Dispensa PDF di Elettrochimica - Ingegneria Chimica e dei Materiali

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elettrochimica elettrodi conduttori elettrici ingegneria chimica

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Questa dispensa di elettrochimica copre i conduttori elettrici, conducendo a una migliore comprensione degli elettrodi, dei metalli e dei semiconduttori. Il materiale è strutturato per il corso di laurea in Ingegneria Chimica e dei Materiali, focalizzandosi sui concetti chiave dell'elettrochimica. Vengono esaminate le proprietà delle interfacce elettrificate e la classificazione dei conduttori.

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Appunti di Elettrochimica per il Corso di Laurea in Ingegneria Chimica e dei Materiali Ingegneria dell’Energia Anno Accademico 2022-2023 1 Capitolo 1: CONDUTTORI ELETTRICI 0.1 Interfaccia elettrificata L’elettrochimica trae or...

Appunti di Elettrochimica per il Corso di Laurea in Ingegneria Chimica e dei Materiali Ingegneria dell’Energia Anno Accademico 2022-2023 1 Capitolo 1: CONDUTTORI ELETTRICI 0.1 Interfaccia elettrificata L’elettrochimica trae origine dall’esistenza di interfacce e dalle proprietà elettriche che ne derivano. L’interfaccia è la superficie di separazione tra due fasi diverse. Le cause di diversità peraltro possono essere molteplici: stato fisico (solido/liquido, solido/gas, liquido/gas), immiscibilità (liquido/liquido), separazione imposta tra due liquidi miscibili con diversa composizione chimica. L’interfaccia costituisce una condizione di discontinuità delle proprietà chimiche e fisiche del sistema. Se le due fasi sono, per un qualsiasi motivo, diverse, è evidente che le proprietà chimico-fisiche sono differenti. Le molecole che si trovano in prossimità dell’interfaccia, in quella porzione di spazio che costituisce l’interfase (cioè la porzione di volume del sistema che racchiude l’interfaccia, per cui è costituito da una porzione di volume di una fase e una porzione di volume dell’altra fase), sentono interazioni chimico-fisiche che non sono più bilanciate in tutte le direzioni, proprio perché se si punta verso l’interfaccia si vede una realtà diversa da quella che si ha se si punta nel verso opposto, cioè verso il bulk della propria fase. Questa condizione di discontinuità provoca uno squilibrio delle interazioni che viene compensato da uno squilibrio della composizione: alcune particelle in grado di muoversi, tra quelle che costituiscono la fase, si accumulano in eccesso rispetto alla concentrazione omogenea del bulk, altre invece si trovano ad essere in difetto; pertanto non c’è più omogeneità (come vedremo meglio nel prossimo capitolo). D’altra parte, le particelle polari (dipoli, quadrupoli) tendono ad assumere una orientazione preferenziale a differenza della situazione nel bulk, dove l’orientazione è casuale: mentre nel bulk il valore medio nel tempo della risultante per ciascuna proprietà vettoriale è nullo, nell’interfase si ha una risultante netta, media nel tempo, non nulla. Poiché molto spesso le particelle che costituiscono le due fasi hanno proprietà elettriche (cariche elettriche vere e proprie, come gli elettroni e gli ioni, oppure un qualche valore di momento dipolare o quadrupolare, o una certa polarizzabilità), la condizione di eterogeneità e anisotropia della regione interfasale produce una elettrificazione: si realizza un eccesso di cariche elettriche da una parte dell’interfaccia ed un eccesso di segno opposto dall’altra parte dell’interfaccia, confinati in uno spazio di dimensioni molto ridotte, qual è appunto la regione interfasale. L’elettrificazione produce una differenza di potenziale () attraverso l’interfaccia che, pur non essendo molto elevata (al massimo dell’ordine dei Volt), produce un campo elettrico elevatissimo (~109 V/m) 0.2 Classificazione dei conduttori L’elettrificazione della regione interfasale è tanto più pronunciata se le due fasi sono costituite da conduttori elettrici. In questo caso infatti esistono delle vere e proprie cariche elettriche (elettroni, ioni) mobili, per cui la realizzazione degli accumuli nella regione interfasale è più facile. Un dispositivo elettrochimico può essere immaginato, nella sua essenzialità, come la disposizione in serie di un conduttore ionico interposto tra due conduttori elettronici. Ciò provoca rilevanti effetti 2 associati al passaggio di corrente elettrica, per il processo di trasferimento di carica che si realizza ad ogni singola interfaccia conduttore elettronico/conduttore ionico. I conduttori elettrici sono appunto di due specie, a seconda del tipo di cariche elettriche dotate di mobilità: conduttori elettronici (I specie), per i quali le uniche cariche elettriche in grado di muoversi sono gli elettroni (appartengono a questa specie i metalli, i semiconduttori e composti del carbonio come la grafite, il glassy carbon, il diamante opportunamente drogato, ma anche alcuni materiali polimerici); conduttori ionici (II specie), nei quali le cariche elettriche mobili sono gli ioni, generalmente sia positivi che negativi (appartengono a questa specie le soluzioni elettrolitiche, i cristalli ionici, gli elettroliti fusi, in particolare i cosiddetti liquidi ionici, gli elettroliti polimerici). L’interfaccia tra un conduttore elettronico ed un conduttore ionico, costituisce un caso molto importante e viene denominata elettrodo. La caratteristica fondamentale è che, oltre alla elettrificazione interfasale, se si ha trasferimento di carica attraverso l’interfaccia questa è inevitabilmente accompagnata da un processo chimico ossidoriduttivo. Infatti le uniche cariche elettriche che possono attraversare una tale interfaccia sono gli elettroni, ma, mentre nel conduttore elettronico gli elettroni sono liberi e ospitati in modo sostanzialmente indifferente, cioè il conduttore si comporta come un serbatoio di elettroni dal quale possono tranquillamente entrare ed uscire, nel conduttore ionico gli elettroni non sono liberi, ma sono allocati su un qualche orbitale di una qualche specie chimica. Ciò significa che, quando un elettrone attraversa l’interfaccia dal conduttore elettronico a quello ionico deve finire sull’orbitale di una qualche specie chimica, ma questo costituisce un processo di riduzione di tale specie chimica. Viceversa, quando un elettrone attraversa la predetta interfaccia dal conduttore ionico a quello elettronico, deve uscire da un orbitale di una qualche specie chimica che, perciò, si ossida. Quindi un elettrodo è sede potenziale di processi di ossidoriduzione. Materiale Conduttività  (S/cm) T/°C Argento 63.01104 20 Rame 59.06104 20 METALLI Alluminio 37.8104 20 mercurio 1.04104 25 SEMIMETALLI Grafite 7.27102 0 SALE FUSO KCl fuso 2.2 800 ELETTROLITA SOLIDO AgI 1-2 >147 H2SO4 35% 1 25 Acqua di mare 0.05 23 KCl 0.1 M 0.0112 18 SOLUZIONI ELETTROLITICHE Acqua potabile 510−4-510−6 25 Acqua Rocchetta 2.7910−4 20 urina 2.1510−3 20 Acqua deionizzata 1-310−6 25 SEMICONDUTTORE Germanio 2.1710−8 22 ISOLANTE Zolfo 510−22 20 3 1 CONDUTTORI ELETTRONICI 1.1 Conduttori metallici Le proprietà dei conduttori elettronici possono essere descritte dalla teoria delle bande. I livelli energetici di atomi isolati hanno valori ben definiti e gli elettroni riempiono i livelli più bassi in accordo con le leggi della quantomeccanica. Quando gli atomi non sono più isolati, ma aggregati tra loro, vi è un’interazione tra gli orbitali atomici dei singoli atomi, con formazione di orbitali molecolari e di nuovi livelli energetici, differenti da quelli degli atomi isolati. Quando l’insieme di atomi aggregati giunge a formare un reticolo cristallino, i livelli energetici originati dagli orbitali molecolari si combinano in bande energetiche di ampiezza finita, all’interno delle quali è collocato un numero molto grande di orbitali, i cui livelli energetici sono naturalmente discreti, ma il salto energetico tra un orbitale e l’altro è estremamente piccolo, dato il grandissimo numero di orbitali confinati in un intervallo di energia limitato. Le bande sono generalmente tra loro separate da un salto energetico (gap) che non contiene livelli energetici. Ogni singolo livello energetico in una certa banda può contenere al massimo due elettroni. I conduttori elettronici, come ad esempio i metalli, mettono in comune gli elettroni di valenza per la costituzione del reticolo cristallino. Gli elettroni di valenza occupano gli orbitali atomici di tipo s e p, nei quali si trovano 1, 2 o 3 elettroni a seconda del Gruppo. Gli orbitali atomici che ospitano gli elettroni di valenza danno origine a due bande: la banda di valenza, costituita dagli orbitali ad energia minore, la banda di conduzione, costituita dagli orbitali molecolari ad energia maggiore. Il numero di elettroni di valenza può essere inferiore a quello che può essere ospitato nell’insieme degli orbitali della banda di valenza, per cui la banda è occupata solo parzialmente. Anche quando la banda di valenza fosse completamente piena, essa risulta comunque parzialmente sovrapposta alla banda di conduzione vuota. In questa situazione gli elettroni della banda di valenza sono estremamente “mobili”, perché hanno a disposizione un numero elevatissimo di orbitali nella stessa banda, ai quali possono accedere liberamente, dato che il salto energetico tra un orbitale ed un altro è largamente inferiore all’energia cinetica kBT (kB = costante di Boltzman). Figura 1.1 (a) Quando n elettroni occupano una banda di n orbitali , essa risulta semi piena e gli elettroni prossimi al livello di Fermi (in cima ai livelli completi) risultano mobili (metallo). (b) Quando la banda è completa e la differenza energetica tra le due bande è elevata gli elettroni non possono passare dalla banda di valenza a quella di conduzione (isolante). (c) Quando l’intervallo energetico interbanda è piccolo o comunque paragonabile a kBT gli elettroni posso passare da una banda ad un'altra purché abbiano energia sufficiente (semiconduttore). Nei materiali non metallici i livelli energetici della banda a più bassa energia sono completamente 4 occupati e quelli della banda a energia superiore sono completamente vuoti, ma tra le due bande vi è un ampio intervallo energetico. Per trasferire un elettrone dal livello energetico più alto della banda inferiore completamente piena (banda di valenza) a quello più basso della banda superiore completamente vuota (banda di conduzione) occorre un’elevata quantità di energia (band gap, Eg) rispetto all’energia cinetica kBT. Per tale motivo gli elettroni non sono in grado di passare da una banda all’altra; d’altra parte, essendo tutti occupati gli orbitali della banda di valenza, gli elettroni non sono in grado di muoversi attraverso il materiale perché sono confinati nel proprio orbitale: la sostanza viene definita isolante. Taluni materiali presentano una differenza energetica relativamente piccola tra la banda di valenza piena e quella di conduzione vuota, per cui è possibile eccitare facilmente alcuni elettroni e trasferirli quindi dalla banda piena a quella vuota. In questa situazione si liberano degli orbitali nella banda di valenza, che consentono una certa mobilità agli altri elettroni e, d’altra parte, gli elettroni finiti nella banda di conduzione sono diventati mobili, data la grande disponibilità di orbitali vuoti in quella banda: la sostanza in questo caso viene definita semiconduttore (vedi Fig. I.1). 