzioni di base sono le seguenti: 1- nessun allele domina sull’altro (no dominanza); nel determinare un carattere è coinvolta una serie di alleli con effetto additivo 2- ogni allele plus agisce allo stesso senso in maniera cumulativa ed ha uguale effetto sul fenotipo 3- gli alleli minus non contribuiscono ad incrementare il fenotipo 4- non esiste interazione allelica (epistasia) tra loci differenti di una serie poligenica 5- i loci non sono associati, cioè gli alleli segregano in maniera indipendente 6- non esiste variazione ambientale. ESPERIMENTI DI JOHANNSEN (fagiolo) 1909 Influenza dei fattori ambientali sui caratteri quantitativi Wilhelm Johannsen è il primo studioso che ha messo in evidenza l’azione congiunta dei fattori genetici e dei fattori ambientali nell’eredità dei caratteri quantitativi. Tra il 1903 e il 1909 egli realizzò una serie di esperimenti allo scopo di valutare il modello di eredità del peso del seme in una specie prevalentemente autogama come il fagiolo. Johannsen osservò che i semi della varietà “Princess” scelta per realizzare i suoi esperimenti avevano dimensioni diverse con peso che mostrava una variabilità continua. 1. Consapevole che ciascuno dei semi era da ritenersi omozigote a tutti i loci e che la varietà doveva quindi considerarsi costituita da una pluralità di linee pure, Johannsen prese 19 semi con peso molto differente, variabile da 64,2 cg (linea pura n.1 con semi pesanti) a 35,1 cg (linea pura n. 19 con semi leggeri) ed ottenne da questi altrettante piante. 2. Ciascuna di queste piante venne lasciata autofecondarsi pure: tali linee pure risultarono differenziate le une dalle altre per il peso medio del seme. In particolare, i semi prodotti da piante che provenivano da semi pesanti avevano un peso medio più elevato dei semi prodotti da piante che provenivano da semi leggeri. Tuttavia, i semi prodotti nell’ambito di ciascuna linea presentavano dimensioni diverse e potevano osservarsi differenze in peso. Trattandosi di piante aventi con ogni probabilità un genotipo omozigote a tutti i loci, Johannsen ipotizzò che i diversi pesi medi del seme potessero essere spiegati ammettendo l’esistenza di differenze di natura genetica tra le linee pure della varietà e che la variabilità entro ciascuna linea pura per i singoli pesi del seme dipendesse soltanto da fattori ambientali. Per dimostrare le sue interpretazioni fece due esperimenti: I. i semi di ogni linea pura furono divisi in classi di 10 cg di ampiezza (da 20 cg a 70 cg), onenendo dai semi di ciascuna classe piante che a loro volta produssero semi. Tali semi, mantenuj separaj per ogni classe entro linea pura, avevano in realtà un peso medio prajcamente uguale a quello caranerisjco della linea pura di partenza. Così i semi di grandezza diversa della linea pura n.1 (con semi pesanj) davano piante che producevano semi con peso medio compreso tra 63.1 cg e 64.9 63 cg, mentre quelli di grandezza diversa della linea pura n.19 (con semi leggeri) davano piante che producevano semi con peso medio compreso tra 34.8 cg. e 35.8 cg. Questo esperimento provò quindi che semi di grandezza diversa provenienj da una stessa linea pura danno origine a piante che producono semi avenj un peso medio caranerisjco della linea pura di partenza. II. ogni linea pura venne moltiplicata per 6 anni (6 generazioni successive), ricorrendo ai semi più grandi e piccoli di ogni anno. Ottenute le progenie dei singoli semi entro ciascuna progenie si è confrontato il peso medio dei semi delle diverse progenie. Questo esperimento dimostrò che il peso medio dei semi in ogni linea rimane costante sia usando i semi più pesanti che ricorrendo a quelli più leggeri prodotti in ciascuna generazione e quindi che la selezione entro linea pura è inefficace, confermando inoltre che la variabilità di questo carattere entro una linea pura dipende soltanto da fattori ambientali. I dati ottenuti da questi esperimenti consentirono di ricavare una serie di informazioni aventi validità generale riguardo all’eredità dei caratteri quantitativi: 1- la variabilità fenotipica di un carattere quantitativo può avere due componenti: una genetica ed una ambientale 2- la selezione è efficace solo in presenza di variabilità genetica (tra linee pure omozigoti per alleli diversi) 3- la variabilità che si osserva entro linee pure è dovuta essenzialmente all’ambiente 4- la selezione entro linea pura è del tutto inefficace ESPERIMENTI DI EMERSON E EAST (mais) 1913 Effetti della componente genetica sulla variabilità dei caratteri quantitativi La descrizione di un carattere quantitativo in questa specie, come ad esempio la lunghezza della spiga, è praticamente impossibile ricorrendo al metodo mendeliano (in F2 avremmo un rapporto 1:2:1), come invece è possibile per i caratteri qualitativi o monogenici, poiché le spighe presentano una variazione continua. Tale carattere può, tuttavia, essere misurato e quindi le spighe sono raggruppabili in parecchie classi discrete in funzione della loro lunghezza. Emerson e East misero in evidenza, nel 1913, l’influenza dei fattori genetici nella variabilità dei caratteri quantitativi in una specie allogama, prendendo in considerazione proprio la variabilità della lunghezza della spiga in mais. Tale carattere venne valutato in ibridi F1 ottenuti dall’incrocio tra due linee inbred antagoniste per la lunghezza della spiga e nella popolazione F2 prodotta mediante interincrocio tra ibridi, sapendo che in questa generazione si esplicano gli effetti della segregazione e della ricombinazione. Le linee inbred parentali utilizzate, “Black Mexican” e “Tom Thumb”, erano caratterizzate da una spiga piuttosto corta, la prima, e da una spiga abbastanza lunga, la seconda, aventi una dimensione media pari rispettivamente a 6,63 cm e 16,80 cm. La lunghezza media della spiga nelle piante della progenie ibrida F1, pari a 12,116 cm, è compresa tra quelle delle linee inbred parentali (P). Le piante della generazione F2 mostrano invece una lunghezza media della spiga simile a quella delle piante F1, ma una avriabilità fenotipica attorno alla media più alta che non la generazione F1. 64 Data l’uniformità genotipica delle linee parentali, dovuta all’omozigosi a tutti i loci, la variabilità fenotipica per il carattere in esame osservata entro ciascuna linea inbred non può che essere attribuibile ai fattori ambientali. Dall’incrocio di tali linee inbred sono state pertanto ottenute piante F1 eterozigoti a tutti i loci ed aventi la stessa costituzione genotipica. Anche in questo caso la variabilità per la lunghezza della spiga osservata tra piante F1 non è quindi attribuibile a fattori genetici, ma unicamente all’influenza ambientale. Ammettendo che l’ambiente sia in grado di esercitare la stessa influenza indipendentemente dalla costituzione genotipica della popolazione considerata, i dati ottenuti da questo esperimento consentono di ricavare una serie di osservazioni aventi validità generale riguardo all’eredità dei caratteri quantitativi: 1) incrociando due linee inbred antagoniste per la manifestazione di un caranere si ouene un ibrido F1 che manifesta valori fenojpici compresi tra quelli dei parentali 2) nella progenie F2 onenuta interincrociando ibridi F1 si osserva una variabilità conjnua per il caranere e non è possibile raggruppare i valori in poche classi discrete e ben definibili 3) il valore fenojpico medio della F2 e simile a quello rilevato nella F1 4) la popolazione F2 presenta una variabilità, anorno alla media del caranere, maggiore rispeno ai parentali e all’ibrido F1 5) i valori fenojpici estremi del caranere rilevaj in F2 si estendono verso le estremità della distribuzione dei valori di entrambe le linee parentali più di quanto avvenga nella popolazione F1 6) la variabilità del caranere nelle linee inbred e negli ibridi F1 dipende soltanto da fanori ambientali, mentre l’aumento della variabilità fenojpica nella F2 è dovuto alla presenza in questa generazione anche di variabilità genejca. 