Economia Aziendale PDF - Analisi Costi-Volumi-Risultati
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This document is an Italian-language study guide on business economics. It details the cost-volume-profit (CVP) model, examining the relationship between revenue, costs, and production quantities, within the framework of short-term and long-term perspectives. The guide highlights various cost types, including fixed and variable costs, and explores the concept of the break-even point. The document also features a focus on business activities and production planning.
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Dispensa: Analisi Costi-Volumi-Risultati Il modello "della quantità di pareggio" (break-even point) Il modello "della quantità di pareggio" (break-even point) è uno schema utilizzato per studiare le condizioni attuali e l'analisi prospettica dell'equilibrio economico d'impresa, basato sulla re...
Dispensa: Analisi Costi-Volumi-Risultati Il modello "della quantità di pareggio" (break-even point) Il modello "della quantità di pareggio" (break-even point) è uno schema utilizzato per studiare le condizioni attuali e l'analisi prospettica dell'equilibrio economico d'impresa, basato sulla relazione tra ricavi, costi e quantità di produzione-vendita. Il modello presuppone tre ipotesi fondamentali: la suddivisione delle componenti reddituali in variabili e fisse rispetto alla quantità di produzione, la monotemporalità (quantità prodotta equivalente alla quantità venduta) e l'applicazione ad un'azienda monoprodotto. La distinzione tra componenti reddituali in variabili e fisse è fondamentale per il modello, poiché la quantità di produzione-vendita è considerata l'unico parametro in grado di spiegare efficacemente l'evoluzione della struttura dei costi aziendali nel breve termine. La distinzione tra costi variabili e fissi è possibile solo nel breve termine, poiché nel lungo termine anche i costi fissi possono variare in base alla quantità di produzione. Ipotesi e basi del modello Il modello utilizza la funzione di produzione come strumento per descrivere la relazione tra risorse impiegate e quantità di prodotto ottenuto, e deriva le funzioni di costo (medio, marginale, totale) utilizzando la quantità di prodotto come parametro principale. Il predominio del volume di produzione-vendita nel modello è il portato di un cammino storico che trova le sue radici nelle analisi compiute dai primi economisti della scuola marginalista. La ricostruzione teorica del fenomeno produttivoAnalisi Costi-Volumi-Risultati Il modello "della quantità di pareggio" (break-even point) Il modello "della quantità di pareggio" (break-even point) è uno schema utilizzato per studiare le condizioni attuali e l'analisi prospettica dell'equilibrio economico d'impresa, basato sulla relazione tra ricavi, costi e quantità di produzione-vendita. Il modellungo termine, tutti i componenti positivi e negativi di reddito dovrebbero considerarsi variabili. Lo studio dell'evoluzione delle strutture di costo delle imprese industriali ha dimostrato che l'aumento della quantità prodotta e venduta è accompagnato da un incremento nell'impiego di risorse e costi di utilizzazione tradizionalmente considerati fissi. I sostenitori dell'activity-based costing sostengono che "nel medio-lungo termine tutti i costi (e i ricavi) sono variabili". La differenziazione delle componenti variabili del reddito da quelle fisse può attuarsi correttamente solo se effettuata con riferimento ad un "adeguato" periodo di tempo, generalmente coincidente con l'esercizio amministrativo. Il processo di budgeting è il periodo normale di riferimento per la programmazione aziendale e la determinazione degli obiettivi a breve termine. Durante questo processo, vengono prese decisioni importanti sull'entità delle risorse aziendali da impiegare nel periodo successivo per lo svolgimento del processo produttivo, influenzando l'ammontare dei costi fissi di periodo. Costi fissi Esistono due tipi di costi fissi: i costi fissi discrezionali (discretionary fixed costs) e i costi fissi impegnati (committed fixed costs). I costi fissi discrezionali sono legati all'adozione di specifiche decisioni aziendali e possono essere modificati nell'ambito del loro orizzonte temporale di riferimento, generalmente coincidente con l'anno. Esempi di costi fissi discrezionali includono i costi relativi a campagne pubblicitarie, attività di ricerca e sviluppo e costi di manutenzione e riparazione. I costi fissi impegnati sono invece inevitabilmente legati agli investimenti aziendali nelle risorse tangibili ed intangibili essenziali per il processo produttivo e al mantenimento della struttura organizzativa di base. Esempi di costi fissi impegnati includono i costi di ammortamento dell'attrezzatura produttiva, le retribuzioni dei dirigenti e del personale operativo e i consumi di servizi pluriennali. La caratteristica distintiva dei costi fissi impegnati è la loro inevitabilità, poiché non possono essere ridotti in misura significativa senza danneggiare la redditività o gli obiettivi a lungo termine dell'organizzazione. Anche in periodi di recessione, i costi fissi impegnati rimangono in gran parte invariati, poiché l'azienda non può licenziare i dirigenti chiave o vendere le strutture chiave senza compromettere la sua struttura organizzativa e le sue strutture di base. Il costo fisso impegnato rappresenta il costo di preparazione o la struttura di attività e costi fissi messi in atto per soddisfare la domanda dei clienti, come affermato nello Statement of Management Accounting No. 4LL "Implementing Capacity Cost Management". La gestione dei costi fissi impegnati dipende essenzialmente dal disegno complessivo del processo produttivo adottato dall'azienda e può essere ridotta solo attraverso interventi che comportano drastiche revisioni nelle condizioni operative esistenti. Le tecniche di in re-ingegnerizzazione dei processi produttivi aziendali (business process reengineering) sviluppate da Hammer possono essere utilizzate per ridurre i costi fissi impegnati, ma costituiscono veri e propri "salti di paradigma" e possono avere effetti solo nel medio-lungo termine. Tipi di costi fissi e la loro rilevanza I costi fissi possono essere distinti in due categorie: quelli che corrispondono a un esborso monetario o alla cessione di altro elemento patrimoniale attivo nel periodo di competenza, e quelli per i quali il costo dispendio non risulta coevo al costo di utilizzazione. I costi fissi con riferimento ai quali si verifica il sostenimento del correlato costo d'acquisto sono particolarmente importanti, come ad esempio la retribuzione del personale dipendente. I costi fissi che corrispondono a un'uscita pecuniaria (c.d. out-of-pocket costs) sono immediatamente rilevanti anche da un punto di vista finanziario e possono essere considerati in una variante "finanziaria" del break-even. È importante considerare adeguatamente tutti i costi fissi nel processo di determinazione del risultato economico, anche se non esiste un costo d'acquisto correlato, come ad esempio l'ammortamento di un capitale fisso o il consumo di un servizio conferito da un socio. I costi fissi rappresentano costi di utilizzazione che un'azienda deve sostenere per dotarsi di un determinato livello di capacità produttiva e sono definiti anche costi di capacità (capacity costs). La caratteristica distintiva dei costi fissi rispetto ai costi variabili è che i primi sono in relazione con il livello potenziale di attività, mentre i secondi rispondono a variazioni nel livello di attività effettivamente svolto dall'azienda. I costi fissi sono influenzati da due fenomeni: l'inattuabilità dell'acquisizione di tutte le risorse produttive in quantità divisibili e l'impossibilità di immagazzinare una parte importante dell'output astrattamente realizzabile in un dato esercizio amministrativo. Questi due fattori costringono le imprese a dotarsi di capacità produttiva in eccesso rispetto alle effettive esigenze immediate del processo produttivo, portando a una differenza tra le risorse messe a disposizione e quelle effettivamente utilizzate. Le risorse messe a disposizione dal management per lo svolgimento delle attività che compongono il processo produttivo determinano il livello dei costi fissi sostenuto da una data azienda in un dato periodo di tempo. Distinzione tra costi fissi e variabili È importante distinguere tra costi fissi e costi variabili, poiché le locuzioni "costi fissi" e "costi variabili" hanno senso compiuto solo se applicate ai soli costi di utilizzazione (costi consumo) e non ai costi d'acquisto. Gli autori citati nel testo, come Ray H. Garrison e Erich W. Noreen, sostengono l'importanza di comprendere la distinzione tra costi fissi e costi variabili per prendere decisioni aziendali informate. I costi fissi possono essere definiti come "costi di capacità" e sono necessari per raggiungere un determinato livello di capacità produttiva disponibile. Per implementare il modello di analisi costi-volumi-risultati, è necessario specificare chiaramente l'intervallo di capacità produttiva considerato, all'interno del quale i costi fissi risultano stabili. Ipotesi semplificatrici del modello La "quantità di produzione-vendita" è una locuzione utilizzata per indicare la quantità di prodotti o servizi prodotti e venduti nel corso di un periodo di tempo. Una delle ipotesi semplificatrici alla base del modello è l'eguaglianza nel tempo del valore della produzione ottenuta con quello della produzione venduta, ovvero che non si verifichino variazioni nelle rimanenze di prodotti o cessioni di prodotti diverse da quelle connesse alla vendita. Questa ipotesi è introdotta per evitare problemi connessi alla valutazione delle componenti del valore globale della produzione diverse dal fatturato, ma denuncia una palese contraddizione interna al modello. La coincidenza tra il volume di produzione e quello delle vendite risulta verosimile solo nel lungo andare, ma non ha molto senso operare la distinzione tra componenti di costo fisse e variabili in questo orizzonte temporale. I fattori produttivi che possono essere acquisiti man mano che risultano necessari, nelle quantità di volta in volta richieste dal processo produttivo, sono denominati "risorse flessibili" e sono le sole risorse produttive il cui costo di utilizzazione risulta realmente variabile nel breve periodo. Il modello di analisi delle relazioni costi-volumi-risultati si basa su alcune semplificazioni, tra cui l'assenza di sprechi nell'utilizzo delle risorse aziendali e la limitazione della capacità produttiva dovuta alla scarsità di fattori produttivi. Il modello considera un'azienda "monoprodotto" o un'azienda pluriprodotto con un mix di produzione-vendita costante nel tempo. Analisi dei ricavi La funzione che illustra algebricamente la composizione del fatturato aziendale è RT = RV + RF, dove RT sono i ricavi totali, RV sono i ricavi variabili e RF sono i ricavi fissi. I ricavi variabili (RV) sono quelli che risultano positivamente correlati alla quantità di produzione-vendita realizzata nel periodo, come ad esempio i ricavi di vendita di prodotti e merci. I ricavi fissi (RF) sono quelli che non risultano caratterizzati da un andamento collegato a quello della quantità di produzione-vendita realizzata nel periodo, come ad esempio i canoni attivi richiesti agli utenti dalle compagnie telefoniche o le royalty pretese da un'azienda produttrice di auto da corsa. Il modello si basa su riferimenti a lavori di autori come Robert S. Kaplan e Anthony A. Atkinson, nonché Giuseppe Catturi. Il modello è stato sviluppato per analizzare le relazioni tra costi, volumi e risultati aziendali, e per comprendere come questi fattori interagiscano tra loro. Il passo successivo nell'analisi dei ricavi variabili consiste nello specificare la relazione funzionale tra i ricavi variabili e la quantità di produzione-vendita conseguita nel periodo, rappresentata dall'equazione RV = p * q. Nell'equazione, p rappresenta il prezzo unitario di vendita, ovvero l'importo mediamente richiesto dall'azienda ai propri clienti