1.2 Conduttori a base di carbonio L’impiego di materiali a base di carbonio in elettrochimica è molto diffuso per una serie di proprietà che li rendono particolarmente pregevoli e versatili. Tra le principali proprietà di carattere generale va ricordato il basso costo degli stessi, che è, ovviamente, un aspetto rilevante, ma altrettanto importante è la sostanziale inerzia chimica; il carbonio è infatti stabile all’aria (salvo non raggiungere alte temperature alle quali avviene la combustione), quindi estremamente manegevole, ed è stabile nei confronti di moltissime sostanze chimiche. Le forme allotropiche del C sono diverse; tra queste, com’è noto, due sono le più familiari: la grafite ed il diamante (oltre a queste, sono interessanti la fullerite: fullereni e nanotubi e alcune altre). Nella prima si hanno atomi di carbonio ibridati sp2 che si legano tra loro in modo planare, costituendo un grafene, cioè un insieme di esagoni adiacenti disposti su un piano. Nella seconda si hanno atomi di carbonio ibridati sp3 e legati tra loro in un insieme di tetraedri (recentemente è stata prodotta anche una forma allotropica, cosiddetta esotica, con gli atomi ibridati sp). Figura 1.2 a) Allotropi del carbonio a cui vanno ad aggiungersi il ciclocarbonio, allotropo ciclico a 18 atomi, ed i nanoconi (C80N5) scoperti nel 2019. Queste ultime molecole sono estensivamente studiate per i loro possibili impieghi in vari settori dell’elettronica. Nella grafite, ciascun atomo di C ha un quarto elettrone (il numero atomico di C è 6, due elettroni sono 1s, quindi interni, mentre nel guscio 2, esterno, ci sono gli altri quattro elettroni; nel caso della grafite si hanno tre orbitali ibridi sp2, che ospitano tre dei quattro elettroni esterni), che è ospitato nell’orbitale atomico pz ortogonale ai tre ibridi sp2 e quindi al piano del grafene. L’insieme di questi elettroni pz costituisce una nuvola  delocalizzata sull’intero piano di grafene. Se il grafene è costituito da n atomi di C, gli n orbitali atomici pz formeranno n/2 orbitali  di legame ed altrettanti di antilegame: si ha cioè una banda di valenza (di orbitali ) piena ed una banda di conduzione (di orbitali *) vuota, che consente una notevole mobilità agli elettroni presenti nella banda di valenza, 5 anche se si tratta di una mobilità bidimensionale, cioè parallela al piano del rafene, mentre è praticamente nulla lungo la direzione ortogonale al piano del grafene. Una grafite perfettamente cristallizzata (ad esempio la cosiddetta HOPG, Highly Oriented Pyrolitic Graphite o Highly Ordered Pyrolytic Graphite) è costituita da un insieme di grafeni paralleli per cui manifesta una sensibile anisotropia per la conducibilità elettrica: buon conduttore nelle direzioni parallele ai piani, isolante nella direzione ortogonale ai piani grafenici. Come si può osservare in Fig. I.3 e I.4, i piani di grafite sono sfalsati in modo tale che un atomo di C di un piano (cioè un vertice dei tre esagoni adiacenti) corrisponda al centro degli esagoni dei due piani grafenici vicini (quello sopra e quello sotto), mentre corrisponde esattamente alla posizione di un altro atomo di C nel grafene successivo, con un’alternanza continua. a b Figura 1.3 a) Piani di grafite adiacenti b) Li+ intercalato tra piani di grafite (max stechiometria LiC6). La distanza tra due piani di grafite è abbastanza grande (3.7 Å), tanto da consentire l’intercalazione di atomi di litio (più precisamente ioni Li+), le cui dimensioni sono sensibilmente minori (il raggio ionico di Li è infatti 1.45 Å). Questa importantissima proprietà è alla base della realizzazione delle pile al litio, in particolare delle cosiddette pile a Li-ione. Gli elettrodi di grafite, salvo casi specifici, come la HOPG, sono policristallini, cioè costituiti da un insieme di microcristalli orientati in tutte le direzioni dello spazio per cui sono praticamente isotropi, cioè manifestano la stessa conducibilità elettrica in tutte le direzioni. Un altro tipo di elettrodi a base di C sono quelli di carbone vetroso (Glassy Carbon, GC, che non va confuso con il carbonio amorfo, che pure esiste in commercio). Si tratta di carbonio ottenuto per trattamento termico ad alta temperatura (3000 °C) di sostanze organiche, in particolare polimeri, come cellulosa o resine fenoliche, per cui possono avere la forma che si desidera prima della carbonizzazione (i primi prodotti di GC erano infatti dei crogioli, particolarmente utili per la loro inerzia chimica e resistenza ad alte temperature). In realtà il GC non è costituito esclusivamente da atomi di C, come la grafite (salvo, ovviamente, qualche impurezza), poiché il trattamento termico porta ad una parziale ossidazione degli atomi di C con formazione di gruppi funzionali di varia natura. La Tabella seguente mostra la composizione di un GC commerciale, ottenuta mediante analisi XPS della superficie, che riflette però la composizione media della massa del carbone vetroso, dato che la superficie è stata rinnovata molte volte per abrasione meccanica e dava sempre, più o meno, la stessa composizione. Funzionalizzazione di un Glassy Carbon C grafitico 72.3 % C fenolico (C-OH) 16.6 % C carbonilico (C=O) 4.1 % Carbossili + Esteri (COOH + 7.1 % COOR) Grado di funzionalizzazione 27.8 % Nonostante la parziale funzionalizzazione il GC conserva una notevole inerzia chimica, per cui si presta bene come materiale elettrodico. L’ibridazione del C nel GC è stata oggetto di intenso dibattito che, alla fine, ha concluso che si tratta di ibridazione sp2. Peraltro è stato recentemente riportato che potrebbe trattarsi di una struttura di tipo fullerenico. Nel diamante gli atomi di C sono ibridati sp3, per cui tutti e quattro gi elettroni esterni sono ospitati 6 nei quattro orbitali sp3 e impegnati in altrettanti legami  con gli atomi di C adiacenti. Non essendoci elettroni liberi, il diamante è un ottimo isolante elettrico. E’ possibile rendere conduttore il diamante se viene drogato (1000-5000 ppm) con B (boro), realizzando il cosiddetto BDD (Boron Doped Diamond), che è un materiale pregevole per diverse applicazioni elettrochimiche, sia per la sua straordinaria inerzia chimica, ma anche per la possibilità di realizzare processi di ossidazione molto spinti (denominati Advanced Electrochemical Oxidation Processes, AEOPs), che trovano particolare applicazione nei trattamenti elettrochimici di reflui industriali, quando i normali processi di depurazione non risultano efficaci. Il drogaggio del diamante con boro produce la sostituzione di un certo numero di atomi di C, nella struttura tetraedrica, con B, che ha tre elettroni esterni anziché quattro. Se la quantità di drogante non è eccessiva, il B sostituisce il C senza modificare la struttura tetraedrica del diamante (cioè anche il B è ibridato sp3, ma uno dei quattro ibridi è vuoto). Ciò implica che un atomo di C adiacente conserva un elettrone spaiato, dato che il corrispondente ibrido del B è vuoto, cioè l’orbitale  che si forma ha un solo elettrone ed è quindi in grado di ricevere un altro elettrone da un orbitale  vicino. In altre parole, la banda di valenza è parzialmente vuota, il che consente una discreta mobilità degli elettroni e, di conseguenza, una buona conducibilità elettrica. Una forma allotropica che sta irrompendo nella ricerca scientifica di questi ultimi anni, coinvolgendo molteplici aspetti e grandi potenzialità è quella dei nanotubi di carbonio (carbon nanotube, CNT). L’interesse per i CNTs riguarda molte proprietà chimico-fisiche e svariate applicazioni, ad esempio nel campo della sensoristica, della catalisi ed elettrocatalisi, nel campo dei nanocompositi per realizzare materiali con proprietà meccaniche e chimico-fisiche particolari. Un nanotubo di carbonio può essere considerato un grafene che si avvolge a cilindro saldando, con una calotta semisferica, le due estremità lungo le quali gli atomi di C sono reattivi, avendo un elettrone spaiato. Come nei fullereni, la curvatura circolare provoca la reibridazione dei legami  e  e per cui il legame  è maggiormente localizzato rispetto alla grafite. Ciò conferisce ai nanotubi maggiore resistenza meccanica, conducibilità termica ed elettrica, insieme alla capacità di essere biologicamente e chimicamente più attivi. Esistono modi diversi di arrotolamento del grafene per cui la struttura dei nanotubi risulta diversa e, conseguentemente, diverse risultano le proprietà chimico-fisiche. Come si può osservare in Fig. 1.4, l’asse di rotazione nei tre nanotubi è sensibilmente diverso per cui si ottengono, non soltanto una diversa configurazione della distribuzione degli atomi di C rispetto all’asse del tubo (armchair, zigzag e chiral) (Fig. 1.4b), ma anche una diversa capacità di curvatura della superficie laterale. La stessa figura mostra che i nanotubi sono chiusi alle estremità. Poiché gli atomi terminali che si hanno in un nanotubo aperto, hanno proprietà chimiche molto interessanti, si provvede a tagliare i nanotubi in modo da realizzare dei tubi aperti per le svariate applicazioni nelle quali vengono impiegati. Peraltro, a seconda del tipo di arrotolamento la configurazione dei C terminali è sensibilmente diversa. Esistono nanotubi costituiti da una singola superficie, cioè formati da un unico piano di grafite (Single Walled Nano Tube, SWNT) e nanotubi costituiti da più tubi concentrici, cioè da più piani grafitici arrotolati (Multi Walled Nano Tube, MWNT) (Fig. 1.4c). Il diametro di un nanotubo varia da 0.4 nm a 3 nm per un SWNT, mentre può variare da 1.4 nm a 100 nm per un MWNT; la lunghezza può essere anche di diverse centinaia di nm. Si tratta di materiali con caratteristiche estremamente versatili e importanti, quali ad esempio: ▪ ottima conducibilità termica, ▪ buona conducibilità elettrica con possibilità di comportarsi da conduttori metallici o da semiconduttori (a seconda del diametro e di altri parametri), ▪ superconduttività a temperature relativamente alte, ▪ elevata resistenza e buona elasticità. Si sono realizzati elettrodi chimicamente modificati con CNTs, ad esempio utilizzando il Nafion per solubilizzare i CNTs e confinarli sulla superficie elettrodica. In alternativa al Nafion, si possono utilizzare polimeri conduttori, come il polipirrolo (PPy) o la polianilina (PAn) per preparare elettrodi a nanocompositi CNT/PPy o CNT/PAn con elevata stabilità e conduttività e facilità di preparazione. 