Dinamica del Microbioma PDF
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Questo documento fornisce una panoramica sui concetti generali del microbioma, descrivendolo come un insieme di microrganismi ubiquitari che vivono in ambienti diversi. Si discute di concetti come nicchie ecologiche, microbiota, metagenoma e olobionte. Specificamente, il documento evidenzia come il microbioma sia dinamico, influenzato dall'ambiente circostante e dalle interazioni con l'ospite, e come le differenze nel microbioma possano essere collegate a vari stati di salute.
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MICROBIOMA: CONCETTI GENERALI La parola ambiente va relazionata alla scala. Per un microrganismo tutto è ambiente. Anche i singoli distretti che compongono l’ambiente sono ambienti. In una pianta le foglie sono un ambiente diverso rispetto ad un fiore. In tutto questo bisogna considerare che anche g...
MICROBIOMA: CONCETTI GENERALI La parola ambiente va relazionata alla scala. Per un microrganismo tutto è ambiente. Anche i singoli distretti che compongono l’ambiente sono ambienti. In una pianta le foglie sono un ambiente diverso rispetto ad un fiore. In tutto questo bisogna considerare che anche gli animali sono ambiente, anche noi siamo ambiente per i microrganismi, non in quanto persone singole ma inquanto insieme di distretti diversi (bocca, intestino, ecc, per un microrganismo questi sono ambienti nettamente diversi). I microorganismi sono UBIQUITARI. Non ci sono barriere per i microrganismi. Cioè, il singolo organismo potrà vivere solo in un certo ambiente, ma in sostanza esiste un microrganismo per qualsiasi ambiente. Pasteur è il primo che li ha scoperti, li considerava solo veicoli di una malattia, scoprì un mondo nuovo. C’è un assioma in biologia che ci dice che per ogni composto c’è un microrganismo che lo degrada. Questo è uno dei motivi per cui l’antibiotico resistenza ambientale è un problema. Non è solo il fatto che noi abbiamo assunto antibiotici più del dovuto, ma è anche il fatto che ci sono aziende farmaceutiche che riversano grossi quantitativi di antibiotici nell’ambiente (es in India) quindi c’è una grossa pressione selettiva sui microrganismi in grado di resistere a quelle molecole lì. Dall’altro lato questa cosa è positiva perché ci sono ad es microrganismi in grado di degradare gli idrocarburi, quindi se c’è un grosso sversamento di idrocarburi ci sono per fortuna dei microorganismi che li possono degradare. Il problema è che degradando quel composto devo poi vedere in cosa lo degrada, è ovvio che non sparisce nel nulla. DEFINIZIONI GENERALI: Dato un ambiente x (mucca, uomo, formica in un bosco), questo ambiente è fatto da piccole nicchie ecologiche, che potremmo suddividere all’infinito. In quelle nicchie ecologiche vivranno dei microrganismi. Quando si parla di microrganismi che vivono in una determinata nicchia si usa il termine MICROBIOTA, quindi è il singolo organismo che ci sta, nome e cognome Ognuno di questi microrganismi avrà un genoma. Quando non ci si riferisce più ai singoli organismi, ma al contenuto genomico totale id una comunità si usa il termine METAGENOMA. Meta che significa? Se io faccio una foto a una persona che fa una fotografia, io sto facendo una metafotografia Metagenoma si intende così: genoma di tanti organismi. MICROBIOMA: vuol dire o microbiota o metagenoma in base al contesto di riferimento (serviva avere una parola che includesse entrambi i concetti, racchiude entrambe le parole) Se io considero i microrganismi e il loro organismo ospite (artropodi, ruminanti, uomo, piante) parlo di OLOBIONTE, ovvero un unico elemento biologico che racchiude sia l’ospite sia tutti gli organismi che ci vivono sopra. OLOGENOMA= genoma dell’ospite più il genoma dei microrganismi. A che servono queste definizioni? Se io ho ambienti diversi, le varie nicchie dell’ospite dovranno sopperire a funzioni diverse, quindi ci troverò microrganismi diversi. Se io considero intestino umano io ho grossi tratti che hanno bassissimi livelli di O2, se considero i polmoni no. Tendenzialmente quindi su un polmone di un individuo sano troverò pochi microrganismi o comunque cose transitorie. Non a caso tutti i patogeni anaerobi che danno la polmonite tendono a stabilizzarsi sul polmone e creare ambiente anossico. Quindi in parte è l’ambiente che seleziona, in parte è anche il microrganismo che modifica l’ambiente per cercare di viverci meglio. L’uomo quindi ha microbioma molto diverso dipendentemente dal distretto che considero. Anche come numero di specie presenti la cosa varia Si possono definire zona a bassa diversità e ad alta diversità nel singolo individuo Nell’uomo potrò avere zone molto diverse, ad es zone ad alta diversità come la bocca, la lingua, la gola, e zone a bassa diversità come le narici ad esempio. Tutti noi viviamo costantemente immersi dentro un mondo di microrganismi. È logico pensare, che siccome non ci ammaliamo costantemente tutti, questi microrganismi non sono tutti nocivi nei nostri confronti ma qualcuno stabilisce dei legami con noi, quindi noi ci portiamo dietro i microrganismi e questi ultimi hanno piacere a stare contatto con noi. ➔ Si stabiliscono relazioni simbiontiche. Queste relazioni durano per il processo evolutivo Quando si parla di olobionte, infatti, si intende l’unità su cui agisce la pressione selettiva. Quindi la pressione selettiva agisce sull’uomo e anche su tutti gli organismi che ci vivono. Quello che sappiamo è che da una generazione all’altra ci portiamo dietro qualche microrganismo. Una delle più documentate è nell’uomo: quando si partorisce, parte del microbioma della madre passa al figlio, un po’ durante il parto un po’ durante l’allattamento. Dopo il passaggio di n generazioni (100, 200) è vero che noi passiamo verticalmente dei microrganismi di generazione in generazione, ma noi siamo costantemente a contatto con microrganismi in base all’ambiente in cui ci troviamo. Vivere in un ambiente incontaminato o a Hong Kong, sicuramente cambia il rapporto con i microrganismi sia in termini di quantità che di modalità con cui entrerò in contatto con i microrganismi. Quelli che si passano verticalmente (di generazione in generazione) sono una minima parte Il fatto che io entro in contatto con un microrganismo implica che io mi porterò dietro le sue capacità metaboliche. Il microbioma ci dà o ci fa perdere tutta una serie di geni (o funzioni metaboliche). Qualcosa prenderemo dall’ambiente e qualcosa cederemo. Tendenzialmente ci comportiamo come se noi fossimo un cellulare. Cellulare ha un sistema operativo, e avrà una serie di funzionalità native (chiamate, messaggi, note, mail). Molte di queste saranno inutili o utili a seconda di chi compra il cellulare. Per questo i cellulari sono customizzabili, posso installare le funzioni che mi servono o eliminare quelle che non mi servono. Se voglio estendere ancora di più questa cosa posso avere un caricatore esterno, un USB, ecc.. Arriverò ad un punto in cui il cellulare non soddisferà più le mie esigenze, arriva a fine vita, non mi basta più. A quel punto compro un cellulare nuovo. Purtroppo i cellulari siamo noi. Quando noi cominciamo a non servire più a nulla, siamo obsoleti, ci scambiamo con la generazione successiva. Il cellulare evolve dalla generazione precedente a quella successiva in modo piuttosto lento, viceversa quello che io ci installo o dispositivi accessori posso cambiarli molto più rapidamente. Il microbioma funziona nell’esatto identico modo. Io seleziono dei microrganismi quando mi servono e li espello quando non mi servono più. Un esempio di questo è il seguente: subject A: tizio che si è auto-campionato il proprio bioma fecale (intestinale) tutti i giorni per un anno. Ogni riga è un microrganismo e il colore ci dice se ce ne è di più o di meno del normale. A destra vediamo il campionamento della saliva sempre del soggetto A. Il punto qual è: ci sono dei punti particolari. Nelle zone evidenziate vediamo il periodo in cui è andato all’estero. Quando è andato all’estero il suo profilo microbico dell’intestino è cambiato completamente. Così come quello della saliva. Questo succede perché di fatto se io vado in un paese che non è il mio, cambio alimentazione, l’organismo deve tutelarsi, deve mantenere una certa plasticità, i microrganismi cambiamo così da preservare il proprio ospite. Diarrea del viaggiatore (anni 30): vendevano cartine con dentro una specie di astringente perché per i primi due/tre giorni ci stava di avere la diarrea. Oggi succede se vai in Egitto e bevi acqua dalla cannella. Questo è un meccanismo che è come un campanello d’allarme: mi dice che qui sta cambiando qualcosa, i microrganismi è come se resettassero tutto e ricominciassero da capo. Mi svuoto l’intestino e lo riempio di microrganismi diversi che prendo nel posto in cui sono andato. Quando è tornato in patria la situazione è tornata praticamente come quella di prima. Quindi vivere all’estero anche per un piccolo periodo di tempo può drasticamente impattare la composizione del microbioma. Esiste una teoria: TEORIA DELL’EVOLUZIONE DELL’OLOGENOMA: È una teoria ancora soggetta ad interpretazione, a volte interpretata male, a volte meglio. Organismo ha un genoma, il suo genoma avrà dei geni dentro. L’organismo ha anche dei microrganismi e quindi un ologenoma. - I geni in blu e i microrganismi in blu sono quelli che influenzano i fenotipi sia dell’organismo sia dell’ospite, sono quelli con i quali stiamo coevolvendo. - Quelli in rosso sono microrganismi che NON coevolvono con noi ma che comunque impattano il nostro fenotipo. Quindi qualcosa che ho preso e selezionato perché in quel momento mi serviva per portare a termine un determinato processo. - La maggior parte delle cose sia nel genoma sia nei microrganismi è nera, e sono geni e microrganismi che si ignorano a vicenda, sono irrilevanti. Roba che quindi non influenza noi e noi non la influenziamo. Vengono spesso chiamati microrganismi transienti. Aumentano il rumore di fondo quando si fanno le analisi sul microbioma, sono un problema quando si cerca di capire cosa cambia tra due condizioni diverse. Quelli di cui parlavamo prima (del discorso di andare all’estero) sono quelli rossi. Io posso scambiare elementi con l’ambiente circostante. Nella maggior parte dei casi saranno elementi neri, quindi roba ininfluente che va e che viene. In una piccola parte dei casi sono rossi, quindi cose che prendo dall’ambiente e che in quel momento mi comportano un vantaggio. In casi molto molto poco probabili potrei anche scambiare un blu, e quindi essere i primi ad entrare in contatto con un microrganismo con cui poi evolverò, e da lì passarlo ai miei figli. Non si può quindi considerare il microbioma come qualcosa di statico. Ecco perché i test per il microbioma non hanno molto senso, cioè non esiste un microbioma giusto o sbagliato, dipende dalla circostanza. È difficile con delle fotografie statiche fare inferenza su un qualcosa che è dinamico. Individui con il loro microbioma posso differenziarli in individui malati/sani, capire quali sono le differenze, ma comunque rimango sul catalogare individui in categorie. In realtà si è visto che il microbioma è