Evoluzione del SSN dal 1978 (PDF)
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Questo documento analizza l'evoluzione del Servizio Sanitario Nazionale italiano dal 1978 ad oggi, evidenziando le principali riforme e i cambiamenti strutturali. Si concentra sulle modifiche alle Unità Sanitarie Locali (USL) e sul passaggio alle Aziende Sanitarie Locali (ASL). Il documento descrive inoltre la programmazione della pubblica amministrazione e il Piano Sanitario Nazionale.
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Argomento: SSN dopo il 1978 Data: 17/10/23 Sbobinatore: Gabriele Fiume e Cristiano Rossi...
Argomento: SSN dopo il 1978 Data: 17/10/23 Sbobinatore: Gabriele Fiume e Cristiano Rossi Revisore: Carolina Biserni Docente: Federico Laus EVOLUZIONE DEL SSN DAL 1978 Il grande cambiamento non riguarda tanto l’implementazione degli ospedali, in quanto esistevano già ed erano affidati ai comuni che decidevano in che modalità garantire una tutela all’interno degli stessi, piuttosto riguardano la creazione di una rete amministrativa che verteva sulle USL (Unità Sanitaria Locale). Le USL diventavano dunque l’articolazione territoriale del neonato SSN. L’articolo 10 della Legge 23 dicembre 1978, n. 833 lo specifica: “Alla gestione unitaria della tutela della salute si provvede in modo uniforme sull'intero territorio nazionale mediante una rete completa di unità sanitarie locali […]” le USL servono dunque a garantire che vi sia una serie di strutture che permettano la diffusione del servizio sul territorio. Cos’è la USL? Sempre all’interno dello stesso articolo leggiamo che “[…] L'unità sanitaria locale è il complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei comuni, singoli o associati, e delle comunità montane, i quali in un ambito territoriale determinato assolvono ai compiti del servizio sanitario nazionale di cui alla presente legge”. Prima della loro istituzione era tutto lasciato ai singoli comuni che si limitavano ad erogare servizi ospedalieri, ora invece iniziamo ad avere tutto quell’insieme di servizi di igiene e tutela della sanità pubblica e di garanzia degli stessi anche al di fuori delle strutture ospedaliere. “[…] Sulla base dei criteri stabiliti con legge regionale i comuni, singoli o associati, o le comunità montane articolano le unità sanitarie locali in distretti sanitari di base, quali strutture tecnico- funzionali per l'erogazione dei servizi di primo livello e di pronto intervento.” L’USL deve dunque essere articolata in modo tale da creare una diffusione del servizio in distretti affinché sul territorio sia sempre garantito il pronto intervento e i servizi di primo livello (N.B. ancora oggi il sistema sanitario si basa su distretti). Nel SSN del ’78 la figura chiave era rappresentata dal comune e l’autorità sanitaria principale era il sindaco (allora era il sindaco a dover garantire sul proprio territorio una certa tutela, detenendo il potere di “polizia sanitaria”). Nell’articolo 15 della medesima legge troviamo scritto “L'unità sanitaria locale, […] è una struttura operativa dei comuni, singoli o associati, e delle comunità montane. Organi della unità sanitaria locale sono: 1) l'assemblea generale; 2) il comitato di gestione e il suo presidente […]” L’assemblea generale ed il comitato di gestione non erano altro che strutture che rappresentavano i comuni: questi ultimi decidevano come costituire l’assemblea generale (ovvero il consiglio comunale), la quale eleggeva il comitato di gestione. Il comitato di gestione andava a compiere tutti gli atti di amministrazione dell’unità sanitaria locale e, a sua volta, nominava il proprio presidente. L’USL era dunque una struttura di derivazione politica e per questo motivo la sua finalità non era la tutela della salute con l’equilibrio del bilancio, ma si puntava piuttosto a conseguire le promesse fatte al proprio elettorato (per questo motivo ci sono tutt’oggi piccoli paesi con grandiosi ospedali mai terminati). Digressione su “La Prima Repubblica” La Prima Repubblica è quel periodo politico presente in Italia prima degli anni ’90 (e quindi prima di Tangentopoli) dove si pensava che l’unica cosa importante per l’elettore fosse il mattone; le grandi strutture in Italia sono state realizzate in questo periodo poiché si pensava che il cittadino non fosse abbastanza capace di intuire l’importanza di un servizio, quanto invece fosse in grado di percepire la portata di un gigantesco edificio (mancava inoltre un reale controllo sulla gestione dei fondi). Il diritto alla salute con la riforma del ’78 era dunque sostanzialmente garantito da queste USL che avevano un sistema centrato sulle esigenze politiche del “territorio di azione” e adempievano alle proprie funzioni per mezzo di numerosi presidi (veterinari, ospedalieri etc…). Riforme della sanità dal 1978 a oggi Dopo la legge del ’78 (appena analizzata) troviamo nuove grandi riforme: - Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 che introduce l’Aziendalizzazione e il Sistema dell’accreditamento. - Decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 (anche conosciuto come “Riforma Bindi” o “Riforma-ter”) che va a prevedere i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) all’interno del sistema giuridico del SSN. - Riforma costituzionale del 2001 con la quale vengono affidate alle regioni le competenze legislative in materia sanitaria. - “Spending Review” iniziata nel 2011 in seguito alla crisi del 2008 con l’obiettivo di rivedere costi e procedure di finanziamento in ambito sanitario. - Decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (Decreto Balduzzi) che prevede una nuova articolazione territoriale (di scarsa rilevanza) del SSN (ha portato alla nascita delle “case della salute”) e una riforma, intesa come limitazione, della responsabilità sanitaria del medico e delle strutture. - Legge 22 dicembre 2017, n. 219 che introduce il nuovo sistema relativo al consenso informato e alle disposizioni anticipate di trattamento. - Decreto 23 maggio 2022, n. 77 (in seguito all’episodio del COVID-19) ha portato alla fondazione delle “Case Della Comunità” (evoluzione delle Case Della Salute), strutture multi- professionali che andranno a rappresentare uno spazio intermedio tra il medico di base e l’ospedale, andando ad ospitare medici specializzati in settori che riguardano una medicina di primo accesso (ma senza la componente di terapia, chirurgia etc..), ricoprendo sostanzialmente uno scopo deflativo per il pronto soccorso (dove andranno a recarsi invece i casi più gravi). Grazie ai fondi del PNRR verranno anche previsti nuovi servizi di telemedicina per garantire un’assistenza domiciliare al paziente. N.B. Ogni regione è a sé stante, gestisce in maniera diversa il sistema. Un tema è ad esempio quello della presa in carico del paziente: la presa in carico dei pazienti cronici è un qualcosa che è già stato attuato in Lombardia, mentre in altre regioni no (si vorrebbe passare dal “to cure” al “to care”). Perché dal 1978 in poi è stato necessario prevedere una riforma Nel ’78 la parola d’ordine era “Servizio Sanitario Universale”: c’era un’enorme liberà di accesso del paziente al SSN e il tutto era completamente gratuito, per questo motivo fu un sistema che durò solo un paio di anni. Agli inizi degli anni ’80 furono introdotti i primi tickets sanitari, ovvero un modo per richiedere ai cittadini una partecipazione al costo delle cure che venivano loro riservate. Altro problema riguardava la gestione politica comunale del sistema, che si basava sull’esigenza di dover tener fede alle promesse politiche fatte al proprio elettorato; era dunque un sistema basato sulla capacità del singolo politico di essere lungimirante e moderato nelle spese. Non poteva funzionare. Per tentare di ovviare a tali problematiche si è deciso di introdurre degli istituti e delle modalità di gestione più simili al mondo privato, alle realtà aziendali. Nel 1990 viene riformata l’amministrazione pubblica La legge che la riforma, dopo lo scandalo di Tangentopoli in cui è stata portata alla luce una profonda rete di favoreggiamenti politici derivanti da finanziamenti ai partiti, è la Legge 241 del 1990. In questa legge si afferma che debbano essere rispettati, dalle amministrazioni pubbliche, una serie di principi; questi, includono: Efficienza, Economomicità, Buon andamento, Trasparenza, Imparzialità e Pubblicità. Grazie all’introduzione di questi principi, ogni direttore amministrativo deve rispondere del proprio operato di fronte alla legge. Nel caso in cui non siano rispettati questi principi e la loro violazione sia alla base di un danno a un’amministrazione pubblica, il direttore sarà anche destituibile od oggetto di richiesta di risarcimento, anche da parte dello Stato stesso. In questa ottica, l’amministrazione viene vista come un palazzo di cristallo senza segreti e completamente trasparente in ogni sua parte; viene anche vista come un’azienda, non in quanto ente produttore di beni per un profitto, ma come ente vincolato a un’amministrazione di tipo aziendale. Secondo questa visione le USL diventeranno aziende e passeranno quindi alla definizione di “ASL” nel 1992. Questa visione più moderna richiede inevitabilmente un cambiamento di come l’ASL viene condotta, per garantire una più oculata e corretta gestione. La gestione delle ASL deve diventare sostenibile economicamente, anche per questo entra in vigore un’altra legge che si sostituisce alla 833 del ‘78 come nuovo punto di riferimento per il SSN La norma in questione è il Decreto legislativo 502 del 1992 Viene introdotto il concetto di “Programmazione” della pubblica amministrazione e quindi anche il SSN non può più essere gestito, nei limiti del prevedibile, in maniera provvisoria e su esigenze temporanee e contingenti. Art. 1 “Gli obiettivi fondamentali di prevenzione, cura e riabilitazione e le linee generali di indirizzo del Servizio sanitario nazionale nonché' i livelli di assistenza da assicurare in condizioni di uniformità' sul territorio nazionale sono stabiliti con il Piano sanitario nazionale, nel rispetto degli obiettivi della programmazione socio-economica nazionale e di tutela della salute individuati a livello internazionale ed in coerenza con l'entità del finanziamento assicurato al Servizio sanitario nazionale.” Anzitutto, si rende esplicita l’istituzione di un Piano sanitario nazionale il cui obiettivo non è soltanto quello di garantire un’uniformità delle cure su tutto il territorio nazionale, ma precisa che lo si debba fare in un’ottica economica, basando l’estensione dei propri servizi sull’entità del finanziamento ricevuto. Ancora oggi, il governo compila assieme alle regioni annualmente il Piano sanitario nazionale. La necessità dell’istituzione di un piano deriva proprio dai frequenti buchi di bilancio derivanti dalle politiche delle USL e che lo Stato era costretto a colmare. Il fatto che le USL fossero dirette dai sindaci e che non ci fosse una normativa che li obbligasse a rispettare delle condizioni, rendeva i direttori delle USL limitatamente perseguibili per gli errori nella gestione del bilancio. Restano esclusi i fondi e le spese non prevedibili perché necessari a far fronte alle emergenze su larga scala come: terremoti, alluvioni o epidemie. Il Piano sanitario nazionale si occupa anche di precisare quali siano i livelli uniformi di assistenza, ovvero quelli che diventeranno i Livelli Essenziali di Assistenza (abbreviati in LEA), da garantire con il budget fornito alle ASL. Art. 3 “L'unità sanitaria locale è azienda dotata di personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica, fermo restando il diritto-dovere degli organi rappresentativi di esprimere il bisogno socio-sanitario delle comunità locali.” L’ASL diventa uno strumento della Regione, uscendo quindi dalla direzione provinciale, e viene resa sostanzialmente autonoma rispetto alla Regione. Le ASL non hanno più un senso politico, ma sono degli enti tecnici autonomi; tuttavia, per mantenere il loro carattere di “Azienda Locale”, viene concesso il diritto e il dovere a Comuni, Provincie e Regioni, di esprimere la propria opinione sulle necessità delle comunità da loro rappresentate L’autonomia patrimoniale e della gestione dei fondi, permette l’istituzione dell’accreditamento, ovvero un contratto tra struttura pubblica e privata in cui la prima acquista delle prestazioni alla seconda, in modo che si possano raggiungere i LEA. Questo è un sistema che in forma simile esisteva anche prima, ma era poco trasparente e regolato, mentre ora è istituzionalizzato. “Sono organi dell'unità sanitaria locale il direttore generale ed il collegio dei revisori. Il direttore generale è coadiuvato dal direttore amministrativo, dal direttore sanitario e dal consiglio dei sanitari nonché' dal coordinatore dei servizi sociali, nel caso previsto dal comma 3 in conformità alla normativa regionale e con oneri a carico degli enti locali di cui allo stesso comma.” Il Direttore Generale è una figura tecnica, ovvero non politica, di nomina Regionale; la nomina deve essere fatta da un elenco di personalità competenti che è reso disponibile alla Regione. In questo modo si limita molto la possibilità di mettere come direttore di un’ASL una persona soltanto perché appartenente al proprio partito o perché amica/parente. Questa figura è la principale direzione e rappresentanza dell’Azienda Sanitaria Locale. “Tutti i poteri di gestione, nonché' la rappresentanza dell'unità sanitaria locale, sono riservati al direttore generale. Al direttore generale compete in particolare, anche attraverso l'istituzione dell'apposito servizio di controllo interno di cui all'art. 20 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni (b), verificare, mediante valutazioni comparative dei costi, dei rendimenti e dei risultati, la corretta ed economica gestione delle risorse attribuite ed introitate nonché' l'imparzialità ed il buon andamento dell'azione amministrativa” “Il direttore generale è nominato, previo specifico avviso da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, dalla regione, tra gli iscritti nell'apposito elenco nazionale istituito presso il Ministero della sanità di cui al comma 10.” Il Collegio dei revisori è l’organo che, assieme al direttore generale, gestisce e approva le azioni dell’ASL; funge quindi da garante per il raggiungimento dei LEA tramite l’utilizzo del Budget reso disponibile dallo stato. Loro sono nominati dal Direttore Generale ed eleggono un proprio presidente. ”Il collegio dei revisori vigila sull’osservanza delle leggi, verifica la regolare tenuta della contabilita’ e la corrispondenza del rendiconto generale alle risultanze delle scritture contabili. Esamina il bilancio di previsione e le relative variazioni ed assestamento. Il collegio accerta almeno ogni trimestre la consistenza di cassa e puo’ chiedere notizie al direttore generale sull’andamento dell’unita’ sanitaria locale. I revisori possono, in qualsiasi momento, procedere, anche individualmente, ad atti di ispezione e di controllo.” Il Direttore Sanitario invece è la persona di riferimento per gli organi e i professionisti sul territorio; è a questa figura che ci si riferisce per richiedere strumentazioni, avviare programmi di screening o cura e alla quale vengono fatte presente tutte le altre necessità e problemi. Sarà suo dovere quindi portare i bisogni delle comunità locali e dei loro professionisti sanitari al Direttore Generale “Il direttore sanitario e' un medico in possesso della idoneità nazionale di cui all'art. 17 che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di età e che abbia svolto per almeno cinque anni qualificata attività di direzione tecnico-sanitaria in enti o strutture sanitarie, pubbliche o private, di media o grande dimensione. Il direttore sanitario dirige i servizi sanitari ai fini organizzativi ed igienico-sanitari e fornisce parere obbligatorio al direttore generale sugli atti relativi alle materie di competenza” Il Direttore Amministrativo è chi si occupa dell’aspetto patrimoniale e di bilancio, ovvero le mere questioni amministrative, aiutando quindi il Direttore Generale. “Il direttore amministrativo e' un laureato in discipline giuridiche o economiche che non abbia compiuto il sessantacinquesimo anno di eta' e che abbia svolto per almeno cinque anni una qualificata attività di direzione tecnica o amministrativa in enti o strutture sanitarie pubbliche o private di media o grande dimensione. Il direttore amministrativo dirige i servizi amministrativi dell'unità sanitaria locale e fornisce parere obbligatorio al direttore generale sugli atti relativi alle materie di competenza.” Attualmente, siccome l’ASL diventa un ente dotato di personalità giuridica, è possibile che essa definisca un proprio statuto; ovvero, un atto di diritto privato in cui vengono messe per iscritto le intenzioni e le modalità di azione e gestione che l’azienda terrà nei confronti dei suoi obblighi come ente responsabile della sanità pubblica. Questo garantisce un’autonomia organizzativa ulteriore, che permette per esempio l’istituzione di ulteriori figure come il Direttore dei Servizi Socio-Sanitari In aggiunta al finanziamento garantito alle Aziende Sanitarie Locali dallo Stato, può essere presente anche un ulteriore finanziamento garantito dalla Regione di appartenenza dell’ASL. Questo ulteriore finanziamento, le cui modalità di applicazione e utilizzo sono identiche a quelle del PSN, serve per gestire le esigenze proprie delle singole regioni e attuare quindi una gestione efficiente della sanità territoriale. Per poterlo fare è necessaria l’analisi dei dati epidemiologici e sanitari dell’anno precedente, che costituiscono la “Spesa storica”; con questo valore le ASL sono in grado di produrre un preventivo e richiedere i fondi necessari all’attuazione del piano Igenico-sanitario da loro pensato. Argomento: Consenso informato Data: 09/11/2023 Sbobinatori: Rodolfo Rigosi, Riccardo Lauro Revisore: Pierpaolo Sergi Docente: Federico Laus I consulenti tecnici sono gli ausiliari dei giudici (a cui forniscono le indicazioni tecniche) ed è sulla base di queste che poi il giudice si pronuncia. Nella legge Gelli-Bianco viene dettagliato un concetto molto importante soprattutto per i medici legali: che l’autorità giudiziaria deve affidare l’espletamento della consulenza tecnica e della perizia a un medico (specializzato in medicina legale) e a uno o più specialisti nella disciplina specifica relativa all’ oggetto in procedimento. Quindi, mentre prima si chiamava spesso solamente un medico legale o un medico specializzato, dalla normativa del 2017 occorre chiamare entrambi i consulenti. Ciò risulta non solo opportuno per la correttezza del procedimento (perché un medico legale non conosce nel dettaglio le attività e le procedure chirurgiche e viceversa l’altro medico non conosce quale classe è intenta per colpe) ma anche interessante dal punto di vista professionale. Legge 219 del 2017 Il consenso informato è un modulo nel quale il medico responsabile del reparto in quel momento fornisce tutte le informazioni necessarie al paziente per formulare una scelta, ovvero rendere consapevole il paziente nel caso in cui debba scegliere se intraprendere una certa terapia/prestazione o meno. Tale consenso dunque attesta, in modo consapevole, sia con la firma del paziente sia con quella del medico; l’informazione del paziente. Già prima della norma del 2017 veniva chiesto il consenso al paziente ma non c’era alcuna legge che lo disciplinasse e di conseguenza era tutta una disciplina di derivazione giurisprudenziale. Si diceva che il consenso dovesse essere attuale e specifico ma la procedura non era disciplinata dalla legge. Esempio: Paziente che richiede trattamento a fasi: si ipotizzi che il trattamento venga avviato da un determinato soggetto e ad un certo punto il paziente diventa incapace di intendere (come può accadere in terapia oncologica). Come si procede? Il trattamento si continua oppure no? Questa procedura non era regolata. In passato non vi era la prova che il consenso fosse rimasto stabile. Altro esempio: Un paziente che deve interrompere il trattamento in caso di stato vegetativo? La giurisprudenza chiedeva una prova per testimoni: si chiedeva ad altre persone se potessero provare in modo certo che il paziente avesse esplicitato la volontà di sospendere la terapia se fosse successo qualcosa. Non c’ era dunque una procedura. Problema pratico: Per il medico il consenso informato è solamente una prassi formale che (se è possibile) cede volentieri a collaboratori, in quanto è stato stimato che, per un consenso informato effettuato correttamente, il tempo necessario sia di circa 30 minuti per paziente. Se quindi si considerano 6/7 pazienti, risulta che circa mezza giornata lavorativa è già stata utilizzata e inoltre la struttura non paga per il consenso informato. Quindi la tendenza era quella di sottostimare l’importanza del consenso informato e la legge del 2017 serve proprio a ridurre la sottostima del consenso informato e a individuare le procedure e i termini entro cui l consenso può essere prestato. L’ Articolo 32 della Costituzione prevede che nessuno possa essere obbligato a un trattamento, salvo che vi sia una legge che lo preveda. La conseguenza è che, per non essere obbligato, deve prestare il consenso. In questa legge si va oltre:” Si stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata”. Inoltre, si valorizza la prestazione di consenso informato come un documento di cura. Non è quindi un passaggio burocratico accessorio ma fa parte stabilmente della prestazione sanitaria (“viene valorizzata la relazione di cura e di fiducia tra paziente e medico che si basa sul consenso informato”). Perché si parla di relazione di cura e fiducia? Nel caso di un paziente preoccupato/spaventato/privo di istruzione che si trova davanti al medico, questo deve sentirsi considerato come una persona e non solo come un utente. Il consenso informato è un momento in cui il medico informa il paziente che recepisce, si rende conto del percorso e lo affronta con maggiore attenzione e tranquillità. Infatti, la maggiore critica rivolta dai pazienti in terapie d’ urgenza o in pronto soccorso è quella di non sapere esattamente cosa si faccia, quanto tempo dovrà rimanere lì e che nessuno comunica loro nulla. Queste sono le critiche perché qualunque persona di fronte alla medicina si sente indifeso (sia perché si trova mezzo nudo o in pigiama sia perché si sente in un luogo che non conosce) e il momento del consenso cerca di riavvicinare medico e paziente. Se il paziente non comprende bene in particolare i rischi e si verifica una complicanza, il paziente può chiedere un risarcimento in quanto inconsapevole, quindi il consenso informato è legalmente l’unico oggetto della dialettica tra le due parti. Interessante è anche