Summary

This document discusses various types of dislipidemias, abnormalities related to lipid transport, caused by increased synthesis or delayed degradation of lipoproteins carrying cholesterol and triglycerides. The document also details primary and secondary hyperlipoproteinemias, with examples like familial hypercholesterolemia and familial combined hyperlipidemia. The document categorizes various factors and conditions affecting lipid metabolism, including genetic disorders, lifestyle factors, and associated diseases, and concludes with potential treatments including drug therapies.

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Le iperlipoproteinemie sono anomalie nel trasporto lipidico causate da aumento della sintesi o da ritardo nella degradazione delle lipoproteine che trasportano il colesterolo e i trigliceridi nel plasma. Possono essere dovute a malattie genetiche (primarie) e/o associate con altri disordini metaboli...

Le iperlipoproteinemie sono anomalie nel trasporto lipidico causate da aumento della sintesi o da ritardo nella degradazione delle lipoproteine che trasportano il colesterolo e i trigliceridi nel plasma. Possono essere dovute a malattie genetiche (primarie) e/o associate con altri disordini metabolici (secondarie). Le iperlipoproteinemie primarie possono essere clssificate in due grandi gruppi: Disturbi del singolo gene, che vengono trasmessi tramite meccanismi dominanti o recessivi semplici. Disturbi multifattoriali, con un modello ereditario complesso che colpisce diversi geni. L’ipercolesterolemia familiare è una malattia autosomica dominante dovuta a mutazioni del gene del recettore delle LDL (o dei suoi ligandi Apo B100/E) con conseguente aumento di queste lipoproteine nel plasma. È la più comune malattia monogenica (la forma eterozigote colpisce 1/500 persone). Le concentrazioni dei livelli dei trigliceridi e del colesterolo HDL sono di solito normali. In adulti con forme eterozigoti, la concentrazione di colesterolo totale oscilla di solito in un intervallo tra 300 mg/dL e 450 mg/dL (colesterolo LDL 220-320 mg/dL) e questi pazienti sono generalmente asintomatici no alla comparsa di un evento vascolare coronarico (probabilità del 50% prima dei 60 anni nei maschi e maggiore prevalenza nelle donne rispetto alla popolazione generale) o ricevono la diagnosi casualmente, dopo aver effettuato gli esami del sangue. In eterozigosi possono non essere presenti le lesioni cutanee tipiche delle forme omozigoti (xantelasmi, xantomi tuberosi e tendinei) (PC, 15 - 42). Queste ultime sono caratterizzate da uno spettro clinico più severo, con concentrazioni di colesterolo totale superiori a 500 mg/dL (può raggiungere i 1.000 mg/dL n dall’infanzia) e sviluppo di cardiopatia ischemica anche prima dei 10 anni d’età. L’ipercolesterolemia poligenica comune costituisce più dell’ 80% delle ipercolesterolemie primarie e differisce dalla familiare per diversi aspetti: il colesterolo totale solitamente non è più alto di 300-350 mg/dL (in media intorno a 265 mg/dL), non interessa più del 10% dei parenti di primo grado e non sono presenti xantomi tendinei. È una patologia molto comune nella popolazione generale, dipende da più alterazioni genetiche e i livelli di colesterolo sono influenzati molto dall’alimentazione. L’ipo-a-lipoproteinemia familiare è una condizione caratterizzata da bassi livelli di colesterolo HDL (< 35 mg/dL) e valori normali di colesterolo LDL (< 160 mg/dL) e trigliceridi (< 150 mg/dL). Oltre a vari fattori genetici (tra cui decit di Apo A-I, C-III), molti fattori ambientali sono responsabili della carenza di HDL, quali abitudini alimentari, obesità, sedentarietà. L‘ipertrigliceridemia familiare (poligenica) è una malattia autosomica dominante con una prevalenza alta (stimata tra 0,1 e 1% della popolazione) nella maggioranza dei casi si verifica un aumento della sintesi epatica di trigliceridi, ma non è stato identificato un singolo gene responsabile. La malattia è asintomatica ed è diagnosticata con il rilievo di ipertrigliceridemia solitamente compresa tra 200 mg/dL e 500 mg/dL nel paziente e nei parenti di primo