per una unità di bene o servizio realizzato e venduto, mentre q rappresenta la quantità di prodotto ottenuto e ceduto nel periodo considerato. La relazione funzionale utilizzata è di tipo lineare, il che postula un aumento dei ricavi variabili perfettamente proporzionale all'incremento nelle quantità di prodotto ceduto o servizio erogato. Tuttavia, questo assunto è accettabile solo se il prezzo di mercato si mantiene costante qualunque sia il volume del venduto, come in una situazione di concorrenza perfetta. Nel caso di un'azienda monoprodotto, l'assunto è accettabile solo se il prezzo di mercato rimane costante, mentre nel caso di un'azienda pluriprodotto, si deve ipotizzare che rimangano costanti non solo i prezzi di ciascun prodotto, ma anche la composizione delle vendite. Tuttavia, nella vita di ogni giorno, le aziende sono costrette a concedere sconti di quantità ai propri clienti per vendere quantità via via crescenti di prodotto, il che determina una tendenziale riduzione del ricavo medio unitario all'aumentare delle quantità vendute. Inoltre, l'ipotesi che postula la sostanziale stabilità del mix di vendita al crescere delle quantità di beni o servizi complessivamente realizzati e venduti appare poco plausibile, poiché è probabile che il "pacchetto di beni e servizi" realizzato e ceduto dall'azienda pluri-business contenga un insieme di beni e/o servizi aventi caratteristiche specifiche e prezzi di vendita unitari sufficientemente diversificati. Secondo Giuseppe Catturi, autore di "Teoria e prassi del costo di produzione", le relative funzioni di domanda possono assumere un andamento assai disuguale tra loro, risultando contraddistinte da gradi di elasticità del prezzo rispetto alla quantità prodotta e venduta sufficientemente dissimili. L'utilizzazione di una funzione di ricavi variabili di vendita presuppone che l'implementazione concreta del modello venga effettuata prendendo in considerazione un intervallo di quantità di produzione-vendita sufficientemente contenuto. Il prezzo unitario p non necessariamente corrisponde al prezzo di listino o al prezzo di fattura mediamente praticato dall'azienda ai propri clienti, perché ingloba in sé anche l'effetto di tutta una serie di componenti rettificative dei ricavi di vendita. Il prezzo unitario p dovrebbe essere calcolato al netto di una congrua percentuale di svalutazione dei crediti verso clienti. La relazione dei ricavi totali è data dalla formula RT = p * q + RF, dove RT sono i ricavi totali, p è il prezzo unitario, q è la quantità di produzione-vendita e RF sono i ricavi fissi. Analisi dei costi Un processo analogo a quello seguito per i ricavi può essere svolto per ottenere le curve di costo, che possono essere scritte come CT = CV + CF, dove CT sono i costi totali, CV sono i costi variabili e CF sono i costi fissi. I costi variabili CV sono dati dalla formula CV = c.v.u. * q, dove c.v.u. è il costo variabile unitario e q è la quantità di prodotto ottenuto e ceduto nel periodo considerato. La funzione utilizzata per rendere esplicita la relazione esistente tra i costi variabili totali e il volume di produzione-vendita attuato è di tipo lineare, il che comporta l'accettazione di una serie di ipotesi in merito alla costanza del costo variabile unitario al variare della quantità di produzione-vendita realizzata. Il costo variabile unitario (c.v.u.) è la risultante di un insieme di costi di consumo relativi ai diversi fattori produttivi necessari per ottenere un'unità di produzione. Il c.v.u. può essere calcolato come la somma dei prodotti dei coefficienti unitari d'impiego (cj) e dei valori medi unitari dei fattori produttivi (vj). Il coefficiente unitario d'impiego (cj) rappresenta la quantità di un fattore produttivo necessaria per ottenere una singola unità di prodotto e dipende dal livello di efficienza nello sfruttamento del fattore produttivo. Il valore medio unitario di un fattore produttivo (vj) dipende dal livello dei costi d'acquisto del fattore produttivo e dal criterio di movimentazione del magazzino adottato in contabilità. L'ipotesi che il c.v.u. si mantenga costante al variare della quantità di produzione-vendita realizzata significa supporre che: Il prezzo d'acquisto dei fattori produttivi non subisca variazioni in relazione alla quantità di fattore produttivo acquistata. Non esista una significativa dinamica dei prezzi d'acquisto nel tempo. Il livello di efficienza nel consumo dei fattori produttivi rimanga costante qualunque sia il livello di produzione-vendita. Tuttavia, queste ipotesi sono poco credibili, poiché è probabile che l'impresa ottenga riduzioni nel prezzo unitario dei fattori produttivi con l'aumento del volume degli acquisti, e che esista una dinamica dei prezzi d'acquisto nel tempo. Inoltre, il livello di efficienza nel consumo dei fattori produttivi può variare in base al livello di produzione-vendita. Un mondo governato da un'ipotesi del genere non considera l'esistenza dei quantitativi minimi d'acquisto, i risparmi di costo ottenibili attraverso acquisizioni di fattori produttivi concentrate e l'impatto dei lead time di produzione e dei tempi di approvvigionamento sugli acquisti. Questa ipotesi non tiene conto dell'effetto di riduzione del consumo unitario connesso all'accumularsi dell'esperienza in chi lavora e della diminuzione del rendimento dei fattori impiegati quando si avvicina alla capacità produttiva massima. Perché l'equazione dei costi complessivi possa essere scritta in termini di quantità di produzione-vendita, è necessario che il mix dei fattori produttivi utilizzati rimanga costante, il mix dei prodotti aziendali non muti nel tempo e non vi siano difficoltà nel reperimento dei fattori produttivi. L'equazione dei costi complessivi può essere espressa come CT = c.v.u. * q + CF, dove CT rappresenta i costi complessivi, c.v.u. è il costo variabile unitario, q è la quantità di produzione- vendita e CF sono i costi fissi. Da questa equazione si possono ricavare facilmente la funzione del costo marginale e quella del costo medio. Reddito operativo e margine di contribuzione Prima di utilizzare le equazioni per procedere alla determinazione formale della relazione algebrica del risultato economico, è opportuno precisare che l'analisi costi-volumi-risultati si presta ad essere utilizzata propriamente con riferimento ai soli componenti reddituali operativi. Gli interessi passivi sono costi il cui ammontare è determinato prioritariamente da scelte diverse da quelle della gestione operativa e vanno opportunamente distinti dagli altri componenti negativi di reddito. L'equazione del reddito operativo (ROP) si calcola come la differenza tra i ricavi totali (RT) e i costi operativi (CT), ovvero ROP = RT - CT. Sostituendo le espressioni di RT e CT, si ottiene ROP = p * q + RF - c.v.u. * q - CF, dove p è il prezzo unitario, q è la quantità, RF sono i ricavi fissi, c.v.u. è il costo variabile unitario e CF sono i costi fissi. La differenza tra i costi fissi e i ricavi fissi è di solito positiva e può essere sostituita dal termine CF°, che rappresenta i costi fissi non coperti dai ricavi aventi omologa natura, detti "costi fissi residuali". La differenza tra il prezzo unitario e il costo variabile unitario è definita "margine di contribuzione unitario" (m.c.u.) e rappresenta l'ammontare di ricchezza differenziale con cui ogni vendita unitaria di prodotto contribuisce alla copertura dei costi fissi residuali. Il prodotto del margine di contribuzione unitario per le quantità viene definito "margine di contribuzione totale" (MCT). L'equazione del reddito operativo può essere riscritta come ROP = m.c.u. * q - CF°, che costituisce la modalità consueta di presentazione del modello. Analisi del margine di contribuzione e quantità di pareggio Un esame dell'equazione del reddito operativo permette di comprendere che, se l'azienda desidera conseguire un utile operativo, il margine di contribuzione unitario non può essere nullo o negativo. Se il margine di contribuzione unitario è nullo, l'azienda subirà una perdita operativa pari ai costi fissi residuali, indipendentemente dalla quantità di produzione e vendita. In caso di margine di contribuzione negativo, l'impresa subirà una perdita più elevata quanto maggiori sono le quantità prodotte e vendute, quindi è meglio non produrre nulla. La quantità di pareggio può essere calcolata utilizzando l'equazione Q be = CF° / m.c.u., dove Q be è la quantità di pareggio, CF° sono i costi fissi residuali e m.c.u. è il margine di contribuzione unitario. La quantità di pareggio dipende da tre fattori: L'ammontare dei costi fissi: più elevati sono i costi fissi, più alta sarà la quantità di pareggio. I ricavi fissi: più contenuti sono i ricavi fissi, più alta sarà la quantità di pareggio. Il prezzo di vendita: meno elevato è il prezzo di vendita, più alta sarà la quantità di pareggio. Le imprese che operano in settori con ingenti investimenti in attrezzatura produttiva o con costi elevati per la retribuzione del personale dipendente avranno una quantità di pareggio più alta rispetto a quelle che non hanno questi costi. Le imprese che hanno la forza contrattuale per imporre ai clienti il pagamento di un ammontare significativo di ricavi indipendenti dalla quantità di prodotto o servizio ceduto potranno conseguire il pareggio economico ad un volume inferiore rispetto ai concorrenti. Le imprese che operano in mercati molto concorrenziali avranno una quantità di pareggio più alta rispetto a quelle che operano in mercati con scarsa concorrenza. Il prezzo rilevante per determinare la "quantità soglia" è quello al netto di sconti, abbuoni, ribassi e rese, non il prezzo di listino. Le aziende che utilizzano politiche di sconto massiccio o di credito poco attente possono aumentare il punto di pareggio, rendendolo difficile da raggiungere. Il livello del costo variabile unitario è importante e dipende da fattori come i prezzi d'acquisto dei fattori produttivi e il livello di efficienza del processo produttivo. Un aumento della produttività può comportare un minor consumo di fattori produttivi e un risparmio di costi. Determinazione del punto di equilibrio Il punto di equilibrio della gestione operativa può essere determinato attraverso una rappresentazione grafica o algebrica. La rappresentazione grafica può essere costruita utilizzando un sistema di assi cartesiani ortogonali, con la quantità di produzione-vendita sull'asse delle ascisse e i valori monetari dei costi, ricavi e margini aziendali sull'asse delle ordinate. Esistono due versioni del modello: una che prevede espressamente l'esistenza dei ricavi fissi e una che li "nasconde" all'interno dei costi fissi residuali (CF°). Le due versioni del modello possono essere rappresentate graficamente in modo diverso. Le rappresentazioni grafiche delle equazioni del modello conducono al medesimo risultato, ovvero l'individuazione della "quantità soglia" che consente all'impresa di raggiungere il pareggio economico. La quantità soglia può essere calcolata attraverso l'eguaglianza tra il margine di contribuzione totale (MCT) e l'ammontare dei costi fissi residui (CF°). La quantità soglia calcolata non consente ancora all'impresa di raggiungere il pareggio economico, poiché devono essere coperti gli oneri finanziari ovvero i costi connessi alla struttura finanziaria dell'azienda. Margine di sicurezza Il margine di sicurezza rappresenta la variazione percentuale massima che le vendite attuali o previste a budget possono subire senza che l'obiettivo perseguito diventi irraggiungibile. Il margine di sicurezza può essere calcolato attraverso la formula: m.d.s. = (qbdg - qord) / qbdg. Il margine di sicurezza offre un'informazione grossolana del rischio intrinseco dell'impresa e non deve essere attribuito troppo peso, poiché la quantità di pareggio non sta ferma e può variare in base alle azioni dell'azienda. La quantità di pareggio può variare in base alle azioni dell'azienda, come ad esempio la concessione di sconti o l'accordo di credito a soggetti non meritori, che possono riverberarsi in una diminuzione del prezzo medio unitario e nello