come la norma specifichi che, nella relazione di cura, a patto che il paziente lo desideri, possono essere coinvolti anche familiari, conviventi e persone di fiducia (non ci si riferisce necessariamente il coniuge o i figli, il campo è molto più ampio). Questa risulta una novità, perché fino ad alcuni anni fa il “non parente” non poteva entrare e non poteva conoscere i dati all’ interno dell’ambulatorio. Qual è l’oggetto del consenso informato? Lo dice il Comma 3:” Ogni persona ha diritto a conoscere le proprie condizioni di salute, di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile riguardo a: diagnosi, prognosi, benefici e rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari. Inoltre, deve essere informato riguardo a: possibili alternative, conseguenze dell’eventuale rifiuto al trattamento e all’ accertamento diagnostico”. Curioso come sia ammessa la possibilità, nel caso di soggetti sensibili, di potersi rifiutare di essere informati lasciando la decisione ad un’ altro soggetto, ammesso che ciò sia specificato nella cartella clinica Comma 4 Fino a qualche anno fa non c’ era una legge che indicasse la necessità che il consenso informato fosse scritto. La norma oggi lascia poco spazio: il consenso informato deve essere documentato in forma scritta. Sebbene alcuni colleghi sostengano come anche una scritta parziale possa essere prova di un’informazione orale data precedentemente, questa non è assolutamente una prova certa. In alcuni casi non è strettamente necessario un consenso informato (es. esami del sangue o vaccini in cui viene rilasciata un’informativa) ma questa è una logica ormai superata per la complessità di molti interventi o trattamenti sanitari. Ciò che è fondamentale è che il consenso ci sia e possa essere documentato (il modo più semplice è con la forma scritta e deve essere chiara). Il docente racconta un caso vissuto in prima persona in cui è stato visto un documento presentante la firma del medico illeggibile, senza firma del paziente e i restanti fogli tutti rimasti in bianco: ne si evidenzia l’impersonalità e come questo possa essere fraintendibile oltre che mettere dubbi riguardo alla reale consapevolezza del paziente. Inoltre, si evidenzia come anche gli infermieri debbano controllare che le procedure avvengano correttamente per evitare di avere cartelle cliniche non chiare. Il consenso informato deve essere contenuto all’ interno della cartella clinica e a volte è possibile anche che questa, essendo cartacea, vada smarrita (e di conseguenza anche il consenso al suo interno). La direzione verso cui si andrà per risolvere tale problema è quella di rendere la cartella clinica non più cartacea, bensì digitale. Oggi però si cercano strategie alternative non valide, come per esempio presentare la fattura, che ovviamente non ha valore di documento sanitario ma soltanto di avvenuto pagamento, e che dunque non certifica l’avvenuta informazione del paziente. La cartella clinica risulta quindi fondamentale con il consenso al suo interno e questa deve essere caricata sul FSE (fascicolo sanitario elettronico). Se non questa non viene caricata sul FSE, responsabile è il capo dell’equipe medica che è vincolato da clausole per cui egli sia il responsabile nel caso di lacune documentali. Ma se tale figura non fosse presente? Non si potrebbe ricondurre la responsabilità unicamente a lui, come nemmeno unicamente ai collaboratori. Dunque, la digitalizzazione permette di evidenziare chi era presente in quel momento, chi era il soggetto davanti al quale il paziente ha esposto le sue perplessità e chi ha raccolto il consenso del paziente. L’ esigenza è dunque quella di rendere digitalizzate sempre più strutture ospedaliere, per quanto possibile economicamente (per alcune strutture private è possibile mentre per alcune strutture pubbliche no) e dove questo non è possibile è fondamentale che si possa individuare un soggetto responsabile che controllino le cartelle e le dispongano ordinatamente. L’ assenza del consenso o la carenza informativa contenuta nel consenso non sono motivo di risarcimento perché non rappresentano un danno effettivo in sè (magari il paziente avrebbe scelto comunque quel determinato trattamento perché vantaggioso e la prestazione medica si può comunque erogare) ma nasce un problema di tipo provatorio in cui bisogna provare delle cose molto difficili da provare con certezza. L’ idea del docente è quella di creare uno sbarramento informatico per cui non si può fissare una data dell’intervento senza aver prima consultato la cartella clinica comprensiva di consenso informatico. Il paziente, proprio come può prestare consenso, può anche decidere di non prestarlo e anche nel secondo caso il rifiuto deve essere documentato con le stesse forme riconducibili al Comma 4. Il paziente può rifiutare qualunque accertamento diagnostico proposto dal medico e deve essere documentato perché, nel caso di un paziente che ritorna con una situazione tragica dopo essersi precedentemente rifiutato, quel paziente può dichiarare di non essere stato visitato dal medico. Allo stesso modo, nel caso in cui il paziente cambi idea, è necessaria la documentazione della revoca del consenso precedentemente rilasciato, effettuabile fino all’ ultimo momento disponibile senza nemmeno un’indennità da pagare se in ambito pubblico (nel privato invece bisogna pagarla). Il momento del consenso deve essere però in linea con le condizioni e la capacità del paziente. Esempio del docente: Nel caso di parecchi giorni sotto Taligin (oppiaceo)post-intervento chirurgico, non si sarebbe in grado totalmente di dare il consenso in modo consapevole :” Il soggetto ha diritto di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato anche quando la revoca comporta un’interruzione del trattamento. Qualora il paziente esprima la denuncia o rifiuta dei trattamenti sanitari necessari alla propria sopravvivenza, il medico prospetta al paziente le conseguenze di tale decisione, le possibili alternative e promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo anche avvalendosi dei servizi di assistenza psicologica”. L’ accettazione, la revoca e il rifiuto sono annotati nella cartella clinica. La legge ricalca questo aspetto. Qual è il problema legato alla prestazione del consenso nel caso in cui il rifiuto possa danneggiare la sopravvivenza del paziente? Che si ha il timore che il paziente non abbia una condizione psicologica adatta per prestare il consenso; quindi, si promuovono le azioni di sostegno al paziente. Se poi il paziente si dimostra consapevole e certo della sua scelta non si può imporre alcuna soluzione. :” Il medico è tenuto a rispettare la volontà del paziente di rifiutare il trattamento e, come conseguenza di ciò, è esente dal punto di vista civile e penale”. Per questo, però, è necessaria la documentazione, perché, se è assente, non si può provare la rinuncia, e di conseguenza il medico è stato inegligente e inadempiente (quindi ha una responsabilità). Il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari alla norma di legge; infatti, il medico non ha nessun dovere di adempienza di fronte a tali richieste. Quindi è come se si fosse colpevoli fino a prova contraria? Colpevoli rispetto ai rischi e alle conseguenze sia in caso di trattamento non compiuto sia di trattamento non andato a buon fine. La parziale incompletezza del consenso è colpa lieve mentre l’assenza totale del consenso è colpa grave (si pala di colpa grave in caso di dolo) ma poi bisogna individuare di chi è effettivamente la colpa perché ci può essere un problema di rivalsa ed è la struttura che deve provare la propria adempienza. In caso di inadempienza bisogna provare che il paziente avrebbe comunque richiesto quel trattamento (può affermarlo il paziente stesso in caso fortunato). Il consenso scritto, dunque, se non servisse per fini provatori allora sarebbe sufficiente anche in forma orale. Si ha quindi un obbligo “ad substantia”, cioè in forma scritta capace di provare. Ci sono casi eccezionali in cui il consenso non è richiesto, come nei casi d’ urgenza, in cui non c’è il tempo e il modo di ottenere un consenso adeguato, anche a causa delle condizioni non idonee del paziente (“nelle situazioni di emergenza o d’ urgenza il medico e i componenti dell’equipe sanitaria assicurano le cure necessarie nel rispetto e nella volontà del paziente ove le sue condizioni cliniche e le circostanze consentano di recepirle”). Quindi se le circostanze non permettono al paziente di recepire, si agisce per ripristinare una situazione di normalità per poi magari chiedere il consenso al paziente per procedere. Questa problematica è tipica della traumatologia, un paziente, ad esempio, che è stato investito e ritrovato incosciente viene portato in ospedale, in questo caso non posso avere prima un consenso, per cui le linee guida indicano di portarlo ad una condizione stabile, per poter richiedere un consenso adeguato. Ci possono essere dei casi particolari come i testimoni di Geova, che spesso sono provvisti di un foglio con su scritto di non accettare trasfusioni di sangue: un foglio come questo, se firmato, costituisce un documento di cui il medico deve tener conto (per poter evitare equivocità di questo tipo, esiste la disposizione anticipata di trattamento, che viene trattata qui di seguente). Viene riportato da una studentessa il caso (realmente accaduto) di un uomo con un tatuaggio sul petto con su scritto “non rianimare”: un caso come questo è di certo molto particolare ed il prof sottolinea come non si possa prendere seriamente tutto ciò che è tatuato, inoltre per poter essere accettabile come espressione di consenso del paziente, in Italia, ci sarebbe dovuta essere la firma. Caso diverso è se un documento come questo venisse ritrovato in un minore, in tal caso non lo si prenderebbe in considerazione, perché non è considerata una persona legalmente capace di intendere. Articolo 4 Disposizione anticipata di trattamento (DAT): ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un'eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Indica altresì una persona di sua fiducia, di seguito denominata «fiduciario», che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie. Procedura non semplice che richiede comunque la presenza di un pubblico ufficiale: difficilmente possedere un semplice foglio non firmato o un tatuaggio può essere considerabile come un consenso attendibile, soprattutto se queste volontà vanno contro la salute del soggetto. Le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l'ufficio dello stato civile del comune di residenza del disponente medesimo, che provvede all'annotazione in apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie, qualora ricorrano i presupposti di cui al comma. La scrittura privata autenticata è un atto scritto o registrato da un pubblico ufficiale quale un notaio o un soggetto della pubblica amministrazione ritenuto idoneo a ricevere questo consenso o rifiuto. È importante perché indica una data certa, la certezza della persona, grazie alla perizia calligrafica (controlla l’autenticità della firma). Un foglio trovato in un portafogli, al contrario, potrebbe essere scritto da chiunque. Questa attenzione viene applicata per la tutela del paziente soprattutto in casi come una persona i cui parenti vogliono ereditare il suo patrimonio. Proprio per questo si evita il più possibile di lasciare il consenso nelle mani di