Domande Generali di Psicologia PDF
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Questo documento presenta un'introduzione alla psicologia come scienza. Vengono spiegati i concetti di variabili dipendenti e indipendenti e come vengono utilizzate nell'ambito di esperimenti psicologici. Si sottolinea la differenza tra teorie ingenue e scientifiche.
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PSICOLOGIA => lo studio scientifico del comportamento e dei processi mentali degli esseri umani, ma anche degli altri animali La nascita della psicologia si associa alla realizzazione del primo laboratorio di psicologia, avviato nel 1879 da Wilhelm Wundt (1832...
PSICOLOGIA => lo studio scientifico del comportamento e dei processi mentali degli esseri umani, ma anche degli altri animali La nascita della psicologia si associa alla realizzazione del primo laboratorio di psicologia, avviato nel 1879 da Wilhelm Wundt (1832-1920) presso l’Università di Lipsia in Germania. | IDEA DI BASE: la psicologia doveva essere una scienza come la fisica, la chimica o la medicina Wundt è considerato “padre fondatore” della psicologia scientifica per il suo fondamentale contributo nel definire la psicologia come: “disciplina autonoma, sia dal punto di vista teorico che metodologico” Fondò il laboratorio di Lipsia per raccogliere dati empirici utilizzando un rigoroso metodo sperimentale (basato sui metodi della psicofisica). Nasce nel 1980 ad Harvard negli Stati Uniti anche il laboratorio dell’altro “padre fondatore” della psicologia: William Hames (1842-1910). § COSA SIGNIFICA AFFERMARE CHE LA PSICOLOGIA È UNA SCIENZA? | “fare scienza” significa tentare di risolvere problemi rilevanti attraverso la raccolta e l’analisi sistematica di dati Questa risposta non è sufficiente se l’oggetto di studio è la PSICOLOGIA. Infatti, non capita forse a tutti di impegnarsi a osservare e analizzare il comportamento delle persone che ci stanno intorno? Siamo forse per questo tutti scienziati? TEORIE INGENUE E TEORIE SCIENTIFICHE, VARIABILI INDIPENDENTI E DIPENDENTI Il metodo della psicologia è un metodo scientifico. Quando parliamo di psicologia, cioè dell’interpretazione del comportamento degli altri, tendiamo a formulare delle teorie per comprendere e interpretare il comportamento di chi ci sta intorno. Quando ci proponiamo di spiegare dei fatti (es. il comportamento irato dell’amico) attraverso qualcosa di non direttamente osservato (es. l’idea che non abbia superato l’esame), stiamo costruendo una “piccola” teoria. sulla base dell’osservazione / Si tratta di una teoria che tutti noi potremmo formulare, ma potrebbe essere giusta o sbagliata. | TEORIA INGENUA 1 ESEMPIO: Facciamo vedere a un bambino di 3 anni due bicchieri di forma diversa (uno basso e largo, l’altro alto e stretto) con la stessa quantità d’acqua. Se chiediamo al bambino in quale contenitore c’è più acqua, il bambino risponderà che c’è più acqua nel bicchiere alto e stretto, perché il livello è visibilmente più alto. Egli usa questa informazione per fare un’inferenza e questa informazione spesso funziona, egli ha creato questa corrispondenza tra la quantità e il livello dell’acqua sulla base della sua esperienza, tenendo conto di quell’informazione. Solamente quando il bambino cresce riuscirà a tenere insieme più informazioni diverse e allora comprenderà che la quantità d’acqua è esattamente la stessa. Le teorie scientifiche si differenziano dalle teorie ingenue per il modo in cui sono costruite e controllate. Le teorie ingenue quanto le teorie scientifiche nascono dall’esigenza di spiegare e predire i fatti che accadono intorno a noi, ma solo le teorie scientifiche sono costruite tramite l’utilizzo del metodo sperimentale. Le teorie ingenue, al contrario, si limitano a fare riferimento all’esperienza personale. costruita tramite un metodo ingenuo Il metodo sperimentale, di cui fa uso la teoria scientifica, si realizza laddove si riesca a stabilire una relazione sistematica tra almeno due variabili, ovvero, tra due entità misurabili che variano. | in modo tale da stabilire un RAPPORTO DI CAUSA-EFFETTO | Lo scienziato osserva come, a parità di condizioni, al variare della variabile 1, si modifica la variabile 2 e in questo modo riesco a stabilire il rapporto sistematico tra le due. | la variabile 1 è stata modificata dallo sperimentatore Lo scienziato osserva come il variare della variabile indipendente produce effetti sulla variabile dipendente. 2 procedura per cui lo psicologo manipola (fa variare in modo controllato) una o più variabili indipendenti per osservare se e come varia la variabile dipendente | ESPERIMENTO = studio delle relazioni tra due (o più) variabili, cioè tra due entità che variano | in un esperimento trasformiamo un fenomeno in una o due variabili per ridurne la complessità / VARIABILE = è una proprietà di un evento reale che può essere misurata / MISURAZIONE = è un sistema per assegnare un valore numerico alle variabili In un esperimento psicologico, così come in esperimenti condotti in altri settori scientifici, bisogna sempre distinguere due tipi di variabile: VARIABILE INDIPENDENTE => viene controllata/manipolata dallo psicologo/ricercatore; le due variabili sono in rapporto di VARIABILE DIPENDENTE => variabile su cui gli effetti della manipolazione della CAUSA-EFFETTO variabile indipendente possono riflettersi, ovvero, il comportamento umano che è oggetto d’indagine TIPI DI VARIABILI INDIPENDENTI variabili soggettive! / manipolabili dallo non manipolabili dallo sperimentatore sperimentatore ESEMPI: ESEMPI: - tipo di apprendimento - età - frequenza della parola - tipologia di occupazione - difficoltà del percorso ESEMPIO: Lo sperimentatore manipola la frequenza delle parole per poter comprendere se ha un legame con la velocità di lettura / infatti ci possiamo chiedere se: OPPURE leggiamo più leggiamo veloce velocemente le parole tutte le parole che leggiamo spesso indipendentemente Una volta che ha manipolato la frequenza delle parole, va poi a comprendere in che misura si correla alla velocità, cioè al tempo di lettura. Però lo sperimentatore, ovviamente, deve tener conto di tutte le possibili differenze individuali: ci possono essere quelli bravi a leggere che sono più veloci oppure altri più lenti,… Per evitare che la ricerca sia influenzata dalle possibili differenze individuali, lo sperimentatore assegna casualmente i partecipanti alle condizioni sperimentali. Se si immagina di dare una condizione di parole ad alta frequenza e una di bassa frequenza, facendo l’esempio della classe universitaria, si darà alla parte sinistra una delle due condizioni e alla parte di destra l’altra. 3 Ognuna delle due parti parteciperà ad una specifica condizione sperimentale. | è in questo modo che lo sperimentatore manipola le variabili: infatti è lui a decidere le condizioni Le variabili soggettive ovviamente da questo punto di vista non sono manipolabili. | se si decidesse di confrontare, per esempio, i maschi e le femmine, questi due elementi di partenza non potrebbero essere modificati dallo sperimentatore Se entrambe le parti ricevono il medesimo test e trovo una differenza, non so se questa è dovuta al genere o ad un’altra caratteristica che covaria con il genere. / \ geneticamente nasciamo più intelligenti ESEMPIO: le femmine tendono ad andare di meno a scuola o meno a seconda del nostro genere se parliamo di un paese come l’India | quindi i maschi risulterebbero più intelligenti delle femmine Tuttavia questa differenza di intelligenza non è data dal genere di per sé, ma è più probabile che i maschi abbiano un’educazione migliore rispetto alle femmine. Quindi la differenza sarebbe dovuta ad altro. La stessa cosa si noterebbe se parlassimo del livello di occupazione. | magari troviamo che i maschi hanno un livello di occupazione più alto delle femmine, ma questo non è dovuto per forza al fatto che siano più bravi a trovare occupazione, ma potrebbe dipendere dalle opportunità offerte Possiamo trovarlo confrontando anche persone di diverse età, diversa estrazione sociale,… cioè possiamo assegnare a chi vogliamo i compiti e così via… \ Quindi quando la variabile è soggettiva, possiamo comunque manipolarla, ma non possiamo essere sicuri che sia la nostra manipolazione ad avere un effetto sulla variabile dipendente. Per questo vi è una DIFFERENZA TRA: ESPERIMENTI QUASI ESPERIMENTI lo sperimentatore manipola effettivamente sono presenti le variabili soggettive e non le variabili e i partecipanti sono livellati si possono attribuire delle relazioni di causa-effetto tra le due variabili Così vi è anche la distinzione tra variabili soggettive e non soggettive. Gli studi sperimentali potranno essere fatti con entrambe le tipologie, tuttavia nelle soggettive e nei quasi esperimenti non potremmo essere sicuri del rapporto di casualità. 4 ESERCITAZIONE: DIFFERENZA TRA VARIABILI Il numero di errori commessi da un bambino. VARIABILE DIPENDENTE Può dipendere da qualcos’altro che sia ad esempio il livello di istruzione, il grado di agitazione, lo stato d’animo,… Gli errori sono un comportamento che dipendono, quindi, da un qualcosa che produrrà un effetto. Il livello di scolarizzazione. VARIABILE INDIPENDENTE È una variabile soggettiva. Gli anni di istruzione è qualcosa che farà variare altre cose. Posso andare a vedere come al variare di questa osserverò determinati effetti successivi. Sostanzialmente, in psicologia, quello che noi osserviamo in un esperimento è quello che al variare di determinate cose e parametri, cambia il comportamento delle persone. La velocità con cui si risolve un problema. VARIABILE DIPENDENTE La velocità di risoluzione di un problema varierà a seconda, ad esempio, degli anni di scolarizzazione o di particolari apprendimenti fatti in precedenza. La difficoltà di un quiz. VARIABILE INDIPENDENTE È la difficoltà che ha il quiz in sé ed è lo sperimentatore a poter creare un quiz più facile o più difficile, non è la difficoltà incontrata da una determinata persona specifica. Posso andare a vedere come si comporteranno le persone al variare della variabile indipendente, cioè della manipolazione del quiz che andrò a somministrare. La quantità di parole da ricordare. VARIABILE INDIPENDENTE È indipendente perché è il somministratore a decidere la quantità di parole che i partecipanti dovranno ricordare. È manipolato dallo sperimentatore. La quantità di parole ricordate. VARIABILE DIPENDENTE È il comportamento derivante dalla richiesta dello sperimentatore. Il tempo impiegato per uscire da un labirinto. VARIABILE DIPENDENTE È l’osservazione di un determinato comportamento. 