65 Determinazione del numero di poligeni La dimostrazione definitiva che l’eredità dei caratteri quantitativi è dovuta ad una pluralità di geni segreganti fu fornita da East nel 1916, studiando il controllo genetico della lunghezza della corolla dei fiori di tabacco Nicotiana longiflora), carattere pochissimo influenzato dalle condizioni ambientali East utilizzò due varietà di questa specie autogama che differivano per la lunghezza del fiore: in una linea pura la corolla aveva lunghezza media di 43.5 mm, mentre nell’altra linea pura la lunghezza media della corolla era di 93.2 mm. Le piante di ciascuna varietà erano state ottenute attraverso autofecondazione per oltre generazioni e quindi potevano ritenersi omozigoti a tutti i loci. Le piccole variazioni fenotipiche osservate all’interno di ogni linea pura potevano essere attribuite a cause ambientali, mentre la differenza marcata tra i valori fenotipici medi delle due linee pure era indubbiamente di natura genetica. In sostanza, le due linee pure scelte dovevano essere omozigoti per alleli diversi ad un grande numero di loci. East incrociò piante appartenenti a queste due varietà e trovò che i fiori della F1 avevano una corolla di lunghezza intermedia rispetto a quelle delle linee pure parentali. Tale risultato era compatibile con quanto atteso per un carattere quantitativo controllato dai geni con effetto additivo. Inoltre, osservò che la variabilità fenotipica degli ibridi F1 era simile a quella riscontrata nelle linee pure parentali. Benché eterozigoti, le piante F1 dovevano ritenersi geneticamente uniformi e perciò le piccole differenze fenotipiche tra queste potevano essere ascritte a cause ambientali. Quando vene prodotta la F2, tale discendenza mostrò un valore medio d lunghezza della corolla di 67.5 mm, sempre compreso tra quelli delle linee pure e molto simile a quello del loro ibrido F1, ma la sua distribuzione fenotipica era molto più ampia. Tale risultato suggeriva che le differenze osservate per il carattere quantitativo non potevano essere attribuite solo a fattori ambientali, ma derivavano anche da cause genetiche. Poiché non esisteva motivo che facesse supporre una maggiore incidenza dell’ambiente in questa generazione rispetto alle altre, East concluse che la maggiore variabilità della F2 era da attribuirsi ai fenomeni di segregazione e ricombinazione genica che intervengono in questa generazione. La variabilità in F2 è proporzionale al numero di alleli coinvolti e la variabilità di piante F2 con genotipo dei parenti è = ¼n Es: 4 geni ¼4 = 1/256 Dal momento che East, analizzò nel complesso 444 piante della F2 non riuscendo a trovare un solo fenotipo riconducibile ad uno dei genotipi parentali, è logico presumere che fossero implicati nella determinazione della lunghezza del fiore almeno 5 coppie alleliche. Le piante F2 hanno una certa variabilità. Le piante F3 hanno una variabilità uguale o minore della F2 (le piante F2 possono essere agli estremi omozigoti a tutti i loci ma anche eterozigoti a tutti i loci (variabilità uguale alla F1). Nelle F4 la variabilità massima uguale a quella della pianta F3 da cui deriva la F4, perché ad ogni ciclo autofecondazione aumenta l’omozigosi. 66 Supponendo che la differenza genetica tra le linee pure sia dovuta a cinque coppie alleliche e che ognuno degli alleli abbia effetto uguale e cumulativo, le possibili classi fenotipiche sarebbero 11 perché associate con genotipi aventi 0, 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 e 10 alleli plus. In questa situazione, dato che i valori fenotipici delle linee pure sono pari a 43,5 mm (AABBCCDDEE) e 93,2 mm (A'A'B'B'C'C'D'D'E'E'), un allele minus dovrebbe valere 4,35 mm e un allele plus dovrebbe valere 9,32 mm. Quindi i valori fenotipici medi di due gruppi di piante differenti per la semplice sostituzione di un allele minus con un allele plus dovrebbero differire di circa 5 mm (9,32 – 4,35). Inoltre, gli effetti ambientali possono determinare in ciascuno dei genotipi una variazione presumibile di 10,25 mm, come risulta dalla media delle differenze tra i valori minimo e massimo delle due linee pure: [(47,5 – 38,5) + (98,0 – 86,5)]/2. Attraverso ragionamenti di questo tipo, East dedusse che le classi genotipiche avrebbero potuto sovrapporsi in termini di valori fenotipici in modo da fare apparire continua la curva di distribuzione delle frequenze assolute. Questi esperimenti