altre persone vicine, che potrebbero avere secondi fini. Per quanto riguarda l'eutanasia, in Italia non è presente, perché la legalizzazione dell'eutanasia attiva potrebbe portare i soggetti deboli, come i pazienti con stati terminali, a preferire una soluzione definitiva piuttosto che faticare e cercare una terapia. Negli Stati, in cui si è legalizzata l'eutanasia, c'è stato un innalzamento dei casi di eutanasia attiva, perché la creazione di questo canale preferenziale porta le persone deboli ad accettare la soluzione definitiva (morte), piuttosto che la ricerca di una terapia. L'aiuto al suicidio non è punibile, se la prestazione del consenso al trattamento dell’eutanasia attiva non è stato determinante e quel consenso al trattamento è stato fornito con i metodi DAT. Non è mai punibile questa condotta, se la prestazione del consenso è avvenuta con metodi DAT: fra un pubblico ufficiale e un soggetto che garantisca la sua capacità di intendere, che abbia la lucidità e che abbia avuto un supporto psicologico (ci deve essere il percorso con un medico o più medici per comprendere questa situazione). CONSENSO INFORMATO NEL CASO DI UN PAZIENTE MINORE O INTERDETTO Il consenso informato viene espresso o rifiutato dall'esercente della responsabilità genitoriale nel caso del minore, o dal tutore nominato da un giudice, tenendo conto della volontà della persona minore, avendo come scopo la tutela della salute psicofisica del minore. Allo stesso modo il consenso informato della persona incapace (interdetta) è espresso o rifiutato dal tutore, avendo come scopo la tutela della salute psicofisica della persona interdetta stessa. L'interdizione è un provvedimento giudiziario che viene richiesto, quando un soggetto agisce contro il suo interesse. In una persona non interdetta, ma che ha bisogno dell'amministratore di sostegno, il consenso informato viene espresso o rifiutato anche dall'amministratore di sostegno, solamente nel caso in cui il provvedimento dell'amministratore di sostegno sia stato delegato da un giudice. Per esempio, l’amministratore di sostegno può essere delegato al pagamento delle tasse, non solo alle scelte riguardanti la salute fisica della persona interdetta. L'amministratore di sostegno interviene nelle decisioni riguardo le condizioni fisiche della persona interdetta, solo se il giudice lo nomina per l'assistenza in ambito sanitario. Nel caso in cui il rappresentante legale della persona interdetta, oppure l'amministratore di sostegno della persona interdetta, che ha prestato comunque le DAT in passato (quando non era interdetta) tutt’ora valide, non è necessario chiedere la valutazione del rappresentante legale o dell'amministratore di sostegno. Se la persona interdetta rifiutasse le cure, invece il medico ritiene che siano appropriate, è necessaria la decisione emessa dal giudice tutelare, che può essere invocata sia dal rappresentante legale, sia dal medico e dalla struttura sanitaria. Si cerca di risolvere il problema, anche nel caso sia presente un contrasto fra opinioni del medico ed il rappresentante legale, si chiede, dunque, al giudice tutelare che diventa il garante offerto dallo stato al paziente che dovrebbe esprimere la decisione rispetto ad una determinata scelta. PIANIFICAZIONE CONDIVISA DELL CURE Nel caso del paziente che presta il consenso ad un trattamento pianificato, cioè la cura non è fatta di un solo trattamento, bensì di più trattamenti, il consenso è per tutto il trattamento dall'inizio alla fine, o è solo per uno step? Nel momento in cui il trattamento può essere scelto in più fasi si dice che il paziente presta il consenso per il trattamento, ma verrà rivalutato il rapporto con il medico in un secondo momento. L’obiettivo della pianificazione condivisa delle cure è quello di garantire il medico, anche nel momento in cui il soggetto inizia a non trovarsi più nella condizione di esprimere il consenso. Nelle relazioni tra medico e pazienti, nell'evolversi di una situazione cronica di una malattia invalidante caratterizzata negli stadi di evoluzione da prognosi nefasta, può essere realizzata una pianificazione delle cure condivisa tra paziente medico, nella quale il medico e l'equipe sanitaria sono tenuti ad attenersi ai trattamenti, qualora il paziente si venga a trovarsi nella condizione in cui non si trovi ad esprimere lui il proprio consenso. Se si verificasse il caso in cui il paziente non riesca più a venire ad esprimere la capacità del proprio consenso, il medico, grazie alla pianificazione condivisa delle cure, va a considerare come vincolante il consenso che è stato dato dal paziente in un certo momento, quando era ancora capace di esprimere il proprio consenso. Nel caso in cui qualsiasi intervento preveda la complicanza imprevedibile, questa non potrà mai essere contenuta nella prestazione del consenso, perché non era prevedibile. Di fronte a questa complicanza imprevedibile il medico deve porre rimedio alle condizioni di imprevedibilità, in modo tale da instaurare delle condizioni tali che possano permettere al medico stesso di poter proseguire la prestazione che, invece, si trova nel consenso. Il medico per motivi deontologici deve intervenire per garantire la salute fisica del paziente, quindi, se si hanno delle complicazioni prevale la funzione del medico, ovvero garantire la salute fisica del paziente. È importante che il consenso informato sia molto specifico e che il medico sottolinei al paziente tutte le possibili complicanze di un intervento chirurgico. 05-10-2023 Diritto sanitario Docente: Federico Laus Argomento: la costituzione Sbobinatori: Nicol Pirini e Castoldi Giulia Revisore: Corinne Corrado LA COSTITUZIONE Nella gerarchia delle fonti la costituzione italiana occupa la posizione più alta, è infatti la fonte a cui ci ispiriamo per tutto. È entrata in vigore il 1° gennaio 1948 ed ha determinato uno sviluppo importante rispetto a quello che era l’ordinamento pre ‘48. Prima del ‘48 vi era una monarchia che originava da un’unificazione d’Italia che aveva lasciato diverse problematiche irrisolte; nel ‘48 si è poi arrivati alla repubblica con uno Stato non del tutto unito, in quanto le differenze tra nord e sud erano molto più accentuate di oggi, ed in più parliamo di un’Italia appena uscita dalle faticose guerre mondiali e dalle campagne per l’ampliamento dell’impero. La costituzione ha introdotto norme, principi, doveri ed ha regolato il nostro ordinamento. CARATTERISTICHE Si tratta di una costituzione: - Scritta: contrariamente, ad esempio, all’Inghilterra (che presenta un insieme di atti che forma il loro insieme di valori costituzionali) - Lunga: a differenza di quella statunitense che è molto corta e con pochi emendamenti cui si richiama per garantire la propria libertà. Negli USA è infatti molto importante la libertà dell’individuo, in particolare la libertà di potersi difendere (parliamo di un paese grande che usciva dalla sanguinosa guerra di secessione). - Votata: è una costituzione di derivazione popolare in quanto scritta dall’Assemblea costituente eletta da tutti cittadini. L’elezione dell’Assemblea Costituente è stata la prima elezione a suffragio universale in Italia, mentre le costituzioni precedenti dell’800 (dai moti del ’48 in poi) erano infatti state delle concessioni dei sovrani non votate. - Rigida: si può modificare ma con un procedimento molto complesso, non possiamo quindi definirla fissa, definitiva o immobile ma nemmeno flessibile. Un esempio di costituzione flessibile era lo Statuto Albertino concesso dal regno di Sardegna (che pur essendo uno statuto resse di più di quelle chiamate effettivamente “costituzioni”) e si trattava di un atto costitutivo flessibile e modificabile dal capo dello stato e dal parlamento a piacimento. È proprio questa flessibilità il motivo per cui non c’è stato alcuno ostacolo alla presa di potere da parte di Mussolini; la costituzione era infatti tanto flessibile che quest’ultimo non dovette fare una guerra civile per prendere il potere poiché lo statuto venne modificato facilmente (lo stesso lo fece Franco in Spagna che, intorno al ‘38-’39, instaurò poi una dittatura di regime fino al ‘76- ’77 con la guerra civile che vide i bianchi, repubblicani, contro i rossi, monarchici). L’Assemblea Costituente era fatta da persone di alto livello, tra cui ad esempio giuristi, ingegneri, filosofi e medici, uno di questi era Piero Calamandrei che disse che la costituzione non deve essere come il marmo, quindi difficile da manipolare e non scalfibile, e neppure come una canna mossa facilmente dal vento, ma come l’acciaio modellabile dalle mani di un abile fabbro. - Compromissoria: non proviene cioè da un solo partito politico, ma è il compromesso di tanti partiti, di tante anime diverse, tra cui democrazia cristiana, socialisti, comunisti, laico-marxisti e repubblicani. Queste anime diverse, una di centro-destra ed una di sinistra, hanno caratterizzato i lavori dell’Assemblea costituente con uno spirito molto costitutivo; nel dopoguerra era infatti il momento di superare le armi, i contrasti ed i conflitti sebbene ogni schieramento avesse la sua posizione precisa. Dopo un lavoro di un anno e mezzo si arrivò alla costituzione odierna, in parte modificata ma con una sua struttura sostanzialmente invariata. N.B. Un articolo è diviso in commi, ovvero in paragrafi (il termine “comma” si usa solo in Italia, a livello europeo si chiama semplicemente “paragrafo”). ARTICOLO 1 L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione. Primo comma: L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Repubblica, dal latino res publica, è la “cosa di tutti”, la “cosa del popolo”, che si contrappone alla monarchia che prevede invece lo Stato come una cosa del monarca (le monarchie si differenziano poi ulteriormente l’una dall’altra). La differenza tra repubblica e monarchia è proprio data dal fatto di chi detiene il potere di un certo paese. Democratica, dal greco demos che significa “popolo”, e “kratos” che significa “potere”, democrazia significa “potere del popolo”, i suoi opposti sono la tirannia (potere di una persona) e l’oligarchia (potere di pochi), è quindi il popolo che esercita il potere. Nella storia si sono susseguiti diversi tipi di democrazia, la prima è stata senza alcun dubbio quella greca, in particolar modo la democrazia ateniese nella quale il demos era costituito da circa 50 mila persone che riunendosi sul colle potevano votare e dire la loro. Nacque in questo contesto il concetto di demagogo, colui che dotato di grande ars oratoria guidava la gente a prendere la scelta per lui corretta e quindi al voto. La democrazia greca era una democrazia in cui tutti potevano esprimere la propria opinione e votare, con “tutti” intendiamo ovviamente tutti gli aventi diritto, ne erano infatti esclusi le donne, gli schiavi e gli stranieri. Con l’occhio moderno notiamo quindi che si trattava di fatto di una democrazia limitata a pochi uomini, e quindi forse più vicina ad un’oligarchia la cui caratteristica particolare era il fatto che chiunque votasse veniva pagato con una sorta di indennità giornaliera. Questo tipo di democrazia era una democrazia diretta (es. ateniese) in quanto il popolo sceglieva in merito alla circostanza in questione, oggi abbiamo invece una democrazia rappresentativa nella quale il popolo esercita il suo potere mediante dei rappresentanti. È un sistema che chiaramente non è perfetto, ma necessario poiché