Storia Medievale I PDF
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Questo documento tratta la storia medievale, in particolare, i capitoli analizzano l'Alto Medioevo, la crisi del III secolo dell'Impero Romano, i rapporti con i popoli barbarici, i mutamenti sociali, economici e politici nell'Europa centrale e la situazione dell'impero persiano dei Sasanidi. Il documento copre anche tematiche come la popolazione, la figura delle donne, le relazioni politiche, e aspetti culturali e spirituali del medioevo.
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Capitolo I: il medioevo 1.1: genere, famiglia e popolazione Conoscere la popolazione esatta del medioevo non è facile, dato che non ci sono quasi informazioni. La caduta del impero romano d'Occidente e l'avvento dei regni barbarici provoco un pe...
Capitolo I: il medioevo 1.1: genere, famiglia e popolazione Conoscere la popolazione esatta del medioevo non è facile, dato che non ci sono quasi informazioni. La caduta del impero romano d'Occidente e l'avvento dei regni barbarici provoco un peggioramento delle condizioni sanitarie. in più, devastanti ondate di peste apargono, causando un calo demografico nell'Europa del III secolo d.C. Passando da 50 milioni d’abitanti a 30 milioni. In età carolingia, le epidemie scomparivano e un diffuso miglioramento delle condizioni di vita permise una modesta ripresa delle popolazioni, passando da 28-30 milioni d'abitanti a 70 milioni dopo l'anno mille. Verso la fine del duecento la peste nera uccise un terzo (se non di più ) dei uomini e delle donne, provocando che ea popolazione collassi fino ai 45-50 milioni. La maggior parte della popolazione nell'alto medioevo viveva e lavorava in campagna. in quest'epoca la tassa di mortalità infantile era del 40-50%, dunque per garantire la stabilità della popolazione, le donne si sposavano molto presto, sfruttando la su fertilità; e gli uomini si sposavano dopo aver raggiunto la stabilità economica. Per quello possiamo vedere tanta deferenza di età nei matrimonio. Sappiamo anche che la media die età non era fino ai 40 anni, perché in questa media si contano anche i bambini che sono morti troppo presto. Si pensa che, una volta superata l'infancia, gli adulti potevano sopravvivere fino ai 60 anni. La figura della donna nel medioevo e una controversia, perché, nella Bibbia, anche se Eva era considerata responsabile della caduta del'umanita, Maria fu quella que accettò di portare in grembo a Cristo. Anche se il testamento mostro a tante eroine, tanti intellettuali avevano una visione misogina, descrivendo alle donne Como esseri senza capacità di ragionare. Solo alcuni uomini riconoscevano le virtù e la capacità delle donne. Il ruolo della donna nel medioevo cambia dipendendo dall'epoca e la regione, però quello principale era quello in seno della famiglia, in particolare dei due momenti più importanti nella vita: nella nascita, portando i bambini al mondo; e nella morte dato che vocava a loro assistere a i malati e anziani. Si occupano anche del'educazione dei bambini e, una volta sposate, le loro effetti personali paravano al marito, anche se potevano avere in possesso una piccola somma di denaro di forma autonoma. Se il marito moriva, e le mogli diventavano vedove, potevano rimanere vedove e occuparsi di tutti gli affari del marito, in attesa della maggiore età dei figli. Ereditavano tutti i beni del marito. Un altra forma di ottenere la autonomia era quella di consacrare a Dio il propio stato di castità, sia evitando di sposarsi, sia dopo essere state vedove. 1.2: politica e società Il concetto di “Stato” non esisteva nel Medioevo. Il potere si basava sulle monarchie, sostenute dalla Chiesa e dal consenso dei sudditi. A partire dal XII secolo, l’autorità si territorializzò, esercitandosi su aree specifiche. La diffusione del diritto romano tra il XII e il XIII secolo favorì l’autonomia di entità come regni e comuni. La società si divideva tra potenti (ricchi e influenti) e poveri (senza risorse). I potenti si distinguevano per ricchezza, influenza e connessioni. L’aristocrazia medievale era inizialmente flessibile, ma tra il XIII e il XIV secolo divenne più chiusa, consolidando una nobiltà ereditaria. I poveri cercavano sicurezza tramite relazioni di dipendenza: Verticali: verso figure potenti. Orizzontali: tra membri dello stesso gruppo sociale. I servi perdevano diritti personali e lavoravano nelle grandi proprietà rurali. La servitù, sebbene diversa dalla schiavitù, era diffusa in Europa, mentre la schiavitù prevaleva nei paesi islamici. A partire dall’anno 1000, emersero solidarietà orizzontali. I contadini si univano per difendere i propri interessi, i professionisti formavano corporazioni, e le comunità religiose creavano confraternite. Nelle città, ricchi e poveri partecipavano come cittadini. Queste reti aiutarono a resistere a crisi sociali e naturali. 1.3: cultura e spiritualità La società medievale conviveva con forze ultraterrene, e la religione cristiana era centrale nel garantire stabilità sociale e salvezza spirituale. Pratiche religiose ufficiali coesistevano con superstizioni e rituali domestici. La diffusione del cristianesimo e della lingua latina, consolidata in età carolingia, creò un’identità culturale comune in Europa occidentale, permettendo anche la trasmissione della cultura classica, nonostante le contraddizioni con il credo cristiano. Il latino, pur rimanendo la lingua della Chiesa e della cultura alta, conviveva dal XII secolo con lo sviluppo delle lingue volgari, che produssero opere letterarie di grande valore. Questo processo culturale unificò progressivamente l’Europa, grazie all’influenza della Chiesa cattolica, che estese la cultura latina fino al Baltico e ai popoli slavi. Parallelamente, l’Impero bizantino diffuse la cultura greca e l’alfabeto cirillico tra gli slavi orientali e meridionali. Nel lungo millennio medievale, l’Europa assunse la fisionomia culturale e territoriale odierna, fondata sulla tradizione classica e giudaico-cristiana. Con il XVI secolo, le grandi scoperte geografiche permisero agli europei di diffondere questa cultura nel resto del mondo, dando inizio a una nuova epoca. Capitolo II: la crisi del III secolo E la fine dell’impero romano “classico” 2.1: un impero in difficoltà: problemi politici e calamità ambientali. Fra le debolezze strutturali che colpirono l’impero Romano e ne causarono la crisi, evidenziamo diversi fattori chiave: Estensione territoriale: Le immense dimensioni dell’impero 1 rendevano difficile il controllo centralizzato. I governatori delle province di frontiera necessitavano di autonomia e risorse militari, ma in tempi di crisi potevano diventare essi stessi una minaccia per il potere centrale Problema della successione: Non esisteva un sistema fisso per la successione al trono, causando frequenti conflitti civili. La scelta 2 degli imperatori da parte del Senato, della plebe, dei pretoriani o dell’esercito generava instabilità. Crisi economica e militare: Il sistema di espansione, che aveva 3 garantito ricchezza attraverso le conquiste, si esaurì per la mancanza di territori redditizi da annettere (es. Britannia e Dacia). Questo indebolì l’economia e rese difficile il mantenimento dell’esercito. 4 Impatto delle epidemie: La “peste antonina” (II secolo) e un’altra epidemia nel III secolo (forse di tipo emorragico) causarono enormi perdite demografiche, indebolendo l’esercito e riducendo la produzione agricola e le entrate fiscali. : Cambiamenti climatici: La fine del periodo caldo e umido portò. 5 instabilità meteorologica, siccità e cattivi raccolti. La riduzione delle piene del Nilo diminuì la produzione di grano, aggravando le carestie e la crisi economica. 2 2: dal Europa centrale alla Persia: mutamenti ai confini. L'impero Romano si relazionava con popolazioni straniere, e con questo vediamo cambiamenti sociali, economici e politici avvenuti nelle regioni periferiche e nel vicino impero persiano dei sasanidi. I romani adottarono il termine greco barbaros, che indicava gli stranieri che non parlavano greco o latino. Per i romani, il barbaricum era un mondo ostile, separato dal “mondo civilizzato” romano tramite il limes, una frontiera difesa con mura, fiumi e fortezze Sebbene ideologicamente i confini fossero presentati come invalicabili, l’archeologia rivela intensi scambi di beni e persone tra Roma e le popolazioni barbariche. Il commercio, il contrabbando e l’influenza culturale erano frequenti. Anche le società barbariche evoluzionarono e vediamo vari cambiamenti: 1 2 3 Tra il I e il II secolo d.C., le A partire dal III secolo, Emerse un’aristocrazia popolazioni barbariche divennero sedentarie e guerriera, con guerrieri dell’Europa centrale erano svilupparono armati (comitati). nomadi, povere e prive di un’agricoltura organizzati intorno a organizzazione complessa. avanzata, un’artigianato capi, spesso sostenuti dai più raffinato e un romani. commercio attivo con Roma. L’unificazione di tribù più numerose e meglio organizzate (come Franchi, Alemanni e Goti) aumentò la pressione sull’impero. Questi gruppi compirono incursioni militari più pericolose e coordinate. L'impero sasanide Nel III secolo, i Persiani Sasanidi sostituirono i Parti e divennero un rivale potente per Roma consolidarono il loro potere L’economia prosperò Lo zoroastrismo era la politico ed economico, con grazie al commercio religione ufficiale, che un governo centralizzato e con l’India e la Cina e distingueva tra l’“Iran” un esercito efficiente, allo sviluppo agricolo. civilizzato e il “non-Iran” basato sulla cavalleria barbaro, simile alla visione pesante (catafratti). romana del mondo. Conclusione: La frontiera tra Roma e il barbaricum era permeabile, favorendo una mescolanza culturale ed economica. Roma influenzò lo sviluppo delle élite barbariche, ma questa evoluzione creò anche nuove minacce militari. Nel frattempo, in Oriente, i Sasanidi emersero come una potenza rivale stabile e prospera. 2.3: la crisi del III secolo (235-284) Instabilità politica (235-284 d.C.): Dopo la fine della dinastia dei Severi, l’Impero visse mezzo secolo di caos. Senato, pretoriani e legioni non riuscirono a gestire la successione imperiale, causando guerre civili e usurpazioni. In soli 50 anni si contarono 21 imperatori, dei quali solo 2 morirono di morte naturale. 1 Crisi militare: I confini divennero vulnerabili per la concomitanza tra crisi interna e rafforzamento dei barbari. Non si trattava di invasioni stabili, ma di incursioni rapide per saccheggio. Regioni come la Gallia nord-orientale e la Germania occidentale furono abbandonate. Nel 271, Aureliano abbandonò la provincia della Dacia, arretrando il confine al Danubio. Sul fronte orientale, i Persiani, sotto il comando di shah Sapore, conquistarono Siria, Cappadocia e Cilicia, catturando l’imperatore Valeriano nel 260. La debolezza romana favorì la formazione di stati autonomi: “Impero delle Gallie” (Gallia, Germania, Britannia, Spagna) sotto Postumo. Regno di Palmira (Siria, Anatolia, Egitto) guidato da Zenobia, riconquistato da Aureliano nel 273 2 Crisi economica: La devastazione delle province e l’abbandono dei territori portarono al crollo delle entrate fiscali. Per pagare l’esercito, gli imperatori svalutarono la moneta, causando una grave inflazione. La popolazione, colpita da carestie e povertà, abbandonò villaggi e campagne. 3 Conseguenze sociali e culturali: Rivolte nelle campagne, come quella dei “bacaudi” in Gallia (282-285). Declino dell’evergetismo (donazioni pubbliche), costruzione di edifici pubblici e templi. Abbandono dei sacrifici pagani e crisi della religione tradizionale, che non forniva più risposte adeguate. 