DINAMICO. Si muove all’interno di uno spazio indefinito che viene considerato sano. Quindi si muove continuamente in uno spazio adimensionale, in una condizione di “minimo”, nella quale funziona bene. Può arrivare una perturbazione x che fa sì che il mio microbioma rimbalzi fuori e che si trovi in un altro minimo ma diverso rispetto a quello di prima. In ogni rimbalzo cambiano i rapporti tra microbioma e ospite In alcuni casi invece uno sbalzo potrà farlo andare in un altro minimo che però non è più sano, è una condizione non favorevole. E da lì potrebbe non uscire più. Come si studia questa cosa? Bisogna studiare dei sistemi dinamici, ovvero equazioni differenziali. Fare dei modelli che mi dicano che il mio bioma, tra 100 giorni, potrebbe fare questo determinato salto, in modo da predire le perturbazioni. Questa cosa qui in clinica va sotto il nome medicina personalizzata. MICRORGANISMI I microrganismi sono una delle componenti principali della vita sulla terra. Si trovano pressoché ovunque e nella stragrande maggioranza dei casi hanno un ruolo. Il ruolo principale è quello di sopravvivere e moltiplicarsi, altre volte riescono a instaurare delle relazioni anche non così dirette. I cicli biogeochimici (che fanno sì che azoto, ossigeno, ecc si scambino) sono tutti a carico dei microrganismi In caso di associazione con organismi superiori si è visto che instaurano delle relazioni, influenzano lo stato di salute degli organismi con cui vivono a contatto. Negli anni più si va avanti più ci sono evidenze che esista un’asse che negli animali parte dall’intestino e arriva fino al cervello: c’è questa cosa perché i microrganismi intestinali sono in grado di alterare la percezione del gusto in relazione al loro fabbisogno nell’intestino, cioè quando hanno bisogno di zucchero mandano uno stimolo che dice al cervello “hai bisogno di mangiare zuccheri”, io mangio gli zuccheri così a loro gli arrivano. Si organizzano in comunità complesse composte da batteri, funghi, virus, alghe, protozoi e archaea. Nelle comunità microbiche si trovano gli eucarioti (i lieviti sono eucarioti, così come le alghe). Oltre a cellule procariotiche e eucariotiche ci si trovano anche i virus. I virus sono particolari perché io dal DNA ambientale non posso estrarre un virus. L’unico modo per vedere se un virus c’è è dargli l’ospite. Nella categoria dei virus troviamo anche i batteriofagi, che quando si parla di DNA ambientale sono un po’ un problema, perché quando io prendo un DNA ambientale e cerco di ricostruire un DNA batterico, se è presente un batteriofago è difficile che io riesca a distinguere se il batteriofago è presente come organismo a sé stante o integrato nel genoma del batterio. Teoricamente fanno parte di queste comunità anche i protozoi, noi non lo vedremo nello specifico, se ne occupano gli zoologi. Anche gli Archea ci sono: sono un po’ la mosca bianca della biologia, non si è ancora capito bene da che parte stiano, anche perché in una banca dati qualunque il numero di genomi di archea presenti è bassissimo rispetto a quello dei batteri. Se ne sa poco anche perché sono poco studiati, e sono poco studiati perché crescono in condizioni molto sfavorevoli sia per il campionamento che per altri tipi di analisi che si possono fare, vivono in ambienti estremi. Capire come queste comunità si comportano e si modificano in risposta a diversi stimoli è un lavoro molto complesso CIOCCOLATO È un alimento fermentato. Non esisterebbe cioccolato senza microrganismi. Nella produzione del cioccolato (polvere/barrette) c’è tutta una fase dove la parte vegetale della pianta del cioccolato viene fermentata ad opera di comunità di microrganismi anche molto complesse. Non è banale. Anche perché se considero ocme il cioccolato nasce da una pianta, è completamento diverso da una barretta di cioccolato Altra sostanza è il CAFFE’. Anche il caffè è fermentato, se non ci fossero microrganismi difficilmente riusciremmo ad averlo così come lo assumiamo noi. Altro alimento fatto dai microrganismi è l’ETANOLO, in particolare diversi lieviti producono etanolo, noi non lo sappiamo produrre. Per quanto gli enzimi del nostro fegato siano gli stessi presenti in questi lieviti, quelli dei lieviti riescono a degradare l’etanolo ma lo sintetizzano anche, i nostri invece lo degradano e basta. Se io aggiungo lo zucchero a una bevanda alcolica non è vero che aumenta la gradazione! Per il semplice motivo che se io butto dentro lo zucchero, se ho dentro microrganismi che fermentano questo zucchero in etanolo allora aumenta la gradazione, ma se io no ho questo tipo di organismi non succede niente, semplicemente mi si scioglie lo zucchero. Quello che potrei fare è dentro un vino, ancora attivo, se ci butto dentro un quantitativo corretto di zucchero (che non fermi la fermentazione), può darsi che produca un pochino in più di etanolo. Ma se io prendo una bottiglia di vino, in tutte c’è scritto “contenente solfiti”. Che fanno i solfiti? Stoppano la fermentazione, interagiscono con lieviti, batteri ecc e fermano la fermentazione. Un vino che contiene solfiti non andrà mai in aceto. Farà più schifo perché si ossida, ma non andrà mai in aceto. Se invece io prendo il “vino del contadino”, che non ha messo solfiti e lo lascio all’aria quello va in aceto, perché si produce acido acetico (processo fermentativo). Mappe in cui la parte della terra è il vegetation index, più è verde più vegetazione c’è, quindi più O verrà prodotto. Nel mare questa cosa non si può fare così direttamente, si rappresenta come concentrazione in grammi al metro cubo di clorofilla, viola basse concentrazioni, rosso alte concentrazioni Come si vede da questa mappa per quanto le concentrazioni di clorofilla non siano altissime nell’oceano, a livello di estensione sono molto più alte di quelle terrestri. Anche la foresta Amazzonica non è che produca poi così tanto ossigeno. Il ciclo biogeochimico dell’ossigeno è quasi completamente delegato ai microrganismi che stanno nell’acqua Se io prendo dell’acqua, ci trovo dentro il così detto plancton oceanico, c’è di tutto lì dentro. Si stima che il 50% almeno dell’O presente sul pianeta sia fatto dai microrganismi oceanici (fitoplankton oceanico). Nel plancton c’è di tutto, sia alghe microscopiche, ma anche microrganismi fotosintetici, quindi in grado di produrre O Il problema è che sia dalla parte dei microrganismi che da quella delle piante, quando si considera la produzione di O, non esiste un modo per eliminare una cosa a costo zero. Non posso prendere una molecola di CO2 e farla scomparire. Per sottrarla all’ambiente la devo trasformare in qualcos’altro. Quando la CO2 viene immagazzinata in piante e organismi da qualche parte deve andare a finire. Le piante la fissano dentro la lignina e gli serve per crescere. Finiscono di assorbire quantità alte di CO2 mano a mano che invecchiano. Un albero vecchio non assorbe praticamente più CO2, non gli serve più per crescere. Inoltre gli alberi più vecchi attirano di più i fulmini, la lignina lo spinge in qualche modo ad essere bruciato. Il microrganismo oceanico produce acido carbonico. Ingloba CO2 e produce ossigeno e acido carbonico, responsabile dell’acidificazione degli oceani: pH sempre più basso con conseguente moria di determinati pesci, esplosione di alghe, ecc… Principale responsabile della produzione di O negli oceani è il Prochlorococcus, ci sono 2000 specie di questo essere che però fanno più o meno tutte la stessa cosa, cioè ha la clorofilla, è fotosintetico, produce O2. 80.000 geni si stima siano quelli usati da Prochlorococcus, quindi veramente tanti, circa 4 volte il totale del genoma umano. 220 milioni: numero di maggiolini Voltswagen che corrisponderebbero alla massa di Prochlorococcus nell’oceano a livello di peso. Se si isola solo questo genere e si va a vedere il bilancio netto di O, rappresenta il 5% di O totale prodotto sul pianeta. Solo lui. Un genere di microrganismo. PRODUZIONE DI CACAO Produzione estensiva, ci sono alcuni paesi che basano quasi esclusivamente la loro economia su questo Negli ultimi anni il consumo di cacao è aumentato talmente tanto che in alcuni casi mancava la materia prima Produzione: si parte dall’albero di cacao, lo si fa crescere fino a che i frutti non sono maturi, poi si raccolgono, si aprono, e si fa fare la fermentazione. La fermentazione classica la si faceva su una foglia di cacao). Dopo un processo fermentativo gli step dopo sono quelli che porteranno alla produzione della pasta di cacao, o polvere di cacao, i semi vengono asciugati, non c’è più nulla dell’ambiente di fermentazione. Verranno tostati. Poi il cacao viene polverizzato. Tanto più fine è la polvere, meglio saranno i prodotti. Poi verrà temperato (sciolto). Dopodiché assemblato, impacchettato e venduto. Cioccolato bianco: viene ottenuto dalla lavorazione del cacao e sono i grassi del cacao che non sono “così importanti” per la produzione finale. A questo viene aggiunto latte in polvere e zucchero e vengono prodotte queste barrette. È più calorico il cioccolato fondente o il bianco? Il cioccolato fondente è di fatto una barretta di grasso vegetale. Il cioccolato bianco è una barretta di zucchero. Di base chi si mangia il cioccolato bianco prende meno calorie, più la % di fondente è alta e più è calorico. Il cacao è una delle cose più caloriche al mondo. Vediamo più nel dettaglio la fermentazione: Dura dai 2 ai 10 giorni a seconda del tipo di produzione. Durante queste fasi cambiano i rapporti tra microrganismi Inizialmente saranno presenti alcuni microrganismi che l’ambiente di fermentazione ha preso dall’ambiente circostante, quindi microrganismi presenti nell’ambiente di produzione del cacao. Man mano questi organismi cambieranno l’ambiente di fermentazione, producendo cose e mangiandone altre, fino a che non si creeranno condizioni per l’esplosione di altri microrganismi presenti. Di fatto le fermentazioni sono una lotta tra microrganismi, vince chi si duplica di più e chi esaurisce i nutrienti nel minor tempo possibile. Yeast phase: All’inizio i più presenti saranno i LIEVITI. Le muffe sono sempre le prime ad arrivare, perché hanno caratteristiche particolari che le rendono buoni colonizzatori. La prima fase viene infatti chiamata Yeast phase ,fase dei lieviti. I generi più presenti sono 3, tra cui Saccaromyces (quello della produzione di etanolo) Infatti questi 3 sostanzialmente producono etanolo, iniziano a fare una serie di precursori dell’aroma e de lgusto e sono responsabili anche del 3° step cioè quello di produrre enzimi peptinolitici; a cosa servono? Servono a rompere la parte vegetale del seme del cacao (la peptina sta nel seme). Cominciano quindi a dare noia anche alal parte vegetale, non solo al rivestimento esterno. Questa fase dura un giorno ed è anche per questo che l’etanolo nel cioccolato non è mai eccessivo, in 24 h non si fanno grandi quantitativi. LAB phase: Lab sta per batteri acido lattici, quindi producono acido lattico. Già si assiste a una dinamica del microbioma. C’è acidificazione dell’ambiente di fermentazione. Nella lab a opera del batterio che produce acido lattico (lactobacilli, che sono quelli che si prendono dalla madre quando allatta). Le peptine hanno