7 a b c Figura 1.4 a) Diverse tipologie di CNTs, b) diverse strutture dei CNT, c) Single Walled e Multi Walled CNTs Oltre agli allotropi “molecolari” e le forme cristalline già citate è possibile identificare una fase “amorfa”. Con carboni amorfi si intendono delle strutture prive di ordine cristallino a lungo raggio, che possiedono tuttavia un ordine a corto raggio differente sia dalla struttura della grafite che da quella del diamante. Questa particolare tipologia di carbonio è caratterizzato dalla presenza di elettroni π localizzati e dalla presenza simultanea di atomi di carbonio sia di tipo sp2 che sp3. Alcuni atomi possono anche presentare dei legami saturati a causa della presenza di atomi di idrogeno, conferendo una ulteriore diversità alla struttura e alle proprietà dei carboni amorfi. Le diverse tipologie di carbonio amorfo, che è possibile ottenere in base alle quantità relative di questi atomi, sono rappresentate nel diagramma trifasico riportato in figura. Il diagramma andrebbe esteso su un’ulteriore dimensione in cui si considera il grado di aggregazione della fase sp2, cioè quanto il materiale presenta una struttura paragonabile a quella della grafite, caratteristica determinante per le proprietà del materiale. Tra i carboni amorfi troviamo anche i diamond-like carbon films, ovvero strati rigidi di carbonio amorfo contenente un elevato tenore di atomi con ibridazione sp3, dalle notevoli proprietà meccaniche, inerzia chimica e bassa conducibilità elettrica. I diamond-like carbon films sono utilizzati in numerose applicazioni che vanno dalle lame per rasoi a componenti biomediche o negli acceleratori di particelle. Figura 1.5 Diagramma trifasico per il carbonio amorfo All’estremo opposto del carbonio amorfo troviamo il carbonio pirolitico. Detto anche grafite pirolitica, viene prodotto tramite chemical vapour deposition di idrocarburi a temperature superiori ai 2500 K. Questo materiale possiede una struttura analoga a quella della grafite ma i piani possiedono un orientamento preferenziale, se sottoposto a trattamento termico ad elevate pressioni prende il nome di HOPG (highly oriented pyrolytic graphite) ed è caratterizzato da una dispersione dell’angolo di orientamento dei piani inferiore ad 1°. Oltre alla possibilità di variare la struttura cristallina e produrre 8 grosse molecole dalle proprietà peculiari, è possibile identificare delle forme che si differenziano in base alla loro struttura su una scala dimensionale maggiore rispetto a quella relativa all’ordine degli atomi, cioè per la morfologia e non la cristallinità. Possiamo quindi avere dei materiali particellari che possono mostrare diverse morfologie. Tra di essi: ❖ Carbon Black: si tratta di un particolato carbonioso in cui le particelle di forma sferica si fondono in aggregati di dimensioni inferiori al m. Ciò conferisce al materiale un’elevata area superficiale specifica. ❖ Carboni attivi: sono carboni porosi sottoposti a trattamenti con sostanze gassose prima, durante o dopo il processo di carbonizzazione dei precursori, per aumentarne le proprietà di adsorbimento, liberando la microporosità dai materiali di decomposizione, che possono formarsi durante il processo di pirolisi del precursore. Possiedono un’elevata microporosità che conferisce una altrettanto elevata area superficiale. ❖ Fibre di carbonio: si tratta di sottili cilindri di carbonio dal diametro dell’ordine di alcuni micron aventi generalmente un elevato grado di grafitizzazione grazie al particolare processo di sintesi che prevede un trattamento termico ad elevata temperatura del precursore (generalmente pece o poliacrilonitrile), mentre viene sottoposto a trazione. Questa azione meccanica permette un allineamento dei piani grafitici che si vengono a formare parallelamente all’asse della fibra, ciò conferisce un’elevata resistenza meccanica in tale direzione. ❖ Carboni mesoporosi (MC): si tratta di carboni ottenuti in seguito a pirolisi di un precursore organico; possono possedere un grado di grafitizzazione più o meno elevato in base alla temperatura di sintesi. Sono caratterizzati da elevata area superficiale e da dimensione dei pori superiore a quella dei carboni attivi e possiedono di conseguenza una bassa frazione in volume di microporosità. I MC sono caratterizzati da porosità di dimensione controllata grazie alla sintesi tramite templante. Se per soft carbons si intendono materiali in grado di grafitizzare se trattati al di sopra dei 2000 °C, con hard carbons si definiscono carboni al più amorfi incapaci di grafitizzare anche al di sopra di 2000 °C. Gli hard carbons sono in grado di offrire migliori prestazioni in batterie al sodio grazie alla loro struttura completamente amorfa. Il meccanismo di inserzione del sodio in questi materiali è particolarmente interessante ed è stato denominato modello “house of cards”, Il meccanismo di inserzione è distinguibile in due fasi la prima corrisponde all’inserzione del sodio tra i piani di grafene del materiale turbostratico (grafitico), mentre la seconda definisce l’occupazione da parte degli atomi di sodio dei nanopori presenti nel materiale. Questa nanoporosità è specifica degli hard carbon, ed è situata interstizialmente tra i nanodomini definiti dai piani di grafene, come illustrato in Fig 1.6. Figura 1.6 Modello “house of cards” 1.2.1 Sintesi Hard Template Nella sintesi hard template si sfrutta uno stampo sacrificale di materiale inorganico in grado di resistere ad elevate temperature e che possiede le caratteristiche strutturali che si vogliono trasferire al prodotto finale. La formazione della struttura carboniosa può avvenire tramite CVD o impregnazione dello stampo con un precursore organico. In seguito alla formazione della struttura desiderata il templante viene rimosso con un trattamento chimico che comporta l’uso di basi forti o acido fluoridrico e può portare per alcune geometrie ad un leggero collasso della struttura e riduzione della simmetria nell’ordinamento dei pori (Figura 1.7). Questo fenomeno è stato osservato anche nel 9 tentativo di ricostruzione del templante a partire dal suo negativo: il risultato non possiede né la struttura dello stampo di partenza, né quella dell’intermedio.24 L’utilizzo di templanti inorganici come la silice o l’allumina permette di effettuare la carbonizzazione ad elevate temperature senza il rischio di un collasso strutturale permettendo così di raggiungere elevati gradi di grafitizzazione del carbonio con conseguente miglioramento delle proprietà elettriche del materiale mesoporoso ottenuto. Questo metodo di sintesi è anche detto mold casting per via della similarità con il processo di colata dei metalli fusi in uno stampo cavo (mold) che viene rimosso una volta solidificato il metallo. Figura 1.7 sintesi di MC via Hard Template 1.2.2 Sintesi Soft Template La sintesi via soft template sfrutta le interazioni tra grosse molecole organiche, come polimeri e le molecole anfifiliche, per generare tramite self assembly strutture di differente dimensioni. Le macromolecole si organizzano in strutture gerarchiche variando la concentrazione stessa delle molecole nel solvente. Tali strutture possono essere utilizzate come templante per il MC, il precursore va infatti ad occupare gli spazi vuoti al loro interno dove viene fatto reagire per acquisirne la forma al negativo. Il templante viene quindi rimosso per via chimica o termica per liberare la struttura porosa. Il processo Stöber modificato utilizza come templanti tre diverse molecole organiche in grado di dare self assembly: Figura 1.8 sintesi di MC via soft Template 1.2.3 Trattamenti di Attivazione su Carbon Black La morfologia di un carbonio a ridotta area superficiale e porosità può essere incrementata mediante trattamenti ad alta temperatura (>800 °C) in atmosfera controllata con H2O o CO2. Lo sviluppo e il controllo della porosità del supporto carbonioso sono fondamentali per poter formare un numero adeguato di siti attivi, garantire l’accessibilità a questi in termini di diffusione dei gas e 10 non meno importante garantire stabilità e conducibilità. La porosità del materiale è divisa in tre categorie, come mostrato anche in figura : Microporosità (< 2 nm) Mesoporosità (2 -50 nm) Macroporosità (> 50 nm) La microporosità, è legata principalmente al sequestro di ioni ed molecole; la mesoporosità è invece principalmente legata alla diffusione dei gas da e verso i siti attivi e in certi casi alla formazione di nanoparticelle metalliche per effetto confinante, che possono avere un ruolo nell’attività catalitica. La macroporosità è invece per lo più collegabile alla conducibilità del materiale, questa diminuisce in presenza di un’eccessiva porosità. Mediante i trattamenti di attivazione con gas si va a consumare il carbonio sulla superfice di pori già presenti nel materiale oppure si aprono nuovi pori, i diversi trattamenti hanno come effetto quello di aumentare la porosità, ma a seconda del gas utilizzato si osserva un aumento preferenziale dei micro- meso- o macropori, questo è dovuto alla diversa reattività dei gas con il carbonio e con eventuali gruppi funzionali superficiali, oltre che dalla diversa geometria molecolare Figura 1.9 Suddivisione della porosità nei materiali carboniosi, 1.2.4 Trattamento con CO2 Il trattamento con CO2 porta ad uno sviluppo generale della porosità favorendo l’apertura di nuovi micropori, secondo la reazione redox: dove la CO2 si comporta da agente ossidante nei confronti del supporto carbonioso. C + CO2  2CO (1.1) Esistono diversi meccanismi proposti, alcuni di questi evidenziano come il contenuto in ossigeno abbia un ruolo nella reattività, secondo le reazioni: CO2  CO + (O) (1.2) C + O  2CO (1.3) dove la seconda reazione suggerisce il possibile ruolo dell’ossigeno nel processo di gassificazione del carbonio con anidride carbonica. 