4 Diffusione del Cristianesimo: Iniziò fra i ceti più umili e si diffuse anche tra le élite. La crisi favorì la sua crescita: offriva speranza nell’aldilà e un senso di solidarietà. L’assistenza ai poveri era centrale nella dottrina cristiana, con atti di carità che accomunavano ricchi e poveri. Le comunità cristiane si affermarono come centri assistenziali durante i momenti più difficili, sostenendo migliaia di indigenti. Capitolo III: il tardo antico: un nuovo impero 3.1: la riforma dell'impero Tradizionalmente considerati come epoca di “decadenza”, i secoli III-V sono oggi visti come un periodo di trasformazione della civiltà romana in nuove forme politiche, culturali e sociali, definite “tardo antico”. La crisi del III secolo rese necessarie profonde riforme, intraprese da Diocleziano (284-305) e Costantino (324-337). Riforme di Diocleziano 1 Tetrarchia: Divisione dell’impero in Oriente e Occidente, ciascuno governato da un “augusto” e un “cesare”. Tuttavia, il sistema fallì dopo le dimissioni di Diocleziano. 2 Nuove capitali: Gli imperatori risiedevano in Nicomedia e Milano, marginalizzando Roma. 3 Amministrazione: Raddoppio delle province, raggruppate in “diocesi”. Separazione tra incarichi civili e militari. 4 Esercito: Divisione in truppe di confine (limitanei) e mobili (comitatenses). Aumento delle forze armate a circa 500.000 uomini, con maggiore utilizzo di barbari come soldati. Costantino e Costantinopoli. 1 Unificazione dell’impero: Dopo aver sconfitto Licinio nel 324, Costantino divenne unico imperatore. 2 Fondazione di Costantinopoli (330): Nuova capitale con posizione strategica tra Europa e Asia. Replica di Roma con un Senato e monumenti pubblici. 3 Divisione dopo Costantino: Alla sua morte (337), l’impero fu diviso tra i figli Costante (Occidente) e Costanzo II (Oriente).. Divisione definitiva dell’Impero: L’ultimo imperatore unitario fu Teodosio I (379-395), che alla sua morte divise l’impero tra i figli: Arcadio governò l’Oriente e Onorio l’Occidente. Questa divisione divenne permanente e segnò il diverso destino delle due parti. 3.2: economia e società del basso impero L’epoca tardo antica segnò un cambiamento radicale rispetto all’età classica, con un sistema economico in crisi a causa della fine delle grandi guerre di conquista e della riduzione della manodopera schiava. La schiavitù, pur non scomparendo, divenne costosa, spingendo i grandi latifondi a sostituire gli schiavi con coloni, affittuari di terre. Questo portò a una polarizzazione sociale: una ristretta élite, costituita da poche centinaia di famiglie ricchissime, deteneva enormi patrimoni terrieri e il controllo dell’amministrazione statale, mentre la maggior parte della popolazione viveva in condizioni difficili. Per sostenere i margini di profitto, i grandi proprietari e imprenditori manipolarono la moneta, svalutando i pezzi di bronzo usati dai lavoratori e limitando i salari. La condizione dei contadini peggiorò ulteriormente con leggi che li legavano alla terra e rendevano ereditario il mestiere, provocando rivolte come quelle dei circumcellioni in Africa nord-occidentale e dei bacaudi in Gallia e Spagna. Tuttavia, non tutta l’economia era in crisi: alcune regioni, come l’Africa mediterranea, prosperarono grazie al commercio di grano, olio, vino e ceramiche, mentre l’Italia, priva di centralità economica, entrò in stagnazione. La separazione tra Oriente e Occidente accentuò le differenze economiche: la parte orientale rifiorì grazie alla riduzione dei tributi verso Roma e al dirottamento del grano egiziano verso Costantinopoli. In Occidente, invece, il calo dei traffici commerciali impoverì le regioni centrali del Mediterraneo Il peso fiscale aumentò drasticamente. Diocleziano introdusse un sistema di tassazione basato sulla capitatio-iugatio, che calcolava le imposte in base al numero di contadini (capitatio) e alla terra lavorata (iugatio). Questo sistema gravava sulla popolazione rurale, costringendo molti piccoli proprietari a cercare protezione presso i latifondisti, accettando la loro dipendenza in cambio di tutela contro gli abusi degli esattori. Il fisco sosteneva principalmente l’esercito, che passò da 500.000 uomini nel II secolo a quasi 800.000 nel IV secolo, ma questo aumento rese insostenibile la pressione sulle classi più deboli, aggravando le disuguaglianze e alimentando le tensioni sociali. 3.3: L'affermazione del cristianesimo Il cristianesimo si espanse significativamente a partire dal III secolo, nonostante le persecuzioni degli imperatori Decio e Diocleziano, che tentarono di reprimerlo considerandolo una minaccia all’ordine imperiale per il suo rifiuto di riconoscere la divinità dell’imperatore. La nuova fede guadagnò adepti sia dentro che fuori dall’impero, con conversioni in Armenia, Georgia, Etiopia e tra i Goti, grazie a figure come Ulfila, che tradusse la Bibbia in gotico. Un messaggio rivoluzionario: Il cristianesimo metteva in discussione i valori tradizionali romani, promuovendo pace, dignità universale e carità. In un periodo di crisi sociale ed economica, la solidarietà pratica e l’assistenza ai poveri rafforzarono le comunità cristiane, distinguendole nel contesto dell’impero. Riconoscimento ufficiale: Nel 313, l’Editto di Milano, emanato da Costantino e Licinio, legalizzò il cristianesimo. Sebbene Costantino si convertì molti anni dopo, usò la fede cristiana come strumento di coesione sociale e politica, sostenendo la Chiesa con donazioni e assegnando un ruolo amministrativo ai vescovi. Nel 380, Teodosio I, con l’Editto di Tessalonica, dichiarò il cristianesimo religione ufficiale, vietando i culti tradizionali. Trasformazioni interne: L’alleanza con il potere politico trasformò il cristianesimo. Mentre alcuni intellettuali, come Agostino di Ippona, rifletterono sul contrasto tra i valori evangelici e quelli imperiali, altri cristiani adottarono atteggiamenti violenti contro pagani e non credenti. Contemporaneamente, nacquero movimenti di ritiro spirituale come il monachesimo. Già nel V secolo, l’impero era prevalentemente cristiano. Organizzazione della Chiesa: La Chiesa sviluppò una gerarchia: il clero, guidato dai vescovi, amministrava i sacramenti e spesso collaborava con le autorità civili nella gestione delle città. Le diocesi ecclesiastiche si sovrapposero a quelle civili, e i vescovi, spesso provenienti dall’aristocrazia, acquisirono prestigio grazie alla loro attività caritativa e alle ricchezze donate da imperatori e fedeli. Definizione della dottrina: Dopo l’Editto di Milano, gli imperatori cercarono di unificare la dottrina cristiana. Il Concilio di Nicea (325) stabilì il Credo, confermando la natura divina e umana di Cristo e condannando l’arianesimo, che negava la divinità di Gesù. Il Concilio di Costantinopoli (381) ribadì questa posizione, pur continuando l’arianesimo tra i popoli germanici. 3.4: nuovi modi di vita Nel IV secolo, l’Impero Romano superò una grave crisi grazie alle riforme di Diocleziano e Costantino. Sebbene abbiano trasformato profondamente l’Impero, queste riforme riuscirono a stabilizzare l’economia, migliorare la difesa dei confini e garantire la pace interna. Tuttavia, l’Impero tardo antico risultava molto diverso da quello augusteo, sia politicamente che socialmente, culturalmente e religiosamente. Principali cambiamenti del tardo Impero: 1 Organizzazione del tempo e vita quotidiana: Fu introdotta la settimana di sette giorni con la domenica dedicata al riposo, secondo il modello giudaico-cristiano. L’abbigliamento cambiò: la toga scomparve e si diffusero le tuniche con cintura, le camicie (camisia) e i pantaloni (brachae). Si utilizzavano mantelli e scarpe chiuse, come gli stivali (zanchae). 2 Cultura e libri: L’uso del papiro fu sostituito dalla pergamena, più resistente, che permise lo sviluppo del libro in formato codice, rendendo più semplice la lettura e la scrittura personale. 3 Condizione femminile: Grazie all’influenza cristiana, le donne ottennero maggiore uguaglianza: Fu vietato l’abbandono delle neonate. L’età per il matrimonio fu resa simile per uomini e donne (circa 20 anni). Furono valorizzate scelte alternative al matrimonio, come la vita religiosa. Le donne acquisirono importanza politica, come Galla Placidia e Pulcheria, che governarono di fatto parte dell’Impero. L Cultura e diversità linguistica: Il cristianesimo promosse l’uso delle lingue locali (copto, aramaico, celtico) per la predicazione, sfidando l’egemonia latina e greca. 5 Città e urbanistica: La costruzione e manutenzione delle infrastrutture urbane declinò a causa della crisi fiscale. Le donazioni si concentrarono sulle chiese, che divennero nuovi centri urbani e si ispiravano alla forma delle basiliche. I cristiani trasformarono le città, integrando tombe e luoghi di culto nello spazio urbano. 6 Campagne e ville: I ricchi trasferirono i loro investimenti nelle grandi ville rurali, che divennero centri di potere e sicurezza. Sorsero le prime chiese rurali intorno alle quali si formarono villaggi. Apparvero fortificazioni rurali per la crescente insicurezza. Capitolo IV: I barbari e la fine dell'impero d'occidente. 4.1: romani e barbari: l'esercito e l'etnogenesi Le relazioni economiche tra romani e barbari erano intense: i romani vendevano prodotti di lusso, armi e vino, e inviavano grandi quantità di monete d’argento in cambio di materie prime come legname, ambra, pellicce e schiavi. Tuttavia, la merce più preziosa erano i guerrieri, poiché il servizio militare permetteva ai barbari, soprattutto dell’Europa centrale, di entrare in contatto con il mondo romano. Le riforme di Diocleziano consentirono ai cittadini romani di evitare il servizio militare pagando una tassa che finanziava il reclutamento di truppe barbariche. Durante il IV secolo, il numero di queste truppe aumentò progressivamente, introducendo nuovi stili di combattimento: la cavalleria pesante di modello persiano e quella leggera, composta da arabi e nomadi orientali. La fanteria rimase il fulcro dell’esercito, ma perse efficienza a causa del minor addestramento e dell’abbandono delle tattiche tradizionali. I soldati adottarono equipaggiamenti e abbigliamenti simili a quelli barbari (spade lunghe, lance, scudi tondi, cotte di maglia, brache e calzature) e abbandonarono le corazze e le armi tradizionali, più difficili da usare senza un addestramento adeguato. I romani trattavano con prudenza le truppe barbariche, stanziandole lontano dalle loro regioni di origine per evitare diserzioni o rivolte. Tuttavia, l’esercito fungeva da potente strumento di integrazione: i soldati che sopravvivevano al servizio ottenevano la cittadinanza romana e potevano stabilirsi liberamente nell’impero. Molti immigrati sfruttarono questa opportunità, e alcuni ufficiali di alto rango di origine barbara arrivarono persino al Senato o ai circoli di potere imperiali, considerati meno pericolosi dei colleghi romani perché privi di ambizioni verso il trono. La crescente presenza dei barbari nell’esercito ebbe anche un impatto significativo sui loro stessi popoli. I romani tendevano a reclutare i capi più abili e affidabili, offrendo loro contratti vantaggiosi. Questi leader, accumulando ricchezze, consolidarono il loro potere, attirando seguaci e formando gruppi più grandi e organizzati. Tali leader assunsero il titolo di “re” (inteso come capo militare) e i loro gruppi svilupparono un’identità collettiva attraverso un processo di “etnogenesi”. Così nacquero “popoli” come i visigoti, gli ostrogoti, i vandali e i burgundi, che crearono miti comuni sulle loro origini. Questo processo fu lungo e, in molti casi, si completò solo quando i barbari si stabilirono all’interno dell’impero romano, legando la propria identità a territori specifici. Paradossalmente, i “popoli” tradizionalmente considerati invasori del mondo romano acquisirono una forma definita solo quando erano già parte di esso. 4.2: I barbari entro i confini dell'impero Negli ultimi anni, la storiografia ha rivalutato il processo attraverso cui migliaia di guerrieri barbari e le loro famiglie entrarono nei confini dell’impero romano, assumendo infine il controllo di gran parte del suo territorio occidentale. Tradizionalmente interpretato come un evento catastrofico e improvviso, questo fenomeno fu in realtà un flusso continuo e perlopiù pacifico tra il III e il V secolo, favorito dalla disparità di benessere tra il mondo romano e quello barbarico. I barbari furono integrati nell’impero, soprattutto nell’esercito e come forza lavoro agricola, in un sistema di vantaggi reciproci. Tuttavia, nel IV secolo, eventi drammatici nell’Europa orientale cambiarono questi rapporti. L’arrivo degli Unni, una popolazione nomade proveniente dall’Asia centrale, spinse molte tribù barbariche, tra cui i Goti, a fuggire verso i confini romani. Nel 376, i Goti occidentali chiesero all’imperatore Valente di stabilirsi in Tracia come difensori della regione, ottenendo approvazione in cambio di viveri e equipaggiamento. Tuttavia, la corruzione dei funzionari romani impedì il rispetto dei patti, provocando una rivolta gotica che culminò nella battaglia di Adrianopoli nel 378, dove l’esercito romano subì una devastante sconfitta e lo stesso Valente morì. Il successore di Valente, Teodosio, riuscì a negoziare una pace nel 382, stabilendo i Goti nei Balcani come “federati” (foederati) dell’impero. I Goti accettarono di proteggere le province in cambio di terre e rifornimenti, ma mantennero autonomia sotto i loro capi, senza essere inquadrati nell’esercito regolare né ottenere la cittadinanza romana. Pur temporaneamente pacifici, i Goti rappresentavano un corpo estraneo all’interno dell’impero, ponendo le basi per futuri conflitti e trasformazioni. 4.3: crisi e resistenza dell'impero d’Occidente La sconfitta di Adrianopoli ebbe gravi conseguenze per l’impero romano, che non riuscì a ricostruire il proprio esercito con la stessa solidità del passato. Per colmare le perdite, furono arruolati rapidamente contingenti barbarici, spesso senza controllo efficace, il che aumentò l’influenza di questi ultimi nell’esercito. Ciò portò episodi come l’ascesa del franco Arbogaste, che tentò di prendere il controllo dell’impero occidentale. Dopo la morte di Teodosio, il potere passò di fatto nelle mani dei comandanti militari, spesso di origini barbariche, come Stilicone. All’inizio del V secolo, l’impero occidentale affrontò nuove pressioni: i confini del Reno furono lasciati sguarniti per difendere l’Italia, consentendo a vandali, burgundi, alani e svevi di invadere la Gallia e la Spagna. Stilicone fu accusato di incompetenza e assassinato nel 408. Contemporaneamente, i visigoti guidati da Alarico, dopo vari tentativi di accordo con l’impero, saccheggiarono Roma nel 410, evento che scosse profondamente l’opinione pubblica. Nonostante la crisi, l’impero trovò temporanea stabilità: i visigoti furono stanziati nella Gallia meridionale come foederati con il compito di combattere altre popolazioni barbariche. Nel frattempo, gran parte della Spagna e la Britannia erano state perse, ma l’Italia e l’Africa settentrionale rimasero sotto controllo romano. Sotto il generale Flavio Costanzo, si riuscì a fermare l’espansione dei barbari e a stabilire un nuovo equilibrio, anche se precario. L’impero d’Occidente si aggrappava ancora alle risorse provenienti dall’Africa per mantenere la speranza di ripresa. 4.4: la fine dell”impero d’Occidente Le popolazioni barbariche che entrarono nell’Impero Romano cercavano principalmente di stabilirsi in territori ricchi e di ottenere una legittimazione imperiale. Alcuni raggiunsero accordi favorevoli, come i visigoti in Aquitania e i burgundi in Borgogna, ma altri, come i vandali, affrontarono difficoltà. Nel 428, sotto la guida di Genserico, i vandali e gli alani si trasferirono nel Nord Africa, attraversando lo stretto di Gibilterra nel 429. Dopo un decennio di combattimenti, conquistarono Cartagine nel 439, sottraendo all’Impero la sua provincia più ricca e principale fonte di approvvigionamento di cereali, indebolendo gravemente le finanze imperiali e riducendo le forze militari Nel frattempo, gli unni, guidati da Attila dal 434, effettuarono devastanti incursioni nei Balcani per costringere l’Impero a pagare tributi in oro. Sebbene non cercassero di conquistare territori, Attila unì diverse tribù grazie alla distribuzione di bottini. Nel 451 invase l’Occidente, ma fu sconfitto nei Campi Catalaunici da un esercito guidato dal generale romano Ezio. L’anno successivo, invase l’Italia, ma, indebolito e minacciato da forze inviate da Costantinopoli, si ritirò. Morì nel 453 e il suo impero si frammentò rapidamente. Dopo queste crisi, l’Impero d’Occidente rimase fortemente indebolito. Nel 455, i vandali saccheggiarono nuovamente Roma. Sebbene l’Impero tentasse di riconquistare l’Africa nel 468, fallì definitivamente, perdendo il controllo del Mediterraneo occidentale. Negli ultimi anni, il potere reale passò nelle mani dei comandanti militari (magistri militum). Nel 476, Odoacre, capo delle truppe barbare in Italia, depose l’ultimo imperatore romano d’Occidente, Romolo Augustolo, e si proclamò “re delle genti barbariche”, riconoscendo solo l’autorità nominale dell’Impero d’Oriente. Sebbene la deposizione di Romolo Augustolo segnasse la fine dell’Impero Romano d’Occidente, all’epoca non fu percepita come un evento straordinario. I barbari cercavano di convivere con il sistema imperiale, piuttosto che distruggerlo, e usarono atti come i saccheggi di Roma per fare pressione sul governo imperiale al fine di ottenere legittimazione e privilegi. Tuttavia, l’incapacità di finanziare un esercito e la perdita di territori chiave resero inevitabile il collasso. Capitolo V: l'occidente romano-barbarico 5.1: romani e barbari in dialogo La caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C., con la deposizione di Romolo Augusto da parte di Odoacre, non fu percepita come un evento traumatico, ma come una transizione tra molte altre lotte per il potere. La popolazione italiana accolse il cambiamento con indifferenza o sollievo, poiché Odoacre mantenne l’amministrazione romana, instaurò buoni rapporti con il Senato e ridistribuì terre alle sue truppe senza colpire significativamente i latifondisti. L’idea di una “invasione” germanica è fuorviante. I barbari entrarono come gruppi armati accompagnati da famiglie e schiavi, e molti furono accolti come federati, ricevendo terre in cambio di servizi militari. Visigoti, Burgundi e altri si insediarono nel territorio imperiale, diventando proprietari terrieri e adattandosi gradualmente alle strutture romane. La convivenza tra romani e barbari fu generalmente pacifica. La riduzione delle tasse sotto i nuovi governanti favorì le classi basse, che in alcuni casi collaborarono con gli invasori. Anche le élite locali cercarono accordi con i nuovi poteri, preservando la loro ricchezza e il loro stile di vita. La cultura romana influenzò profondamente i barbari, che adottarono il latino come lingua ufficiale e mantennero le tradizioni legali e amministrative. Al contempo, i romani assimilarono elementi della cultura barbarica, come abbigliamento, gioielli, armi e dieta, creando una fusione culturale che pose le basi dell’Europa medievale. 5. 2: i regni romano-barbarici Dopo la crisi dell’impero d’Occidente, nel V secolo emersero i regni romano-barbarici, strutture politiche dominate da popolazioni barbariche, come i Franchi in Gallia, gli Ostrogoti in Italia, i Vandali in Africa e i Visigoti in Spagna. Essi conservarono molte strutture amministrative e sociali romane, adattandole alle loro esigenze. Un’eccezione fu la Britannia, dove gli Angli e i Sassoni imposero un dominio tribale, eliminando le influenze romane. barbari, numericamente inferiori rispetto ai romani, si integrarono senza grandi traumi. Le riforme romane avevano già separato poteri civili e militari, consentendo ai barbari di gestire la difesa dello Stato, mentre i latini amministravano l’economia. Religiosamente, i barbari si convertirono al cristianesimo, spesso all’arianesimo, che usarono per rafforzare la propria identità rispetto ai cattolici latini e all’impero d’Oriente. L’organizzazione territoriale romana obbligò i barbari a modificare la loro concezione del potere. Emersero leggi basate sulla “personalità del diritto,” dove latini e barbari seguivano regole diverse. Tuttavia, con il tempo, si svilupparono leggi territoriali comuni, specialmente nel diritto penale, influenzato dal guidrigildo, un sistema di multe per punire i crimini. Ogni regno costruì un’ideologia della regalità combinando tradizioni barbariche, cerimoniale romano e cultura biblica. Questa visione della monarchia, spesso instabile, variava notevolmente tra i regni, influenzando la loro durata e stabilità. 5.3: Visigoti e vandali I - primi regni romano-barbarici furono quello dei Vandali in Africa (439) e quello dei Visigoti tra la Gallia meridionale e la Spagna (418). Il regno dei Vandali I Vandali conquistarono Cartagine con violenza, appropriandosi delle terre e dei beni della Chiesa locale, senza però ottenere legittimità né consenso da parte dei Romani o della Chiesa cattolica. Sebbene adottassero la cultura romana, mantenessero l’amministrazione imperiale e promuovessero l’economia agricola e commerciale africana, non instaurarono una convivenza stabile con la popolazione. Persecuzioni contro i cattolici (477-484) e minacce esterne, come i raid berberi e i tentativi di riconquista imperiale, indebolirono ulteriormente il regno. Il regno dei Visigoti Visigoti, federati dell’Impero, si stabilirono in Gallia con capitale a Tolosa e collaborarono con la popolazione gallo-romana. Sotto il re Eurico (466-484), codificarono le loro leggi tradizionali e occuparono gran parte della Spagna, abbandonata dai Vandali. Tuttavia, furono sconfitti dai Franchi (Vouillé, 507) e si ritirarono nella penisola iberica, dove il regno rimase politicamente instabile. Solo con il re Leovigildo (569-586) e suo figlio Reccaredo (586-601) il regno trovò stabilità. Leovigildo rafforzò il potere centrale, fondò Toledo come capitale e consolidò il dominio militare ed economico. Reccaredo favorì l’unificazione religiosa (convertendosi al cattolicesimo), superò le divisioni etniche e coinvolse la Chiesa nel governo, rendendo il regno più stabile e integrato.. 5.4: gli ostrogoti in Italia Dopo la morte di Attila, gli Ostrogoti recuperarono la loro autonomia sotto il clan degli Amali, guidati da Teoderico dal 471. Nominalmente alleati dell’Impero d’Oriente, nel 489 furono inviati in Italia dall’imperatore Zenone per sconfiggere Odoacre, che venne eliminato nel 493. Gli Ostrogoti si stabilirono in Italia come federati, secondo le regole dell’hospitalitas, mantenendo l’amministrazione romana e affiancandosi ai latifondisti Il regno di Teoderico Teoderico, cresciuto a Costantinopoli, valorizzò la civiltà romana e instaurò una collaborazione con il Senato, la Chiesa e intellettuali come Boezio e Cassiodoro, quest’ultimo ideatore del progetto di convivenza tra Goti e Romani. I Goti gestivano la difesa militare, mentre i Romani mantenevano l’amministrazione civile, rimanendo però separati anche per motivi religiosi (ariani contro cattolici). Teoderico si proclamò “rex” senza specificazione etnica e agì come sovrano egemone in Occidente. Stabilì la sua corte a Ravenna, avviò ambiziosi progetti edilizi, influenzò l’elezione papale e dominò politicamente il Mediterraneo occidentale, estendendo il suo controllo alla Provenza e alla Spagna. Declino del regno La crescente ostilità di Costantinopoli, sotto Giustino (518), e le tensioni interne portarono Teoderico a sospettare complotti. Seguì una repressione che coinvolse Boezio, Simmaco e papa Giovanni I, vittime di esecuzioni o persecuzioni. Alla morte di Teoderico (526), il progetto di collaborazione tra Goti e Romani fallì. La figlia Amalasunta, reggente per il figlio Atalarico, fu accusata di favorire i Romani e assassinata nel 534 dalla fazione tradizionalista gota, segnando il declino del regno. 5.5: il regno dei franchi Il regno franco fu l’ultimo e il più duraturo tra i regni romano-barbarici. I Franchi si stanziarono progressivamente nella Gallia settentrionale e in Germania occidentale grazie a un’integrazione pacifica con i Gallo-romani. Molti Franchi avevano servito nell’esercito romano e le élite delle due culture collaborarono, come dimostrano ritrovamenti archeologici che testimoniano una convivenza culturale. L’ascesa di Clodoveo Nel tardo V secolo, Clodoveo riunì le tribù franche sotto il suo comando. Nato nella Gallia, parlava latino ed era ben integrato nella società locale. Unificò i Franchi (salii e ripuarii), sconfisse gli Alamanni e consolidò il suo dominio in Europa settentrionale. Clodoveo si convertì al cattolicesimo, evento fondamentale che facilitò la fusione tra aristocrazia franca e gallo-romana e rafforzò la sua alleanza con i vescovi, già centrali nel governo locale. Grazie alla conversione, Clodoveo sfruttò la rete episcopale per creare un’amministrazione solida, mantenendo il sistema romano di riscossione delle imposte. Nel 507 sconfisse i Visigoti a Vouillé, conquistando la Gallia meridionale. L’imperatore Anastasio lo nominò console, legittimando ulteriormente il suo potere, e Clodoveo scelse Parigi come capitale strategica. L’eredità merovingia Alla morte di Clodoveo (511), il regno fu diviso tra i suoi quattro figli, ma il principio dinastico garantì stabilità. La dinastia merovingia dominò per oltre 250 anni, centralizzando il potere attorno alla corte reale, che controllava le nomine episcopali e distribuiva terre per rafforzare la fedeltà dei sostenitori. Nei primi decenni del VI secolo, il regno franco era il più forte in Europa occidentale e sembrava in grado di estendere la propria egemonia, soprattutto dopo la morte di Teoderico e l’indebolimento del regno ostrogoto. Tuttavia, l’improvviso ritorno dell’Impero bizantino sconvolse gli equilibri. 5.6: Giustiniano e la ripresa dell'impero L’Impero d’Oriente si distinse per la capacità di mantenere il controllo militare e stabilità interna, grazie all’allontanamento di generali barbari come Gainas e Aspar e alla sicurezza dei confini, favorita dall’allontanamento degli Ostrogoti e dall’arruolamento di Unni. Il buon andamento economico, legato alla prosperità di Egitto e Medio Oriente, permise la crescita delle città di Costantinopoli, Antiochia e Alessandria, mentre l’Occidente languiva. Giustiniano (527-565), approfittando delle risorse lasciate da Anastasio, avviò un vasto progetto di restaurazione imperiale. Tra le sue principali riforme, la compilazione del Corpus Iuris Civilis rappresentò una sistematizzazione del diritto romano destinata a influenzare per secoli la cultura giuridica europea. Simbolicamente, Giustiniano costruì la Basilica di Santa Sofia, monumento maestoso che testimoniava il ritorno alla gloria imperiale. In campo militare, il generale Belisario sconfisse i Vandali in Africa (533-534) e, dopo una lunga e difficile guerra contro gli Ostrogoti, riconquistò l’Italia (552-554). Anche parte della Spagna sud-orientale (Betica) fu annessa nel 552. Queste conquiste, sebbene parzialmente perdute in seguito, garantirono all’Impero risorse preziose: l’Africa rimase provincia imperiale per oltre un secolo e la Sicilia per tre. Nonostante i successi, il regno di Giustiniano fu minato dalla peste del 542, che causò una grave crisi economica e demografica. Sebbene alcuni critici abbiano definito le sue conquiste troppo ambiziose, le risorse territoriali acquisite contribuirono alla sopravvivenza dell’Impero durante le future guerre contro Persiani e Arabi. Giustiniano resta una figura centrale, capace di fondere riforme interne e visione imperiale. Capitolo VI: La fine del mondo artico in Occidente ( 530-700) 6.1: crisi economica e collasso demografico La cronologia della crisi economica del Mediterraneo tardo antico è dibattuta tra gli storici. Alcuni la vedono come un lungo declino (II-VIII secolo), mentre altri individuano momenti chiave come la fondazione di Costantinopoli o la conquista vandala dell’Africa. Archeologicamente, le evidenze sono contraddittorie: mentre le anfore nei porti testimoniano un commercio attivo fino al VII secolo, le città mostrano un degrado materiale precoce.. Gli studi recenti indicano il VI secolo come momento di peggioramento economico, causato da guerre, pestilenze e mutamenti climatici. Tra il III e il VI secolo, il clima si deteriorò, con un calo delle temperature fino a 1,5°C rispetto al periodo romano. L’eruzione vulcanica del 536 peggiorò la situazione, influendo negativamente sull’agricoltura e i commerci. I raccolti divennero meno produttivi, specialmente nell’Europa nord-occidentale, dove il grano pregiato fu sostituito dalla spelta. Le difficoltà climatiche resero rischiosi i trasporti marittimi e via terra. Il collasso delle infrastrutture romane aggravò le condizioni di vita: l’abbandono di argini e canalizzazioni diffuse malaria e lebbra, mentre la peste del 542 decimò la popolazione, soprattutto urbana. Ciò accelerò lo spopolamento delle campagne e l’abbandono delle villae romane, sostituite da insediamenti modesti o lasciate in rovina. Le città, colpite dalla peste e dall’arretramento economico, si ridussero a borghi fortificati o furono abbandonate. La crisi commerciale, accentuata dalla fine dei trasporti sovvenzionati dallo Stato, trasformò il Mediterraneo: i commerci su grandi distanze cedettero il posto al piccolo cabotaggio costiero. La produzione artigianale si adattò al consumo locale, perdendo la complessità del periodo romano. Questi eventi segnarono la transizione a un’economia più semplice e regionale, anticipando l’organizzazione socioeconomica dell’Alto Medioevo. 6.2: la calata dei Longobardi Sullo scorcio del VI secolo, l’Italia fu profondamente segnata dalla crisi. La guerra tra oriente e Occidente, dove entrambi eserciti saccheggiarono là penisola per vent’anni e concluse con vincitore Giustiniano, lasciò la penisola devastata. L’aristocrazia senatoria fu decimata, mentre agricoltura e manifattura stentavano a riprendersi a causa delle tasse imperiali. La peste del 542 aggravò la situazione, spopolando ulteriormente città e campagne. I Longobardi, spesso descritti come “selvaggi”, in realtà avevano avuto contatti con l’Impero d’Oriente, collaborando anche nella guerra greco-gotica. Guidati da Alboino, conquistarono l’Italia nel 568 con un esercito composito, reclutando i gepidi e altri popoli. Entrati dal Friuli, trovarono scarsa resistenza: molte popolazioni si sottomisero pacificamente, mentre altre fuggirono (nascita tradizionale di Venezia). Si sospettò che Narsete fosse in combutta con i Longobardi, ma non ci sono prove definitive. La storiografia moderna ridimensiona l’invasione come causa di rottura storica, attribuendo il declino alla guerra greco-gotica e alla peste. Tuttavia, l’arrivo dei Longobardi segnò una frattura geografica: il regno si consolidò nell’Italia settentrionale con capitale Pavia, mentre al sud sorsero i ducati autonomi di Spoleto e Benevento. Le coste, il Lazio, la Romagna e altre aree rimasero sotto il controllo bizantino. L’assenza di documentazione scritta durante il dominio longobardo rende difficile ricostruire il periodo. 6.3: italia longobarda, italia imperiale Dopo la conquista dell’Italia, la debole resistenza delle forze imperiali fu fatale ai primi re longobardi: Alboino fu assassinato nel 572 e Clefi nel 574. Seguirono dieci anni senza re, con il territorio frammentato in domini locali guidati da “duchi”. La minaccia di un attacco imperiale e franco portò all’elezione di Autari come re nel 584. Autari e Agilulfo (589-616) fondarono il regno longobardo, fissando la capitale a Pavia e consolidando il potere attraverso il controllo delle terre pubbliche. Tuttavia, la monarchia rimase debole a causa dell’assenza di una dinastia ereditaria. I Longobardi inizialmente si insediarono senza seguire le regole dell’hospitalitas, espropriando terre ai latini, ma nel tempo avvenne un’integrazione tra le due popolazioni. La cultura longobarda si romanizzò, come dimostrano le nozze miste (es. re Agilulfo e la cattolica Teodolinda) e l’adozione di modelli di governo romani. Con l’editto di Rotari (643), i Longobardi codificarono le loro leggi in latino, un segno della progressiva “italianizzazione”. L’editto regolava anche la giustizia, abolendo la vendetta privata e imponendo compensazioni economiche. La società longobarda era gerarchica: al vertice il re, sostenuto da duchi e funzionari, e un’assemblea di uomini liberi. Le donne avevano una posizione subordinata e vivevano sotto tutela maschile. Parallelamente, l’Impero bizantino mantenne il controllo di diverse regioni, tra cui Lazio, Romagna, coste meridionali e isole, amministrate dall’esarca di Ravenna. L’esarcato, pur efficace, soffriva per la mancanza di risorse, costringendo il papa e la Chiesa a finanziare la difesa. In particolare, Gregorio Magno (590-604) giocò un ruolo chiave nella politica italiana, sia militarmente sia diplomaticamente. La società bizantina in Italia si riorganizzò su basi locali, con una fusione tra nobili romani e longobardi, e i soldati imperiali vennero ricompensati con terre, spesso donate dalla Chiesa. 6.4: la crisi dei regni romano-barbarici europei Nel contesto dell’invasione longobarda in Italia, il VI secolo segnò grandi trasformazioni in Europa occidentale. La sconfitta dei bizantini in Italia ruppe il legame simbolico con l’Impero Romano: franchi e visigoti eliminarono ogni riferimento all’autorità imperiale nei documenti e nelle monete, segnando la fine della subordinazione formale a Costantinopoli.. Educazione e cultura Il modello romano di istruzione declinò a causa della ridotta importanza sociale della cultura “alta” e dell’elevato costo dell’educazione. L’integrazione tra le élite romane e i valori barbarici portò all’abbandono della tradizione letteraria e filosofica, sostituita da uno stile di vita basato sull’abilità militare e sul consumo abbondante di carne. Economia e potere politico La tassazione diretta sulle proprietà terriere scomparve per la mancanza di funzionari qualificati e per l’abbondanza di terre disponibili, dovuta allo spopolamento dell’Europa. I servizi civili e militari venivano sempre più spesso ricompensati con concessioni di terre, favorendo la concentrazione del potere nelle mani delle aristocrazie locali. Nel regno franco, la dinastia merovingia, pur essendo longeva, subì continue frammentazioni a causa della suddivisione dell’eredità tra i figli dei re.Le regioni (Neustria, Austrasia, Aquitania e Burgundia) rimasero formalmente unite, ma con ampia autonomia. I “maestri di palazzo”, funzionari dotati di grandi risorse, assunsero progressivamente il potere reale, preparando il terreno per la successiva dinastia carolingia. Religione e unificazione culturale Nel regno visigoto, la conversione al cattolicesimo di Reccaredo (589) consolidò l’unificazione culturale tra visigoti e romani. Il re adottò un modello di incoronazione basato sull’Antico Testamento, conferendo al suo potere un carattere sacro. I concili di Toledo supportavano l’azione regia, mentre il codice di leggi di Recesvindo (654) unificò la legislazione per tutta la popolazione. Tuttavia, l’assenza di una dinastia stabile favorì l’autonomia aristocratica e indebolì il controllo sulle regioni periferiche. 6.5: Il monachesimo Il monachesimo nacque tra il III e il IV secolo come risposta al desiderio di alcuni cristiani di vivere una vita più radicale, dedicata esclusivamente alla preghiera e alla meditazione. Poteva essere praticato in solitudine (eremiti) o in comunità (cenobi), che si stabilivano in luoghi isolati. Queste comunità elaborarono regole di convivenza (Regole monastiche), tra.cui si distinsero quelle di Pacomio in Egitto e di Basilio in Cappadocia. Nel mondo latino il monachesimo si sviluppò soprattutto con la Regola di San Benedetto (VI secolo), che promuoveva un equilibrio tra preghiera, lavoro (motto “ora et labora”) e riposo, con una disciplina rigorosa. I monasteri includevano biblioteche e scriptoria per la copia di testi sacri e classici, diventando centri di cultura e formazione. Monasteri come Montecassino ebbero un grande impatto culturale e politico, formando figure come Gregorio Magno. Nelle isole britanniche, i monasteri ebbero un ruolo centrale nell’evangelizzazione, soprattutto in Irlanda con monaci come San Patrizio. Furono fondamentali anche nella rievangelizzazione dell’Inghilterra dopo l’arrivo di angli e sassoni. Monaci come San Colombano portarono la tradizione irlandese sul continente, fondando monasteri che divennero importanti centri culturali dell’Alto Medioevo. Capitolo VII: la fine del mondo antico in oriente e l'avvento dell'Islam 7.1: l'impero d'oriente fra slavi e persiani Durante il regno di Giustiniano, mentre l’Impero d’Oriente concentrava le sue forze in Italia, la frontiera del Danubio divenne turbolenta a causa dell’arrivo degli slavi, un gruppo di tribù dalle origini sconosciute. Provenienti probabilmente dalle pianure dell’Europa orientale, gli slavi erano una società semplice, priva di stratificazioni, che si espanse rapidamente dal Baltico al Danubio e si integrò facilmente con le popolazioni locali. Nel VI secolo, furono unificati dagli Avari, una popolazione nomade proveniente dall’Asia centrale, creando una minaccia militare. Questa situazione portò alla perdita di parte dei Balcani e della Grecia e a una crisi interna nell’impero. Parallelamente, l’impero affrontò dissensi nelle province asiatiche ed egiziane, legati a motivi fiscali e religiosi, con il diffondersi del monofisismo, che mascherava richieste di maggiore autonomia. La situazione precipitò nel 602 con la deposizione dell’imperatore Maurizio, che provocò un’invasione persiana guidata dallo scià Cosroe II. Tra il 607 e il 618, i persiani conquistarono Siria, Anatolia, Gerusalemme ed Egitto, mettendo l’impero in ginocchio. Nel 610 salì al potere Eraclio, che riorganizzò l’impero nonostante le gravi difficoltà. Nel 626, mentre Costantinopoli resisteva a un assedio persiano-avaro, Eraclio attaccò il cuore dello Stato sasanide, costringendo i persiani a firmare la pace nel 628. Tuttavia, l’impero uscì devastato: le perdite umane e materiali furono enormi, con l’Egitto e l’Asia Minore saccheggiati e i Balcani in mano slava. Anche l’impero persiano fu indebolito, aprendo un vuoto di potere in Medio Oriente, presto sfruttato dagli arabi. 7.2: Maometto e la nascita dell'Islam Prima della conversione all’Islam, gli arabi avevano già intensi legami con i grandi imperi romano e persiano. La popolazione si divideva tra sedentari (nel Sud e nel Nord) e beduini (nomadi del deserto centrale). I sedentari del Nord, spesso cristiani, erano suddivisi tra i regni dei Ghassanidi, alleati di Costantinopoli, e dei Lakhmidi, legati alla Persia. I beduini vivevano di commercio, allevamento e razzie. Un’eccezione nel cuore della penisola era la Mecca, città mercantile e religiosa, controllata dalla tribù dei Quraysh. In questo contesto nacque Maometto, membro di una famiglia mercantile. Intorno al 610 annunciò di aver ricevuto messaggi da Dio (Allah) tramite un angelo, iniziando un’opera di proselitismo a Mecca, dove però trovò ostilità. Nel 622, lui e i suoi seguaci si rifugiarono a Medina (evento noto come Egira), dove fondò una comunità di credenti (umma), dettando norme sociali e introducendo il concetto di jihad, un termine che stava a indicare sia lo sforzo dí miglioramento individuale del musulmano, sia la lotta contro gli infedeli. Da Medina, Maometto consolidò la dottrina islamica, forse influenzato dal dialogo con la comunità ebraica locale, e compose il Corano, che definisce Allah come unico Dio e stabilisce i “cinque pilastri” della fede islamica: fede, preghiera, elemosina, digiuno durante il Ramadan e pellegrinaggio alla Mecca. Dopo anni di guerra, Maometto conquistò la Mecca nel 630, unificando la penisola arabica sia religiosamente che politicamente. La Mecca divenne il centro religioso, mentre Medina fu la sede del potere politico. Maometto, leader spirituale e politico, guidò anche incursioni contro l’Impero romano d’Oriente prima di morire a Medina nel 632. 7.3: San "4 califfi" all'afermazione omayyade: gli arabi fra lotte intestine ed espansione militare Alla morte di Maometto, il problema della successione fu risolto con l’elezione di Abu Bakr come primo califfo, seguito da Omar, Othmar e Alì, nel periodo detto dei “quattro califfi ben guidati”. Abu Bakr consolidò il dominio sulla penisola arabica, mentre Omar avviò grandi conquiste, approfittando della debolezza degli imperi bizantino e persiano, entrambi indeboliti da guerre interne. I musulmani adottarono una politica di tolleranza verso le religioni monoteiste e garantirono la libertà di culto in cambio di tributi. Sotto Othmar, furono consolidate le conquiste e redatto un testo ufficiale del Corano. Egli definì le modalità di governo, distinguendo i musulmani dalle altre comunità, I dhimmi (non mussulmani) che dove vano pagare delle tasse, creando una struttura amministrativa e militare separata. Tuttavia, il suo califfato fu criticato per il favoritismo verso i suoi parenti e si concluse con una rivolta che portò alla sua morte. Nel 656, Alì salì al potere, ma il suo califfato fu segnato da conflitti civili con gli Omayyadi, che culminarono con il suo assassinio nel 661. Questo evento sancì la divisione tra sunniti, fedeli all’aristocrazia della Mecca, e sciiti, sostenitori della discendenza del Profeta, una frattura ancora viva. Gli Omayyadi, guidati da Mu’awiya, instaurarono un califfato monarchico, spostando la capitale a Damasco. Qui riformarono l’amministrazione, adottarono l’arabo come lingua ufficiale e introdussero una nuova monetazione. Gli sciiti continuarono a opporsi a I sunniti, ma nel 680 subirono una grave sconfitta a Kerbala, dove Hussein, figlio di Alì, fu ucciso, consolidando la supremazia sunnita e alimentando il culto sciita del martirio. 7. 4: Crisi e rinnovamento dell'impero d'oriente Dopo la sconfitta dello Yarmuk (636) e la perdita della Palestina e della Siria a favore degli arabi, l’imperatore d’Oriente Eraclio concentrò i suoi sforzi sulla difesa dell’Anatolia per proteggere Costantinopoli. Riorganizzò le truppe assegnandole a regioni specifiche, finanziandole localmente e affidando loro poteri amministrativi, ponendo forse le basi del sistema tematico. Questo sistema, perfezionato dai suoi successori Costante II e Costantino IV, prevedeva la creazione di circoscrizioni regionali chiamate “temi”, governate da strateghi con poteri militari e civili. I soldati (stratioti) ricevevano terre in compenso, riducendo il peso fiscale dell’esercito. Le guerre con arabi e persiani obbligarono l’abbandono della frontiera danubiana e portarono all’insediamento nei Balcani di bulgari, serbi e croati, alcuni dei quali aiutarono nella difesa di Costantinopoli. Eraclio introdusse anche riforme ideologiche, proclamando l’Impero come cristiano e adottando il greco per l’amministrazione, segnando così il distacco. dall’eredità romana. La crisi economica e le perdite territoriali indebolirono l’aristocrazia senatoriale, favorendo nuove élite legate al servizio statale. Anche la società rurale cambiò, con il declino dei grandi proprietari terrieri e l’ascesa di piccoli e medi proprietari. Questi cambiamenti politici, sociali e culturali segnarono l’inizio di un Impero bizantino militarizzato e distinto dalle sue radici romane, benché i suoi abitanti continuassero a definirsi “romani” per secoli. Capitolo VIII: L’VIII secolo: un nuovo mediterraneo, una nuova Europa 8.1:apogeo e crisi del califfato: dagli omayyadi agli abbassidi Nel VII secolo, mentre il califfato di Damasco prosperava economicamente grazie all’utilizzo dei sistemi fiscali tardo-romano e persiano, l’Impero bizantino affrontava una crisi economica. Le entrate del califfato finanziavano eserciti, amministrazione, infrastrutture e lusso della corte, ma l’oppressione fiscale creò malcontento nelle campagne. Sotto gli Omayyadi, l’espansione araba raggiunse il Mediterraneo, il Nord Africa, la Spagna (Al-Andalus) e l’Asia centrale. Tuttavia, le sconfitte a Costantinopoli (717) e Poitiers (732) limitarono l’avanzata in Europa. Le conversioni all’islam delle popolazioni sottomesse provocarono tensioni fiscali, poiché i convertiti reclamavano i privilegi riservati agli arabi, minacciando le entrate statali. Gli Omayyadi imposero restrizioni, causando rivolte, come quella dei Berberi in Marocco (740) e una grande insurrezione in Persia guidata dalla unione di sciiti, arabi discriminati e convertiti. Quest’ultima portò alla caduta degli Omayyadi e all’ascesa degli Abbasidi nel 750. Gli Abbasidi, con capitale a Baghdad, adottarono un’influenza persiana, abolirono le discriminazioni contro i convertiti e introdussero una nuova politica fiscale basata sulla proprietà terriera. Concentrarono l’espansione verso l’Asia, consolidarono le rotte commerciali, svilupparono tecnologie come la produzione della carta e centralizzarono l’amministrazione con la figura del visir. Tuttavia, persero il controllo dell’Occidente: il Marocco e la Spagna si resero indipendenti, con Al-Andalus che divenne un emirato omayyade nel 756. L’unità politica del mondo islamico si frantumò definitivamente. 8.2: L’impero d’oriente fra Europa e Asia: la lotta iconoclasta Tra il 634 e il 717, l’Impero bizantino lottò per sopravvivere contro l’avanzata araba. La sconfitta araba durante l’assedio di Costantinopoli nel 717 fu decisiva e permise all’imperatore Leone III l’Isaurico di riorganizzare l’esercito e riconquistare territori in Anatolia, Siria e Armenia. Parallelamente, però, esplose il conflitto interno noto come “crisi iconoclasta”. Leone III, influenzato dall’idea che il culto delle immagini sacre fosse idolatria, emanò nel 730 un editto che vietava l’uso delle icone, considerando il loro culto una degenerazione superstiziosa della fede. Questa riforma aveva anche scopi politici: riaffermare il potere imperiale e ridimensionare l’influenza dei monasteri. Le icone furono sostituite dalla croce e dalle raffigurazioni dell’imperatore. Suo figlio Costantino V estese l’iconoclastia, proclamandola dottrina ufficiale nel 754, sostenuto dall’esercito, che collegava i successi militari al favore divino. Tuttavia, il culto delle immagini rimase popolare, soprattutto tra i monaci e nella Chiesa latina, che considerava le icone strumenti di insegnamento. Ci furono scontri violenti tra iconoclasti e iconoduli (difensori delle immagini). Dopo la morte di Costantino V nel 775, l’iconoclastia iniziò a perdere forza. L’imperatrice Irene, che sposa il figlio di Constantino V, leone IV ed è reggente per suo figlio, Constantino VI, convocò nel 787 un concilio che ripristinò il culto delle immagini. Dopo ulteriori conflitti nel IX secolo, l’iconoclastia fu definitivamente abolita nel 843. 8.3: Apogeo e crisi del regno longobardo Agli inizi dell’VIII secolo, il Regno Longobardo visse un periodo di stabilità e prosperità. L’Impero Bizantino, indebolito da guerre e dalla crisi iconoclasta, e il Regno Franco, diviso internamente e minacciato dagli arabi, permisero ai longobardi di consolidare il loro potere e stringere alleanze strategiche. La fusione tra longobardi e romani era ormai compiuta: tutti i sudditi parlavano un latino semplificato, erano cattolici e si identificavano come longobardi. Durante il regno di Liutprando, il regno raggiunse il suo apice. Liutprando fu un legislatore capace, promulgando leggi territoriali valide per tutti, rafforzando il potere centrale e collaborando con i vescovi per il controllo del territorio. L’economia rifiorì, con il ripopolamento delle città, un commercio vivace e l’uso del tremisse, una moneta d’oro ampiamente circolante. Liutprando approfittò della crisi tra il papato e Bisanzio per rafforzare il proprio regno. Nel 728 restituì al papa il castello di Sutri, consolidando il controllo sui duchi di Spoleto e Benevento e mantenendo buoni rapporti con Roma. Tuttavia, dopo di lui, i suoi successori non riuscirono a stabilire una dinastia. Nel 751, Astolfo conquistò Ravenna, ma la pressione del papa portò Pipino il Breve a intervenire. Pipino sconfisse i longobardi, donò i territori al papa e cambiò gli equilibri di potere in Occidente. 8.4: L’affermazione dei pipinidi nel regno franco Alla fine del VII secolo, il potere dei re merovingi si indebolì a favore delle grandi famiglie aristocratiche, come i Pipinidi, che grazie alle loro ricchezze e clientele armate dominarono la politica del Regno Franco. Pipino di Heristal, maestro di palazzo, unificò l’Austrasia e la Neustria, ponendo le basi per il dominio della sua dinastia. Suo figlio Carlo Martello consolidò il potere grazie a vittorie militari, come quella contro gli arabi a Poitiers nel 732, e alla distribuzione di terre ai suoi seguaci, aumentando così la forza del suo esercito. Alla morte di Carlo nel 741, il potere passò a suo figlio Pipino il Breve, che governò inizialmente con il fratello Carlomanno, ritiratosi poi a Montecassino. Pipino, con il sostegno della Chiesa, destituì l’ultimo re merovingio, Childerico III, nel 751 e si fece proclamare re con l’unzione sacra concessa da papa Zaccaria. Questo legame con il papato rafforzò la legittimità del nuovo re, che instaurò una regalità basata sulla sacralità, in contrasto con la tradizione merovingia. Nel 754, papa Stefano II consacrò Pipino e i suoi figli, Carlo e Carlomanno, conferendo loro il titolo di “patrizi romani” e sancendo un legame tra la dinastia pipinide e la protezione di Roma. Questo evento segnò una svolta nella regalità franca, ora fondata sull’appoggio della Chiesa e su una legittimazione religiosa, ponendo le basi per l’ascesa del Sacro Romano Impero. Capitolo IX: L’impero Carolingio 9.1: Da pipino il Breve a Carlo Magno: l’egemonia franca sull’Europa (754-800) Dopo l’incoronazione di Pipino il Breve come re dei franchi, le sue vittoriose campagne contro i longobardi (754-756) consolidarono la superiorità franca in Europa. Alla morte di Pipino (768), il regno fu diviso tra i figli Carlomanno e Carlo, ma la morte prematura del primo lasciò Carlo come unico sovrano. Carlo, proseguendo la politica espansionistica, creò un potente esercito di cavalieri professionisti, imponendo loro fedeltà al re in cambio di terre. Con questo, Carlo vince IV soprannome di “magno” Nel 774 Carlo sconfisse il re longobardo Desiderio, annettendo l’Italia settentrionale e assumendo il titolo di “re dei franchi e dei longobardi”. A sud, tentò di intervenire in Spagna nel 778, fallendo a Roncisvalle, ma tra il 796 e l’801 conquistò Barcellona, creando la “marca di Spagna”. In Europa centrale, sottomise la Baviera, gli avari e i sassoni, convertendo queste popolazioni al cristianesimo e consolidando il controllo franco. Carlo Magno rafforzò il legame con la Chiesa, essenziale per il governo del regno. Riorganizzò l’episcopato, stabilendo diocesi con confini definiti e introducendo arcidiocesi per vigilare sul clero. La liturgia fu uniformata ai riti romani, mentre il clero si occupava della gestione amministrativa e spirituale del regno. La stretta collaborazione tra corona e Chiesa consolidò il potere di Carlo Magno, assicurandogli il controllo sul vasto territorio e unificando il regno sotto il cristianesimo. 9.2: la rinascita dell'impero d'occidente Dopo le vittorie di Pipino e Carlo Magno sui longobardi, i papi tentarono di assumere il controllo dell’Italia, ma il predominio carolingio li relegò a un ruolo subordinato. Nel 800, Carlo fu incoronato imperatore d’Occidente da papa Leone III, ma il rito, che enfatizzava il ruolo del pontefice, non seguì le consuetudini bizantine. L’incoronazione sancì il legame tra l’Impero d’Occidente e Roma, pur suscitando tensioni con Costantinopoli, risolte solo nell’812 con un compromesso: Carlo poteva definirsi imperatore, ma non “romano.” Carlo Magno consolidò l’impero come un’assemblea cristiana (ecclesia), con l’obiettivo di salvaguardare sia la salvezza materiale che quella spirituale dei sudditi. Egli promosse la conversione dei pagani e l’unificazione religiosa, introducendo il messale romano, standardizzando i testi sacri e imponendo la Regola di San Benedetto nei monasteri. L’imperatore esercitava un forte controllo sulla Chiesa, nominando vescovi e influenzando le decisioni ecclesiastiche, anche contro il papa. L’impero carolingio non era uno “Stato” nel senso moderno, ma una teocrazia imperiale in cui l’imperatore guidava sia il governo civile che religioso. Questo modello mirava a unificare l’Europa latina sotto un’unica autorità politica e spirituale, con Carlo Magno rappresentato come il nuovo re Davide. 9.3: il governo dell'impero e il vassallaggio Carlo Magno costruì il suo impero grazie alla collaborazione dell’aristocrazia franca e delle élite locali nei territori conquistati, formalizzata attraverso il vassallaggio. I vassalli giuravano fedeltà al re in cambio di protezione e ricevevano in concessione un beneficium (terre e redditi), rafforzando così il controllo regio. L’assenza di un sistema fiscale obbligò Carlo a distribuire terre come ricompensa per il servizio, legando i funzionari e i guerrieri alla corona. L’impero carolingio era diviso in contee e marche, governate da conti e marchesi, che amministravano la giustizia e gestivano la difesa locale. Missi dominici, inviati imperiali, supervisionavano il loro operato e garantivano l’applicazione delle leggi, integrate dai capitolari emanati nelle assemblee generali annuali. La corte itinerante di Carlo Magno era il cuore dell’impero, con funzionari fidati come il conte palatino e il camerario. La cancelleria, composta da chierici, redigeva i documenti ufficiali. Carlo collaborò strettamente con vescovi e abati, che amministravano le proprietà ecclesiastiche, addestravano vassalli e guidavano truppe in guerra. Le alte cariche ecclesiastiche spesso premiavano i collaboratori più stretti. Il sistema di governo carolingio, basato su fedeltà personali e istituzioni ben organizzate, permise a Carlo di creare un’élite guerriera efficace e di ottenere grandi conquiste, consolidando l’impero e l’autorità del sovrano come guida politica e spirituale. 9. 4: la crescita economica Durante l’età carolingia, Carlo Magno riformò il sistema monetario, abolendo l’uso dell’oro e del rame e imponendo il denaro d’argento come unità base, integrata dal meno pregiato obolo. Tuttavia, l’uso della moneta rimase limitato, poiché l’impero non aveva un sistema fiscale centralizzato e si basava principalmente sullo sfruttamento e la redistribuzione delle terre pubbliche. Carlo standardizzò la gestione delle grandi proprietà agricole con il modello della curtis, divisa in dominicum (gestito dal proprietario con manodopera servile) e massaricium (affittato a contadini liberi o servi casati). Questo sistema garantiva manodopera durante i picchi stagionali grazie alle corvées dei contadini. Le curtes erano autosufficienti: scambiavano prodotti tra loro o tramite mercati e fiere, contribuendo a un’economia vivace, integrata da commerci internazionali, come il vino e i tessuti esportati in Scandinavia e il traffico di schiavi verso i paesi arabi. La crescita economica fu accompagnata da un modesto aumento demografico, favorito da bonifiche, disboscamenti e un miglioramento del clima. Si diffusero coltivazioni come frumento, segale e avena, e la qualità degli strumenti agricoli migliorò, insieme all’introduzione dei mulini ad acqua. L’artigianato prosperò attorno alle abbazie, producendo tessuti, ceramiche e oggetti metallici destinati al consumo locale e all’esportazione. L’età carolingia segnò dunque una fase di sviluppo economico e demografico, che si arrestò nella metà del IX secolo con la crisi politica e l’insicurezza dell’impero. 9. 5: L’investimento culturale Durante l’età carolingia, il latino si distaccò dalla lingua parlata quotidianamente, chiamata “lingua rustica,” divenendo una lingua artificiale riservata alla cultura e alla religione. Per preservarne l’uso, gli intellettuali carolingi promossero lo studio dei testi dell’età classica, sia pagani che cristiani, conducendo a una vasta attività di copia di manoscritti. Solo nel IX secolo furono trascritti quattro volte più codici rispetto ai tre secoli precedenti, garantendo la trasmissione del patrimonio culturale romano fino ai giorni nostri. La “scuola palatina,” voluta da Carlo Magno, fu un’accademia per le élite, mentre l’istruzione di base fu promossa attraverso un capitolare del 789, che impose l’istituzione di scuole presso le cattedrali per formare sacerdoti e, occasionalmente, laici. Queste scuole, insieme a quelle monastiche, formarono una rete di biblioteche che favorì la diffusione dei testi in tutto l’impero. Per rendere i testi più leggibili, fu creata una nuova scrittura, la minuscola carolina, chiara e elegante, sviluppata nel monastero di Corbie. Questo carattere influenzò la tipografia moderna e si riflette ancora nei caratteri usati oggi. L’attenzione carolingia all’educazione e alla conservazione dei testi contribuì significativamente alla trasmissione della cultura classica. Capitolo X: La crisi del potere pubblico nell'Europa post-carolingia 10.1: La divisione dell'impero Carolingio Carlo Magno inizialmente spartì l’impero tra i suoi figli, Carlo, pipino e Ludovico, senza garantire la trasmissione ereditaria del titolo imperiale. Dopo la sua morte (814), Ludovico il Pio, ereditò l’intero regno e il titolo imperiale dopo la scomparsa dei suoi fratelli, mantenendo il legame con la Chiesa e puntando a un impero cristiano unificato. Tuttavia, l’arresto dell’espansione territoriale e le tensioni interne all’aristocrazia franca indebolirono il suo governo. Ludovico tentò di introdurre il primogenito Lotario come unico imperatore, scontrandosi però con la tradizione di dividere l’impero tra gli eredi, generando conflitti interni. Alla morte di Ludovico nell’840, Lotario fu contrastato dai fratelli Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico, portando alla spartizione dell’impero con il Trattato di Verdun (843). L’impero fu diviso in tre regni: Carlo ottenne la Francia occidentale, Ludovico la Germania orientale, e Lotario mantenne il titolo imperiale, l’Italia e una fascia centrale, la Lotaringia. Sebbene simbolicamente uniti, i regni erano di fatto indipendenti. Le divisioni interne e le pressioni esterne (normanni, ungari e saraceni) indebolirono la dinastia carolingia. Con il Capitolare di Quierzy (877), Carlo il Calvo riconobbe il diritto ereditario delle cariche locali, consolidando il potere delle aristocrazie regionali. Dopo la breve riunificazione dell’impero sotto Carlo il Grosso (880-884), la frammentazione divenne definitiva. In Francia, Germania e Italia emersero sovrani scelti dalle aristocrazie locali, segnando la fine dell’unità carolingia e l’inizio di un sistema frammentato di poteri regionali. 