prodotto fruttosio. Qui il fruttosio viene usato da questi microrganismi per produrre acido lattico. Iniziano a prodursi anche qui tutta una serie di precursori del gusto del cioccolato ad opera di questi batteri Ovviamente lo stacco tra la yeast phase e la LAB phase non é così netto a 24h. I lactobacilli si creano ambiente favorevole a loro, con un pH al quale i lieviti ad esempio non ci stanno bene. I lactobacilli, creando sempre più acido lattico si creano ambiente favorevole a loro. Nell’ambiente di reazione non ci sono solo loro. L’abbassamento del pH spinge anche altri organismi a riprodursi, primo tra tutti Acetobacter. AAB phase: Batteri che producono acido acetico, come Acetobacter. Mano a mano che si abbassa il pH prende etanolo e comincia a farci acido acetico. L’acido acetico è più potente dell’acido lattico, l’ambiente di fermentazione si abbassa ancora di più. I lactobacilli faranno sempre più fatica a starci, mentre i batteri acetici ci stanno bene, lo preferiscono. Quindi aumentano i batteri acetici. (Lo stacco tra la fase LAB e la AAB non è così netto, non è preciso a 72h). Qui si ha morte finale dell’embrione della pianta. Questi, che no i più lenti a partite (partono dopo 72h) poi hanno vita più facile, il pH è così basso che è difficile che ci siano altri microrganismi che possano soppiantarli. Vanno quindi avanti per parecchio. Per arrivare alla ultima fase devono passare 120h. Fase degli sporigeni: Alcuni microrganismi che avevano visto che non era aria, non era un ambiente giusto per loro, sporificano, cioè si trasformano in una specie di particella inerte, azzerano il metabolismo; arrivati a quel punto decidono che è arrivato il momento di soppiantare i batteri acetici. Quando finisce etanolo infatti non riusciranno più ad andare avanti bene i batteri acetici. A quel punto quindi questi altri microrganismi escono dallo stato di spora e prendono piede loro. Uno di questi è il genere Bacillus. Qui essenzialmente vengono prodotti tutti i composti volatili che stanno nel cacao. Gli organismi che sporificano sono un problema anche per noi. Cioè a seconda del microrganismo in grado di sporificare può essere molto difficile prevedere il comportamento di una comunità. Uno degli organismi che sporifica e che è molto pericoloso è il Clostridio. Quando io produco vegetali (melanzane, zucchine) questi verranno annaffiati con impianti di irrigazione. Questa acqua cadrà in terra e le mini gocce che cadono smuovono gli organismi che stanno in terra, tra cui Clostridium. Il problema è che Clostridio è anaerobio, sta in assenza di O. quando io lo annaffio lo tolgo dalla condizione di anaerobiosi e questo passa sulle foglie, sulla parte esterna della pianta, e fa la spora, perché è in presenza di O e altrimenti non può campare. Se vengono prodotte delle produzioni alimentari che riporta questi ortaggi in condizioni di anaerobiosi (tipo melanzane sott’olio) e questi non erano completamente puliti all’esterno, lui torna ad essere Clostridio. Nel suo campare lui produce la tossina botulinica e la rilascia nell’ambiente esterno, quindi il vasetto chiuso sottolio con dentro botulino, la zia lo mette nello scaffale perché devo aspettare per mangiarlo, in quell’anno Clostridio ha fatto ingenti quantitativi di tossina botulinica. Se io mangio la melanzana sottolio ci rimango secca se dentro c’era Clostridio. Se io mangio melanzana sottolio industriale sa di aceto perché Clostridium muore a pH basso e a una T medio-alta. Quindi quello che si fa di solito è far bollire questi ortaggi in acqua aceto e sale per eliminare completamente i residui di Clostridio, prima di metterli sottolio. Questo in una produzione industriale su larga scala viene controllato, sono apposto. Il problema è con le preparazioni casalinghe. I pomodori secchi sott’olio si possono mangiare perché sono acidi La linea nera e blu sono solamente due tipi di fermentazioni diverse, però tendenzialmente per la gran parte dei composti vanno di pari passo. Tempo di fermentazione e concentrazione del composto che si considera. I vari colori blu rosso e verde indicano le varie fasi della fermentazione (manca la parte degli sporigeni). Parte la fase dei lieviti, partono i lactobacilli, conversione del citrato il lattato. Infatti acido citrico cala, il fruttosio cala perché lo stanno mangiando, sale invece l’acido lattico. Il pH comincia a scendere (qui non si vede) Dopo si passa alla fase dei batteri acetici dove c’è produzione di acetato, mantiene tutto il metabolismo visto prima, il glucosio viene mangiato, il fruttosio è praticamente a 0, sale l’acido acetico. Se lo guardo per bene in realtà l’acido acetico sale sempre un po’, non è che i batteri acido acetici a 75 h partono dal nulla, è una cosa graduale. Loro lo fanno comunque ma ovviamente in relazione a quante cellule ci sono. L’unico modo per studiarsi questa roba è studiando un sistema come varia nel tempo. Capire punto punto qual è la variazione di acido acetico in relazione alla variazione dei batteri acetici. Si fa con le derivate. Quindi non è una cosa statica nel tempo, sono cose dinamiche, è tutto abbastanza mescolato. Heat map: mappe di calore, mettono in relazione righe e colonne e una certa misura. La scala, la misura, è una scala di colore. Colori caldi di solito rappresentano valori alti e colori freddi rappresentano valori bassi. Qui però è esattamente il contrario, perché concettualmente quelle misure non sono misure di abbondanza, ma è una correlazione. Quindi un indice di correlazione pari a 1 vuol dire che due cose sono positivamente correlate, un indice pari a -1 significa che sono anti-correlate, una sale e l’altra scende I due pannelli rappresentano i due modi di fermentazione che abbiamo accennato prima, ma diciamo che a noi non interessa la differenza. Saccharomyces cerevisiae correlato alla produzione di etanolo Lattobacilli correlati alla produzione di acido lattico Bacillus ed Acetobacter correlati alla produzione di acido acetico Qual è la cosa importante? Guardandole io vedo delle isolette rosse a giro che almeno ad occhio sembrerebbero più numerose delle blu. Questa è la guerra tra microrganismi. Lì sono i composti anti correlati con alcune specie. Cioè a seguito della produzione di acido acetico io ho delle specie che ne risentono negativamente. La colonna di acido acetico ha tantissimi rossi, quindi dà noia a tantissimi organismi che quindi si riducono in numero. PRODUZIONE DI CAFFE’ Caffè raccolto sottoforma di bacche rosse, diverse dai chicchi di caffè che siamo abituati a vedere. Di caffè ne esistono milioni di varietà Ad oggi ci sono tutta una serie di varietà mono origini che costano caro e sono caffè presi solo da uno specifico punto geografico, fermentato lì, con caratteristiche organolettiche che stanno solo in quel punto lì. I caffè che si trovano normalmente nei bar sono blend, sono miscele di roba prese in più punti. È come l’olio di “provenienza europea”, non so bene da dove venga. La fermentazione del caffè può avvenire in moltissimi modi diversi Le diverse tecniche portano alla selezione di microorganismi diversi Ogni comunità microbica avrà un impatto diverso sulle qualità organolettiche del prodotto finito Una delle cose che cambia rispetto alla produzione di cioccolato è che il caffè prima di venire tostato viene lavato. Cioè dopo la fermentazione passa in catini sufficientemente grandi e rimane in ammollo così da perdere dei composti che rimangono sulla superficie del chicco. Sia sulla fermentazione che sul lavaggio se ne vede di ogni. Chi fa fermentazioni lunghe e lavaggi corti, sia l’inverso, quindi per quanto gli step siano sempre gli stessi è un processo più complicato da studiare rispetto a quello del cacao. È una fermentazione per certi versi più semplice del cioccolato perché ha meno fasi, ma è un processo molto eterogeneo. Quello che si sa è che a seconda delle comunità microbiche dell’ambiente il prodotto cambia. I caffè di un certo tipo hanno preso grosso piede nel mercato globale perché posti diversi hanno una comunità microbica diversa che farà fermentazione e quindi si otterrà prodotto leggermente diverso. Se a questo si aggiunge la variabilità della pianta del caffè stessa, si capisce bene che un caffè prodotto in India sarà diverso da un caffè prodotto da un’altra parte. La parte in arancione è la raccolta dei chicchi, li pulisco, faccio tutto, e parte subito la fermentazione. Appena il chicco è pronto viene messo in delle vasche dove viene fatta partire la fermentazione (parte in blu) Le ore corrispondono a quello che si vede dopo F, quelle F stanno per chiamare i campioni, tipo campione fermentazione 16 h. Dopo 16 h parte una freccia che va sulla dx, cioè parte il soaking standard, mentre la freccia celeste continua fino a 64 h e poi in pratica hanno lo stesso destino. I campioni dopo il soaking (lavaggio) si chiamano tutti S lettera-numero. La S sta per standard fermentation, E sta per extended fermentation. SS: soaking standard fermentation SE: soaking extended fermentation Il resto è drying, tostatura e macinatura. La fermentazione del caffè avviene in due fasi Fase aerobica: processamento zuccheri Fase anaerobica: maturazione aroma Anche in questo caso la comunità batterica è molto dinamica Qui vediamo barre di abbondanza. Hanno riportato ogni campione con una singola barra che somma a 100, e i colori sono le varie specie di batteri microbici che ci si trovano Questo studio usa un approccio di un certo tipo: per i batteri hanno usato un pezzo del 1g6S; per i funghi hanno usato l’ITS. Quindi a sx parte sui batteri, a dx si parla invece di funghi. Tutto questo per dire che c’è una dinamica, e si vede bene durante la fermentazione. Qualche specie diminuisce, qualcuna aumenta, c’è qualcosa che cambia. Se invece si valuta l’acqua, non è così. Acqua di fermentazione. Con la S è la standard, l’altra è l’extended. Probabilmente nei batteri muore roba, e poi quando lavo il chicco me la ritrovo. Questo significa che questi metodi hanno un bias, che è dato dal fatto che può succedere che tutta una serie di organismi che muoiono vengono comunque estratti e amplificati e quindi ci si ritrovano da qualche parte anche se non sono più vivi. Questo è un bias noto in queste metodiche. Esistono dei metodi per ovviare a questo problema ma sono complicati e la gente non li usa. Però ecco a parte questo fenomeno poi non c’è niente di così eclatante nell’acqua di fermentazione, è la fermentazione stessa che cambia molto l’ambiente. Cos’è che ci interessa? Heat map dove ci sono dei composti (in basso) suddivisi in categorie (in alto) ovvero esteri, acidi, terpeni, aldeidi e altri composti, sono tutti composti che danno sapore ad un cibo. Nelle y invece ci sono i vari campioni di fermentazione e soaking delle varie fasi Quello che si vede è che man mano la fermentazione va avanti, il profilo organolettico cambia. C’è quella che si chiama “maturazione dell’aroma”, cioè le comunità microbiche danno apporto a livello di aroma. È un fattore positivo? Boh. Cioè se quelli che aumentano, fossero tutti esteri, correlati con la sensazione di marcio, il caffè più fermentato farebbe più schifo di quello meno fermentato, cioè lo studio mi direbbe “fermati prima”, perché dopo alimento la produzione di composti che danno sapore sgradevole. Se invece fossero tutti composti relativi a note piacevoli, lo studio mi direbbe di fare fermentazione più lunga Quello che ci interessa a noi è che la fermentazione comunque è un processo continuo. Probabilmente se lasciassi tutto lì per un mese quel profilo cambierebbe ancora di più (probabilmente in peggio, ma comunque cambierebbe) Cioè la fermentazione decidiamo noi quando fermarla. Si parla di aroma, sapore, acidità, corpo, bilanciamento, clean cup (cioè quanto è pulita la tazzina dopo aver bevuto il caffè, insomma è un test per capire se il caffè che faccio assaggiare è buono o meno buono pulizia della tazzina: parametro fondamentale→ se il caffè sporca la tazzina quello è indice di presenza di cere, non additivi, ma semplicemente un caffè un po’ rancido. Più il caffè sta all’aria e più l’olio che è intorno ai chicchi di caffè si rancidisce, è più cattivo e anche più lassativo (più si va avanti e più il caffè è lassativo) Quindi più la tazzina è pulita, più il caffè è tenuto bene. Le 3 linee che vedo sono 3 tipologie diverse di fermentazione di caffè. Non si intende né tempo né ambiente di fermentazione, semplicemente chi ci sta dentro, quali sono i microrganismi che fermentano Quello con i quadratini e la linea tratteggiata è quello fermentato On-farm, cioè raccolto e fermentato, nello stesso posto dove è stato coltivato Quello con gli asterischi è il caffè che fermenta spontaneamente, ma non on-farm, quindi fermentato in una ditta in località diversa, ma comunque fermentazione spontanea L’ultimo (il migliore) è inoculato, ovvero fatto con una comunità batterica di lieviti sintetici. Presi, messi in concentrazioni note, quindi di fatto creata una mini-comunità controllata usata per la fermentazione. Paradossalmente si ottengono punteggi miglior iin tutte le caratteristiche organolettiche. PRODUZIONE DI ETANOLO Gli acini di uva sono cosparsi da una patina, che in alcuni casi è ramato, ma teoricamente dovrebbe essere una patina di microrganismi che sta lì sopra per vari motivi: - Uva particolarmente dolce, se un microrganismo si trova a passare da un chicco d’uva che ha del glucosio ci sta bene e comincia a mangiarli - Un po’ vengono portati dagli insetti, spesso a carico delle vespe: vespe portano sulle loro zampe una serie di lieviti che quando restano sull’uva li depositano sui chicchi e li ritroveremo nell’ambiente di fermentazione finale. Non è tutto a carico di insetti, in realtà la fermentazione dell’uva è a carico di timi dove si fa la fermentazione. Il principale protagonista delle fermentazioni del vino è un lievito, che ha questa forma qui: Saccharomyces cerevisiae Lievito più importante dal punto di vista commerciale Usato nella panificazione, vinificazione e produzione di birra In assenza di ossigeno è in grado di scindere zuccheri complessi in zuccheri semplici dai quali forma etanolo Il metabolismo di Saccaromyces è particolarmente complicato Paradossalmente mentre tutti i batteri si duplicano, Saccaromyces può sia duplicarsi sia fare il mating, cioè trovare un’altra cellula competente ed unirsi a fare una cellula finale che ha metà patrimonio genetico di una e metà dell’altra (lo fa grazie al fattore n). È uno dei pochi microrganismi in grado di produrre etanolo a partire dagli zuccheri Lo zucchero viene preso dall’uva, e ha due possibilità: - O usa il glucosio nel metabolismo aerobico standard, ciclo di Krebs - Oppure con bassi livelli di ossigeno lo fermenta. Non può più fare il ciclo di Krebs, deve comunque metabolizzare lo zucchero e lo fa con la via che porta alla produzione di etanolo e CO2. Quindi entra glucosio, fa quello che deve fare, arriva a gliceraldeide, poi si trasforma in piruvato. Se c’è ossigeno va nel ciclo di Krebs, metabolismo normale Se invece non c’è ossigeno il piruvato non entra nel ciclo di Krebs ma viene trasformato in acetaldeide ed in etanolo con la rigenerazione di NAD+ e la produzione di due molecole di CO2. In parte si consuma ATP, quindi processo in parte attivo. Nella fermentazione l’etanolo non ha un ruolo specifico, noi gli abbiamo dato un ruolo perché ci piace l’etanolo. Anche gli animali lo fanno, per assumere etanolo Perché quindi Saccaromyces ha sviluppato un processo metabolico tale che porta alla produzione di etanolo in ambiente anossico? ➔ Guerra tra microorganismi I microrganismi si fanno la guerra costantemente, perché si compete per delle risorse che sono finite. Hanno sviluppato meccanismi per riuscire ad essere i primi a prendersi le risorse Saccaromyces ha sviluppato tutta una serie di metodi, tra cui la fermentazione alcolica, perché l’etanolo è un batteri ostatico Dato che in ambiente anaerobico i batteri si riproducono in maniera abbastanza veloce, Saccaromnyces fa etanolo, lo butta all’esterno e inibisce la crescita di batteri che non riescono più a crescere bene perché l’etanolo interferisce con le membrane cellulari. ➔ L’etanolo inibisce la crescita di altri microorganismi nell’ambiente di fermentazione Come hanno visto questa cosa? Inoculando Saccaromyces e un altro ceppo batterico, la produzione di etanolo sale. Se invece questo altro batterio è assente, la produzione id etanolo è più bassa. Questa spinta è data dal fatto che è incentivato ad accaparrarsi le risorse dato che c’è un altro organismo con lui che gliele potrebbe sottrarre, per cui incentiva la produzione di etanolo. Saccaromyces quindi ha comportamento analogo a predatori, o comunque specie in competizione per la stessa risorsa. L’etanolo a noi ci da noia. Diatriba sul vino, non si capisce che non è il vino il problema, è il contenuto di etanolo nel vino. L’etanolo è come il fumo di sigaretta, sostanza oncogenica di classe elevata. Il problema quando si parla di bevande che contengono etanolo è la % di etanolo che contengono, non la bevanda in sé. Sicuramente la presenza del 12-13% di etanolo in una bevanda la rende oncogenica, così come un pacchetto di sigarette. Questo succede per un motivo: l’enzima alcol deidrogenasi nel lievito va in due direzioni, nell’uomo va in una sola, ovvero è coinvolto nella degradazione degli alcoli, non nella produzione. Il punto qual è: lo step successivo nel metabolismo umano per la degradazione finale dell’acetaldeide avviene attraverso l’aldeide deidrogenasi. L’aldeide deidrogenasi non è inducibile, quindi io ne produco sempre un certo livello. L’alcol deidrogenasi è inducibile, più alcol io immetto nel corpo, più il mio fegato produce alcol deidrogenasi. Più io bevo e più ho accumulo di acetaldeide nel corpo. L’acetaldeide come tutte le aldeidi ha una serie di effetti negativi. L’accumulo di acetaldeide che non viene smaltita danneggia l’organismo. Se io la sera bevo tanto, ho lì per lì l’effetto del SN centrale che mi dà euforia. Man mano che il metabolismo rallenta ho un accumulo fisico di acetaldeide che passa ad etanolo, non ho più effetto euforizzante ma ho tutto l’effetto negativo dell’acetaldeide. Mi sveglio che ho un post sbornia, perché il secondo enzima non è inducibile, anche se gli do 1000 molecole di aldeide lui ne degrada 1 ogni tot, quindi ci mette tanto a degradarle. MICROBIOMA DEL SUOLO E DELLE PIANTE Quando si parla di suolo non si parla mai di un qualcosa di statico o singolo Qui vediamo l’orizzonte del suolo, quindi tutti i vari strati; il suolo è piuttosto complesso. Va sempre visto nel suo insieme. Chiaramente già da qui, nonostante sia molto semplificato, si intuisce la presenza di alcune caratteristiche e ambienti peculiari a. RIZOSFERA: non c’è una definizione universalmente condivisa di rizosfera ma si intende l’area di contatto tra suolo e radice della pianta. Quanto sia spessa questa area dipende dalle interpretazioni. Ad oggi si va a spolverare la terra attaccata alle radici, tutto il resto che rimane attaccato viene considerato rizosfera, quindi sorta di mini -ambiente. Principale responsabile per l’assorbimento di acqua e nutrienti dalle radici. Tutti gli scambi pianta suolo avvengono a livello della rizosfera. Essendo una zona di contatto ovviamente ci saranno microrganismi e una sorta di microbioma adeso alla superficie delle radici. b. ZONA FOTICA: zona di suolo esposta alla luce del sole. Caratteristiche fisico-chimiche particolari. Innanzitutto è irraggiata dal sole, per di più c’è una massiccia presenza di O. presenza microbica id un certo tipo dovuta alle sue caratteristiche peculiari c. DRILOSFERA: zona abbastanza superficiale che rappresenta ambiente ideale per la crescita e lo sviluppo degli anellidi (e altri insetti) che contribuiscono al riciclo delle sostanze nutrienti del terreno. Ricca di nutrienti (azoto, fosforo e sostanza organica). La desertificazione dei suoli è un problema perché una volta che si desertifica non si torna più indietro, il deserto è di fatto un suolo che non è un suolo, è un insieme di mini rocce ma è praticamente morto, la quantità di materia organica è molto molto bassa. d. SOLCHI: ambiente con poca luce, concentrazione di O che decresce con la profondità, ambienti molto dinamici: con la stagione delle piogge i solchi saranno completamente sommersi dall’acqua quindi anche nei microrganismi che ci vivono ci sarà uno switch. A livello microscopico ambiente che ha molto impatto perché è molto dinamico. Questo in figura passa anche su due orizzonti di suolo, dall’a al b. e. AGGREGATI: tutte quelle parti molto piccole che formano struttura “a pezzi” e per loro natura essendo aggregati formano dei canali, perché tra i vari aggregati c’è un materiale diverso rispetto a quello di cui sono formati gli aggregati, quindi si creano questi interstizi. Composizione completamente diversa da quella in superficie. - PROFONDITA’: Più in basso vado nel suolo più le caratteristiche fisiche e chimiche cambiano. Questi ambienti in realtà non sono singoli ambienti ma sono una mistura di ambienti diversi. La rizosfera di un albero sarà diversa da quella id un arbusto. Una zona fotica sarà diversa da un’altra in base all’ombra. E anche gli aggregati sono in realtà miscele di ambienti. Quindi quando si parla di SUOLO si aprla di una somma di ambienti estremamente dinamici e catalogabili (si può dire quale è uno e quale è l’altro) ma anche questa catalogazione id massa per il mondo microbico è quasi trascurabile. Per questo motivo lo studio del suolo è molto difficile. Quando si studia l’interazione suolo-pianta come microbiologi ci si ritrova sempre con qualcosa di molto complicato, variabile. In un singolo grammo di suolo (1 cucchiaino da caffè) possiamo trovare: 10 miliardi di virus 6 - 10 miliardi di batteri 6 miliardi di funghi ed algae 5 miliardi di protozoi 2 miliardi di nematodi ➔ Siamo davanti a qualcosa di estremamente ricco di microrganismi. Considera che l’intestino umano si parla di 30-35 specie di microrganismi. Qui siamo a che fare con qualcosa di MOLTO più complesso. Per di più se penso che se prendo due cucchiaini di suolo di due posti diversi troverò roba completamente diversa. Fattori che influenzano le comunità microbiche Articolo che mette in ordine di importanza questi vari fattori. Bisogna tenere in considerazione che è comunque un’iper semplificazione