permisero di concludere che il modello mendeliano era capace di spiegare l’eredità dei caratteri quantitativi. Quando un carattere è controllato da una, due, tre o molte coppie alleliche, le distribuzioni fenotipiche attese nella popolazione F2 ottenuta autofecondando o incrociando ibridi F1 risultanti dall’unione tra due parentali antagonisti per la manifestazione del carattere sono quelle schematizzate (à). - Gli ibridi F1 sono intermedi rispetto ai parentali - La F2 è diversa in base al numero di geni (o coppie alleliche interessate) Quando la variazione ambientale è moderata quasi tutti gli individui rientrano in una categoria fenotipica che corrisponde al loro genotipo. Quando invece l’effetto ambientale è forte diventa difficile attribuire ciascuno dei fenotipi ad una specifica classe genotipica: in questo caso il carattere quantitativo presenta una distribuzione continua tra il valore fenotipico minimo e quello massimo. Appare pertanto evidente che la possibilità per i genetisti di stabilire la corrispondenza tra genotipo e fenotipo dipende da quanti sono i geni interessati e da quanto l’ambiente influenza la variabilità del carattere quantitativo. Ereditabilità dei caraWeri quanMtaMvi Quando un carattere quantitativo è controllato da molti geni risulta difficile riconoscere le diverse classi genotipiche a livello fenotipico poiché l’effetto additivo dei singoli geni è di solito troppo modesto per essere discriminato. Oltre al numero dei geni coinvolti bisogna poi considerare l’effetto che l’ambiente esercita sulla manifestazione di un carattere quantitativo, potendone modificare anche sostanzialmente il valore fenotipico. VP = VG + VE VP è la varianza fenotipica (o totale) (phenotype) VG è la varianza genetica 67 VE è la varianza ambientale (environment) Per accertare in quale misura i fattori genetici ed ambientali concorrono nella determinazione della variabilità fenotipica è necessario misurare la varianza fenotipica e suddividerla nelle sue componenti. In questi termini la varianza fenotipica di un campione, ottenuta misurando il fenotipo degli individui, può essere scomposta, ricorrendo a particolari popolazioni e disegni sperimentali, in una varianza dovuta a cause genetiche ed in una varianza dovuta a cause ambientali. Tale scomposizione è determinante per risalire al valore di ereditabilità (h2) di un carattere quantitativo, usualmente calcolato come rapporto tra la varianza dovuta a cause genetiche e la varianza fenotipica totale: h2 = VG / VP Questo parametro misura il contributo relativo dei fattori genetici e di quelli ambientali nella determinazione della varianza fenotipica di un carattere quantitativo. L’ereditabilità varia tra 0 e 1: Un’ereditabilità pari a 0 indica che la variabilità fenotipica esistente tra individui non è attribuibile nemmeno in parte a differenze genetiche; Un’ereditabilità di 0.5 significa che la metà della variabilità fenotipica è dovuta a differenze genetiche e l’altra metà a cause ambientali; Un’ereditabilità pari a 1 suggerisce invece che tutta la variabilità fenotipica osservata nella popolazione è riconducibile a differenze genetiche tra gli individui. Ereditabilità in senso largo L’ereditabilità in senso largo (broad, h2B) tiene conto di tutta la variabilità genetica dovuta a qualsiasi effetto genico, cioè include tutte le componenti della varianza genetica (additività, dominanza ed epistasia): VG =Va + Vd + Vi Va è la varianza genetica additiva a Vd è la varianza genetica dovuta a dominanza Vi è la varianza genetica dovuta ad effetti epistatici ed equivale pertanto al rapporto tra la varianza genetica complessiva e la varianza fenotipica: h2B = VG / VP Il calcolo di questo tipo di ereditabilità prevede il confronto tra popolazioni geneticamente uniformi e popolazioni geneticamente variabili. Gli esperimenti più semplici che consentono di stimare l’ereditabilità in senso largo implicano l’uso di popolazioni composte di individui genotipicamente uguali, come ad esempio le linee pure, gli ibridi F1 o i cloni, e di popolazioni che includono individui genotipicamente diversi, come ad esempio una