5 METODO SCIENTIFICO Negli esperimenti si fa uso del metodo scientifico | pensare alle ipotesi per poi eseguire un esperimento che le possa confermare o confutare ed elaborare una teoria che sia in grado di spiegare il fenomeno osservato Questo procedimento non è un fenomeno lineare, ma circolare: uno sperimentatore può partire da un qualunque punto per procedere alla sperimentazione ed arrivare a determinare conclusioni. Si potrebbe anche partire da un dato empirico per poi formulare una teoria che poi potrebbe essere usata per formulare nuove ipotesi per, infine, verificarla sperimentalmente. È grazie a questa circolarità che le teorie vengono continuamente aggiornate e modificate sulla base di nuovi risultati, metodologie, ecc… La psicologia, similmente alle scienze sociali, si trova nella posizione di dover selezionare delle variabili misurabili e, difficilmente dalle variabili fisiche, le variabili psicologiche sono più difficili da controllare e misurare. Pe questo motivo è particolarmente importante usare il metodo scientifico in modo tale da poter facilmente manipolare le variabili a mia disposizione e interpretarle, quindi, in modo corretto. ESEMPIO: Vogliamo sapere se le parole ad alta frequenza si leggono più velocemente rispetto a quelle di bassa frequenza. Ovviamente non posso prendere due sole persone, facendo leggere a una le parole di bassa frequenza ed all’altra quelle di alta frequenza. Ciò non è possibile perché ci sono tanti fattori e variabili di mezzo che potrebbero influenzare o condizionare l’esperimento stesso. Inoltre, bisogna tenere conto della grande differenza personale e individuale. PROBLEMA DELLO PSICOLOGO / SPERIMENTATORE Come stabilire se il risultato osservato dipende effettivamente dalla manipolazione sperimentale e non da altre variabili? Innanzitutto devo prendere un campione molto più ampio, ma ciò ancora non basta per stabilire se è proprio la mia manipolazione ad aver condizionato il risultato dell’esperimento, ovvero la differenza di velocità nella lettura delle parole. Ciò che devo fare è: DISTINGUERE IL SEGNALE DAL RUMORE. 6 DISTINGUERE IL SEGNALE DAL RUMORE, IL RAPPORTO CRITICO Le teorie scientifiche si differenziano dalle teorie ingenue per il modo in cui sono costruite e controllate. PROBLEMA DEL CONTROLLO DELLE VARIABILI => DISTINGUERE IL SEGNALE DAL RUMORE o Come si fa a sapere che la modificazione che osserva sulla variabile dipendente sia prodotta dalla manipolazione della variabile indipendente? Innanzitutto dobbiamo distinguere tra situazioni ideali e situazioni reali. ESEMPIO: Immaginiamo di trovarci in montagna davanti ad un lago e ci viene chiesto se qualcuno ha buttato un sasso all’interno del lago. Noi siamo appena arrivati e non abbiamo una conferma empirica dettata dal fatto di aver visto una persona buttarlo, ma possiamo osservare il lago. In una situazione ideale avremmo la superficie completamente ferma se qualcuno non ha buttato nessun sasso, mentre in caso contrario avremmo una superficie mossa ed increspata. In condizioni reali avremmo chiaramente due condizioni: 1. una condizione dove è stato buttato il sasso 2. una condizione dove non è stato lanciato alcun sasso Nella situazione reale, invece, posso trovare che il lago non è mai fermo, infatti la superficie si muove sia prima che dopo. Dunque il problema dello psicologo è quello di distinguere in condizioni sperimentali, dove c’è sempre rumore, il segnale dal rumore. / nel nostro esempio il lago è sempre increspato | sarà increspato per molte ragioni: una cascata, il vento, una barca,… Mentre il sasso è il mio segnale, tutti gli altri sono fonti di rumore. Devo distinguere dentro quell’incremento qual è la variabilità casuale rispetto al segnale, che è la perturbazione della superficie dovuta al sasso lanciato. Lo sperimentatore per distinguere il segnale dal rumore si avvale della STATISTICA. ESEMPIO: I maschi differiscono dalle femmine nella capacità di risolvere problemi matematici? Si può rispondere attraverso questo esperimento: 50 maschi ovviamente i soggetti per prendo in considerazione 2 gruppi di soggetti sperimentali ciascun gruppo vengono 50 femmine scelti in maniera casuale VARIABILE INDIPENDENTE: sesso (maschio o femmina) VARIABILE DIPENDENTE: accuratezza delle risposte (percentuale di problemi risolti) / ci saranno 10 problemi da risolvere e la variabile dipendente sarà legata a quanti problemi ciascuno dei maschi e ciascuna delle femmine sarà in grado di risolvere sui 10 proposti 7 Somministrato l’esperimento, dopo un’ora si otterranno i risultati. Si calcolerà, allora, il punteggio ricevuto da tutti e si farà una media. RISULATO: - le femmine hanno risolto in media 5 problemi - i maschi hanno risolto in media 5.4 problemi Dal punto di vista numerico c’è una differenza che ammonta a 0,4. Vuol dire che sono più bravi? Cosa posso concludere? Potrebbe essere una differenza sistematica oppure una differenza casuale. Nel secondo caso, se si prendessero altre 100 persone, di cui 50 maschi e 50 femmine, rifacendo lo stesso esperimento, si potrebbero ottenere due punteggi molto diversi per entrambi i campioni. Potrei, quindi, trovare una media sempre diversa. o Come essere certi che la differenza di punteggio tra i due gruppi indichi una differenza reale nelle capacità matematiche? Per rispondere bisogna tenere conto del fatto che la variazione nei punteggi può discendere da due fonti: SEGNALE! § Variazione tra i gruppi, indotta dalla variabile indipendente | determina la forza del segnale => quanto la manipolazione sperimentale produce il cambiamento RUMORE! § Variazione entro ciascun gruppo, dovuta alle differenze individuali | variabilità casuale Dunque, per distinguere tra le due fonti occorre determinare il cosiddetto RAPPORTO CRITICO. / tutta la statistica si basa essenzialmente sul determinare questo rapporto | attraverso la statistica siamo in grado di calcolare qual è la variazione tra i due gruppi rispetto alla variazione che vi è dentro a ciascun gruppo | più che di variazione, si parla di variabilità | cioè la variabilità che c’è tra i gruppi rispetto alla variabilità presente all’interno di ciascun gruppo Un altro modo per rappresentare il rapporto critico è quello in termini di DISTRIBUZIONE DI FREQUENZA. Quindi, anziché, andare a vedere la media, possiamo vedere quanti sono i maschi e le femmine ad aver risolto 1, 2, 3, ecc… dei problemi presentati. 8 Le distribuzioni di frequenza mostrate sono di forma normale, perché quasi tutte le variabili (naturali) si distribuiscono in maniera normale. | OVVERO: tante persone si comportano in maniera media, mentre poche sono estremizzate a sinistra o a destra della curva distributiva Le variabili dipendenti di solito stanno nel mezzo per la maggior parte. Dunque la differenza non è solo nella media in sé, ma anche una differenza nella distribuzione dei punteggi. Se prendiamo come riferimento le due distribuzioni dell’esperimento precedente e le sommo, avrò dei numeri più elevati per ognuno dei vari punteggi. Infatti se erano 5 femmine e 4 maschi ad aver risposto a 10 problemi correttamente, avremo una distribuzione totale di 9 persone sulle 10 risposte. E così seguendo… Il rapporto critico si occupa di confrontare questa distribuzione totale rispetto alle distribuzioni di partenza. La forma della somma delle due distribuzioni può essere, per forma, molto simile alle distribuzioni originali oppure molto diversa. Tanto più diverse sono le due distribuzioni, tanto più la distribuzione della somma sarà larga. La distribuzione normale è stretta, tutta intorno alla media, quindi vi è poca variabilità: gli individui si assomigliano di più. In quella larga, invece, vi è più variabilità: quindi gli individui sono più diversi tra loro. Se la distribuzione sommata è molto più variabile rispetto alle due originali, allora la manipolazione sperimentale ha sicuramente prodotto un aumento della variabilità | dunque la variabilità non è casuale e la somma delle due distribuzioni rappresenta la variabilità tra i due gruppi rispetto alla variabilità presente all’interno di ciascuno dei due gruppi Quanto più è alto il rapporto critico, tanto più è probabile che ci sia una differenza tra i gruppi sperimentali causata dalla variabile indipendente manipolata dallo psicologo. Infatti se la variabilità inter-gruppo, cioè la differenza tra le due distribuzioni, è molto grande rispetto alla variabilità all’interno di ciascun gruppo significa che la mia manipolazione sperimentale ha portato un effetto: i due gruppi sono effettivamente diversi tra loro e la differenza osservata non può essere casuale. 9 Tutta la statistica si basa sul calcolo del rapporto critico (variabilità introdotta dalla manipolazione sperimentale / variazione casuale), poiché mi permette di stabilire se una differenza sia significativa oppure no, semplicemente confrontando la forma delle distribuzioni dei due gruppi (variabilità interna). Attraverso il calcolo del rapporto critico posso stabilire se 5.4 rispetto a 5 è una differenza dovuta alla manipolazione sperimentale oppure è una differenza casuale. Dall’immagine possiamo notare che si può avere medie simili o anche uguali, ma delle distribuzioni diverse. Se le distribuzioni sono come quelle in alto (a), la media è del tutto irrilevante, perché se le mettiamo vicine, la gran parte del primo gruppo si comporta come il secondo e viceversa. Se, invece, la sovrapposizione delle distribuzioni è come quelle più in basso (c), allora si osserva che la gran parte del primo gruppo va meglio della gran parte del secondo gruppo. RIASSUMENDO: - Quando più grande è la perturbazione introdotta attraverso la manipolazione della variabile indipendente, tanto più grande sarà il riflesso di tale perturbazione sulla variabilità inter-gruppo associata alla variabile dipendente. ljkj - A parità di variabilità intra-gruppo, tanto più grande sarà la variabilità inter-gruppo, tanto più ampia sarà la probabilità di trovare un effetto significativo della manipolazione sperimentale sul comportamento osservato. ESEMPIO: Voglio misurare se le parole ad alta frequenza sono lette più velocemente della parole a bassa frequenza. § Prendo un campione di studenti universitari e avrò, dunque, tutte persone tra i 18 e i 25 anni che hanno letto durante tutto il tempo delle superiori e che stanno continuando a leggere durante il tempo dell’università con costumi e attitudini verso la lettura piuttosto simili. Quindi misuro se il gruppo A, che legge le parole ad alta frequenza, legge più rapidamente del gruppo B, che legge le parole a bassa frequenza. Ho preso dei studenti universitari perché penso che ci siano delle differenze individuali, ma che queste differenze non siano enormi. § Se, invece, prendo bambini di 5° elementare, anziani di 80 anni, ecc… (persone casuali) avrò una maggiore variabilità dentro il gruppo. Quindi avrò un denominatore che per forza è grande, perciò sarà molto più difficile evidenziare una differenza piccola. Per questo motivo ha senso effettuare l’esperimento su campioni omogenei. 