Francesco Calegari - Individual Oral Script PDF

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Francesco Calegari

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literature analysis literary characters modern dissatisfaction societal critique

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This document is an individual oral script for Francesco Calegari, analyzing how literary characters portray the persistent dissatisfaction of modern individuals in contemporary society. It compares and contrasts characters from *Madame Bovary* and *Il fu Mattia Pascal*. The document contains questions and an analysis of literary works focusing on societal alienation and the mismatch between desires and reality.

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**Script IA - Individual Oral** **Domanda guida: In che modo i personaggi letterari possono rappresentare la perenne insoddisfazione dell'uomo moderno nella società contemporanea?** [Introduzione] Il confronto tra *Madame Bovary* di Gustave Flaubert (1856) e *Il fu Mattia Pascal* di Luigi Pirande...

**Script IA - Individual Oral** **Domanda guida: In che modo i personaggi letterari possono rappresentare la perenne insoddisfazione dell'uomo moderno nella società contemporanea?** [Introduzione] Il confronto tra *Madame Bovary* di Gustave Flaubert (1856) e *Il fu Mattia Pascal* di Luigi Pirandello (1904) permette di analizzare due opere cardine della letteratura europea, rappresentative rispettivamente del realismo ottocentesco e della crisi dell'identità moderna. Entrambi i romanzi si concentrano su protagonisti profondamente alienati dalla realtà che li circonda: Emma Bovary e Mattia Pascal. Il confronto tra i due estratti evidenzia temi universali come l'alienazione, il disallineamento tra desiderio e realtà e l'illusione della libertà individuale. Entrambi i protagonisti sono intrappolati in una tensione irrisolvibile tra ciò che aspirano a essere e ciò che la realtà permette loro di diventare. La loro insoddisfazione nasce dalla distanza tra un passato idealizzato o un futuro desiderato e un presente insopportabile, che non riescono ad abitare pienamente. Questo disallineamento genera una crisi profonda: Emma Bovary si rifugia nei sogni romantici, cercando di sfuggire alla monotonia, mentre Mattia Pascal tenta di reinventarsi attraverso una nuova identità, scoprendo tuttavia che la libertà ricercata è solo un'illusione. Entrambi dimostrano l'incapacità dell'individuo di trovare un equilibrio tra ciò che è e ciò che vorrebbe essere, rappresentando così la condizione alienante dell'uomo moderno, sospeso tra desiderio e disillusione. OPERA 1: *Madame Bovary* - Gustave Flaubert - 1856 ESTRATTO 1: Fine Capitolo 8 *Seduto davanti a Emma, Charles si stropicciava le mani, disse con aria felice:* *«Ma che piacere ritrovarsi a casa propria!»* *Si sentiva singhiozzare Nastasie. Lui, in fondo, voleva un poco bene a quella povera zitella. Un tempo gli aveva tenuto compagnia, durante la solitudine della vedovanza. Era stata la sua prima cliente, la persona che conosceva da sempre in quel paese.* *«Ma l\'hai proprio licenziata davvero?» s\'informò alla fine.* *«Certo. E chi potrebbe impedirmelo?» replicò la moglie.* *Andarono a scaldarsi in cucina, mentre la donna preparava la loro camera. Charles si mise a fumare. Sporgeva le labbra, sputava di continuo, si tirava indietro a ogni boccata.* *«Finirai per sentirti male,» lei disse sprezzante. Allora lui depositò da qualche parte il sigaro, corse alla pompa a mandar giù un bicchiere d\'acqua fresca. Emma afferrò il portasigari, lo buttò con violenza in fondo all\'armadio.* *Il giorno dopo il tempo parve non passare mai. Lei passeggiò per il suo giardinetto, in su e in giù sempre per gli stessi viali, fermandosi davanti alle aiole, davanti alla siepe, davanti al prete di gesso, osservando con stupefazione tutte quelle cose di una volta che pure conosceva talmente bene. Come le pareva già lontano il ballo! Chi aveva mai posto una simile distanza tra il mattino dell\'altro ieri e la sera dell\'oggi? Il viaggio alla Vaubyessard aveva aperto una voragine nella sua vita, come uno di quei crepacci che il temporale d\'una notte scava a volte nelle montagne. Comunque, lei si rassegnò: chiuse religiosamente nel cassettone la sua bella veste e gli scarpini di seta che avevan le suole ingiallite dalla cera sdrucciolevole di quel pavimento. Somigliavano al suo cuore: anche il suo cuore, sfiorando la ricchezza, s\'era tinto di una vernice che nulla avrebbe più potuto cancellare.