Summary

Questo documento presenta una serie di appunti sulle basi dei circuiti, fornendo una panoramica sui concetti di cariche elettriche, interazione tra di esse, la legge di Coulomb e l'introduzione della corrente elettrica. Il testo spiega importanti principi come il concetto di carica di prova e la definizione di tensione, fornendo equazioni e formule relazionate a questo argomento.

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**FONDAMENTI DI CIRCUITI** **Le grandezze fondamentali** **Le diverse cariche elettriche possono interagire tra di loro**, ma solo in due modi: per **attrazione** o **repulsione**; in particolare, cariche **omopolari si respingono e cariche eteropolari si attraggono**. Questo fenomeno rende necess...

**FONDAMENTI DI CIRCUITI** **Le grandezze fondamentali** **Le diverse cariche elettriche possono interagire tra di loro**, ma solo in due modi: per **attrazione** o **repulsione**; in particolare, cariche **omopolari si respingono e cariche eteropolari si attraggono**. Questo fenomeno rende necessario associare un segno allo scalare che descrive "l'elettricità di un corpo" e per convenzione questo segno è stato **associato in funzione delle particelle che compongono gli atomi**: - Elettrone, particella dotata di carica negativa ([ − 1.602 ⋅ 10^ − 19^]{.math.inline} 𝐶) che orbita attorno al nucleo dell'atomo; - Protone, particella dotata di carica positiva ([1.602  10^ − 19^]{.math.inline} 𝐶) che compone il nucleo di un atomo. La Legge di Coulomb descrive l\'interazione tra cariche elettriche, basandosi sull\'ipotesi di cariche puntiformi: corpi materiali ideali con volume nullo ma massa non nulla, portatori di carica positiva o negativa. Sebbene il volume nullo sia un\'idealizzazione matematica, risulta fisicamente accettabile, poiché il volume occupato da elettroni e protoni (di raggio circa [10^ − 13^]{.math.inline} cm) è trascurabile rispetto alla scala considerata. Secondo la legge, due cariche puntiformi [*q*~1~]{.math.inline} e [*q*~2~]{.math.inline}​, poste a distanza [*r*]{.math.inline} l\'una dall\'altra, esercitano forze reciproche. L\'intensità della forza è direttamente proporzionale al prodotto delle due cariche e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. La forza esercitata da [*q*~1~]{.math.inline}​ su [*q*~2~]{.math.inline}​ può essere espressa matematicamente come: \ [\$\${\\overline{F}}\_{12} = \\frac{1}{4\\pi\\epsilon\_{0}}\\frac{q\_{1}q\_{2}}{r\^{2}}\\ {\\widehat{r}}\_{12}\\ \$\$]{.math.display}\ La forza che agisce tra due cariche, come descritto dalla Legge di Coulomb, non dipende solo dalla loro distanza, ma anche dalla direzione e dal verso stabiliti dal versore  [*r̂*~12~]{.math.inline}​, che collega la carica [*q*~1~]{.math.inline} a [*q*~2~]{.math.inline}​. Ora, considerando una distribuzione di cariche (indipendentemente dal fatto che siano ferme o in movimento), si introduce una **carica di prova** [*q*~0~]{.math.inline}​, sempre positiva e progettata per non alterare lo stato delle altre cariche. Le cariche della distribuzione, dette **cariche sorgenti**, esercitano forze su [*q*~0~]{.math.inline}​ secondo il principio di sovrapposizione. La forza complessiva percepita dalla carica di prova in qualsiasi punto è calcolabile mediante l'espressione di Lorentz, tenendo conto sia delle cariche statiche che di quelle in movimento con velocità [*v*]{.math.inline}. \ [\$\$\\overline{F} = q\\overline{E} + q\\overline{v} \\times \\overline{B}\$\$]{.math.display}\ La forza percepita dalla carica di prova [*q*~0~]{.math.inline}​ dipende sia dalla carica sorgente che dalla velocità di quest\'ultima. Tuttavia, è importante notare che la componente magnetica della forza di Lorentz, che dipende dalla velocità, **non compie lavoro** sulla carica di prova [*q*~0~]{.math.inline}​. Questo perché la forza magnetica è sempre perpendicolare alla direzione del moto della carica. Se si immagina di spostare [*q*~0~]{.math.inline}​ da un punto A a un punto B lungo un percorso [*Γ*]{.math.inline}, il lavoro compiuto dalla forza di Lorentz può essere calcolato. Per unità di carica, tale lavoro è espresso come: \ [\$\$T\_{\\text{AΓB}} = \\int\_{\\text{AΓB}}\^{}{\\widehat{i} \\bullet \\frac{\\overline{F}}{q}\\text{dl}} = \\int\_{\\text{AΓB}}\^{}{\\widehat{i}\\left( \\overline{E} + \\overline{v} \\times \\overline{B} \\right)}dl = \\int\_{\\text{AΓB}}\^{}{\\widehat{i} \\bullet \\overline{E}\\text{\\ dl}}\$\$]{.math.display}\ Come accennato, la componente magnetica della forza non compie lavoro poiché il versore tangente alla curva e la velocità​ sono sempre paralleli in ogni punto del percorso. L'integrale sopra proposto prende il nome di **tensione lungo la linea** [**Γ**]{.math.inline}**, valutata tra i punti A e B**, , misurata in volt (V). Per descrivere la tensione, è necessario specificare non solo i punti A e B, ma anche la curva Γ seguita e il verso di percorrenza. In generale, spostando la carica di prova tra A e B lungo percorsi differenti ([*Γ*~0~ ≠ *Γ*]{.math.inline}), le tensioni tendono a differire. Tuttavia, in determinate condizioni, l\'integrale risulta indipendente dalla curva specifica, dipendendo esclusivamente dai punti iniziale e finale. In queste situazioni, è possibile associare al campo vettoriale  [\$\\overline{E}\$]{.math.inline} una funzione scalare, detta **potenziale elettrico** [*e*(*t*)]{.math.inline}. La tensione può quindi essere espressa come differenza di potenziale: \ [*T*~AΓB~ = *e*~*B*~(*t*) − *e*~*a*~(*t*)]{.math.display}\ Una situazione in cui è possibile definire il potenziale elettrostatico si verifica quando tutte le cariche sono ferme o si muovono a velocità relativamente basse. In queste condizioni, il campo elettrico  [\$\\overline{E}\\ \$]{.math.inline}è conservativo, ovvero il lavoro compiuto dalla forza elettrica lungo un percorso dipende esclusivamente dai punti iniziale e finale, e non dal particolare cammino seguito. Consideriamo le due curve [*Γ*]{.math.inline} e [*Γ*~0~]{.math.inline}, che condividono lo stesso punto iniziale e finale. Invertendo il segno di una delle due curve e unendole, si ottiene un percorso chiuso [*Γ*~chiuso~]{.math.inline}​. Se il potenziale elettrostatico [*e*(*t*)]{.math.inline} è definibile, si può dimostrare che l\'integrale del campo elettrico lungo un percorso chiuso è nullo: \ [\$\$\\oint\_{\\Gamma\_{\\text{chiuso}}}\^{}{\\widehat{i} \\bullet \\overline{E}\\text{\\ ds}} = 0\$\$]{.math.display}\ In queste ipotesi, si può scegliere un punto [*O*]{.math.inline} come riferimento per il potenziale elettrico, assumendo che in quel punto il potenziale sia nullo ([*e*~*O*~(*t*) = 0]{.math.inline}). Dividendo il percorso da A a B in due tratti: [*OΓ*~1~*B*]{.math.inline} e [*AΓ*~2~*O*]{.math.inline}, si ottiene: \ [*T*~AΓB~ = *T*~*OΓ*~1~*B*~ + *T*~*AΓ*~2~*O*~]{.math.display}\ Qui, la tensione [*T*~AΓB~]{.math.inline}​ rappresenta la differenza di potenziale tra i punti A e B. Si parla di lavoro **positivo** quando il potenziale di B è maggiore di quello di A, in quanto in questo caso le cariche sorgenti effettuano lavoro sulla carica di prova [*q*~0~]{.math.inline}​. D\'ora in avanti, i termini \"tensione\" e \"differenza di potenziale\" verranno utilizzati in modo uniforme, anche se derivano da definizioni ed ipotesi leggermente diverse. Per quanto riguarda la conduzione elettrica, essa può essere paragonata al traffico stradale: in ogni punto di un circuito si verifica il movimento simultaneo di moltissimi elettroni a velocità estremamente ridotta, tipicamente frazioni di millimetro al secondo. La corrente elettrica, che è il flusso ordinato di cariche, può essere interpretata come: - Moto di **elettroni (cariche negative)** nel verso opposto al campo elettrico. - ![](media/image2.png)Oppure, moto equivalente di **cariche positive** nello stesso verso del campo elettrico. Ad esempio, un movimento di elettroni verso sinistra alla velocità di un millimetro al secondo è del tutto equivalente a un movimento di cariche positive verso destra alla stessa velocità. Questa simmetria semplifica l\'analisi della corrente elettrica nei circuiti. In tutti i casi descritti, i portatori di carica sono in movimento, rendendo questa condizione necessaria per generare una corrente elettrica. Supponiamo di avere un numero elevato di portatori di carica, ognuno con carica [*q*]{.math.inline}, in movimento con velocità [\$\\overline{v}\$]{.math.inline}​. Questi portatori occupano un volume infinitesimale descritto dalla densità [*n*]{.math.inline}, per cui il numero di portatori presenti in un volume [dV ]{.math.inline}è: \ [*dN* = *n*   *dV*]{.math.display}\ Per calcolare la quantità di carica che attraversa una superficie 𝑆 mentre i portatori si muovono, immaginiamo un cilindro con base appoggiata alla superficie 𝑆 e altezza parallela alla direzione del moto dei portatori, di lunghezza pari a 𝑣 ⋅ 𝑑𝑡. Solo i portatori che si trovano all\'interno di questo cilindro attraverseranno la superficie 𝑆 nel tempo infinitesimo 𝑑𝑡. Il numero di portatori che attraversano la superficie è quindi pari al numero di particelle contenute nel volume del cilindro, che è: \ [*dV* = *S*   *v*   *dt*   cos *β*]{.math.display}\ dove 𝛽 è l\'angolo tra la velocità 𝑣 dei portatori e la normale alla superficie 𝑆. Quindi, il numero di portatori che attraversano 𝑆 è: \ [*dN* = *n*   *Svdt*   cos *β*]{.math.display}\ Moltiplicando questo numero per la carica 𝑞 di ciascun portatore, otteniamo la quantità di carica 𝑑𝑞 che attraversa la superficie 𝑆 nel tempo 𝑑𝑡: \ [*dq* = *q*   *nSvdt*   cos *β*]{.math.display}\ Questa espressione permette di calcolare la corrente elettrica, dato che la corrente è definita come la quantità di carica che attraversa una superficie nell\'unità di tempo. Che, nell'unità di tempo diventa: \ [\$\$i = \\frac{\\text{dq}}{\\text{dt}} = nqSv\\cos\\beta\\ \\left\\lbrack A = \\frac{C}{s} \\right\\rbrack\$\$]{.math.display}\ A tale grandezza viene dato il nome di **intensità di corrente elettrica** e, come si può notare dalla definizione, necessita di una superficie attraverso cui valutare il flusso di portatori, di un orientamento normale a tale superficie e di un verso a cui associare il movimento di carica. In seguito, non si andrà più a specificare la superficie di flusso e la sua normale perché il movimento sarà vincolato ad una superficie implicita, ovvero quella del conduttore. Per quanto riguarda il verso, esso dovrà sempre essere specificato in un circuito ma la definizione di intensità di corrente è la definizione di uno scalare, non è introdotto alcun verso o direzione nell'espressione analitica; è necessario, quindi, associare un vettore all'intensità di corrente, definito come **densità di corrente**: \ [\$\$\\overline{j} = nq \\bullet \\overline{v}\\ \\left\\lbrack \\frac{A}{m\^{2}} \\right\\rbrack\$\$]{.math.display}\ Con l\'introduzione del concetto di **densità di corrente**, si chiarisce anche l'ambiguità che riguarda il verso e la direzione della corrente nei circuiti. Questi ultimi, infatti, non vengono associati all'**intensità di corrente elettrica** (uno scalare) ma al **vettore densità di corrente**  [\$\\overline{j}\$]{.math.inline}, che rappresenta il flusso orientato delle cariche in relazione al circuito considerato. Come accennato, non tutti i materiali facilitano la conduzione elettrica: nei **isolanti** (o **dielettrici**), la struttura atomica non permette alle cariche di muoversi liberamente. In questi materiali, le forze elettriche agiscono sulle cariche ma non generano un movimento complessivo significativo. Nei dielettrici, i fenomeni elettrici osservabili sono legati non a uno spostamento reale di cariche, ma alle **variazioni temporali del campo elettrico**. In questo contesto, si introduce il concetto di **densità di corrente di spostamento**, che non rappresenta un movimento effettivo di cariche ma è definita come la variazione temporale del campo elettrico. La densità di corrente di spostamento è espressa tramite il vettore: \ [\$\$\\overline{j\_{s}} = \\frac{\\partial\\overline{D}\\ }{\\partial t}\$\$]{.math.display}\ Dove [\$\\overline{D}\$]{.math.inline} è il **vettore spostamento elettrico**. La corrente di spostamento può essere determinata con la stessa relazione della corrente di conduzione, ovviamente sostituendo adeguatamente il vettore densità di corrente: \ [\$\$i = \\int\_{S}\^{}\\overline{j\_{s}} \\bullet \\ \\ \\widehat{n}\\text{\\ dS}\$\$]{.math.display}\ La considerazione della corrente di spostamento trova molte giustificazioni sperimentali e, al pari della corrente di conduzione, genera un campo magnetico; inoltre, è alla base delle concezioni di Maxwell sulla propagazione dell'energia tramite onde elettromagnetiche. In un circuito qualsiasi possono essere presenti sia la corrente di spostamento che di conduzione; quindi, si può vedere il vettore densità di corrente totale come la somma dei due contributi: \ [\$\$\\overline{j\_{t}} = \\overline{j} + \\overline{j\_{s}}\$\$]{.math.display}\ E quindi, l'intensità di corrente totale: \ [\$\$i\_{t} = \\int\_{S}\^{}{\\overline{j\_{t}} \\bullet \\widehat{n}\\text{\\ dS}} = i = \\int\_{S}\^{}{\\left( \\overline{j} + \\overline{j\_{s}} \\right) \\bullet \\widehat{n}\\ dS = i + i\_{s}}\$\$]{.math.display}\ Si può quindi affermare che l'intensità di corrente in un circuito ha diverse origini, in particolare è data dalla somma della corrente di conduzione (moto particellare dovuto ad un gradiente di particelle cariche, cioè ad una diversa concentrazione) e della corrente di spostamento (legato alle variazioni di campo elettromagnetico). Con quanto appena detto su corrente e tensione si chiude il discorso sul movimento delle cariche elettriche, affrontato dapprima in maniera dinamica (con la tensione, in cui intervengono forze) e infine in maniera meccanica (con la corrente, dove si dà spazio al concetto di velocità e movimento in sé e per sé). **Bipoli e Circuiti di Bipoli** Un bipolo è un qualunque dispositivo elettrico contenuto in un involucro e al quale sono collegati due fili conduttori; sul bipolo si possono distinguere i terminali [*T*~1~]{.math.inline} e [*T*~2~]{.math.inline}, che corrispondono ai due fili, e i morsetti [*M*~1~]{.math.inline} e [*M*~2~]{.math.inline}, le estremità dei due fili. In genere i due terminali escono insieme dall'involucro e sono uniti in un solo cavo che termina con una spina, i cui spinotti sono un unico morsetto del bipolo. Formalmente, un bipolo è rappresentato da una scatola chiusa (black box) che comunica con l'esterno, dal punto di vista elettromagnetico, con i due morsetti; inoltre, un bipolo presenta le seguenti proprietà: - La corrente che entra in un morsetto è uguale a quella che esce dall'altro; - La tensione tra i due morsetti del bipolo è indipendente dal percorso scelto per calcolarla rispetto ad ogni linea che non entra nella "scatola" del bipolo, ovvero è possibile esprimerla come differenza di potenziale. Il bipolo più semplice è un filo conduttore che serve a collegare tra loro altri bipoli e nel quale l'involucro è costituito dalla superficie stessa del filo. Un circuito di bipoli (o rete di bipoli) è un insieme di bipoli collegati tra loro tramite i rispettivi morsetti. Il circuito più semplice collega due bipoli, identificati come '1' e '2', dotati di morsetti. Se i morsetti di ciascun bipolo sono collegati, il circuito è detto chiuso, ma può anche essere aperto. Tuttavia, un circuito non può esistere se un morsetto di un bipolo è collegato all'involucro di un altro: il collegamento avviene solo tra morsetti. Con quanto detto finora è chiaro che una rete di bipoli può raggiungere complessità anche elevate; tuttavia, nella maggior parte dei casi i collegamenti tra due o più bipoli si riducono a due schemi fondamentali: il collegamento in serie e quello in parallelo. ![](media/image4.png)Una coppia di bipoli è **collegata in serie** se i suoi componenti condividono un morsetto al quale non sia collegato alcun terminale e hanno gli altri terminali liberi (la corrente si conserva): Una coppia di bipoli è **collegata in parallelo** se ciascun morsetto di un bipolo è collegato al morsetto dell'altro bipolo, componendo un circuito chiuso (la differenza di potenziale si conserva): Un **circuito composto da una batteria per auto e un faro** è un esempio di circuito di bipoli, dove la batteria e il faro sono considerati bipoli, ciascuno con una coppia di morsetti collegata alla controparte. In questo circuito, il faro emette luce, che dipende dalla corrente che attraversa i bipoli e dalla tensione ai loro capi. ![](media/image6.png)Per misurare queste grandezze, si usano due strumenti: **l'amperometro** e **il voltmetro**. Entrambi sono bipoli con due morsetti, uno dei quali è contrassegnato con un +. La differenza principale tra i due strumenti è che il voltmetro ha una coppia di cavi conduttori flessibili, mentre l'amperometro no. Come suggerisce il nome, l'amperometro misura l\'intensità della corrente, mentre il voltmetro misura la differenza di potenziale tra i morsetti. Si vogliono effettuare le seguenti operazioni: 1. Misura della corrente nel bipolo Per misurare l'intensità di corrente in un circuito, prima si stabilisce una convenzione sul segno della corrente, indicando una freccia su un terminale del bipolo e l'altra freccia sull'altro terminale, insieme a un simbolo che rappresenta l\'intensità della corrente. Successivamente, si collega l'amperometro in modo che la corrente entri nello strumento attraverso il morsetto + e ne esca dall'altro. Infine, si osserva il valore registrato dallo strumento. In base al segno della corrente misurata, si possono fare le seguenti considerazioni: se la corrente è positiva, significa che il movimento delle cariche positive segue il percorso scelto, mentre gli elettroni si spostano nel verso opposto. Se la corrente è negativa, gli elettroni si muovono nel verso definito, e il movimento delle cariche positive è invertito. Tuttavia, ciò non implica che gli elettroni siano forzati a seguire il verso arbitrario della corrente. Se si inverte la polarità dell\'amperometro, il valore della corrente sarà opposto, ma il verso effettivo degli elettroni non cambierà. È importante notare che per misurare l'intensità di corrente con l'amperometro, è necessario interrompere il circuito tra i due bipoli per inserire lo strumento. 2. Misura della tensione nel bipolo Per misurare la differenza di potenziale, si inizia determinando arbitrariamente un morsetto positivo (+) e uno negativo (-), a cui associare il segno della differenza di potenziale, indicata con [*v*(*t*) = *e*~*P*~(*t*) − *e*~*N*~(*t*)]{.math.inline}, ovvero la differenza tra il potenziale del morsetto positivo e quello del morsetto negativo. Successivamente, si collega il morsetto positivo del voltmetro al morsetto positivo del bipolo (e allo stesso modo per il morsetto negativo) e si osserva il valore misurato. Una differenza di potenziale positiva (o negativa) indica che il potenziale[ e~*P*~(*t*)]{.math.inline} supera (o è inferiore) a [*e*~*N*~(*t*)]{.math.inline} di quella quantità, ma non implica che entrambi i potenziali siano positivi (si misura solo la differenza tra i due, non i potenziali assoluti). Come per la misura dell\'intensità di corrente, la scelta arbitraria del segno dei morsetti non influisce sul risultato della misura della differenza di potenziale. Non ha importanza quale morsetto del bipolo abbia il potenziale maggiore. Per ora, sia l\'amperometro che il voltmetro sono considerati black box, cioè si osserva solo il loro funzionamento esterno, non la loro composizione interna. **Potenza ed energia elettrica** Nei capitoli precedenti, abbiamo identificato nella **corrente** e nella **tensione** le grandezze fondamentali per descrivere un circuito, ma perché proprio queste due? La risposta risiede nella loro capacità di derivare tutte le altre grandezze rilevanti in un circuito. Ogni altra grandezza fisica può infatti essere ottenuta a partire da corrente e tensione. In particolare, ciò che ci interessa in questo contesto sono le grandezze **energetiche**, come la **potenza** e l\'**energia elettrica**. Non verranno fornite definizioni complete e astratte di potenza ed energia, poiché questi concetti sono complessi e, a volte, non completamente compresi dai fisici stessi. Piuttosto, ci concentreremo su definizioni più pratiche e precise, in particolare sul calcolo dell\'energia elettrica e della potenza in un qualsiasi **bipolo**, proprio come abbiamo fatto per la tensione e la corrente. Consideriamo quindi un bipolo, inserito in un circuito, attraversato da una corrente e soggetto a una differenza di potenziale ai suoi morsetti. La potenza elettrica assorbita da questo tipo di bipolo è una grandezza che dipende in maniera qualsiasi dal tempo ed è data per definizione dalla seguente espressione: \ [*p*~ASS~(*t*) = *v*(*t*)*i*(*t*) \[*W*\]]{.math.display}\ La definizione duale alla potenza elettrica assorbita da un bipolo è quella della potenza elettrica erogata dal bipolo stesso: \ [*p*~ERO~ =  − *p*~ASS~]{.math.display}\ ![](media/image8.png)La differenza tra potenza erogata e potenza assorbita da un bipolo si distingue principalmente dal segno: una volta la potenza è ceduta dal bipolo (potenza erogata) e una volta immagazzinata (potenza assorbita). Questo significa che i valori di potenza possono essere espressi in funzione di una o dell'altra definizione. Ad esempio, se un bipolo consuma 6 watt di energia, sta assorbendo contemporaneamente -6 watt di potenza. Non è cruciale che la potenza assorbita da un bipolo sia sempre positiva e quella erogata sempre negativa; l'importante è che, per ogni singolo bipolo, la potenza assorbita e quella erogata siano l'una l'opposto dell'altra. Per misurare questa grandezza, si potrebbe teoricamente calcolare la differenza di potenziale e l\'intensità di corrente usando gli strumenti specifici e applicare la formula della potenza. Sebbene questo approccio sia corretto, non è sempre pratico, soprattutto se tensione e corrente variano nel tempo. Un metodo più semplice prevede l\'uso di uno strumento dedicato, il **wattmetro**, che consente di misurare la potenza di un bipolo in modo diretto quando collegato correttamente ad esso. Come nel caso dell'amperometro e del voltmetro, il wattmetro può essere visto come una \"black box\", cioè uno strumento il cui funzionamento interno non è necessario conoscere per utilizzarlo. Il wattmetro presenta due coppie di morsetti: una coppia **a** e **a'** (amperometrica) e una coppia **v** e **v'** (voltmetrica), ognuna con un morsetto contrassegnato dal segno **+** e uno dal segno **-**. Il corretto collegamento del **wattmetro** al bipolo è fondamentale per ottenere una misurazione accurata della potenza. I morsetti **amperometrici** (a e a\') devono essere collegati in modo tale che la corrente li attraversi dal morsetto contrassegnato dal **+** al morsetto contrassegnato dal **-**. I morsetti **voltmetrici** (v e v\') devono invece essere collegati ai rispettivi morsetti del bipolo, con il morsetto **+** del wattmetro collegato al morsetto **+** del bipolo e il morsetto **-** del wattmetro collegato al morsetto **-** del bipolo. Una volta correttamente collegato, il **wattmetro** restituirà il valore della potenza attraverso un indicatore su una scala graduata. Questo valore può essere positivo o negativo, a seconda che il bipolo stia erogando o assorbendo potenza. La necessità del wattmetro rispetto alla tecnica inizialmente proposta risiede nel fatto che la potenza è una grandezza istantanea, cioè cambia al variare del tempo: calcolando prima la corrente di un bipolo e poi la differenza di potenziale per poi farne il prodotto, viene restituito solo il valore della potenza ad un istante di tempo specifico, ma in quello successivo potrebbe cambiare; di contro il wattmetro rileva il valore della potenza istante per istante e aggiorna l'indicatore in tempo reale. L'energia elettrica assorbita da un bipolo in un certo intervallo di tempo è la seconda delle grandezze "energetiche" che dipendono da corrente e tensione e viene espressa come: \ [*U*~ASS~(*t*~1~,*t*~2~) = ∫~*t*~1~~^*t*~2~^*v*(*t*)*i*(*t*)*dt* = ∫~*t*~1~~^*t*~2~^*p*~ASS~(*t*)dt \[*J*≈*kWh*\]]{.math.display}\ Dualmente, l'energia elettrica erogata dal bipolo nello stesso intervallo di tempo: \ [*U*~ERO~(*t*~1~,*t*~2~) =  − *U*~ASS~(*t*~1~,*t*~2~)]{.math.display}\ Si può ben notare come la definizione di energia sia legata a quella di potenza dall'operatore integrale (relazione integrale), in realtà è la potenza che, nella sua definizione fisica, è la variazione di energia nel tempo (forma differenziale). Questa definizione permette di capire con più precisione