grado, con un modello di ereditarietà AD. In tutti i pazienti si dovrebbero escludere cause secondarie dell’ipertrigliceridemia. Il riscontro d’ipercolesterolemia in qualsiasi momento della storia clinica suggerirà la diagnosi d’iperlipidemia familiare combinata. La terapia consiste in misure igienico-dietetiche e fibrati quando la concentrazione di trigliceridi supera i 500 mg/dL, per il rischio di pancreatite. L’iperlipidemia familiare combinata è la più frequente causa genetica di iperlipidemia. È caratterizzata dalla presenza di iperlipidemie multiple (elevazione del colesterolo LDL, ipertrigliceridemia o entrambe, così come diminuzione del colesterolo HDL). Questi pazienti sono ad alto rischio di sviluppare aterosclerosi e DM2. La cardiopatia ischemica è comune (in quarta decade nei maschi e quinta nelle donne), infatti il 20% dei pazienti con cardiopatia ischemica prima dei 60 anni presenta iperlipidemia familiare combinata. A seconda del fenotipo predominante, statine o brati, in monoterapia o terapia combinata, sono la base della farmacoterapia. Ipertrigliceridemia familiare da de cit di LPL o di Apo C-II (cofattore della LPL) è una dislipidemia rara, a trasmissione autosomica recessiva. Si presenta con episodi di dolore addominale acuto, xantomatosi eruttiva e lipemia retinalis. La Tabella 7.6 offre una panoramica delle principali dislipidemie familiari. Le iperlipoproteinemie secondarie sono quelle associate ad altri disordini metabolici. È sempre necessaria la loro esclusione nella valutazione del paziente con iperlipidemia. Alcune delle più caratteristiche sono: Contraccettivi orali: aumento del colesterolo. Gravidanza: aumento del colesterolo. Ipotiroidismo: aumento del colesterolo. Sindrome di Cushing: aumento del colesterolo. Sindrome nefrosica: aumento del colesterolo. Cirrosi biliare primitiva (e altre patologie della via biliare): aumento del colesterolo. Obesità: aumento dei trigliceridi e del colesterolo. Alcolismo: aumento dei trigliceridi. Inibitori delle proteasi virali: aumento dei trigliceridi. Nel DM2, il modello più comune di dislipidemia è rappresentato da un’ipertrigliceridemia (da eccesso di produzione di VLDL), con abbassamento del colesterolo HDL e presenza di particelle LDL piccole e dense, più suscettibili all’ossidazione e alla glicazione e, pertanto, più aterogeniche. Nel DM1 ben controllato (con insulina), i livelli dei lipidi del plasma sono simili a quelli della popolazione generale. La priorità nel trattamento della dislipidemia diabetica è l’adeguato controllo dei livelli di LDL. Molti farmaci producono iperlipidemia come effetto collaterale (es. estrogeni, retinoidi, glucocorticoidi, tiazidici e ciclosporina). Fra questi, hanno acquisito maggiore rilevanza gli inibitori delle proteasi utilizzati nel trattamento dell’infezione da HIV (HAART), che sono stati associati con una sindrome metabolica caratterizzata da ipertrigliceridemia (anche molto elevata), ipercolesterolemia (solitamente lieve-moderata), resistenza all’insulina con iperinsulinemia, lipodistrofia e ridistribuzione del grasso corporeo Dati epidemiologici stabiliscono che c’è una proporzionalità diretta tra livelli di colesterolo totale e rischio di un evento coronarico. Nei pazienti con dislipidemia, in assenza di malattia cardiovascolare nota, saranno raccomandate misure igienico-dietetiche al ne di migliorare il pro lo lipidico e controllare gli altri fattori di RCV. La terapia con statine in prevenzione primaria ha dimostrato di diminuire del 20-30% l’incidenza di eventi cardiovascolari, effetto dimostrato per nessun’altro farmaco. In prevenzione secondaria, insieme alle misure igienico-dietetiche, in pazienti con malattia coronarica o equivalenti che si trovano al di sopra degli obiettivi di controllo delle LDL, si dovrebbe iniziare immediatamente il trattamento con una statina. I pazienti con sindrome coronarica acuta devono essere trattati con statine ad alte dosi. Se un paziente non tollera le statine, deve essere somministrato un altro ipolipemizzante, anche se non ci sono prove evidenti del bene cio sulla riduzione degli eventi