10 STUDI SPERIMENTALI E STUDI CORRELAZIONALI STUDI SPERIMENTALI => una manipolazione della variabile indipendente produce effetti sulla variabile dipendente | Negli studi sperimentali quando le variabili sono variabili indipendenti e produciamo un effetto su una variabile dipendente, possiamo stabilire un rapporto di causa-effetto tra le variabili solo se si è stabilito se il rapporto critico è grande abbastanza. È un po’ critica la distinzione tra variabile oggettiva (legate alla condizione sperimentale) e variabile soggettiva, perché posso dire che c’è un rapporto di causa-effetto solo nel primo caso. | Infatti come abbiamo visto prima, se trovassimo la differenza di 0.4 è significativa, quindi i maschi rispondono 0.4 problemi meglio delle femmine, ma non sappiamo se è dovuto proprio al genere oppure ad altre variabili. Differentemente dagli studi sperimentali, in psicologia generale e in tutte le scienze sociali possiamo anche condurre degli STUDI CORRELAZIONALI => si studia come variano le variabili l’una in correlazione all’altra | come negli studi sperimentali, viene considerata la relazione tra due o più variabili, ma diversamente da questi ultimi, le variabili studiate non vengono manipolate sistematicamente Gli studi correlazionali hanno sempre a che fare con delle variabili empiriche (oggettive misurabili) che, però, non sono attivamente manipolate dallo sperimentatore (non sono state create delle condizioni sperimentali). Gli studi correlazionali si basano su un dato di fatto/ una misurazione di qualcosa che c’è già. | non creo un esperimento ed osservo cosa succede al variare della variabilità indipendente, infatti negli studi correlazionali non hanno una variabile indipendente e una dipendente, ma hanno solo delle variabili che variano assieme ESEMPIO: Posso trovare una correlazione molto alta se decido di misurare quanto ciascuno è alto e quanto ciascuno pesa, poi vado a vedere se queste due variabili tra di loro sono indipendenti o correlano. Non si effettua una manipolazione sperimentale. Ho osservato come variabili diverse si muovono tra di loro. ESEMPIO: C’è una relazione tra autostima e successo negli studi universitari? Si può rispondere a questa domanda, misurando l’autostima di un gruppo di studenti e confrontandola con la media dei voti negli esami. Con un questionario che misura l’autostima e prendendo poi il voto di maturità, andiamo a vedere se c’è una correlazione tra autostima e la carriera accademica. Possiamo trovare diversi tipi di relazione: In questo grafico si può notare che ci sono persone con una 1. autostima molto elevata, che hanno preso 21,24,30…, e persone con un’autostima media con altrettanti voti simili. I punti appaiono come una nuvola omogenea centrale, non hanno nessuna tendenza. In questo caso non sembra che al variare di una variabile, vari l’altra. VARIABILI INDIPENDENTI Le due variabili sono INDIPENDENTI tra di loro. 11 In questo caso è presente una tendenza: all’aumentare del voto 2. medio degli esami, aumenta il livello di autostima. La nuvola ha una forma allungata e obliqua. Se all’aumentare dell’autostima, aumenta anche la media dei voti, allora la correlazione è POSITIVA. CORRELAZIONE POSITIVA 3. Anche in questo caso, come il precedente, la forma della nuvola è allungata ed obliqua, ma al contrario. Se all’aumentare dell’autostima, diminuisce la media dei voti, allora la correlazione è NEGATIVA. CORRELAZIONE NEGATIVA Il livello di correlazione si misura con l’indice R che varia da 0 a 1: - quando la correlazione è nulla, vuol dire che R=0 - quando la correlazione è forte, R=1 I puntini non formano una nuvola, ma una linea retta. Pertanto, sono in grado di prevedere il punteggio ottenuto dall’altra variabile. La variabile R totale, ovvero R=1, tra le variabili psicologiche non esiste. Oltre alla forza di correlazione che varia da 0 a 1, abbiamo il coefficiente di correlazione che varia da -1 a +1. (Il valore 0 indica l’assenza di correlazione) | esprime la direzione e la forza della correlazione LIMITI DEGLI STUDI CORRELAZIONALI o Non danno alcuna indicazione sull’esistenza di una relazione causale tra due variabili Non posso concludere che la causa del successo accademico è l’autostima!! Potrebbe essere che queste due variabili correlino con un’altra variabile che è la vera causa del successo accademico (ad esempio la motivazione,…). Oppure la correlazione potrebbe essere del tutto casuale… VANTAGGI DEGLI STUDI CORRELAZIONALI o Possono essere usati come studi esplorativi o quando è impossibile realizzare un esperimento per ragioni pratiche o etiche Gli studi correlazionali sono utili quando non si sa niente di una determinata situazione. Infatti quando si comincia una ricerca ci si basa su una correlazione esistente tra variabili. La prima cosa da fare è riuscire a capire che cosa sta accadendo, misurando tante variabili e osservando come queste variabili variano insieme. 12 I METODI PER LO STUDIO DEL COMPORTAMENTO E DEI PROCESSI COGNITIVI PSICOFISICA La psicofisica è lo studio della relazione sistematica tra la sensazione soggettiva e la stimolazione fisica. l | l. cioè studia in che modo al variare dello stimolo, varia la risposta sensoriale ESEMPIO: Quanto deve variare il peso di un etto di prosciutto perché una variazione di peso sia percepibile? I metodi psicofisici permettono di determinare, per esempio, la minima quantità di stimolazione necessaria a evocare una sensazione o rilevare un cambiamento di intensità. CRONOMETRIA MENTALE si ispira agli studi neurofisiologici della fine dell’Ottocento / La cronometria mentale misura il tempo di risposta necessario a svolgere un compito e permette di inferire i processi mentali sottostanti. La stimolazione del nervo sensoriale del ginocchio (afferente) trasmette un impulso al nervo spinale motorio (efferente) che induce il riflesso involontario di sollevamento della gamba. I neurofisiologi misurarono il tempo che intercorre tra stimolo e il riflesso e calcolarono la lunghezza dei nervi coinvolti nell’arco riflesso per determinare la velocità di propagazione dell’impulso nervoso nell’arco riflesso. Negli esperimenti di cronometria mentale vengono misurati valori come il tempo di reazione ad uno o più stimoli per ottenere informazioni sul funzionamento dei processi mentali. | ll tempo che intercorre tra la comparsa dello stimolo e ll l’emissione di una risposta (es. pressione di un tasto) Donders applicò un metodo analogo per inferire Il tempo di reazione si chiama anche latenza di risposta. i processi psicologici alla base di 3 compiti: DETENZIONE A) Premi pulsante ogni volta che compare il pallino. Prevede un tempo di rilevamento dello stimolo e il tempo di pressione del pulsante. DISCRIMINAZIONE B) Premi il pulsante ogni volta che compare il pallino di un certo colore , ma non di un altro. SCELTA FORZATA C) Premi il pulsante 1 (con la mano sinistra) se compare il pallino e il pulsante 2 (con la mano destra) se compare il pallino. 13 Attraverso il “metodo sottrattivo” ottengo il tempo di decisione. / OVVERO: sottrarre il tempo di risposta per il compito di discriminazione al tempo di risposta per la scelta forzata DUNQUE: SCELTA FORZATA – DISCRIMINAZIONE = TEMPO DI DECISIONE LIMITE PER USARE IL METODO SOTTRATTIVO È NECESSARIO ASSUMERE CHE: l’aggiunta di uno stadio di elaborazione non deve produrre nessuna conseguenza sulle elaborazioni che avvengono agli altri stadi… Tale metodo sottrattivo non è accettato dalla moderna psicologia sperimentale, perché, appunto, si basa sull’errato presupposto che togliere o aggiungere un’operazione mentale a un compito non abbia alcuna conseguenza sullo svolgimento delle altre operazioni mentali, che vengono messe in atto per risolverlo. Alla base del metodo di Donders abbiamo una forte assunzione, che lo rende semplicistico. | il tempo di rivelazione e l tempo di pressione non variano a seconda del compito da svolgere, quindi non esiste nessun processo ulteriore negli stadi eccetto quelli di selezione / infatti il tempo di rivelazione del pallino rosso o del pallino rosso/verde non cambia Invece, noi guardiamo le cose in funzione di cosa dobbiamo fare. ESEMPIO: Quando prendiamo le chiavi dalla scrivania non facciamo caso agli altri oggetti presenti. Nonostante ciò, con l’avvento del Cognitivismo negli anni Cinquanta il metodo di rivelazione dei tempi di risposta è stato adottato in maniera metodologicamente più sofisticata, non sottrattiva, ma comparativa. EFFETTO STROOP Nei primi anni Trenta del ‘900 fu pubblicato il lavoro pioneristico dello psicologo americano J. Ridley Stroop (1897- 1973) dove troviamo un esempio di utilizzo della cronometria mentale. Ai soggetti vengono presentate parole che designano colori stampate con inchiostro colorato. / il colore indicato dalla parola può essere congruente oppure incongruente con il colore dell’inchiostro | | ESEMPI: ROSSO ROSSO COMPITO: Denominare il colore dell’inchiostro, ignorando la parola scritta. RISULTATO: I tempi di reazione sono significativamente più brevi per gli stimoli congruenti rispetto a quelli incongruenti. CONCLUSIONE: Non siamo in grado di ignorare il significato di una parola scritta, perciò l’accesso al significato delle parole scritte è un processo automatico. L’esperimento di Stroop è basato sui tempi di reazione, ma non misura la durata di una specifica operazione mentale. 14 Dati i diversi tempi di reazione si può inferire che: - chi sa farlo, legge automaticamente le parole anche quando vuole solo rivelarne il colore dell’inchiostro; - l’attenzione non è sempre in grado di filtrare le informazioni, altrimenti potremmo decidere di ignorare il significato delle parole, ma ciò non è possibile; - l’architettura mentale funzionale potrebbe imporre che, quando si rivela una parola, l’informazione sul significato della parola e l’informazione sul colore della parola comunicano fra loro nel sistema di risposta. Perciò quando le due informazioni coincidono, ho un tempo di risposta più breve. Quando, invece, non coincidono, il tempo di risposta si allunga a causa di un’interferenza fra le due informazioni. ESPERIMENTO DI STERNBERG I metodi cronometrici furono usati in modo più raffinato in un famoso studio del 1966 dello psicologo cognitivo americano Saul Sternberg sulla memoria a breve termine. | docente che contribuì molto allo sviluppo della psicologia cognitiva, in particolare nell’ambito dell’attenzione e della memoria Nel suo paradigma, chiamato anche “paradigma della sonda”, si presenta al partecipante una serie di numeri casuali. La serie può essere più o meno lunga. 1. VARIABILE INDIPENDENTE => la lunghezza della serie di numeri Alla fine della serie compare il numero sonda, ad esempio nell’immagine è “5?”, e il partecipante, premendo più velocemente possibile un pulsante, risponde se quel numero era presente fra i numeri della serie o meno. | ci sono due pulsanti: SÌ oppure NO Nel caso dell’immagine la risposta è SÌ, perché era compreso nella serie. 2. VARIABILE INDIPENDENTE => è la risposta SÌ oppure NO Dunque in questo paradigma si varia l’ampiezza della serie da mantenere in memoria (un numero alla volta) e si varia la presenza, oppure l’assenza, della sonda nella serie. VARIABILE DIPENDENTE => tempo di reazione (TR) | quantità di tempo trascorso tra la presentazione del numero sonda e la pressione del tasto di risposta SCOPO DELL’ESPERIMENTO: studiare i processi con cui avviene la ricerca di elemento all’interno della memoria a breve termine In particolar modo cerca di stabilire se la ricerca produce esplorando uno ad uno gli elementi contenuti in memoria (RICERCA SERIALE) oppure tutti gli elementi insieme (RICERCA IN PARALLELO). 