perché la potenza è una grandezza istantanea e perché l'energia, come figura dalla sua espressione, sia una grandezza integrale; inoltre, osservandola si può comprendere meglio l'espressione che è stata mostrata in precedenza: \ [\$\$p\\left( t \\right) = \\frac{\\text{dU}}{\\text{dt}} = v\\left( t \\right)\\frac{\\text{dq}}{\\text{dt}} = v\\left( t \\right)i\\left( t \\right)\$\$]{.math.display}\ Restano da determinare, per ora, ancora due incognite: come si determina l'energia elettrica assorbita da un bipolo in un dato intervallo di tempo e come cambiano le formule di potenza ed energia quando cambia la convenzione fatta finora. Alla prima domanda si risponde semplicemente: con un contatore, un dispositivo che si trova in tutte le abitazioni che calcola l'energia assorbita di tutti i bipoli della struttura; per il secondo quesito, si possono considerare due convenzioni: - **Convenzione dell'utilizzatore** ![](media/image10.png)(o standard), è quella fatta finora, la quale prevede che la corrente entri nel bipolo dal morsetto contrassegnato con il + relativo alla differenza di potenziale. - **Convenzione del generatore** (o non standard), opposta alla precedente, prevede che la corrente entri nel bipolo dal morsetto contrassegnato con il -- relativo alla differenza di potenziale. **Bipoli attivi e passivi** La prima cosa da capire per **studiare un bipolo** è se esso sia **passivo o attivo**, ovvero capire se il **bipolo cede o acquista energia dalla rete**. In una rete è importante capire da dove proviene il bilancio energetico, ovvero **sapere quali particolari bipoli consumano o cedono energia**; ad esempio, una stufa assorbe energia dalla rete e la trasforma in calore, mentre un pannello solare la fornisce. Si dirà che **un bipolo è passivo** se, **fatta su di esso la convenzione dell'utilizzatore, per ogni possibile sua condizione di funzionamento e per ogni istante di tempo risulta**: \ [*U*~ASS~(−∞, *t*) = ∫~ − ∞~^*t*^*p*~ASS~(*τ*)*dτ* ≥ 0 ∀*t*]{.math.display}\ Ma la presenza di [ − ∞]{.math.inline} come estremo di integrazione rende questa definizione poco pratica all'utilizzo; pertanto, si usa una definizione più comoda: un bipolo è passivo se esiste una condizione iniziale, ad un istante [*t*~0~]{.math.inline} , tale che, per ogni condizione di funzionamento che parta da [*t*~0~]{.math.inline} risulta: \ [*U*~ASS~(*t*~0~, *t*) = ∫~*t*~0~~^*t*^*p*~ASS~(*τ*)*dτ* ≥ 0 ∀*t* ≥ *t*~0~]{.math.display}\ Da cui **si può dedurre che un bipolo passivo assorbe energia dalla rete a cui è collegato**. Di contro, **si dice che un bipolo è attivo se non è passivo**; affinché un bipolo sia attivo è, quindi, sufficiente trovare almeno una condizione di funzionamento che renda negativa l'energia elettrica assorbita, il che significa che il bipolo è capace di fornire energia al resto del circuito. Più generalmente, si può vedere se un bipolo è passivo se, fatta una convenzione, il segno dell'energia è costante. **Leggi di Kirchhoff** Il modello circuitale si basa sul concetto di bipolo: anziché analizzare un circuito fisico attraverso le leggi dell'elettromagnetismo, si studia un modello approssimato in cui ciascun componente del circuito fisico è rappresentato da un bipolo, formando il cosiddetto **circuito di bipoli**. La relazione caratteristica di un bipolo descrive il legame tra l'intensità di corrente e la tensione ai suoi terminali. Questa relazione dipende unicamente dalla natura fisica del componente che il bipolo rappresenta. Le **leggi di Kirchhoff**, invece, stabiliscono le relazioni tra le intensità di corrente e le tensioni dei vari bipoli nel circuito, dipendendo esclusivamente dalla configurazione con cui i componenti sono collegati. Consideriamo ora una rete di bipoli, questo è un esempio di **circuito di bipoli**. Sia i componenti fisici sia i corrispondenti bipoli sono interconnessi attraverso giunzioni tra terminali, dette **nodi**. Nel circuito di bipoli si possono individuare percorsi lungo i diversi bipoli, tra cui i **percorsi chiusi**, detti **maglie**, che partono da un nodo e vi ritornano. Un concetto analogo può essere applicato anche al circuito fisico. **Legge di Kirchhoff per le correnti** La legge di Kirchhoff per le correnti governa le intensità di corrente dei bipoli che incidono in uno stesso nodo. Consideriamo un generico nodo nel circuito di bipoli in esame, ed una superficie Σ che racchiuda interamente il corrispondente nodo nel circuito fisico senza mai intersecare alcun componente, se non nei terminali. Per la superficie chiusa Σ fissiamo poi un'orientazione di riferimento, ad esempio quella uscente. La legge di conservazione della carica, applicata alla superficie Σ e tenuto conto che le correnti risiedono solo nei terminali, può scriversi nella forma: \ [\$\$\\sum\_{k}\^{}{\\left( \\pm \\right)i\_{k} = - \\frac{dQ\_{\\Sigma}}{\\text{dt}}}\$\$]{.math.display}\ dove [*i*~*k*~]{.math.inline} indica l'intensità di corrente del k-esimo bipolo che incide nel nodo, e [*Q*~*Σ*~]{.math.inline} è la carica elettrica netta all'interno di Σ. L'intensità di corrente [*i*~*k*~]{.math.inline} deve essere sommata con il proprio segno (+) se il verso di riferimento è uscente dal nodo e con il segno opposto (−) nel caso contrario. La carica [*Q*~*Σ*~]{.math.inline} è addensata sui terminali e sulla giunzione metallica tra essi. In condizioni stazionarie, essendo nulle le variazioni temporali, abbiamo immediatamente: \ [\$\$\\sum\_{k}\^{}{\\left( \\pm \\right)i\_{k} = 0}\$\$]{.math.display}\ ![](media/image12.png)Essa prende il nome di legge di Kirchhoff per le correnti (LKC), e costituisce una delle equazioni fondamentali del modello circuitale. Naturalmente essa è rigorosamente esatta solo nel caso stazionario. In condizioni lentamente variabili, pur essendo la derivata di [*Q*~*Σ*~]{.math.inline} diversa da zero la sua ampiezza è trascurabile rispetto alle ampiezze delle intensità di corrente dei bipoli collegati al nodo. Dunque, nell'ambito del modello circuitale la riterremo sempre valida, anche in condizioni variabili nel tempo. *"la somma algebrica delle intensità di corrente dei bipoli incidenti in un qualsiasi nodo è uguale a zero, istante per istante."* \ [\$\$\\sum\_{k}\^{}{\\left( \\pm \\right)i\_{k}\\left( t \\right) = 0}\$\$]{.math.display}\ **Legge di Kirchhoff per le tensioni** La legge di Kirchhoff per le tensioni governa le tensioni dei bipoli che appartengono ad una stessa maglia. Consideriamo ora una generica maglia di bipoli ed il corrispondente percorso chiuso Γ sul circuito fisico. La legge di Faraday-Neumann applicata alla curva Γ percorsa, ad esempio, in senso orario, può scriversi nella forma: \ [\$\$\\sum\_{h}\^{}{\\left( \\pm \\right)V\_{h} = - \\frac{d\\Phi\_{\\Gamma}}{\\text{dt}}}\$\$]{.math.display}\ Dove [*V*~*h*~]{.math.inline} è la tensione del h-esimo bipolo appartenente alla maglia e [*Φ*~*Γ*~]{.math.inline} il flusso del campo magnetico concatenato con Γ. Analogamente alle correnti i segni dipendono dalla concordanza tra il verso di percorrenza scelto dalla corrente e quello di percorrenza della maglia. Analogamente al caso delle correnti andiamo a considerare anzitutto la situazione stazionaria (d/dt=0). Si ha: \ [\$\$\\sum\_{h}\^{}{\\left( \\pm \\right)V\_{h} = 0}\$\$]{.math.display}\ Essa prende il nome di legge di Kirchhoff per le tensioni (LKT), e costituisce l'altra relazione fondamentale del modello circuitale. Anch'essa è rigorosamente esatta solo in condizioni stazionarie. In condizioni lentamente variabili, pur essendo la derivata di [*Φ*~*Γ*~]{.math.inline} diversa da zero la sua ampiezza è trascurabile rispetto alle ampiezze delle tensioni dei bipoli della maglia. Nell'ambito del modello circuitale la riterremo sempre valida anche in condizioni variabili nel tempo. Legge di Kirchhoff per le tensioni: *"la somma algebrica delle tensioni dei bipoli che formano una qualsiasi maglia è uguale a zero, istante per istante".* \ [\$\$\\sum\_{h}\^{}{\\left( \\pm \\right)V\_{h}\\left( t \\right) = 0}\$\$]{.math.display}\ In questo caso, con l'espressione somma algebrica intendiamo quanto segue: le tensioni che hanno versi di riferimento concordi con il verso di percorrenza scelto per la maglia intervengono con il proprio segno nella somma, quelle con versi discordi sono sommate con segni opposti. **Equazioni indipendenti** ![](media/image14.png)Ogni volta che si vuole risolvere (o trovare il punto di funzionamento) di una rete, si intende dire che si desidera determinare, per ogni ramo della rete, sia la tensione che la corrente. È evidente che, per ottenere questo scopo, è necessario utilizzare le due leggi di Kirchhoff. Ma quante volte è necessario usarle? O, più formalmente, quante equazioni veramente indipendenti esse consentono di scrivere? Senza entrare in complicate dimostrazioni, si può dire che, per una rete costituita da n nodi e r rami, è possibile scrivere soltanto r equazioni indipendenti. Precisamente, è possibile scrivere n − 1 volte la LKC e r − (n − 1) la LKT. Utilizzando superfici gaussiane che racchiudano un nodo per volta, si può dire che le n − 1 LKC indipendenti sono quelle applicate a tutti i nodi della rete, tranne uno evidentemente. Utilizzando, invece, il concetto di albero, si può dire che le r − (n − 1) maglie indipendenti, cui applicare la LKT, si possono ottenere aggiungendo all'albero i rami del coalbero, considerati uno per volta. Su queste due ultime affermazioni si tornerà più diffusamente nel seguito. Le leggi di Kirchhoff (LKC e LKT) sono strumenti fondamentali per l\'analisi dei circuiti elettrici, ma la loro applicabilità è limitata a determinati contesti. Queste leggi sono valide in **regime stazionario**, cioè quando le correnti e i campi elettrici non variano nel tempo in modo significativo, e sono strettamente connesse alle leggi di Maxwell, che descrivono i fenomeni elettromagnetici in generale. Tuttavia, le leggi di Kirchhoff si applicano con buona approssimazione solo a **circuiti a parametri concentrati**, dove le dimensioni del circuito sono trascurabili rispetto alla lunghezza d\'onda associata alla frequenza di lavoro. In altre parole, la velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche deve essere molto più alta rispetto al tempo necessario affinché una perturbazione attraversi il circuito. Nei **circuiti a parametri concentrati**, la propagazione del segnale è così rapida che gli effetti del ritardo nel trasporto dei segnali possono essere ignorati, e le correnti e le tensioni possono essere trattate come grandezze istantanee. Questi circuiti sono tipici per frequenze **basse**, come i circuiti audio, dove la lunghezza d\'onda è molto più grande della dimensione fisica del circuito. Nei **circuiti a parametri distribuiti**, invece, la propagazione delle onde elettromagnetiche non è trascurabile, e le dimensioni del circuito sono confrontabili o superiori alla lunghezza d\'onda. Questi circuiti sono utilizzati per frequenze molto alte, come nelle **microonde**, dove la velocità di propagazione delle onde non è infinita e i fenomeni elettromagnetici devono essere trattati in modo più complesso. In sintesi, le leggi di Kirchhoff sono applicabili in **circuiti a parametri concentrati**, ossia in regimi a **frequenze basse** o quasi stazionari, dove i fenomeni di propagazione delle onde sono praticamente istantanei. In circuiti con frequenze alte, come quelli ad alte frequenze o ottici, le leggi di Kirchhoff perdono validità e il modello a parametri distribuiti diventa necessario. **Matrice di incidenza** Nei ragionamenti che si stanno sviluppando, non si è mai avuto bisogno di specificare la natura dei singoli bipoli che formano il circuito. Per sottolineare anche graficamente questo fatto, è utile ed anche comodo, finché ci si limita a scrivere le LK, eliminare le 'scatolette' che rappresentano gli involucri dei bipoli, limitandosi a rappresentare i diversi lati con dei semplici segmenti. Disegnata in tal modo, si dice che la rete è rappresentata semplicemente come un grafo. Un grafo è costituito esclusivamente da **rami** e **nodi**. Se su ogni ramo si mantiene l'orientazione scelta per la corrente e per la tensione del ramo corrispondente nella rete, il grafo si definisce **orientato**. La scrittura automatica delle equazioni risolventi di una rete di bipoli può essere agevolata e utilizzata in un codice numerico rappresentando il grafo orientato della rete attraverso una **matrice di incidenza**. Si costruisca una matrice [*A*~*C*~]{.math.inline}, di [*n*]{.math.inline} righe ed [*r*]{.math.inline} colonne, il cui generico elemento [*a*~ij~]{.math.inline} sia così definito: \ [\$\$a\_{\\text{ij}} = \\left\\{ \\begin{matrix} 1\\ se\\ dal\\ nodo\\ i\\ parte\\ il\\ ramo\\ j \\\\ - 1\\ se\\ al\\ nodo\\ i\\ arriva\\ il\\ ramo\\ j \\\\ 0\\ \\ se\\ il\\ nodo\\ i\\ non\\ è\\ interessato\\ dal\\ ramo\\ j \\\\ \\end{matrix} \\right.