risulterebbe impossibile chiedere a 60 milioni di abitanti di votare per ogni questione; tra l’altro già i greci e i romani si resero conto che affidare una scelta a persone che non la fanno in modo ragionato sarebbe inutile, quindi diviene più conveniente incaricare dei rappresentanti con un rapporto vincolato di fiducia. Secondo comma: La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della costituzione. La sovranità appartiene al popolo che però non la esercita in modo diretto ma con i modi previsti dalla costituzione ovvero con le elezioni (primo modo con cui il popolo esercita la propria sovranità). Un esempio pratico di democrazia diretta è invece il referendum in cui vi è il concetto secondo cui 1 vale 1, ovvero in cui tutti i voti hanno il medesimo valore. Nel tempo in tanti hanno ritenuto che fosse non opportuno il suffragio universale poiché implica diritto al voto anche a persone non competenti sulla materia in questione (es. in un referendum sanitario secondo questo ragionamento il fatto che il voto di un medico valga come il voto di un altro non sarebbe utile). Ci si chiese quindi se non fosse meglio una formazione per chi vuole diventare parlamentare, ma ciò non è possibile poiché implicherebbe la limitazione dell’elettorato passivo (capacità di un cittadino italiano, avente pieni diritti, a ricoprire cariche elettive), non tutti potrebbero diventare rappresentanti e di conseguenza si limiterebbe l’elettorato attivo (capacità giuridica e legittimazione ad esprimersi tramite il proprio voto) poiché molti cittadini non sarebbero rappresentati. Dato che non si può limitare la possibilità di avere un rappresentante del proprio livello culturale (non si può chiedere a qualcuno di andare a combattere e pagare le tasse senza dargli il diritto di voto), fu istituito il suffragio universale in cui il diritto di voto è esteso a tutti i cittadini ed è limitato solo dalla cittadinanza anche se, in alcuni casi, per le politiche locali anche i non cittadini italiani hanno diritto di voto. Si dice che il diritto di voto sia fondato sul lavoro nel senso che è fondato sull’attività collaborativa dei cittadini, in questo modo si conferisce una certa importanza alla cooperazione dei consociati. Probabilmente è stata di fatto una ragione di compromesso poiché da un lato i filosovietici volevano una repubblica fondata sul movimento dei lavoratori simile all’URSS, dall’altro vi era chi chiedeva che fosse fondata sull’attività produttiva. L’articolo 1 introduce quindi alla costituzione e ai suoi principi. ARTICOLO 2 ‘La repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.’ Primo comma: la repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Il rapporto Stato e cittadino è caratterizzato da diritti e doveri, il cittadino ha diritti e adempie a determinati doveri. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti facendo si che siano effettivi (diritto alla vita, salute, istruzione, lavoro, sindacali, riservatezza…), questi ultimi sono sempre in crescendo poiché sono in continua estensione. In questo senso parlando di diritti possiamo definire il nostro stato uno Stato attivo, o addirittura proattivo, poiché chiede qualcosa allo stato, al contrario, definiamo gli USA come Stato passivo poiché incentrato sulle libertà intese nel senso di evitare che qualcuno ci dia fastidio provocandoci danno. Secondo comma: richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. La Repubblica (termine che contiene al suo interno stato, regioni e comuni, ricordiamo che lo stato è un livello di governo, NON è il tutto, il tutto è la repubblica) può richiedere legittimamente l’adempimento di doveri, in primis la solidarietà economica attraverso, ad esempio, il pagamento di imposte sulla base del reddito, ciò significa che le imposte crescono in proporzione al reddito a prescindere dall’utilizzo di determinati servizi. È per la solidarietà economica che riguarda cittadini e regioni che non possiamo non pagare le imposte altrimenti compiremmo un illecito amministrativo penale. La solidarietà economica riguarda i cittadini ma anche le regioni, ci sono infatti regioni che pagano più di altre (solidarietà economica in territorio nazionale). Si parla anche di solidarietà politica e sociale (es. il voto è dovere sociale e politico). Prima e dopo le elezioni sentiamo spesso dire che votare è diritto e dovere civico, ciò significa che il cittadino ha il dovere di partecipare alla vita politica della città, non è un obbligo ma un dovere. Curiosità: nell’antica Grecia quando non c’era il legale numero minimo di votanti si cercavano di coinvolgere i votanti stessi circondandoli con un nastro colorato che macchiava i vestiti di chi cercava di scappare in modo da riconoscerlo e multarlo. ARTICOLO 3 ‘Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale.’ Contiene il principio di uguaglianza formale (primo e secondo comma) e sostanziale (terzo comma). Primo comma: tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge. Nei tribunali è presente l’iscrizione “la legge è uguale per tutti” da quando sono stati rimossi i benefici dati al clero che in passato poteva avere giustizia autonoma. Da quel momento il clero può essere giudicato dal tribunale ordinario e il re di allora che firmò per tale cambiamento venne minacciato di scomunica. Secondo comma: senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. Non possono avvenire discriminazioni basate sulle ragioni illecite elencate nell’articolo. Due situazioni uguali non possono essere trattate in modo diverso, ma due situazioni diverse possono essere trattate in modo differente. Possono esserci discriminazioni basate invece su motivazioni lecite. Un esempio di quest’ultimo punto è il fatto che in Italia per garantire una parità di genere ci sono imposizioni come quella di ripartire le cariche in egual misura tra uomini e donne per ridurre una discriminazione. Un altro esempio di motivazione lecita è il fatto che la concessione di determinate agevolazioni siano date solo a persone sotto una certa soglia di reddito perché gli altri hanno maggiori possibilità di farcela sotto il sussidio statale. Esempi di scelte che prevedono una discriminazione basata su motivi illeciti che non possono essere considerate in modo legittimo: è ammissibile che un’ex casa popolare possa essere data solo ad italiani nati da altri italiani e non a stranieri stabilizzati in Italia? No, sarebbe una discriminazione senza logica, viceversa, non si potrebbe dare prevalenza agli stranieri. Non è possibile prevedere discriminazione per ragioni di altro genere. Terzo comma: È compito della repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale. Il nostro sistema è welfare state, Stato del benessere, in alcuni casi è tradotto stato sociale ma in realtà è meglio definito come Stato social liberale. In uno Stato come quello del welfare si interviene affinché tutti abbiano gli stessi diritti e ricevano le stesse prestazioni (in modo da avere le stesse possibilità). Es. la frequentazione dell’università prevede molti aiuti e borse di studio affinché le eccellenze meritevoli possano acquisire e raggiungere i risultati più alti della formazione anche senza risorse. Un altro esempio è il diritto alla salute, il vero diritto che abbiamo in Italia, senza questo gli altri non servono a molto poichè le altre libertà diventerebbero secondarie. Il nostro sistema prevede il diritto alle prestazioni sanitarie a tutti a prescindere al reddito, meno abbiente è un cittadino più avrà diritto ad agevolazioni sanitarie. ARTICOLO 13 ‘La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma di alcuna detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro 48h all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive 48h, si intendono revocati ed essere privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva.’ L’articolo 13 si sofferma sulla libertà personale. La libertà personale è inviolabile e questo concetto si estende in tutto il resto della Costituzione italiana. Nello specifico in ambito sanitario impedisce che la ‘scusa’ della condizione sanitaria di una persona possa andare contro la persona stessa. Esempio: prima di questo articolo molto spesso se si fossero voluti togliere dei rappresentanti politici dalla scena politica si sarebbe chiesto a dei medici di giudicarli ‘incapaci di intendere e di volere’ per poi portarli all’interno di manicomi. Inoltre, tutela anche la riservatezza. Esempio: la cartella clinica di un paziente è riservata al paziente stesso e non può essere letta da qualunque altra persona che non sia il suo medico curante. ARTICOLO 32 ‘La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.’ L’articolo 32 si sofferma sulla tutela della salute ed afferma come il diritto della salute sia l’unico diritto considerato fondamentale per l’individuo. La salute di un individuo è nell’interesse della comunità stessa poiché la salute di una persona tutela anche la salute di un’altra. Secondo questo articolo la Repubblica garantisce cure gratuite agli indigenti, ovvero coloro che non sono in grado di poter pagare le cure, ma ad oggi è legittimo che la Repubblica chieda anche una richiesta di partecipazione della spesa sanitaria alle persone. Questo perché l’idea iniziale era poter offrire un servizio completamente gratuito a tutti poi, però, si è visto come non avrebbe potuto essere sostenibile a lungo andare e si è deciso quindi di mantenere gratuiti solo alcuni servizi come interventi chirurgici o cure per parto. Inoltre, l’articolo 32 dice come un trattamento sanitario obbligatorio (TSO) può essere imposto ma solo se previsto dalla legge. Esempio: vaccinazione obbligatoria diventa legittima solo nel momento in cui viene prevista dalla legge e non dal comune in cui una persona abita. Ad ogni modo a prescindere dal trattamento sanitario obbligatorio o meno, bisogna stare attenti a tutelare sempre l’aspetto umano in un paziente per autotutelarsi anche come medici. Esempio: nel mondo dell’ostetricia sta sempre più prendendo piede il tema della violenza che una donna sente di aver subito durante il momento del parto oppure nel momento in cui una procedura medica non viene eseguita in modo corretto e il personale medico non dà troppa importanza alla comunicazione con i pazienti; molto spesso poi i medici finiscono in guai giuridici perché il paziente non si sente trattato come una persona. È da tenere a mente che la tutela della salute viene introdotto nell’articolo 32 ma il suo significato cambia nel tempo. Fino al 1978 l’articolo 32 aveva un carattere pragmatico; la Repubblica si impegnava a tutelare la salute dei propri cittadini e a risarcirli in caso di lesioni. Dove per tutela dei propri cittadini si intende che veniva impedito che un cittadino potesse recare del male ad un altro cittadino o all’ambiente e quindi avere poi indirettamente delle conseguenze sul cittadino stesso. In questo periodo esistevano le casse mutue e il sistema sanitario era retto dall’articolo 38, che tutelava i diritti dei lavoratori in caso di malattia. Sostanzialmente funzionava che la prestazione sanitaria veniva erogata da ospedali privati o pubblici-comunali, ma i costi delle prestazioni sanitarie stesse venivano pagate o di tasca propria dai lavoratori o dalle casse mutue che, a loro volta, ricevevano i contributi dal datore di lavoro che ‘toglieva’ una parte di stipendio al lavoratore per tutelarne la salute. Il punto è