15 Se si esegue questo esperimento, ad esempio, in un gruppo di 30 partecipanti, possiamo andare a misurare il tempo di risposta che varia in funzione della sonda (presente o assente) e in funzione del numero di elementi presenti nella serie. I risultati che si ottengono sono i seguenti: Il grafico proposto mette in relazione i tempi di risposta, se la risposta è sì (pallino bianco) oppure no (pallino nero), e il numero di elementi presenti nella serie. L’allungamento è lineare e costante, cioè per ogni elemento aggiuntivo della serie si aggiunge un punto di risposta simile. Quindi, ogni volta che c’è un numero in più, il tempo Quali sono le inferenze che si possono fare rispetto di risposta si allunga di un tot. a quali sono i processi mentali sottostanti? ESEMPIO: Se ho un solo numero nella serie, ci metto un tempo x. Se nella serie ho due numeri, ci metto x 2. E così via… Per cercare qualcosa nella memoria devo andare ad esaminare tutti i numeri della serie uno alla volta, come se fosse un album di figurine. Dal grafico in alto, sembrerebbe che la ricerca dei numeri nella nostra memoria (indipendentemente dalla quantità) avviene in maniera SERIALE | dopo aver memorizzato tutti i numeri, per vedere se la sonda c’è, vado a ricercarla uno a uno nei vari numeri della serie Oltre al fatto che la ricerca nella memoria avviene in modo seriale, una seconda inferenza ci rivela che noi soggetti mettiamo in atto una RICERCA ESAUSTIVA | OVVERO: finisco comunque di esplorare tutto quello che è in memoria indipendentemente che io abbia trovato il numero o meno Dai risultati ottenuti, quindi, possiamo formulare 2 inferenze: 1. LA RICERCA È SERIALE => lo dimostrano i risultati secondo i quali all’aumentare dei numeri della serie, aumenta il tempo di risposta 2. LA RICERCA È ESAUSTIVA => lo dimostrano i risultati secondo i quali le risposte “SÌ” e “NO” coincidono Dunque la CRONOMETRIA MENTALE e l’EFFETTO STROOP sono due esempi di come, misurando il tempo di risposta, noi possiamo formulare delle inferenze riguardo a quali possano essere i meccanismi alla base del fenomeno studiato (in questo caso, la ricerca all’interno della memoria). 16 NEUROPSICOLOGIA La NEUROPSICOLOGIA è la disciplina che studia le basi neurali delle funzioni mentali. | Il metodo neuropsicologico classico nasce nella seconda metà del XIX secolo con lo studio della relazione tra disturbi del linguaggio e lesioni di aree specifiche del cervello (Broca e Wernicke) Nasce grazie a due importanti neurologi: il francese Paul Broca (1824-1880) il tedesco Carl Wernicke (1848-1904) Broca incontrò un paziente che mostrava l’incapacità di produrre il linguaggio | quindi era in grado di comprendere ciò che si diceva, ma quando doveva esprimere qualcosa, uscivano delle parole sbagliate (senza senso) | perciò non riusciva ad esprimere ciò che voleva dire Quando il paziente è morto, Broca ha dissezionato il suo cervello, scoprendo così che aveva avuto un ictus. Quindi una parte del suo cervello non aveva ricevuto sangue per molto tempo e quindi si era danneggiata. Broca ha aperto il suo cervello per esaminare quale era l’area lesa nel cervello del suo paziente / ha evidenziato quest’area che, ancora oggi, si chiama AREA DI BROCA, che si trova nel lobo frontale inferiore dell’emisfero sinistro Quest’area, secondo Broca, poteva essere l’area che serviva a parlare. Quindi una lesione in quell’area produceva un’incapacità di parlare. Pochi anni dopo, Carl Wernicke mostra un deficit molto correlato, ma opposto. | il paziente di Wernicke non era in grado di comprendere il linguaggio parlato, mentre, invece, era in grado di esprimersi Wernicke aprì il cervello del suo paziente dopo la sua morte e si accorse che l’area compromessa in questo paziente è un’area temporale | quest’area si chiama, ancora oggi, AREA DI WENICKE Il metodo neuropsicologico classico si ferma a questo: a localizzare le funzioni nelle aree. Oggi la neuropsicologia classica è assolutamente superata. Gli psicologi cognitivi utilizzano la neuropsicologia ad un altro scopo… | nasce così la NEUROPSICOLOGIA COGNITIVA La neuropsicologia cognitiva nasce negli anni ‘70 del XX secolo. | studia il comportamento dei pazienti con disturbi psicologici allo scopo di capire meglio il funzionamento dei processi mentali normali 17 Il senso della neuropsicologia cognitiva non è tanto quello di localizzare le funzioni nel cervello, ma di comprendere qualcosa sulle funzioni e sui processi cognitivi. Il principale strumento di indagine della neuropsicologia cognitiva è la DISSOCIAZIONE / si ha una dissociazione quando un paziente mostra un danno selettivo a una particolare componente del sistema cognitivo Sostanzialmente si basa sul fatto che: quando un paziente estrae tutte le cose meno che una, significa che quella cosa è funzionalmente distinta dalle altre L’esistenza di una dissociazione è interpretata come dimostrazione dell’esistenza di un MODULO => cioè un sistema specifico che risponde solo (modularità del sistema cognitivo) a stimoli di una particolare classe | assunto molto forte della psicologia cognitiva del secolo scorso, che ha segnato in maniera molto profonda la scienza psicologica che fino ad oggi studia, ad esempio, le funzioni cognitive separatamente: - la percezione - l’attenzione - la memoria - … con l’idea che questi sono dei moduli distinti e che siano funzionalmente indipendenti fra loro. Quindi memorizzare un’informazione è diverso che prestare attenzione,… Dunque sono sorretti da moduli funzionalmente distinti e c’è un famosissimo libro “La mente modulare” di uno psicologo cognitivo, Jerry Fodor. \ l’idea che il nostro sistema cognitivo sia un insieme di moduli, ognuno dei quali riceve un’informazione in entrata e dà un’informazione in uscita L’insieme di questi moduli consente la vita cognitiva di ciascun individuo. La neuropsicologia ci descrive moltissimi pazienti che hanno dei deficit specifici. / Sono tutti pazienti che in genere hanno una lesione cerebrale anatomicamente circoscritta, perché hanno avuto un’emorragia cerebrale o ictus o una pallottola o altro… che ha lesionato una parte specifica del cervello. Al neurologo cognitivo interessa poco dove e cosa sia leso nel cervello, ma quello che gli interessa è: § Che cosa succede dopo quella lesione? § Che cosa il paziente sa o non sa fare? 18 Sono stati descritti dei deficit molto specifici. ESEMPI: o Agnosia => incapacità di riconoscere oggetti alla vista | cioè il paziente perde la capacità, però in realtà vede perché non ha niente alla retina. Infatti, essa risponde perfettamente a una mappa visiva, ma non è in grado di riconoscere che cosa ha davanti agli occhi. o Prosopoagnosia => deficit ancora più specifico, in cui il paziente pur essendo in grado di riconoscere gli oggetti alla vista, non riconosce i volti | perciò sa di essere davanti a un volto, ma non sa a chi appartiene e usa altri elementi di riconoscimento come il colore o la lunghezza dei capelli, la voce, i vestiti, gli orecchini,… o Eminegligenza spaziale => pazienti che, in seguito a una lesione cerebrale (emisfero parietale di destra), unilaterale non sono più in grado di prestare attenzione a una parte dello spazio / cioè quella parte dello spazio per loro non esiste: non è che non la vedono, ma è come se non ci fosse o Afasia => incapacità di produrre un linguaggio, ma sono in grado di comprenderlo o Dislessia acquisita => in seguito a una lesione cerebrale, non sono più in grado di leggere | da non confondere con la dislessia evolutiva Tutte queste sono delle sorta di dissociazioni, dove il paziente va mediamente bene in altre funzioni, ma cade in maniera drastica molto forte in un’abilità. La dissociazione è proprio questa: dati due compiti, un paziente è bravo in un compito e non è bravo nell’altro. L’idea di base dell’associazione è che se c’è un insieme, un circuito o un insieme di funzioni che sorregge il compito A e un insieme di sistemi o funzioni che sostiene il compito B; qualora io leda uno dei due sistemi, il mio paziente sarà in grado di fare ciò che il sistema A gli permette di fare e non sarà in grado di fare ciò che l’altro sistema gli dovrebbe consentire di fare. ESEMPIO: - Compito A di natura linguistica - Compito B di natura spaziale Vediamo che c’è un paziente che cade nel compito linguistico, ad esempio gli mostriamo delle figure e gli chiediamo il nome di una figura: il paziente sbaglia o fa parafrasie o balbetta senza riuscire a dire delle parole... Se, però, gli chiediamo di memorizzare una serie di mosse sulla scacchiera, il paziente è bravissimo e ci riproduce ogni sequenza che noi produciamo. Quindi l’idea è: ciò che funzionalmente è utile per parlare sia indipendente, distinto, da ciò che è funzionalmente utile per analizzare l’ambiente in termini viso-spaziali. 19 C’è però un “MA” nella dissociazione semplice: un paziente con una lesione cerebrale è sifolino, cioè c’è qualcosa che non va… nel suo cervello tutto fa tutto, però siccome lui lo fa ad un livello basso, un compito facile lo riesce a portare a termine, mentre un compito difficile non lo riesce a portare a termine. Quindi potrei dire che per questo paziente non è vero che il compito A è funzionalmente distinto dal compito B, avendo trovato questa semplice dissociazione. Potrei sempre immaginare che il compito A per qualche ragione è più difficile del compito B, quindi il paziente cade nel compito difficile e va bene nel compito facile. Allora per contrastare questa possibile critica, gli neuropsicologi cognitivi hanno pensato a una DOPPIA DISSOCIAZIONE: c’è un paziente che si comporta come il primo che abbiamo visto (va male nel compito A e va bene nel compito B) altro paziente che va bene nel compito A e va male nel compito B In questo caso ho trovato, appunto, una doppia dissociazione. Quindi non posso pensare che un compito sia più difficile dell’altro, ma evidentemente questa doppia dissociazione suggerisce in maniera molto più forte l’indipendenza funzionale dei due compiti. NEUROIMMAGINE FUNZIONALE Nel secolo precedente, l’unico modo per stabilire un legame tra cervello e comportamento era quello di analizzare che cosa succedeva in persone che avevano una lesione al cervello. Con l’arrivo della tecnologia (dalla fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni ’20) si è sviluppata una tecnologia che ci ha consentito di guardare il cervello anche nelle persone sane. NEUROIMMAGINE FUNZIONALE à disciplina che studia in vivo le funzioni neurali nel cervello umano | si basa su tecniche di scansione computerizzata e visualizzazione dell’attività cerebrale, come ad esempio PET e fMRI | queste tecniche permettono di stabilire quali parti del cervello si attivano maggiormente durante l’esecuzione di un determinato compito 20 POSITION EMISSION TOMOGRAPHY (PET) La PET è una tecnica basata sul fatto che il flusso sanguigno aumenta in quelle aree del cervello che sono attivate durante l’esecuzione di un compito cognitivo. Per misurare il flusso sanguigno, si inietta nel sistema sanguigno del partecipante una