1.2.5 Trattamento con H2O Il trattamento con vapore d’acqua favorirebbe invece l’allargamento dei pori, quindi uno sviluppo della mesoporosità dovuto alla degradazione preferenziale del carbonio amorfo. Le reazioni che coinvolgono la matrice carboniosa durante tale trattamento sono: C + H2O  H2 + CO (1.4) C + 2H2O  2H2 + CO2 (1.5) C + CO2  2CO (1.6) CO + H2O  H2 + CO2 (1.7) 11 1.3 Conduttori polimerici Esistono diversi polimeri organici che presentano valori di conducibilità specifica (elettronica) anche molto elevata, confrontabile con quella dei metalli, come si può vedere in Fig. 1.10. In realtà il meccanismo della conduzione elettronica può essere abbastanza diverso a seconda del tipo di polimero e del suo trattamento. a b Figura 1.10 a) scala di conducibilità specifica per alcuni dei più comuni polimeri conduttori elettronici, b) esempio di polimeri redox (poliferroceni e policobaltoceni) La possibilità di avere una buona conducibilità elettronica nei polimeri organici può essere realizzata infatti con tre diverse metodologie: polimeri redox, materiali con ionomeri caricati, polimeri conduttori elettronici. I polimeri redox contengono un gruppo redox attaccato, ad intervalli regolari, alla catena polimerica, ad esempio un gruppo ferrocenile, che può assumere sia la forma ridotta (in questo caso ferrocene) che ossidata (ferrocinio). Il movimento macroscopico di elettroni avviene attraverso la modifica dello stato redox dei gruppi in questione; un elettrone può cioè passare da un Fe(II) di un ferrocene ad un Fe(III) di un ferrocinio vicino. Naturalmente la quantità di gruppi nello stato ridotto (Red) e di quelli nello stato ossidato (Ox) dipende dal potenziale applicato al polimero. E’ abbastanza facile intuire che quando il potenziale è vicino al suo valore standard, si ha la massima conducibilità elettrica poiché si ha la massima concentrazione di entrambe le forme. Viceversa ad un potenziale al quale fosse presente solo una delle due forme, il polimero si comporterebbe da isolante. I materiali con ionomeri caricati sono costituiti da polimeri che contengono nella propria catena delle unità monomeriche con una carica elettrica (positiva o negativa), che prendono il nome di ionomeri, la cui carica è ovviamente bilanciata da un controione libero. Per diventare conduttori elettronici è necessario che gli ionomeri inglobino, in sostituzione del controione, una coppia redox, con carica complessiva opposta a quella dello ionomero. In queste condizioni il movimento macroscopico di elettroni avviene poi con lo stesso meccanismo dei polimeri redox. Ad esempio la polivinilpiridina (Fig. 1.11a) può produrre facilmente ionomeri per trattamento con HCl, formando il corrispondente cloridrato: la piridina protonata (piridinio) costituisce lo ionomero, che è positivo, la cui carica è controbilanciata dal Cl−. Questi ionomeri sono in grado di inglobare una coppia redox che abbia una carica complessiva negativa come, ad esempio [FeIII(CN)6]3− (in questo caso ci vogliono tre ionomeri per saturare la carica dell’esacianoferrato); si ha cioè lo scambio tra tre controioni Cl− del polimero e l’esacianoferrato presente nella soluzione nella quale il polimero viene introdotto. Un esempio di segno opposto può essere costituito dal Nafion, (Fig. 1.11b) un polisolfonato (X− rappresenta SO3−) quindi con ionomeri di carica negativa (il controione è Na+ o H+), che può inglobare 12 una coppia redox a base di [RuIII(NH3)6]3+. Anche in questo caso sono coinvolti tre ionomeri per ogni coppia redox inglobata. a b c Figura 1.11 a) Materiali con ionomeri caricati b) Nafion (X− = SO3−, M+ = H+ o Na+), c) Poliolefine coniugate. Indubbiamente il caso più interessante di polimeri conduttori elettronici riguarda le poliolefine coniugate (Fig. 1.12), cioè il caso di polimeri con una serie doppi legami coniugati (intercalati da legami semplici). In questo caso si raggiungono valori elevati di conducibilità elettronica, grazie al fatto che il sistema coniugato realizza la delocalizzazione degli elettroni , che sono quindi in grado di muoversi facilmente lungo il polimero. Il problema si pone ovviamente quando gli elettroni devono passare da una catena ad un’altra, che rappresenta il rate determining step per il trasporto di cariche elettriche. Il polimero neutro non ha conducibilità, dato che tutti gli orbitali di legame sono occupati e gli orbitali di antilegame * vuoti sono ad un livello più elevato. Figura 1.12 Formazione di polaroni. In pratica la situazione è simile a quella di un semiconduttore, con la banda di valenza piena ed il band gap elevato. Per rendere conduttore il polimero è necessario ossidarlo per formare un certo numero di polaroni (Fig. 1.12), cioè di cariche positive posizionate sugli atomi di carbonio del sistema coniugato. In alcuni casi, come le poliolefine coniugate i polaroni possono portare alla formazione di bipolaroni, cioè cariche positive isolate, grazie ad una seconda ossidazione. In altri termini, se si ossida il polimero (per via elettrochimica o con un ossidante aggiunto appositamente) si ha la formazione di un radicale catione (catione perché ha una carica positiva, radicale perché ha un elettrone spaiato) per ogni doppio legame che viene ossidato, cioè un polarone. Quando la concentrazione di polaroni è abbastanza elevata (tipicamente un doppio legame su quattro), si può avere la ricombinazione degli elettroni spaiati con formazione di nuovi doppi legami, mentre restano le cariche positive isolate (solitoni o bipolaroni). I solitoni costituiscono una banda di orbitali vuoti, 13 che consente il facile movimento degli elettroni lungo la catena polimerica. La formazione di polaroni rende il polimero carico, per cui è necessario l’ingresso di anioni per controbilanciare le cariche positive. Per tale motivo si parla normalmente di drogaggio, anche se è ben diverso dal drogaggio dei semiconduttori (o del BDD). Tale drogaggio si ottiene introducendo nel polimero una sostanza ossidante (ad esempio I2). Si ha sempre la formazione di polaroni che, per ulteriore ossidazione portano alla formazione di bipolaroni, ma in questo caso le cariche positive sono meno mobili per cui si ha la formazione di una banda di polaroni, con orbitali vuoti disponibili per la mobilità degli elettroni. Figura 1.12 Formazione di polaroni o bipolaroni positivi o negativi. I polimeri conduttori elettronici vengono impiegati come tali in diversi dispositivi (cioè come materiali elettrodici al posto dei metalli), come nell’elettrocatalisi, grazie al fatto che la sintesi organica consente di “aggiustare” la superficie di tali materiali elettrodici potendo attaccare al polimero qualsiasi gruppo funzionale (cioè qualsiasi catalizzatore). Particolarmente importante è il loro utilizzo in bioelettrochimica, sia per la possibilità di realizzare biosensori (ad esempio potendo attaccare sulla loro superficie enzimi in grado di “riconoscere” sostanze specifiche), sia per la loro maggiore compatibilità biologica rispetto ai metalli, per cui possono venire inseriti negli organismi viventi. Ad esempio si sta studiando la possibilità di realizzare dei muscoli artificiali, sfruttando la variazione di volume (lunghezza) che accompagna l’inglobamento-espulsione dei dopanti (Fig. I.15). Figura 1.13 Muscolo artificiale. 14 2 CONDUTTORI IONICI Come abbiamo già detto, i conduttori ionici sono quei materiali nei quali il trasporto di carica è associato al trasporto di sostanza chimica, poiché le cariche elettriche mobili sono appunto gli ioni. Esistono diverse classi di conduttori ionici: soluzioni elettrolitiche, solidi ionici, sostanze fuse (sali, ossidi) e polimeri (anche se, come abbiamo visto, ci sono anche polimeri conduttori elettronici). A seconda del tipo di conduttore la conducibilità ha luogo attraverso meccanismi differenti. 2.1. Soluzioni elettrolitiche Nelle soluzioni liquide il componente maggioritario è detto solvente. Non tutti i solventi sono uguali, ma possono essere classificati in due grandi famiglie: quelli ionici e quelli molecolari. I primi sono essenzialmente costituiti da specie completamente dissociate in ioni (es. sali fusi), sia in forma monoatomica sia in forma poliatomica, e presentano elevata conducibilità elettrica. Ovviamente in questo caso le forze coesive che realizzano lo stato liquido sono dovute alle forti interazioni coulombiane tra gli ioni di carica opposta. I solventi molecolari sono costituiti da molecole; le forze coesive sono dovute a varie cause: legami a ponte (di idrogeno, di alogeno, ecc.), interazioni dipolo-dipolo o di tipo van der Waals. Questi solventi si comportano quasi come isolanti, hanno cioè una conducibilità elettrica molto ridotta, che è dovuta a una possibile dissociazione ionica (legata generalmente a processi di scambio protonico), o sostanzialmente nulla. Anche i liquidi molecolari, come quelli ionici, non sono completamente amorfi, ma mantengono in parte la struttura originaria della forma cristallina dello stato solido da cui derivano. In particolare l’acqua (il solvente per eccellenza) a temperatura ambiente è costituita per il 70% di aggregati di circa 50 molecole con struttura simile a quella del ghiaccio, mentre il restante 30% è costituito da molecole sostanzialmente singole. Una soluzione elettrolitica è formata da un solvente molecolare e dagli ioni in esso disciolti. In questo caso la conducibilità elettrica raggiunge valori anche elevati (pur sempre largamente inferiori a quelli dei conduttori elettronici di tipo metallico), grazie alla buona mobilità degli ioni. La formazione di una soluzione elettrolitica avviene quindi per dissoluzione di un elettrolita in un solvente molecolare. Esistono peraltro due tipi di elettroliti: gli elettroliti ionofori e gli elettroliti ionogeni. Gli elettroliti ionofori sono i cristalli ionici, cioè quelle sostanze che sono costituite da ioni già nel loro stato naturale (generalmente lo stato solido, anche se esistono diversi tipi di cristalli ionici liquidi a temperatura ambiente). Si tratta ad esempio di sali, ossidi, idrossidi, per i quali la struttura cristallina è costituita da ioni di carica opposta tenuti assieme dalle forti interazioni coulombiane. Gli elettroliti ionogeni sono invece sostanze costituite da molecole neutre che producono ioni (ovviamente almeno due, di carica opposta per il bilancio di carica) attraverso una reazione chimica con il solvente nel quale vengono disciolti (in generale si tratta di una reazione acido-base, cioè di scambio protonico). Ad esempio, NaCl è un elettrolita ionoforo, poiché allo stato naturale (solido) è costituito da ioni Na+ e Cl–, che si separano quando viene sciolto in un adeguato solvente; viceversa HCl è un elettrolita ionogeno, poiché allo stato naturale (gassoso) è costituito da molecole, ma una volta sciolto in acqua produce ioni H3O+ e Cl– per reazione acido-base HCl + H2O H3O+ + Cl– Per sciogliere un cristallo ionico si devono eliminare le forze d’interazione elettrostatica tra gli ioni; ciò avviene per effetto di due contributi, entrambi rilevanti: da una parte la diminuzione delle forze coulombiane per effetto dell’aumento della permettività, alla quale la forza coulombiana è inversamente proporzionale; pertanto maggiore è la costante dielettrica  del solvente maggiore è la possibilità di separare gli ioni e quindi di avere la dissoluzione del cristallo ionico. In secondo luogo è però necessario avere delle interazioni sufficientemente forti tra gli ioni e le molecole del solvente per compensare