di quello che avviene nella realtà. Alcuni parametri infatti sono correlati tra loro. La presenza di pH influenza la quantità di composto organico che io torvo nel suolo, così come il potenziale redox è influenzato dal pH. Magari non sono correlazioni dirette ma possono essere connessi. Caratteristica che lui mette tra le meno importanti: plant species identity Se io considero il suolo come area molto vasta da campionare allora sì, la specie della pianta può non essere così importante, sicuramente meno del pH o O2. Ma sei o considero la rizosfera, la specie della pianta è un parametro essenziale per la comunità microbica, perché esiste uno scambio microrganismi pianta. Lavoro di Bulgarelli fatto in Olanda, 2012. Grazie a questo lavoro nel 2012 si è guadagnato la copertina di Nature. Per l’epoca era una roba molto all’avanguardia, lavoro citato tantissime volte. Fotografia in cui la roba verde sono microrganismi, il rosso è la radice della pianta. Una cosa che già si sapeva prima di questo lavoro è che le radici delle piante secernono molecole (essudati radicali) che hanno tantissime funzion; grazie a questo lavoro si è visto che queste molecole sono in grado di “reclutare” particolari microorganismi”. I microrganismi sentono la presenza di questi essudati radicali e si muovono verso le radici della pianta. DISEGNO SPERIMENTALE Bulgarelli ha fatto disegno sperimentale semplice per rispondere a domanda complicata. Qui vediamo mesocosmi (vasi pieni di terra). Ha usato mesocosmi perché vuole ridurre la variabilità naturale del suolo. Ha preso come pianta modello Arabidopsis thaliana. ha preso 2 varianti commerciali di Arabidopsis thaliana - Ler - Sha 2 controlli - Suolo: suolo incolto - Radici: stuzzicadenti in legno nel terreno → questa cosa sembra una cosa banale, ma invece è stata la chiave di volta del lavoro perché quando si fa microbiologia è molto difficile trovare dei controlli che simulino l’ambiente che io ho campionato. Cioè trovare una radice simulata che non sia viva. Lo stuzzicadenti è un’alternativa economica, poco impattante, e mima bene la radice, è un supporto ligneo abbastanza simile e non vivo. 2 tipologie di suolo, presi uno a Colonia e uno a Potsdam (suoli commerciali) - 50.958 N/ 6.856 E, Cologne, Germany - (52.416 N/ 12.968 E, Potsdam – Golm, Germany ➔ In questo modo ha ridotto le variabili Ha campionato in 2 stagioni - Fall: Settembre - Spring: Marzo Quindi: hanno campionato il suolo, due specie di piante e suolo incolto. Poi hanno campionato la radice, prendendo un punto a una profondità x della radice (non entriamo nei dettagli); come l’hanno campionata la radice? Con un po’ di terra attaccata, che può essere considerata come rappresentativa della rizosfera, perché è adesa alla radice. Per evitare di perturbare troppo hanno preso la radice, l’hanno lavata più volte, dopodiché dall’acqua hanno preso due campioni diversi: - Radice lavata senza rizosfera - Acqua : usata come rappresentativo della rizosfera. Quindi alla fine i campioni sono - Radice - Suolo - Rizosfera - Stuzzicadenti → campionato nello stesso identico modo fatta eccezione per la rizosfera Quindi strategia uguale per tutti con la differenza che in una pianta viva è più difficile che per uno stuzzicadenti Tutto questo serve per riuscire a capire come si strutturano le comunità microbiche in relazione a queste condizioni. Perché ne usa più di una? Perché vuole rispondere a domande via via più complesse. In microbiologia io sono nel campo dell’analisi multivariata, risultati con tante variabili Non è facile quindi mostrare i risultati nel modo più comprensibile possibile. Colori blu, celeste, arancione, cosa sono? rOTU: specie microbiche arricchite nella radice wOTU: specie microbiche arricchite nello stuzzicadenti (controllo) iOTU: sono quelle che si trovano a metà, un po’ da una parte e un po’ dall’altra, ma non le trovo nel suolo Quelli a sx si chiamano diagrammi ternari. Immaginario di avere i due ambienti, radice e stuzzicadenti. Prendo una specie microbica di interesse e guardo quanto è abbondante nei due ambienti. Troverò quindi un punto che mi dice che questa specie avrà quella media di abbondanza nella radice e quella media di abbondanza nello stuzzicadenti. Se io ho un terzo ambiente considero anche quello. Se io ho una specie hce è all’80% di abbondanza nella radice, io già so che sarà al 20% di abbondanza nello stuzzicadenti. Se io ho 3 ambienti, rappresento la stessa cosa come un triangolo. In alto suolo, a sx radice e a dx stuzzicadenti La terza asse verrà di conseguenza alle prime due. Tutti i pallini blu che io vedo vicino a root sono specie che hanno quasi la totalità dell’abbondanza in root. Questo deriva dal fatto che i dati dei microbiomi sono dati composizionali. Questo grafico quindi ci dice che, se guardo i grafici a torta sotto, gli Actinobacteria (rosso vinaccia) sono quai tutti nella radice. ➔ 1° conclusione: Presenza molto forte di Actinobacteria nelle radici, e questo non si vede invece negli stuzzicadenti. Guardo grafico a dx. Nelle righe ho specie microbiche, in colonna ho tutti i campioni di piante presi. Si trovano insieme (clusterizzano) tutti gli stuzzicadenti, tutti i soil e tutti i root indipendentemente dal tipo di pianta. Se si guarda l’abbondanza di singoli microrganismi (grafico in basso a dx) si vede che in alcuni di loro c’è differenza: alcuni si ritrovano di più nella variante Sha rispetto alla Ler. Qual è il punto? Questo ci dice che probabilmente c’è un effetto di reclutamento di un microrganismo specifico per una pianta, ma quella specie deve essere già in qualche modo presente nel suolo. io potrei avere un microrganismo del genere X ma dentro quel genere ci saranno tot specie. Oppure microrganismo genere X e specie Y ma dentro quella specie ci saranno più ceppi Queste analisi basate su sequenze di 16S, non hanno risoluzione così elevata da poterci dire questo è il ceppo 1 della specie Y, ma spesso raggruppano sotto una stessa etichetta più cose Cioè qui essenzialmente vediamo che sotto il ceppo di Colonia c’era un ceppo particolare che effettivamente risente della differenza tra le due piante, ceppo che probabilmente non è presente nel suolo di Golm perché questo effetto non si vede CONSIDERAZIONI GENERALI: Quello a dx è un cladogramma. Quando le relazioni tra campioni diversi si ottengono non tramite una filogenesi, ma semplicemente comparando l’abbondanza delle variabili presenti ( in questo caso abbondanza di microrganismi) non si parla più di filogenesi ma solo di distribuzione di campioni. I colori delle foglie (punta finale, campione stesso) rappresentano il suolo e al stagione. Arancione e rosso sono i suoli di colonia a primavera e autunno, celeste e blu stessa cosa ma per Golm Il nero sono i siti naturali, questo perché lui ha campionato anche dei siti naturali (prima non l’avevamo detto) da usare come ennesimo controllo. La forma del pallino finale ci identifica invece se il campione è di suolo, rizosfera, radici o stuzzicadenti La prima cosa che si osserva è che parti diverse della pianta hanno un microbioma loro Suolo e rizosfera sono abbastanza simili tra loro, radice e stuzzicadenti stanno per conto loro, 3 cluster abbastanza separati. Le stagioni sono simili tra loro. Lo stesso colore significa che sono campioni dello stesso suolo e della stessa stagione. Quindi la stagionalità in qualche modo impatta il microbioma. → clusterizzazione a livello di stagione e suolo Se si considerano gli ambienti naturali questi esulano dalle conclusioni fatte fino ad ora. Perché? Sicuramente è diverso il genoma della pianta, ma soprattutto il suolo naturale non è chiaramente lo stesso di un suolo che io compro dal vivaio. Hanno dei microrganismi diversi rispetto a quelli dei suoli che io compro. ➔ Quindi sì, c’è una specificità legata alla pianta ma quella legata al suolo è sicuramente quella che conta di più, diversità microbica “finita”. Qui vediamo un Venn diagram, diviso in due per i due siti di campionamento, quindi Colonia e Golm, poi diviso ulteriormente in due perché vogliono far vedere rOTUs e IOTUs. Quindi quelle che si trovano nella radice e quelle che si trovano a ponte tra radice e stuzzicadenti. Le percentuali sono quante specie microbiche condividono i campioni qui con quelli del sito naturale, cioè quanto sono simili rispetto al campionamento nel loro ambiente naturale. Si vede che in alcuni casi hanno una loro specificità. In questo caso le specie classificate come IOTUs nel terreno Golm condividono l’88% con il microbioma delle specie naturali. Il dato più singolare è il 57%: radici del terreno di colonia condividono solo il 57% delle specie microbiche della radice in ambiente naturale, quindi almeno per questo terreno qui c’è una discreta selezione della radice rispetto all’ambiente naturale. Favino da sovescio: Vicia faba minor, pianta di fava che si trova tra due filari di viti, anche qui da noi. Risalgono ai tempi dei romani. I romani avevano visto che, alcune piante, in determinati periodi stagionali, se ribaltate (con radici esposte all’aria) e lasciate in campo a marcire rendevano il suolo molto più fertile. Questo poteva essere per un riaccumulo di sostanze organiche nel suolo, ma poi in realtà si è scoperto che questo succede per un motivo specifico: Le radici delle leguminose sono fatte in questo modo: questi sono noduli di rizobio. Sono esempi classici di simbiosi tra organismo e ospite (pianta) e sono i principali responsabili dell’effetto di concimazione del terreno, i noduli si disgregano quando si rigirano e lasciano il loro contenuto nel terreno qual è il loro contenuto? Se io seziono un nodulo al microscopio, è impacchettato di cellule di rizobio. I rizobi sono organismi che hanno i geni nif. I geni nif fanno parte di un complesso enzimatico che si chiama nitrogenasi. La nitrogenasi prende azoto atmosferico, 6 protoni e 6 elettroni e fa due molecole di NH3, quindi ammoniaca. Questa reazione qui è semplificata, in realtà quella che avviene è quella scritta in alto a sx. Questo è importante perché in realtà l’azoto atmosferico N2 è stabilissimo, triplo legame difficilissimo da rompere, quindi difficilmente l’azoto atmosferico è biodisponibile. Loro lo fanno ma spendono 16 atp, quindi tanto, processo attivo che viene fatto quando non c’è ossigeno. Se io volessi fare NH3 da azoto atmosferico io dovrei fare reazione di Haber-Bosch reaction che però deve avvenire all’interno di silos in queste condizioni: 200 - 400 atmospheres 400° - 650° celsius degrees Quindi per rompere quel legame devo arrivare a condizioni molto particolari, con dispendio di energia alto. Il rizobio invece lo fa tranquillamente nella radice della leguminosa in assenza di ossigeno. CICLO DELL’AZOTO Come altri cicli biogeochimici sulla terra è quasi completamente a carico di microrganismi. Se non ci fossero microrganismi del suolo io non avrei ricircolo dell’azoto atmosferico. Se guardo la parte alta del grafico quella non prevede microrganismi, la parte che ci interessa a noi è la parte sotto, quindi quando l’azoto atmosferico ricade sul suolo. Gli animali quando urinano nel suolo rilasciano azoto atmosferico, quindi non ci sono solo microrganismi, ma diciamo che