piccola dose di un tracciante radioattivo. Si tratta di una tecnica più invasiva delle altre, per questo venne poi abbandonata. La PET viene ancora oggi usata, ma solo nei casi in cui i medici sono sicuri che questo esame sia assolutamente necessario per capire se c’è una patologia in corso. Dall’immagine a destra notiamo che la parte del cervello che sta lavorando richiama il sangue. | I colori indicano l’attività cerebrale, cioè la quantità di sangue affluita in ciascuna zona del cervello. Con questa tecnica si è tornati alla tecnica di Donders: per sapere quali sono le aree attivate da un compito, fotografo prima il cervello del partecipante quando egli si trova in una situazione di stasi e poi quando svolge un compito e controllo le differenze | ESEMPIO: stringere una pallina Sottraggo l’attivazione che c’è quando non viene svolto alcun compito all’attivazione di quando quel compito viene svolto. L’attivazione restante è il correlato di stringere la pallina = METODO SOTTRATTIVO. Per determinare quali siano le aree attivate durante un dato comportamento i ricercatori hanno sviluppato una tecnica sottrattiva. L’attività cerebrale viene prima misurata in una condizione di controllo, poi viene presentato lo stimolo e richiesto al partecipante di eseguire il compito (condizione sperimentale). La differenza tra le due mappe di attivazione (controllo vs sperimentale) evidenzia le zone del cervello attivate per la specifica attività. a) L’attività cerebrale viene misurata in una condizione di CONTROLLO: il paziente afferra l’oggetto à area colorata b) Richiesta di eseguire il compito al paziente = condizione SPERIMENTALE: il paziente manipola l’oggetto à area colorata c) Attività associata al comportamento: attività associata alla manipolazione dell’oggetto à data dalla differenza tra le due mappe di attivazione a) e b) 21 à La differenza tra le due mappe di attivazione (controllo vs sperimentale) evidenzia le zone del cervello attivate per la specifica attività CONCLUSIONE: Calcolo questa sottrazione per ciascuno dei miei partecipanti e poi faccio una media complessiva tra le attivazioni che ho osservato in tutti i partecipanti. ESEMPIO: Viene chiesto ad un partecipante di schiacciare un pulsante di un telecomando. Grazie alla tecnica sottrattiva, potrò ricavare il correlato tra all’intenzione di portare avanti l’azione e l’esecuzione dell’azione stessa (premere il pulsante) à sottraendo le due attività, riesco a rilevare l’area che potrebbe essere implicata in questa specifica attività RISONANZA MAGNETICA FUNZIONALE ( MRI) f Un’altra tecnica di neuroimmagine è la Risonanza Magnetica Funzionale (fMRI). / in questo caso il flusso sanguigno è misurato senza il tracciante radioattivo (a differenza del PET) L’fMRI si basa sul fatto che l’emoglobina, che trasporta l’ossigeno nel sangue, ha delle proprietà magnetiche. In pratica, se il cervello è esposto ad un campo magnetico, le molecole di emoglobina si allineano verso l’alto come dei piccoli magneti. / contiene ferro, il quale risponde in maniera selettiva al campo magnetico Nelle aree molto attivate le molecole di emoglobina perdono una parte dell’ossigeno che trasportano. Questo rende l’emoglobina “più magnetica”, cioè risponde con più forza al campo magnetico. Grazie all’fMRI si è riusciti a localizzare l’area cerebrale che si attiva quando vediamo una faccia, la cosiddetta “Fusiform Face Area”. EVENT RELATED POTENTIALS (ERP ) s ERPs = Potenziali Evento Relati à il nome deriva dal fatto che, in seguito a un evento, si registrano potenziali elettrici specifici con questo metodo si registra la risposta elettrica del cervello Rispetto al flusso sanguigno, questa risposta è molto veloce. Il cervello lavora grazie ai neuroni che tra loro sono connessi e comunicano tramite le sinapsi, dove si creano dei potenziali d’azione à si genera così un’attività elettrica ESEMPIO: Elettroencefalogramma (EEG) che misura l’attività elettrica del cervello. Anche questo è un metodo di natura sottrattiva: durante la veglia si nota una forte attività elettrica, mentre in situazione di sonno le oscillazioni elettriche risultano più regolari. 22 L’EEG viene usato anche per andare a vedere come cambia l’attività elettrica quando il cervello sta elaborando delle informazioni (= processi cognitivi) à uso della tecnica sottrattiva ESEMPIO: Guardo l’attività elettrica del cervello, poi mostro un ombrello al partecipante e vado a vedere come cambia l’attività del cervello nel momento in cui si presenta l’ombrello. Sottraggo poi l’attività iniziale con quella finale e confronto le due modulazioni. L’aumento, che sia positivo o negativo, non vuol dire niente dal punto di vista funzionale (non è vero che se il potenziale è positivo, allora c’è più attività e se è negativa c’è meno attività!!) à si tratta solo di un CAMBIO DI POTENZIALE, ci dice solo che il cervello sta facendo qualcosa Il fatto che ci sia un susseguirsi di potenziali positivi (il tracciato “va su”) e negativi (il tracciato “va giù”), però è un’indicazione importante per lo sperimentatore. o MODULAZIONI POSITIVE = P1; P2; P3… o MODULAZIONI NEGATIVE = N1; N2; N3… à Queste modulazioni nell’attività elettrica cambiano in funzione della condizione sperimentale. DIFFERENZE tra “Potenziali Evento Relati” e PET/fMRI: § la risposta del cervello agli stimoli avviene più velocemente nei “Potenziali Evento Relati” (in millesimi di secondo) rispetto all’afflusso sanguigno (PET/fMRI), dove arriva in secondi § la tecnica dei “Potenziali Evento Relati”, a differenza della PET/fMRI, non consente di localizzare con precisione l’origine dell’attività elettrica à non ci dà informazioni di localizzazione LA SIMULAZIONE I metodi di simulazione costituiscono un passo importante per avvicinare di più la psicologia alle scienze esatte. | PREMESSA IMPORTANTE il metodo simulativo consiste nello sviluppare un modello che La mente è un meccanismo non osservabile, non può è esplicito dal punto di vista computazionale essere “aperta” per studiarne il funzionamento. / Gli psicologi possono solo utilizzare metodi indiretti tradotto cioè in un programma per computer che (psicofisica, cronometria mentale, neuropsicologia) per inferire il funzionamento di processi mentali che riproduce in modo fedele il comportamento umano non sono direttamente osservabili. La simulazione non si limita a spiegare il comportamento, ma piuttosto lo riproduce. Spesso una teoria verbale è il punto di partenza per sviluppare un MODELLO COMPUTAZIONALE. La simulazione permette, quindi, di valutare in modo puntuale l’adeguatezza di una teoria (cioè quanto bene possa spiegare i dati sperimentali) e di ottenere previsioni che potranno essere verificate attraverso nuovi esperimenti. I modelli simulativi sono un laboratorio sperimentale virtuale nel quale osservare i fenomeni (simulati) e manipolare le variabili per osservarne gli effetti. Un’importante classe di modelli simulativi è costituita dalle reti neurali artificiali (detti anche modelli connessionisti) à sistemi di elaborazione dell’informazione ispirati al funzionamento del cervello 23 SEN SAZIONE E PERCEZIONE PSICOFISICA La PSICOLOGIA, come scienza, nasce in Germania. | possiamo individuare come precursore della nascita della Psicologia Cognitivista indipendente, il filosofo Johann Friedrich Herbart à filosofo della restaurazione (periodo post Napoleonico) | la sua idea, da cui poi nasce il primo laboratorio di psicologia, è di una psicologia meno scientifico sperimentale, legata alle cose del corpo, ma più metafisica basata su un mondo astratto Come la matematica e la fisica, la sua idea di psicologia doveva utilizzare dei metodi molto precisi per misurare i fatti psichici. Inoltre, con Herbart si ha l’introduzione del concetto di inconscio / | i fatti psichici (idee) hanno una certa forza: definito come forza delle idee - le idee diventano consce, solo se hanno una certa forza à soglia di coscienza - le idee deboli non scompaiono, ma restano inconsce al pari delle scienze naturali / Sulla base del suo pensiero, la psicologia esce dalla sfera qualitativa ed entra nella sfera quantitativa. DUNQUE: La psicologia non è una scienza sperimentale ma una scienza metafisica, autonoma e non subordinata alla filosofia e alla fisiologia. \ in un clima psicologico filosofico, dove Herbart vuole misurare i fatti psichici La PSICOFISICA è il ponte tra corpo e spirito à determina la relazione matematica tra le due entità \ cioè la relazione tra la stimolazione che abbiamo percepito e quello che la nostra mente ha provato Ci sono 3 filosofi importanti: § Ernst H. Weber (1795-1878) § Gustav T. Fechner (1801-1887) § Stanley S. Stevens (1906-1973) che hanno formulato rispettivamente 3 leggi, cioè modi La psicofisica studia la relazione tra mondo fisico diversi per studiare la relazione tra sensazione e stimolazione. e mondo fenomenico, assumendo che questi due mondi siano separati (come due universi distinti) / ma che ad ogni stimolo nel mondo fisico corrisponda una sensazione nel mondo fenomenico | | quello che c’è fuori esperienza di quello che c’è fuori (quello che il cervello esperisce, cioè mette in atto) 24 Nel 1879 nasce, grazie a Willelm Wundt (1832-1920), il primo laboratorio di psicologia sperimentale a Lipsia. | codifica con molta precisione e rigore il metodo sperimentale: accurata identificazione, controllo e misurazione delle variabili psichiche / vuole iniziare dal fatto psichico più semplice, cioè la risposta sensoriale ad una stimolazione à qualcosa che possiamo sentire Dunque la psicofisica studia questo rapporto come se questi modi fossero separati, ma in qualche modo paralleli. | quindi ad ogni cosa che succede nel mondo fisico corrisponde qualcosa nel mondo fenomenico pur mantenendo la loro indipendenza Si parla quindi di: PARALLELISMO PSICOFISICO à principio per cui i processi mentali e quelli fisici dell’organismo sono paralleli Non c’è relazione causale tra essi, ma a ciascun cambiamento dei primi corrisponde un cambiamento puntuale dei secondi. Perciò la psicofisica studia in che misura questi due cambiamenti sono correlati. Indipendentemente dalle specifiche modalità sensoriali, i sistemi sensoriali sono caratterizzati da due importanti proprietà comuni: o SOGLIA DIFFERENZIALE ( JND = just noticeable difference) \ minima quantità di cambiamento nell’intensità di uno stimolo necessaria a che lo stimolo sia percepito come diverso da uno stimolo di riferimento Il caso in cui l’intensità di riferimento è pari a zero permette di definire la: o SOGLIA ASSOLUTA \ minima intensità discriminabile dalla condizione in cui lo stimolo è assente A livello di sensazione posso avere delle sensazioni diverse, immaginando il peso posso avere in funzione dello stimolo delle sensazioni differenti. ESEMPIO: Siamo dal salumiere. In una mano ho una certa quantità di fette di prosciutto. o Quante fette in più di prosciutto ci devono essere perché ne segua una differenza di peso? Questa è la soglia differenziale, ovvero la quantità di cambiamento nell’intensità di uno stimolo necessaria affinché lo stimolo sia percepito come