il lavoro di separazione degli ioni, cioè il lavoro necessario per vincere le residue forze coulombiane, che rimangono comunque rilevanti. L’interazione solvente-soluto è definita in generale solvatazione, idratazione nel caso in cui il solvente sia l’acqua. In generale si tratta di interazioni di tipo ione-dipolo, dato che l’elevata costante dielettrica del solvente corrisponde ad un 15 elevato momento dipolare delle molecole che lo costituiscono. Figura 2.1 Dissoluzione di NaCl in H2O Ciò porta alla costituzione della cosiddetta sfera primaria di solvatazione, cioè un guscio di molecole di solvente fortemente legate allo ione da costituire un tutt’uno (per cui gli ioni si muovono assieme alla sfera primaria e, di fatto, le dimensioni idrodinamiche sono quelle degli ioni solvatati). Va peraltro sottolineato che tale sfera primaria è costituita da un numero generalmente piccolo di molecole (anche solo una), salvo il caso in cui si formino invece dei veri e propri complessi tra ione e molecole del solvente (per cui si possono avere numeri più grandi, ad esempio sei). Non va peraltro dimenticato che sono possibili anche interazioni di tipo più propriamente chimico; in particolare, nel caso dell’acqua va sempre considerata la possibilità della formazione di legami ad idrogeno con gli anioni, per cui, confrontando un catione ed un anione delle stesse dimensioni e con carica uguale ed opposta l’idratazione dell’anione è più rilevante di quella del catione. Quando le soluzioni cominciano ad essere abbastanza concentrate si osservano comportamenti anomali che sono stati attribuiti sia a interazioni elettrostatiche anti-leganti, sia alla formazione di un legame ionico tra ioni di segno opposto, quest’ultima nota come associazione ionica o formazione di coppia ionica. Questi due effetti sono difficilmente separabili tra loro; infatti le specie che sembrano generare elettroliti forti nelle soluzioni acquose perdono questa caratteristica nei solventi a bassa costante dielettrica a causa della più elevata probabilità di generare coppie ioniche. La formazione di una coppia ionica: A+ + B− A+B− (2.1) è governata dalla costante di equilibrio: [ A +B − ] K ass = (2.2) [ A + ][B− ] La teoria dell’associazione ionica prende in considerazione l’esistenza di una distanza critica, tra anione e catione, alla quale le forze elettrostatiche attrattive e quelle termiche sono tra loro bilanciate; a questa distanza l’energia potenziale dello ione è la minima possibile. 2.2 Conducibilità delle soluzioni elettrolitiche Il trasporto di specie sciolte in un solvente avviene casualmente con movimenti di tipo Browniano. Le particelle di solvente e di soluto si scontrano in continuazione e si muovono stocasticamente, con velocità differenti, in varie direzioni. Le specie disciolte sono localizzate all’interno della struttura quasi cristallina del solvente e vibrano intorno a posizioni di equilibrio. Dopo parecchie centinaia di vibrazioni le particelle acquisiscono un’energia sufficiente a compiere un salto in una posizione adiacente della struttura quasi cristallina, qualora ci sia uno spazio disponibile sufficiente. La frequenza dei salti dipende, quindi, dall’energia richiesta per spostare una specie dalla sua posizione di equilibrio e dall’energia richiesta per formare una posizione vuota (vacanza) in un sito 16 adiacente. La risposta di una specie i-esima sottoposta ad una forza – che può essere espressa come l’opposto del gradiente di un potenziale (cioè la derivata rispetto alla distanza) – viene descritta in termini di flusso J. In questo caso il flusso viene definito come la quantità di materia (misurata in grammoparticelle, cioè in moli di particelle) che attraversa una sezione unitaria (ortogonale al gradiente) nell’unità di tempo. La relazione tra il flusso J e la driving force che lo origina, può essere espressa in linea di principio come serie di potenze. Di seguito saranno presi in considerazione solamente i processi in cui esiste una relazione lineare tra flussi e forze (ossia quando il sistema considerato non si discosta molto dalle condizioni d’equilibrio). La relazione tra flusso e driving force può essere ricavata in termini del tutto generali con la seguente considerazione. La velocità con cui si muovono le particelle dipende dalle loro dimensioni e forma, dall’interazione tra le molecole del solvente e dall’interazione tra particelle di soluto e solvente. Considerando il caso più comune - ossia quando le molecole del soluto sono più grandi di quelle del solvente, la forma delle molecole può essere considerata sferica e l’interazione tra le particelle di solvente e soluto trascurabile - il movimento delle particelle del soluto può essere ipotizzato simile a quello di particelle sferiche, di raggio ri, in un mezzo viscoso con coefficiente di viscosità . La forza fi che agisce su una particella induce un’accelerazione per cui la particella si muoverà di moto uniformemente accelerato lungo la direzione della forza agente. A questo moto si oppone la resistenza dovuta all’attrito prodotto dalla viscosità della soluzione, che genera una forza resistente (con la stessa direzione ed il verso opposto a quello del moto) quantificata dalla legge di Stokes: fr = 6riv. Poiché la forza resistente dipende dalla velocità, essa crescerà all’aumentare della velocità del moto uniformemente accelerato, fino ad eguagliare (ed annullare) la forza agente. La velocità v0 in condizioni stazionarie, cioè quando la risultante delle due forze è nulla, è quindi descritta dalla legge di Stokes: 𝑓 𝑣0 = 6𝜋𝜂𝑖 𝑟 (2.3) 𝑖 dove fi è la forza che agisce sulle particelle. A tale velocità stazionaria corrisponde un flusso Ji = civ0 (2.4) Nel caso dell’azione di un campo elettrico, il flusso della specie ionica i-esima è generato dalla forza elettrica agente che vale fi = −zie grad  e, per una grammoparticella, fi = −ziF grad , dove F è la costante di Faraday*. Considerando il caso normale di un gradiente monodirezionale, si può quindi scrivere 𝑓𝑖 𝑧𝑖 𝐹 𝑑𝜑 𝑑𝜑 𝑧𝑖 𝑑𝜑 𝐽𝑖 = 𝑐𝑖 𝒗0 = 𝑐𝑖 = = −𝑐𝑖 𝑢𝑖∗ 𝑧𝑖 𝐹 = −𝑐𝑖 𝑢𝑖 6𝜋𝜂𝑟𝑖 6𝜋𝜂𝑟𝑖 𝑑𝑥 𝑑𝑥 |𝑧𝑖 | 𝑑𝑥 (2.5) dove ui* = 1/6ri è la mobilità assoluta dello ione i-esimo, cioè la velocità stazionaria che si ha in presenza di una forza agente unitaria, mentre ui = ui*|zi|F è la mobilità ionica elettrochimica, cioè la velocità in presenza di un gradiente di potenziale unitario. Dal punto di vista elettrico la grandezza correlata a questo flusso di materia è la densità di corrente j, ossia il flusso di carica elettrica, che può essere così definita: 𝑑𝜑 j = − (2.6) 𝑑𝑥 dove il coefficiente fenomenologico , è la conducibilità elettrica specifica, cioè il reciproco della resistività . Attraverso la legge di Faraday, che correla la quantità di carica con quella di materia, è possibile scrivere la seguente equivalenza tra la densità di corrente e il flusso di massa delle specie cariche: * La costante di Faraday è la quantità di carica (96485 coulomb) necessaria a ossidare o a ridurre un grammo equivalente di sostanza; essa è data dal prodotto del numero di Avogadro (6.02252 10 23) per la carica dell’elettrone (1.602103 10 -19 coulomb). 17 j = ∑𝑖 𝑧𝑖 𝐹𝐽𝑖 (2.7) pertanto il contributo di uno ione i-esimo alla densità di corrente totale è: 𝑑𝜑 𝑑𝜑 ji = −ci ui*zi 2F 2 = −ui|zi|ciF (2.8) 𝑑𝑥 𝑑𝑥 La densità di corrente totale, ossia quando più ioni sono presenti in soluzione, è data da: 𝑑𝜑 j = ∑𝑖 𝑧𝑖 𝐹𝐽𝑖 = −(∑𝑖 𝑢𝑖 |𝑧𝑖 |𝑐𝑖 𝐹) (2.9) 𝑑𝑥 Confrontando l’eq. (1.6) e l’eq. (1.9) si ottiene la definizione di conducibilità specifica totale:  = ∑𝑖 𝑢𝑖 |𝑧𝑖 |𝑐𝑖 𝐹 (2.10) Un parametro molto importante, che caratterizza il trasporto di cariche elettriche è il numero di trasporto, che rappresenta la frazione di cariche elettriche (cioè della corrente elettrica) trasportata da una singola specie ionica all’interno di una soluzione elettrolitica. Quando si sottopone una soluzione elettrolitica ad un campo elettrico (ad esempio introducendo due lamine metalliche affacciate e applicando una differenza di potenziale) tutte le specie ioniche si mettono in moto ordinato lungo le linee di forza del campo elettrico. Naturalmente ioni di carica opposta si muovono nel verso opposto, per cui tutte le specie ioniche contribuiscono additivamente al trasporto di cariche elettriche, cioè all’intensità di corrente complessiva I. Ciascuna specie ionica dà però un contributo specifico che dipende dalla sua concentrazione, dalla sua carica e dalla sua mobilità. Il numero di trasporto ti della specie ionica i-esima è definito come 𝑢𝑖 |𝑧𝑖 |𝑐𝑖 𝑡𝑖 = ∑ (2.11) 𝑗 𝑢𝑗 |𝑧𝑗 |𝑐𝑗 e, chiaramente, ha un valore compreso tra 0 e 1, mentre la somma dei numeri di trasporto di tutte le specie ioniche presenti in soluzione, vale ovviamente 1. Nel caso di un elettrolita binario, costituito cioè da una coppia di ioni (un catione ed un anione), questi hanno carica uguale ed opposta e la stessa concentrazione; pertanto, i rispettivi numeri di trasporto tendono a valori vicini a 0.5, ma sono diversi in funzione delle rispettive mobilità ioniche. Solo nel caso di due ioni con la stessa mobilità (stesso raggio ionico dello ione solvatato), ciascuno ha, o avrebbe, un numero di trasporto pari a 0.5. E’ il caso di KCl in acqua: uK+  uCl-, per cui tK+  tCl-  0.5. Per quanto riguarda lo ione H+, in soluzione acquosa, questo presenta un valore di mobilità ionica circa cinque ordini di grandezza superiore a quello che gli spetterebbe in base alle sue dimensioni (per questo motivo in una soluzione di HCl, tH+  0.85, mentre tCl-  0.15). Questa anomalia è stata razionalizzata attraverso il meccanismo di Grotthus. Questo meccanismo richiede la presenza di un reticolo interconnesso di molecole d’acqua che forniscono i legami ad idrogeno necessari. I protoni sono considerati uniti alle molecole d’acqua (H3O+) e lo scambio di un protone da una molecola d’acqua ad un’altra può avvenire quando sia la molecola d’acqua accettrice sia quella donatrice sono in una configurazione ottimale per questo scambio (Fig. I.17). Figura 2.2 Scambio di protone tra H3O+ e H2O. Questo meccanismo implica un processo di trasporto vero e proprio: il trasferimento del protone ha luogo attraverso la modificazione della struttura elettronica del gruppo O-H-O seguita da un processo di riorientazione che richiede un’energia di attivazione. Il processo globale è quindi limitato dalla riorientazione e l’energia globale è quella di rotazione della molecola d'acqua. 18 Un’altra causa di moto delle particelle, da non confondere con la conduzione elettrica, è la possibile presenza di un gradiente di concentrazione che provoca la cosiddetta diffusione.  