che i contributi erano le prime cose che il datore di lavoro smetteva di pagare alle casse mutue nel momento in cui l’attività non andava più bene. Se i contributi non venivano pagati allora le casse mutue non ricevendo più soldi non riuscivano a svolgere la loro funzione mandando anche in crisi economica lo Stato stesso. In questi stessi anni si verificò anche il ‘Disastro di Seveso’; in questo territorio molti cittadini si ammalarono in breve tempo di patologie più o meno gravi e lo Stato fu accusato di non aver tutelato a dover i propri cittadini. Da qui nacque l’idea di ideare tutta una serie di controlli ambientali per tutelare la salute degli italiani. Esempio: nascita dei vari dipartimenti della prevenzione con lo scopo di rilevare in anticipo situazioni che potenzialmente possono essere rischiose per la salute dei cittadini. Sia per l’inefficacia delle casse mutue sia per il disastro di Seveso dal 1978 in poi venne instituito il Servizio Sanitario Nazionale e l’articolo 32 assunse un carattere pretensivo; diritto di salute nell’ottica di diritto a pretendere la prestazione sanitaria. Argomento: responsabilità sanitaria Data: 07/11/2023 Sbobinatori: Giulia Buscaglia, Anna Anastasio Revisore: Camilla Vicentini Docente: Federico Laus Riassunto della lezione precedente Il medico ha delle responsabilità che hanno diverse origini: Responsabilità deontologica, che trae origine dal codice deontologico, ovvero dall’ordine de medici Responsabilità dal contratto di lavoro Responsabilità dal contratto con il paziente Responsabilità dal contratto con con la struttura sanitaria per la collaborazione Quindi ci sono una serie di adempimenti, di obblighi contrattuali, che i medici sono tenuti a rispettare (ad es: l’orario di lavoro). Inoltre, è da considerare l’area della responsabilità sanitaria, la quale trae origine dalla normativa generale, in particolare dal Codice civile, dal codice penale e dalle leggi 24 del 2017 (legge Gelli-Bianco) e la legge 219 del 2017 (legge del consenso informato). Inizialmente la responsabilità sanitaria è stata disciplinata dalla giurisprudenza e nella sua storia la responsabilità sanitaria ha trovato posto nella responsabilità contrattuale o extracontrattuale. Inizialmente era considerata la responsabilità extracontrattuale, perché non era individuato con certezza un contratto tra medico e paziente. Ciò significa che non c’era un atto scritto che potesse configurarsi come un contratto secondo la giurisprudenza (es: la responsabilità del medico che sbagliava ad incidere un paziente era la stessa di un molestatore che accoltella la gente per strada). La conseguenza di ciò era che la prescrizione (termine entro cui un’azione deve essere fatta valere) era di 5 anni. Quindi il paziente per far valere la responsabilità del medico aveva 5 anni di tempo. Altra conseguenza era che l’onore della prova era tutta in capo al paziente. Per onere della prova si intende un principio logico-argomentativo in base al quale chi vuole dimostrare l’esistenza di un fatto ha l’obbligo di fornire le prove per l’esistenza del fatto stesso. Il paziente, quindi, deve provare il danno, il nesso causale (rapporto tra danno e condotta del medico) e l’ingiustizia della condotta del medico. Successivamente, si è arrivati a una responsabilità contrattuale perché ha iniziato ad avere importanza il rapporto medico-paziente. Le conseguenze sono: la prescrizione che diventa di 10 anni e il paziente che ha un onere della prova che riguarda l’esistenza di un danno e il nesso causale, ma è il medico che deve provare di aver fatto tutto bene (quindi l’onore si inverte perché non è più il paziente a dover dimostrare la colpevolezza del medico, ma è il medico stesso che deve dimostrare di aver fatto tutto correttamente). Questa evoluzione della giurisprudenza ha prodotto un danno alla categoria sanitaria, perché nasce la corsa ad avviare azioni legali contro i medici per ottenere un risarcimento. Questo perché la prova che doveva dare il medico era molto complessa e ciò comportava una sovraesposizione di questo ai rischi sanitari. Il medico reagisce con un atteggiamento difensivo perdendo di vista il suo compito di cura del paziente e ordinando trattamenti e analisi inutili, costosi e stressanti che avevano l’unico scopo di predisporre documentazione utile a difendersi. Si parla perciò di medicina difensiva. Nel 2010 il Ministro della Salute aveva stimato che circa il 40% del budget per la sanità andava in medicina difensiva. Successivamente sono nate alcune riforme che vanno a sostenere i diritti del medico come quella del 2012, quando è intervenuto il decreto Balduzzi: si crea un sistema per cui il medico che osserva le linee guida non è responsabile. L’impostazione del decreto viene confermata e migliorata con la legge Gelli-Bianco. Quest’ultima rafforza l’importanza delle linee guida sia ai fini della responsabilità civile che di quella penale. Quindi questa legge attribuisce un’importanza fondamentale all’osservanza delle linee guida, le quali rappresentano il criterio per giudicare responsabile un medico sia dal punto di vista civile che penale. Inoltre, crea un doppio canale di responsabilità in quanto riconosce che la responsabilità della struttura sanitaria è contrattuale, mentre quella del medico è extracontrattuale. Quindi, se un paziente vuole agire nei confronti del medico, lo deve fare entro 5 anni, mentre se vuole agire nei confronti della struttura lo può fare entro 10 anni. Se lo fa contro il medico deve provare che questo ha sbagliato e dire qual è stato l’errore che egli ha commesso, mente se giace contro la struttura sanitaria può semplicemente dire che questa gli ha recato un danno. Sarà poi la struttura sanitaria responsabile a rendere conto al civile. Legge 24 del 2017 La legge Gelli-Bianco serve per riformare e sistemare la disciplina della responsabilità sanitaria e serve anche a tutale il medico dall’assumere una condotta difensiva. Quindi questa serve a ripristinare un rapporto di fiducia e collaborazione tra medico e paziente. Questa legge è servita anche a diminuire i costi della sanità, in quanto è andata a ridurre lo sperpero nato con la medicina difensiva. Articolo 1 La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed e perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività. La sicurezza delle cure si realizza anche mediante l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative. Alle attività di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, è tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti che vi operano in regime di convenzione con il Servizio sanitario nazionale. L’articolo 1 spiega il motivo per cui la legge è stata introdotta. Parla della sicurezza delle cure. La responsabilità sanitaria è la conseguenza di un’errata gestione delle prestazioni. La legge cerca di stimolare la sicurezza delle cure, che si ottiene con la prevenzione, la gestione del rischio, con un utilizzo appropriato delle risorse e con la collaborazione di tutti i soggetti che partecipano al servizio sanitario. (Esempio di prevenzione: protocollo di disinfezione della sala operatoria, delle ferite, dei macchinari o delle protesi). Attualmente la giurisprudenza della Corte di Cassazione riconosce un ruolo fondamentale nel seguire i protocolli quando c’è un giudizio relativo a un danno cagionato da un’infezione nosocomiale. Quindi l’esistenza di protocolli di prevenzione è fondamentale, come anche quelli relativi alla gestione del rischio. La gestione del rischio comprende tutte quelle attività di monitoraggio e di analisi delle problematiche che si sviluppano in una struttura sanitaria: ad esempio quando si deve intubare. Lo strumento che viene utilizzato deve passare per la bocca e c’è il rischio di abrasione di un dente soprattutto durante l’estrazione. In questo caso, un buon protocollo suggerisce di fare una lastra per dimostrare lo stato precedente della dentatura, così che, se il paziente dovesse fare causa al medico per danno al dente, questo attraverso la lastra potrà dimostrare che la condizione di danno era già presente prima dell’intubazione. Spiegazione del prof in seguito a una domanda relativa a questa legge: parla di responsabilità solidale. Per responsabilità solidale si intende quando viene fatta causa al medico che lavora in una determinata struttura e quando il paziente può richiedere il risarcimento sia alla struttura che al medico, ma per il nuovo sistema di responsabilità sanitaria, per il paziente è molto più conveniente richiedere direttamente il risarcimento alla struttura. Il secondo punto dell’articolo 1 parla dell’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative. Con questo si intende che alcune strutture sanitarie si possono permettere l’assunzione di un infermiere di sala, che si occupi esclusivamente di verificare l’attuazione della pratica di disinfezione delle mani dei medici. Questo è molto utile perché diminuisce drasticamente i casi di infezione. Altro ruolo può essere rappresentato dalla conta delle garze. Inoltre, è stato creato un sistema di osservazione nazionale delle buone pratiche che serve a riunire tutti i dati, le informazioni rispetto alla casistica e alla buone pratiche che possono aiutare alla riduzione dei rischi. Attualmente dentro alle strutture sanitarie deve essere presente un comitato di organizzazione di sinistri, ovvero un comitato di medici legali, avvocati i quali si occupano di verificare e controllare la casistica e i sinistri che si verificano, mappare la condotta dei medici e la performance della struttura sanitaria. Articolo 5 Gli esercenti le riflessioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del ministro della salute, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali. Questo articolo impone agli esercenti e alle professioni sanitarie di attenersi, nelle attività preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative ecc. salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida. Le linee guida sono delle procedure standardizzate che provengono dalla letteratura e in particolare dall’adozione da parte delle associazioni della categoria sanitaria riconosciute a livello nazionale e internazionale. Si tratta di protocolli che riguardano tutti i passaggi di un intervento, altresì prestazione sanitaria, procedura standardizzata che proviene dalla letteratura. Quindi le linee guida sono create dalle associazioni, da società o da istituti pubblici (istituto superiore di sanità o OMS). Ad esempio, per l’ortopedia, l’associazione degli ortopedici statunitensi è considerata molto importante. Quindi una linea guida prevista dall’associazione statunitense degli ortopedici diventa prioritaria. Il nostro sistema richiede che queste associazioni che curano le linee guida siano distinte in un elenco. Siccome però, l’iscrizione dell’elenco è ad opera dell’associazione, questa parte dell’articolo non è molto seguita perché bisognerebbe chiedere a tutte le associazioni straniere di iscriversi nell’elenco italiano. Non essendo semplice, questo aspetto viene superato con il riconoscimento della rilevanza internazionale della società scientifica. Quando non esistono le linee guida si fa riferimento alle buone pratiche cliniche assistenziali, cioè le buone pratiche provenienti dall’esperienza che gli operatori hanno acquisito. La rilevanza delle linee guida diventa evidente quando si parla dell’articolo 