\\ \$\$]{.math.display}\ ![](media/image16.png)È chiaro che una tale matrice, detta matrice d'incidenza completa della rete, definisce univocamente il grafo orientato (sono stati riportati anche i versi delle correnti) della rete stessa. Ad esempio, la matrice di incidenza del grafo orientato riportato in figura è: \ [\$\$\\mathbf{A}\_{C} = \\begin{pmatrix} 1\\ & - 1\\ & \\ 0\\ & \\ 0\\ & - 1\\ \\\\ \\ - 1\\ & \\ 1\\ & \\ 1\\ & \\ 1\\ & \\ 0\\ \\\\ \\ 0\\ & \\ 0\\ & - 1\\ & - 1\\ & \\ 1 \\\\ \\end{pmatrix}\$\$]{.math.display}\ Si noti come le tre righe rappresentino rispettivamente i nodi 1, 2 e 3, mentre le cinque colonne sono associate ai rami della rete. Facendo uso della matrice di incidenza si possono esprimere le equazioni di Kirchhoff per la rete in forma matriciale. È facile verificare che, indicato con [*I*]{.math.inline} il vettore colonna delle correnti nei rami, il sistema di equazioni simbolicamente espresso dalla relazione matriciale: \ [**A**~*C*~**I** **=** **0**]{.math.display}\ rappresenta il sistema di equazioni che esprime l'applicazione della legge di Kirchhoff agli n nodi della rete. Continuando ad esaminare il precedente esempio, si verifica facilmente che: \ [\$\$\\mathbf{A}\_{C}\\mathbf{I = 0 \\rightarrow \\ }\\left\\{ \\begin{matrix} i\_{1} - i\_{2} - i\_{5} = 0 \\\\ - i\_{1} + i\_{2} + i\_{3} + i\_{4} = 0 \\\\ - i\_{3} - i\_{4} + - i\_{5} = 0 \\\\ \\end{matrix} \\right.\\ \$\$]{.math.display}\ Come è noto, le equazioni di un tale sistema non sono tutte linearmente indipendenti; basta tuttavia eliminare una delle equazioni per ottenere n − 1 equazioni indipendenti ai nodi. Ciò equivale ad eliminare una riga della matrice di incidenza completa e prendere in considerazione la matrice A di dimensioni (n − 1) × r. Tale matrice prende il nome di matrice di incidenza ridotta, o semplicemente matrice di incidenza, quando è implicito che si tratti di quella ridotta. Per quanto riguarda la legge di Kirchhoff alle maglie, si è già osservato che queste relazioni risultano automaticamente soddisfatte se si esprimono le tensioni sui lati come differenza di potenziale dei nodi. Se il lato k, per esempio, insiste tra il nodo p ed il nodo s, si avrà \ [*v*~*k*~ = *e*~*p*~ − *e*~*s*~]{.math.display}\ dove [*e*~*p*~]{.math.inline} ed [*e*~*s*~]{.math.inline} sono i potenziali dei nodi [*p*]{.math.inline} ed rispetto ad un riferimento preso ad arbitrio e sul ramo generico si è fatta la convenzione dell'utilizzatore. Se, a questo punto, si definisce il vettore colonna E dei potenziali degli n − 1 nodi, per i quali sono state scritte le LKC, rispetto al restante nodo preso come riferimento, cioè assunto a potenziale nullo, è facile convincersi che le r relazioni, che esprimono le tensioni di lato in funzione dei potenziali ai nodi, hanno l'espressione matriciale: \ [**V=A**^**T**^**E**]{.math.display}\ in cui [**A**^**T**^]{.math.inline} rappresenta la matrice trasposta di A, di dimensioni r × (n − 1). Anche in questo caso la semplice verifica delle affermazioni fatte in un caso particolare potrà essere chiarificatrice. **Conservazione delle potenze elettriche** *"la somma delle potenze elettriche assorbite da tutti i bipoli di una qualsiasi rete è sempre nulla in ogni istante di tempo".* Per la verità, la proprietà che si vuole dimostrare è il **teorema di conservazione delle potenze virtuali**, che rende più generale la proprietà di conservazione delle potenze elettriche. Questo teorema è dovuto all'ingegnere olandese Bernard Tellegen. Si considerino due reti che siano costituite da bipoli diversi, seppur collegati alla stessa maniera tra di loro: più sinteticamente, si pensi che le due reti siffatte abbiano lo stesso grafo. Non interessa, in questa sede, investigare la natura dei bipoli presenti su ciascun ramo: l'importante è che le due reti siano costituite dallo stesso numero di nodi e di rami. Per essere certi, poi, di aver fatto la stessa convenzione, si immagini di fare su entrambe le reti la convenzione dell'utilizzatore. Le tensioni e le correnti della prima rete verranno indicate con i simboli [*v*~*k*~(*t*)]{.math.inline} ed [*i*~*k*~(*t*)]{.math.inline}; le tensioni e le correnti della seconda rete, invece, per distinguerle da quelle della prima, verranno contrassegnate con un asterisco, cioè [*v*~*k*~^\*^(*t*)]{.math.inline} ed [*i*~*k*~^\*^(*t*)]{.math.inline}. Si supponga, inoltre, che l'insieme di tensioni della prima rete soddisfi le LKT e che l'insieme di correnti della seconda rete soddisfi le LKC. Ciò premesso, per ogni ramo, si prenda in esame il prodotto [*v*~*k*~(*t*)   *i*~*k*~^\*^(*t*)]{.math.inline} della tensione del generico ramo della prima rete per la corrente del lato omologo della seconda e si esegua la somma di tali prodotti per tutti i rami della rete. Risulta che: \ [\$\$\\sum\_{k = 1}\^{r}{v\_{k}\\left( t \\right) \\bullet i\_{k}\^{\*}\\left( t \\right) = 0}\$\$]{.math.display}\ essendo '[*r*]{.math.inline}' il numero di rami della rete. Per esprimere una sommatoria in termini dei nodi 𝑝 ed 𝑠 che individuano un ramo 𝑘, si incontra il problema che non tutti i nodi del grafo sono direttamente collegati. Tuttavia, questo ostacolo si supera aggiungendo al grafo i rami mancanti tra i nodi, trattandoli come \"bipoli aperti\", ossia rami in cui la corrente è nulla. A questo punto la sommatoria può essere estesa a tutti i valori possibili di [*p*]{.math.inline} e di [*s*]{.math.inline}, ottenendo: \ [\$\$\\sum\_{k = 1}\^{r}{v\_{k}\\left( t \\right) \\bullet i\_{k}\^{\*}\\left( t \\right) = \\frac{1}{2}\\sum\_{p = 1}\^{n}{\\sum\_{s = 1}\^{n}{v\_{\\text{ps}}\\left( t \\right) \\bullet i\_{\\text{ps}}\^{\*}\\left( t \\right)}}}\$\$]{.math.display}\ in cui 'n' rappresenta il numero di nodi della rete. Il fattore 1/2 è necessario poiché ogni ramo è preso due volte in considerazione. Se le tensioni soddisfano le LKT, sarà possibile sempre metterle sotto la forma di una differenza di potenziale, ottenendo: \ [\$\$\\sum\_{p = 1}\^{n}{\\sum\_{s = 1}\^{n}{\\left\\lbrack e\_{p}\\left( t \\right) - e\_{s}\\left( t \\right) \\right\\rbrack i\_{\\text{ps}}\^{\*}\\left( t \\right) = \\sum\_{p = 1}\^{n}{\\sum\_{s = 1}\^{n}{e\_{p}\\left( t \\right)i\_{\\text{ps}}\^{\*}\\left( t \\right) - \\sum\_{p = 1}\^{n}{\\sum\_{s = 1}\^{n}{e\_{s}\\left( t \\right)i\_{\\text{ps}}\^{\*}\\left( t \\right)}}}}}}\$\$]{.math.display}\ D'altra parte, nella prima sommatoria [*e*~*p*~(*t*)]{.math.inline} può essere portato fuori dalla somma su s (esso è per definizione fisso su s), mentre nella seconda sommatoria si può fare una cosa analoga, se prima si scambiano le sommatorie. In definitiva si ha che: \ [\$\$\\sum\_{p = 1}\^{n}{\\sum\_{s = 1}\^{n}{\\left\\lbrack e\_{p}\\left( t \\right) - e\_{s}\\left( t \\right) \\right\\rbrack i\_{\\text{ps}}\^{\*}\\left( t \\right) = \\sum\_{p = 1}\^{n}{e\_{p}\\left( t \\right)\\sum\_{s = 1}\^{n}{i\_{\\text{ps}}\^{\*}\\left( t \\right)} - \\sum\_{s = 1}\^{n}{e\_{s}\\left( t \\right)\\sum\_{p = 1}\^{n}{i\_{\\text{ps}}\^{\*}\\left( t \\right)}}}}}\$\$]{.math.display}\ In entrambe le sommatorie compaiono termini nulli del tipo \ [\$\$\\sum\_{s = 1}\^{n}{i\_{\\text{ps}}\^{\*}\\left( t \\right)} = 0,\\ \\ per\\ un\\ valore\\ di\\ p\\ fissato\$\$]{.math.display}\ \ [\$\$\\sum\_{p = 1}\^{n}{i\_{\\text{ps}}\^{\*}\\left( t \\right)} = 0,\\ \\ per\\ un\\ valore\\ di\\ s\\ fissato\$\$]{.math.display}\ In altri termini, per un fissato nodo, la somma delle correnti uscenti dal nodo o delle correnti entranti nel nodo è nulla. Si osservi che quanto affermato è vero solo se si è avuto la cura di usare sempre la stessa convenzione su ogni bipolo. nella forma dimostrata, il teorema di Tellegen stabilisce qualcosa di più: esso prende il nome di teorema delle potenze virtuali e tornerà molto utile in regime sinusoidale per introdurre il concetto di potenza reattiva. Prima di concludere questo paragrafo, è utile sottolineare un altro aspetto molto importante della conservazione delle potenze elettriche. Precisamente, è interessante capire tutte queste potenze elettriche assorbite che fine fanno. La risposta è, come sempre, semplice: dipende dalla natura dei singoli bipoli. **Bipoli e le loro caratteristiche** Le Leggi di Kirchhoff (LK) forniscono una base topologica fondamentale per analizzare i circuiti elettrici, ma non sono sufficienti da sole per risolvere completamente un circuito. Come già sottolineato, le LK si concentrano sulle relazioni tra correnti e tensioni nei rami di un circuito, ma non forniscono informazioni sulle caratteristiche specifiche dei bipoli, ossia sugli elementi che compongono il circuito. Per risolvere un circuito in modo completo, è necessario conoscere sia la **corrente** che la **tensione** in ogni ramo del circuito, e quindi bisogna avere a disposizione [**2r**]{.math.inline} **parametri** (rami e relativi valori di corrente e tensione). Questo è il punto in cui le **caratteristiche dei bipoli** diventano essenziali. La **caratteristica di un bipolo** descrive il legame funzionale tra la **tensione** e la **corrente** che lo attraversa, rappresentando il comportamento elettrico del bipolo stesso. Ogni bipolo (resistivo, induttivo, capacitivo, ecc.) avrà una caratteristica specifica che lega la tensione ai parametri fisici e alle variazioni nel tempo della corrente che lo attraversa. Questo legame può essere espresso in forma di un **funzionale**, ossia una relazione matematica che collega le variabili tensione e corrente, includendo anche le loro derivate temporali se il bipolo è reattivo (come nel caso di induttori e condensatori). Le caratteristiche dei bipoli forniscono quindi il **complemento essenziale** alle Leggi di Kirchhoff per risolvere circuiti complessi, poiché permettono di determinare come la tensione in un bipolo dipende dalla corrente (e viceversa) e come essa cambia in funzione del tempo, soprattutto in presenza di elementi reattivi come induttori e condensatori. \ [\$\$F\\left( t,v,i,\\frac{\\text{dv}}{\\text{dt}},\\frac{\\text{di}}{\\text{dt}},\\frac{d\^{2}v}{dt\^{2}},\\ldots \\right) = 0\$\$]{.math.display}\ Se questo **legame non dipende dal tempo**, il bipolo è detto **tempo-invariante.** In entrambi i casi le grandezze elettriche non vengono mostrate in funzione del tempo per una questione di semplicità. Detto in questi termini, **la caratteristica di un bipolo può essere un legame qualsiasi, di tipo algebrico e/o differenziale**, **tra tensione e corrente** che, nella forma implicita indicata, risulta difficile da manipolare; nella pratica il funzionale in forma implicita sarà possibile ridurlo in forme più o meno trattabili e/o esplicitabili. L'esempio più semplice di caratteristica di un bipolo è la **caratteristica statica**, in cui il **funzionale viene espresso solo su corrente e tensione, escludendo le loro derivate**: \ [*F*(*v*,*i*) = 0]{.math.display}\ Un bipolo con questo tipo di caratteristica viene detto **bipolo senza memoria**, in quanto sono le derivate che tengono traccia dell'andamento della grandezza. Quando il **funzionale della caratteristica** di un bipolo può essere espresso in **forma esplicita**, il bipolo stesso viene detto **diniano**; tra i bipoli diniani si distinguono: 1. **Bipoli controllati in corrente** dove è la tensione ad essere espressa univocamente in funzione della corrente e, quindi, ad ogni corrente corrisponde certamente una sola tensione. 