RT  c RT  c f d = −grad  = − =− f r = 6 r v fd = fr 6 r v = − x c x c x RT  c dc J = cv = − = −D (2.12) 6 r  x dx che è nota come legge di Fick, dove D è il coefficiente di diffusione. Nel caso di soluzioni diluite è possibile utilizzare sia per la migrazione sia per la diffusione lo stesso valore di ui*; si ha pertanto: Ji,diff = −ui*ci grad i = −ui*RT grad ci (2.13) da cui si ricava: Di = ui*RT (2.14) relazione tra il coefficiente di diffusione e mobilità. Dall’eq. (1.12) si ottiene l’equazione di Einstein: Di RT = (2.15) ui zi F che fornisce la relazione, valida per soluzioni diluite, tra coefficiente di diffusione e mobilità ionica. Il flusso complessivo di una specie ionica in soluzione è dato dall’equazione di Nernst-Planck dc zF d J = −D − Dc + cv (2.16) dx RT dx diffusione migrazione convezione dove si considera anche il possibile contributo della convezione (in questo caso v rappresenta la velocità del moto della soluzione, lungo l’asse x). 2.3 Misura della conduttività o conducibilità specifica di una soluzione Dal punto di vista sperimentale un conduttimetro misura la resistenza R () di una soluzione elettrolitica, il cui inverso è la conduttanza 𝐶 (S[iemens] = -1); essa dipende non solo dalle caratteristiche della soluzione, ma anche da quelle della cella conduttimetrica usata per effettuare la misura, rappresentate dalla costante di cella (cm-1). Dalla definizione di resistenza: 𝑙 𝑅 = 𝜌𝐴 (2.17) Dove 𝜌 = 1/𝜅 è detta resistività, si osserva che la resistenza aumenta con la lunghezza del campione e diminuisce con la sua sezione. Possiamo esprimere la conduttanza in funzione della conducibilità specifica altrimenti detta conduttività 𝜅 e del parametro geometrico χ associato alla costante di cella: 𝐴 𝐶 =𝜅 𝑙 = κ∙𝛘 (2.18) Nelle misure conduttimetriche la costante di cella  viene determinata per calibrazione utilizzando un campione a conduttività nota * (tipicamente KCl). Se il campione incognito quindi ha una conduttanza 𝐶 nella stessa cella conduttimetrica, la conduttività è 19 𝐶 𝜅=𝜒 (2.19) La conduttività di una soluzione dipende dal numero degli ioni presenti; per questo si definisce convenzionalmente una conduttività molare m 𝜅 Λ𝑚 = (2.20) 𝑐 fisicamente, Λ 𝑚 coincide con la conduttanza di 1 cm3 di soluzione 1M dell’elettrolita in esame tuttavia nella pratica comune c che indica la concentrazione molare dell’elettrolita viene espressa in moli/dm3. per questo si moltiplica per un fattore 1000. 𝜅 Λ 𝑚 = 𝑐 1000 (2.21) La conduttività molare così espressa assume l’unità di misura -1cm2 mol-1. Per confrontare tra loro le conduttività di elettroliti con diversa valenza (per esempio per confrontare elettroliti binari tipo NaCl con elettroliti ternari tipo Na2SO4), è possibile esprimere la conduttività in modo indipendente dalla stechiometria dell’elettrolita a cui si riferisce. Dato che per il principio di elettroneutralità deve valere 𝑣+ 𝑧+ = 𝑣− 𝑧− dove 𝑣 è il coefficiente stechiometrico, si definisce la conduttività equivalente dell’elettrolita (espressa in -1 cm2 g-equiv-1) come: Λ𝑚 𝜅 Λ= = 𝑣𝑐 1000 (2.22) 𝑣 𝐹𝛼𝑐𝑣 Richiamando la definizione di conducibilità specifica 𝜅 = 1000 (𝑢+ + 𝑢− ) dove  è il grado di dissociazione dell’elettrolita e pari ad 1 per elettroliti forti ottengo questa espressione per la conduttività equivalente: Λ = 𝐹𝛼(𝑢+ + 𝑢− ) (2.23) Fisicamente, Λ coincide con la conduttanza che verrebbe osservata tra due elettrodi distanziati da 1 cm3 di soluzione 1N dell’elettrolita in esame. È chiaro che poiché Λ = 𝑓(𝛼) ( = grado di dissociazione) essa varia con la concentrazione e con la temperatura. Nel caso in cui le soluzioni elettrolitiche fossero “ideali”, ovvero non vi fosse interazione tra gli ioni presenti in soluzione, sarebbe sufficiente dividere 𝜅 per c per eliminare qualsiasi dipendenza della conduttività dalla concentrazione degli elettroliti. Pertanto la dipendenza di Λ dalla concentrazione dovrebbe dipendere solo da 𝛼 e tendere ad un valore limite a diluizione infinita, cioè lim Λ = lim Λ = Λ 0 (2.24) 𝑐→0 𝛼→1 Che permette di ricavare la legge della migrazione indipendente di Kohlrausch Λ 0 = 𝐹(𝑢+ + 𝑢− ) = 𝜆0+ + 𝜆0− (2.25) Dove è stata definita la conduttività equivalente a diluizione infinita in funzione delle conduttività equivalente dei singoli ioni. 𝜆0𝑖 = 𝐹𝑢𝑖0 (2.26) indicando con 0+ la conduttività equivalente limite dei cationi e con 0− quella degli anioni. La legge della migrazione indipendente stabilisce che la conduttività espressa come conduttività molare o equivalente di un elettrolita in una soluzione ideale o infinitamente diluita è la somma delle conduttività equivalenti degli ioni che esso genera ed indipendenti dall’elettrolita di partenza. Per questo, la conduttività molare Λ0𝑚 o Λ 0 di un elettrolita si può ricavare per combinazione di dati di 𝜆0𝑖 relativi ad altri elettroliti o di singoli ioni 20 Tabella 2 Conduttività molari cationiche e anioniche( cm2 mol-1) a diluizione infinita in acqua H 0+ 0− H+ 349.82 OH− 198.3 Li+ 38.68 F− 55.4 Na+ 50.20 Cl− 76.35 K+ 73.50 Br− 78.14 Rb+ 67.81 I− 76.84 Cs+ 77.28 NO3− 71.46 NH4+ 73.59 ClO4− 67.35 Ag+ 61.98 CH3COO− 40.90 1/2Be2+ 45.0 1/2SO42− 80.03 1/2Mg2+ 53.08 1/3Fe(CN)63− 100.9 1/2Ca2+ 59.50 1/4Fe(CN)64− 110.5 1/2Sr2+ 59.45 1/2Ba2+ 63.62 Esempio Valutare la differenza tra le Λ 0 misurate per due sali di potassio e sodio che hanno in comune l’anione, si ottiene sempre lo stesso valore T=25°C 𝚲𝟎 a 𝚲𝟎 a 𝚲𝟎 a KCl 150 KNO3 145 KSO4 153 NaCl 127 NaNO3 122 NaSO4 130 𝚫𝚲𝟎 23 23 23 a conduttività equivalente limite espressa come (-1 cm2 g-equiv-1) Si noti che l’indipendenza dei contributi ionici da Λ 0 è sinonimo di idealità della soluzione elettrolitica, ovvero di assenza di interazioni tra gli ioni, che è una ipotesi ammissibile solo per concentrazione tendente a 0. La conduttività molare di un elettrolita dovrebbe essere quindi indipendente dalla concentrazione, ma nella realtà delle prove sperimentali questo non accade. Infatti, il numero degli ioni in soluzione potrebbe non essere proporzionale alla concentrazione dell’elettrolita (si pensi a una soluzione di un acido debole). Inoltre, gli ioni interagiscono fra loro. Misure di dipendenza dalla concentrazione delle conduttività molari mostrano come sia possibile distinguere due comportamenti distinti per elettroliti forti ed elettroliti deboli. In termini di conduttività molare, negli elettroliti forti Λ𝑚 decresce leggermente e linearmente all’aumentare della concentrazione, mentre per gli elettroliti deboli la Λ𝑚 decresce rapidamente fino a valori molto bassi all’aumentare della concentrazione. Da notare che la classificazione di un elettrolita va fatta tenendo conto anche del solvente. Tali andamenti si possono spiegare solo ammettendo che la mobilità degli ioni diminuisca all'aumentare della concentrazione dell'elettrolita. Figura 2.3 conduttività equivalente di alcuni elettroliti all’aumentare della concentrazione Teoria di Debye-Hückel L'andamento della funzione Λ𝑚 /𝑐𝑜𝑛𝑐. rende problematica un'agevole misura di Λ0 per qualunque tipo di elettrolita, perché non è semplice estrapolare con precisione l'intercetta di una curva con l'asse delle ordinate. Fortunatamente esiste, per gli elettroliti forti, una interessante relazione fra Λ𝑚 e √𝑐 (cioè dalla radice quadrata della soluzione), scoperta empiricamente da Kolhrausch. Gli elettroliti forti sono completamente dissociati in soluzione; un esempio sono gli acidi forti e i solidi ionici. Di conseguenza la concentrazione degli ioni è proporzionale alla concentrazione di elettrolita aggiunto. Λ 𝑚 = Λ0𝑚 − 𝐴√𝑐 (2.27) 21 Questa relazione è nota con il nome di legge di Kohlrausch. Λ0𝑚 è chiamata conduttività molare limite ed è la conduttività molare quando la concentrazione tende a zero, cioè quando gli ioni non interagiscono. Il coefficiente 𝐴 dipende dalla stechiometria dell’elettrolita, più che dalla sua natura chimica. Questa relazione è stata dimostrata per via teorica da Onsager, sulla base della teoria di Debye e Huckel. Tale relazione, detta equazione di Onsager, ha la seguente forma: Λ𝑚 = Λ0𝑚 − (𝐴 + 𝐵Λ0 )√𝑐 (2.28) Nel modello teorico di Debye-Hückel ogni ione è circondato da un'atmosfera ionica (statistica) che ha una carica complessiva opposta a quella dello ione centrale. In soluzione infinitamente diluita, gli ioni singoli sono così distanti l'uno dall'altro che le forze interioniche sono praticamente nulle e non si ha formazione dell'atmosfera ionica. Poichè gli elettroliti forti sono completamente dissociati tutte le variazioni della conduttanza equivalente sono causate dalla variazione dell’energia di interazione. La deviazione dell’idealità delle soluzioni elettrolitiche è dovuta all’interazione coulombiana tra gli ioni di carica opposta che si attraggono, pertanto anioni e cationi non sono distribuiti in modo uniforme in soluzione: gli anioni si troveranno più facilmente vicino ai cationi e viceversa. Di conseguenza la soluzione rimane elettricamente neutra ma intorno a ciascun ione ci sarà un eccesso di controioni, ovvero di ioni con carica opposta (atmosfera ionica). Il concetto di atmosfera ionica è utile per spiegare la dipendenza della legge di Kohlrausch da √𝑐. L’atmosfera ionica, alla presenza di un campo elettrico, non è più sferica, ma viene deformata in quanto gli ioni si muovono in una precisa direzione e i controioni circostanti non riescono ad aggiustare istantaneamente la loro posizione. L’effetto detto di rilassamento è uno spostamento del centro di carica dell’atmosfera subito dietro allo ione. Poiché le cariche sono opposte, si ha un ritardo nel moto dello ione stesso. D'altro canto gli ioni dell'atmosfera ionica sono anch'essi solvatati, per cui il loro movimento determina un flusso consistente di liquido in senso opposto allo ione. Quest'ultimo perciò si trova a muoversi contro corrente rispetto all'ambiente che lo circonda, incontrando un'ulteriore resistenza al proprio moto (effetto elettroforetico), e di conseguenza la mobilità degli ioni e le loro conducibilità risultano ridotte Figura 2.4 Globalmente, combinando i contributi dei due effetti sopra descritti, il modello di Debye-Hückel- Onsager prende la forma seguente: Λ𝑚 = Λ0𝑚 − (𝐴 + 𝐵Λ0 )√𝑐 (2.29) in cui A e B sono parametri che dipendono dalla temperatura, dal solvente e dallo specifico elettrolita. Il termine A deriva dall’effetto elettroforetico, mentre il termine in B deriva dall’effetto del tempo di rilassamento dell’atmosfera ionica. 1 𝑧 3 𝑒𝐹2 (2.30) 2 2 𝐴= ∙( ) 3𝜋𝜂 𝜀𝑅𝑇 𝑧 3 𝑒𝐹2 1/2 (2.31) 2 𝐵 = 𝑞( )∙( ) 3𝜋𝜂 𝜋𝜀𝑅𝑇 dove è la permittività elettrica del solvente;  è la viscosità, q è un coefficiente che dipendente dal tipo di elettrolita che vale 0.5 per elettroliti binari. Ad esempio, per un elettrolita uni-univalente in acqua a 25 gradi si ha A=60.2, B=0.229. 