diverso da uno stimolo di riferimento, cioè un cambiamento di percezione. ESEMPI: o Di quanto deve aumentare la lunghezza di una linea per cui mi accorga che quella linea è più lunga? o Quanto devo alzare il volume per accorgermi che ci sia stato un cambiamento nel volume? Questa è la soglia assoluta, cioè quella soglia che determina quando una stimolazione viene percepita. Quindi quanto grande deve essere la stimolazione affinché io abbia un correlato della sensazione? Quanto deve pesare un oggetto affinché io mi accorga del peso? Quanto deve essere forte una luce affinché io la veda? La soglia assoluta viene definita come una sorta di soglia differenziale in cui la differenza è tra 0 e qualcosa. | stimolazione la cui intensità viene percepita nel 50% dei casi 25 MISURAZIONE DELLA SOGLIA ASSOLUTA All’osservatore sono presentate una serie di stimoli di intensità diversa per più volte; l’osservatore per ciascuno dovrà dire se li percepisce oppure no. La soglia assoluta corrisponde a quel valore dello stimolo che viene percepito per metà delle volte. STIMOLO MINIMO à VISIONE: fiamma di una candela a 45 km in una notte serena senza luna à UDITO: ticchettio di un orologio a distanza di 6 m in un ambiente silenzioso à GUSTO: un cucchiaino di zucchero in 9 lt di acqua à OLFATTO: una goccia di profumo diffusa nell’intero volume di 6 stanze Tutte queste cose si misurano in modo individuale, à TATTO: un’ala di mosca che cade sulla guancia da una ma è più o meno standard in ogni persona come distanza di 1 cm prima descritto. La psicofisica non determina la soglia assoluta in generale, ma si può misurare in maniera precisa solo la soglia assoluta di un dato individuo (es. il 50% delle volte in cui quell’individuo vede la luce). \ perché la sensazione è qualcosa di variabile in ciascuno di noi ESEMPIO: Esistono dei coloranti della lingua che evidenziano i recettori, che vengono colorati diversamente perché ciascuno di noi presenta più o meno recettori. ESEMPIO: A livello degli occhi le donne possiedono coni diversi, ereditati da due famiglie differenti e vedono più colori. MISURAZIONE DELLA SOGLIA DIFFERENZIALE L’osservatore confronta in una serie di prove uno stimolo standard con degli stimoli di confronto di intensità progressivamente maggiore (metodo degli stimoli costanti). SOGLIA DIFFERENZIALE à la minima differenza necessaria affinché si possano percepire due stimoli \ è l’incremento dello stimolo di confronto necessario a elevare la percentuale di risposte “confronto > standard” dal livello del caso a un valore convenzionalmente indicativo di una discriminazione attendibile La curva psicofisica rimane invariata. Sull’ascissa è riportata la percentuale delle volte in cui lo stimolo di confronto viene valutato come più grande dello stimolo standard. Ci sono casi in cui l’aumento dello stimolo viene percepito come più grande, altre come uguale. Il punto di eguaglianza soggettiva viene chiamato quell’aumento che metà delle volte viene percepito, l’altra metà no. 26 ESEMPIO: Se un aumento di stimolo che pesa 0,80 g in più, - io lo percepisco per metà delle volte come “il peso sperimentale è più grande di quello di confronto” - l’altra metà delle volte lo percepisco come uguale Stabilisco che la differenza minima percepibile (JND) è quel peso che io percepisco come più grande dello stimolo di confronto il 75% delle volte. OSSERVANDO IL GRAGICO PRECEDENTE: o Se quindi il mio peso di confronto è di 90 g e io mostro un peso di 93, non sento differenza. o Un peso, invece, di 99,9 g viene dato metà delle volte come più pesante dello stimolo standard e l’altra metà uguale. o Ma se io ho uno stimolo di 103 g, quello viene dato come più pesante il 75% delle volte. Ciò implica che la differenza tra 90 e 103 è la JND, ci vogliono almeno 13 g di peso affinché io mi accorga dell’effettiva differenza tra i due pesi. LE LEGGI PSICOFISICHE LA LEGGE DI WEBER Ernst H. Weber (1795-1878) osservò che distinguiamo un peso di 100 g da uno di 103 g, ma non distinguiamo un peso di 500 g da uno di 503 g. vale in tutte le modalità sensoriali, anche se la costante k varia secondo la modalità: § k piccolo à elevata sensibilità § k grande à sensibilità scarsa La legge di Weber, che descrive queste costanti, si basa in pratica sulla JND e fa vedere che la JND è proporzionale all’intensità dello stimolo in una maniera che è specifica per ciascuna modalità sensoriale. Ovviamente: - tanto più questo rapporto sarà piccolo, tanto maggiore sarà la sensibilità che ho rispetto a quella modalità sensoriale; - tanto più grande sarà k, tanto più scarsa sarà la sensibilità. Perché k sia piccolo è necessario che numeratore e denominatore siano diversi fra loro. Infatti se a parità di intensità dello stimolo metto il numeratore molto grande, k sarà molto elevato; ma se metto un numeratore molto piccolo, avrò k molto piccolo e quindi una sensibilità molto grande. Basta un incremento molto piccolo perché io già senta la differenza. 27 Ciò significa che la minima differenza di intensità che può essere rilevata (ΔI) non è un valore costante. ΔI cresce, invece, in modo direttamente proporzionale alla intensità di riferimento, cioè a rimanere costante è il rapporto ΔI/I (legge di Weber): La JND non è costante, ma proporzionale all’intensità di riferimento. La legge di Weber è generale: MINIME DIFFERENZE PERCEPIBILI (JND) Le soglie differenziali e assolute si calcolano su ciascun individuo, ma la legge di Weber vale per tutti gli individui, perché tutti noi abbiamo una costante, anche se gli individui possono variare per sensibilità. Queste sono in linea massima le sensibilità che noi abbiamo, poi ciascuno di noi può avere maggiore o minore sensibilità per ciascuna di queste modalità sensoriali. Dunque basta, ad esempio, un incremento dell’8% per vedere un’intensità di incremento della luce oppure un incremento del 5% per udire un suono più forte, ecc… LA LEGGE DI FECHENER Da Weber passiamo alla legge di Fechner, che è anche chiamata legge di Weber-Fechner, perché in realtà la legge di Fechner è sostanzialmente un’estensione della legge di Weber. Alla luce dell’assunto del parallelismo psicofisico (corrispondenza biunivoca tra stimoli e sensazione), Weber scopre che c’è una correlazione fra uno stimolo e la risposta e, dal punto di vista della psicofisica, descrive attraverso una legge matematica la relazione fra: § lo stimolo § l’intensità dello stimolo § l’intensità della sensazione Sulla base della legge di Weber, Fechner si chiese come cresce la sensazione al crescere dello stimolo. / cioè come varia la costante al crescere dell’intensità Fechner cerca di descriver come ΔI e I cambiano in funzione dell’aumento di I. ESEMPIO: Dati tre stimoli fisici di differente intensità (per es. 1,2,3) la sensazione prodotta dallo stimolo 2 starà esattamente a metà tra quella prodotta dallo stimolo 1 e quella prodotta dallo stimolo 3? Secondo Fechner tutte le JND sono soggettivamente uguali. Perciò il numero di JND sopra la soglia assoluta può essere usato come misura della grandezza della sensazione evocata da uno stimolo. Fechner osservò che aumenti costanti della sensazione corrispondono ad aumenti proporzionalmente crescenti dell’intensità dello stimolo. In altri termini, aumentando linearmente l’intensità dello stimolo la sensazione aumenta prima rapidamente e poi più lentamente. Più precisamente, Fechner stabilì che la grandezza della sensazione è proporzionale al logaritmo della grandezza dello stimolo (legge di Fechner): 28 k, la costante di Weber, viene trasformata in una costante molto simile nella legge di Fechner, che determina quanto rapidamente cresce la funzione logaritmica in funzione delle diverse stimolazioni sensoriali, tipi di stimoli, per cui certe sensazioni crescono molto più rapidamente di altre sensazioni. LA LEGGE DI STEVENS La psicofisica classica si basa su metodi indiretti (l’accrescimento dell’intensità soggettiva viene inferito dalla misura di soglia) à infatti le leggi di Webere e Fechner si sono basate su metodi indiretti per misurare la sensazione S. S. Stevens (1906-1973) propose l’uso di metodi diretti: mettere in relazione stimoli e sensazioni, utilizzando i giudizi quantitativi espressi dagli osservatori ESEMPIO: Da 1 a 100 quanto forte è la sensazione? Se metto un peso, quanto è forte? PROPOSTA DI STEVENS: cercare di confermare le leggi della psicofisica, ipotizzando di vedere se la relazione può essere descritta in termini matematici, anche misurando in maniera diretta la sensazione / chiede alle persone una stima personale dell’intensità della loro sensazione, considerando che le persone possono descrivere la loro sensazione e l’intensità della loro sensazione à Quindi usa la magnitude estimation, cioè la stima di grandezza. L’osservatore stima direttamente l’ampiezza della sensazione prodotta da stimoli di intensità diversa associando ad essa un numero. à Stima, dunque, attraverso una scala da 1 a 10 l’intensità della sua sensazione, associando un numero a ciascuna intensità di stimolazione Conferma la legge di Weber e Fechner, ma la modifica perché, misurandola in questo modo, comprende che la relazione fra stimoli e sensazione è descritta meglio da una curva esponenziale, piuttosto che da una curva logaritmica, in cui l’esponente può essere positivo o negativo. | allora la curva assomiglia ad una logaritmica 29 Stevens concluse che l’intensità della sensazione è proporzionale all’intensità fisica elevata a esponenti caratteristici della modalità sensoriale (legge di Stevens): L’intensità dello stimolo è data dall’esponente e l’esponente varia facendo variare la curva. § METODI DIRETTI: chiedo alle persone di descrivere l’intensità della sensazione, utilizzando una scala § METODI INDIRETTI: comparazione fra il primo e il secondo stimolo, se uno e più o meno intenso dell’altro Anche usando metodologie diverse, troviamo dati convergenti. PERCEPIRE IL MONDO Siamo tutti convinti di essere in contatto con la realtà, che sentiamo, vediamo, tocchiamo, assaporiamo e annusiamo le cose così come sono. PERCEZIONE VISIVA à come esemplificativo della percezione Prima di affrontare l’argomento nel proprio, vediamo perché trattiamo la percezione e perché per uno psicologo è importante trattare questo tipo di argomento. La scienza psicologica mostra che l’esperienza che abbiamo della “realtà” è costruita momento per momento nel cervello di ognuno e che cervelli diversi possono esperire il mondo in modi diversi. \ cervelli diversi possono avere realtà diverse | quello che esprimiamo come “realtà” è una versione della realtà, la nostra, e la nostra esperienza di realtà può essere leggermente o anche radicalmente diversa dall’esperienza che hanno altre persone Quando l’esperienza è simile è soltanto perché sottostiamo agli stessi (simili) limiti neurofisiologici e anatomici del sistema nervoso. In sostanza, il fatto che l’esperienza sia simile o no dipende da: quali sono i meccanismi; quanto sono condivisi a livello psicofisiologico i meccanismi che ci consentono di esperire quella realtà. L’espressione “costruire il mondo” può sembrare una licenza poetica, ma non lo è affatto. 