590-sexies, introdotto nel Codice Penale per chiarire la responsabilità del medico sotto il profilo penale in caso di lesione, o morte, occorsa durante una prestazione sanitaria. Esempio: se un medico dovesse decidere di accoltellare qualcuno per strada recidendo un’arteria, il suo livello di responsabilità risulterebbe maggiore, in quanto ci si aspetta che sapesse esattamente quale struttura anatomica avrebbe colpito rispetto a qualcuno che non ha competenze in ambito medico-sanitario. Allo stesso modo, se un notaio/elettricista ecc … dovesse sparare ad un ladro che ha fatto irruzione in casa e dovesse colpirlo nel posto sbagliato, o se invece fosse un poliziotto a premere il grilletto, la situazione cambierebbe. In definitiva cambia la pretesa in base alla competenza. Domanda studente: è un’aggravante se è un medico ad accoltellare? Risposta docente: Non proprio, tuttavia si può dire che il medico NON può dire che non si aspettasse un determinato risultato, avendo determinate conoscenze anatomiche: è un livello di colpa differente. Si tratta di una via di mezzo tra colposo e doloso, la quale prende il nome di dolo eventuale. Questo consiste in una particolare forma di dolo caratterizzata dall’incertezza di chi agisce, il quale NON è propriamente intenzionato a commettere un reato ma, allo stesso tempo, accetta che dalla propria condotta se ne possa verificare uno. È un ibrido ideato dalla Giurisprudenza sinonimo di “non volevo ma l’ho fatto lo stesso”. Tornando al 590-sexies, se i fatti sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria si applicano le pene previste dalla seconda comma, qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia. N.B. Si parla imperizia, imprudenza e negligenza. Imprudenza: si prenda come esempio un medico avente una formazione specialistica in una certa area, ad esempio ortopedica, il quale dunque non ha mai effettuato una sostituzione di valvola cardiaca. Tuttavia gli viene richiesto e questo accetta di farlo, pur senza avere la competenza, e il risultato non è positivo. Il suddetto medico è stato imprudente. Negligenza: il medico ha le competenze per effettuare una determinata prestazione ma omette una certa condotta; ne è un esempio l’anestesista che sa di dover investigare allergie del paziente prima di individuare il cocktail di farmaci e NON lo fa. Imperizia: errore di tecnica; il medico ha le competenze, è in grado di effettuare una determinata procedura, tuttavia la prestazione NON viene completata nel modo atteso. Il Codice Penale prevede che in un evento causato da imperizia la punibilità è esclusa, quindi NON c’è responsabilità penale, quando sono state rispettate le raccomandazioni fornite dalle linee guida oppure dalle buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che queste risultassero adeguate alla specificità del caso concreto preso in esame. La conseguenza è che dal punto di vista penale il medico non è quasi più implicato; ergo, le cause penali contro i medici si limitano solo ai casi gravissimi (errore non scusabile o dolo). Definiamo la colpa come una condotta negligente, imperita o impotente in assenza di una volontà di ottenere quel risultato: il punto chiave è dunque è la mancanza di intenzionalità nell’ottenere un certo evento. Il dolo implica invece intenzionalità: compio quell’atto perchè voglio quel risultato. Esiste inoltre la preterintenzionalità. Un esempio è il cosiddetto omicidio preterintenzionale, nel quale l’assassino NON voleva ottenere quell’esito, tuttavia il suo comportamento ha condotto alla morte della vittima. Ad esempio, pianifico di dare un pugno a qualcuno esclusivamente per fargli male, senza volerne provocare il decesso, ma quando questo viene colpito cade all’indietro, sbatte la testa e muore. In definitiva, l’esistenza delle linee guida elimina le responsabilità penale del medico qualora egli le segua. Articolo 7 della legge 24/2017 Questo articolo definisce la responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria. Le linee guida sono rilevanti nel permettere al giudice di ritenere responsabile o meno la struttura e il medico per un certo danno. Al di là del ruolo delle linee guida, come già accennato, il ruolo della legge 24/2017 è stato infatti quello di creare una sorta di doppio binario per cui la responsabilità sanitaria non è sempre contrattuale, ma talvolta anche extracontrattuale. 1. La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose. Quindi anche nel caso di un medico con partita IVA è la struttura sanitaria a rispondere delle condotte, sia colpose che dolose. La struttura sanitaria risponde infatti sia dei dipendenti che degli eventuali collaboratori che hanno svolto una prestazione nella suddetta struttura. 3. L'esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell'articolo 2043 del codice civile, salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente. Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell'esercente la professione sanitaria ai sensi dell'articolo 5 della presente legge e dell'articolo 590-sexies del codice penale, introdotto dall'articolo 6 della presente legge. Altresì in libera professione, magari un medico con il proprio studio e la propria equipe che prende in affitto sala operatoria, allora risponde per responsabilità contrattuale. Se un medico lavora in libera professione è lui stesso a decidere di assumersi il rischio di fare una determinata diagnosi o effettuare una prestazione, e allo stesso modo è lui a decidere se la somma richiesta è adeguata al rischio corso. In una struttura in cui si è dipendenti è invece la struttura sanitaria ad assumersi il rischio; di fatto è possibile che non sia neppure stato il medico che effettua una prestazione ad aver spiegato al paziente rischi e benefici di quest’ultima, poiché in quel momento magari non era di turno. Per questo motivo non è il medico a dover rispondere. Esempi classici sono l’odontoiatra, in libera professione, che si assume il rischio del proprio intervento nel proprio studio dentistico, ma anche l’ortopedico che effettua la diagnosi nel proprio ambulatorio, oppure il dermatologo che si trova a dover riconoscere se si tratta di un semplice inestetismo della cute oppure di tumore. Sono loro quindi a scegliere se il compenso è adeguato al rischio e ad assumersi la responsabilità in caso di danno. È per questo che esiste questo “binario” che prevede una responsabilità contrattuale per le strutture sanitarie oppure per il medico che lavora con un rapporto contrattuale con un paziente. In tutti I casi in cui il medico è invece un dipendente o collaboratore della struttura sanitaria, allora questo risponde come responsabilità extracontrattuale. Ad oggi, nella realtà dei fatti, le cause che coinvolgono i medici sono pochissime perché il paziente non ha particolare interesse ad agire contro il medico: gli conviene agire direttamente contro la struttura. Il giudice, nella determinazione del risarcimento del danno, quindi per decidere se c’è un danno da risarcire e l’eventuale valore, tiene conto dell’esercente la professione sanitaria ai sensi dell’articolo 5 (buone pratiche clinico-assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida), quindi della condotta. Esiste, inoltre, un tentativo obbligatorio di conciliazione tra le parti. Articolo 9 della legge 24/2017 L’articolo 9 riguarda l’azione di rivalsa (restituzione dell’importo) o di responsabilità amministrativa. L'azione di rivalsa nei confronti dell'esercente la professione sanitaria può essere esercitata solo in caso di dolo o colpa grave. 2. Se l'esercente la professione sanitaria non è stato parte del giudizio o della procedura stragiudiziale di risarcimento del danno, l'azione di rivalsa nei suoi confronti puo' essere esercitata soltanto successivamente al risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale o stragiudiziale ed è esercitata, a pena di decadenza, entro un anno dall'avvenuto pagamento. Peraltro, se il medico non ha avuto la possibilità di difendersi in giudizio NON si può avere l’azione di rivalsa. Ergo, se questo non è stato chiamato in causa dal paziente è la struttura sanitaria a doverlo coinvolgere per consentigli di difendersi a giudizio. N.B. Quando si tratta di un dipendente le strutture sanitarie, salvo casi eclatanti, tendono a NON coinvolgere il medico. In caso invece di collaborazione professionale diventa oggetto di azione di rivalsa, poiché tendenzialmente il compenso in ballo è significativamente più alto. Ad ogni modo, la rivalsa avviene entro un certo limite dello stipendio, al di là della copertura dell’assicurazione. Articolo 13 della legge 24/2017 L’articolo 13 prevede l’obbligo di comunicazione all'esercente la professione sanitaria del giudizio basato sulla sua responsabilità. NON si tratta di un addebito, di una contestazione disciplinare o di una presa di posizione contro il medico; anzi, normalmente si chiede una certa collaborazione per vincere a giudizio. È una comunicazione obbligatoria dell’esistenza di un giudizio che il medico deve ricevere quando vi si trova coinvolto. Argomento: Costituzione italiana, Fonti Europee, Fonti Primarie Data: 10/10/2023 Sbobinatore: Alili Hadisa, Giorgetti Zoe Revisore: Joy Fructuoso Docente: Federico Laus COSTITUZIONE ITALIANA La costituzione italiana può essere modificata? Si, tranne per quanto riguarda la forma repubblicana dello stato. L’ultimo referendum costituzionale è avvenuto nel 2020. La costituzione vede come limite alla sua revisione la forma repubblicana. E oltre a questo limite esplicito, non possono essere oggetto di modifica costituzionale i principi fondamentali della costituzione, come ad esempio il principio di uguaglianza. Il procedimento di revisione costituzionale è chiamato “aggravato”, perché entrambe le camere devono approvare la revisione costituzionale due volte, ad una distanza da una votazione all’altra di almeno 3 mesi. Inoltre, oltre a questo primo aggravio, è necessario che nella seconda votazione si raggiunga almeno la maggioranza assoluta, ovvero il 50%+1 degli aventi diritto di voto. La maggioranza assoluta si distingue dalla maggioranza semplice, ovvero 50%+1 dei votanti. Se si raggiunge la maggioranza qualificata, ovvero dei 2/3, la modifica costituzionale avviene, quindi la legge di revisione costituzionale verrà direttamente promulgata e pubblicata. Mentre se si aggiunge solo la maggioranza assoluta, ma non i 2/3, può essere richiesto un referendum costituzionale e quindi entra in gioco il popolo. Recentemente è entrato in Costituzione il diritto allo sport, nell’articolo 33, tramite un procedimento di revisione costituzionale che ha visto il raggiungimento della maggioranza qualificata e quindi non è stato necessario il coinvolgimento del popolo. Negli ultimi 10 anni la Costituzione ha subito 4 interventi di revisione costituzionale, di cui 2 a buon fine. FONTI DELL’UNIONE EUROPEA Nella piramide della gerarchia delle fonti, sotto la Costituzione vi si trovano le Fonti dell’Unione Europea, che si dividono in due macro-gruppi: 1. Fonti originarie: sono i trattati sull’unione europea e sul suo funzionamento, oltre ad un altro atto, ovvero la carta dei diritti dell’uomo dell’unione europea 2. Fonti derivate Unione europea è stata creata inizialmente come CEE (comunità economica europea) negli anni ’50, per l’esigenza di garantire un libero mercato, scambio di merci e approvvigionamento. Prima ancora della CEE, c’era la CECA, comunità