principalmente l’azione è fatta dai microrganismi. Tutto il ciclo è a carico di microrganismi Le frecce colorate in rosso sono quelle per cui è responsabile l’uomo. Ditta produttrice di fertilizzanti e piogge acide dovute ad intervento umano, però è una piccola percentuale del ciclo. La maggior parte è dovuta ai microrganismi. La fissazione dell’azoto è dovuta a microrganismi, se non ci fossero l’azoto sarebbe tutto N2 e non tornerebbe mai in circolo. NITROGENASI Il meccanismo di azione della nitrogenasi non è ancora noto Hanno fatto una serie di modelli, ma è un meccanismo talmente vasto quello di fissazione dell’azoto che è molto difficile arrivare alla fine, decodificarlo tutto. Questo è una delle schematizzazioni più complete. La E che si vede con vari numeri è l’enzima, quindi nitrogenasi, in forme diverse. Eo è l’enzima in una forma 0, E1 nella forma 1, ecc, ecc. viene riportato così per comodità perché la nitrogenasi è enorme, complesso di varie proteine che cambiano la loro forma in base all’intermedio. In ogni step prende protoni e elettroni e ogni step torna indietro. Quindi le isoforme dell’enzima sono quasi sempre in equilibrio. Uno dei sottoprodotti è N2H4: che è la idrazina, che è un propellente per razzi. Questo ci fa capire come il funzionamento di un enzima del genere può produrre la qualunque. Ci sono intermedi di reazione che sono ai limiti del pericoloso. Questo significa che dove c’è questo enzima viene rilasciata un po’ di idrazina nell’ambiente, sarà sempre in quantità minime ma comunque c’è, molecola particolare. Queste azioni di pompaggio protoni e elettroni avvengono a seguito di interazione di due cluster: - P-cluster - FeMo- cluster Questi due cluster qui è come se ogni reazione cambiassero la loro forma per adattarla allo step successivo. Come è fatta la nitrogenasi? - nifH - Subunità beta che si chiama nifK (complesso 1) - Subunità alpha che si chiama nifD (complesso 2) Se sono 3 proteine va da sé che ci saranno 3 geni che codificano epr queste proteine Dato che il complesso della nitrogenasi è un complesso proteico è logico pensare che questi 3 geni siano in un operone e che quindi vengano trascritti insieme Si possono prendere i geni per queste 3 proteine, allinearli, e metterli in un albero filogenetico. Quello che otterrà sarà questa cosa qui: In vede ci sono tutti gli alphaproteobacteri, al cui interno troviamo il Rizobio. Poi ci sono i beta che sono fotoeterotrofi e molti sono patogeni. Poi ci sono i fotosintetici che sono i cianobatteri Poi gli ubiquitari, si trovano dappertutto Gli eterotrofi I termodesulfobacteria che stanno in nicchie ecologiche particolari Poi tutti gli anaerobi La cosa più carina è che ci sono anche gli ultimi, che sono archea. Gli archea non sono propriamente batteri, sono un dominio in più. Qui ci sono metanococcus e metanobacterium che hanno a che fare con la nitrogenasi. Noi ci occuperemo di SIMBIOSI DELLE PIANTE. La sua idea è quella di farci vedere con i database attuali come si ottiene un albero di questo tipo. Ce lo ha spiegato nella LEZIONE 13/03/2024 API: strumento che non consulta il database ma fa da tramite. Si può usare per es per vedere la viralità di una notizia, si usa per vedere se l’account che l’ha messa in giro è fake. Questa cosa lo potrei voler fare per la biologia. L’API lo posso paragonare ad un cameriere. Se io sono al ristorante non parlo col cuoco, viene un cameriere che mi prende l’ordinazione e la dà al cuoco. Se io voglio prendere dei dati da un database io non interpello direttamente il server ma l’API. Scrivo una linea di codice che gli dice di, ad es, prendere i geni che stanno sul genoma umano, e lui mi rimanda una risposta. Quasi sempre mi renderà un formato di file leggibile da una macchina, ad es una tabella, o file xml, o jason, quindi formati “inventati” per tenere dati complessi. In pratica ha spiegato il metodo che si usa per costruire gli alberi filogenetici KEGG API Da lì usi la funzione link per cercare. Poi usi “Muscle” per fare albero filogenetico. Riprendiamo il discorso di prima: ESSUDATI RADICALI: le piante sono in grado, attraverso le proprie radici, di produrre delle miscele complesse, che rilasciano nell’ambiente e che hanno varie funzioni Una di queste è che contengono ormoni e sostanze che accentuano la potassi microbica, questo fenomeno va sotto il nome di …….: un batterio riceve uno stimolo da composti che si trovano nell’ambiente e si dirige verso la fonte dello stimolo. Gli essudati radicali non vengono prodotte solo sostanza che hanno una reazione nei rizomi o nei microrganismi ma vengono prodotte cose che hanno a che fare anche con i funghi, ad es fattori mic attivano proliferazione fungina. Se io cerco porcini non andrò mai in un bosco di ulivi, il porcino si attacca a radici di quercia, castagno, non quelle di ulivo. I funghi percepiscono la presenza di una radice o di un’altra proprio dalla presenza di questi essudati radicali. Il fungo si attacca alle radici, non è parassitismo ma simbiosi. Quindi quando si parla di essudati radicali si aprla di miscele che la pianta fa che impattano su un sacco di roba: - Roba che stimola i fattori nod, fattori del rizobio che gli fanno fare il nodulo sulla pianta. Quindi ha bisogno di geni nif per sintes di azoto e geni nod per fare il nodulo. Geni nod stimolati dagli essudati radicali - PGPR: plant growth promoting rhizobacteria: cianobatteri e altra roba che fanno fissazione dell’azoto ma la fanno nel suolo, senza bisogno di nod factor. - Myc factors: per i funghi per riconoscere le radici diverse e attaccarcisi Quindi gli essudali sono molecole altamente specifiche. I rizobi riconoscono la pianta a cui sono destinate. Un preciso rizoma riconosce una pianta. E questa specificità è data dagli essudati radicali. Vediamo un caso studio specifico: Sinorhizobium meliloti È una specie modello per questo tipo di interazione, non è studiatissimo, il prof ha fatto il dottorato in laboratorio con Alessio Mengoni che si occupa di Sinorhizobium meliloti. È interessante perché: il genoma di S. ,eliloti è un genoma multipartito: lui strutturalmente ha un cromosoma abbastanza grande (3.65 Mega basi) e poi ha due componenti “accessorie” che sono un cromide e un mega plasmide (rispettivamente pSymB e pSymA). (cromide più grande del mega plasmide) Il genoma non è multipèartito a caso ma deriva da tutti i processi evolutivi che hanno coinvolto questa specie, che si pensa sia presente sulla terra da sempre Se vado a vedere che geni stanno su questi 3 componenti: - Nel cromosoma ci sono tutti i geni housekeeping, quindi strutturali, per vivere. Quindi questo è chiaramente anche il componente più anziano - pSymB: trovo tutti i geni che stanno nel sistema di riconoscimento della pianta, quindi i geni per la specificità che dicevamo prima stanno tutti su pSymB, essenziali soprattutto nelle prime fasi di infezione in cui il S. meliloti si avvicina alla pianta (Medicago truncatula). Si suppone sia il componente che sta a metà (a livello di età) - pSymA: si suppone sia il più giovane, qui trovi il nod e il nif. I geni per la modulazione e per la fissazione dell’azoto è logico pensare che non siano gli stessi del sistema di riconoscimento della pianta, cioè che la specificità organismo- pianta derivi da tutta una serie di proteine che stanno da un’altra parte, è talmente finemente regolato che sta per fatti suoi, su una componente separata dal cromosoma. Qual è un esperimento tipico che si può fare? Dal momento che si è detto che c’è una specificità specie microbica- specie vegetale, si possono prendere diversi ceppi della stessa specie, diverse varietà della stessa pianta e vedere qual è l’impatto che il mio ceppo ha sul fenotipo vegetale. Qui vediamo infatti diverse varietà della pianta incrociate con diversi ceppi di microrganismi: Ad esempio varietà Camporegio incrociata con ceppo BL225C. Sulle ordinate io ho il numero di cellule di rizobio che io trovo nella radice espresso in migliaia Sotto invece numero di noduli per pianta Quindi anche queste due misure che dovrebbero dipendere una dall’altra (più nodi, più cellule) non lo sono. Ottengo ad es verbena BL225 c fa pochi noduli ma abbastanza popolosi. È logico pensare che non esista effetto del microrganismo e effetto della pianta, ma che esista la genotype x genotype interaction: sono i due genotipo che interagiscono tra loro e danno luogo a 3° fenotipo che dipende dall’interazione. I colori sono cluster: rosse sono fenotipo simile, giallo sono simili, blu sono simili. Posso fare una cosa analoga con le caratteristiche della pianta. Qui vediamo lunghezza della pianta e peso della pianta Every strain acts on a different aspect of the plant phenotype, thus it is not possible to predict which will be the best match In biologia si fanno modelli perché bisogna restringere il campo. Quindi questo è quello che io osservo. Poi devo capire il PERCHE’. L’esperimento che è stato fatto è il così detto SWAPPING: È stato swappato il megaplasmide (pSymA). Perché? Io ho il ceppo accettore, che prenderà un pSymA. Gli levo il suo pSymA e ci infilo pSymA di un ceppo donatore. Se i principali responsabili del fenotipo della pianta fosse il genoma del microrganismo, nella fattispecie pSYmA, io andando ad infettare la pianta con il ceppo ibrido, dovrei trovare un fenotipo che è quello che ceppo donatore. Se invece trovo un fenotipo come lui significa che il grosso non sta su pSymA ma sta o sul cromosoma o su pSymB. Quindi devo andare a vedere che succede quando io rinfetto le piante con il ceppo ibrido. Questo è stato fatto. Raccolti una serie di dati sul fenotipo. Sono state clusterizzate le piante in relazione al fenotipo che veniva fuori. 1021 è l’accettore, BL225C è il donatore. Hybrid è il ceppo ibrido, io devo vedere dove va a cadere il mio ceppo ibrido. 