2. **Bipoli controllati in tensione** dove è la corrente ad essere espressa univocamente in funzione della tensione e, quindi, ad ogni tensione corrisponde certamente una sola corrente. ![](media/image18.png)I bipoli possono essere classificati in base alla linearità del loro legame tra tensione, corrente e le loro derivate. In una rete, tra due morsetti A e B, esiste una relazione tensione-corrente che dipende dai bipoli collegati tra loro. Se questa rete può essere sostituita da un singolo bipolo che mantiene la stessa relazione tensione-corrente tra A e B, si dice che la rete e il bipolo sono **equivalenti**. L\'equivalenza riguarda solo l\'aspetto esterno, poiché all\'interno della rete e del bipolo potrebbero esserci dinamiche diverse. **Il Resistore** La **Legge di Ohm** stabilisce una relazione di proporzionalità tra la differenza di potenziale e la corrente in un conduttore, applicabile a bipoli chiamati resistori. Scoperta nei primi decenni del XIX secolo, la legge ha avuto un ruolo fondamentale nell\'elettromagnetismo, ma oggi è considerata rilevante solo in contesti statici e per determinati tipi di bipoli. In pratica, se si applica una differenza di potenziale maggiore a un conduttore, la corrente che circola sarà proporzionalmente maggiore, con un rapporto costante tra tensione e corrente. \ [*v*(*t*) =  ± *Ri*(*t*),  *dove* *il* *segno* *dipende* *dal* *verso* *della* *corrente* *che* *lo* *attraversa* ]{.math.display}\ La **resistenza** [*R*]{.math.inline} di un conduttore è **la grandezza che esprime la relazione tra la differenza di potenziale applicata e la corrente che attraversa il corpo**. La resistenza si misura in Ohm (Ω) e **rappresenta quanto un corpo si oppone al passaggio della corrente**. Un resistore ha una resistenza di 1Ω se, con una differenza di potenziale di 1V, la corrente è di 1A. **La resistenza dipende dalla geometria del corpo e dai punti di applicazione della differenza di potenziale**. Ohm, interpretando la corrente come derivata della densità di corrente e la tensione come integrale di una forza, ha paragonato la resistenza al moto viscoso, in cui le cariche subiscono una \"resistenza viscosa\" causata dalle interazioni con il reticolo cristallino e la configurazione atomica del conduttore. Il **resistore è un bipolo che può essere descritto sia in termini di corrente che di tensione**, usando anche la **conduttanza** come parametro alternativo. \ [*i*(*t*) = *G*   *v*(*t*)]{.math.display}\ Per conduttanza si intende: \ [\$\$G = \\frac{1}{R} \\geq 0\\ \\lbrack S,\\ \\ Siemens\\rbrack\$\$]{.math.display}\ Tra la **Legge di Ohm con la convenzione del generatore e con la convenzione dell'utilizzatore cambia unicamente il segno meno, il quale non è associato alla resistenza** (che rimane sempre la stessa) ma alla corrente. A cambiare è anche il grafico di proporzionalità: La Legge di Ohm, applicata con maggiore attenzione, rivela che la **resistenza** di un conduttore dipende da vari fattori, tra cui il materiale del conduttore, la sua geometria e la temperatura. Nel caso di un conduttore a forma di cilindro, come esempio semplificativo, Ohm ha osservato che la resistenza è proporzionale alla **lunghezza** del cilindro e inversamente proporzionale alla **sezione trasversale** del conduttore. La relazione sperimentale, valida per la maggior parte dei conduttori metallici in un ampio intervallo di valori, può essere espressa come: \ [\$\$R = \\rho\\frac{L}{S}\$\$]{.math.display}\ Detta seconda Legge di Ohm; [*ρ*]{.math.inline} è la resistività (il suo inverso 𝜎 è detto conducibilità), dipende dalla natura e dalle condizioni fisiche del materiale e si misura in Ω · 𝑚 (la conducibilità S/m), mentre il rapporto lunghezza-superficie [*L*2]{.math.inline} In questo caso **la corrente è nulla qualsiasi sia la tensione ai morsetti**: \ [*i*(*t*) = 0 ∀*v*(*t*)]{.math.display}\ Il bipolo in questione viene definito **bipolo circuito aperto (o a vuoto)** e la sua realizzazione avviene **ponendo tra i morsetti un perfetto materiale non conduttore (un isolante).** In analogia con il resistore, il bipolo in questione può essere visto come un conduttore a conducibilità elettrica nulla; infatti, in tale situazione, la corrente che passa nel conduttore è nulla per qualsiasi tensione ai suoi capi. Contrariamente al bipolo cortocircuito, al circuito aperto non vengono quasi mai associate situazioni catastrofiche, sebbene esso possa causare situazioni pericolose che verranno affrontate in seguito. **Generatori indipendenti** \ [*v*(*t*) = *e*(*t*), ∀*i*(*t*)]{.math.display}\ Il fatto che il generatore eroghi sempre la stessa tensione quale che sia la corrente che circola in esso implica che, **indipendentemente dal circuito a cui è collegato, la tensione ai suoi capi rimarrà sempre la stessa**. In precedenza, è stato assunto per vero che il generatore di tensione sia attivo, ma questa proprietà può essere dimostrata; considerando un circuito su cui è stata fatta la convenzione dell'utilizzatore, in cui circola una corrente [*i*(*t*)]{.math.inline} e a cui è collegato un generatore di tensione che eroga una tensione [*e*(*t*)]{.math.inline} con una ben nota forma d'onda, l'energia assorbita dal sistema in un certo intervallo è: \ [*U*~ASS~(*t*~0~,*t*) = ∫~*t*~0~~^*t*^*e*(*t*)*i*(*t*)dt]{.math.display}\ Ma la **corrente che attraversa il generatore dipende dalla rete**, non dal generatore stesso; quindi, può essere definitivamente positiva o negativa oppure a segni alterni; ciò fa si che **l'energia assorbita dal generatore possa essere negativa** e quindi che eroghi e non assorba. Si deduce, quindi, che il generatore di tensione è un bipolo attivo. Nella caratteristica del generatore di tensione è **implicito che si possa erogare una qualsiasi tensione**, al limite infinita quando la corrente va ad infinito; chiaramente questa condizione è ideale, e **nella realtà quando la corrente che circola nel generatore diventa troppo grande la tensione non si mantiene uguale al valore che assume a corrente nulla (detta tensione a vuoto), bensì diminuisce fino a tendere a zero e a cambiare segno per un valore di corrente finito che prende il nome di corrente di cortocircuito del generatore**. Per rappresentare al meglio un generatore di tensione reale si può collegare in serie ad un generatore ideale (con tensione erogata pari alla tensione a vuoto) un resistore, che porta in conto gli effetti della "resistenza interna del generatore". ![](media/image25.png)In maniera analoga si può definire il **bipolo generatore di corrente (ideale)**: in esso circola una corrente con una forma d'onda assegnata ed indipendente dalla tensione tra i suoi terminali. \ [*i*(*t*) = *i*~0~(*t*), ∀*v*(*t*)]{.math.display}\ Ripetendo le stesse considerazioni di prima, si può dimostrare come anche il generatore di corrente sia un bipolo attivo e come esso sia ben lontano dal modello reale; tuttavia, la schematizzazione circuitale del generatore di corrente reale è diversa da quella del generatore di tensione perché il resistore è in parallelo e non in serie. **Condensatori** Il **bipolo condensatore** può essere rappresentato in modo semplice immaginando due conduttori piani paralleli posti a una distanza [*d*]{.math.inline}, separati da un materiale isolante. Indipendentemente dalla loro forma, questi conduttori vengono definiti **armature del condensatore**. Per capire l\'origine del termine \"condensatore\", consideriamo che sulle due armature siano presenti cariche opposte, [*q*]{.math.inline} e [ − *q*]{.math.inline}, mantenute isolate dall\'ambiente esterno. Il campo elettrico generato da queste cariche è costituito da linee di campo che partono dall\'armatura positiva e terminano su quella negativa. Nella regione centrale tra le due armature, le linee di campo sono parallele ed equispaziate, mentre nelle aree esterne si diradano (non rappresentate in figura). Questa configurazione visiva fa pensare che le linee di campo si \"condensino\" nella zona tra le due armature, dove si accumula la maggior parte dell\'energia del campo elettrico. Da qui deriva il nome di questo bipolo. Per semplicità, supponiamo inizialmente che il mezzo tra le due armature sia il vuoto; in seguito, verrà considerato un caso più generale con un dielettrico qualsiasi. Da ciò si può desumere che il condensatore è caratterizzato da due grandezze: **la carica** [**q**]{.math.inline}, che non è la carica totale del condensatore (che è nulla) ma **corrisponde al valore assoluto della carica che viene posizionata su ognuna delle due armature**, e la **differenza di potenziale** [**V**~**0**~ ]{.math.inline}che si instaura tra di esse. Queste due grandezze sono in una relazione lineare tra di loro: \ [*q* = *C*   *V*~0~]{.math.display}\ Dove la costante di proporzionalità [*C*]{.math.inline} è chiamata **capacità del condensatore** e **dipende dalla forma e dalla posizione relativa delle due armature**, **nonché dal dielettrico interposto tra di esse**. La sua **unità di misura** è il **Farad**, in onore del fisico inglese Michael Faraday che si occupò, tra le molte cose a cui ha lavorato, di sviluppare il concetto di capacità; si può notare come questa unità derivi dal coulomb e dal volt, infatti: \ [\$\$C = \\frac{q}{V\_{0}} = \\frac{\\left\\lbrack C \\right\\rbrack}{\\left\\lbrack V \\right\\rbrack} = \\left\\lbrack F \\right\\rbrack\$\$]{.math.display}\ Per semplificare lo studio del **bipolo condensatore**, si cerca una condizione in cui il campo elettrico all'esterno delle armature sia trascurabile. Sebbene questa condizione non sia rigorosamente reale (poiché un campo nullo all\'esterno contraddirebbe le equazioni di Maxwell), è possibile fare un\'utile approssimazione. Si supponga che la distanza tra le due armature sia molto più piccola rispetto alla loro lunghezza. In questo caso, il campo elettrico all\'interno del condensatore diventa praticamente uniforme, con linee di campo parallele ed equispaziate. Gli effetti di bordo, cioè le irregolarità del campo nelle aree vicine ai margini delle armature, risultano così trascurabili. Questa situazione semplifica lo studio, permettendo di lavorare con un modello ideale adatto agli scopi della trattazione. Per ricavare analiticamente la formula del campo elettrico del condensatore si applica il **teorema di Gauss**. In un caso generale, si considera un dielettrico generico al posto del vuoto, ma questa generalizzazione può essere semplificata, riconducendosi al caso iniziale. Si sceglie come superficie di integrazione un **parallelepipedo** di altezza [*h*]{.math.inline}, racchiuso tra due superfici piane di area A, coincidenti in forma e dimensione con le armature del condensatore. Secondo il teorema di Gauss, il flusso del campo elettrico [*E*]{.math.inline} attraverso la superficie chiusa [*Σ*]{.math.inline} è uguale alla carica totale racchiusa all'interno del volume delimitato da [*Σ*]{.math.inline}, divisa per la costante di proporzionalità [*ε*~0~]{.math.inline}​: \ [\$\$\\oint\_{\\Sigma}\^{}{\\overline{E} \\bullet \\ \\ \\widehat{n}dS = \\frac{Q\_{\\text{tot}}}{\\varepsilon\_{0}}}\$\$]{.math.display}\ Non resta altro che applicare questa formula alla geometria appena rilevata: si può subito notare come il campo elettrico [\$\\overline{E}\$]{.math.inline}, nell'ipotesi di assenza di effetti di bordo, elida molti contributi scomodi del flusso; infatti ad annullarsi non è solo il contributo della superficie che interseca l'interno dell'armatura, in quanto la carica totale dentro un conduttore è nulla, ma anche tutti i contributi delle superfici laterali, perché il campo elettrico in questa configurazione è uniforme e ha linee di campo parallele che vanno da un armatura ad un'altra, sono ortogonali alla normale a tali superfici e quindi il loro prodotto scalare si annulla. L'unico contributo rimasto è costituito dalla superficie rivolta verso l'interno del condensatore: le linee di campo e la normale alla superficie sono vettori sempre paralleli in questa regione di spazio, inoltre il campo elettrico assume lo stesso valore in tutti i punti del condensatore (essendo uniforme) quindi: \ [\$\$\\oint\_{\\Sigma}\^{}\\overline{E} \\bullet \\widehat{n}\\ dS = EA = \\frac{q}{\\varepsilon\_{0}} \\rightarrow E = \\frac{q}{A\\varepsilon\_{0}}\$\$]{.math.display}\ Conoscendo il campo elettrico si è in grado di ricavare la differenza di potenziale tra le armature del condensatore, sapendo che essa è l'integrale di linea del campo elettrico valutato a partire da un punto [*P*~inf~ ]{.math.inline}sull'armatura inferiore ad un punto [*P*~sup~]{.math.inline} sull'armatura superiore, ma non è vietato scegliere questi due estremi sulla stessa linea di campo elettrico: \ [\$\$V\_{0} = \\int\_{P\_{\\inf}\\ }\^{P\_{\\sup}}\\overline{E} \\bullet \\widehat{i}\\ dl = \\int\_{P\_{\\inf}\\ }\^{P\_{\\sup}}\\frac{q}{A\\varepsilon\_{0}}\\widehat{i} \\bullet \\widehat{i}\\ dl = \\frac{\\text{qd}}{A\\varepsilon\_{0}}\$\$]{.math.display}\ Dove [*d*]{.math.inline} è la distanza tra le due armature, associata al percorso [\$\\overline{P\_{\\inf}\\ P\_{\\sup}}\$]{.math.inline} scelto sulla linea di campo elettrico; queste ipotesi sono possibili solo perché il campo elettrico è conservativo rispetto alla circuitazione nel caso stazionario; quindi, essa non dipende dal particolare percorso congiungente i due estremi. Dall'ultima relazione si può ricavare la capacità, in quanto costante di proporzionalità tra carica e differenza di potenziale: \ [\$\$C = \\varepsilon\_{0}\\frac{A}{d}\$\$]{.math.display}\ Da questo risultato, valido per i condensatori piani, si può notare che la capacità è una quantità dipendente solo dalla forma, dalla geometria del condensatore e dalle caratteristiche elettriche del mezzo interposto tra le due armature. Per condensatori di altre forme geometriche ci sono delle formule apposite che discendono da ragionamenti simili ma in questa sede non saranno dimostrate; al fine pratico interessano i condensatori cilindrici e i condensatori sferici, in quanto sono quelli più comunemente adottati in ambito industriale. Un condensatore cilindrico è composto da due cilindri coassiali di raggi [*a*]{.math.inline} e [*b*]{.math.inline} e lunghi [*L*]{.math.inline}, la cui capacità è: \ [\$\$C = \\frac{q}{V\_{0}} = 2\\pi\\varepsilon\_{0}\\frac{L}{\\ln\\frac{b}{a}}\$\$]{.math.display}\ Mentre un condensatore sferico è composto da due sfere concentriche di raggi [*a*]{.math.inline} e [*b*]{.math.inline}: \ [\$\$C = \\frac{q}{V\_{0}} = 4\\pi\\varepsilon\_{0}\\frac{\\text{ab}}{b - a}\$\$]{.math.display}\ Portando il raggio della sfera esterna ad infinito (𝑏 ≫ 𝑎) si può ottenere la capacità di una sfera isolata, ovvero di un condensatore sferico la cui distanza tra le armature è infinita: \ [\$\$C = \\frac{q}{V\_{0}} = 4\\pi\\varepsilon\_{0}\\frac{\\text{ab}}{b} = 4\\pi\\varepsilon\_{0}\\text{\\ a\\ }\$\$]{.math.display}\ La capacità del condensatore dipende sia dai parametri geometrici della struttura sia dal tipo di dielettrico interposto tra le armature. Se il dielettrico non è il vuoto, ma un materiale lineare e isotropo, è sufficiente sostituire [*ε*~0~]{.math.inline}​ con [*ε* = *ε*~0~*ε*~*r*~]{.math.inline} è la costante dielettrica relativa del materiale. Un esempio particolare è quello dei **condensatori a capacità variabile**, che consistono in un insieme di dischi metallici fissi alternati con dischi metallici girevoli, regolabili tramite una manopola. I dischi fissi e girevoli fungono da armature, mentre l'interstizio tra di essi è riempito da un dielettrico, che può essere aria o un isolante come la mica. Variando l\'orientamento dei dischi girevoli rispetto a quelli fissi, si modifica l'area di sovrapposizione delle armature, alterando così la capacità del condensatore. Infine, trascurando l'effetto di bordo, la corrente che attraversa un condensatore può essere espressa in funzione della tensione ai suoi capi, utilizzando la definizione di capacità: \ [\$\$q\\left( t \\right) = Cv\\left( t \\right) \\rightarrow i\\left( t \\right) = \\frac{d}{\\text{dt}}q\\left( t \\right) = C\\frac{d}{\\text{dt}}v\\left( t \\right)\$\$]{.math.display}\ ![](media/image27.png)Il ragionamento appena fatto non tiene conto di alcune condizioni necessarie affinché possa essere definita la corrente in un condensatore; infatti, a priori non esiste corrente di conduzione in esso perché non c'è attraversamento di cariche tra un'armatura ed un'altra. Sia considerato il circuito in figura e, per le considerazioni a venire, la superficie così costruita; quando le cariche mosse dalla corrente di conduzione giungono all'armatura convenzionalmente positiva del condensatore, si verifica un fenomeno per cui cessa alcun tipo di fenomeno di conduzione ma la corrente continua a circolare. Per comprendere la causa di queste osservazioni si può osservare la Legge di Ampere-Maxwell, una diretta conseguenza di questo fenomeno: \ [\$\$\\oint\_{\\Gamma}\^{}\\overline{H} \\bullet \\ \\widehat{i}\\ dl = \\int\_{S\_{\\Gamma}}\^{}{\\left( {\\overline{j}}\_{\\text{LIB}} + \\frac{\\partial\\overline{D}}{\\partial t} \\right) \\bullet \\widehat{n}dS = 0}\$\$]{.math.display}\ Considerando la curva chiusa [*Γ*]{.math.inline} riportata nella figura, si può utilizzare questa per applicare il teorema di Gauss a due superfici distinte, [*S*~1~]{.math.inline}​ e [*S*~2~]{.math.inline}​, entrambe aventi [*Γ*]{.math.inline} come bordo comune. Applicando l'equazione di Gauss alle due superfici, otteniamo due relazioni distinte, che tuttavia condividono la stessa carica totale racchiusa poiché il bordo [*Γ*]{.math.inline} è identico per entrambe. \ [\$\$\\oint\_{\\Gamma}\^{}\\overline{H} \\bullet \\ \\widehat{i}\\ dl = \\int\_{S\_{1}}\^{}{\\overline{j}}\_{\\text{LIB}} \\bullet \\widehat{n}dS = \\int\_{S\_{2}}\^{}\\frac{\\partial\\overline{D}}{\\partial t} \\bullet \\widehat{n}\\text{dS}\$\$]{.math.display}\ Il primo integrale superficiale rappresenta proprio la corrente di conduzione, dal momento che, per definizione, è \ [\$\$i\\left( t \\right) = \\int\_{S\_{1}}\^{}{\\overline{j}}\_{\\text{LIB}} \\bullet \\widehat{n}\\text{dS}\$\$]{.math.display}\ In seno alla Legge di Ampere-Maxwell, il secondo termine della somma (flusso della corrente di spostamento attraverso la superficie [*S*~2~]{.math.inline}) deve essere uguale al primo; quindi, è chiaro che al di fuori del condensatore la corrente è rappresentata dalla normale corrente di conduzione, che si trasforma in corrente di spostamento tra le armature del condensatore. Con questo discorso si afferma anche che, per studiare il comportamento elettrico di un condensatore, non ci si può limitare al modello stazionario ma, per tenere conto delle correnti di spostamento (e quindi della densità di corrente di spostamento) pur trascurando la derivata temporale del campo di induzione magnetica, si deve ricorrere al modello elettrico quasi stazionario delle equazioni di campo. In definitiva, la caratteristica del bipolo condensatore ideale è, per definizione: \ [\$\$i\\left( t \\right) = \\pm C\\frac{dv(t)}{\\text{dt}}\$\$]{.math.display}\ Dove [*C* ≥ 0]{.math.inline} caratterizza il condensatore, mentre il segno dipende dalla convenzione adottata. Il condensatore si distanzia notevolmente dal resistore per la presenza della variabile temporale sotto forma di derivata, motivo per cui è detto bipolo a memoria e costituisce una vera e propria caratteristica dinamica; infatti, dal punto di vista circuitale nel condensatore circola, in ogni istante, una corrente non dipendente dalla tensione in quell'istante ma dalla sua variazione nel tempo, cioè tiene in considerazione lo stato energetico del bipolo istante per istante. Da ciò consegue che, in un determinato istante di tempo, le cariche possono migrare sia da potenziali più alti a più bassi che viceversa. Passando a discutere dell'energia immagazzinata dal bipolo, si può osservare come il condensatore sia un ottimo serbatoio di energia; infatti, fatta sul circuito in cui esso è inserito la convenzione dell'utilizzatore, l'energia immagazzinata dipende unicamente dalla tensione ai capi del condensatore: \ [\$\$U\_{C}\\left( t \\right) = \\int\_{0}\^{t}{v\\left( \\tau \\right) \\bullet i\\left( \\tau \\right)d\\tau = C\\int\_{0}\^{t}{v\\left( \\tau \\right) \\bullet \\frac{\\text{dv}\\left( \\tau \\right)}{\\text{dτ}}d\\tau = \\frac{1}{2}Cv\^{2}\\left( t \\right)}}\$\$]{.math.display}\ Si assume come istante iniziale [*t*~0~= 0]{.math.inline} e che il condensatore vi sia scarico [*v*(0) = 0]{.math.inline}. Poiché l'energia ha sempre lo stesso segno, il bipolo condensatore è un bipolo passivo; tuttavia, è un particolare caso di passività perché può sia dare che ricevere energia ma non darà mai più di quanto esso riceve. In determinati contesti è utile, anziché usare un solo condensatore, usarne diversi opportunamente collegati: due condensatori in serie restituiranno una capacità minore di ogni singolo condensatore che compone il bipolo equivalente, mentre se in parallelo restituiranno una capacità maggiore. Di preciso, considerati due condensatori in parallelo, si può applicare la LKC per ottenere il valore della capacità equivalente: \ [\$\$i\_{1}\\left( t \\right) = C\_{1}\\frac{\\text{dv}\\left( t \\right)}{\\text{dt}},\\ \\ i\_{2}\\left( t \\right) = C\_{2}\\frac{\\text{dv}\\left( t \\right)}{\\text{dt}} \\rightarrow i\\left( t \\right) = i\_{1}\\left( t \\right) + i\_{2}\\left( t \\right) = \\left( C\_{1} + C\_{2} \\right)\\frac{\\text{dv}\\left( t \\right)}{\\text{dt}}\\ \$\$]{.math.display}\ Da cui si desume che la capacità equivalente di [*n*]{.math.inline} condensatori in parallelo è la somma delle capacità dei singoli condensatori: \ [\$\$C\_{E} = \\sum\_{i = 1}\^{n}C\_{i}\$\$]{.math.display}\ ![](media/image29.png)Per quanto riguarda, invece, due condensatori collegati in serie, si può applicare la LKT per ottenere il valore della capacità equivalente: \ [\$\$i\\left( t \\right) = C\_{E}\\frac{\\text{dv}\\left( t \\right)}{\\text{dt}} = C\_{E}\\left\\lbrack \\frac{dv\_{1}\\left( t \\right)}{\\text{dt}} + \\frac{dv\_{2}\\left( t \\right)}{\\text{dt}} \\right\\rbrack = C\_{E}\\left( \\frac{1}{C\_{1}} + \\frac{1}{C\_{2}} \\right)i\\left( t \\right)\$\$]{.math.display}\ Da cui: \ [\$\$C\_{E} = \\frac{C\_{1}C\_{2}}{C\_{1} + C\_{2}}\$\$]{.math.display}\ Generalizzando a [*n*]{.math.inline} condensatori in serie: \ [\$\$\\frac{1}{C\_{E}} = \\sum\_{i = 1}\^{n}\\frac{1}{C\_{i}}\$\$]{.math.display}\ **Induttori** Quando due spire metalliche vengono avvicinate e una è percorsa da una corrente, si genera un flusso di induzione magnetica nell'altra. Secondo la legge di Faraday-Neumann-Lenz, una variazione di questo flusso, ad esempio causata da una corrente variabile nella prima spira, induce una forza elettromotrice nella seconda spira. Questo rappresenta il caso generale di induzione elettromagnetica. Tuttavia, non è indispensabile la presenza di una seconda spira. Se la corrente varia nella prima spira, si produce una forza elettromotrice autoindotta nella stessa spira. Considerando una bobina costituita da [*N*]{.math.inline} spire molto vicine tra loro (un solenoide), il flusso magnetico [*ϕ*~*B*~(*t*)]{.math.inline} associato a ciascuna spira è uguale per tutte, in condizioni di quasi stazionarietà magnetica. In questo caso, la legge di Faraday-Neumann-Lenz per la bobina si scrive come: \ [\$\$v\\left( t \\right) = \\frac{d}{\\text{dt}}\\left\\lbrack N \\bullet \\phi\_{B}\\left( t \\right) \\right\\rbrack = N \\bullet \\frac{d\\phi\_{B}\\left( t \\right)}{\\text{dt}}\$\$]{.math.display}\ Dove [*v*(*t*)]{.math.inline} è la tensione ai capi del solenoide al quale è stata fatta la convenzione dell'utilizzatore. Si può allora considerare la grandezza fondamentale del sistema il flusso concatenato, il quale si può dimostrare essere dipendente dalla corrente che circola nell'avvolgimento tramite una costante di proporzionalità [*L*]{.math.inline}, nota come induttanza che, come nel caso del condensatore, dipende solo dalla geometria del sistema: \ [*Nϕ*~*B*~(*t*) = *Li*(*t*)]{.math.display}\ Questa relazione è vera solo nel momento in cui si considerano mezzi a comportamento lineare, con dei materiali magnetici cessa di essere valida. La tensione ai capi del solenoide può, sotto queste ipotesi, essere espressa: \ [\$\$v\\left( t \\right) = L \\bullet \\frac{\\text{di}\\left( t \\right)}{\\text{dt}}\$\$]{.math.display}\ Dove l'induttanza è misurata in henry, un'unità di misura derivata che prende il nome dal fisico americano Joseph Henry, contemporaneo di Faraday, e si può esprimere come: \ [\$\$L = \\frac{\\lbrack V\\rbrack}{\\left\\lbrack \\frac{A}{s} \\right\\rbrack} = \\frac{\\left\\lbrack V \\right\\rbrack\\lbrack s\\rbrack}{\\lbrack A\\rbrack} = \\lbrack H\\rbrack\$\$]{.math.display}\ Una delle caratteristiche importanti di questo bipolo, che d'ora in poi verrà chiamato bipolo induttore, è la presenza di un campo magnetico al suo interno, proprio come per il condensatore era presente un campo elettrico; inizia così a delinearsi una certa dualità tra i due dispositivi che porterà ad uniformare molte definizioni e molte relazioni tra di essi. ![](media/image31.png)Di seguito