cardiovascolari per i farmaci diversi dalle statine. Se invece le statine alla dose massima tollerata non sono sufficienti nel controllo dei valori di LDL, si possono associare altri ipolipemizzanti. Ci sono numerose e differenti raccomandazioni sulla gestione delle dislipidemie e dei loro obiettivi. La società europea di cardiologia (ESC) e quella di aterosclerosi (EAS) basano la stratificazione del paziente secondo il RCV e, a seconda di questo, impostano gli obiettivi terapeutici. Il calcolo del RCV viene eseguito tramite tabelle di punteggio (che stimano il rischio di un evento fatale aterosclerotico a 10 anni). Sono disponibili diverse tabelle, come ad esempio quelle SCORE (Systematic Coronary Risk Evaluation), basate sul colesterolo totale e distinte per popolazioni europee ad alto e basso rischio (come l’Italia) (Figura 7.2). Una nuova versione (SCORE2) si basa invece sul colesterolo non-HDL e distingue i paesi europei in 4 fasce di rischio (basso, moderato, alto, molto alto; Italia in rischio moderato). L’obiettivo principale del trattamento è il colesterolo LDL e, in alcuni casi, anche altri marcatori. Nel 2019, le ultime linee guida europee ESC/EAS hanno adottato come rife- rimento valori di LDL molto più stringenti. Vengono identifi cate le seguenti categorie (Tabella 7.7 e Tabella 7.8): Pazienti a rischio molto alto (mortalità cardiovascolare a 10 anni > 10%): ridurre LDL almeno del 50%, obiettivo: < 55 mg/dL; se secondo evento vascolare entro 2 anni, LDL < 40 mg/dL; Pazienti ad alto rischio (mortalità cardiovascolare a 10 anni tra 5 e 10%): ridurre LDL almeno del 50%, obiettivo: < 70 mg/dL; Pazienti a rischio moderato (mortalità cardiovascolare a 10 anni tra 1 e 5%): obiettivo: LDL < 100 mg/dL; Pazienti a basso rischio (mortalità cardiovascolare a 10 anni < 1%): obiet- tivo: LDL < 116 mg/dL; Le linee guida dell’American College of Cardiology e dell’American Heart Association (ACC/AHA) identificano invece una serie di categorie di pazienti a diverso grado di rischio (escludendo popolazioni speciali quali pazienti con insufficienza cardiaca classi NYHA II/IV e pazienti in emodialisi) e le rispettive dosi appropriate di statine da utilizzare, nella maggior parte dei casi indipendentemente dal RCV a 10 anni e senza un valore target di LDL. Le ultime pubblicate nel 2018 identificano ad esempio: Pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica (sindrome coro-narica acuta, storia di IMA, angina, ictus, TIA, rivascolarizzazione o arteriopatia periferica). Terapia ad alta intensità. Ridurre LDL il piu possibile (almeno il 50%). Pazienti ad altissimo rischio CV (multipli eventi cardiovascolari, o sin-golo evento con molteplici fattori di rischio). Terapia ad alta intensità. LDL < 70 mg/dL. Pazienti con LDL > 190 mg/dL. Terapia ad alta intensità. LDL < 100 mg/dl. Pazienti diabetici di età compresa tra 40-75 anni e LDL tra 70-189 mg/dL. Terapia di moderata intensità. Se rischio alto (più fattori di rischio, oppure età 50-75 anni) preferibile elevata intensità. Pazienti con RCV stimato superiore al 7,5%, LDL tra 70-189 mg/dL, assenza di diabete e malattie cardiovascolari conclamate. Terapia di intensità moderata. Ridurre LDL almeno del 30% (se alto rischio almeno del 50%). Trattamento non-farmacologico La prima fase del trattamento di tutte le iperlipoproteinemie è la dieta. Se è presente sovrappeso, la dieta deve essere ipocalorica e povera di grassi saturi (animali) (< 7% dell’apporto calorico totale), che devono essere sostituiti da grassi polinsaturi, monoinsaturi e a basso contenuto di colesterolo (< 300 mg/die). Il consumo di acidi grassi ω-3 è associato ad una diminuzione della concentrazione dei trigliceridi e presenta un effetto antiaggregante e antiaritmogeno. Il secondo obiettivo terapeutico è quello di eliminare i fattori aggravanti: controllo metabolico stretto del DM e dell’ipotiroidismo, astinenza dall’alcool, controllo pressione arteriosa, astinenza dal fumo, esercizio fisico adeguato, ecc. Terapia farmacologica Qui di seguito sono riassunti i principali gruppi di farmaci e il loro meccanismo d’azione: Resine (colestiramina, colestipolo). Legano gli acidi biliari nell’intestino, bloccandone il ricircolo enteroepatico e riducendone quindi la quantità totale. In tal modo determineranno una riduzione del colesterolo, che sarà impiegato per la loro sintesi. Gli effetti collaterali più importanti sono gastrointestinali (diarrea). Statine (SSM, 19 - 68).Inibiscono l‘enzima HMG-CoA reduttasi, bloccando di conseguenza la sintesi di colesterolo endogeno. Ciò stimolerà l’aumento dei recettori per le LDL, favorendo l’eliminazione del colesterolo dal plasma. Atorvastatina e rosuvastatina sono le più potenti e producono anche una concomitante diminuzione di trigliceridi (principalmente rosuvastatina). Combinando statine con fi brati può aumentare il rischio di grave miopatia inclusa la rabdomiolisi. Le statine sono controindicate nei bambini e nelle donne in gravidanza. Atorvastatina e fl uvastatina hanno escrezione renale minima e sono quindi consigliate in caso di insufficienza renale. Diversi studi hanno mostrato un effetto diabetogeno delle statine, tuttavia questi dati necessitano di ulteriori conferme. Ezetimibe (SSM, 18 - 79).Inibisce l’assorbimento intestinale di colesterolo ed è indicato soprattutto in associazione con le statine oppure in monoterapia in presenza di intolleranza alle statine. Presenta scarsa distribuzione sistemica. Fibrati. Agiscono legandosi ai recettori nucleari PPAR a, inibendo la produzione di VLDL e aumentando il loro smaltimento (in questo modo riducono principalmente i livelli dei trigliceridi). Gli effetti secondari principali sono sull’apparato gastrointestinale, e inoltre aumentano l’incidenza di colelitiasi. Sono anche associati a disfunzione epatica e muscolare, così come le statine. In caso di associazione con le statine, si utilizza generalmente il fenobrato. Acido nicotinico (niacina). Il meccanismo d’azione di questo composto non è noto con esattezza. Riduce la sintesi diretta di VLDL ed è il farmaco che aumenta maggiormente i livelli di HDL. Gli effetti collaterali sono molto frequenti e includono l’aumento dei livelli di glucosio e acido urico e la comparsa di eritema cutaneo. La commercializzazione dell’associazione di niacina con laropiprant (antagonista del recettore delle prostaglandine D2 che ha ridotto l’incidenza di effetti avversi) è stata sospesa nel 2013 poiché il suo utilizzo presentava un rapporto rischio/benecio sfavorevole. Inibitori PCSK9. Sono anticorpi monoclonali che agiscono su PCSK9, proteina prodotta principalmente dal fegato (in misura minore da rene, SNC, pancreas endocrino, intestino tenue) e coinvolta nella degradazione del recettore delle LDL a livello epatico. La sua inibizione aumenta quindi l’espressione del recettore delle LDL sulla superficie dell’epatocita favorendo il catabolismo delle LDL. Vengono somministrati sottocute ogni 2 settimane (alirocumab, evolocumab) oppure ogni 4 (evolocumab). Gli studi hanno evidenziato una riduzione delle LDL tra il 50% ed il 70%. Al momento, hanno indicazioni limitate per via degli alti costi. Si possono utilizzare in associazione ad altre terapie ipolipemizzanti o in monoterapia (se intolleranza alle statine). Gli effetti collaterali più frequentemente riportati sono sintomi simil-influenzali ed infezioni delle vie aeree superiori di grado lieve. Inclisiran è un nuovo inibitore di PCSK9, recentemente approvato. Si tratta di una molecola di siRNA (small- interfering RNA) in grado di legarsi all’RNA messaggero del gene PCSK9, favorendone la degradazione. Agisce quindi silenziando l’espressione genica. Può essere somministrato ogni 6 mesi. Acido bempedoico. Farmaco recentemente approvato dall’AIFA per il trattamento dell’ipercolesterolemia, in associazione o in monoterapia. Questa molecola viene attivata a livello epatico ed inibisce selettivamente l’enzima ATP citrato liasi (ACL), che agisce nella sintesi del colesterolo (a monte del target delle statine). La riduzione del colesterolo LDL riportata dai pochi studi effettuati è tra il 17 ed il 28%. Tra gli effetti avversi più frequenti sono stati segnalati iperuricemia e anemia

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