europea dell’acciaio e del carbone. L’UE prende questo nome nel 2009, anche se il termine è stato introdotto nel ’92. Nel tempo, oltre al libero mercato dei prodotti, si è anche creata la libera circolazione delle persone e dei servizi. L’Unione Europea è una comunità di principi. E non è una federazione. Non ha una costituzione, c’è stato un tentativo di Costituzionalizzazione, ma è stato bloccato da alcuni stati che, dopo l’approvazione, hanno avuto pressioni da parte del loro popolo per non rettificare la Costituzione. Tuttavia, ci sono degli atti che contengono dei principi e dei valori, ovvero dei trattati e la carta dei principi dei diritti dell’uomo dell’unione europea. I trattati contengono regole per garantire la libera circolazione di merci, persone e servizi, ma anche valori, principi e le materie di competenza dell’UE. L’UE ha delle competenze, che le sono state affidate dagli stati membri. Art.168 del FUE (trattato sul funzionamento dell’UE): questo articolo si occupa sul funzionamento della sanità pubblica: individua una materia che sarà di competenza non assoluta ma comunque di interesse per le istituzioni dell’UE. La prima cosa che dice e che si comprende è che c’è un invito alla cooperazione e collaborazione tra stati membri in materia di sanità. “nella definizione e attuazione di tutte le politiche ed attività dell’UE è garantito un livello elevato di protezione della salute umana”. Cioè le politiche dell’UE tendono ad un livello elevato di protezione della salute umana, come ad esempio la normativa sulla sicurezza della salute alimentare, normativa sui trasporti, normativa sugli appalti, … “L’azione dell’unione, che completa le politiche nazionali, si indirizza al miglioramento della sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e all’eliminazione delle fonti di pericolo per la salute fisica e mentale.” Ad esempio, il dipartimento di “igiene e sanità pubblica” è un dipartimento delle ASL, ed è l’insieme di quelle azioni che servono per tutelare la collettività, senza riguardare le prestazioni dirette al singolo. “Tale azione comprende la lotta contro i grandi flagelli, favorendo la ricerca sulle loro cause, la loro propagazione e loro prevenzione, nonché l’informazione ed educazione in materia sanitaria, nonché la sorveglianza, l’allarme e la lotta contro gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero.” L’UE ha permesso la creazione di un “sistema di allarme”, ad esempio molto usato nel periodo Covid tra Italia e Germania per condividere tutte le informazioni sul virus. Il sistema d’allarme garantisce la cooperazione dell’amministrazione degli Stati di fronte a possibili minacce per la salute umana. Ad esempio, recentemente una partita di carne ungherese che non era in ottime condizioni ha fatto partire un sistema di allarme rapido per la sicurezza alimentare, che ha permesso di ritirare dal mercato tutti i prodotti che contenevano quella carne. Un altro sistema allarme è la Farmacovigilanza, è un sistema che permette ad EMA (autorità europea del farmaco) ed AIFA in Italia, di condividere informazioni quando ci si accorge di un effetto avverso di un farmaco. L’UE lascia agli stati le questioni di sanità pubblica, come ad esempio come fare le vaccinazioni, quali vaccinazioni rendere obbligatorie, ecc. C’è un solo aspetto che viene regolato in maniera totale dall’UE: Comma-4 dell’art.168 individua le 3 materie di competenza totale degli organi dell’UE: Il parlamento europeo e il consiglio adottano: a-Misure che fissino parametri elevati di qualità e sicurezza degli organi e sostanze di origine umana, del sangue e degli emoderivati; tali misure non ostano a che gli stati membri mantengano o introducano misure protettive più rigorose. (→ es. direttive e regolamenti per i trasferimenti di organo da un paese all’altro) b-Misure nei settori veterinario e fitosanitario il cui obiettivo primario sia la protezione della sanità pubblica. (→ es. regolamenti e direttive per la limitazione della diffusione di malattie nella fauna) c-Misure che fissino parametri elevati di qualità e sicurezza dei medicinali e dei dispositivi di impiego medico. (→ EMA) L’UE ha una competenza generale ma non sostitutiva in competenza di sanità pubblica, mentre si sostituisce agli stati nel prevedere misure che fissino questi parametri minimi qualitativi. Questo è l’unico articolo nel trattato che riguarda direttamente il tema della salute e sanità. Tutti gli atti che sono adottati dagli organi dell’UE sono adottati in funzione di una competenza, che è prevista dal trattato; quindi, sono stati gli Stati ad affidare all’UE quella materia. Parlamento dell’UE è composto da membri provenienti da tutti gli stati membri, e fanno atti di loro competenza, che sono fissati nei trattati. Nella carta dei diritti fondamentali dell’UE (non è la carta dei diritti dell’uomo), chiamata anche “Carta di Nizza”, sono previsti dei valori e principi, simili alla Costituzione. Legge 219 del 2017 → è la normativa che disciplina il consenso informato. Prima era disciplinato dalla giurisprudenza, e in un momento successivo ha tratto ispirazione dall’art.3 della carta di Nizza “Diritto all’integrità della persona”: ogni persona ha diritto alla propria integrità fisica e psichica nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati: o a-il consenso libero ed informato della persona interessato, secondo le modalità definite dalla legge (→ in Italia, si poggiava sull’art.32 della Costituzione) o b-il divieto delle pratiche eugenetiche, in particolare di quelle aventi come scopo la selezione delle persone (→ le pratiche eugenetiche sono tutte quelle pratiche che favoriscono un popolo rispetto ad un altro, selezionando una razza) o c-il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro ▪ Ad esempio la vendita di organi ▪ Ad esempio, la maternità surrogata, che in Italia non è né concessa né prevista, in Spagna concessa ma non prevista, ma in nessuno dei due stati è a pagamento, a differenza degli USA dove le persone vivono dei ricavi della maternità surrogata! ▪ Ad esempio, la donazione del sangue avviene proprio per il concetto di “donazione”, a differenza degli USA dove si viene pagati. o d-il divieto della clonazione riproduttiva degli esseri umani L’ultimo aspetto per quanto riguarda il diritto sanitario è Art. 35 “protezione della salute”: prevede il principio di accessibilità alle cure sanitarie: ogni persona ha il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalla legislazione e prassi nazionali. Nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana. È il principio di accessibilità al servizio sanitario. Il servizio sanitario nazionale come tutti i servizi degli stati membri deve garantire l’accesso alle cure, in particolare è garantito l’accesso alle cure d’urgenza a tutti i cittadini dell’Unione. Una questione importante è quella di come regolare la copertura dei costi delle prestazioni sanitarie in un altro paese. Se ci troviamo in un paese dell’UE e abbiamo bisogno di una prestazione sanitaria: se è una prestazione non differibile, lo Stato se ne fa carico senza la previa autorizzazione; ovvero, se una persona ha necessità di un intervento immediatamente, non rimandabile, non è necessario fare il tramite dell’autorizzazione del proprio servizio. tutte le altre prestazioni sanitarie possono essere erogate con copertura dei costi da parte del proprio sistema sanitario, nei limiti in cui questo è previsto dalla normativa nazionale, perché non tutti gli stati membri hanno un servizio sanitario nazionale con copertura dei costi. In Italia, al pronto soccorso, chiunque ha possibilità di accesso alle cure. Ad esempio, se un ragazzo straniero si rompesse la gamba in Italia, ed è urgente, perché magari c’è il rischio di disabilità, viene fatto l’intervento in Italia e viene definita la copertura dei costi. Se invece non fosse urgente, e quindi non ci fosse il rischio di compromettere la sua funzionalità, deve essere fatta la richiesta al proprio stato per la copertura del costo. In Svizzera non esiste un sistema sanitario pubblico, esiste un sistema sanitario funzionante che però necessita di un’assicurazione per la copertura del costo; il che vuol dire che ci sono degli accordi tra gli stati per la copertura dei costi sanitari dei turisti. Quindi grazie all’articolo 35 della carta, per un paese dell’UE, non esiste la possibilità di negare l’accesso alle cure mediche e strutture sanitarie ai suoi cittadini membri. FONTI DERIVATE Sono i due atti normativi che vengono usati dall’Unione Europea per disciplinare nel dettaglio e nel concreto le singole materie. 1. REGOLAMENTI: sono degli atti normativi a portata generale, immediatamente applicabili e immediatamente vincolanti. Sono validi per tutti i cittadini, per tutti gli stati membri e per tutti quelli che si trovano nell’unione Europea. Non richiedono un recepimento da parte dello stato (alcuni stati lo fanno per adeguare il sistema alla propria amministrazione). Cioè non richiede una legge nazionale per entrare in vigore. ESEMPI: I prodotti farmaceutici o i dispositivi medici: hanno duplice valore: sono importanti sia come prodotto del mercato, sia come prodotto che comporta dei rischi per la salute del paziente. Per questo motivo sul loro uso e sulla loro vendita sono stati istituiti dei regolamenti. La lettera c del comma 4 dell’articolo 168 del FUE impone proprio misure che fissano parametri di qualità per prodotti farmaceutici o per dispositivi medici. Gli stati non devono intervenire con atti normativi perché entrano in vigore direttamente. I macchinari medici: La loro scelta viene fatta direttamente dai medici. Tutti i macchinari devono possedere la marcatura CE (certificazione europea) e il passaggio a tutte le autorizzazioni delle immissioni in commercio previste dal regolamento. Il nome del regolamento lo si trova sui dispositivi medici nella bolla di accompagnamento, nelle istruzioni. 2. DIRETTIVE: sono degli atti normativi che vincolano lo stato fissando degli obiettivi. Ogni stato membro è poi tenuto a recepire la direttiva con un testo normativo nazionale. Richiedono un recepimento da parte dello stato, cioè di una legge nazionale per entrare in vigore. ESEMPI: Congedo di paternità: nel 2019 l’Unione Europea impose una direttiva per aumentare i giorni per il congedo parentale di paternità agli stati membri. L’Italia è lo stato in Europa con il congedo paternità più basso, è solo di dieci giorni. In Spagna invece sono sei settimane. L’UE ha imposto questa direttiva perché vuole tutelare la salute della madre e dei figli soprattutto considerando che negli ultimi anni vi è stato un numero sempre crescente di infanticidi in Europa. Prima di questa direttiva in Italia i giorni per il congedo di paternità erano solo 3, prima ancora era limitato unicamente al giorno del parto. Lo scopo è quello di migliorare la qualità della salute sia degli infanti che della madre. Ma non è possibile imporlo come regolamento perché ogni stato ha un sistema a sé (in Italia è l’ INPS a gestire questi congedi). Alcuni stati prevedono il pagamento di tutta la retribuzione a carico dell’azienda di lavoro, altri stati a carico dello Stato. In generale le materie di esecuzione delle direttive cambiano in ogni stato in base ai sistemi che le gestiscono. Gli appalti pubblici: sono disciplinati da una normativa nazionale con una direttiva dell’Unione Europea, che sempre più ricca e s