verrà fatto un processo di studio e di determinazione dell'induttanza di alcuni induttori di forma notevole proprio come è stato fatto per il condensatore. Si partirà dalla formula di induttanza indicata in precedenza con lo scopo di determinare la sua formulazione particolare al centro del dispositivo; partendo dal caso più semplice, ovvero quello di un induttore solenoidale molto compatto (cioè con le spire molto vicine tra di loro) e disposto in aria, si consideri un tratto centrale del solenoide di lunghezza [*h*]{.math.inline} e si supponga la sezione trasversale del solenoide di superficie [*S*]{.math.inline}, allora il flusso del campo magnetico è: \ [*ϕ*~*B*~ = *B*   *S*]{.math.display}\ Da cui: \ [\$\$L = \\frac{N\\phi\_{B}}{i} = \\frac{\\text{NBS}}{i}\$\$]{.math.display}\ Dove [*N*]{.math.inline} è il numero di spire del solenoide. Indicando con [*n*]{.math.inline} il numero di spire contenute nella sezione considerata, [*h*]{.math.inline}: \ [\$\$n = \\frac{N}{h}\$\$]{.math.display}\ E supponendo che il campo magnetico all'interno del solenoide sia uniforme e pari a [*B* = *µni*]{.math.inline} , si ha: \ [*L* = *μn*^2^Sh]{.math.display}\ Dimostrando che l'induttanza del solenoide in esame è direttamente proporzionale al suo volume 𝑺𝒉 e al quadrato del numero di spire per unità di lunghezza, attraverso la costante di proporzionalità µ, detta permeabilità magnetica del mezzo di cui è riempito il solenoide. La dipendenza quadratica non è una sorpresa, infatti raddoppiando il numero di spire non solo raddoppia N ma anche [*ϕ*~*B*~]{.math.inline} per cui l'induttanza va a quadruplicare. Finora abbiamo supposto una formulazione specifica del campo magnetico, ma esiste un metodo più generale per esprimerla che include anche il caso particolare analizzato. Consideriamo nuovamente il caso del solenoide, ossia un filo conduttore avvolto a forma di elica con un passo molto corto, attraversato da una corrente iii, in cui la lunghezza del solenoide prevale rispetto alla sua larghezza. Con una buona approssimazione, si può affermare che il campo magnetico all'interno del solenoide è uniforme e orientato lungo l'asse longitudinale del cilindro, mentre al di fuori esso può essere considerato nullo. Tuttavia, affinché le equazioni di Maxwell siano pienamente soddisfatte, è necessario che esista un campo magnetico anche all'esterno del solenoide. Nonostante ciò, nelle applicazioni pratiche questo campo esterno è trascurabile, essendo di un ordine di grandezza significativamente inferiore rispetto al campo magnetico interno, analogamente a quanto accade per il campo elettrico di un condensatore. Applicando la legge di Ampère-Maxwell al circuito chiuso [*Γ*]{.math.inline}, si ricava la formula già presentata in precedenza. \ [\$\$\\oint\_{\\Gamma}\^{}{\\overline{B} \\bullet \\widehat{i}}\\ dl = n \\bullet \\mu i\$\$]{.math.display}\ Considerando [*Γ*]{.math.inline} come composizione di quattro segmenti, la circuitazione può essere semplificata in quattro integrali curvilinei: \ [\$\$\\oint\_{\\Gamma}\^{}{\\overline{B} \\bullet \\widehat{i}}\\ dl = \\int\_{A}\^{B}{\\overline{B} \\bullet \\widehat{i}\\ dl + \\int\_{B}\^{C}{\\overline{B} \\bullet \\widehat{i}\\ dl + \\int\_{C}\^{D}{\\overline{B} \\bullet \\widehat{i}\\ dl + \\int\_{D}\^{A}{\\overline{B} \\bullet \\widehat{i}\\ dl = \\int\_{A}\^{B}{\\overline{B} \\bullet \\widehat{i}\\ dl = Bh}}}}}\$\$]{.math.display}\ Questo risultato è dovuto principalmente all'ipotesi di campo magnetico uniforme fatta in precedenza; infatti, tra A e D e tra B e C il campo magnetico è perpendicolare all'elemento infinitesimo di spostamento considerato, quindi il prodotto scalare è nullo, mentre tra C e D il campo magnetico è nullo perché ci si trova fuori dal solenoide. Al secondo membro dell'equazione di Ampere-Maxwell, oltre µ, non è rappresentata la corrente che passa nell'avvolgimento ma la corrente che circola nell'avvolgimento moltiplicata per il numero di spire che si concatenano nel tratto h con la curva [*Γ*]{.math.inline}. Se si considera con n il numero di spire per unità di lunghezza, si può facilmente concludere che la corrente che compare nella legge è [inh]{.math.inline}, infatti [nh]{.math.inline} è il numero di spire concatenate nel tratto [*h*]{.math.inline}. La legge di Ampere-Maxwell si può, quindi, ridurre a: \ [*Bh* = *μnih*]{.math.display}\ Da cui: \ [*B* = *μni*]{.math.display}\ Questa relazione dimostra che il campo di induzione magnetica di un solenoide percorso da corrente non dipende da null'altro che dalla densità di spire e dalla corrente. Per quanto riguarda l'effetto del campo esterno, si potrebbero fare considerazioni analoghe a quelle fatte per il condensatore, concludendo che affinché siano rispettate le equazioni di Maxwell il campo all'esterno dell'avvolgimento non può essere rigorosamente nullo. Prima di procedere oltre, si riporta il valore dell'**induttanza di un cavo coassiale**, di raggio interno [*a*]{.math.inline} (anima), raggio esterno [*b*]{.math.inline} (calza) e lunghezza [*h*]{.math.inline}: \ [\$\$L = \\mu\\frac{h}{2\\pi} \\bullet \\ln\\frac{b}{a}\$\$]{.math.display}\ Volendo riassumere quanto detto finora, si può affermare che la caratteristica di un induttore è: \ [\$\$v\\left( t \\right) = \\pm L\\frac{d}{\\text{dt}}i\\left( t \\right),\\ \\ con\\ L \\geq 0\$\$]{.math.display}\ Da questo punto di vista, si può vedere l'induttore come una macchina a scarsa ripresa, infatti schiacciando "l'acceleratore" della tensione la "velocità" della corrente non aumenta bruscamente ma gradualmente, come se l'induttore conservasse una certa memoria della condizione in cui funzionava prima (perciò è definito bipolo a memoria). La potenza elettrica assorbita dall'induttore è, in ogni istante di tempo, immagazzinata e neanche una piccola quantità viene trasformata in calore; infatti, esso è un perfetto serbatoio di energia senza buchi. Per calcolare l'energia magnetica assorbita si può integrare la formula della potenza e ottenere: \ [\$\$U\_{L} = \\frac{1}{2}Li\^{2}\\left( t \\right) \\geq 0\$\$]{.math.display}\ Come si può notare, questa quantità dipende solo dalla corrente che circola istante per istante, e non dalla tensione applicata ai suoi morsetti. L'induttore condivide con il condensatore molte proprietà: sono entrambi bipoli a memoria; quindi, entrambi non figurano in corrente continua, la loro energia è variabile ma ha sempre segno costante, nonostante ricevano ed eroghino energia non restituiscono mai più di quanto danno, in entrambi è presente campo magnetico/elettrico e in entrambi si possono fare le stesse supposizioni sul comportamento di tale campo all'esterno del dispositivo. Come il condensatore in regime stazionario si comporta come un circuito aperto, l'induttore in regime stazionario si comporta come un cortocircuito, infatti: \ [\$\$v\\left( t \\right) = L \\bullet \\frac{d}{\\text{dt}}i\\left( t \\right) = L \\bullet 0 = 0\$\$]{.math.display}\ In molti casi, invece di utilizzare un singolo induttore, può risultare vantaggioso collegare tra loro più induttori per ottenere lo stesso effetto complessivo. Da questa prospettiva, è utile analizzare i collegamenti in serie e in parallelo tra induttori. Come verrà dimostrato formalmente più avanti, il collegamento in serie di due o più induttori permette di aumentare il valore complessivo dell\'induttanza in un circuito, mentre il collegamento in parallelo ne riduce il valore totale. Questo comportamento è opposto a quello dei condensatori e analogo a quello dei resistori. Nel caso di un collegamento in parallelo si avrà, poiché si conserva solo la tensione ai capi del circuito: \ [\$\$v\\left( t \\right) = L\_{1} \\bullet \\frac{d}{\\text{dt}}i\_{1}\\left( t \\right) = L\_{2} \\bullet \\frac{d}{\\text{dt}}i\_{2}(t)\$\$]{.math.display}\ Mentre la corrente totale del sistema è espressa come somma delle singole correnti che circolano nei vari induttori: \ [\$\$\\frac{v\\left( t \\right)}{L\_{E}} = \\frac{d}{\\text{dt}}i\\left( t \\right) = \\frac{v\\left( t \\right)}{L\_{1}} + \\frac{v\\left( t \\right)}{L\_{2}}\$\$]{.math.display}\ Da cui: \ [\$\$\\frac{1}{L\_{e}} = \\frac{1}{L\_{1}} + \\frac{1}{L\_{2}}\$\$]{.math.display}\ Generalizzando a [*n*]{.math.inline} induttori in parallelo si ha: \ [\$\$\\frac{1}{L\_{E}} = \\sum\_{k = 1}\^{n}{\\frac{1}{L\_{k}} \< L\_{k},\\ \\ \\forall k \\in \\left\\lbrack 1,n \\right\\rbrack}\$\$]{.math.display}\ ![](media/image33.png)Nel caso di induttori collegati in serie, la corrente che entra nel primo induttore è uguale a quella che esce dall'ultimo induttore, quindi si conserva; a non conservarsi è la tensione che, per la LKT, è: \ [\$\$v\\left( t \\right) = v\_{1}\\left( t \\right) + v\_{2}\\left( t \\right) = \\left( L\_{1} + L\_{2} \\right) \\bullet \\frac{d}{\\text{dt}}i\\left( t \\right) = L\_{E} \\bullet \\frac{d}{\\text{dt}}i\\left( t \\right)\$\$]{.math.display}\ Da cui: \ [*L*~*E*~ = *L*~1~ + *L*~2~]{.math.display}\ Generalizzando a [*n*]{.math.inline} induttori in serie: \ [\$\$L\_{E} = \\sum\_{k = 1}\^{n}{L\_{k} \> L\_{k},\\ \\ \\forall k \\in \\lbrack 1,n\\rbrack}\$\$]{.math.display}\ **Circuiti in regime stazionario** Prima di approfondire i metodi per risolvere le reti elettriche, è utile richiamare il concetto di passività e chiarire come questo si applichi e semplifichi nel caso delle reti in regime stazionario. In tale regime, potenza ed energia sono proporzionali, differendo solo per il fattore tempo. Pertanto, un bipolo si definisce passivo se la potenza assorbita è sempre positiva o, al massimo, nulla in ogni condizione di funzionamento. \ [*p*^*a*^ ≥ 0,  *per* *ogni* *condizione* *di* *funzionamento* *considerata*]{.math.display}\ Questo implica che, adottando per il bipolo la convenzione dell\'utilizzatore, la sua caratteristica sarà interamente collocata nel primo e nel terzo quadrante del piano tensione-corrente. Di conseguenza, il bipolo illustrato in figura è un esempio di bipolo passivo, poiché ogni punto della sua curva caratteristica si trova esclusivamente in uno di questi quadranti. Nel primo quadrante, sia l\'ascissa (corrente) che l\'ordinata (tensione) sono positive, e il loro prodotto risulta quindi positivo. Nel terzo quadrante, entrambe sono negative, ma il loro prodotto rimane comunque positivo. **Cosa cambia se, per lo stesso bipolo passivo, è stata fatta la convenzione del generatore, invece che quella dell'utilizzatore?** ![](media/image35.png)la caratteristica statica deve essere, questa volta, interamente contenuta nel secondo e quarto quadrante, poiché la potenza elettrica assorbita è data, questa volta, da: \ [*p*^*a*^ =  − *v*   *i*]{.math.display}\ Ora, dovendo essere, per un bipolo passivo, in ogni caso \ [*p*^*a*^ ≥ 0]{.math.display}\ si conclude che la tensione V e la corrente I hanno sempre segno opposto. **Quando è che, invece, un bipolo è attivo?** Un bipolo è attivo se esso non è passivo. Infatti, si dirà che un bipolo è attivo quando esiste almeno un tratto della sua caratteristica per cui la potenza elettrica erogata è positiva, oppure, equivalentemente, la potenza elettrica assorbita è negativa. Ciò vuol dire che, se si adottasse la convenzione dell'utilizzatore, la caratteristica non potrebbe essere interamente contenuta nel primo e terzo quadrante. **Che cosa succede se, per lo stesso bipolo attivo, viene fatta la convenzione del generatore?