1021Camporegio è la varietà Camporegio infettata col ceppo21 wild. Io vedo che l’ibrido mi va a cadere per fatti suoi. Cluster di verdi che sono tutti ibridi. L’unico ibrido che cade in un posto strano è quello a destra, che però è quello stimolato con la luteoina, quindi stimolato con un ormone, quindi ci sta che stia per i fatti suoi Il punto è: perché io facendo l’ibrido non riesco a capire se il fenotipo è più simile al donatore o all’accettore ma va per i fatti suoi? Io non posso sviluppare un modello in questo modo. Perché i geni vengano espressi di solito c’è una regolazione che avviene a monte del gene. Quelle regioni verranno liberate o no a seconda che il gene debba essere espresso o no. Questo avviene in procarioti e eucarioti. Dove stanno le molecole che regolano questi sistemi? Stanno comunque sul genoma. Quindi si possono fare link che vanno dalla molecola che regola al gene regolato. Se la molecola che regola è prodotta sul cromosoma e il gene regolato è sul cromosoma il link è un autolink, lui regola se stesso Ma qui abbiamo un genoma multipartito, quindi non è detto che cromosoma, cromide e megaplasmide siano regolati sempre tramite dei sistemi di autoregolazione, ma è probabile che alcuni di questi link vadano in diverse molecole. In grigio vediamo il numero di autoregolatori, quindi prodotti dalla stessa molecola di DNA (questo significa cromosoma-cromosoma, pSYmA-pSymA o pSymB-pSymB). Siamo intorno a più del 50%. Larga parte dei geni è regolata da molecole che sono codificati nella macromolecola stessa. In blu vediamo interazioni cromosoma-cromide, quindi non più che regola se stesso ma è il cromosoma che produce regolatore che agisce su pSymB o è il cromide che produce regolatore che agisce sul cromosoma. Quelli in rosso chiamati megaplasmid outlinks sono tutti i sistemi che agiscono su pSymA, sia dal cromosoma sia dal cromide. Il punto è che: queste cose fanno capire che esiste una rete di regolazione genica in questo organismo che è multipartito che è molto complessa. Ci sono interazioni tra macromolecole diverse, interazioni sulla stessa, insomma è molto complicato. Di solito queste reti vengono rappresentate con dei network. La rete di regolazione genica di questo microrganismo sarà molto complicata. Se io swappo pSymA io rompo tutte le reti di regolazione legate a lui, perché prendo quello di un altro microrganismo. Quindi l’ibrido non risulterà mai essere completamente uguale all’accettore o al donatore, ma risulterà sempre un ibrido, via di mezzo tra i due. Perché alcune reti le perderò, altre magari le riesco a conservare, ma comunque arriverò ad un organismo che non ha al 100% le caratteristiche né di uno né di un altro. STUDIO DELLE COMUNITA’ MICROBICHE Come si studiano le comunità microbiche? I metodi sono tantissimi, il problema principale è 1: mentre nelle scienze cliniche applicate all’uomo quasi sempre si fa riferimento a qualcosa di visibile, in microbiologia questo no né mai il caso, abbiamo a che fare con cose che non riusciamo a vedere. Questo fa sì che bisogna trovare il proxy, sostanzialmente qualcosa che ci dia informazioni sull’oggetto in studio senza studiare direttamente quello, un es: è il decadimento del carbonio. Lo studio delle comunità microbiche si divide in due grosse branche: - BIOCHEMICAL- BASED o CLPP o FAME o Plate-count - MOLECULAR-BASED o DNA microarrays o DNA reassociation o DGGE and TGGE o T- RFLP o G/C content o DNA sequence analysis Partiamo dalle Biochemical based, ne abbiamo qui elencate solo 3 ma sarebbero molte di più. CLPP: community level physiological profile→ si fa un profilo fisiologico a livello di comunità e non di singolo organismo. Piastre sulle quali sul fondo si trova liofilizzato una serie di reagenti in cui avremo dei metaboliti e tutto ciò che occorre per fare una reazione colorimetrica, reazione che avverrà solo quando il metabolismo cellulare è attivo (cioè si ha scissione dell’ATP e si comincia a fare metabolismo). Un pozzetto si colorerà di viola sempre più intenso più l’attività metabolica della comunità è attiva. Lo strumento a cui sono accoppiate queste piastre si chiama Biolog che mi rende delle letture a vari tempi o varie piastre, in sostanza mi rende una tabella in cui mi va a misurare il colore viola e mi rende un valore che mi dà un’idea di quanto va l’attività metabolica della comunità Dato che sono 96 pozzetti posso testare un panel di sostanze abbastanza ampio e riesco a caratterizzare la mia comunità, a capire chi c’è all’interno. Come? Biolog fornisce anche un database in cui mi confronta la mia comunità con dei profili standard e mi dice cosa ho all’interno della mia comunità Limitazioni→ c’è sempre presenza di ossigeno. Sono tutte comunità aerobiche. Esistono alcuni metodi per simulare una condizione anaerobica ma sono complicati. Si possono però confrontare comunità diverse nella stessa piastra, utile perché con poco sforzo riesco ad avere una risposta e potrei validare delle ipotesi che ho fatto a partire da conoscenze pregresse. FAME: metil esteri degli acidi grassi Le membrane cellulari dei batteri sono fatte di acidi grassi, la composizione di acidi grassi in queste membrane è tipica di alcune specie. Quindi si riesce più o meno a dare nome e cognome agli individui della comunità basandosi sulla composizione di questi acidi grassi. Gli acidi grassi di per sé sono difficili da analizzare, ma si possono trasformare in metilesteri, forma in cui però sono molto volatili. Si incuba una ocmunità in una capsula petri, quando è sufficientemente cresciuta si fanno i metilesteri e si sceglie come analizzare. Quello che mi rendono questi strumenti qui sono degli spettri, grafici con una serie di picchi ad altezze diverse, il mio spettro io poi lo confronto con degli spettri noti. Per le comunità microbiche questi sono abbastanza impraticabili. Limitazioni→ il problema è nella coltivazione, quando ho una comunità microbica non è detto che riesca a coltivarla, quindi la mia risposta spesso è parziale. Plate count: conta sulla piastra Prendo la comunità di interesse (suolo, acqua di piscina), faccio delle diluzioni seriali 1:10, e piastro quello che ottengo dalle diluizioni. A quel punto mi metto nella prima condizione in cui riesco a distinguere le colonie su una capsula petri. Tipo a sx ho colonie troppo sovrapposte, non riesco a contarle. La terza è la prima che è a colonie distinte, è quella che vado a contare. Divido la piastra in quadranti, conto le colonie, e le moltiplico per la diluizione iniziale. MOLECULAR-BASED Da quando si è visto che le macromolecole biologiche davano una risposta abbastanza precisa per lo studio delle comunità microbiche diciamo che gli studi hanno utilizzato sempre di più questi metodi. DNA-microarrays: piastra sulla quale vengono immobilizzate delle sonde, che sono dei frammenti a singola catena di DNA complementari a delle cose che a me interessano, nello studio classico si ha una sonda per ogni gene. Alla fine si ottiene un panel con queste sonde sopra. Si prende Dna o Rna (tecnica originaria basata su rna), si marcano i geni con un colorante, si ibridano queste piastre così che solo i geni complementari alle sonde si andranno ad attaccare. A quel punto si usano i metodi tipo eccitazione col laser (o altri metodi) che ci consente id vedere il colore che ho messo e ottengo delle piastre colorate, con spot che si accenderanno o meno se è avvenuta l’ibridazione o no. Riesco a vedere quanti sono i geni presenti e quali. Questa tecnica in realtà nasce per fare confronti sull’espressione genica tra due condizioni diverse dello stesso organismo. Ad oggi questa tecnica è stata praticamente soppiantata dal sequenziamento dell’rna. DNA reassociation: riassociazione del DNA Test che mi chiedono se io penso di aver scoperto una specie microbica nuova. Mi chiedono di riportare i tempi di riassociazione del DNA della mia specie con specie simili. Se il tempo di riassocizione è lungo significa che le mie due eliche sono piuttosto diverse e ci mettono tanto a riattaccarsi, epr cui ci sta che siano specie diverse. Se invece si riattaccano subito vuol dire che osno la stessa specie. DGGE e TGGE: i gel sono ambienti che contengono reticoli, maglie, più o meno stretti all’interno dei quali vengono fatte migrare macromolecole biologiche applicando una differenza di potenziale. Normalmente i geli dividono le macromolecole in relazione al loro peso molecolare. Le meno pesanti scendono, le più pesanti rimangono sopra. Dalla comunità microbica estraggo DNA, amplifico dei segmenti che mi interessano, ci lego i GC clamp, ovvero ripetizioni di GC appaiate l’una all’altra, sono molto stabili, è difficile separare le catene che sono attaccate da questi GC clamp. Otterrò delle cose di varia lunghezza, lunghezza che è indice del tipo di macromolecola che io ho. A quel punto io faccio un gel a gradiente denaturante→ nel DGGE uso un agente Denaturante e ne aumento la concentrazione dall’inizio alla fine, quindi le macromolecole migrano mano a mano che la concentrazione aumenta, nel TGGE uso la temperatura, la T va ad aumentare e l’effetto è lo stesso. Se io inserisco le varie comunità microbiche in 4 pozzetti, vedrò tutta una serie di bande. Se vedo una striscia (come nel primo caso) vuol dire che rappresenta i geni condivisi da tutta la mia comunità. (Non è detto che uno spot sia un solo gene, potrebbero essere più di 1). Il secondo invece è condiviso solo dalla blu e dalla rossa. Il terzo ce l’ha solo la viola. E così via. Questa è l’informazione che ottengo: ho una misura di diversità delle mie comunità microbiche, potrei dire che la comunità viola ha un gene unico quindi è abbastanza peculiare, la comunità rossa ha 4 geni ed uno unico, quindi uno che ha solo lei. Ad oggi queste tecniche non vengono usate molto per il DNA. T- RFLP: anni fa era considerata il top, tutti la usavano. Si sfrutta una caratteristica del genoma, ovvero la presenza di siti di taglio per gli enzimi di restrizione. Se io digerisco il Dna di una comunità microbica usando lo stesso enzima di restrizione otterrò dei frammenti a diverso peso molecolare che sono caratteristici degli organismi che stanno nella comunità. Ogni genoma avrà la sua mappa di restrizione, se ho tanti microrganismi otterrò una sorta di somma di tutte le mappe di restrizione degli organismi Quello che io ottengo sono delle mega tabelle con 1 e 0 a seconda che a quel peso molecolare ci fosse un frammento o no nel campione in oggetto. Quindi: frammento, gel, faccio correre i frammenti, li divido per peso molecolare. Quello che ottengono sono delle tabelle in cui in colonna ho i campioni, nelle righe i pesi molecolari quindi i frammenti. E avrò 1 o 0 a seconda che ci sia il frammento o no. Tipica risposta prettamente qualitativa. So se il frammento c’è o no. L’unica informazione che ottengo è quindi una informazione di tipo intra campione, ovvero se ho 4 campioni l’unica cosa che posso fare con questa tecnica è vedere quanto sono simili questi 4 campioni. Se io un domani voglio fare questi 4 campioni più un 5° devo rifare tutto da capo, perché i frammenti non sono delle misure universali, quindi se ripeto l’esperimento i miei frammenti cambieranno tutte le volte. DNA sequence analysis→ questo è quello che ci interessa a noi, perché la METAGENOMICA cade qui Metagenomica→ 1° definizione→ analisi genomica dei microrganismi attraverso l’estrazione diretta del Dna da una comunità Non è più come in genomica che prendo un singolo organismo, estraggo il DNA e lo sequenzio, ma io qui estraggo il DNA di tutta la mia comunità. Grande anomalia della conta su piastra: Se io prendo un campione ambientale, che sia fiume, intestino umano, ecc, coltivo, quindi prendo le capsule petri (parte a sx), oppure osservo al microscopio quello che c’è nel campione (parte a dx) e in entrambi i casi conto quello che ho osservato, quelle che io vedo col microscopio sono molte di più di quelle che io vedo a seguito della coltivazione. ➔ Le cellule ottenute tramite coltivazione sono nettamente minori delle cellule che si riescono a contare con un microscopio Nel 2002 formalizzarono questa cosa dicendo che con questi metodi si era in grado di vedere solo l’1% della diversità batterica totale. Ad oggi questa cosa non è più vera. Nel 2024 questa percentuale si aggira intorno al 20-30% quindi comunque c’è una larga fetta di organismi che si perdono nella coltivazione. Questo perché andando ad interagire con l’ambiente in oggetto io lo perturbo e qualcosa la perdo. Attraverso tecniche molecolari si bypassano i problemi legati alla coltivazione, ho direttamente tutte le informazioni lì. Ci sono comunque tutta una serie di problemi che adesso vedremo, ma questo è il motivo per cui la metagenomica dal 2004 ad adesso ha preso il sopravvento. Tutto questo è stato possibile perché da un lato la tecnologia è andata avanti e ha permesso di poter sequenziare il patrimonio genetico da una comunità, cosa che negli anni ’80 era impensabile. Storia del sequenziamento del DNA 1977→ formalizzata la tecnica Sanger. Grosso passo avanti che passa dal Sanger classico al Sanger chain-terminating inibitors, passaggio fondamentale. Sanger classico: metodo in cui i nucleotidi venivano messi solo di una base azotata per ogni pozzetto. Venivano quindi fatte 4 miscele in cui c’erano tutti e 4 i nucleotidi normali in tutte, ma nel primo veniva messa in rapporto 1:10 un adenina modificata che quindi non faceva andare avanti la reazione, nella seconda una guanina modificata, nella terza una citosina modificata e nella quarta una timina modificata. La Dna polimerasi attacca nucleotidi fino a che casualmente 1 volta su 10 attacca una adenina modificata che non fa andare avanti la reazione. Quindi l’adenina sarà l’ultima della catena. Otterrò quindi dei frammenti con pesi molecolari diversi che però finiscono tutti con un’adenina. Stessa cosa nelle altre miscele otterrò frammenti diversi che però finiscono sempre con lo stesso nucleotide. Otterrò quindi una strisciata di frammenti come in foto. A questo punto arriva un operatore, prende un righello, l’appoggia in basso e segna tutte le ombreggiature quale nucleotide trova. Parte dall’ultima e risale fino alla prima Quindi ricostruisce a mano la sequenza. Però è chiaro che il tutto è soggetto all’operatore, perché alcune ombreggiature sono ambigue, è un metodo molto soggetto ad errori. Tralasciando il fatto che comunque la colorazione era data da bromuro di …….. che è cancerogeno. 1977→ Nuovo Sanger→ si fa questo salto e si passa ad un nuovo metodo. Idea: nelle miscele metto delle cose che fanno terminare la reazione ma con attaccato un fluoroforo, quindi una molecola colorata. A questo punto mettendo dei fluorofori di colore diverso io non ho più bisogno di 4 miscele, posso metterle tutte insieme. In questo modo io posso far leggere questo ad un lettore ottico. Questa cosa già prevede l’utilizzo di un lettore ottico e non più di un operatore che misura con un righello, quindi sicuramente risposta più precisa Inoltre, avendoli tutti nello stesso ambiente di reazione, non importa più che io faccia 4 pozzetti ma posso far correre tutto su un singolo pozzetto, perché tanto avrò le singole bande colorate diversamente. Se tutto va bene avrà una banda per ogni nucleotide, quindi singolo pozzetto può essere letto da un lettore ottico e mi ridice direttamente la sequenza Oltre a questo è stato fatto ultimo upgrade, ovvero inserire gel in un capillare, il vetrino del capillare è già pronto per essere letto dal lettore ottico che mi dà picchi colorati diversamente a seconda della base che c’è. Quindi non solo è più semplice, ma si inizia ad avere l’idea di poter automatizzare il processo. Per questo motivo dal 77 in poi, sia la ricerca di base ma soprattutto le company, iniziano a spendere soldi per fare le prime macchine per il sequenziamento automatico, e in meno di 10 anni esce la prima macchina semi-automatica per il sequenziamento. Dall’86 al 87 si passa già alla prima macchina automatica. Già nel 1996, col pyrosequencing si va verso direzione di completa automazione e grandissima produzione di sequenze. Nel 1998 viene pubblicato “Phred”, che è il primo software per la chiamata delle basi a partire da uno spettro e il buono di quel software è che riusciva a seconda dello spettro che lui vede ad assegnare ad ogni base di DNA anche una qualità, cioè tipo guarda questa per me è una timina, te lo dico con una percentuale di errore di 0,2% (ad esempio). Questo perché quando ottengo uno spettro io non otterrò mai una cosa del tutto certa, il lettore ottico comunque degli errori li fa, non avrò quindi mai un picco solo ma un mix di fluorescenza. Questo mix Phred è in grado di tradurlo e capire cosa è, quindi lui mi dice che quel picco secondo lui è quella base lì con una certa % di errore. Questo ha aperto le porte per l’era della NGS, ovvero next generation sequencing. Cioè si è iniziato a dire che non è necessario rivedere quello che la macchina ha prodotto, basta trovare il modo di verificarla tramite algoritmi. Si dà quindi il risultato con una certa probabilità di sicurezza. Quindi si va verso un numero di sequenze sempre maggiore e un controllo umano sempre minore. Inizia quindi ad esserci la necessità di avere modelli che siano euritstici e non deterministici. Cioè deterministico mi dà una risposta ottimale, che è solo quella, euristico mi associa alla risposta una probabilità. 19/03/2024 Asse x lunghezza delle sequenze prodotte dai vari macchinari in scala logaritmica Asse y quanta roba si fa per run, la run è sostanzialmente il tempo in cui una macchina finisce il suo ciclo, anche questo in scala logaritmica e sono giga basi. I pallini sono l’incrocio dei due, cioè che lunghezza media di sequenza produce quel macchinario e quanta roba fa. L’ideale sarebbe stare in alto a dx. Ogni pallino è un sequenziatore, i pallini uniti da linea sono versioni diverse dello stesso sequenziatore. Il costo medio per sequenziare 1 mln di sequenze→ asse y va da 10 cent di dollaro fino a 10.000 dollari Nel 2003 i spendeva intorno ai 8 mila dollari per megabase, nel 2014 se ne spende meno di 10 centesimi. Dove è che cala? A cavallo tra 2006 e 2008, quando si parla di sequenziatori con un output di sequenze molto molto grandi. SANGER: Primo metodo di sequenziamento automatico mai pubblicato. Si usa ancora, in microbiologia si usa soprattutto per il sequenziamento di tutto il gene del 16S. Funziona bene, costa poco, risposta in qualità abbastanza alta. Non è un dispositivo che produce tanta roba, produce 1 sequenza, può essere usato come conferma 4-5-4: macchinari della Roche Pyro-sequencing→ era be considerata perché poteva produrre frammenti più lunghi di 400 pb. Siccome però era abbastanza rudimentale, per rendere le basi visibili mandava i reagenti a reazione ogni volta, finché il lettore ottico non vedeva acceso/spento. Questo prevedeva reagente a saturazione, lavaggio, reagente a saturazione, lavaggio. Per ogni base bisognava fare 4 lavaggi. Quindi macchine molto lente, però anche molto precise. Non si usano più. FAMIGLIA DELL’ILLUMINA: I sequenziatori dell’Illumina costano, ogni anno ne esce uno nuovo. Sono stati i primi a fare metodo di sequenziamento molto pratico che si chiama sequencing by synthesis, cioè sintetizzano il frammento che stanno sequenziando, riuscivano a fare tantissime sequenze per run, stanno nella parte alta del grafico. Riescono a produrre tanta roba ma non lunghissima, non vanno oltre le 400 pb. SOLID: 2-base encoding, sequenziavano due basi per volta che venivano sempre riconfermate dal sequenziamento successivo, quindi sequenze ad alta qualità Ormai soppiantato da Illumina Ion Torrent In grado di produrre tantissime sequenze a prezzi molto bassi Risentiva della presenza di omopolimeri, dava risposte ballerine quando c’erano, e aveva tasso di errore superiore all’1% Abbastanza scomparso dal mercato, ma il suo merito è stato quello di abbassare un po’ i prezzi di mercato. PacBio Ideale per il sequenziamento di genomi interi (sequenze più lunghe di 10.000 bp ad alta qualità, li rileggono più volte) MinION Prodotto da Oxford nanopore può essere utilizzato attaccandolo ad una presa UBS Produce reads lunghe ma con un alto erro rate È utilissimo però perché è portabile. È stato usato in Africa per sequenziare i genomi dell’ebola. ➔ Tutti questi metodi non te li chiederà all’esame, però leggili Ad oggi, nel 2024, si sta dividendo il mondo delle sequenze in tanti macchinari che mi danno frammenti piccoli, e pochi macchinari che fanno frammenti lunghi. I lunghi frammenti vengono usato per la genomica, soprattutto per organismi non modelli. Sono anche molto utili per vedere se ci sono varianti di geni molto lunghi. Perché? Negli eucarioti c’è il problema di fondo delle sequenze ripetute, se ho tante sequenze ripetute e non riesco ad abbracciarle tutte con una sequenza sola, non so più quali sono. Cioè se io ho una sequenza in cui ci sono 50 adenina tutte in fila, se io prendo dei frammenti lunghi 5 paia di basi io ho tutti frammenti uguali che saranno tutti AAAAA, non so più dove stanno. Se invece prendo un frammento più lungo le può abbracciare tutte e so dove sta. In questo panorama, cos’è che è cambiato? Gli eucarioti sono quelli con meno genomi sequenziati, sono i più difficili da sequenziare. Dal 2015 in avanti c’è una linea impennata, molto più pronunciata se guardiamo la linea dei procarioti. METAGENOMICA Sequenziamento del microbioma umano fatto in vari punti del corpo umano (mucosa della bocca, feci, naso, narici anteriori, placca sopra gengivale, dorso della lingua, e zona vicino alle ovaie molto chiusa) Gli ambienti molto chiusi all’esterno hanno biodiversità molto bassa. In asse x vediamo diversità alpha. Sull’asse Y vedo quanto bene è stato ricostruiti il genoma dell’organismo. La grandezza del pallino è proporzionale a quanta roba è stata sequenziata nello studio. Quindi in ambienti piuttosto chiusi, hanno biodiversità piuttosto bassa, anche sequenziando poco (pallini piccoli) si ha risoluzione molto buona. Cioè se c’è poca roba o ho risoluzione alta anche sequenziando poche sequenze. Viceversa per ambienti dove la diversità comincia ad essere elevata, anche sequenziando tanto (pallini grossi) la risoluzione non è altissima, siamo in basse nell’asse y. Il punto è che io la risoluzione la scopro dopo se sto andando a vedere un ambiente sconosciuto. È molto difficile a priori quindi sapere quanta roba devo sequenziare per avere dei dati decenti, quindi mi conviene quasi sempre puntare a sequenziare il più possibile. Quando si parla di metagenomica si hanno due grandi branche di studio: - TARGETED METAGENOMICA: tutte quelle tecniche che si concentrano su un determinato target di una comunità. Ci si concentra su un target, si sequenzia solo quello, e si guarda come sono composte le comunità in oggetto basandoci sul target - UNTARGETED METAGENOMICA: non si seleziona più un gene/ frammento, ma si sequenzia tutto Da una parte quindi io mi sceglierò un target che risponderà alle mie esigenze. Nei batteri per es il target è il 16S. nei funghi se ne usa un altro perché i funghi il 16S non ce l’hanno. In base alla domanda a cui voglio rispondere io scelgo un determinato gene target. Nell’untargeted invece non so niente, studio del meta-genoma da un punto di vista funzionale, metabolico e tassonomico. Questo spazio tridimensionale è tutto quello che io posso sapere della comunità in oggetto. L’asse y mi dà la risoluzione delle analisi espressa come quante volte vedo una cosa Nella metagenomica targeted mi concentro su un singolo aspetto di tutto lo spazio genomico della comunità incrementando la risoluzione. Se invece uso l’Untargeted cerco di raccogliere tutte le informazioni della comunità analizzando l’intero genoma. