Educazione e Partecipazione PDF

Summary

This document examines education and participation, particularly focusing on the role of children in society. It discusses the importance of participation in democracy, focusing on children's rights and the influence of contemporary media on children's development.

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EDUCAZIONE E PARTECIPAZIONE Partecipazione come elemento intrinseco della democrazia. Deve giocare un ruolo nella vita di ciascun individuo sin dalla prima infanzia. Korczak e la sua attenzione verso i diritti dei bambini. Fondazione di Neill della scuola “Summerhill”, dove i bambini convivevano e a...

EDUCAZIONE E PARTECIPAZIONE Partecipazione come elemento intrinseco della democrazia. Deve giocare un ruolo nella vita di ciascun individuo sin dalla prima infanzia. Korczak e la sua attenzione verso i diritti dei bambini. Fondazione di Neill della scuola “Summerhill”, dove i bambini convivevano e apprendevano, stabilendo regole in delle assemblee settimanali, frequentando anche, nella media, le lezioni. I bambini, con un giusto sostegno, possono regolare da sé le proprie faccende, sviluppando così anche capacità importanti per vivere in maniera responsabile nella comunità. La società del rischio in cui i bambini d’oggi vivono è caratterizzata da individualizzazione - progressiva frammentazione delle istituzioni classiche, dove i grandi orientamenti ideologici non offrono più prospettive di comportamento sicure, e facendo così c’è già spazio per manovrarsi, ma tutto da sé e partendo da zero - e globalizzazione - in questo modo, le decisioni delle persone hanno conseguenze globali -. L’infanzia e le condizioni di vita dei bambini sono influenzati allo stesso modo, come gli adulti, da stesse forze economiche, politiche, sociali e individuali. Concetto “Contemporaneità differenziale”: segnala differenze e scarti tra i bambini e gli adulti senza stabilire in quali dimensioni/contesti. Importante è il passaggio tra un sistema di educazione istituzionalizzato e focalizzato sull’infanzia e la giovinezza ad un apprendimento permanente e continuo. L’apprendimento, ad oggi, è lungo tutta la vita ed è parte integrale delle nostre attività. PARAGRAFO 1 - Sociologia dell’infanzia; - Discussione sui diritti dei bambini secondo la convenzione del 1989; - Ricerca anglofona sui media per bambini. I cambiamenti radicali in tutti questi anni che hanno promosso nuove prospettive sui bambini e sull’infanzia: riduzione squilibrio di potere tra gruppi forti e deboli, tra uomini e donne, genitori e figli, tra vecchie e nuove generazioni —> strutture familiari evolute. Cook e la sua valorizzazione del ruolo dei bambini all’interno della famiglia, della società e nella ricerca moderna: i bambini hanno acquisito un ruolo/valore anche in ambito giuridico, assumendolo nella sfera del consumo. I bambini, prima della convenzione ONU del 1989, avevano già avuto il via al “dire la loro”, riconosciuti come soggetti sovrani, dotati di desideri e libertà di scelta. Quindi attraverso il mercato, pensava Cook, c’è stato un decentramento della prospettiva del genitore. PARAGRAFO 2 ANNI 90 - ridefinizione sociologia, facendo una chiara distinzione tra Infanzia - fase della vita, segmento duraturo della struttura sociale, mantenendo come una sua continuità (tutti i bambini passano questa fase della vita, venendo di continuo sostituti da altri), diventando così un tema chiave - e i bambini - attivi, creativi, non sono soltanto dei soggetti passivi delle strutture e dei processi sociali -. La nuova sociologia dell’infanzia si allontana dalla psicologia evolutiva di Piaget e dalla teoria di socializzazione di Parsons: da bambini incompleti ad adulti completi. La nuova ricerca dell’infanzia cerca di distinguersi dalla convenzione Onu per quanto riguarda quest’ultimo punto. PARAGRAFO 3 Innovazione ed espansione del mondo dei media per bambini nelle società contemporanee: ambito trascurato. La sociologia dell’infanzia non prende atto degli studi sui media. Ma i media sono una parte integrante dei nostri mondi vitali sin dalla primissima infanzia. Quando si parla di teoria dei media sulla partecipazione, parliamo della questione delle relazioni sociali che persone diverse intrattengono con i prodotti mediali. Il discorso sulla partecipazione è soprattutto una reazione ad internet e allo sviluppo die social media, che hanno cambiato, per molti aspetti, la cultura dei media per bambini. Su internet, ad esempio, si trovano anche dei siti amatoriali gestiti da bambini, che spesso danno consigli ad un pubblico come il loro. Perché bambini che non sanno ancora né leggere né scrivere, sono già in grado di riconoscere simboli o attivare pagine internet in maniera autonoma, da soli! Gli studiosi si sono concentrati su concetti di apprendimento socioculturali che prendono il posto delle tradizionali rappresentazioni di apprendimento. L’imparare come collaborazione attiva di tutti i giorni. Le teorie sociali sull’apprendimento attribuiscono alla partecipazione un ruolo centrale affinché si impari qualcosa in modo duraturo, significativo e formativo dell’identità. Maggior apprendimento solitamente avviene in contesti di interazioni di gruppo e in cui si è coinvolti in pratiche culturali collettive. Apprendimento inteso come atto di partecipazione —> incoraggiamenti alla “co-creation” e “collaboration”. Le forme di apprendimento date da interazione tra nuovi media e complessi mediatici sono viste positivamente, sebbene i contenuti siano poco ambiziosi e che comunque ci sia un piccolo squilibrio tra gruppi forti e deboli. PARAGRAFO 4 Riflessione sull’età: bambino è chi è minorenne, ovvero la persona sotto i diciotto anni. Studi moderni riportano che le competenze non si possono leggere in base all’età. Alderson: competenze e autonomia dei bambini si sviluppa in maniera essenzialmente dipendente non dall’età o dalle capacità intellettuali, ma dall’esperienze dirette e quindi non danno caratteristiche come età o intelligenza. Competenze partecipative dei bambini più piccoli spesso sottovalutate. Dimostrazione ed esercitazione delle proprie competenze in modo più completo quando si agisce e si collabora. La partecipazione dei bambini è molto più ampia e variegata, c cominciando adunerà inferiore. La famiglia del bambino ha un ruolo positivo nella prima partecipazione dei bambini, i quali ottengono più rispetto, hanno più possibilità di scegliere, tempo libero e spazio a casa. Nella vita in famiglia quindi c’è un maggiore impulso alla partecipazione. Gli attori sono principalmente bambini, genitori, fratelli. Ma per comprendere il mondo vitale di un bambino, è necessario comprendere anche l’ambiente materiale e mediale. Studio etnografico (Scozia): interazione die bambini in età prescolare con media e tecnologie —> “Growing up with Technology. Young children learning in a digital world”. Come I media e le tecnologie sono soltanto un elemento tra molti altri giocattoli e materiali per i bambini. Osservare come i bambini imparano con le nuove tecnologie, marcando elementi significativi come la spazialità, le pratiche quotidiane di routine, gli orientamenti valorizzi e le ambizioni della famiglia, le possibilità di partecipazione nella famiglia e i contatti con l’esterno. Questi elementi mostrano come i bambini hanno più possibilità di farsi un’idea dei ruoli volti dalle tecnologie nella vita di tutti i giorni e nel mondo, rispetto che alla scuola dell’infanzia. Perché ciò che si impara a scuola viene visto come una cosa ovvia, senza valore esistenziale o di costruzione dell’identità. I bambini e i giovani sono interessati agli uditi in quanto loro pari più esperti, con stessi loro interessi, per questo dovrebbero prendere parte a progetti di educazione e formazione non come insegnanti o educatori, ma come hobbisti appassionati. In relazione ai bambini più piccoli si parla di “guided participation”: offrire risorse materiali-mediali e personali per l’espansione e la raccolta di informazioni indipendenti, sotto forma di tutor o personale specializzato. Scopo della “guided participation” è vedere come i bambini diventano competenti attraverso la partecipazione. PARAGRAFO 5 La Convenzione ONU e le sue manchevolezze. La concezione dell’infanzia era, negli anni 80, dominata dalle scienze dell’infanzia tradizionali e dal paradigma evolutivo. Una delle principali critiche è la pretesa di validità universale, non tenendo conto delle condizioni costitutive dell’infanzia nei paesi del terzo mondo. Il decentramento implica relativizzare il significato della Agency del bambino e prestare rinnovata attenzione agli viluppi die macro-campi, ovvero a livello globale. In questo modo si cambia il modo i guardare alle pratiche culturali dei bambini. PARAGRAFO 6 Prospettive future: i bambini, i giovani e gli adulti andrebbero visti come contemporanei, cioè al di là dell’età. CAPITOLO 2: “LIMITAZIONI DELL’INFANZIA NELLE DISTOPIE DEL PRIMO NOVECENTO” A partire dai primi anni del Novecento, infanzia vista come età fondamentale del ciclo esistenziale umano. Fisicamente e psicologicamente siamo sempre in divenire. Ellen Key apriva coì questo nuovo secolo, con l’auspicio di una nuova fase storica, dedicando questo suo modo di pensare a tutti i genitori che strano di educare l’uomo nuovo, facendo così, pensava di poterne dar beneficio a tutta l’umanità. Secondo Ellen Key, uno dei rischi dell’educazione era quello di produrre un uomo.massa, sollecitando così a mirare allo viluppo della sua autonomia individuale, favorendo la libertà di scelta e diritti di tutti alla massima realizzazione del sé (Freud). La psicanalisi ha giocato, infatti, un ruolo chiave nella ridefinizione del concetto di infanzia: ha sottolineato l’importanza della sfera emotiva ed affettiva, così come dei rapporti intrafamiliari, nella crescita del bambino. Freud ha evidenziato come le pulsioni infantili e il modo in cui vengono trattate possano avere effetti duraturi sulla maturità, contribuendo alla riflessione critica sui metodi educativi tradizionali. Viene contrastata in questo modo una visione dell’infanzia come semplice preparazione all’età adulta. In questo stesso periodo emergono ideali educativi che mirano alla liberazione personale del bambino e alla formazione di una nuova società, soprattutto in contesti post-rivoluzionari. Nonostante gli ideali utopici, i progetti educativi e sociali del Novecento hanno spesso rivelato aspetti dispotici, legati al controllo sociale e alla soppressione della spontaneità infantile. Le critiche si concentrano sul rischio di ridurre il bambino ad un oggetto di manipolazione pedagogica, trascurando la sua individualità e complessità. Nel 1921, dopo la Rivoluzione d’Ottobre, viene istituito il “Kinderheim-Laboratorium” a Mosca, un esperimento educativo fondato da Vera Schmidt e ispirato a metodi psicoanalitici, con lo scopo di esplorare percorsi educativi nuovi, in modo da combinare psicologia e pedagogia. Questo progetto aveva visione socialista della formazione di un “uomo nuovo”, evidenziando un contrasto tra l’utopia di una nuova società e la realtà dispotica dei metodi coercitivi che talvolta accompagnavano queste iniziative. Vera Schmidt è promotrice di un’educazione alternativa ed emancipativa che guarda al bambino con la fondamentale preoccupazione di renderlo libero, indipendentemente dalle possibili conseguenze politiche. La rivoluzione “spirituale” nasce dall’interiorità di ogni singolo bambino, una trasformazione/liberazione di un nuovo individuo, che avrebbe successivamente avviato una trasformazione sociale. La Schmidt mira alla liberazione delle coercizioni familiari, pur sapendo di avere ricadute politiche di trasformazione della società., per lei qualcosa di marginale. In realtà, furono proprio queste ricadute politiche che posero fine a certe esperienze e oblio di studi psicoanalitici in generale. L’asilo poi chiuse nel 1924, stesso anno in cui salì al potere Stalin, il quale vedeva qualsiasi novità una minaccia. Contrario proprio all’idea della Schmidt, riconoscimento della necessità di permettere e favorire la libera espressione, la nuova società di uno Stato Unico, fondato da Zamjatin su un sistema di etica scientifica, sull’addizione, divisione, sottrazione e moltiplicazione, - un mondo perfetto racchiuso in una città di vetro e acciaio - pone al centro la collettività, dove l’individuo non percepisce la propria unicità e accetta di essere identificato non con un nome, ma con un codice alfanumerico. In questo Stato Unico, equilibrio sociale e felicità sono risultato di una trasformazione dell’uomo in macchina, con ritmi disciplinati e fissati. È la Tavola delle Ore che scandisce la giornata e la possibilità di scelta dei cittadini. Questo Stato Unico sarebbe separato dal vecchio mondo da un muro di vetro, guidato da un unico capo, il Benefattore. Gli uomini sono privi di sentimenti, estirpati da qualsiasi pulsione individuale. I figli stessi sono frutti di unioni prestabilite, coppie che si accoppiano in date fisse, secondo delle precise norme “materne e paterne”, e sono subito affidati allo Stato, che si fa carico della loro crescita-omologazione. Qui infatti non si parla di educazione perché viene ricercata in continuazione un’uguaglianza, tanto ossessiva, che nega sin dalla radice individualità e libertà. In questo Stato Unico è assente qualsiasi forma di partecipazione dove viene negata la soggettività che tale partecipazione rende possibile. Le visioni dispotiche del Novecento attraverso i romanzi “Il mondo nuovo” di Huxley e “1984” di George Orwell, i quali evidenziano i temi della manipolazione sociale, della negazione dell’individualità e del controllo sull’infanzia per mantenere un’ordine sociale totalitario. IL MONDO NUOVO di Huxley: La società è ambientata nell’anno Ford 362 (2504 d.C.) e regolata da dieci coordinatori mondiali. Gli essere umani sono prodotti in serie attraverso tecniche di riproduzione artificiale e geneticamente programmati per occupare specifici ruoli sociali. La popolazione è suddivisa in caste rigide: Alfa e Beta, i superiori, e Gamma, Delta ed Epsilon, gli inferiori, con intelligenza decrescente. Il controllo genetico include la manipolazione chimica e privazioni per condizionare gli individui. Sin dalla nascita, infatti, i bambini subiscono un condizionamento psico-fisico continuo, come nel “Reparto infantile di condizionamento neopavloviano”, dove associazioni negative (come le scosse elettriche) vengono usate per inculcare comportamento desiderati. Tecnologie avanzate, ipnopedia - insegnamento nel sonno - e droghe come la “soma” garantiscono il mantenimento dell’ordine sociale e l’accettazione del proprio ruolo. Sebbene sembri una società all’apparenza perfetta perchè senza povertà, guerra o sofferenza, questa felicità è ottenuta pagando il prezzo della perdita della libertà, individualità, amore, arte e umanità. L’infanzia è ridotta ad un’età di condizionamento perfetto. 1984 di Orwell: Ambientato in un mondo diviso in tre super-stati (Oceania, Eurasia, Estasia), dominati da regimi totalitari, il romanzo si concentra su Londra sotto il regime del Partito. Il Partito regola ogni aspetto della vita, utilizzando strumenti come il bipensiero (pensiero contraddittorio accettato come verità) e la neolingua (linguaggio semplificato per eliminare concetti sovversivi). I bambini vengono educati a denunciare i genitori per “psicoreati” (pensieri sovversivi) e a confermarsi totalmente al sistema. Il matrimonio è privato di qualsiasi piacere e serve solo alla procreazione per il Partito. Attraverso la manipolazione del linguaggio e l’educazione, gli individui diventano incapaci di pensare in modo autonomo, perdendo la loro essenza umana. In entrambe le opere, l’infanzia è descritta come il principale strumento per il mantenimento dell’ordine sociale. I bambini non sono visti come essere condiresti propri, ma come soggetti da plasmare per servire il sistema. Nel nazionalsocialismo, l’infanzia è manipolata per creare una massa omologata, obbediente e priva di unicità. L’educazione è ridotta ad un addestramento per produrre individui adulti che vivono esclusivamente per il bene dello Stato. Le visioni dispotiche del Novecento testimoniano l’annullamento dell’individualità e delle relazioni umane, dove i bambini perdono la possibilità di essere protagonisti del loro sviluppo. Sia Huxley che Orwell denunciano l’orrore di società totalitarie che sacrificano l’umanità per un’illusoria felicità o ordine. Il controllo dell’infanzia diventa fulcro del mantenimento del potere, ma al prezzo della libertà, della creatività e della relazione educativa. PARAGRAFO 3: “La partecipazione promossa dall’Europa nella normativa scolastica 0-6: un confronto tra Spagna e Italia” La partecipazione nei contesti educativi 0-6 anni. La partecipazione viene definita come un principio essenziale che connette l’educazione al riconoscimento e al rispetto delle diversità, promuovendo il dialogo e la collaborazione. È un concetto fondamentale nei sistemi educativi contemporanei, specialmente nei contesti 0-6 anni. Questo tema emerge fortemente nei documenti internazionali e nazionali che promuovono l’idea di un’educazione inclusiva e democratica, in cui i bambini, le famiglie e le comunità giocano un ruolo attivo. L’Unione Europea enfatizza il diritto alla partecipazione dei bambini come aspetto fondamentale dell’inclusione della cittadinanza attiva. Viene fatto riferimento alla Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e alla necessità di riconoscere i bambini come soggetti attivi nel processo educativo. L’Articolo 12 afferma il diritto dei bambini ad essere ascoltati su tutte le questioni che li riguardano e a vedere considerate le loro opinioni. Un altro documento rilevante è il Rapporto della Commissione Europea sull’Educazione e Cura della Prima Infanzia (ECEC), che sottolinea l’importanza di politiche partecipative per migliorare qualità ed equità nei servizi educativi. In Italia i documenti normativi e pedagogici, come le Indicazioni Nazionali per il Curricolo della Scuola dell’infanzia e del Primo Ciclo di Istruzione (2012), enfatizzano la partecipazione come principio fondante dell’intero sistema educativo: la legge 107/2015 (La Buona Scuola) e i successivi decreti legislativi definiscono il sistema integrato 0-6 anni, che valorizza la partecipazione, come elemento centrale per la qualità educativa. Si sottolinea l’importanza del ruolo delle famiglie come partner attivi nella progettazione educativa. La partecipazione non è soltanto un diritto, ma anche uno strumento per promuovere equità e contrastare le disuguaglianze. Gli educatori sono chiamati a costruire contesti di apprendimento che favoriscano l’ascolto attivo il coinvolgimento di tutti i bambini, rispettando le loro unicità. La progettazione educativa deve prevedere spazi e momenti per il dialogo e la condivisione tra bambini, educatori e famiglie. La partecipazione dei bambini si limita nell’ascolto e coinvolgimento nelle decisioni quotidiane, e nella promozione di pratiche che favoriscano l’autonomia e l’espressione; le famiglie partecipano coinvolgendosi nei processi educativi e decisionali, collaborando con i professionisti per la costruzione di percorsi condivisi; la comunità partecipa creando reti territoriali che supportano servizi educativi e attivando progetti che coinvolgano risorse locali. Le pratiche partecipative includono attività che coinvolgono i bambini nella presa di decisioni e nella co- costruzione del loro percorso educativo. La partecipazione richiede una formazione specifica per gli educatori, che devono acquisire competenze per favorire dinamiche inclusive. La costruzione di una comunità educativa richiede l’impegno di tutte le parti coinvolte e una visione condivisa dell’importanza dell’educazione come bene comune. La partecipazione richiede strategie intenzionali e strumenti adeguati come un’educazione educativa, utile per rendere visibili i processi di apprendimento e favorire il dialogo, assemblee ed incontri, momenti dedicati alla condivisione di idee tra bambini, famiglie ed insegnanti, progetti co-costruiti, attività sviluppate con il contribuito attivo di tutti i soggetti coinvolti. Nonostante i progressi, non tutte le famiglie hanno le stesse opportunità di partecipazione. È necessario investire nella formazione per far sviluppare competenze specifiche al personale, in questo caso agli educatori, legate alla gestione della partecipazione. Guardando al futuro, è essenziale rafforzare le politiche inclusive, promuovere una cultura della partecipazione a tutti i livelli, integrare nuove tecnologie per facilitare il coinvolgimento di bambini e famiglie. PARAGRAFO 4: “I DOCUMENTI SPAGNOLI SULLA PARTECIPAZIONE” Il ruolo della partecipazione nei documenti legislativi spagnoli relativi all’educazione, facendo riferimento particolare alla Legge Organica 3/2020 (LOMLOE), che modifica la Legge Organica 2/2006. Si evidenzia come la partecipazione sia un concetto centrale nella normativa educativa spagnola, coerente con le raccomandazioni europee e parte integrante del modello educativo basato sulle competenze. In Spagna stanno ancora lottando nel paese per il raggiungimento di un patto di stato educativo, che permetterebbe alle norme di più alto rango in relazione all’educazione (cioè le leggi organiche) di essere sovranazionali, cioè di non dipendere e cambiare ogni volta che cambia il segno politico del partito di governo. L’assenza di un patto educativo nazionale ha portato a frequenti cambiamenti legislativi con il cambio di governo. Dal 2000 ad oggi, ci sono state oltre 7 leggi organiche sull’educazione. Dal 2000, le competenze educative sono state trasferite alle Comunità Autonome (AC), che gestiscono scuole, docenti e curricula, mentre lo Stato definisce solo i principi generali —> decentramento dell’istruzione. La LOMLOE evidenzia come la partecipazione si un valore chiave, presente in tutti gli aspetti fondamentali dell’educazione: - Studenti: educazione come strumento per la partecipazione attiva nella società, l’inclusione è importante per eliminare le barriere che limitano la partecipazione degli alunni più vulnerabili, con principi di equità, non discriminazione e accessibilità universale. - Docenti: promuovono e partecipano ai processi decisionali nei centri educativi; agiscono come modelli di partecipazione attiva, favorendo un clima scolastico basato sul rispetto, tolleranza e valori democratici. - Comunità educativa: la nuova legge rafforza il ruolo degli organi collegiali (come i Consigli scolastici) nella gestione e organizzazione delle scuole, aumentando la partecipazione della comunità educativa rispetto alla legge precedente (LOMCE, 2013). - Centri educativi: considerati come luoghi privilegiati per sviluppare la cultura della partecipazione, trasmettendo valori costituzionali come autonomia, libertà e responsabilità; le amministrazione scolastiche promuovono la partecipazione di tutti gli attori: alunni, docenti, famiglie e personale amministrativo. - Curriculum: sviluppato attraverso un processo partecipativo e trasparente, coinvolgendo scuole, insegnanti, ispettori educativi, famiglie e studenti; si pone l’accento sulle competenze chiave e sulla preparazione alla partecipazione attiva nella società. La partecipazione emerge come un concetto cruciale sia a livello europeo che nei documenti nazionali, con un aumento dell’attenzione e della frequenza d’uso nei testi legislativi. Si evidenzia una volontà di promuovere una cultura della partecipazione come responsabilità condivisa e pratica educativa centrale. Questo approccio mira a coinvolgere tutti gli attori educativi in un percorso che sviluppi autonomia e impegno civico, promuovendo una cittadinanza attiva e democratica. CAPITOLO 4: “LA SCUOLA DELL’INFANZIA OCME LUOGO DI PARTECIPAZIONE EDUCATIVA —> UNO SGUARDO AI PROGRAMMI-ORIENTAMENTI- INDICAZIONI IN ITALIA DAL 1914 AL 2012” PARAGRAFO 1: “PREMESSE CONCETTUALI” Il concetto di partecipazione nella scuola è stato oggetto di interpretazioni ambigue fin dagli anni ’70, con i decreti delegati (D.P.R. 31 maggio 1974, nn. 416-420), che riflettevano la spinta verso una maggiore democrazia e coesione sociale, ereditata dal clima del Settantotto. Negli anni Sessanta e Settanta, la partecipazione era vista come un mezzo per ridisegnare le relazioni di potere e modelli autoritari in vari ambiti (lavoro, salute, cultura, urbanistica, scuola). Tuttavia, dagli anni ’90, la partecipazione è stata spesso imposta dall’alto, assumendo un carattere tecnico- gestionale più che realmente democratico. ELEMENTI QUALIFICATIVI DELLA PARTECIPAZIONE SCOLASTICA (Barbero Avanzini, 1979): 1. Intensità del coinvolgimento, che dipende dalla volontà del singolo e dal riconoscimento pubblico; 2. Finalità, che possono essere comunitarie o mirare a rivendicazioni di gruppo; 3. Spontaneità o istituzionalizzazione, ossia se la partecipazione è volontaria o regolamentata. La scuola coinvolge tre attori principali: - Alunni, destinatari principali dell’educazione; - Docenti, visti come motori del processo educativo o facilitatori, a seconda dell’approccio pedagogico; - Genitori, il terzo vertice di un triangolo educativo sempre più fragile. L’idea di partecipazione nella scuola ha subito mutamenti nel tempo, intrecciandosi con i cambiamenti sociali e istituzionali. Il termine stesso ha assunto significati differenti - cooperazione, corresponsabilità, partnership - in risposta a nuove esigenze, necessitando di un’analisi storica per evitare ambiguità. La partecipazione, come categoria, appartiene ad una fase storica precisa legata alla costruzione dello Stato sociale (scuola pubblica, sanità pubblica, previdenza) e alla democratizzazione dei processi decisionali. Infine, la scuola dell’infanzia rappresenta un contesto significativo per studiare la partecipazione, sia per il coinvolgimento dei genitori (anche esteso a figure come nonni e zii) sia per la centralità del bambino. Il riconoscimento del minore come soggetto di diritti ha portato, nel secondo Novecento, alla valorizzazione della sua capacità di partecipare attivamente al proprio percorso educativo. Il contribuito si propone di esaminare l’evoluzione della nozione di partecipazione nella scuola dell’Infanzia dal 1914 al 2012. I PROGRAMMI DEL 1914: I programmi scolastici del 1914, elaborati dal ministro Luigi Credaro, rappresentano un importante tentativo di definire una pedagogia infantile ispirata ai principi di Frobel, Montessori e Agazzi, con una preferenza per quest’ultima. Si basavano sull’idea che l’asilo fosse un luogo educativo in cui il bambino potesse sviluppare liberamente e spontaneamente le sue capacità, allontanandosi da approcci scolastici rigidi. Caratteristiche principali: - Educazione pratica: centrata sull’educazione materna, mirava a formare abitudini di pulizia, ordine e abilità utili nella vita quotidiana, soprattutto quando la famiglia non era in grado di farlo; - Ruolo dell’educatrice: figura centrata nel processo educativo, doveva rispettare le tendenze naturali del bambino, assecondandole e guidandole, senza coercizione. Era descritta come una figura ideale, empatica e preparata, paragonata ad una madre modello per sopperire ale mancanze educative delle famiglie popolari; - Promozione della spontaneità: Il bambino, considerato portatore di dirti, veniva educato alla moralità e alla socialità, trasformandolo da “individualista” ad “animale sociale”, capace di vivere in una comunità e di sviluppare sentimenti di solidarietà e appartenenza. Attività pratiche e partecipazione: I bambini venivano coinvolti in compiti concreti come il giardinaggio, refettorio, lavatoio, pulizia delle aule e distribuzione di materiali, promuovendo il principio “uno per tutti, tutti per uno”. L’osservazione dell’insegnante era fondamentare per monitorare lo sviluppo individuale, ma doveva evitare approcci troppo scientifici o sperimentali, preferendo un’educazione orientata al benessere e alla fedeltà del bambino. Questi programmi riflettevano un equilibrio tra spontaneità e guida educativa, evitando rigidità scientifiche, ma valorizzando l’osservazione e il rispetto delle peculiarità individuali dei bambini. LE PRESCRIZIONI DIDATTICHE DEL FASCISMO (1923): I programmi del 1923, redatti da Giuseppe Lombardo Radice, idealista vicino a Gentile, confermano e precisano quelli del 1914. Il ruolo dell’insegnante viene presentato come una figura discreta, un “fratello maggiore”, o un “giudice imparziale”, che partecipa in modo misurato al gioco. Deve mantenere una certa distanza emotiva, evitando confidenze eccessive, pur mostrando giovialità e serenità. Il docente è paragonato ad un superiore militare: guida i bambini con autorevolezza e funge da esempio. Del bambino viene enfatizzata la spontaneità infantile, pur riconoscendo la necessità di una guida adulta per disciplinare il gioco. I PROGRAMMI DEL 1945: Dopo il fascismo, la scuola torna a promuovere il ruolo centrale della famiglia, considerata il “punto di orientamento” del bambino. La madre viene definita come la “prima e naturale educatrice”, mentre la scuola ha il compito di integrare la sua opera. I principi educativi sono il rispetto della spontaneità e unicità del bambino, che porta con sé un mondo interiore da comprendere con amore e comprensione; la mostra deve collaborare con i bambini e i compagni per educarli ai “retti principi” attraverso esperienze dirette; il gioco libero tra pari viene esaltato come espressione di armonia morale e fonte di esperienze da cui partire per il lavoro educativo. GLI ORIENTAMENTI DEL 1958: Sottolineano l’importanza della collaborazione tra scuola e famiglia, definite come istituzioni educative primarie e complementari. L’insegnante deve partecipare alla vita del bambino con amore materno e una preparazione culturale approfondita, sviluppando un’educazione specifica per questa fascia d’età; deve aggiornarsi costantemente, studiando il bambino e riflettendo sulle grandi opere pedagogiche. Viene bandita ogni forma di disciplina esteriore e coercitiva, si promuove l’attività spontanea e naturale del bambino, e come metodo educativo viene posto al centro il gioco e lo sviluppo armonioso. GLI ORIENTAMENTI DEL 1969: La scuola materna è chiamata a svolgere un ruolo compensatorio rispetto alle carenze culturali e affettive, soprattutto in contesti urbani e in famiglie con genitori assenti per il lavoro. La scuola deve stimolare culturalmente le famiglie e aiutarle ad essere più efficaci nella loro funzione educativa. La scuola non si sostituisce alla famiglia, ma ne arricchisce l’opera, offrendo esperienze sociali e relazionali. Gli obiettivi, per i bambini, sono quelli di promuovere il senso di responsabilità, aiuto reciproco, rispetto e una serena convivenza. Viene usato il gioco drammatico, uno strumento educativo che stimola la creatività e la collaborazione, attraverso attività come la creazione di marionette e la rappresentazione teatrale. Il bambino è protagonista, coinvolto in attività pratiche sull’igiene personale e stili di vita sani, utili anche per combattere ignoranza e pregiudizi. GLI ORIENTAMENTI DEL 1991: Sono stati fondati sui Diritti del bambino, ispirati alla Costituzione e alla Convenzione ONU del 1989. Nella scuola dell’infanzia. Si promuove la formazione integrale del bambino (3-6 anni) in un’ottica di libertà, responsabilità e partecipazione attiva. La famiglia viene coinvolta nella progettazione educativa e nella collaborazione con la scuola, evitando conflitti o ambiguità: la scuola deve garantire un clima di dialogo e cooperazione con le famiglie, valorizzandone il contribuito. L’insegnante diventa un mediatore tra bambino e realtà, promuovendo dialoghi e attività che lasciano spazio a fantasia e creatività. Importante per l’insegnante sono le attività drammatico- teeariali come strumenti educativo e creativo. L a scuola è organizzata con lavoro collegiale tra insegnati per una programmazione unitaria e valorizzazione delle risorse umane, con una fase di accoglienza die bambini e percorsi di ambientamento come momento di collaboriamo e tra scuola e famiglia. Dalla rigidità e a autorità dei programmi fascisti si passa ad un modello educativo più partecipativo e collaborativo, culminato nel riconoscimento dei diritti del bambino negli anni ’90. INDICAZIONI DEL 2004: Sottolineano l’importanza del ruolo educativo dei genitori, riconoscendo la scuola dell’infanzia come luogo di incontro, partecipazione e cooperazione per le famiglie. La scuola è definita anche come uno spazio di impegno educativo per tutta la comunità. Si incentiva il lavoro di gruppo per sviluppare regole condivise e collaborazioni, nonché per affrontare eventuali difficoltà collettive. Viene introdotto l’uso del “portfolio delle competenze individuali”, una documentazione significativa die progressi del bambino, utile per interpretare e comprendere i comportamenti, orientare bambini, insegnanti e genitori, promuovere l’autovalutazione e la riflessione critica. Si incoraggia la collaborazione tra scuola e famiglia per rafforzare ala qualità educativa e il principio di cooperazione. INDICAZIONI DEL 2007: L’attenzione si sposta sulla formazione della persona all’interno di un contesto collettivo, favorendo al costruzione della classe come gruppo attraverso la promozione di legami cooperativi e la gestione die conflitti per un ambiente scolastico accogliente. La scuola deve formare cittadini capaci di partecipare alla costruzione di collettività nazionali, europee e mondiali, valorizzando in questo modo le identità culturali e la diversità, la convivenza e il rispetto delle radici culturali. Viene riconosciuto il contributo di diversi modelli istituzionali (statali, municipali, religiosi, associazionistici) nel rafforzare la collaborazione delle famiglie, l’innovazione pedagogica e la partecipazione sociale. I genitori sono coinvolti nel dialogo con la scuola sugli obiettivi educativi, aiutando i bambini ad affrontare un futuro complesso. La scuola diventa anche un luogo di incontro e di integrazione per famiglie straniere, favorendo fiducia e nuovi legami. Lo sviluppo dell’autonomia die bambini include la capacità di partecipare a decisioni, motivare scelte e comportamenti, e collaborare nella costruzione della conoscenza. INDICAZIONI DEL 2012: Il documento del 2012 integra le linee guida del 2004 e del 2007, coinvolgendo esperti, istituzioni scolastiche e altre realtà rappresentative. Le famiglie, con la loro diversità culturale, etica e religiosa, sono riconosciute come risorse da valorizzare per costruire una rete comunicativa e di responsabilità condivisa. Anche i nonni, zii, e fratelli vengono citati come figure educative significative. La scuola diventa un luogo di incontri e di costruzione di relazioni, soprattutto per i genitori stranieri, che trovano nella scuola un’opportunità di integrazione e partecipazione. I principi che ispirano i docenti includono l’ascolto, l’accompagnamento e la mediazione comunicativa, l’osservazione continua e il sostegno all’autonomia del bambino, la promozione delle capacità del bambino di esprimere opinioni, fare scelte e assumere comportamenti consapevoli. Viene ribadita l’importanza di costruire regole comuni di convivenza e valorizzare la diversità. La scuola educa alla cittadinanza nel rispetto all’equilibrio tra valori condivisi e identità culturali individuali. La partecipazione nella scuola dell’infanzia è un fenomeno di lunga durata, che ha progressivamente valorizzato il coinvolgimento dei bambini e delle famiglie. I bambini sono oggi visti come attori sociali a pieno titolo, capaci di contribuire attivamente al proprio percorso educativo. La loro partecipazione non è solo fisica, ma anche intellettuale e morale. La famiglia, inizialmente considerata come destinataria passiva dell’azione educativa, è diventata col tempo una risorsa fondamentale. Dal 1991, si promuove una responsabilità condivisa tra scuola e famiglia, basata su negoziazione, rispetto reciproco e collaborazione. Gli insegnanti hanno progressivamente cambiato il loro approccio: da figure autoritarie e distaccate a facilitatori che accompagnano i bambini nelle loro scoperte e proposte. L’osservazione la riflessione sul proprio operato sono dovevate strumenti chiave per costruire un’idea condivisa di professionalità e migliorare le pratiche educative. Nei programmi del 1914, il docente era chiamato a “stimolare” gli istinti naturali del bambino. Con la riforma Gentile ed il fascismo, si enfatizzava il ruolo di guida dell’educatore. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, si è registrato un cambiamento grazie al riconoscimento internazionale dei diritti del minore e all’introduzione del paradigma della co-educazione. La figura dell’insegnante si avvicina al bambino con maggiore empatia e rispetto per la sua individualità. Solo negli ultimi decenni, con le indicazioni del 1991 e successive, si è affermato un modello di partecipazione reale e attiva, che include anche parenti come nonni e fratelli nel processo educativo. La scuola dell’infanzia, pur valorizzando la partecipazione, ha mantenuto una certa tendenza a dirigere l’azione attiva, sia verso i bambini che verso le famiglie. L’esperienze pre-Covid aveva rafforzato l’idea della scuola come luogo di incontro e condivisione, ma la pandemia ha evidenziato la necessità di ripensare i ruoli e le responsabilità educative. Sebbene oggi si riconosca ai bambini una capacità autonoma di partecipazione, c’è ancora da interrogarsi su quanto effettivamente vengano scolati e valorizzati. Il percorso di evoluzione della partecipazione nella scuola dell’infanzia è stato complesso e contraddittorio, ma ha portato ad una visione educativa più inclusiva e condivisa. Tuttavia, c’è ancora molta strada da fare per trasformare i principi teorici in pratiche quotidiane che coinvolgano realmente bambini, famiglie e insegnanti in un processo educativo collettivo e democratico. CAPITOLO 5: “LA PARTECIPAZIONE COME DIRITTO DIE BAMBINI E DELLE BAMBINE A TRENT’ANNI DALLA CRC” PARGRAFO 1 Uno dei temi più complessi e affascinanti negli studi storici sull’infanzia riguarda il divario tra la realtà concreta die bambini e delle bambine e le rappresentazioni culturali, sociali e psicologiche che li riguardano. Questo scarto, cioè la distanza tra le condizioni materiali di vita dei bambini e le costruzioni culturali elaborate dagli adulti, è un terreno fertile per l’indagine storica. In particolare, la storia dell’infanzia si intreccia con quella dell’immaginario e delle mentalità, e questo è ancora più vero per i bambini che per altri soggetti storici. Una delle caratteristiche più peculiari di questo campo è che i bambini non partecipano attivamente alla creazioni delle rappresentazioni che li riguardano. Questa distanza ha portato i primi studiosi del tema, come Philippe Ariès, a focalizzarsi sul concetto di infanzia come prodotto storico e sociale, frutto di cambiamenti sociali e culturali nei secoli. Ariès ha mostrato come l’infanzia sia un costrutto complesso, legato al modo in cui le società organizzano pratiche, norme e valori. Norbet Elias ha poi evidenziato come questo divario tra rappresentazioni e realtà abbia influenzato i processi di civilizzazione e socializzazione. Nel tempo, il progressivo distacco tra il mondo degli adulti e quello dei bambini ha portato ad una maggiore visibilità sociale per l’infanzia. Tuttavia, negli anni ’80, Neil Postman ha suggerito che questa separazione si stesse riducendo, portando ad una sovrapposizione tra il mondo adulto e quello infantile, con il rischio del ritorno alla figura “bambino-adulto”. Egle Becchi ha offerto una prospettiva diversa, portando l’attenzione dai costrutti culturali ai bambini reali. Nei suoi studi, Becchi si concentra sull’esperienza concreta dei bambini, cercando di restituire loro una voce e una presenza storica. Questo approccio permette di scoprire non solo le rappresentazioni d’Infanzia, ma anche i bambini e le bambine in carne ed ossa, impegnanti a vivere in relazione con il mondo. PARAGRAFO 2: “LA PARTECIPAZIONE DEI BAMBINI E I DIRTTI DELL’INFANZIA” Nel XX secolo, la cultura dei diritti fondamentali si è progressivamente ampliata, includendo gruppi marginali come l’infanzia. Questo processo, culminato con la Convenzione dei Diritti dell’Infanzia (CRC) del 1989, ha portato ad un riconoscimento formale dei diritti di partecipazione dei bambini. Tuttavia, questo riconoscimento pone un problema: come conciliare i diritti di partecipazione con la realtà dei bambini, che spesso mancano degli strumenti per esercitarli? Ad esempio, il diritto all’ascolto, fondamentale per la partecipazione, sembra contraddittorio se applicato ad un bambino molto piccolo, che non può esprimersi verbalmente. Questa apparente incongruenza ha portato alcuni studiosi a mettere in dubbio la reale fattibilità di certi diritti per i bambini. Il problema, però, risiede nella mentalità degli adulti, abituati a giudicare i bambini con parametri adulti. Janusz Korczak ha sottolineato come gli adulti tendano a considerare l’infanzia una fase “incompleta”, meno significativa di quell’adulta. Questo atteggiamento si traduce spesso in paternalismo, che può diventare una forma di esclusione: i bambini vengono protetti, ma anche isolati dalla vita reale. Alfredo Carlo Moro ha invece suggerito che il problema non sta nei diritti dei bambini, ma nella necessità di adattare i contesti sociali alle loro esigenze. In altre parole, è compito degli adulti creare condizioni che permettano ai bambini di partecipare attivamente, superando il paternalismo e riconoscendo la piena dignità dei bambini come soggetti di diritto. La Convenzione del 1989 segna un punto di svolta, affermando che i diritti fondamentali non dipendono dall’età o dalle capacità, ma sono inalienabili e indivisibili. Tuttavia, la loro realizzazione richiede un cambiamento di prospettiva: gli adulti devono abbandonare le logiche tradizionali e adottare uno sguardo pedagogico, capace di valorizzare le potenzialità dei bambini e favorire la loro partecipazione attiva nella società. L’autore critica l’approccio adultocentrico, che spesso priva i bambini della piena dignità umana, confinandoli in spazi marginali. PARAGRAFO 3: “BAMBINI, BAMBINE, PARTECIPAZIONE: I PRINCIPI PORTANTI DELLA CRC IN OTTICA PEDAGOGICA” La Convenzione sui Diritti dei bambini (CRC), stabilisce norme fondamentali per garantire i diritti die bambini, bambine e adolescenti, radicandosi nei valori universali di dignità umana, libertà, sicurezza, giustizia e solidarietà. Questi valori, che fondano la cultura dei diritti umani, vengono ridefiniti a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 e ripresi in successivi documenti internazionali, fino alla CRC del 1989. Ogni diritto dell’infanzia si collega indissolubilmente a questi principi, ed è invisibile agli altri: una loro violazione mette in pericolo l’intero complesso di diritti. I diritti della CRC e la prospettiva delle 3P: 1. Provision (soddisfacimento dei bisogni fondamentali): garantire cure, istruzione, salute e sviluppo; 2. Protection (protezione dei pericoli): difendere i bambini da abusi, sfruttamento e violenze; 3. Participation (partecipazione attiva): consentire loro di esprimere opinioni, essere ascoltati e influire sulle decisioni che li riguardano. Tuttavia, queste dimensioni non sono compartimenti separati, ma piuttosto sovrapposti e interconnessi. La loro comprensione comprende un’analisi che evidenzi le situazioni di vita concreta in cui i diritti si esercitano. I diritti dell’infanzia non esistono in astratto, ma si concretizzano nelle relazioni sociali e interpersonali. Nessun diritto può essere compreso o esercitato al di fuori di un contesto relazionale: è nella relazione con altri, siano essi adulti o coetanei, che i bambini acquisiscono consapevolezza die propri diritti. Questa dimensione relazionale è fondamentale per la loro applicazione concreta, trasformando principi astratti in realtà vissuta. I QUATTRO PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA PARTECIPAZIONE: 1. Il principio di non-discriminazione: la non-discriminazione assicura che ogni bambino o bambina, indipendente da genere, etnia, cultura, religione, status sociale o differenze fisiche o psicologiche, abbia UGUALI DIRITTI; la CRC estende questo principio anche alla discriminazione legata all’età perché i bambini non devono essere penalizzati rispetto agli adulti soltanto perché sono più giovani —> sullo fondo di questo principio vi è il valore della giustizia, intesa come equità e pari opportunità per tutti; 2. Il criterio del miglior interesse del bambino: questo principio guida le decisioni egli adulti che incidono sulla vita dei bambini, garantendo che il loro benessere venga considerato prioritario rispetto ad altri interessi; gli adulti devono assumere ruolo di garanti, dando voce i bambini e tutelando i loro bisogni e desideri, soprattuto nei contesti in cui non sono ancora autonomi nel prendere decisioni; sullo sfondo di questo principio emerge il valore della sicurezza, ovvero la protezione continua dalle minacce alla loro vita e virtù; 3. Il paradigma relazione: i diritti si esercitano solo nelle relazioni interpersonali —> questo paradigma valorizza i legami tra diritti e socialità, evidenziando come la consapevolezza dei diritti individuali emerga dal riconoscimento di bisogni condivisi; la relazione intersoggettiva non è mai un gioco a somma zero perché i diritti di uno non limitano quelli dell’altro, ma acquistano significato proprio nella reciprocità e anche in situazioni di squilibrio di potere, la dignità e i diritti di ogni individuo restano inalienabili; sullo sfondo di questo principio, si torva il valore della solidarietà, che spinge a riconoscere i bisogni altrui come propri e a costruire legami di sostegno reciproco; 4. Il diritto di essere ascoltato: questo principio rappresenta il fondamento dei diritti di partecipazione, dove bambini e bambine hanno il diritto di esprimere le proprie opinioni e di vederle considerate nelle decisioni che li riguardano; la partecipazione non è soltanto un riconoscimento simbolico, ma un’espressione concreta della loro libertà e responsabilità sociale; questo diritto si collega al valore della libertà, intesa come autonomia e capacità di contribuire attivamente alla vita sociale e comunitaria. IL RUOLO DELLA PEDAGOGIA NELLA PARTECIPAZIONE: La CRC pone i diritti in una prospettiva pedagogica, enfatizzando la necessità di tradurre i principi in prassi educativa. La partecipazione non è un concetto paradossale, nemmeno nei primi anni di vita: i bambini partecipano naturalmente ai contesti sociali, portando cambiamenti e sfide. La pedagogia sottolinea che non è vero che i bambini siano “troppo piccoli” per partecipare. Piuttosto, sono gli adulti che spesso non sono disposti a mettersi al loro livello, ascoltarli e riconoscere il valore delle loro opinioni. Gli adulti quindi devono superare i pregiudizi e atteggiamenti arcaici, creando degli spazi sociali che valorizzano la presenza ed il contribuito dei bambini. I diritti dei bambini crescono insieme a loro: accompagnano il processo di sviluppo e devono essere riconosciuti come dinamici e in evoluzione. CAPITOLO 6: “A PARTIRE DALLA PRIMA INFANZIA: LA PARTECIPAZIONE ALLE REGOLE FA… DEMOCRAZIA” PARAGRAFO 1: “INFANZIA COME Età PREZIOSA” Infanzia riconosciuta come fase cruciale e fondante per l’identità personale, definita come il “DNA” del sé, che influisce su tutto il percorso della vita. Le scienze umane (antropologia, psicologia, psicanalisi, pedagogia) confermano che questa età costituisce le basi dell’identità, delle relazioni con gli altri e della scoperta della realtà. In particolare: - La relazione educativa: deve essere basata sulla “cura” (ascolto attivo, dialogo) e sul “sostegno” (rassicurare, stimolare) per accompagnare lo sviluppo armonico del bambino, dove adulti, genitori ed educatori sono chiamati a riconoscere l’importanza di queste dinamiche; - Ruolo delle istituzioni: famiglia e scuola devono interpretare l’infanzia come un periodo ricco di contraddizioni e potenzialità, rendendo positivo anche il confronto con conflitti e ribellioni; - Psicoanalisi: le esperienze infantili, comprese anche quelle negative, sono centrali per la formazione dell’ ”io”, come dimostrato dalle teorie di Freud e Bettelheim; esse costituiscono le radici delle relazioni con gli altri e della percezione del reale. L’infanzia ha una doppia valenza: 1. Scoperta del reale: i bambini si confrontano con la complessità del mondo, sviluppando emozioni, conoscenze e conflitti; Freud, con la teoria dell’inconscio, evidenzia la dialettica tra pulsioni e regole (Es, Ego, Superego), elemento cruciale per comprendere l’evoluzione dell’Io; 2. Costruzioni di valori: l’infanzia è il periodo in cui si interiorizzano i valori fondamentali attraverso esperienze educative (famiglia, scuola, società). Questo processo favorisce una crescita etica e civile, che diventa un patrimonio attivo per la vita futura. Gli studi pedagogici sottolineando l’importanza di coltivare questa ricchezza etico-sociale, attraverso la scuola come luogo in cui il vissuto sociale lascia un imprinting profondo. Tuttavia, il mondo esterno (violenza, egocentrismo) può ostacolare questo sviluppo, rendendo cruciale il ruolo educativo per mantenere vivi questi valori. PARAGRAFO 2: “PARTECIPARE A VALORI E REGOLE COMUNI: IL RUOLO DELLA SCUOLA” La scuola deve promuovere la partecipazione attiva e motivata, centrata sul riconoscimento dell’altro come interlocutore dialogico, favorendo una convivenza democratica. Attraverso esperienze pratiche, i bambini interiorizzano valori fondamentali: - Gioco e attività di gruppo: il gioco (spontaneo e regolato) rappresentata una palestra di democrazia, dove si imparano il rispetto delle regole, la collaborazione e il senso di appartenenza; attività come competizioni sportive, spettacoli teatrali o lavori di gruppo sviluppano una cultura democratica vissuta; - Ruolo degli insegnanti: essi devono guidare questo processo con saggezza, dialogando anche con le famiglie, per far comprendere l’importanza dell’infanzia come età formativa sul piano etico-socio-civile; - Contrasto alle devianze: la scuola, attraverso il suo approccio partecipativo, può prevenire fenomeni come il bullismo, baby gang e solitudini patologiche, educando ad un modello corale cooperativo. La centralità del gioco e delle attività collettive fa della scuola un luogo dove i valori democratici vengono appresi concretamente ed interiorizzati, diventando una base per il vivere civile. PARAGRAFO 3: "LO SVILUPPO DELL’UMANITà DELLA DEMOCRAZIA” La scuola è il “cantiere-principe” per la formazione di cittadini democratici, attraverso un modello educativo che collega interiorizzazione personale e valori di convivenza collettiva. Questo processo è fondamentale per sostenere la democrazia, che è fragile e costantemente messa alla prova da egoismi individuali e di gruppo. - Educazione alla democrazia: seguendo il pensiero di Dewey, la scuola deve formare soggetti democratici, capaci di agire per il bene collettivo e di contrastare derive autoritarie; - Sfide attuali: la globalizzazione e l’uso crescente della tecnologia (DAD) rischiano di indebolire il ruolo formativo della scuola come promotrice di valori democratici; la crisi delle categorie-guida dell’Occidente (libertà, uguaglianza, solidarietà) richiede una ripresa precisa di questi principi. La scuola, come istituzione educativa, deve assumersi il compito epocale di ri-educare al valore della democrazia, proponendosi come luogo di partecipazione attiva e concreta, capace di lasciare un’impronta duratura nelle nuove generazioni. Questo approccio, pur complesso, rappresenta una possibilità concreta per costruire un futuro più solidale e consapevole.

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