spostamento in avanti del punto di pareggio. Fatturato di pareggio L'equazione che consente l'individuazione della "quantità soglia" può essere utilizzata per definire il "fatturato di pareggio", ovvero l'entità dei ricavi di vendita che consente il raggiungimento del pareggio economico. L'equazione del risultato totale (RT) può essere espressa come RT = p * q + RF, dove p è il prezzo, q è la quantità, e RF è il risultato fisso. Sostituendo l'espressione algebrica della quantità di pareggio qbe nell'equazione RT, si ottiene RT be = p * (c v u / p - RF / CF) + RF. L'equazione può essere riscritta come RT be = (p / c v u) * (RF / CF) - (RF / CF) + RF, dove il rapporto tra il margine di contribuzione unitario e il prezzo evidenzia la percentuale del prezzo di vendita che rimane disponibile per la copertura dei costi fissi residuali. Il "fatturato di pareggio" coincide con il primo dei due addendi che formano il secondo membro dell'ultima equazione ottenuta. È possibile risolvere il problema dell'individuazione del fatturato di pareggio anche ricorrendo al procedimento della rappresentazione grafica. Prezzo soglia Nel caso in cui l'impresa debba operare in un mercato necessariamente circoscritto ma sia in grado di imporre il prezzo al mercato, può essere utile determinare il prezzo soglia. L'equazione del prezzo soglia può essere ottenuta ponendo il ROP uguale a zero e spostando al secondo membro dell'uguaglianza i termini che non dipendono da p, ottenendo p be = (c v u + (CF - RF) / q). L'equazione può essere ulteriormente semplificata come p be = c v u + (RF / q) - (CF / q). Il prezzo soglia deve essere superiore al "costo medio" ma corrisponde alla somma del "costo variabile unitario" e del "costo fisso rettificato unitario". Il modello di costo medio descritto nel testo ipotizza che il primo addendo sia stabile, mentre il secondo addendo decresce al crescere delle quantità prodotte e vendute. La rappresentazione grafica fornita nel testo è basata su una situazione in cui i costi fissi aziendali sono pari a € 120.000, i ricavi fissi sono pari a € 20.000 e il costo variabile unitario è di 50 € al pezzo. Il modello suggerisce che l'impresa dovrebbe espandere al massimo la produzione per sfruttare le economie di scala e ridurre il "costo medio rettificato", consentendo all'impresa di rimanere redditizia anche in presenza di una riduzione del prezzo. Tuttavia, questo modello funziona perfettamente solo in un mercato in cui non esiste il problema dell'invenduto e tutto ciò che viene prodotto trova un acquirente. La realtà è diversa da quella ipotizzata nel modello, poiché il mercato è trainato dalla domanda e non dall'offerta, come accadeva nei primi decenni del secolo scorso. La vera funzione di costo medio è individuata dall'equazione e tiene conto del costo fisso (CF) e del costo variabile unitario (c v u). Le Configurazioni di costo Introduzione ai costi Le configurazioni di costo sono state discusse da Livio Cossar e Bruno De Rosa nel documento "Configurazioni di costo NEW". Il costo di un oggetto di riferimento, come un prodotto, un fattore produttivo, un cliente o una sezione aziendale, può essere calcolato determinando il valore dei fattori produttivi sacrificati per ottenerlo. La determinazione del valore in questione non è semplice a causa del fenomeno della congiunzione economica nel tempo e nello spazio dei costi di utilizzo dei fattori produttivi. La congiunzione dei costi nel tempo si deve al fatto che alcuni fattori produttivi forniscono la loro utilità in più di un esercizio amministrativo, rendendo arbitraria l'attribuzione della diminuzione di valore connessa al loro utilizzo. L'arbitrarietà viene risolta ricorrendo a norme convenzionali stabilite da istituzioni preposte alla statuizione di corretti principi contabili, che consentono di risolvere il problema in modo sufficientemente omogeneo. Le convenzioni operano di solito a livello di contabilità generale, ma non è infrequente che si ponga il problema di una diversa attribuzione nel tempo dei consumi tra le due contabilità. La congiunzione nello spazio è dovuta all'utilizzo di un medesimo fattore produttivo per conseguire una molteplicità di scopi. La stessa macchina può fornire utilità a più prodotti e lo stesso impiegato può servire più clienti, rendendo difficile separare completamente i valori di costo verificatisi all'interno dello stesso periodo di tempo. La congiunzione nello spazio si riferisce ai molteplici legami che si creano tra i diversi prodotti, i cicli produttivi e le risorse impiegate, rendendo arbitrario il tentativo di separare completamente i valori di costo. I legami che determinano l'insorgere del fenomeno della congiunzione possono avere natura tecnica, di politica commerciale o origine organizzativa. Questi fenomeni di congiunzione rendono di fatto impossibile l'oggettiva determinazione dei costi, dei ricavi e dei risultati economici relativi ad un singolo segmento temporale o spaziale della gestione aziendale. Il testo è tratto dal secondo capitolo del testo di LIVIO COSSAR, "Introduzione all'attribuzione dei costi", Trieste Consult, Trieste, 1988, e sono state apportate alcune significative integrazioni e soppressioni per renderlo fruibile anche agli studenti del primo anno. Configurazioni di costo Il testo tratta delle configurazioni di costo, ovvero convenzioni utilizzate per assegnare costi a oggetti di riferimento come prodotti, clienti o fasi del ciclo produttivo. A causa dell'impossibilità di determinare il "costo vero" di un oggetto di riferimento, si utilizzano più modalità di calcolo del valore. Le configurazioni di costo sono state individuate dalla dottrina e dalla prassi più evoluta e si distinguono in due grandi classi: configurazioni di costo d'acquisto e configurazioni di costo di produzione. Le configurazioni di costo d'acquisto servono per attribuire un valore ai fattori produttivi acquistati dall'impresa, come capitali circolanti o capitali fissi. I costi di acquisto si manifestano generalmente in un esborso di denaro, ma possono anche assumere la forma di cessioni di beni diversi dal denaro o di prestazioni di servizi. Il costo dei fattori produttivi acquistati è raramente costituito da una sola componente elementare, ma include spesso l'acquisto e il consumo di più di un servizio accessorio. Le configurazioni di costo di produzione verranno analizzate in un paragrafo successivo. Il costo fattura rappresenta solo la componente fondamentale del prezzo d'acquisto, a cui si aggiungono i costi accessori d'acquisto. I costi accessori d'acquisto sono i costi dei servizi accessori all'acquisto che hanno la funzione di rendere il bene o il servizio principale concretamente fruibile. Esempi di costi accessori d'acquisto includono: costi di trasporto, costi di assicurazione, costi di intermediazione, costi per imposte, costi di conservazione, costi di verifiche e di accertamenti della qualità e della quantità, costi di installazione e di collaudo, spese notarili e costi per la funzione di acquisto. Oltre ai costi accessori d'acquisto, vanno considerati anche i cosiddetti "minori costi di acquisto", che includono sconti, abbuoni e ribassi. Alcuni dei costi accessori d'acquisto sono diretti, ovvero risultano sostenuti in relazione ad un unico fattore produttivo, mentre altri sono comuni a due o più fattori produttivi. L'attribuzione ai fattori produttivi acquisiti dei costi accessori d'acquisto e dei minori costi d'acquisto non comporta particolari problemi nel caso in cui si vogliano prendere in considerazione le sole componenti di costo dirette. La configurazione di costo composta che include solo le componenti di costo dirette si chiama "configurazione di costo diretto d'acquisto". Se si desidera attribuire ai fattori produttivi anche i costi accessori indiretti per calcolare il costo di acquisto complessivo, è necessario individuare criteri per l'attribuzione di tali costi che sono comuni a più fattori produttivi. Il processo di attribuzione di questi costi può avvenire utilizzando un'unica base di riparto o basi di riparto differenziate in relazione alle diverse categorie di costi considerate. Nel caso di un'unica base di riparto, tutti i componenti indiretti del costo di acquisto vengono trattati come omogenei e ripartiti fra i diversi fattori impiegando un solo parametro di attribuzione. È ipotizzabile l'uso di basi espresse in termini di misure fisiche dei fattori acquistati (quantità, peso, dimensione, ecc.) o basi espresse in termini di misure del valore dei fattori acquistati (costo di fattura o costo diretto d'acquisto). I limiti di questo metodo riguardano l'inadeguatezza di un'unica base ad esprimere in maniera attendibile la relazione causale tra l'oggetto di riferimento e i costi d'acquisto. Risultati più attendibili si possono conseguire se si applicano basi multiple raggruppando i costi comuni per classi omogenee. Configurazioni di costo di produzione L'analisi delle diverse configurazioni di costo di produzione richiede una preliminare comprensione delle principali modalità di classificazione dei costi che sono state elaborate in letteratura o proposte in pratica. Il testo esamina le tassonomie che dividono i costi in diverse categorie, tra cui: industriali, industriali e commerciali e complessivi; diretti e indiretti; fissi e variabili; controllabili e non controllabili; parametrici, discrezionali e vincolati. Il processo produttivo è costituito da un network di attività che consente all'impresa di creare valore attraverso la trasformazione degli input ricevuti (fattori produttivi) negli output realizzati (prodotti). Il processo produttivo può essere rappresentato in diversi modi, caratterizzati da diversi livelli di complessità, in relazione agli obiettivi che si vogliono perseguire attraverso di esso. Le diverse fasi del processo di produzione svolte dall'impresa sono correlate ai costi sostenuti e possono essere analizzate attraverso le diverse tassonomie menzionate. L'analisi dei costi e del processo produttivo è fondamentale per comprendere come l'impresa crea valore e come può essere migliorata la sua efficienza e la sua efficacia. La contabilità analitica utilizza una rappresentazione elementare del processo produttivo, suddiviso in tre fasi principali: l'approvvigionamento dei fattori produttivi, la loro trasformazione in prodotti e la commercializzazione del prodotto. Queste tre fasi sono accompagnate da un insieme indistinto di attività considerate accessorie alle principali, come la ricerca e lo sviluppo dei prodotti o dei processi, l'amministrazione e il finanziamento. Lo schema di analisi dei costi aziendali utilizzato dalla contabilità analitica denuncia le origini storiche della disciplina, essendo chiaramente sviluppato a partire da un modello d'impresa che crea valore principalmente grazie al processo di trasformazione fisica dei fattori produttivi in prodotti. Questo schema rispecchia una situazione in cui i costi delle attività diverse da quelle industriali in senso stretto risultano sufficientemente contenuti e possono essere analizzati in via residuale. Nonostante le limitazioni, questo schema d'interpretazione è ancora oggi alla base del processo logico d'individuazione delle principali configurazioni di costo generalmente utilizzate in contabilità analitica e generale. Le configurazioni di costo sono state individuate in tre principali categorie: configurazione di costo industriale, configurazione di costo industriale e commerciale e configurazione di costo complessivo. La configurazione di costo industriale considera solo i costi sostenuti nella fase di approvvigionamento dei fattori produttivi e in quella successiva, in cui gli stessi vengono trasformati in prodotto. La configurazione di costo industriale e commerciale si basa sui soli costi di utilizzazione dei fattori produttivi impiegati nelle tre fasi principali: approvvigionamento, trasformazione e commercializzazione. La configurazione di costo complessivo riguarda i costi di consumo relativi all'insieme complessivo dei fattori produttivi utilizzati dall'impresa, tanto nelle fasi principali quanto