30 Quando parliamo del mondo e della sensazione che abbiamo del mondo, in realtà inconsciamente, rapidamente facciamo una costruzione interna del mondo. / infatti, la cosa difficile da capire è che non è vero che quello che c’è intorno non lo costruiamo: pensiamo di avere davanti quello che c’è, di essere perfettamente integrati con la realtà e di vedere esattamente quello che c’è senza fare alcun processo di ricostruzione. Ma questa sensazione che abbiamo molto chiara e molto netta non è altro che il nostro cervello e i nostri organi sensoriali ci permettano di produrre questa costruzione rapidamente. ESEMPIO: Nessuno di noi ha la sensazione di ruotare nello spazio, eppure è così à la realtà intorno a noi non esiste perché c’è, ma perché ce la costruiamo Tratteremo la PERCEZIONE VISIVA che è stata quella più profondamente studiata dagli psicologi, insieme a quella uditiva, in termini di suoni linguistici. A tal proposito partiremo: - dalle proprietà fisiche dello stimolo alla base della visione (luce) - dalle proprietà anatomiche e fisiologiche del sistema sensoriale che ci permette di vedere LA LUCE La LUCE è la stimolazione fisica che stimola i nostri organi sensoriali, gli occhi, che ci permettono di vedere. | è una forma di energia elettromagnetica, come: o le onde radio o i raggi infrarossi o i raggi ultravioletti o le microonde L’unica differenza tra queste forme di energia o i raggi X è la lunghezza d’onda o i raggi gamma \ cioè la distanza che l’onda percorre tra un’oscillazione e l’altra ESEMPIO: chilometri, metri (onde radio) centimetri (microonde) o millimetri (infrarosso) Man mano che l’onda diventa ß più piccola, può essere per noi Le lunghezze d’onda più corte vengono di solito espresse in nanometri (nm), pericolosa perché distrugge i cioè miliardesimi di metro. nostri tessuti. I nanometri sono molto piccoli: un capello umano ha uno spessore di 80.000 nanometri Tra le lunghezze d’onda più lunghe e più corte c’è quello spettro di energia elettromagnetica che corrisponde alla luce visibile all’occhio umano / la lunghezza d’onda della luce è compresa fra i 400 e i 700 nanometri circa La luce ha questa precisa lunghezza d’onda, non vediamo niente sopra/sotto una certa lunghezza d’onda. 31 Siamo sensibili soltanto a questa minuscola porzione dello spettro perché i primi occhi si sono evoluti in animali che vivevano in acque melmose, e le radiazioni comprese fra i 400 e i 700 nanometri sono le uniche in grado di penetrare l’acqua. COME SI PROPAGA LA LUCE La luce interagisce con il mondo in 4 modi fondamentali: DIFFUSIONE à la ragione per cui il cielo è azzurro e le nuvole bianche (principio di diffusione della luce) RIFLAZIONE à la ragione per cui si vedono i miraggi (dato dal fatto che la luce rifrange) ASSORBIMENTO à la ragione per cui è buio nelle acque profonde (perché la gran parte della luce RIFLESSIONE à la ragione per cui gli oggetti sono visibili viene assorbita dall’acqua) | cioè il fatto per cui le onde elettromagnetiche colpiscono gli oggetti e questi riflettono la luce à di conseguenza noi siamo in grado di percepire gli oggetti DIFFUSIONE Le particelle di materia che sono sospese nell’aria (come il vapore acqueo, il fumo, la polvere), vengono colpite dai raggi luminosi, e questi vengono diffusi e respinti in tutte le direzioni. / ciò accade perché l’aria non è densa, non è formata da un’unica superficie, ma ci sono tante particelle e queste, colpite dai raggi elettromagnetici della luce, le diffondono in tutte le direzioni possibili Quanto ciascuna lunghezza d’onda viene diffusa (riflessa) dipende dal suo rapporto con la grandezza della particella. / \ particelle molto grandi tendono a riflettere particelle più piccole tendono ad assorbire le tutte le lunghezze d’onde in egual misura VS lunghezze d’onda più corte e a riflettere quelle che hanno una lunghezza d’onda più lunga Questo è il motivo per cui vediamo il cielo blu, perché l’aria è composta da tante particelle, che la luce colpisce: alcune delle onde elettromagnetiche vengono assorbite, invece vengono riflesse soprattutto quelle che hanno una lunghezza d’onda maggiore. Mentre le nuvole sono composte da particelle soprattutto di vapore acqueo, che sono più grandi e tendono a riflettere tutte le lunghezze d’onda allo stesso modo e questo fa sì che tendiamo a vederle bianche. 32 RIFLAZIONE Un fenomeno che abbiamo tutti sperimentato: quando inseriamo qualcosa nell’acqua sembra che si scomponga, che si rompa perché la luce si riflette in funzione del mezzo attraverso cui passa. Infatti, quando passano da un mezzo di una certa densità a uno di diversa densità, i raggi luminosi cambiano direzione. Ne sono un esempio i miraggi che si vedono nel deserto: la direzione del raggio luminoso cambia in funzione del mezzo che attraversa. Nel deserto c’è molto caldo, ma c’è più caldo vicino alla sabbia, rispetto a quando ci allontaniamo dalla sabbia, perché l’aria è meno rarefatta. Ciò che succede è che quando l’aria è più calda, è meno densa, e la luce subisce in qualche modo un cambio di direzione à l’aria da più rarefatta diviene meno rarefatta Quando siamo nel deserto vediamo un cammello, perché viene colpito dai raggi luminosi che riflette e che raggiungono il nostro occhio. Alcuni dei raggi luminosi cambiano direzione a seguito della rarefazione dell’aria: dove è più rarefatta la luce cambia direzione e alcuni dei raggi luminosi deviano. Il nostro occhio assume che la luce viaggi sempre in un’unica direzione, cioè dritta. Se qualcosa colpisce l’occhio basso vuol dire che quel qualcosa che ha riflesso la luce è in basso, e il nostro occhio interpreta quei raggi come provenienti da un’altra direzione e quindi ci fa vedere qualcosa che non c’è. Difatti il miraggio si vede sempre in concomitanza con qualche stimolo: di solito c’è un’oasi e l’acqua, ma non è una palma, è un vecchio ramo secco, che grazie alla presenza di qualche stimolo che noi siamo in grado di vedere un miraggio. IN SOSTANZA: I miraggi derivano dal fatto che la luce non viaggia sempre in linea retta, mentre il nostro occhio interpreta la luce come se viaggiasse sempre in linea retta. Il fatto che noi vediamo i miraggi dipende dalla proprietà di rifrazione della luce, per cui i raggi luminosi cambiano direzione in funzione della sostanza che stanno attraversando. 33 ASSORBIMENTO Quando la luce attraversa un mezzo qualsiasi, la luce viene parzialmente assorbita: una parte viene assorbita e una parte attraversa il mezzo. La luce assorbita scompare. | infatti un oggetto che assorbe tutta la luce che lo colpisce, sarebbe invisibile ai nostri occhi in un ambiente dove è tutto nero, dove non c’è nessun’altra stimolazione Man mano che la luce viene assorbita, abbiamo la diminuzione della luce. Quando ci immergiamo in acqua, la quantità di luce diminuisce sempre di più; alla fine rimangono solo le onde più lunghe, quelle che ci fanno vedere le cose blu e man mano il blu diventa sempre più nero. RIFLESSIONE La proprietà della luce che più ci interessa in questo frangente è proprio la riflessione / cioè quando la luce colpisce un oggetto, la luce viene parzialmente riflessa È questa luce riflessa che, raggiungendo i nostri occhi, ci permette di vedere l’oggetto. / gli oggetti appaiono colorati solo perché riflettono le varie lunghezze d’onda in misura diversa IN SOSTANZA: Vediamo gli oggetti perché c’è una parte della luce che viene riflessa e il loro colore dipende da quale lunghezza d’onda quella superficie riflette \ dipende proprio dalle proprietà fisiche di quella superficie ESEMPIO: Un oggetto lo vediamo blu perché la luce assorbe tutte le lunghezze d’onda e riflette quelle che hanno una lunghezza d’onda che noi vediamo come blu. La riflessione fa sì che noi possiamo vedere una superficie ruvida o liscia e dipende dal modo in cui la luce viene riflessa: o se in modo irregolare, in tante direzioni diverse, appare ruvida; o quando viene riflessa in un’unica direzione, appare riflettente, liscia. ESEMPIO: Lo specchio è al massimo della riflessione, è una superficie che riflette tutti i raggi luminosi in un’unica direzione. 34 IL SISTEMA VISIVO COM’È FATTO L’OCCHIO? Gli occhi sono un po' più piccoli di una pallina di ping-pong. \ l’occhio è alloggiato nell’orbita Un occhio normale è una sfera rinvestita da tre membrane concentriche, nel seguente ordine dall’esterno verso l’interno: 1. la sclera 2. la coroide 3. la retina Gli occhi sono in continuo movimento, collegati a dei muscoli, che noi possiamo contrarre. tre coppie di muscoli gli consentono di spostarsi a destra e a sinistra, in alto e in basso, e di ruotare Questi movimenti servono a fissare gli oggetti e inseguirli quando si spostano. SCLERA La SCLERA è il “bianco” dell’occhio: ha natura fibrosa e funzioni di protezione Nella parte frontale dell’occhio, la sclera diventa trasparente e prende il nome di CORNEA. | devia i raggi luminosi in ingresso à (rifrazione) / quindi quello che noi vediamo è una luce un po' filtrata dalla cornea e se non abbiamo una cornea, siamo un po' astigmatici COROIDE 35 strato intermedio / La COROIDE è un tappeto di cellule scure che assorbono la luce che le colpisce. Ciò diluisce i riverberi all’interno dell’occhio e fa sì che gran parte della luce che non colpisce gli organi sensoriali, cioè la retina, venga assorbita, migliorando la qualità dell’immagine. RETINA La RETINA è la sottilissima superficie che riveste internamente il fondo dell’occhio. È l’unico organo sensoriale che risponde alla luce ed è la parte sensibile dell’occhio à è il nostro recettore sensoriale entrambi riempiti da una sostanza protettiva / L’occhio è diviso in due compartimenti: quello anteriore (parte esterna) è riempito da una soluzione salina, l’umor acqueo | nutre le strutture che bagna e le depura dai prodotti di scarto L’umor acqueo serve come protezione, evitando che entrino cose negli occhi, che si fermano nell’acqua, all’esterno dell’occhio. lo spazio posteriore contiene un fluido simile all’albume, l’umor vitreo | funge da ammortizzatore quando prendiamo un colpo ed è più denso STRUTTURA DELL’OCCHIO L’IRIDE è la parte colorata dell’occhio: \ il suo colore dipende dalla quantità di melanina che contiene / il colore naturale dell’iride è l’azzurro à La melanina assorbe la luce, rendendo l’iride più scura. La tessitura dell’iride è straordinariamente irregolare e casuale, ciò la rende specifica per ciascun individuo. Nemmeno i gemelli identici hanno iridi identiche. Per questa ragione il riconoscimento automatico dell’iride può essere usato per identificare un individuo in modo virtualmente perfetto. La PUPILLA è l’apertura centrale dell’iride e migliora la messa a fuoco, restringendosi quando l’illuminazione è sufficiente. \ l’apertura di diaframma nella macchina fotografica ha la stessa funzione Quando c’è molta luce la pupilla tende a stringersi, mentre al buio tende a dilatarsi. 