** ![](media/image37.png)Una semplice riflessione suggerirà la corretta risposta: la caratteristica statica non deve essere interamente contenuta nel secondo e quarto quadrante, ma ci può essere qualche tratto anche nel primo e terzo quadrante. Per convincersi, si ricordi che, con la convenzione del generatore, la potenza elettrica assorbita vale: \ [*p*^*a*^ =  − *v*   *i* *mentre* *quella* *erogata* *è* *pari* *a* *p*^*e*^ =  + *v*   *i* ]{.math.display}\ Il caso più semplice che si può immaginare è quello in cui un tale bipolo presenti sempre la stessa d.d.p. ai suoi morsetti, indipendentemente dalla corrente che il bipolo 'eroga'. Un bipolo di questo tipo prende il nome di generatore ideale di tensione. **Approccio sistematico alla risoluzione dei circuiti** L'approccio sistematico alla risoluzione dei circuiti consiste nell'applicazione delle leggi di Kirchhoff, che consentono di scrivere r equazioni indipendenti. Se a queste relazioni si aggiungono le caratteristiche di ciascun lato, si è in grado di scrivere altre r equazioni indipendenti, che, insieme alle prime, forniscono un sistema di 2r equazioni, la cui soluzione fornisce proprio le tensioni e le correnti dell'intera rete. Lo schema che segue riassume, in maniera più dettagliata, quanto appena detto **Metodi semplificati per la soluzione delle reti** A questo punto, è chiaro che le difficoltà che si riscontrano nella soluzione di una qualsiasi rete lineare sono dovute sostanzialmente alla dimensione del sistema di equazioni da risolvere. Per ridurre questa dimensione, sono stati escogitati vari metodi e teoremi: si presenteranno ora i due più usati. **Metodo dei potenziali nodali** Questo metodo consiste, nello scegliere come incognite del problema, invece delle tensioni o delle correnti, i potenziali relativi ai nodi della rete. Se, in particolare, si sceglie come riferimento per i potenziali quello di uno dei nodi, che per comodità si pone a potenziale zero, ci si ritroverà con n − 1 incognite, costituite dai potenziali assunti dai restanti nodi della rete. **Metodo delle correnti di maglia** Il metodo dei potenziali nodali è particolarmente comodo poiché le variabili considerate, ovvero i potenziali dei nodi, soddisfano automaticamente le Leggi di Kirchhoff per le tensioni (LKT). Allo stesso modo, è possibile sviluppare un metodo duale basato su un insieme di variabili che rispettano automaticamente le Leggi di Kirchhoff per le correnti (LKC) ai nodi della rete: il **metodo delle correnti di maglia**. Per applicare questo metodo, è necessario identificare innanzitutto le maglie indipendenti del circuito, cioè quelle che generano equazioni LKT indipendenti. Si suppone poi, in maniera puramente teorica, che all'interno di ciascuna maglia circoli una corrente, detta **corrente di maglia**. Sebbene queste correnti siano fittizie e non rappresentino le correnti fisiche effettive che attraversano i rami e i bipoli della rete, risultano utili per costruire un sistema di equazioni ridotto che consente di risolvere il circuito in modo più semplice. **Formula di Millmann** ![](media/image39.png)Una semplice ed utile applicazione del metodo dei potenziali nodali è la cosiddetta formula di Millman. Per comprendere di cosa si tratti, si consideri lo schema mostrato: tre rami, costituiti ciascuno da un resistore ed un generatore ideale, sono collegati in parallelo tra i nodi A e B, Si scelga il potenziale del nodo B come potenziale di terra e si introducano le conduttanze tra i lati collegati in serie ai rispettivi generatori. \ [\$\$G\_{1} = \\frac{1}{R\_{1}},\\ \\ G\_{2} = \\frac{1}{R\_{2}},\\ \\ G\_{3} = \\frac{1}{R\_{3}}\$\$]{.math.display}\ L'unica incognita del problema è il potenziale del nodo A. Facendo uso delle caratteristiche dei tre resistori, si possono esprimere facilmente le tre correnti incognite, nella forma seguente: \ [\$\$\\left\\{ \\begin{matrix} i\_{1} = G\_{1}\\left( E\_{1} - V\_{A} \\right) \\\\ i\_{2} = G\_{2}\\left( E\_{2} - V\_{A} \\right) \\\\ i\_{3} = G\_{3}\\left( E\_{3} - V\_{A} \\right) \\\\ \\end{matrix} \\right.\\ \$\$]{.math.display}\ La prima legge al nodo A stabilisce, poi, che: \ [*i*~1~ + *i*~2~ + *i*~3~ = 0]{.math.display}\ Sostituendo in questa equazione l'espressione di ciascuna corrente, è facile scrivere l'equazione risolvente: \ [*G*~1~(*E*~1~−*V*~*A*~)+ *G*~2~(*E*~2~−*V*~*A*~) + *G*~3~(*E*~3~−*V*~*A*~) = 0 ]{.math.display}\ Con ciò, è stata ottenuta un'unica equazione di primo grado, da cui si ricava facilmente il potenziale incognito \ [\$\$V\_{A} = \\frac{\\frac{E\_{1}}{R\_{1}} + \\frac{E\_{2}}{R\_{2}} + \\frac{E\_{3}}{R\_{3}}}{\\frac{1}{R\_{1}} + \\frac{1}{R\_{2}} + \\frac{1}{R\_{3}}}\$\$]{.math.display}\ La formula trovata vale, ovviamente, anche quando qualche generatore non c'è, oppure la sua polarità è invertita rispetto a quelle adoperate nello schema. Non vi è nulla di magico nella formula trovata: sono state applicate le leggi di Kirchhoff ad una particolare rete, stabilendo un risultato che, nel seguito, tornerà più volte utile e che può anche essere facilmente generalizzato al caso di N rami in parallelo per mezzo della formula: \ [\$\$V\_{A} = \\frac{\\sum\_{p = 1}\^{N}{G\_{p}E\_{p}}}{\\sum\_{p = 1}\^{N}G\_{p}}\$\$]{.math.display}\ **Trasformazione triangolo -- stella** Tre resistori di dicono a "stella" (Y) quando son o collegati come in figura a; si dicono, invece, a "triangolo" (Δ) quando sono collebati come in figura b. Si supponga di alimentare i due sistemi di resistori, a stella ed a triangolo, con tre generatori di corrente connessi ai rispettivi morsetti di modo che risulti: \ [*i*~1*Y*~ = *i*~1*Δ*~,  *i*~2*Y*~ = *i*~2*Δ*~,  *i*~3*Y*~ = *i*~3*Δ*~]{.math.display}\ Se, in queste condizioni, accade che, per tutti i possibili valori delle correnti dei generatori, anche le tensioni ai morsetti del triangolo e della stella sono rispettivamente uguali, vale a dire che le due configurazioni cono equivalenti. Trasformazione triangolo -- stella: Supponendo noti i valori dei resistori del triangolo, si possono calcolare quelli della stella per mezzo delle relazioni \ [\$\$R\_{1} = \\frac{R\_{12}R\_{13}}{R\_{12} + R\_{23} + R\_{13}},\\ \\ R\_{2} = \\frac{R\_{12}R\_{23}}{R\_{12} + R\_{23} + R\_{13}},\\ \\ R\_{3} = \\frac{R\_{23}R\_{13}}{R\_{12} + R\_{23} + R\_{13}}\$\$]{.math.display}\ Trasformazione stella -- triangolo: Viceversa, noti i valori dei resistori della stella, quelli del triangolo equivalente si ottengono per mezzo delle espressioni \ [\$\$R\_{12} = R\_{1} + R\_{2} + \\frac{R\_{1}R\_{2}}{R\_{3}},\\ \\ R\_{23} = R\_{2} + R\_{3} + \\frac{R\_{2}R\_{3}}{R\_{1}},\\ \\ R\_{13} = R\_{1} + R\_{3} + \\frac{R\_{1}R\_{3}}{R\_{2}}\$\$]{.math.display}\ **Teoremi del generatore equivalente** Prima di discutere i teoremi del generatore equivalente, è opportuno discutere brevemente un teorema più antico. Si tratta del teorema di sostituzione che può essere applicato a reti qualsiasi, lineari e non lineari, tempo varianti e tempo invarianti, purché univocamente risolubili; esso consente di sostituire qualsiasi lato della rete con un generatore indipendente, convenientemente scelto di tensione o di corrente, senza che alcuna corrente e tensione nei lati rimanenti venga ad essere alterata. Il teorema afferma che se in una rete di bipoli lineare si sostituisce, ad un ramo interessato dalla tensione V, un generatore ideale di f.e.m. E = V, nulla cambia nella restante parte della rete. In maniera del tutto simile si può enunciare la forma duale del teorema di sostituzione: se in una rete lineare si sostituisce ad un ramo interessato dalla corrente I un generatore di corrente J = I che fornisce la stessa corrente, nulla cambia nella restante parte della rete. Dalle due forme enunciate del teorema di sostituzione discendono immediatamente le seguenti conseguenze: se due punti di una rete lineare sono allo stesso potenziale essi possono essere collegati con un bipolo cortocircuito senza modificare in alcun modo il funzionamento della rete stessa. E ancora: se in un ramo di una rete lineare non circola corrente, tale ramo può essere sostituito con un bipolo circuito aperto senza modificare in alcun modo il funzionamento della rete. Le due conseguenze appaiono subito evidenti se si considera che un generatore di f.e.m. ideale di tensione nulla equivale ad un bipolo cortocircuito e che un generatore ideale di corrente che eroghi una corrente nulla equivale ad un bipolo circuito aperto. In definitiva, utilizzando unicamente l'ipotesi di unicità della soluzione della rete, si può applicare il teorema di sostituzione, che tuttavia richiede la conoscenza a priori del valore della tensione o della corrente in un ramo. Un passo avanti si può fare ammettendo che la rete sia lineare. Si consideri una generica rete lineare, costituita da un numero arbitrario di generatori di tensione e di corrente, nonché di resistori, e, si mettano in evidenza due morsetti qualsiasi, collegandoli all'esterno, con dei cortocircuiti, ai morsetti A e B, ai quali può essere collegato un qualunque bipolo, anche non lineare. I teoremi del generatore equivalente, anche detti teorema di Thévenin e teorema di Norton, consentono di determinare la caratteristica del bipolo equivalente, visto dai morsetti A e B, alla rete in esame. ![](media/image41.png)**Teorema di Thèvenin** Il teorema del generatore equivalente di tensione dice, in sintesi, che, per quanto complicata sia la rete di partenza, vale a dire per quanti generatori e resistori essa contenga, ebbene, quando questa rete viene 'vista' dai morsetti A e B, essa è equivalente al semplicissimo bipolo, costituito da: 1. un solo generatore indipendente di tensione [*E*~0~]{.math.inline}, 2. un solo resistore [*R*~0~]{.math.inline} in serie al generatore È fondamentale allora spiegare come si calcolano i valori di [*E*~0~]{.math.inline} e di [*R*~0~]{.math.inline} per il bipolo in figura, partendo dalla conoscenda della rete. a. [*E*~0~]{.math.inline} rappresenta la tensione che si presenta tra i morsetti A e B quando questi sono aperti, si dice anche tensione a vuoto tra i morsetti A e B. b. [*R*~0~]{.math.inline}, detta 'resistenza equivalente', rappresenta la resistenza che si misura ai morsetti A e B, quando la rete è stata resa passiva. Ciò vuol dire che tutti i generatori indipendenti di tensione e di corrente sono stati spenti, cioè sostituiti, rispettivamente, con dei cortocircuiti e con dei circuiti aperti. Nella stessa figura si suggerisce anche il metodo per determinare, ovvero per misurare, questo parametro: si tratta di alimentare la rete, resa passiva, con una sorgente esterna ed arbitraria [*V*~EST~]{.math.inline} e di valutare la corrente [*I*~EST~]{.math.inline}. Ebbene, la resistenza equivalente è proprio pari al rapporto \ [\$\$R\_{0} = \\frac{V\_{\\text{EST}}}{I\_{\\text{EST}}}\$\$]{.math.display}\ Quanto detto in precedenza implica che, per calcolare la corrente che circola in un generico ramo AB, dire sistenza [*R*~AB~]{.math.inline}, della rete lineare. Applicando la LKT alla rete equivalente: \ [ − *E*~0~ + (*R*~0~+*R*~AB~)*I* = 0]{.math.display}\ da cui si ricava immediatamente la corrente di interesse \ [\$\$I = \\frac{E\_{0}}{R\_{0} + R\_{\\text{AB}}}\$\$]{.math.display}\ **Dimostrazione del teorema di Thèvenin** Supponiamo di osservare una rete lineare da due morsetti A e B. Le componenti interne della rete (generatori di tensione, generatori di corrente, resistori, ecc.) sono sconosciute e indeterminate, ma non è rilevante conoscere la loro struttura. A valle dei morsetti A e B è collegato un carico con caratteristiche altrettanto sconosciute e, in generale, non lineari. ![](media/image43.png)Ciò che è fondamentale per la dimostrazione è che **la rete osservata dai morsetti si comporta in modo lineare**, indipendentemente dal comportamento (lineare o non lineare) del carico. Essendo la rete lineare, esiste una relazione lineare tra la tensione [*V*]{.math.inline} e la corrente [*I*]{.math.inline} ai capi dei morsetti: \ [*V* = *mI* + *n*]{.math.display}\ Il grafico di questa relazione è una retta nel piano [(*V*, *I*)]{.math.inline}, che passa per due punti caratteristici: 1. Il **punto sulle ordinate** ([*I* = 0]{.math.inline}), che corrisponde alla **tensione a vuoto** [*E*~0~]{.math.inline}​; 2. Il **punto sulle ascisse** ([*V* = 0]{.math.inline}), che corrisponde alla **corrente di corto circuito** [*I*~0~]{.math.inline}​. Quando 𝐼=0 (circuito aperto, nessuna corrente), la tensione ai morsetti è [*V* = *E*~0~]{.math.inline}. Pertanto, dalla relazione lineare: \ [*n* = *E*~0~]{.math.display}\ Quando 𝑉=0 (cortocircuito tra i morsetti), la corrente attraverso i morsetti è [*I* = *I*~0~]{.math.inline}. Pertanto \ [0 = *mI*~0~ + *n*, *sostituendo* *n* → 0 = *mI*~0~ + *E*~0~]{.math.display}\ Da cui: \ [\$\$m = - \\frac{E\_{0}}{I\_{0}} = R\_{0},\\ \\ ciò\\ è\\ giustificato\\ dal\\ fatto\\ che,\\ per\\ Ohm,\\ \\ \\frac{\\text{tensione}}{\\text{corrente}} = resistenza\$\$]{.math.display}\ \ [*V* = *E*~0~ − *RI*~0~]{.math.display}\ La relazione, rappresenta esattamente l'applicazione delle leggi di Kirchhoff a un circuito equivalente costituito da: 1. Un **generatore ideale di tensione** [*E*~0~]{.math.inline}​, che rappresenta la tensione a vuoto della rete; 2. Una **resistenza** [**R**~**0**~]{.math.in

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