* *Così ricordare la festa fu la sua nuova occupazione. Ogni volta che tornava mercoledì, lei si diceva, svegliandosi: «Ah! otto giorni fa\... quindici giorni fa\... tre settimane fa, ero laggiù!» A poco a poco le facce le si confusero in mente; dimenticò l\'aria delle danze; non rivide più così esattamente livree e sale; più d\'un particolare andò perduto. Ma le restò il rimpianto.* COMMENTO ESTRATTO 1: L\'estratto contiene la fine dell'ottavo capitolo della prima parte di Madame Bovary, romanzo realista del 1856 di Gustave Flaubert, noto per la caratterizzazione psicologica del personaggio principale, Emma Bovary. L'estratto comincia con un passaggio dialogico, dove la focalizzazione esterna si concentra su una breve conversazione tra Emma e suo marito, Charles. La focalizzazione diventa poi interna e soggettiva quando l'autore esplora la psiche di Emma a metà estratto, partendo da "il giorno dopo". In questo passaggio, Emma torna a casa dopo una festa di altissima classe al castello di Vaubyessard, a cui era stata invitata insieme al marito, competente dottore. Charles è un uomo di scienza, bilanciato, razionale, ma di carattere molto umile; le sue caratteristiche si rispecchiano nel suo stile di vita. Egli gode della tranquillità e delle piccole cose nella vita; la sua prima battuta, tornato a casa è "*Ma che piacere ritrovarsi a casa propria*!". Da questo punto di vista, il personaggio di Charles può essere comparato a un cane. Apparentemente inetto, Charles obbedisce agli ordini di Emma, trova tranquillità nella routine della vita quotidiana, nei piccoli sfizi e nel suo lavoro. Ama la moglie, nonostante lei lo maltratti, e il suo lavoro, nonostante non gli vada sempre liscio (come quando opera un paziente a cui dovrà poi amputare la gamba in cancrena, parte 2 capitolo 11). Ad alcuni può fare pena, tuttavia, rimane uno dei pochi che non viene "giustiziato" da Flaubert alla fine del romanzo. Non è l'eroe romantico dei romanzi che legge Emma (forse per questo lei in fondo lo disprezza), ma Flaubert sembra trovare virtù proprio in questo. Se da una parte Charles rappresenta l'uomo capace di vivere nella società moderna con leggerezza, Emma rappresenta colei che ne viene travolta. Donna di ceto medio, cresciuta in un ambiente di bassa borghesia, rimane incantata dalla festa al castello. Attraverso la metafora della "voragine" e la similitudine al "crepaccio", il narratore descrive l'evento come un buco nero che risucchierà le energie di Emma. Una "*voragine"* all'interno di cui Emma sembra proprio cadere, senza poterne più uscire. La serata al castello alimenta la visione distorta di Emma con una carica eccezionale, tale da spingerla così a fondo nel suo malato mondo interiore romantico da renderla incapace di trovare un vero contatto con il mondo reale. Si ricorre infatti al campo semantico del ricordo, sottolineando i disturbati pensieri di Emma che ricorrono sempre al passato, senza mai potersi focalizzare sul presente della vita reale. Flaubert utilizza il discorso indiretto libero per esprimere i pensieri di Emma: "*Come le pareva già lontano il ballo! Chi aveva mai posto una simile distanza tra il mattino dell\'altro?"* In questo modo, il narratore adotta una focalizzazione interna, quindi dalla prospettiva di Emma. La scelta dell'autore di non usare il discorso diretto, ma piuttosto il discorso indiretto libero, riesce ad offuscare la linea tra la realtà e la mente di Emma. Attraverso questa tecnica, il lettore si ritrova immerso nei pensieri della protagonista senza che sia sempre chiaro cosa appartenga al mondo esterno e cosa sia frutto della sua immaginazione. Questo rispecchia il suo costante disallineamento con la realtà, poiché Emma è intrappolata in fantasie romantiche che la portano a desiderare un'esistenza diversa da quella che vive. Ricorda il castello come un'ambientazione romantica dei suoi romanzi preferiti, quindi le persone alla festa come le comparse, e se stessa, come la protagonista. "*Il giorno dopo il tempo parve non passare mai*". Emma non riesce a che pensare al ballo. La vita di tutti i giorni non porta più alcun significato, ad Emma non interessa; *"\... il suo cuore, sfiorando la ricchezza, si era tinto di una vernice che nulla avrebbe più potuto cancellare."