36 La pupilla ha anche una funzione comunicativa: le pupille si dilatano anche quando guardiamo qualcosa di interessante, e sono per questo in grado di segnalare interesse. Dietro la pupilla c’è il CRISTALLINO | lente la cui funzione è quella di mettere a fuoco i raggi luminosi che entrano nell’occhio / questi raggi hanno già subìto una prima rifrazione ad opera della cornea I raggi luminosi entrano nell’occhio ed hanno subito una certa deviazione, perché hanno attraversato la cornea, arrivano sul cristallino che fa convergere i raggi luminosi in un unico punto e mettere a fuoco l’immagine. à Per fare questo modifica la propria curvatura, un processo detto accomodazione. Il cristallino cambia di forma à attraverso dei muscoletti può contrarsi e diventare: / \ CRISTALLINO PIATTO CRISTALLINO CONVESSO | | quindi riesco a mettere a fuoco oggetti lontani, i muscoli si contraggono e il cristallino diventa convesso, perché la luce viene deviata poco in questo modo vengono visti gli oggetti più vicini CURIOSITÀ: L’operazione di vedere gli oggetti più vicini è molto più costosa, perché facciamo fatica a vedere vicino e meno a vedere lontano. Ad esempio, nelle persone anziane il cristallino si indurisce, non è in grado di contrarsi bene e non riescono a mettere a fuoco gli oggetti vicini e hanno necessità di mettere gli occhiali. 37 La parte più interessante dal punto di vista neurofisiologico è la RETINA \ superficie che riveste il fondo dell’occhio e ha un ruolo cruciale nel processo visivo Sulla retina c’è la membrana che contiene i recettori, che rispondono alla luce che entra nell’occhio attraverso la pupilla e viene riflessa attraverso il cristallino sulla retina. Pur essendo sottilissima, la retina è fatta a strati. È composta da 3 strati: 1. il primo strato è composto dai fotorecettori 2. il secondo strato è costituito dalla cellule bipolari 3. il terzo strato è composto dalle cellule gangliari NERVO OTTICO Le “code” delle CELLULE GANGLIARI cellule gangliari costituiscono le Queste cellule elaborano i segnali visivi che ricevono fibre del nervo dalle cellule bipolari e li inviano al cervello. ottico. | CELLULE BIPOLARI Il nervo ottico collega l’occhio al cervello. Le cellule bipolari raccolgono i segnali dai fotorecettori e li trasmettono allo strato successivo… FOTORECETTORI I fotorecettori sono le cellule sensibili alla luce, che convertono la luce in segnali elettrici. Paradossalmente la cellula è costruita al contrario: lo strato che dovrebbe essere colpito dalla luce è in realtà quello più interno | infatti la luce prima di arrivare ai fotorecettori, deve attraversare due strati Una conseguenza del fatto che la retina è capovolta è che il NERVO OTTICO, per poter uscire dall’occhio, deve bucare il tappeto dei fotorecettori. La zona in cui il nervo ottico esce dall’occhio è detta MACCHIA CIECA. 38 Nel punto in cui il nervo ottico deve bucare il tappeto dei fotorecettori, la retina non ha dei fotorecettori e quindi è cieca in quel punto. Questo è stato il primo problema dei neurofisiologi, perché noi nel campo visivo dovremmo vedere un buco, tuttavia non siamo sensibili della presenza di questo buco. Questa è la prova che il ostro cervello fa qualcosa in più rispetto a codificare e trasmettere la presenza della luce. Inoltre la retina presenta una piccola depressione che si chiama FOVEA ed è il punto in cui il cristallino fa convergere i raggi luminosi | punto con maggiore acuità visiva Dunque la fovea è la speciale area della retina che si trova in corrispondenza del fuoco del cristallino. Quando noi fissiamo un oggetto, gli occhi ruotano automaticamente in modo che l’immagine dell’oggetto cada esattamente sulla fovea. SOSTANZIALMENTE: Quando noi fissiamo un oggetto, i raggi luminosi cadono sulla fovea e il motivo per cui è così è perché sulla fovea c’è un certo allargamento delle cellule bipolari e gangliari, facendo spazio alla luce che arriva direttamente sui fotorecettori della retina. La fovea è l’area della retina in cui la visione è migliore. | qui la retina è anche particolarmente sottile, perché le cellule normalmente sovrapposte ai fotorecettori sono spostate di lato Se così non fosse, la fovea sarebbe dieci volte più spessa, e parte della luce verrebbe assorbita prima di raggiungerla. L’occhio umano contiene 2 tipi di fotorecettori: § i bastoncelli sono chiamati così § i coni per la loro forma Oltre ad avere il nome diverso, hanno anche delle funzioni diverse. CONI à I coni sono attivi quando c’è molta luce e permettono la visione dei colori e dei dettagli. / se la luce ambientale è scarsa, i coni rimangono inattivi ed entrano in azione i bastoncelli BASTONCELLI à I bastoncelli sono sensibili a livelli di luce anche molto bassi, ma colori e dettagli vanno perduti. 39 Se noi ci fermassimo all’impulso elettrico che riceviamo e chiedessimo a un computer di trasformare l’impulso elettrico in visione, quello che il computer farebbe vedere è un pallino a colori e tutto il resto del mondo in bianco e nero e sfumato, perché i bastoncelli ci danno poca risoluzione spaziale e quindi non distinguono bene i dettagli. Inoltre non rispondono in maniera diversificata in funzione del colore, però sono in grado di rispondere anche quando c’è poca luce. Si dice che la visione notturna o crepuscolare è sostenuta principalmente dai bastoncelli, mentre, la visione diurna è sostenuta soprattutto dai coni. Questa in realtà è una sorta di semplificazione, ma fa ben capire a quale tipo di stimolazione rispondono in maniera prioritaria le due famiglie di recettori. I recettori sono distribuiti in modo molto diverso nella retina. Nella figura si può vedere la concentrazione per millimetro quadro in funzione della posizione: immaginiamo che dove c’è 0, ci sia la fovea e poi abbiamo la retina dalla parte nasale, quindi verso il naso, e dalla parte temporale, quindi verso l’occhio. La fovea contiene unicamente coni. Fuori dalla fovea il numero di coni (in viola) cala di colpo, e rapidamente aumenta il numero di bastoncelli (in verde). La distribuzione di coni e bastoncelli è molto diversa nella fovea e nella periferia dell’occhio. Al centro della retina nella fovea noi abbiamo un’altissima concentrazione di coni che, invece, sono scarsamente distribuiti nel resto della retina. l Viceversa, nel caso dei bastoncelli non sono presenti nella fovea, ma quasi tutti sono concentrati nella parte periferica della retina. Questa diversità nella distribuzione rende conto che noi siamo bravi a distinguere ciò che fissiamo; invece, abbiamo una visione scarsa della periferia. 40 DALL’OCCHIO AL CERVELLO I segnali elettrici generati da coni e bastoncelli ripercorrono la retina all’indietro (cellule bipolari, cellule gangliari) e vengono trasmessi al cervello lungo il nervo ottico. DUNQUE: I segnali elettrici che partono dai recettori vengono trasferiti, attraverso le sinapsi, alle cellule bipolari e da qui alle cellule gangliari e poi, attraverso esse e il nervo ottico, inviati al cervello. Per spiegare la differente acuità visiva dei bastoncelli e dei coni e anche la differenza nella risoluzione spaziale a cui i due tipi di recettori rispondono, possiamo immaginare che alla base di questa differenza ci sia proprio la convergenza nell’inviare il segnale tra i recettori, le cellule bipolari e le cellule gangliari. in verde abbiamo la concentrazione dei bastoncelli in viola abbiamo la concentrazione dei coni la barra nera rappresenta la macchia cieca | il punto in cui entra il nervo ottico e buca la retina / è spostato un po' nella parte nasale della retina CONVERGENZA TRA RECETTORI E CELLULE GANGLIARI Quest’immagine è una visione semplificata di come effettivamente è la fisiologia nel dettaglio, ma è una schematizzazione di ciò che avviene veritiera. La sensibilità alla luce è maggiore nella periferia della retina rispetto alla parte centrale. La acuità visiva è maggiore nella parte centrale della retina rispetto alla periferia. Nella parte sinistra ci sono i bastoncelli, mentre nella parte destra sono presenti i coni. Immaginiamo che quello che succede nella retina è che un raggio colpisce una zona della retina e per localizzare le cose abbiamo la posizione in cui quel bastoncello/cono ha risposto, ovvero dove si trova il bastoncello o il cono che invia l’informazione, quella sua posizione sulla retina ovviamente è l’unica informazione spaziale che riceve il nostro occhio su dove l’oggetto si trova rispetto a noi che lo guardiamo. Immaginiamo, per esempio, che ci siano tre bastoncelli adiacenti sulla retina oppure tre coni adiacenti sulla retina. Tutti questi tre recettori, nel caso dei bastoncelli, convergono e attivano un’unica cellula gangliare che invia poi l’informazione al cervello. § Che cosa succede quando c’è un’alta convergenza, cioè quando molti recettori convergono a inviare il loro segnale ad un’unica cellula gangliare? Significa che, anche quando c’è pochissima luce, i bastoncelli danno una risposta molto debole, ma siccome questa risposta viene sommata, a livello di cellula gangliare, la cellula gangliare risulta attivata anche in basse condizioni di luce. Anche se la risposta di ciascun bastoncello è molto debole, questa risposta si somma a livelli di cellule gangliare e quindi i bastoncelli sono in grado di inviare segnali anche quando la luminosità è molto bassa. Tuttavia questa convergenza, se aumenta la sensibilità dei recettori, ne diminuisce la risoluzione spaziale, quindi poiché il segnale converge verso un’unica cellula gangliare, io non saprò da dove proviene esattamente quel segnale sulla retina perché saprò solo dove si trova più o meno (se più a sinistra/più al centro/più a destra). Ecco perché la risoluzione spaziale è meno forte nel caso dei bastoncelli e nel caso dei coni, in cui, invece, la convergenza è bassa. Immaginiamo che ciascun recettore sia connessa una cellula gangliare, in questo caso ha bisogno di tanta luce perché altrimenti il cono non si attiva a sufficienza per attivare una cellula gangliare e perché questa invii l’informazione al cervello, ma un livello di dettaglio spaziale molto più elevato perché avrò 1:00 cellula gangliare che si attiva per una specifica posizione sulla retina. Il livello di convergenza tra uno strato e l’altro delle cellule può spiegare molti fenomeni cognitivi proprio come i diversi strati sono interconnessi tra di loro. La sensibilità alla luce è maggiore nella periferia della retina ma si ha una bassissima risoluzione spaziale, mentre, al centro della retina nella fovea, si ha una minore sensibilità, ma un’altra risoluzione spaziale; questo appunto per la diversa distribuzione dei coni e dei bastoncelli nella retina. 41 CORPO GENICOLATOLATERALE E CORTECCIA VISIVA Nel loro viaggio verso la corteccia, le fibre del nervo ottico transitano per il corpo genicolato laterale. \ non è una stazione passiva: qui l’informazione visiva viene ulteriormente elaborata Dunque lungo il nervo ottico ( à sono due i nervi ottici, uno per ciascun occhio) una parte delle fibre del nervo si incrociano alla base del cervello e alcune delle fibre del nervo ottico terminano nel corpo genicolato laterale / da quest’ultimo partono altre fibre verso la corteccia visiva, ma la parte delle fibre del nervo ottico arriva fino alla corteccia visiva primaria