discendenza F2 oppure da interincrocio. La valutazione fenotipica delle popolazioni geneticamente uniformi consente di stimare la varianza ambientale, cioè l’effetto dei fattori ambientali sul carattere quantitativo in esame, mentre la valutazione delle popolazioni geneticamente variabili consente di stimare in maniera cumulativa la varianza fenotipica totale. Esercizio: Per il carattere altezza, una popolazione di frumento ha una varianza ambientale eguale a 120 e tripla rispetto a quella genetica. Qual è l’ereditabilità in senso largo del carattere altezza? VE = 120 VG = 40 VP = 120 + 40 = 160 h2 = 40/160 = ¼ = 0,25 68 Esercizio: m = media genitori -d = valore fenotipico di aa h = valore fenotipico di Aa +d = valore fenotipico di AA Se il parentale aa vale 1 e il parentale AA vale 9, la media m vale 5 [(1+9)/2] d in valore assoluto = (9-1)/2= 4 - In assenza di dominanza il valore dell’eterozigote sarebbe uguale alla media dei due genitori e quindi h = 0. In realtà non è sempre cosi: - Dominanza incompleta: la sostituzione di a in aa non da valore medio ma d+h - Dominanza completa: sostituzione di a in Aa non causa alcun effetto fenotipico Ereditabilità in senso stre^o L’ereditabilità in senso stretto (narrow, h2N) tiene conto delle sole differenze genetiche attribuibili alle azioni geniche additive. Solo queste possono infatti essere fissate con la selezione poiché, essendo legate all’effetto medio dei geni, rimangono inalterate nelle generazioni successive. Quando, invece, le differenze tra i materiali selezionati sono dovute a specifiche interaizoni geniche (dominanza ed epistasia) queste non possono essere fissate con la selezione, cioè non rimangono inalterate nella nuova generazione perché, per effetto della segregazione e della ricombinazione, possono ottenersi combinazioni di geni diverse da quelle della generazione precedente. L’ereditabilità in senso stretto equivale pertanto al rapporto tra la componente additiva della varianza genetica e la varianza fenotipica: h2N = Va / VP Che cosa rappresenta Va? Locus A con 2 alleli alternativi: - A (plus) incremento di 4mm - A (minus) nessun incremento Eterozigote non ha un valore intermedio rispetto ai 2 omozigoti Il valore riproduttivo è dato dal tipo di gameti prodotti: aa: 2a Aa: 1A 1a AA: 2A 69 La superiorità dell’eterozigote è dovuta a meccanismi di interazione tra alleli – la formazione dell’eterozigote è casuale Va à misura la varianza legata al valore riproduttivo, cioè al tipo di allele presente (azioni geniche additive), le uniche fissabili con la selezione Vd e Vi à misurano la varianza legata a particolari combinazioni alleliche, non direttamente trasferibili a causa ricombinazione e segregazione È possibile quantificare le diverse componenti della VG mediante applicazioni di opportuni piani sperimentali. Benché l’ereditabilità abbia senza dubbio una notevole utilità pratica, la sua stima evidenzia considerevoli limitazioni teoriche: i) non equivale a quanto l’espressione di un carattere dipenda da fattori genetici ma esprime solo la proporzione della varianza fenotipica tra gli individui di una popolazione attribuibile a differenze genetiche; ii) non si riferisce ad un individuo ma è una caratteristica di una popolazione; iii) non è fissa poiché dipende dalla composizione di uno specifico gruppo di individui in uno specifico ambiente; iv) non può venire usata per trarre conclusioni riguardo la natura di differenze genetiche tra popolazioni. Esercizio: Calcola l’ereditabilità in senso lato: h2B = VG / VP VP = VG + VE VE = 9 + 10 + 11 /3 = 10: sono le popolazioni uniformi geneticamente, per cui tutta la variabilità è ambientale, faccio la media VG = VP – VE = 30 -10 = 20 h2 = 20/30 = 66,7% Esercizio: Per un carattere quantitativo l’ereditabilità in senso stretto è pari al 30% (0,3), la varianza fenotipica pari a 200 e la varianza genetica pari a 100. Calcolare: a) la varianza dovuta alla dominanza e interazione b) la varianza dovuta a cause ambientali VG = Va+ Vd + Vi h2N = Va / VP VP = 200 VG = 100 70 hN2 = 0,3 hN2 = Va /VP 0,3 = Va/200 Va = 60 Vd + Vi = 100 – 60 = 40 VE = 200 – 100 = 100 La conoscenza dell’ereditabilità in senso stretto dei caratteri quantitativi consente infatti di formulare previsioni molto accurate riguardo al grado di somiglianza tra gli individui parentali e quelli della discendenza. In pratica, tale ereditabilità permette di calcolare il progresso conseguibile con la se- lezione per il carattere in esame. Se S è il differenziale di selezione, calcolato su base fenotipica, la risposta alla selezione (o guadagno conseguito con la selezione) è R = x1 – x0 e dipende dalla quota ereditabile della variazione, cioè quella imputabile alle sole cause genetiche di natura additiva. L’ereditabilità può essere quindi calcolata anche come rapporto tra la risposta alla selezione (R) ed è il differenziale di selezione (S) e viene definita ereditabilità realizzata: h2 R = R/S h2 = R/S pertanto R = h2 S tanto maggiore è h2 tanto maggiore è il guadagno ottenibile con la selezione. Si parla di h2 in senso stretto, in quanto io seleziono individui il cui fenotipo è influenzato sia ambiente che dalle interazioni (dominanza ed epistasia) che possono venire a mancare nelle progenie degli individui selezionati. Esempio: Qual è R se h2 = 0,7 attuando un s di 4 71 R = 0,7 · 4 = 2,8 La media della popolazione dei figli sarà: μ figli = μ parentali + risp. alla selezione = 15 + 2,8 = 17.8 R = h2 S Come si può aumentare la risposta alla selezione (R)? 1) Aumentando s (differenziale di sel.) - rischio di ridurre troppo la base genetica (depressione inbreeding) 2) Aumentandoh2 – operando nell’ambiente più uniforme possibile Ovviamente è determinante partire da un campione ampio e rappresentativo della popolazione di partenza. Se conosco valore h2 posso valutare la risposta ad un programma di selezione applicando: R = h2 s Se non conosco l’h2 a priori non posso valutare la risposta alla selezione e solo dopo l’analisi dei risultati, a posteriori, posso stimare h2 h2 = R / s Questa è una stima dell’ereditabilità in senso stretto. Esercizio: Una popolazione di orzo ha un’altezza media di 90 cm, con una VP eguale a 72 e tripla rispetto a quella ambientale. Dalla popolazione si selezionano individui con un’altezza superiore a 100, la cui media è 105. 1. Qual è il differenziale di selezione adottato? 2. Qual è l’ereditabilità in senso largo del carattere altezza? 3. Qual è l’altezza media della popolazione ottenuta a seguito di selezione? 1) Qual è̀ il differenziale di selezione adottato? 105 – 90 = 15 2) Qual è l’ereditabilità in senso largo del carattere altezza? VP – VE = VG 72–24=48 h2 =VG/VP = 48/72=0,66 3) Qual è̀ l’altezza media della popolazione ottenuta a seguito di selezione? R = s x h2 = 15 x 0,66 = 9,9 i figli avranno media = 90 + 9,9 = 99,9 Esercizio: Il peso medio a 140 giorni di un gruppo di suini è 90Kg. Si selezionano individui con un peso medio di 97,5 kg. La progenie degli individui selezionati hanno un peso medio di 92,25 kg. 1. Qual è l’ereditabilità del carattere? 2. Si tratta di ereditabilità in senso largo o stretto? 1) h2 = R/S = (92,25-90)/(97,5-90)= 2,25/7,5= 0,3 Esercizio: La lunghezza media internodi in orzo A è 3,20 mm, in orzo B è 2,10 mm. Dopo incrocio, la F1 e F2 hanno una lunghezza media pari a 2,65 mm. 72 Circa il 6% delle F2 ha una lunghezza pari a 3,2 mm e un altro 6% pari a 2,10 mm. Qual è̀ il numero più probabile di coppie alleliche (o geni) che controllano il carattere? Qual è̀ effetto di una sostituzione allelica sul fenotipo? Quali sono i genotipi delle due linee? 1) (1/4)n numero di individui con genotipo eguale a quello dei parentali: n= coppie alleliche (1/4)2 = 1/16 (1/4)3 = 1/64 (1/4)4 = 1/256 100/6= 1/16,6 individui= 2 geni o 2 coppie alleliche 2) (3,2-2,1)/4= 0,275 3) Orzo B= AABB orzo A= A’A’B’B’ Esercizio: Se ogni allele plus (indicato con la lettera maiuscola) nei 4 loci genici A, B, C e D contribuisce con un incremento del diametro di una pianta arborea di 2 cm, ed un genotipo omozigote recessivo nei 4 loci (aabbccdd) ha diametro di 20cm. Quale saranno i limiti della variazione in diametro nelle progenie del seguente incrocio? AaBBCcdd x AaBbCcDD 73

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