in quella residuale. Le tre configurazioni di costo sono caratterizzate da diverso spessore, nel senso che consentono l'attribuzione all'oggetto di riferimento di insiemi di costi di utilizzo contraddistinti da diversa ampiezza. La configurazione di costo industriale è la meno ampia delle tre e determina la determinazione di un valore di costo attribuibile all'oggetto di riferimento inferiore a quello determinato dall'applicazione delle altre due. Il costo industriale di un prodotto è inferiore o al limite uguale al costo industriale e commerciale dello stesso, il quale è a sua volta minore o uguale al costo complessivo. Le configurazioni di costo individuate dovrebbero essere definite come classi (o famiglie) di configurazioni, poiché al loro interno coesistono più di una configurazione di costo. La configurazione di costo industriale e commerciale deve essere "omologa" a quella di costo industriale per garantire una corretta attribuzione dei costi. Se non è così, potrebbe accadere che una configurazione di costo industriale conduca all'attribuzione di un valore di costo superiore a quello calcolato con una configurazione di costo industriale commerciale. Per comprendere correttamente questo concetto, è necessario comprendere in profondità come risulta ottenuta l'articolazione interna relativa a ciascuna configurazione di costo. Classificazione dei costi Esistono due importanti tassonomie relative ai costi: quella che li distingue in diretti e indiretti e quella che li separa in fissi e variabili. I costi diretti sono quelli per i quali risulta possibile individuare un nesso causale univoco ed esclusivo tra il costo sostenuto e lo specifico oggetto di riferimento scelto. I costi indiretti sono tutti gli altri costi per i quali questa relazione non è identificabile. La classificazione in esame non trova fondamento in caratteristiche intrinseche nei diversi costi e non specifica, pertanto, una loro assoluta peculiarità. Le configurazioni di costo possono variare a seconda delle fasi del processo produttivo e possono avere un "spessore" diverso. Il criterio informatore per la classificazione dei costi è il riconoscimento di un nesso causale univoco ed esclusivo tra il costo da attribuire e l'oggetto di riferimento. I costi possono essere classificati come diretti o indiretti in base alla presenza o meno di questo nesso causale: i costi diretti sono quelli per i quali si ravvisa un legame diretto con l'oggetto di riferimento, mentre i costi indiretti sono tutti gli altri. La distinzione tra costi diretti e indiretti ha carattere relativo ed è collegata agli oggetti di riferimento dei costi, che possono essere più o meno estesi. La struttura dell'organizzazione della produzione può influenzare la classificazione dei costi, in particolare per quanto riguarda la divisione e la specializzazione del lavoro. L'attribuzione dei costi diretti non solleva problemi di calcolo particolari, poiché la relazione causale immediata ed esclusiva li collega all'oggetto di riferimento. L'attribuzione dei costi indiretti, invece, può presentare aspetti di varia complessità e gradi diversi di soggettività connessi alla scelta e all'uso di basi appropriate. I costi possono essere classificati anche come fissi o variabili in base al grado di variabilità al variare della quantità prodotta. I costi possono essere classificati in variabili e fissi, a seconda della loro relazione con il volume produttivo. I costi variabili sono quelli la cui entità varia in proporzione alle variazioni del volume produttivo, mentre i costi fissi derivano dalla predisposizione di una certa capacità produttiva e non dai volumi effettivi di produzione. La distinzione tra costi variabili e fissi è valida solo nel breve periodo e viene meno su un orizzonte temporale più ampio, nel quale tutti i costi diventano variabili. La variabilità dei costi può essere proporzionale, progressiva o regressiva. Nel breve periodo, la distinzione tra costi variabili e fissi è valida solo entro certi limiti di variazione del volume produttivo, oltre i quali dovrebbero variare anche i costi prima definiti fissi. All'interno dell'intervallo di variabilità, si possono individuare tre categorie di costi: costi variabili in proporzione al volume di produzione, costi variabili in proporzione al volume ma a scatti, e costi le cui variazioni non sono spiegate dalla variazione del volume di produzione. Le prime due categorie sono effettivamente variabili, mentre la terza lo è potenzialmente, in quanto viene bloccata in sede di budget. Nella pratica aziendale, i costi variabili sono spesso assimilati a quelli speciali, mentre i costi fissi sono assimilati a quelli comuni. La distinzione tra costi variabili e fissi non è sempre chiara, poiché entrambi possono essere diretti o indiretti. I costi variabili possono includere sia costi diretti (ad esempio, consumo di materie prime) che indiretti (ad esempio, consumi di energia elettrica). I costi fissi possono anch'essi essere diretti (ad esempio, ammortamento di un macchinario utilizzato esclusivamente per un solo prodotto) o indiretti (ad esempio, ammortamento dello stabile in cui si trovano i reparti produttivi). I costi della manodopera diretta, classicamente considerati variabili, possono essere considerati pressoché fissi a causa dei notevoli vincoli contrattuali assunti nei confronti dei lavoratori. La distinzione tra costi variabili e fissi ha senso solo se collegata all'esistenza di centri di responsabilità, cioè di unità organizzative dotate di un referente responsabile delle decisioni prese all'interno del centro. Non ha senso se l'oggetto di analisi è l'azienda nel suo complesso. È opportuno scorporare dai report di centro i costi non controllabili per valutare il grado di efficienza economica della gestione. I costi parametrici sono quelli per cui è determinabile a priori in modo oggettivo la quantità di risorsa necessaria per ottenere un'unità di prodotto (ad esempio, manodopera o materie prime). I costi discrezionali sono quelli decisi dalla direzione in base a valutazioni soggettive, mancando dei parametri tecnici (ad esempio, pubblicità). I costi vincolati sono quelli che dipendono da decisioni prese in passato, in sede di pianificazione strategica (ad esempio, quote di ammortamento). La distinzione dei costi si basa sull'effettività della manifestazione dei costi, quindi vi sono costi effettivamente sostenuti e costi che si dovrebbero sostenere se si realizzassero delle ipotesi di gestione. Configurazioni di costo di produzione e costo industriale Le configurazioni di costo di produzione possono essere individuate incrociando alcuni criteri di classificazione, come la fase del processo produttivo in cui la risorsa viene consumata, la distinzione tra costi diretti e indiretti e la separazione tra costi variabili e fissi. Le diverse configurazioni di costo di produzione che si possono identificare sono: Costo industriale diretto, variabile e pieno Costo industriale e commerciale diretto, variabile e pieno Costo completo La configurazione di costo industriale diretto prende in considerazione i soli consumi relativi alle fasi di approvvigionamento dei fattori produttivi e di ottenimento dei prodotti che siano anche diretti rispetto al prodotto finito. La configurazione di costo industriale variabile comprende i soli costi sostenuti nella fase industriale che variano al variare del livello di produzione realizzato nel periodo. La configurazione di costo industriale pieno comprende tutti i consumi sostenuti dall'impresa nella fase industriale del suo ciclo produttivo, tanto diretti quanto indiretti, tanto fissi quanto variabili. Nelle fasi successive a quella commerciale, difficilmente si riscontrano costi che risultano diretti rispetto al prodotto ottenuto o variabili al variare della produzione finita. La maggior parte dei costi sostenuti nelle fasi di produzione sono costi di struttura. Calcolare una configurazione di costo complessivo diretto o costo complessivo variabile condurrebbe a risultati simili a quelli ottenibili con l'impiego delle configurazioni di costo industriale-commerciale diretto e costo industriale-commerciale variabile. Per questo motivo, le configurazioni di costo complessivo non sono attivate, ad eccezione della configurazione di costo completo, che è l'unica utilizzata. La configurazione di costo completo è quella che contiene tutti i costi sostenuti nella fase di riferimento. Le configurazioni piene si contrappongono alle configurazioni prime, che non contengono tutti i costi sostenuti nella fase di riferimento. È possibile parlare di configurazione di costo industriale primo diretto o primo variabile, dove il termine "primo" serve a sottolineare che la configurazione industriale esaminata non è piena. Le principali configurazioni di costo utilizzate sono state analizzate in profondità nelle pagine precedenti, consentendo al lettore di comprendere quali sono le componenti elementari di costo comprese all'interno di esse. Nell'analisi, verrà utilizzata una terminologia meno corretta, ma più comune all'interno delle imprese, al posto della rigorosa terminologia utilizzata precedentemente. La configurazione di costo primo è una configurazione di costo diretto che comprende tutti i consumi dei fattori produttivi diretti rispetto all'oggetto di riferimento prescelto. Il costo primo è sostanzialmente un costo diretto e di solito coincide con la configurazione di costo industriale diretto. La configurazione di costo industriale diretto è composta da: costo delle materie impiegate, costo della manodopera diretta utilizzata, costo delle lavorazioni eseguite da terzi e altri costi speciali relativi alla fase industriale. Questa configurazione di costo è particolarmente apprezzata in azienda per la sua "oggettività", poiché evita l'arbitrio dell'attribuzione ai singoli prodotti dei costi comuni. Tuttavia, è una configurazione di costo decisamente parziale che può condurre a notevoli sottovalutazioni dell'effettivo sacrificio economico sostenuto dall'azienda per la realizzazione dei prodotti cui essa è applicata. La configurazione di costo industriale pieno coincide con la configurazione di costo da noi precedentemente identificata con il termine costo industriale pieno. La configurazione di costo economico-tecnico è una configurazione di costo che comprende tutti i costi relativi alla produzione e alla commercializzazione dei prodotti. La configurazione di costo complessivo è una configurazione di costo che comprende tutti i costi relativi alla produzione, alla commercializzazione e alla gestione dell'azienda. Costo industriale, costo completo e costo economico-tecnico Il costo industriale di un prodotto si ottiene aggiungendo al costo primo una quota dei costi generali industriali, ovvero dei costi relativi ai fattori onerosi indiretti o permanenti impiegati per l'acquisto dei fattori produttivi e per l'effettuazione delle lavorazioni necessarie ad ottenere i prodotti. Tali costi sono comuni a più prodotti e devono essere distribuiti tra gli stessi utilizzando opportuni criteri di imputazione, il che comporta un decadimento del livello di oggettività del dato di costo ottenuto rispetto a quello prodotto dalla precedente configurazione di costo. La configurazione di costo industriale è denominata "costo completo" e per passare al costo complessivo si deve aggiungere al costo industriale una quota di costi generali non industriali, ossia dei costi commerciali, amministrativi, tributari e finanziari. La configurazione di costo complessivo è piuttosto articolata e contiene notevoli percentuali di costi comuni ripartiti spesso con criteri non del tutto ortodossi. L'attribuzione dei costi comuni non industriali è piuttosto ardua, essendo difficile individuare dei rapporti di causa ed effetto tra il consumo dei fattori produttivi verificatosi a questo livello e la produzione ottenuta nel periodo. La configurazione di costo economico tecnico viene costruita prendendo in considerazione il consumo di tutti i fattori produttivi utilizzati dall'impresa, compresi quelli non onerosi. Il costo complessivo può essere trasformato in costo economico tecnico aggiungendo una quota di costi figurativi che non influenzano gli elementi patrimoniali e non sono rilevati nella contabilità generale. I costi figurativi più utilizzati sono gli interessi sul capitale proprio investito nell'impresa, i fitti figurativi sugli immobili di proprietà, gli stipendi figurativi per l'opera prestata dall'imprenditore e dai soci, e il compenso per il rischio imprenditoriale. Direct Costing e Full Costing Esistono due tipi di ordinamenti contabili: direct costing e full costing, che differiscono nella valutazione delle rimanenze di prodotti. I sistemi di contabilità analitica di tipo "direct costing" perseguono la determinazione della configurazione di costo variabile dei prodotti ottenuti, escludendo i costi fissi. L'adozione di una configurazione di costo variabile o pieno può avere effetti sulla determinazione del reddito di periodo. La scelta tra direct costing e full costing è stata oggetto di controversia negli anni cinquanta del secolo scorso, soprattutto nel mondo anglosassone. Le rimanenze di prodotti e le relative variazioni, nonché eventuali ricavi di prodotti per uso interno o erogati, vengono stimate sulla base dei costi variabili sostenuti per ottenerli. I costi fissi, essendo esclusi dalla configurazione di costo di produzione prescelta, concorrono inevitabilmente in maniera integrale alla formazione del risultato economico del periodo e sono pertanto identificati come costi di periodo (period costs) per distinguerli dai costi di prodotto (product costs). La logica di base che informa gli ordinamenti contabili a costi variabili considera i costi fissi come veri e propri costi di struttura, o di capacità, in quanto costituiscono l'onere che l'impresa decide di sostenere prima ancora di iniziare la produzione relativa a un dato periodo. Gli stessi costi fissi possono essere messi in relazione con il volume normale (o massimo) di attività produttiva realizzabile e non con il volume di produzione effettivamente realizzato in un periodo. La determinazione del reddito nei sistemi di contabilità in esame è influenzata dall'andamento delle vendite e non dalle fluttuazioni della produzione ottenuta. Se la configurazione accolta è quella del costo industriale variabile, tra i costi di periodo confluiranno tutti i costi fissi (industriali, di distribuzione, di amministrazione, di finanziamento) e taluni costi variabili, tipicamente quelli di distribuzione. Se la configurazione di costo prescelta è quella a costo industriale e commerciale variabile, i costi di periodo saranno rappresentati dai soli costi fissi. La struttura del conto del risultato economico associata alla metodologia di svolgimento della contabilità analitica porta all'evidenziazione di un risultato economico parziale noto come margine di contribuzione. Il margine di contribuzione deriva dalla differenza tra ricavi e costi variabili e serve a coprire i costi fissi e a formare il risultato di esercizio. La formula per calcolare il margine di contribuzione è: Ricavi di vendita - Costi variabili = Margine lordo di contribuzione. La formula per calcolare il risultato economico è: Σ dei Margini lordi di contribuzione dei singoli prodotti - Costi fissi comuni = Risultato economico. Lo schema di determinazione del costo della produzione in un sistema di contabilità analitica di tipo "direct costing" prevede la seguente struttura: Costi della materia prima per singolo prodotto Costi della manodopera diretta per prodotto Altri costi speciali variabili per prodotto Quota di costi generali industriali variabili per prodotto Quota di costi generali commerciali variabili per prodotto La determinazione del costo variabile non è esente da problemi relativi all'imputazione dei costi comuni. Il sistema di costo variabile indiretto può essere applicato a qualsiasi tipo di sistema produttivo, ad esempio per l'energia elettrica necessaria per alimentare i macchinari o per la forza motrice connessa alle movimentazioni interne dei semilavorati. La valutazione dell'eventuale variazione aumentativa delle rimanenze di prodotto a fine periodo viene effettuata sulla base delle sole componenti di costo variabile, consentendo di far gravare integralmente i costi fissi sulla produzione venduta nel periodo considerato. I fautori del direct costing sostengono che questo sistema consente una maggiore aderenza al principio di prudenza nelle valutazioni di bilancio rispetto ad altri criteri, poiché i costi fissi vengono coperti solo se nel periodo in cui sono sostenuti si verifica un flusso di ricavi di vendita sufficiente. Tuttavia, l'applicazione del procedimento in esame rischia di attribuire alle rimanenze di prodotti e/o semilavorati dei valori eccessivamente contenuti, in particolar modo quando la complessità del processo produttivo implica l'utilizzo di un'aliquota importante di fattori produttivi che comportano il sostenimento di costi fissi. La stima in bilancio di dette attività rischia quindi di risultare oltremodo prudente, in spregio del postulato di rappresentazione veritiera e corretta delle consistenze patrimoniali. I dati di costo determinati dal sistema in esame sono spesso troppo parziali e non rappresentano un valido riferimento per la determinazione dei prezzi di vendita dei prodotti. La tecnica del direct costing, in particolare l'utilizzo di una configurazione di costo industriale- commerciale variabile, è logicamente abbinata alle forme di analisi della redditività aziendale effettuate ricorrendo alla relazione costi-volumi-profitti, nota come break even analysis. Gli ordinamenti contabili a costi pieni o full costing impongono l'imputazione ai prodotti di almeno una parte dei costi fissi che devono essere sostenuti dall'azienda per produrli. Rientrano in questa classe le contabilità analitiche che utilizzano la configurazione di costo complessivo, così come quelle che impiegano configurazioni di costi parziali pieni (costo industriale pieno o costo industriale-commerciale pieno). La logica che informa il sistema in esame sostiene che tutti i costi, compresi quelli fissi, sono sostenuti dall'impresa a favore della produzione complessiva del periodo. Non appare corretta la distinzione operata all'interno dei sistemi contabili di tipo direct costing tra costi di prodotto e costi di periodo, poiché l'intero insieme dei costi viene sostenuto per generare i ricavi futuri. I costi relativi alla produzione ottenuta e non venduta devono essere attribuiti alla produzione eventualmente invenduta (variazione aumentativa del magazzino), in modo tale da poterli contrapporre in futuro (quale costo del venduto) ai relativi ricavi di vendita. Il full costing è un sistema contabile che attribuisce tutti i costi, fissi e variabili, ai prodotti, rendendo la contabilità analitica più complessa rispetto ai sistemi di costo variabile. La contabilità analitica deve gestire un maggior numero di processi di imputazione dei costi comuni a più oggetti di riferimento, portando allo sviluppo di forme sofisticate di attribuzione dei costi. Esistono due modalità di implementazione del full costing: il full actual costing e il full normal costing. Il full actual costing attribuisce i costi fissi alle unità di prodotto sulla base del volume di produzione effettivamente ottenuto, rendendo il costo unitario inversamente proporzionale alla quantità prodotta. Il full actual costing può comportare l'effetto di variabilizzazione dei costi fissi, considerato pericoloso da un punto di vista logico. Il full normal costing, invece, attribuisce i costi fissi in base alla produzione che normalmente si ottiene, evitando il problema della variabilizzazione dei costi fissi. I sistemi di direct costing, invece, considerano solo i costi variabili per il calcolo del costo di prodotto e del margine di contribuzione. Il testo descrive un nuovo ordinamento contabile chiamato "direct costing evoluto", che rappresenta una forma ibrida tra il direct costing e il full costing. Il direct costing evoluto attribuisce ai prodotti non solo i costi variabili, ma anche i costi fissi specifici, al fine di rappresentare più fedelmente lo sforzo economico sostenuto dall'azienda per produrli. Il direct costing evoluto si differenzia dal direct costing tradizionale in quanto considera anche i costi fissi diretti, oltre ai costi variabili. Il testo fornisce un esempio di come il direct costing evoluto possa essere utilizzato per calcolare i margini lordi di contribuzione per prodotto, i margini semilordi di contribuzione per prodotto e il risultato economico. Le diverse configurazioni di costo (full o direct costing) possono avere conseguenze sulla determinazione del reddito di periodo. Il testo sottolinea l'importanza di considerare le diversità esistenti tra gli ordinamenti contabili a costi variabili e a costi pieni e di analizzare gli effetti sortiti sulla determinazione del reddito di periodo dalla loro adozione in contabilità. Negli ordinamenti contabili "a costo variabile", i costi fissi sono considerati costi di periodo e non sono inclusi nel calcolo del costo di prodotto. Il costo della produzione ottenuta e quello della produzione venduta si formano sulla base dei soli costi variabili. Il margine tra i ricavi di vendita e il costo del venduto deve essere sufficientemente elevato per coprire i costi fissi. Le variazioni nella rimanenza di prodotti, semilavorati e ricavi di prodotti reimpiegati o distribuiti sono stimate in modo analogo al costo della produzione ottenuta. Questo sistema è caratterizzato da un'elevata sensibilità del reddito alle fluttuazioni nella quantità di produzione venduta. Se si vende poco, la variazione aumentativa nelle rimanenze di prodotto non è in grado di neutralizzare l'insieme dei costi che gravano sul periodo. Se si vende molto, la variazione diminutiva connessa al prelievo dal magazzino contrappone ai ricavi di vendita costi piuttosto contenuti. Negli ordinamenti contabili a costi pieni, il risultato economico è maggiormente influenzato dalle variazioni della produzione ottenuta, a causa dell'inclusione dei costi fissi nella valutazione delle rimanenze di prodotti, semilavorati e ricavi per prodotti destinati all'uso interno o erogati. La presenza di variazioni aumentative stimate a costo pieno consente di neutralizzare una porzione maggiore dei costi sostenuti nel periodo rispetto agli ordinamenti contabili a costo variabile. Nel caso in cui le unità prodotte superino le unità vendute, il risultato di periodo determinato con l'applicazione della metodica del full costing risulta superiore al risultato ottenibile utilizzando il direct costing. In caso contrario, se le unità vendute superano le unità prodotte, il risultato determinato da un sistema del tipo full costing risulterà inferiore a quello generato dal direct costing, poiché il costo del venduto calcolato nel primo sistema è superiore a quello determinato con il secondo. I due risultati coincidono perfettamente se la produzione ottenuta corrisponde alla produzione venduta e non si riscontrano variazioni nelle rimanenze. Le eventuali differenze indotte dall'implementazione dei due sistemi tendono ad annullarsi nel tempo, a causa dell'interdipendenza dei risultati economici nel tempo. Considerati nel lungo termine, i volumi di produzione e di vendita tendono a livellarsi, annullando le differenze tra i due sistemi di costo. Introduzione alla forma scalare del conto economico Il testo descrive le configurazioni parziali di risultato economico, presentate da Bruno De Rosa, e si concentra sulla forma "scalare" di presentazione del conto economico. La forma scalare consente di raggruppare i componenti positivi e negativi di reddito in classi omogenee, esprimendo risultati parziali con notevole significato informativo. Il conto economico può essere presentato in due strutture fondamentali: "costi e ricavi della produzione allestita" e "costi e ricavi della produzione venduta". La forma scalare permette di evidenziare i seguenti risultati intermedi: Valore aggiunto (al lordo degli ammortamenti), Margine operativo lordo, Reddito operativo, Reddito ordinario, Reddito prima delle imposte, Reddito dopo le imposte e Reddito residuo. Il testo è stato scritto come strumento di supporto didattico per lo studio dell'Economia aziendale presso l'Università degli Studi di Trieste e presenta una trattazione parziale e approssimata delle configurazioni parziali di risultato. L'autore, Bruno De Rosa, si scusa con il lettore per la versione incompleta e non sufficientemente rivista del testo, pubblicata per esigenze di fretta legate alla preparazione dell'esame di fine corso. Il materiale presentato è stato ottenuto rielaborando e attualizzando una parte significativa del testo "L'equilibrio economico d'azienda. Analisi strutturale ed interpretativa", Edizioni Goliardiche, Trieste, 2004. L'autore ringrazia l'Editore per il consenso a distribuire il materiale ai suoi studenti in forma libera, ma precisa che la riproduzione del testo per finalità diverse dallo studio individuale è vietata. Il testo non presenta una struttura del conto del risultato economico diversa, ma piuttosto una forma espositiva particolare (quella a scalare) che consente di mettere in luce alcuni risultati parziali interessanti. Struttura del conto economico e risultati intermedi La struttura del conto del risultato economico presentata include diverse voci, tra cui: Ricavi di vendita (di beni e servizi) Variazioni nelle rimanenze di merci, prodotti e semilavorati Ricavi per prodotti reimpiegati e distribuiti Valore Globale della Produzione Costo d'acquisto merci e consumo di materie prime Altri consumi intermedi Valore Aggiunto (al lordo degli ammortamenti) Retribuzioni del personale Margine Operativo Lordo Ammortamenti e accantonamenti a fondi rischi Proventi finanziari Risultato Operativo Oneri finanziari Risultato Ordinario Proventi e oneri straordinari Reddito netto d'esercizio prima delle imposte Imposte sul reddito (considerate come distribuzioni coattive di reddito e non come costi) Reddito d'esercizio dopo le imposte Anticipi di utili ai soci e erogazioni filantropiche Reddito d'esercizio residuo Secondo l'impostazione dell'autore, il vero risultato economico dell'esercizio è quello presentato alla voce precedente alle imposte sul reddito. Il conto economico vero e proprio termina al rigo precedente, mentre già a questo livello si è all'interno di un ipotetico prospetto che fornisce informazione in merito alla distribuzione del risultato conseguito ai vari soggetti che, per diverse ragioni, ne possono beneficiare. Il valore aggiunto e il margine operativo lordo Il primo aggregato esplicitamente individuato nello schema di conto economico è costituito dal valore globale della produzione, ossia dal valore attribuito all'insieme dei beni e servizi ottenuti dall'impresa nell'esercizio considerato. Il valore globale della produzione rende palese la struttura fondamentale del conto del risultato economico in concreto utilizzata, consentendo di inquadrare adeguatamente la natura dei componenti di reddito che seguono. Il primo risultato parziale vero e proprio è costituito dal valore aggiunto, ovvero dal valore differenziale che l'azienda è in grado di creare grazie allo svolgimento del processo produttivo, rispetto al valore già presente nei fattori produttivi di cui essa è costretta ad approvvigionarsi all'esterno. Il valore di partenza è sintetizzato dai cosiddetti "consumi intermedi" ovvero dall'insieme dei costi di utilizzazione dei fattori produttivi che non equivalgono a forme di remunerazione diretta o indiretta corrisposte alle categorie di soggetti menzionate. La determinazione del valore aggiunto viene effettuata al lordo degli ammortamenti e degli accantonamenti a fondi rischi che costituiscono rettifiche di capitali fissi oltre che di tutti i componenti straordinari di reddito. Il valore aggiunto globale netto può essere determinato sommando algebricamente tutti i costi e i ricavi ottenuti. Il valore aggiunto può essere calcolato in due modi: per via diretta, come somma dell'insieme delle componenti di reddito che corrispondono al valore globale della produzione e ai consumi intermedi, o per via indiretta, come somma delle remunerazioni complessivamente corrisposte ai seguenti insiemi di soggetti percettori: fornitori di lavoro, fornitori di capitale di credito, fornitori di capitale di rischio, pubblica amministrazione e comunità sociale. Sottraendo al valore aggiunto l'insieme delle remunerazioni pagate al personale dipendente si ottiene il Margine Operativo Lordo (MOL). Il MOL è un importante punto di contatto tra l'analisi dell'equilibrio economico d'azienda e l'analisi dell'equilibrio finanziario d'azienda. Il MOL costituisce un importante aggregato reddituale, come evidenziato da OnDina Gabrovec Mei nel suo testo "Il valore aggiunto dell'impresa" del 1984 e successivamente rivisitato nel testo "Il linguaggio contabile. Itinerario storico e metodologico" del 1999. Definizione di costi e ricavi I costi corrispondono sempre a una variazione patrimoniale lorda diminutiva (decremento) del patrimonio aziendale connessa allo svolgimento del processo produttivo. L'insorgere di un componente negativo di reddito comporta una diminuzione in un elemento patrimoniale attivo o un aumento in un elemento patrimoniale passivo. Un ricavo può essere definito come una variazione patrimoniale lorda aumentativa del patrimonio aziendale dovuta allo svolgimento del processo produttivo. A un ricavo corrisponde un aumento in un elemento patrimoniale attivo o una diminuzione di un elemento patrimoniale passivo. Schematizzazione del conto economico e classificazione di attività e passività Il conto del risultato economico può essere schematizzato come segue: Da = decremento di attività Ip = incremento di passività Lo schema è suscettibile di una diversa articolazione, che può essere realizzata tenendo a mente le tassonomie interne alle attività e alle passività. Le attività e le passività possono essere riaggregate nelle seguenti classi: L'insieme delle componenti positive di reddito può essere distinto in tre classi: Una prima classe relativa alle sole variazioni che riguardano congiuntamente le classi delle disponibilità monetarie e del net working capital. Una seconda classe che riflette gli incrementi del capitale netto registrati in connessione agli investimenti in fattori produttivi a fecondità ripetuta. Una terza classe che riflette gli incrementi di ricchezza relativi alle attività finanziarie detenute. In modo del tutto analogo, si procederà con riferimento alle componenti negative di reddito, separando quelle che riflettono: Variazioni di elementi patrimoniali costituenti le classi delle disponibilità monetarie e del net working capital. Decrementi del capitale netto verificatisi in connessione agli investimenti in fattori produttivi a fecondità ripetuta. Decrementi di ricchezza riconducibili al livello delle passività finanziarie. Così operando, si otterrà una nova schematizzazione del conto del risultato economico, leggermente più complessa rispetto alla precedente, che assume la seguente fisionomia: Conto del Risultato Economico Ricavi Costi CNWC (costi connessi a decrementi nel capitale circolante netto) CCF (componenti negative relative ai capitali fissi) +RCF (componenti positive relative ai capitali fissi) RAF (componenti negative relative alle attività finanziarie) CL (costi per cassa) CPF (componenti negative relative alle passività finanziarie) +RNWC (ricavi connessi a incrementi nel capitale circolante netto) +RL (ricavi per cassa) +RCF (componenti positive relative ai capitali fissi) +RAF (componenti positive relative alle attività finanziarie) La schematizzazione descritta permette di comprendere come all'interno del conto economico si possano separare costi e ricavi che nascono in relazione a variazioni negli elementi del patrimonio che costituiscono il capitale circolante netto operativo e le disponibilità di cassa, da costi e ricavi che non sono associabili a tali specifiche categorie di elementi patrimoniali. Analisi dei costi e ricavi operativi e il margine operativo lordo L'analisi dei costi e ricavi della prima specie serve a spiegare la variazione complessiva intervenuta, in un dato periodo, per effetto dello svolgimento del processo produttivo, nei due summenzionati aggregati patrimoniali, unanimemente considerati di grande interesse ai fini della comprensione delle determinanti di base dell'equilibrio finanziario di breve periodo. Volendo limitare l'analisi al solo risultato economico relativo alla gestione operativa, si può immaginare tale reddito come costituito da flussi distinti, uno in grado di produrre effetti sul livello assunto dal summenzionato aggregato patrimoniale e l'altro assolutamente ininfluente rispetto all'entità raggiunta dallo stesso. La struttura del conto del risultato economico operativo può pertanto essere così sintetizzata, escludendo i costi e ricavi straordinari e gli oneri finanziari, e considerando solo le componenti negative legate alla gestione finanziaria. La definizione di reddito operativo qui accolta è quella che fa coincidere tale configurazione parziale di risultato con il reddito ordinario al lordo delle sole componenti negative legate alla gestione finanziaria. Il Conto del Risultato Economico può essere rappresentato come la somma di diverse componenti fondamentali, tra cui ricavi connessi a incrementi nelle liquidità o variazioni negli elementi patrimoniali costituenti il net working capital (RL+NWC), proventi finanziari (PF), costi connessi a decrementi nelle liquidità o variazioni negli elementi patrimoniali costituenti il net working capital (CL+NWC) e ammortamenti e accantonamenti a fondi rischi (A&A). La relazione algebrica che rappresenta il risultato economico operativo (REoper) è data da: REoper = (RL+NWC + PF) – (CL+NWC + A&A). Questa equazione può essere semplificata in: REoper = (RL+NWC – CL+NWC) + (PF – A&A), evidenziando l'esistenza di due flussi reddituali. Il primo flusso reddituale è dato dalla differenza tra i ricavi e i costi connessi a variazioni lorde (incrementi e decrementi) nella cassa o negli elementi patrimoniali che costituiscono il "net working capital". Questo flusso è particolarmente importante ai fini dell'analisi degli equilibri aziendali, in quanto è in grado di determinare il livello per cui si attiva il processo di trasformazione del capitale fisso in capitale circolante. La configurazione di reddito rappresentata dalla differenza tra RL+NWC e CL+NWC offre importanti informazioni anche da un punto di vista finanziario. Questa configurazione permette di comprendere l'entità di quella parte della variazione complessiva dell'investimento operativo netto che non riguarda i capitali fissi. L'aggregato reddituale di cui si parla è rappresentato dal Margine Operativo Lordo (MOL), denominato spesso nella letteratura finanziaria anche con l'acronimo EBITDA. Il Margine Operativo Lordo rappresenta solo una buona approssimazione della variazione nelle classi patrimoniali precedenti, poiché esistono alcune peculiari situazioni concrete che possono determinare uno scostamento tra i due valori. I componenti di reddito collocati al di sopra del Margine Operativo Lordo sono di solito associati a movimentazioni di elementi patrimoniali compresi tra le liquidità o il capitale circolante netto. La formula per calcolare la configurazione di reddito è: RL+NWC + CL+NWC = ΔL + ΔNWC. La formula può essere riscritta come: RL+NWC + CL+NWC = (IL – DL) + [(ICO – DCO) + (IS – DS) – (IDO – DDO)]. La configurazione di reddito può essere rappresentata anche come: RL+NWC + CL+NWC = ΔL + (ΔCO + ΔS – ΔDO). I ricavi di vendita sono generalmente collegati a introiti monetari o all'insorgere di crediti a breve e medio-lungo termine. Tuttavia, possono verificarsi eccezionalmente delle cessioni di prodotti aziendali effettuate accettando in contropartita attività finanziaria o capitali fissi, o la riduzione di passività finanziarie precedentemente contratte. In questi casi, il margine operativo lordo calcolato potrebbe sovrastimare la variazione aumentativa nelle componenti patrimoniali o sottostimare l'eventuale variazione diminutiva. Questa situazione è considerata inusuale, ma deve essere adeguatamente considerata da un punto di vista meramente speculativo. È importante tenere conto di queste eccezioni per evitare errori di valutazione nel calcolo del margine operativo lordo. Problemi nella determinazione del margine operativo netto Il testo analizza le configurazioni di risultato in un contesto economico, evidenziando due problemi specifici che possono portare a una sovrastima del flusso di attività disponibili nette. Il primo problema si verifica quando, nel calcolo del Margine Operativo Netto, vengono inclusi i "Ricavi per prodotti reimpiegati" o "Ricavi per produzioni in economia", che spesso nascono in contropartita a incrementi nel valore dei capitali fissi. Questi ricavi non sono generalmente considerati nella contabilità delle imprese come forme di reimpiego di produzioni sotto forma di capitali circolanti. Il secondo problema si riferisce alle quote di accantonamento ai fondi rischi aventi natura di rettifiche di attività che formano il net working capital, come ad esempio i fondi rischi per svalutazione delle rimanenze di magazzino o il fondo rischi per svalutazione crediti. Questi costi vengono generalmente considerati unitariamente agli altri accantonamenti a fondi rischi all'interno della voce "ammortamenti e accantonamenti", che non concorre a determinare il Margine Operativo Lordo. Di conseguenza, non si prendono in considerazione nel calcolo del MOL dei costi che provocano contrazioni nel flusso di capitale circolante netto operativo, portando a una stima eccessiva di tale flusso. Per garantire l'efficacia del Margine Operativo Netto ai fini della comprensione delle cause delle variazioni verificatesi nelle disponibilità monetarie e negli elementi patrimoniali costituenti il "net working capital", il flusso reddituale dovrebbe essere computato avendo almeno cura di determinare i Ricavi di vendita al netto dell'accantonamento al fondo svalutazione crediti. Inoltre, è necessario spostare i Ricavi per prodotti reimpiegati al di sotto del livello in cui tale margine viene calcolato e inserire nello schema di riclassificazione una nuova voce destinata a contenere i costi presunti connessi ad accantonamenti a fondi rischi aventi natura di rettifiche di attività disponibili o di passività esigibili. Solo in questo modo il margine reddituale in esame assumerà adeguata capacità informativa da un punto di vista finanziario. Il processo di trasformazione del capitale fisso in capitale circolante La seguente eguaglianza assume importanza notevole: MOL = RL+NWC + CL+NWC = ΔL + ΔNWC, poiché consente di affermare esplicitamente che il valore assunto da questa particolare configurazione di reddito (il MOL) consente di apprezzare il livello per cui, nel periodo, si è verificato il processo di trasformazione del capitale fisso in capitale circolante. Se il Margine Operativo Lordo risulta nullo o negativo, non c'è speranza alcuna di riscontrare un incremento nelle disponibilità monetarie o nel livello del net working capital, a meno che lo stesso non sia dovuto a fattori diversi da quelli inerenti alla gestione operativa intesa in senso stretto. In altri termini, perché si possa riscontrare un aumento delle summenzionate classi patrimoniali dovuto allo svolgimento del processo produttivo caratteristico, il MOL deve necessariamente risultare maggiore di zero. Il processo di trasformazione del capitale fisso in capitale circolante avviene solo parzialmente se il Margine Operativo Lordo (MOL) non è sufficiente a coprire l'ammortamento imputato a conto economico. Una situazione in cui il MOL, pur positivo, non riesce a coprire i costi di ammortamento implica spesso un risultato operativo aziendale in perdita. La presenza di un risultato operativo negativo rappresenta già di per sé un buon indicatore di problemi connessi alla mancata trasformazione (totale o parziale) del capitale fisso in capitale circolante. Se la perdita operativa supera per importo il valore degli ammortamenti e degli accantonamenti, anche il Margine Operativo Netto risulta necessariamente negativo, indicando la totale assenza del processo di trasformazione. Qualora la perdita operativa risulti d'importo inferiore a quello degli ammortamenti e degli accantonamenti, la trasformazione avviene solo parzialmente per un importo determinabile sottraendo al valore ottenuto per somma delle due voci di costo in esame quello della perdita. Affinché si realizzi una trasformazione completa del capitale fisso in capitale circolante, deve necessariamente verificarsi che il Margine Operativo Lordo sia maggiore o uguale agli ammortamenti e agli accantonamenti (MOL ≥ A&A). Quest'ultima formulazione fornisce precise indicazioni operative al management che si preoccupi di garantire la salvaguardia, nel tempo, del livello di capacità produttiva di cui l'impresa è stata dotata. Il processo di trasformazione del capitale fisso in capitale circolante è essenziale per la salvaguardia dell'impresa e si realizza completamente in un dato periodo amministrativo solo se il Margine Operativo Lordo (MOL) prodotto dalla gestione riesce a coprire la somma dei costi di ammortamento della struttura produttiva e di accantonamento a fondi aventi natura di rettifica di immobilizzazioni o di passività consolidate. Il management deve prestare particolare attenzione alle attività di produzione e di vendita in modo tale che le stesse possano generare un flusso di ricavi sufficiente a garantire livelli di MOL compatibili con i costi operativi di struttura che l'impresa deve sostenere. I ricavi, in particolar modo i ricavi di vendita, consentono in ultima analisi il verificarsi del processo di trasformazione dei capitali fissi in capitali circolanti, garantendo all'impresa la possibilità di riacquistare i fattori produttivi dalla stessa consumati nel medio e lungo termine. Se il flusso dei ricavi dovesse risultare insufficiente, il processo di trasformazione non si verificherebbe, obbligando l'azienda a dipendere da nuovi finanziamenti, a titolo di capitale proprio o di terzi. È stata evidenziata una relazione di medio-lungo termine tra equilibrio economico e equilibrio finanziario che il management deve ben conoscere e gestire opportunamente. Un'impresa non può operare con risultati operativi negativi senza rischiare di incorrere in conseguenze negative anche sul piano finanziario, poiché il disequilibrio economico tende a produrre disequilibrio finanziario. Una mancanza di ricavi sufficienti a garantire la disequazione e, quindi, il verificarsi del processo di trasformazione dei capitali fissi in capitali circolanti, priva l'impresa delle risorse di cui avrà bisogno per riacquistare l'attrezzatura produttiva consumata. Le risorse necessarie dovranno essere attinte dall'impresa attraverso la contrazione di nuovi debiti o grazie all'apporto da parte dei soci di nuovo capitale. I ricavi, e non i costi, sono ciò che rende possibile la trasformazione del capitale fisso in circolante. È un errore concettuale attribuire all'ammortamento la capacità di generare risorse aventi tale natura, poiché sono i ricavi a svolgere questo ruolo. Relazione tra ammortamenti e flusso di cassa La confusione sull'argomento deriva anche da un cattivo utilizzo di una nuova equazione che può essere facilmente ottenuta dalla spostando dal secondo al primo membro la quantità (PF – A&A). L'equazione risultante è: REoper – PF + A&A = (RL+NWC – CL+NWC) = ΔL + ΔNWC, che può essere riscritta come REoper + A&A – PF = ΔL + ΔNWC. Quest'ultima equazione illustra una modalità di calcolo del Margine Operativo Lordo (MOL) diversa da quella considerata in precedenza, definita 'indiretta'. Il MOL viene calcolato non direttamente, ma secondo un procedimento 'a ritroso' che si sviluppa depurando il risultato economico operativo delle componenti di costo e di ricavo che non sono presenti nel MOL. Dall'equazione discende una 'formula empirica' molto utilizzata dagli analisti finanziari: Cash Flow = Utile + Ammortamenti. Tuttavia, questa formula è stata definita 'empirica' perché le precisazioni necessarie per garantirne la validità sono numerose e forti, assicurando di fatto la sua totale scorrettezza formale. Per considerare una formula corretta, è necessario ipotizzare cinque condizioni: L'impresa cui il calcolo si riferisce sia stazionaria, ovvero che le componenti attive e passive del net working capital risultino stabili nel tempo. Il cash flow computato sia quello relativo alla gestione operativa, ovvero che i flussi di cassa relativi agli investimenti e alle operazioni di finanziamento si compensino vicendevolmente. L'utile cui fa riferimento la formula sia l'utile operativo. Non esistano ricavi connessi a variazioni negli elementi patrimoniali diversi da quelli che compongono il net working capital. Gli ammortamenti costituiscano l'unica tipologia di costi operativi che non impattano sul Margine Operativo Lordo. Queste ipotesi sono fondamentali per evitare errori concettuali, come ad esempio la convinzione che esista una relazione diretta tra valore degli ammortamenti e flusso di cassa. In realtà, ogni euro in più inserito tra gli ammortamenti corrisponde inevitabilmente a una contrazione di un euro dell'utile d'esercizio. L'ammortamento dei capitali fissi non è una fonte generatrice di risorse monetarie, ma piuttosto un meccanismo che consente la ritenzione di risorse nette all'interno del patrimonio aziendale. Il ruolo dell'ammortamento è quello di impedire che il Margine Operativo Lordo (MOL) si trasformi in Utile Operativo, mantenendo così le risorse nette all'interno del patrimonio aziendale. L'ammortamento impedisce la distribuzione delle risorse nette incamerate dall'impresa grazie allo svolgimento del processo produttivo, mantenendole all'interno del patrimonio aziendale. Il ruolo dell'ammortamento è meglio comprensibile se espresso in termini negativi, ovvero per ciò che evita piuttosto che per ciò che crea. L'ammortamento mantiene il nuovo potere d'acquisto generico affluito per effetto della gestione all'interno del patrimonio aziendale, impedendone la dissipazione. Per garantire il riacquisto dell'attrezzatura produttiva, non è sufficiente operare semplicemente tale forma di ritenzione, ma le risorse non erogate vanno opportunamente investite. In questo contesto, può essere interpretato il ruolo svolto dagli elementi patrimoniali rappresentati da attività finanziarie. Le forme di investimento temporaneo delle eccedenze di disponibilità monetarie o di attività realizzabili rappresentano un'importante fonte di reddito aggiuntivo per l'azienda. La presenza di componenti positive di reddito operativo aggiuntive rispetto al Margine Operativo Lordo consente all'impresa di conseguire le risorse aggiuntive necessarie per operare il riacquisto degli elementi patrimoniali che costituiscono la struttura produttiva aziendale a prezzi superiori a quelli storici. Il reddito operativo e la sua importanza Il Reddito Operativo può essere determinato sottraendo al Margine Operativo Lordo il totale dei costi di ammortamento e l'insieme delle quote di accantonamento ai fondi rischi aventi natura di rettifica di capitali fissi. La figura di reddito in esame assume una notevole importanza ai fini dell'analisi puntuale dell'equilibrio economico d'azienda, fornendo informazioni che possono essere considerate estremamente rilevanti per accertare l'esistenza o meno dell'equilibrio economico d'azienda. La configurazione di risultato in esame fornisce indicazioni sulla capacità di reddito dell'azienda studiata, astratte completamente dagli effetti connessi alle scelte di struttura finanziaria dalla stessa azienda concretamente operate. La determinazione del risultato economico operativo fornisce informazioni che possono essere considerate estremamente rilevanti ai fini dell'analisi tesa ad accertare l'esistenza o meno dell'equilibrio economico d'azienda. Il reddito operativo si distingue da altre figure di reddito perché non considera gli oneri finanziari tra i componenti negativi che lo formano. L'esclusione degli oneri finanziari si giustifica col fatto che essi non hanno diretta attinenza con le attività produttrici di reddito, riguardando invece il finanziamento di tali attività. Il reddito operativo vuole essere un indicatore economico relativamente indipendente dalle soluzioni date ai problemi di finanziamento e, quindi, dalla varia misura con cui l'impresa fa ricorso a mezzi propri o a mezzi di terzi per finanziarsi. Secondo Vittorio Coda, il reddito operativo è un indicatore economico che serve a differenziarlo concettualmente da tutte le altre figure di reddito. Definizioni di reddito operativo e problematiche connesse Sono state proposte, in dottrina, almeno due diverse definizioni di reddito operativo: Una prima definizione che lo fa coincidere con il reddito caratteristico al lordo degli oneri finanziari (reddito operativo della gestione caratteristica); Una seconda definizione che considera il reddito operativo come il reddito ordinario al lordo degli oneri finanziari, includendo i costi e ricavi accessori tra le componenti destinate a formare il reddito operativo. Le due definizioni differiscono tra loro perché la seconda considera i costi e ricavi accessori tra le componenti del reddito operativo, mentre la prima li esclude espressamente. L'autore riconosce l'utilità teorica di distinguere tra componenti caratteristiche e accessorie di reddito per analizzare il processo di formazione del risultato economico, ma ritiene che questa separazione sia difficile da realizzare in pratica. Una parte degli investimenti identificati come "accessori" è dovuta alla necessità dell'azienda di investire le risorse per mantenere la capacità produttiva nel tempo, rendendo difficile distinguere questi investimenti da quelli principali. Esistono molti componenti reddituali comuni alle produzioni caratteristica e accessoria, la cui attribuzione alle produzioni corrispondenti è difficile da compiere e spesso viene attuata mediante forme di riparto arbitrarie. Per evitare l'arbitrarietà, tutti i componenti di reddito comuni vengono spesso attribuiti alla produzione caratteristica, il che determina un risultato economico caratteristico stimato per difetto e un risultato economico accessorio stimato per eccesso. L'autore conclude che la distinzione tra componenti caratteristiche e accessorie di reddito è difficile da realizzare in pratica e può portare a risultati economici inaccurati. La distinzione tra reddito caratteristico e reddito accessorio può essere problematica a causa della natura mutevole delle attività aziendali nel tempo. L'attività caratteristica di un'azienda non è necessariamente destinata a rimanere la stessa, poiché l'azienda evolve e prende decisioni strategiche che la portano a rifocalizzare il proprio sforzo produttivo. La maggior parte delle imprese, anche di piccole dimensioni, attua processi di creazione del valore operando in più di un'attività, rendendo difficile individuare un'area caratteristica della produzione stabile nel tempo. La distinzione tra reddito caratteristico e reddito accessorio può creare problemi pratici per chi intenda operare in concreto la distinzione del reddito ordinario nelle sue due componenti. È consigliabile non imporre alle imprese la distinzione delle componenti caratteristiche da quelle accessorie di reddito e accogliere la seconda definizione di reddito operativo, espressa semplicemente in termini di reddito ordinario al lordo degli oneri finanziari. Il reddito operativo dovrebbe essere determinato al lordo di tutte le forme di interesse passivo corrisposte dall'azienda per assumere pieno rilievo informativo. Il risultato della gestione operativa individuato nel conto economico scalare non tiene conto delle componenti finanziarie esplicite e implicite, ma solo dei costi formalmente identificati come interessi passivi in contabilità. Gli oneri finanziari impliciti, ovvero i costi connessi ai servizi di finanziamento resi all'azienda dai fornitori e dal personale dipendente, rimangono confusi all'interno delle altre componenti di costo e partecipano al calcolo del risultato economico operativo in modo non corretto. La soluzione a questo problema può essere trovata operando la scorporazione degli oneri finanziari impliciti dalle voci di costo nelle quali si trovano celati, attraverso la cosiddetta esplicitazione degli interessi impliciti. Tuttavia, il procedimento tecnico che rende possibile l'emersione delle componenti finanziarie in questione può rivelarsi eccessivamente oneroso e scarsamente oggettivo, soprattutto se sviluppato dall'analista esterno. Se il peso assunto dagli oneri impliciti non risulta particolarmente significativo, la loro separazione dalle componenti di reddito operativo può essere evitata, ma ciò diminuisce il valore segnaletico della configurazione di reddito. Per una definizione precisa di business, si possono consultare le opere di Derek F. Abell e Antonella Paolini, che trattano l'argomento in modo approfondito. Componenti straordinarie di reddito La separazione formale delle componenti di reddito aventi natura ordinaria da quelle aventi natura straordinaria è di assoluto rilievo, sia teorico che pratico. Questa separazione è funzionale all'implementazione del postulato fondamentale di comparabilità e consente di operare una corretta individuazione della quota del risultato economico non legata al verificarsi di eventi sporadici o imprevedibili. La segregazione delle componenti di reddito straordinarie consente di favorire il confronto intertemporale dei risultati reddituali conseguiti dall'azienda e di individuare i trend di sviluppo seguiti nel tempo. L'importanza della corretta identificazione e separazione dei componenti straordinari di reddito da quelli ordinari si spiega anche in considerazione della loro peculiare natura, che non è direttamente legata all'attività produttiva dell'azienda. I costi e ricavi straordinari non sono suscettibili di fornire spiegazioni causali del divenire dell'azienda e quindi devono essere trattati separatamente dai componenti di reddito ordinari. La separazione delle componenti di reddito straordinarie è stata trattata da autori come Lucio Sicca nel suo libro "La gestione strategica dell'impresa. Concetti e strumenti" (2001) e nel profilo strategico di Torino (1990). I componenti di reddito in esame non possono partecipare alla formazione di costi, ricavi e risultati di oggetti particolari, né possono concorrere alla formulazione di giudizi di convenienza generale o particolare. Il processo di individuazione delle componenti di reddito non è favorito dalla varietà delle posizioni dottrinali e dei pronunciamenti ufficiali emanati dagli estensori dei principi contabili. Sebbene ci sia una certa uniformità di pareri rispetto ai connotati generali della "aperiodicità", della "imprevedibilità" e della "non attinenza con l'attività tipica aziendale" che dovrebbero distinguere i componenti di reddito in esame, ci sono ancora aspetti del problema definitorio non ancora adeguatamente risolti. Non è possibile affrontare in modo sufficientemente compiuto la tematica in questa sede, ma è opportuno esaminare le caratteristiche distinctive delle diverse classi di costi e ricavi straordinari generalmente individuate in dottrina. Classificazione dei costi e ricavi straordinari L'autore LIVIO COSSAR ha trattato il tema dei processi di attribuzione del valore nella contabilità ordinaria e nel rendiconto d'esercizio in un'opera del 1979, "I processi di attribuzione del valore nella contabilità ordinaria e nel rendiconto d'esercizio, Aspetti economici e normativi". Le motivazioni per escludere i componenti di reddito straordinari dalla formazione del risultato economico ordinario sono sufficientemente palesi. I costi e i ricavi straordinari possono derivare da eventi casuali, operazioni occasionali, cessioni di fattori produttivi, rettifiche di costi e ricavi di esercizi precedenti e modificazioni non generalizzate e definitive dei criteri di stima accolti per la valutazione degli elementi patrimoniali. Le ragioni che inducono a considerare straordinari i componenti di reddito che sorgono in relazione agli avvenimenti indicati riposano sostanzialmente nell'eccezionalità e nell'infrequenza del fatto di gestione cui risultano collegati. Tali caratteristiche contribuiscono a rendere non adeguatamente comparabili i costi e i ricavi provocati dall'evento considerato con quelli che normalmente formano il risultato economico d'azienda. Le variazioni patrimoniali in discorso vanno adeguatamente individuate e devono essere separate e considerate. Le cessioni di fattori produttivi (materie prime, macchinari, brevetti) sono tutt'altro che infrequenti nella pratica, ma i componenti di reddito associati a tali operazioni dovrebbero considerarsi sempre straordinari a causa del cambiamento di destinazione che inevitabilmente risulta connesso alle operazioni di cui si discorre. La citazione di Aldo Amaduzzi nel testo "I bilanci di esercizio delle imprese" (Seconda edizione, Torino, UTET, 1978, pag. 102) è menzionata come riferimento per ulteriori informazioni sull'argomento. I fattori produttivi vengono acquistati dall'azienda per essere utilizzati al suo interno, determinando una serie di conseguenze sulle modalità di rendicontazione delle variazioni patrimoniali legate all'acquisto. Quando l'azienda decide di cedere a terzi il bene o il servizio precedentemente destinato ad essere impiegato al suo interno, si assiste idealmente in contabilità ad una riclassificazione che sposta l'elemento patrimoniale dalla classe dei fattori produttivi a quella dei beni merce. Tale riclassificazione dà evidenza di un avvenuto mutamento della funzione economica tipica svolta da quel bene o da quel servizio all'interno dell'azienda considerata. Un simile mutamento di destinazione è legittimo, ma deve essere opportunamente segnalato nella contabilità dell'impresa per evitare rischi per le imprese in difficoltà. Si noti che l'eccezionalità deve essere riferita all'evento in quanto tale e non alla dimensione monetaria assunta dal componente di reddito che sorge in relazione al suo verificarsi, come sottolineato da Charles W. Mulford e Eugene E. Comiskey. Il testo tratta delle configurazioni di risultato aziendale e cita l'opera "Financial Warnings" di Comiskey, pubblicata da John Wiley & Sons a New York nel 1996. Si discute come le aziende possano nascondere la contrazione dei ricavi di vendita cedendo fattori produttivi a terzi, il che può aggravare l'equilibrio economico aziendale e pregiudicare le possibilità future di conseguire adeguati flussi di reddito. I ricavi di vendita e il costo del venduto connessi a cessioni di beni e servizi devono essere opportunamente separati dagli omologhi componenti di reddito aventi natura ordinaria. Le rettifiche di costi e ricavi di esercizi precedenti devono essere considerati straordinari in quanto si riferiscono a produzioni attuate in periodi precedenti. Relativamente a questa classe di componenti reddituali, si determina una relazione labile con il postulato di competenza economica, poiché i costi e i ricavi in esame vengono imputati al risultato economico dell'esercizio in corso solo perché in precedenza non è stato possibile farlo a causa della mancanza di informazioni adeguate. Si considerano di competenza dell'esercizio in cui la loro esistenza viene appurata, anche se le produzioni cui si riferiscono risultano ormai concluse da tempo. L'ultima classe di componenti di reddito straordinari è legata a mutamenti non generalizzati nei criteri di base accolti per la valutazione degli elementi patrimoniali, e le svalutazioni e le rivalutazioni in essa contenuti derivano da sporadiche eccezioni ad una regola di comportamento che si ritiene ancora valida. È sensato isolare i componenti reddituali che insorgono per effetto di temporanei scostamenti rispetto alla norma, impedendo loro di partecipare alla formazione del reddito ordinario. Ciò preserva la comparabilità della configurazione di risultato, pur rendendo possibili i necessari adeguamenti dei valori precedentemente assegnati agli elementi patrimoniali. L'obiettivo è