* Qui, l'immagine metaforica viene usata per giustapporre la festa a una "vernice" che quindi rimarrà nella mente di Emma per sempre. Proprio questa frase è importantissima nel contesto del romanzo; il significato viene dato dal narratore onnisciente, ma non imparziale.. La parola "*nulla"* fa capire al lettore che la mente della protagonista è ormai irrecuperabile. La "*voragine"* all'interno di cui Emma cade la terrà dentro per sempre. Metaforicamente, come ho già detto prima, il castello può essere comparato a un buco nero, che risucchia Emma e che non la lascia più uscire. "*Ah! otto giorni fa\... quindici giorni fa\... tre settimane fa, ero laggiù!*". Il pensiero di Emma rimane incollato alla festa, e non riuscirà a staccarsi. La festa al castello è come un orizzonte degli eventi, oltre cui la mente di Emma diventa irraggiungibile. *"A poco a poco le facce le si confusero in mente; dimenticò l\'aria delle danze; non rivide più così esattamente livree e sale; più d\'un particolare andò perduto. Ma le restò il rimpianto.".* L'ultima frase, "Ma le restò il rimpianto" corta, con una congiunzione avversativa come prima parola segna l'elemento principale dello stato psicologico di Emma. Il "*rimpianto*" perseguiterà Emma, finché un evento di gravità superiore riuscirà ad attirarla fuori da tale "*voragine*", alimentando la sua visione distorta della vita, corrotta dai romanzi romantici che Emma ha sempre divorato. Questo modo di finire un capitolo, con una frase corta e di impatto, non è un *unicum*. Quando nella parte 3, capitolo 8, Emma muore dall'avvelenamento di arsenico, Flaubert scrive: "Emma aveva cessato di esistere." Duro, secco e imparziale è il modo di scrivere dell'autore realista Flaubert. L'importanza di ciò sta nel tentativo di ritrarre gli eventi per ciò che sono, in maniera analitica, scientifica. Il modo di scrivere di Flaubert è in aperto contrasto con il modo di essere di Emma, emblema dell'estetica romantica. OPERA 2: *Il fu Mattia Pascal* - Luigi Pirandello - 1904 ESTRATTO 2: Fine capitolo "Adriano Meis" *Ma io volevo vivere anche per me, nel presente. M'assaliva di tratto in tratto l'idea di quella mia libertà sconfinata, unica, e provavo una felicità improvvisa, così forte, che quasi mi ci smarrivo in un beato stupore; me la sentivo entrar nel petto con un respiro lunghissimo e largo, che mi sollevava tutto lo spirito. Solo! solo! solo! padrone di me! senza dover dar conto di nulla a nessuno! Ecco, potevo andare dove mi piaceva: a Venezia? A Venezia! a Firenze? a Firenze!; e quella mia felicità mi seguiva dovunque. Ah, ricordo un tramonto, a Torino, nei primi mesi di quella mia nuova vita, sul Lungo Po, presso al ponte che ritiene per una pescaja l'impeto delle acque che vi fremono irose: l'aria era d'una trasparenza meravigliosa; tutte le cose in ombra parevano smaltate in quella limpidezza; e io, guardando, mi sentii così ebro della mia libertà, che temetti quasi d'impazzire, di non potervi resistere a lungo.* *Avevo già effettuato da capo a piedi la mia trasformazione esteriore: tutto sbarbato, con un pajo di occhiali azzurri chiari e coi capelli lunghi, scomposti artisticamente: parevo proprio un altro! Mi fermavo qualche volta a conversar con me stesso innanzi a uno specchio e mi mettevo a Ridere.* *«Adriano Meis! Uomo felice! Peccato che debba esser conciato così... Ma, via, che te n'importa? Va benone! Se non fosse per quest'occhio di lui, di quell'imbecille, non saresti poi, alla fin fine, tanto brutto, nella stranezza un po' spavalda della tua figura. Fai un po' ridere le donne, ecco. Ma la colpa, in fondo, non è tua. Se quell'altro non avesse portato i capelli così corti, tu non saresti ora obbligato a portarli così lunghi: e non certo per tuo gusto, lo so, vai ora sbarbato come un prete. Pazienza! Quando le donne ridono... ridi anche tu: è il meglio che possa fare.»* [COMMENTO ESTRATTO 2 + OPERA 2] Questo estratto si trova verso la fine del capitolo "Adriano Meis" de Il Fu Mattia Pascal. In questo passaggio, il narratore interno nonché protagonista dell'opera, Mattia, riflette sulla sua nuova vita sotto l'alter ego di *Adriano Meis*. In parallelo con l'estratto di Madame Bovary, la prima frase comincia con una congiunzione avversativa: "Ma io volevo vivere anche per me, nel presente". Questa affermazione molto è importante nella caratterizzazione del personaggio. Pirandello critica, dell'uomo moderno, la mancanza di spontaneità nel vivere. Mattia Pascal, che rappresenta gli aspetti peggiori dell'esistenza dell'uomo, non riesce a vivere veramente, ma solo guardarsi vivere. Guardandosi vivere, riflettendo continuamente, non gli è possibile essere spontaneo, e quindi trovare la vera felicità. Il senso di libertà che sente vivendo sotto l'alias di Adriano Meis non durerà per sempre, e ritornerà sempre a guardarsi vivere da fuori. Quando Mattia dice che vuole vivere "nel presente", il lettore può quindi interpretarlo come un primo segno della condizione esistenziale di Mattia, che mai riuscirà veramente a vivere nel presente. Infatti, alla fine del secondo paragrafo leggiamo: "Mi fermavo qualche volte a conversar con me stesso innanzi a uno specchio e mi mettevo a ridere." Qui lo sdoppiamento del personaggio viene menzionato esplicitamente. Mattia ammette di guardarsi allo specchio ogni tanto, mettendosi a ridere. Questo corto passaggio è importante perché si collega al primo momento nel racconto in cui Mattia comincia a mostrare il suo sdoppiamento e la sua ricerca di libertà. Nel quinto capitolo, *Maturazione,* dopo il violento litigio con la suocera, prima di partire per Montecarlo, Mattia corre in bagno; si vede stanco, lacrimante a graffiato in faccia. Il vedersi in questo modo lo fa scoppiare a ridere. Secondo Pirandello, la comicità è l'avvertimento del contrario. (Tratto dal famoso saggio \"L\'umorismo\" del 1908 di Pirandello) In questo caso, Mattia avverte l'ironia della situazione e si mette a ridere. Questo succede perché il protagonista, usando lo specchio come metafora, si guarda vivere dall'esterno, quindi si sdoppia dalla sua psiche interna, quindi non riuscendo più a trovare la vera spontaneità nella vita. Dopodiché, però, entra in gioco "l'umorismo" , perché la comicità, per quanto divertente, è tragica, e Mattia si mette a piangere. Questo sdoppiamento diventa chiaro quando Mattia dice "Se non fosse per quell'occhio di lui, quell'imbecille,". Qui Mattia, ora Adriano, si riferisce a se stesso, ma parla in terza persona perché lui ora non è più Mattia Pascal, ma è Adriano Meis, si sente proprio una persona diversa, è scappato dalla sua identità. Come se il cambio di identità l'avesse veramente trasformato in una nuova persona, si riferisce a se stesso di prima come "lui". A confondere ulteriormente le diverse identità del protagonista, lui parla con se stesso allo specchio utilizzando la seconda persona: "Ma la colpa, in fondo, non è tua". Questo sottile dettaglio è in realtà molto importante: Il protagonista non è né Mattia Pascal ne Adriano Meis. La crisi di identità porta la sua prospettiva ad essere esterna a entrambe le identità. Così, Pirandello comincia a suggerire che la 'nuova identità' di Mattia non è altro che un'illusione del protagonista. Mattia è condannato a non sentirsi mai nessuno. È l'inetto per eccellenza; nel suo tentativo di essere qualcuno di diverso, di controllare chi è, la sua posizione nella società e la sua identità, finisce per perdere tutto. Pirandello suggerisce che la ricerca dell'autenticità, per l'uomo moderno, è un'impresa destinata al fallimento: siamo costretti a indossare maschere, adattarci ai ruoli che la società ci impone, e nel farlo perdiamo il contatto con la nostra essenza più vera. La tragica ironia della condizione di Mattia è che, nel tentativo di essere finalmente "qualcuno", finisce per non essere nessuno. Egli rappresenta l'inetto che non riesce a trovare una propria identità stabile, simbolo di un'umanità alienata che guarda la vita dall'esterno, incapace di abbandonarsi al flusso dell'esistenza. Alla fine, la lezione pirandelliana è che l'uomo moderno sia inevitabilmente condannato a una sorta di frammentazione esistenziale: nel continuo sforzo di definire chi è, finisce per smarrirsi. Si può infatti trovare un parallelo con un'altra celebre opera di Pirandello: "Uno, nessuno e centomila", dove il protagonista pian piano scopre di non conoscere se stesso, di indossare semplicemente maschere, senza una vera identità La libertà, secondo Pirandello, sembra essere solo un'illusione. Mattia, nella sua fuga dalla realtà, non fa altro che trovarsi di fronte a un'altra prigione, quella delle sue stesse riflessioni e dell'impossibilità di vivere pienamente nel presente. Pirandello ci mostra dunque che l'identità è un'ombra sfuggente, e il vero dramma dell'uomo contemporaneo è quello di inseguire invano, perdendo se stesso nel processo. CONCLUSIONE In definitiva, sia Emma Bovary che Mattia Pascal incarnano l'incapacità dell'essere umano di conciliare il proprio mondo interiore con la realtà esterna. I loro fallimenti non sono semplicemente personali, ma emblematici di un'esistenza moderna frammentata, dove l'identità e la libertà sembrano sempre fuori portata. Questo evidenzia una condizione universale: l'inevitabile disillusione che accompagna la ricerca di un senso autentico in una realtà che spesso si dimostra indifferente ai desideri umani.

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