10.2: normanni ungari e saraceni Fra il IX e il X secolo, l’Europa latina subì incursioni da tre principali gruppi: normanni, saraceni e ungari, attratti dalla ricchezza economica ereditata dall’età carolingia e dalla debolezza militare dovuta ai conflitti interni 1 Normanni: Originari della Scandinavia, i normanni (vichinghi e variaghi) condussero razzie sfruttando i drakkar, imbarcazioni adatte sia all’oceano che ai fiumi, che permisero loro di raggiungere l’entroterra. Colpirono duramente Francia, Inghilterra e Irlanda e, nel 911, ottennero la Normandia in cambio della conversione al cristianesimo e della fedeltà al re di Francia. Nell’Europa orientale, i variaghi stabilirono rotte commerciali lungo il Volga e il Don, fondando centri come Kiev e Novgorod. Inoltre, colonizzarono Islanda, Groenlandia e brevemente l’America settentrionale. 2 Saraceni: I saraceni, provenienti dall’emirato aglabide in Tunisia e dagli Omayyadi di Spagna, saccheggiarono le coste italiane e francesi e si stabilirono in basi fortificate come Garigliano e Frassineto, distrutte solo nel X secolo. Conquistarono la Sicilia dai bizantini (827-902), trasformando Palermo in un importante centro commerciale e culturale, con oltre 100.000 abitanti. 3 Ungari : : Gli ungari, popolo nomade delle steppe eurasiatiche, occuparono la Pannonia e sottomisero le popolazioni slave locali. Condussero rapide incursioni in Germania e Italia settentrionale, sfruttando la mobilità della cavalleria. La loro minaccia fu neutralizzata nel 955 con una decisiva sconfitta da parte dei re di Germania. : Queste incursioni evidenziarono la debolezza dell’Europa post-carolingia, con re e signori locali spesso incapaci di opporsi o costretti a cercare alleanze con gli invasori. 10.3: Signoria e incatenamento Tra il IX e l’XI secolo, la crisi della regalità carolingia portò alla privatizzazione dei poteri pubblici e alla frammentazione dell’autorità centrale. Diritti pubblici come difesa, giustizia e riscossione delle tasse furono “patrimonializzati,” divenendo ereditari o trasferibili tra famiglie aristocratiche, creando il sistema delle signorie. Tipologie di Signoria ⑧ Funzionariale: Nata dal controllo ereditario di cariche pubbliche (conti, marchesi, duchi), con dimensioni provinciali o regionali. ⑧ Fondiaria: Basata sul potere esercitato sui territori di proprietà signorile, spesso rafforzato dalla costruzione di monasteri e chiese. & Territoriale (di castello): Centrata attorno a fortificazioni, dove i signori offrivano protezione in cambio di tributi, servizi e lavoro. Queste tipologie si sovrapponevano spesso: i signori fondiari costruivano castelli per consolidare il controllo, mentre conti e marchesi si concentravano nelle loro circoscrizioni. Dal X secolo, i castelli proliferarono (incastellamento), con piccole signorie locali che frammentarono ulteriormente il potere. Cambiamenti Sociali ed Economici I piccoli proprietari terrieri cedettero le terre ai signori in cambio di protezione, perdendo libertà e il diritto al servizio militare. La guerra fu monopolio di cavalieri legati ai signori locali, non più al re, indebolendo il potere centrale. Le immunità concesse a chiese e monasteri li trasformarono in poteri autonomi, esentati dal controllo regale. Evoluzioni Regionali In Francia occidentale e Italia, la frammentazione del potere culminò nella “rivoluzione feudale.” In Germania e Inghilterra, invece, i governi mantennero un maggiore controllo territoriale, ritardando la diffusione delle signorie di castello. Capitolo XI: Il X secolo: imperi nuovi e & imperi rinnovati 11.1: la crisi del Potere regio nell'Europa occidentale Tra il IX e il X secolo, la Francia e l’Italia vissero un processo di frammentazione politica. In Francia, la monarchia si ridusse al controllo delle terre della famiglia regnante, ma mantenne un certo prestigio grazie al legame simbolico con i Carolingi e alla continuità dinastica dei Capetingi, a partire dall’elezione di Ugo Capeto nel 987. Questo permise una futura ripresa del potere centrale. In Italia, invece, non emerse mai una dinastia regnante stabile. I re, spesso stranieri e privi di una base territoriale, esercitavano un potere limitato e conteso da altri pretendenti. Questo favorì l’ascesa delle aristocrazie locali, che disgregarono il potere regio in piccole signorie, accentuando la frammentazione politica. Anche il papato subì l’influenza delle famiglie nobili romane, che si appropriarono della carica pontificia per gestire i beni fondiari, sebbene la cancelleria pontificia preservasse una parziale autorità sovralocale. La frammentazione colpì anche altre regioni: il principato di Benevento si divise in Benevento, Salerno e Capua; in Britannia il regno di Mercia si disgregò in quattro potentati; e in Spagna il regno di Oviedo si frammentò in Leon, Castiglia, Pamplona e Aragona. Tuttavia, la Germania (Regno Teutonico) mantenne una struttura politica più solida, aprendo la strada a una diversa evoluzione rispetto alla Francia e all’Italia. 11.2: l'impero degli ottoni Il regno di Germania, diversamente da Francia e Italia, si formò attorno a ducati semi- autonomi come Baviera, Svevia, Franconia e Sassonia. Enrico I di Sassonia, eletto re nel 919, consolidò il potere agendo come “primo fra pari” e guidando campagne contro slavi e ungari. Suo figlio, Ottone I, succedette nel 936, celebrando l’incoronazione ad Aquisgrana per legittimare la continuità con la tradizione carolingia. Strategie di Ottone I Famiglia: Impose parenti alla guida dei ducati per rafforzare il controllo. Chiesa: Scelse personalmente vescovi e abati, utilizzandoli come alleati politici e militari. Esercito: Conservò il controllo sugli ufficiali pubblici e mobilitò cavalieri pesanti in campagne vittoriose. Nel 955, Ottone sconfisse gli ungari a Lechfeld, ponendo fine alle loro incursioni in Occidente e guadagnando prestigio. Nel 961 conquistò l’Italia e, con il sostegno del papa, fu incoronato imperatore a Roma nel 962. Con il Privilegio di Ottone, ottenne il controllo sull’elezione papale, consolidando l’autorità imperiale. Eredità degli Ottoni Ottone II (973-983): Succedette al padre, ma fu sconfitto dagli arabi a Capo Colonna nel 982. Morì lasciando un erede minorenne. Ottone III (996-1002): Sotto la reggenza di Teofano e Adelaide, guidò un progetto di renovatio imperii Romanorum, unendo tradizione latina e carolingia. Nominò papa Gerberto d’Aurillac (Silvestro II) per rafforzare un regno cristiano e morale. Morì senza eredi a 22 anni. Enrico II (1002): Successore di Ottone III, si concentrò sulla Germania, abbandonando il progetto universale degli Ottoni. La dinastia sassone consolidò l’impero tedesco, preservando una maggiore coesione rispetto ad altri regni europei e rilanciando l’autorità imperiale. 11. 3: nuovi equilibri nel mondo islamico Baghdad e il califfato abbaside: Tra IX e X secolo, Baghdad era una città fiorente con oltre 500.000 abitanti, importante per architettura, produzione tessile e cartaria, biblioteche e vivacità culturale. Instabilità politica dovuta a guerre dinastiche e uso di truppe mercenarie turche. Nel 936 il potere passò a un comandante turco, riducendo il califfo a figura simbolica. Il califfato perse il controllo di territori come Nord Africa, Persia e Asia Centrale, governati da dinastie autonome. Il califfato di Cordova: Fondato dagli Omayyadi nel 756 in Spagna, divenne indipendente da Baghdad. Nel X secolo, Cordova fiorì economicamente e culturalmente, con oltre 100.000 abitanti. Nel 929, Abd al-Rahman III si proclamò califfo, creando un califfato rivale di Baghdad. I Fatimidi: Nel 909, i Fatimidi chiiti conquistarono il Nord Africa e nel 969 l’Egitto, fondando Il Cairo. Espandendosi in Palestina e Arabia, si opposero ai califfati sunniti di Baghdad e Cordova, creando una frattura religiosa e politica nell’islam. Tre califfati distinti segnarono la frammentazione del potere islamico: abbaside, cordovese e fatimide. 11. 4: la rinascita dell'impero d'occidente Contesto storico e imperatori militari: Tra IX e XI secolo, l’Impero Bizantino visse una fase di ripresa grazie agli imperatori “militari”, provenienti dalle élite delle regioni orientali. Questi sovrani, come Niceforo Foca, Giovanni Zimisce e Basilio II, coniugarono abilità militari e culturali, consolidando i confini e avviando campagne di conquista. Ripresa economica e sociale: Costantinopoli si ripopolò, raggiungendo il mezzo milione di abitanti, alimentata dal grano delle pianure del Mar Nero e dai traffici carovanieri con la Cina e la Persia. Crescita dei commerci e tassazione fondiaria rinnovata: le comunità contadine divennero la base economica e militare dello Stato. L’apparato fiscale e i dazi sulle transazioni (10%) garantirono ingenti risorse agli imperatori. Espansione militare: Riconquistate Anatolia, Armenia, Siria settentrionale e Antiochia; i potenti arabi pagarono tributi a Costantinopoli. A nord, Basilio II sottomise i bulgari (990-1018), riportando i confini sul Danubio e conquistando le coste della Crimea. Sul mare, la flotta imperiale eliminò l’emirato arabo di Taranto, riconquistò Creta, Cipro e parti dell’Italia meridionale, consolidando il controllo del Mediterraneo orientale. L’Impero Bizantino tornò a essere una grande potenza economica, politica e militare, creando le basi per lo sviluppo di centri commerciali come Amalfi e Venezia. 11. 5: conversione e acculturazione dell'Europa orientale. Missioni bizantine nei Balcani: Nella seconda metà del IX secolo, Cirillo e Metodio evangelizzarono gli slavi, adottando lo sclavone come lingua liturgica e creando l’alfabeto cirillico. I bulgari, sotto il re Boris I, si convertirono all’ortodossia, adottarono la scrittura cirillica e si integrarono nel mondo cristiano-bizantino con un patriarcato a Preslav. Conversione dei Rus’: I normanni Rus’ si stabilirono nell’attuale Ucraina e Russia. Vladimir di Kiev, nel 988, si fece battezzare e adottò riti e modelli bizantini, rendendo il principato di Kiev ortodosso. Missioni latine in Europa centrale: Danimarca: Re Harald Dente Azzurro si convertì nel 965, consolidando il suo potere grazie all’appoggio ottoniano. Boemia: Nel X secolo si formò il ducato cattolico di Boemia, vassallo tedesco, con Pragacome sede episcopale. Polonia: Nel 966 Mieszko I dei Piasti si battezzò; nel 1000 fu istituita un’arcidiocesi a Gniezno, successivamente spostata a Cracovia. I Piasti divennero re di Polonia. Conversione degli ungari: Dopo la sconfitta di Lechfeld (955), gli ungari si stabilirono nell’attuale Ungheria. Nel 1000, Vaik Arpad fu battezzato, diventò re con il nome cristiano di Stefano e fu poi canonizzato. La cristianizzazione dell’Ungheria segnò la fine delle minacce dai nomadi delle steppe verso l’Europa latina. Significato storico: Questi processi consolidarono l’influenza politica e religiosa bizantina e latina in Europa centrale e orientale, stabilendo confini culturali e religiosi che permisero future espansioni cristiane nel Mediterraneo. Capitolo XII: La "rinaschita dell'anno Mille" (secoli XI - XII) 12.1: il miso dell'anno Mille e le radici profonde di una crescita Tra il XI e il XIII secolo, l’Europa occidentale subì una profonda trasformazione demografica, economica e territoriale, nota come “la rinascita dell’anno Mille”. Dopo il crollo dell’Impero Romano e le crisi tra il VI e l’VIII secolo, la popolazione triplicò in 300 anni, spingendo un’espansione agricola che ridusse le foreste dal 60-70% al 25-30%. I piccoli insediamenti rurali si trasformarono in villaggi più organizzati e città con infrastrutture come chiese, mercati e magazzini, mentre la rete viaria e portuale fu modernizzata. La crescita demografica ebbe inizio già prima dell’anno Mille, tra la fine dell’VIII secolo e la metà del IX, accompagnata da miglioramenti agricoli, commerciali e artigianali. Questo sviluppo iniziale fu frenato dall’instabilità successiva alla caduta dell’Impero Carolingio, ma riprese con vigore dal XI secolo grazie a vari fattori: 1 Maggiore sicurezza esterna: La cristianizzazione di scandinavi, polacchi e ungheresi ridusse le incursioni e spostò le minacce verso est. Nel Mediterraneo, le divisioni interne dell’islam favorirono incursioni cristiane, che portarono risorse significative, come nel caso di Pisa. 2 Riorganizzazione del potere interno: Il rafforzamento di monarchi, nobili locali e comuni italiani ridusse i conflitti interni, incentivando investimenti agricoli e traffici commerciali. 3 Miglioramento climatico: Tra l’XI e il XIII secolo, un aumento graduale delle temperature favorì l’espansione delle coltivazioni verso il nord e le aree montuose, incrementando la produttività agricola in tutto il continente. Questi elementi trasformarono l’Europa, consolidando una società più prospera, agricola, commerciale e urbana, che gettò le basi della modernità. 12.2: la ripresa demografica e i nuovi modelli familiari Dopo l’anno Mille, la popolazione europea crebbe costantemente, passando da circa 30 milioni a 70 milioni entro il XIV secolo, con dinamismo particolare in aree come Italia, Francia e Fiandre. La popolazione italiana, in particolare, aumentò da 5,2 milioni nel Mille a 12,5 milioni nel XIV secolo, pari al 18% del totale europeo. La crescita demografica ed economica si influenzavano reciprocamente, sostenute da miglioramenti nel tenore di. vita, nell’agricoltura e nell’alimentazione. I contadini, che rappresentavano il 70-90% della popolazione, videro un miglioramento delle abitazioni, ora costruite in pietra o mattoni, e un cambiamento nell’alimentazione con l’introduzione del pane come alimento principale grazie alla diffusione dei mulini e delle colture di frumento. Una dieta migliore e condizioni di vita più salubri portarono a un aumento della natalità e alla riduzione della mortalità infantile, favorendo un ciclo virtuoso di espansione demografica e agricola. Per l’aristocrazia, invece, la crescita demografica fu più problematica. L’aumento del numero di nobili e la frammentazione dei patrimoni per via ereditaria rappresentarono una minaccia al loro status. Per evitare la dispersione dei beni, si adottò il sistema di primogenitura, in cui solo il primo figlio maschio ereditava il patrimonio e il potere. Gli altri figli venivano indirizzati verso la carriera ecclesiastica o militare. Questo nuovo modello familiare, promosso anche dalla Chiesa, consolidò famiglie nucleari e favorì l’introduzione di cognomi e stemmi araldici per rafforzare l’identità dinastica. La Chiesa ebbe un ruolo centrale nel trasformare la struttura sociale, promuovendo l’indissolubilità del matrimonio e vietando i matrimoni tra parenti stretti, elementi che contribuirono a una nuova organizzazione familiare e al consolidamento del lignaggio nobiliare. 12.3: le campagne e l'agricoltura Dopo l’anno Mille, l’aumento della popolazione europea fu reso possibile da un significativo incremento della produttività agricola. Innovazioni come la rotazione triennale, che aumentò la superficie coltivata al 67%, e l’aratro pesante, che dissodava il terreno in profondità, migliorarono i rendimenti dei campi, soprattutto nelle pianure settentrionali. L’uso dei mulini ad acqua non solo velocizzò la macinazione dei cereali, ma trovò applicazione anche nella manifattura, come nella lavorazione del legno e dei tessuti. Inoltre, la costruzione di canali di irrigazione, spesso ispirati alle tecniche arabe, favorì colture intensive in aree come la Lombardia meridionale. L’espansione agricola avvenne anche tramite dissodamenti e disboscamenti, promossi da contadini autonomi o signori feudali. Intere foreste furono trasformate in terre coltivabili, spesso accompagnate dalla nascita di nuovi villaggi, come dimostrano i toponimi “Villanova” o “Borgonuovo”. Tuttavia, il disboscamento ridusse risorse fondamentali come il legname e la caccia, problemi mitigati dalla gestione sostenibile dei boschi cedui. by La monetizzazione dell’economia rurale trasformò la gestione fondiaria: le terre furono affittate e i pagamenti in natura sostituiti da denaro, incentivando investimenti come mulini e piantagioni di viti o alberi da frutto. Questa integrazione tra economia rurale e urbana permise ai contadini di vendere surplus agricoli e artigianali nei mercati locali, contribuendo a una vivace economia di scambio. Le comunità rurali si organizzarono meglio, negoziando condizioni più favorevoli con i signori e, in alcuni casi, acquistando la loro autonomia. Questo dinamismo sociale ed economico migliorò il tenore di vita dei contadini, rendendo le campagne un elemento cruciale per sostenere la crescita demografica e l’integrazione con le città. 12.4: la città e le produzioni manifatturiere Tra XI e XIII secolo, le città europee crebbero rapidamente, attirando popolazione dalle campagne e diventando centri di produzione, commercio e cultura. Milano, Parigi e Venezia superarono i 100.000 abitanti, mentre molte città medio-piccole prosperarono, specialmente in Italia e nelle Fiandre. Le città si specializzarono in produzione tessile, lavorando lana, lino, cotone e seta, con prodotti richiesti in tutta Europa e nel Mediterraneo. Le botteghe artigiane erano l’unità produttiva di base, spesso organizzate in corporazioni che regolavano lavoro e prezzi e fornivano supporto sociale. Il commercio urbano, alimentato dalle campagne, favorì una rete economica regionale e internazionale. Culturalmente, le città divennero poli intellettuali con le scuole cattedrali e le prime università, come Bologna e Parigi, che formarono giuristi e medici. La circolazione di idee e testi, anche dal mondo arabo e greco, consolidò il ruolo delle città come motore del progresso medievale. 12. 5: I mari e i grandi commerci internazionali Il commercio internazionale medievale si concentrava su prodotti di alto valore, come le spezie (pepe, cannella, noce moscata), seta, ceramiche e oreficeria, importati dall’Oriente attraverso rotte che collegavano India, Egitto, Siria e Costantinopoli con l’Europa, principalmente tramite mercanti italiani. Le repubbliche marinare (Venezia, Genova, Pisa) monopolizzarono il commercio mediterraneo tra XI e XIII secolo, ottenendo privilegi grazie al supporto militare alle Crociate. Strumenti contrattuali come commenda e società permisero di raccogliere capitali per il commercio su larga scala, garantendo ampi profitti. Parallelamente, le Fiandre divennero centri manifatturieri per la lavorazione della lana inglese, producendo drappi di alta qualità destinati a tutta Europa e al mondo arabo. I porti del Baltico e del Mare del Nord, coordinati dalla Lega Anseatica, esportavano legname, pellicce e pesce salato. Le fiere della Champagne divennero luoghi chiave per gli scambi tra mercanti italiani e fiamminghi, dove spezie e oggetti orientali venivano scambiati con tessuti nordici. L’espansione del commercio richiese una maggiore disponibilità di moneta: la scoperta di miniere d’argento in Sassonia, Sardegna e Boemia aumentò le coniazioni, introducendo monete come i grossi per grandi transazioni e sottomultipli per usi quotidiani. Questi sviluppi consolidarono una rete commerciale dinamica, integrando Mediterraneo, Mare del Nord e Baltico e alimentando la crescita economica europea. Capitolo XIII: l'espansione Latina nel mediterraneo: dei normanni alle crociate 13.1: I mari e i grandi commerci internazionali Tra IX e XI secolo, l’Italia meridionale era un crocevia di civiltà, con latini cattolici, bizantini ortodossi e arabi musulmani che convivevano e commerciavano, spesso in conflitto ma anche in dialogo. Amalfi, esempio di prosperità culturale e commerciale, esportava materie prime e schiavi verso Oriente e importava spezie e seta. Nel X secolo, i normanni iniziarono a stabilirsi nel Sud Italia come mercenari, ma dal 1050, guidati da Roberto il Guiscardo, avviarono una serie di conquiste autonome. Nel 1059, con gli accordi di Melfi, il papa legittimò il loro dominio, nominando Roberto “duca di Puglia” in cambio della fedeltà alla Chiesa. Questa alleanza si consolidò con la conquista della Sicilia, guidata dal fratello Ruggero, che sconfisse l’emirato islamico di Palermo (1072) e completò la conquista nel 1091. I normanni eliminarono il dominio bizantino nel Sud Italia conquistando Bari (1071) e organizzarono il territorio in due aree distinte: sul continente, una frammentazione in signorie feudali; in Sicilia, un governo centralizzato da Palermo, dove Ruggero mantenne una convivenza pacifica tra cristiani, musulmani ed ebrei, garantendo libertà di culto in cambio di tasse. Questo modello efficiente permise ai normanni di finanziare nuove spedizioni e consolidare il loro dominio nel Mediterraneo. 13.2: gli inizi della "riconquista" spagnola Tra il X e l’XI secolo, il califfato di Cordova, principale potenza del Mediterraneo occidentale, si frammentò in taifas dopo una guerra civile (1009-1013) e la deposizione dell’ultimo califfo, Hisham III, nel 1031. Questi piccoli emirati, deboli e divisi, furono sottoposti alla pressione dei regni cristiani del nord, come Castiglia, Leon, Navarra e Aragona, inizialmente anch’essi frammentati. Nel 1085, il re cristiano Alfonso VI conquistò Toledo, un successo propagandistico significativo. Per contrastare l’avanzata cristiana, le taifas chiesero aiuto agli Almoravidi, un movimento islamico rigorista berbero. Essi unificarono la Spagna islamica e il Maghreb, riequilibrando le forze per oltre un secolo. Durante questo periodo, la penisola iberica fu teatro di una lunga guerra tra cristiani e musulmani, progressivamente interpretata in chiave religiosa come Reconquista. La valorizzazione del santuario di Santiago de Compostela e del relativo Cammino di Santiago consolidò l’idea della Riconquista come missione sacra. Chi combatteva i musulmani otteneva privilegi spirituali simili a quelli dei crociati in Terrasanta, attirando cavalieri dalla Francia meridionale. Parallelamente, gli Almoravidi compattarono il fronte musulmano, promuovendo la Spagna come meta della jihad. Lo scontro divenne così una guerra ideologica tra cristianesimo e islam, trasformando la penisola iberica in un campo di battaglia religioso e politico. 13. 3: nuovi equilibri a oriente Nel XI secolo, i turchi selgiuchidi, originari delle steppe