22 Il modello predice un decremento lineare della conduttività equivalente (o molare, è analogo) contro 𝑐 , il che è una risposta a quanto ci si era proposti di trovare. Occorre ora verificare se tale modello è in accordo con i dati sperimentali e, se lo è, entro quali limiti di concentrazione delle soluzioni. Nelle figure sottostanti sono illustrati gli andamenti delle conduttività equivalenti per due differenti sali, KIO4 e Na2SO4. I dati cerchiati sono valori sperimentali prelevati da un Handbook of Chemistry and Physics, mentre le rette tratteggiate sono la predizione del modello di Debye-Hückel-Onsager con A e B calcolati con le formule esplicite date sopra e anch’essi tabulati sugli Handbook Figura 2.5 Ciò che emerge è che il modello riproduce correttamente sia il modo in cui Λ(𝑐) tende a Λ0 per c0, sia la pendenza della retta, però esso fallisce oltre una certa concentrazione e questo è il caso ad esempio del solfato di sodio. In tale regime di non-idealità delle soluzioni elettrolitiche (causata ad esempio dalla formazione di coppie ioniche) la conduttività decresce in modo meno marcato. In questo caso per il fitting dei dati si utilizzano equazioni empiriche del tipo: Λ 𝑐 = Λ 0 − (𝑨 + 𝑩Λ 0 )√𝑐 + 𝑪𝑐 (2.32) oppure 𝛬𝑐 +𝑨√𝑐 2 = 𝛬0 + 𝑪𝑐 + 𝑫𝑙𝑜𝑔𝑐 − 𝑬𝑐 (2.33) 1−𝑩√𝑐 Il pregio delle equazioni empiriche è che esse fittano bene i dati, ma d’altro canto manca un modello teorico che interpreti i coefficienti che compaiono in esse. Come test dell’efficacia della prima delle due equazioni empiriche, i dati sperimentali mostrati sopra sono stati fittati con essa (curve rosse con parametro C lasciato iterare liberamente, mentre A e B sono stati tenuti fissi ai valori calcolati secondo Debye-Hückel-Onsager) 23 2.3 Elettroliti solidi La migrazione di ioni nei solidi può aver luogo solo nei composti ionici. In un cristallo ionico ideale - immaginato come il ripetersi all’infinito della sua più piccola unità tridimensionale (cella unitaria), che ne definisce l’identità - tutti gli ioni occupano una ben definita posizione reticolare e la loro migrazione non può aver luogo, poiché si richiederebbero energie elevatissime per spostare un altro ione dalla propria posizione reticolare. In natura, fortunatamente, non esistono cristalli ideali, ma cristalli reali, cioè con difetti, per cui esistono cristalli ionici con conducibilità specifica confrontabile con quella di soluzioni elettrolitiche 0.1 M. In questa famiglia si trovano: AgI, fluoruri di metalli alcalino-terrosi, soluzioni solide di fluoruri e ossidi, solfati alcalini, -allumina. Nei solidi cristallini possono essere presenti due tipi di difetti: vacanze e interstiziali, originati da: difetti di struttura (impaccamento anomalo degli ioni) difetti reticolari. 2.3.1 Difetti di struttura In questo caso si tratta di un solido la cui struttura cristallina consente più posizioni reticolari a disposizione di uno dei due ioni, per cui tale ione può muoversi agevolmente dall’una all’altra, dato che non deve scalzare nessuno. Se s’immaginano le strutture cristalline dei solidi costituite da sfere rigide di raggio appropriato (che rappresentano gli ioni costituenti il reticolo) è possibile individuare spazi particolari entro i quali gli ioni più piccoli possono muoversi. Tali spazi contengono posizioni reticolari (con energia potenziale equivalente) disponibili come posti alternativi; gli ioni possono quindi diffondere nel solido. Come esempio si riporta qui di seguito (Fig. 2.6) la struttura di -AgI. Figura 2.6 Struttura di -AgI. Nella figura il sottoreticolo anionico (a sinistra) e quello cationico (a destra) sono riportati separatamente. Per ogni cella elementare ci sono solo 2 ioni Ag + che possono disporsi in 42 siti cationici; di questi 12 sono coordinati con due ioni ioduro, 24 coordinati con tre ioni ioduro e 6 coordinati con quattro ioni ioduro. In questo caso la conducibilità è esclusivamente cationica, dato che sono i cationi che possono muoversi nella particolare struttura cristallina. L’elevato numero di posizioni disponibili per Ag+ nella struttura  è dovuto all’elevato raggio degli anioni I− che determinano la struttura e le dimensioni della cella unitaria. 2.3.2 Difetti reticolari I difetti reticolari possono avere origine da: Disordine intrinseco che è essenzialmente causato dal movimento termico degli ioni nel reticolo, ad ogni temperatura superiore a quella dello zero assoluto. Disordine estrinseco che è prodotto da ioni estranei presenti nel solido come impurezze o introdotti come agenti droganti nel reticolo. La concentrazione dei difetti dipende fortemente dalla temperatura e cresce in modo esponenziale con T. In effetti la formazione dei difetti avviene per effetto dello spostamento di uno ione dalla sua posizione reticolare ad una posizione interstiziale; si tratta di un processo che richiede una rilevante 24 energia di formazione dei difetti G f. Disordine intrinseco I difetti reticolari possono essere dovuti alla presenza di vacanze nei siti reticolari (V) o alla presenza di ioni in posizioni interstiziali (Xi). Per i composti stechiometrici (CA, C = catione, A = anione) devono essere sempre presenti i due precedenti tipi di difetti, ma la loro combinazione può essere diversa: Disordine di tipo Frenkel: uno solo dei due sottoreticoli è perturbato (Fig. I.19). Vi è la presenza di un uguale numero di posizioni vacanti e di posizioni interstiziali, per un solo tipo di ione: CA  Ci + Vc + AA dove Ci è un catione in posizione interstiziale, VC è una vacanza cationica, e AA è un anione nella propria posizione reticolare. In questa condizione si ha un solido a conducibilità cationica. Oppure: CA  CC + VA + Ai dove CC è un catione nella sua posizione reticolare, VA è una vacanza anionica, e Ai è un anione in posizione interstiziale. In questo caso si ha un solido con conducibilità anionica. Di fatto si possono scrivere i due processi di formazione di difetti di Frenkel nel modo seguente: 0 (= CC)  Ci + Vc 0 (= AA)  VA + Ai e si può calcolare la concentrazione dei difetti xV = xi = exp(−G f/2RT). Disordine di tipo Schottky: entrambi i sottoreticoli sono perturbati (Fig. 2.7). Vi è la presenza contemporanea di vacanze cationiche e anioniche, in numero pari: 0  VA + VC anche in questo caso si può calcolare la concentrazione dei difetti xVA = xVC = exp(−Gf/2RT). Il numero di difetti aumenta quindi all’aumentare della temperatura. Figura 2.7 Difetto di Schottky e difetto tipo Frenkel. Disordine estrinseco Questo tipo di difetto di punto (cioè di posizione reticolare) viene introdotto “artificialmente” mediante drogaggio. In questo modo è possibile avere un elevato numero di difetti anche a temperatura relativamente bassa, con conseguente elevata conducibilità ionica. Al fine di meglio illustrare quanto appena esposto sembra opportuno descrivere, come esempio, il caso della zirconia (biossido di zirconio, ZrO2), elettrolita solido con conducibilità dovuta agli ioni ossigeno. Questo materiale presenta come disordine intrinseco quello di Frenkel: 25 VO + Oi  OO Solo se la concentrazione dei difetti è significativa può instaurarsi la condizione di migrazione ionica. In questo caso particolare la concentrazione significativa si realizza solo a temperature estremamente elevate. Al fine di ridurre la temperatura alla quale il biossido di zirconio presenta conducibilità apprezzabile è indispensabile avere un’elevata concentrazione di vacanze, anche a temperature relativamente basse. Per fare questo s’introducono impurezze in grado di alterare l’equilibrio espresso dalla precedente reazione, producendo quindi un disordine estrinseco. Quando l’ossido di ittrio (Y2O3) viene disciolto in ZrO2, oltre che a stabilizzare la struttura cubica a bassa temperatura, gli ioni di Y3+ si dispongono nei siti cationici del reticolo dell’ossido di zirconio (al posto di Zr4+) producendo vacanze d’ossigeno per soddisfare le condizioni di elettroneutralità, secondo la seguente reazione: Y2O3  2Yzr + 3OO + VO se la quantità di ioni Y3+ è abbastanza elevata rispetto a quella delle vacanze intrinseche, si può considerare, con buona approssimazione, la concentrazione di vacanze nel solido dovuta solo al composto drogante. In queste condizioni è possibile avere elevate concentrazioni di vacanze d’ossigeno e quindi possibilità di mobilità ionica (anionica) anche a temperature relativamente basse. Questa YSZ (yttria stabilized zirconia) è quindi un buon conduttore nel quale si muove solo lo ione ossido O2–. La presenza di difetti in un solido permette il movimento degli ioni che migrano da una posizione di equilibrio a un’altra, passando per un massimo energetico, attraverso tre differenti modi: salto di uno ione da una posizione interstiziale ad un’altra; salto di uno ione da una posizione reticolare ad una interstiziale accompagnato dalla migrazione di un altro ione interstiziale nella vacanza formatasi; salto di uno ione da una posizione reticolare ad una vacanza adiacente. Ciò può avvenire solo quando sono simultaneamente verificate le due seguenti condizioni: lo ione ha un punto (difetto o nodo reticolare) disponibile situato nei siti adiacenti; lo ione ha energia sufficiente per attraversare la barriera di potenziale che si oppone alla sua migrazione. Lo spostamento di uno ione può quindi essere descritto come un salto da una posizione ad un’altra. Si può dimostrare che la conducibilità elettrica in questo tipo di elettroliti dipende dalla temperatura secondo: 𝜅0 ∆𝐺𝑓 𝐸 𝜅= 𝑒𝑥𝑝 (− ) 𝑒𝑥𝑝 (− 𝑅𝑇) (2.34) 𝑇 𝑅𝑇 (G f e E sono, rispettivamente, l’energia di formazione del difetto e l’energia di barriera per il salto tra la posizione iniziale e quella finale) che nella forma più generale può essere scritta: 𝜅0 𝐸∗ 𝜅= 𝑒𝑥𝑝 (− 𝑅𝑇) (2.35) 𝑇 La conducibilità elettrica aumenta quindi con l’aumentare della temperatura, poiché l’effetto di T sull’esponenziale è molto più rilevante di quello sul fattore pre-esponenziale (0/T). L’eq. (2.35) viene usata nel caso in cui sia presente disordine intrinseco; nel caso di disordine estrinseco, E * contiene il solo termine energetico E (poiché i difetti sono dovuti al drogante e non alla temperatura). Quanto sopra riportato può essere schematizzato attraverso una rappresentazione energetica a bande simile a quella utilizzata per i materiali semiconduttori. In questo caso la differenza energetica tra banda di conduzione e di valenza s’identifica con E *. Gli elettroliti solidi presentano, rispetto alle altre famiglie di conduttori ionici, la particolarità di possedere, a volte, conducibilità mista; in alcuni casi specifici, infatti, è possibile la presenza contemporanea di portatori di carica elettronici e ionici. 26 2.4 Elettroliti fusi Un altro tipo di conduttori ionici è costituito dagli elettroliti liquidi puri, detti anche liquidi ionici o sali fusi. Si tratta chiaramente di liquidi costituiti da ioni ottenuti per fusione di solidi ionici, generalmente sali (alogenuri alcalini, nitrati alcalini, carbonati alcalini, ecc.). Generalmente la fusione richiede temperature abbastanza elevate (5001300 K) anche se si stanno sempre più sviluppando liquidi ionici da composti organici basso fondenti, liquidi già a temperatura ambiente. I liquidi ionici stanno assumendo un’importanza sempre crescente per diversi aspetti e svariati impieghi: chimica organica, elettrochimica, catalisi, chimica fisica, ecc.. In generale si tratta di sali di ammonio quaternario a base organica. Dopo i primi casi (nitrato di etilammonio: EtNH3+NO3–), la maggior parte dei liquidi ionici utilizzati attualmente è costituita da sali di piridinio o imidazonio (1- alchilpiridinio, 1,3-dialchilimidazonio) con anioni di grosse dimensioni (PF6–, BF4–). Tra le caratteristiche interessanti di questi nuovi “solventi”, merita ricordare: notevole conducibilità elettrica, dato che sono costituiti da ioni, hanno una bassa tensione di vapore, sono termicamente molto stabili (fino a temperature anche oltre 500 K). Si utilizzano anche fusi a base di miscele di ossidi non metallici (quindi non conduttori) come SiO 2, B2O3, P2O5, con ossidi di metalli alcalini o alcalino terrosi. In questo caso si lavora a temperature sensibilmente più elevate (20002300 K). La conducibilità elettrica degli elettroliti fusi è molto elevata, anche se non confrontabile con quella dei metalli. In effetti la fusione provoca un aumento rilevante della conducibilità specifica (2-3 ordini di grandezza), che potrebbe essere descritto come un notevole aumento dei difetti. Il modello per descrivere le proprietà degli elettroliti fusi è argomento di grande interesse. Una interpretazione abbastanza efficace e relativamente semplice è il cosiddetto modello dei “buchi” (come un gruviera), legato alla constatazione che la fusione comporta un aumento del 10-25% del volume. La presenza di questa grande concentrazione di buchi, che si muovono continuamente e subiscono anche variazioni delle proprie dimensioni, rende molto più facile il movimento degli ioni e quindi molto più elevata la conducibilità elettrica. Il meccanismo di trasporto degli ioni negli elettroliti fusi (liquidi ionici) non è stato ancora ben definito, tuttavia la legge di Stokes precedentemente riportata per le soluzioni è ancora applicabile per descrivere il movimento degli ioni. In questo caso, pur mantenendosi la correlazione tra coefficiente di diffusione e viscosità, la costante di proporzionalità (1/6) deve essere notevolmente aumentata affinché la relazione sia quantitativamente valida. Ciò in quanto la relazione di Stokes, derivata dall’idrodinamica, è rigorosamente rispettata per particelle di forma sferica che si muovano in un mezzo continuo a cui può essere assimilata una soluzione diluita. La relazione di Nernst-Einstein è, in questo caso, ancora verificata, anche se non perfettamente, in particolare per gli anioni. Infatti, a seguito della maggiore densità degli ioni (per unità di volume) rispetto a quella delle soluzioni elettrolitiche, vi sono effetti di trascinamento dovuti a mutua frizione tra gli ioni; inoltre la struttura altamente difettiva rende assai probabili associazioni di difetti, in particolare bi-vacanze, dotati di scarsa mobilità. La conducibilità specifica è grandezza termicamente attivata cioè si può scrivere: 27 𝐸 𝜅 = 𝜅0 𝑒𝑥𝑝 (− 𝑅𝑇𝜎 ) (2.36) L'energia E rappresenta l'energia necessaria ad uno ione per fare salti (discreti) da una posizione ad un'altra vincendo l'interazione coulombiana con ciò che lo circonda. 2.5 Elettroliti polimerici Gli elettroliti polimerici sono composti ottenuti da diversi tipi di polimeri organici. In realtà un polimero normalmente è un isolante, con conducibilità specifiche fino a 1012 volte più piccola di quella di un metallo. In effetti i più diffusi isolanti elettrici sono proprio a base di polimeri organici. Ciò nonostante esistono diversi polimeri che sono in grado di diventare buoni conduttori elettrici se opportunamente trattati, alcuni diventano conduttori elettronici, come abbiamo visto, mentre altri possono essere o diventare conduttori ionici. I convenzionali elettroliti polimerici a conducibilità ionica sono ottenuti mescolando opportuni sali con polimeri ad alto peso molecolare, questi ultimi contenenti eteroatomi o gruppi elettron donatori che instaurano legami di coordinazione con gli ioni metallici del sale. Ogni singolo catione è contemporaneamente connesso con più eteroatomi. Gli eteroatomi, ai quali un singolo catione è coordinato, possono appartenere a più di una catena polimerica; tali catene sono così connesse tra loro attraverso legami in comune con un catione. Ovviamente l’inglobamento dei cationi, che si legano ai gruppi elettrondonatori della/le catene polimeriche, comporta anche il corrispondente inglobamento dei relativi anioni per garantire l’elettroneutralità del polimero. A differenza degli elettroliti solidi tradizionali quindi, in quelli polimerici sia i cationi coordinati alle catene polimeriche che i corrispondenti anioni possono essere mobili. Per avere una sola specie ionica mobile è necessario immobilizzare l’altra; ciò e possibile o solubilizzando un sale con uno dei due ioni aventi grandi dimensioni (per cui non è in grado di muoversi all’interno delle fibre polimeriche) o utilizzando un polielettrolita nel quale una carica ionica è chimicamente legata alla catena polimerica principale. L’esempio più noto di elettrolita polimerico del primo tipo è basato sul polimero Poli(EtilenOssido) (PEO), ottenuto per polimerizzazione del glicole etilenico o dell’etilenossido (epossido). La catena polimerica vede quindi l’intercalazione di un ossigeno ogni due metileni, il quale è in grado di coordinare cationi metallici. Figura 2.8 Sintesi del PEO e schema per una transizione di fase per un polimero Il PEO è un polimero lineare ad alto grado di cristallinità (fino al 70-85% del polimero stesso), con una configurazione elicoidale. La temperatura di fusione della frazione cristallina (normalmente indicata con Tm, ma nella figura accanto è Tm’) è ~60 °C, l’entalpia di fusione è stimata intorno a 213.5 J g−1. La temperatura di transizione vetrosa è Tg  −60 °C. Come si vede nella figura 2.8, Tg è 28 la temperatura alla quale, raffreddando il polimero liquido (o un qualsiasi liquido in grado di dare questo comportamento), si arriva a temperature al di sotto della temperatura di fusione (alla quale si forma il solido cristallino), ottenendo un liquido sottoraffreddato che ha la distribuzione molecolare caotica tipica del liquido ed una viscosità via via maggiore, finché a Tg solidifica dando un solido amorfo, com’è appunto il vetro. Riscaldando quindi un polimero come il PEO, alla temperatura Tg la fase amorfa solida “fonde”, diventa cioè liquida, anche se con una elevata viscosità, per cui è più adeguato dire che diventa molle. Questo consente alle molecole di polimero di acquistare una discreta mobilità. Per diventare conduttore il PEO deve inglobare degli ioni. La presenza degli eteroatomi (in questo caso ossigeno) conferisce un’elevata costante dielettrica al polimero cosicché è possibile sciogliere un elettrolita in tale ambiente. Il polimero è caratterizzato infatti da due diverse costanti dielettriche a seconda della fase:   7.8 per quella amorfa e   4 per quella cristallina. Ha buone capacità complessanti e quindi solvatanti, conferitegli dagli eteroatomi presenti in catena, che sono in grado di coordinare fortemente i cationi, mentre gli anioni, generalmente di grandi dimensioni, stabilizzano il complesso polimero-sale. Questa proprietà rende il PEO una buona matrice negli elettroliti polimerici quali PEO-LiX. In questi complessi, lo ione Li+ viene solvatato dagli atomi di ossigeno del polimero stesso, realizzando una struttura tridimensionale chelante, che sottrae il catione dall’attrazione elettrostatica esercitata dall’anione. Ad esempio si è verificata la possibilità di sciogliere sali di Li come LiClO4 oppure LiCF3SO3 (“litio triflato”), che presentano anioni molto voluminosi, sciogliendo il PEO ed il sale di Li in acetonitrile, che poi si lascia evaporare, ottenendo una membrana sottile e omogenea, priva di fori. Il sale disciolto nella matrice polimerica fornisce le specie chimiche atte al trasporto della corrente. La dissociazione del sale nel polimero è dunque strettamente legata alla concentrazione dei portatori di carica e quindi alla conducibilità dell’elettrolita polimerico. In generale la dissoluzione di un sale è favorita da: - bassa energia reticolare del sale; - elevata energia di solvatazione del polimero; - elevata costante dielettrica del polimero. Quando si discioglie un sale in un solvente (solido o liquido), devono essere considerati sia i cambiamenti di entalpia che di entropia. Il contributo entropico alla dissoluzione è dato da: - un termine positivo dovuto alla rottura del reticolo cristallino del sale, con conseguente disordine degli ioni nel sistema; - un contributo negativo causato dall’irrigidimento delle catene polimeriche a causa del coordinamento del catione. I maggiori cambiamenti in termini entalpici sono: - incremento di entalpia, dovuto all’energia reticolare del sale, che deve essere fornita per la sua distruzione; - diminuzione di entalpia, dovuta alla solvatazione del catione. Negli elettroliti polimerici, poiché la perdita di entropia dovuta all’irrigidimento delle catene è superiore al guadagno dovuto al disordine ionico, complessivamente l’entropia di dissoluzione è negativa e il sale presenta associazioni ioniche al contrario di ciò che accade nei liquidi ad alta costante dielettrica. Tali associazioni complicano notevolmente l’interpretazione dei fenomeni di trasporto. La dissociazione del sale è favorita da una bassa energia reticolare. Questa dipende dalla densità di carica degli ioni, quindi dal raggio ionico. Tanto più è grande il raggio ionico tanto più è delocalizzata la carica e minore è la densità, quindi l’energia reticolare. Sali di litio (acido hard) con anioni poliatomici a carica singola come il CF3SO3− o il ClO4− (basi soft) saranno solubili nei polimeri come il PEO. Sali formati da cationi e anioni entrambi soft (AgI), non mostrano solubilità nel PEO. Infatti le interazioni più deboli tra cationi e anioni appartenenti a categorie diverse favoriscono la competizione per il catione sia da parte degli eteroatomi del polimero che dell’anione. Quindi gli anioni più appropriati per la formazione di elettroliti polimerici a base di PEO saranno nell’ordine: F−  Cl−  I−  SCN−  ClO4−  CF3SO3−  BF4−  AsF6−. 29 Figura 2.9 a) Struttura elicoidale del PEO e b) Moto cooperativo ioni-polimero La struttura del PEO-LiCF3SO3, è stata studiata mediante diffrazione di raggi X, concludendo che, in esso, le catene di PEO adottano una conformazione ad elica in cui sono localizzati gli ioni Li+. Ciascuno ione è coordi

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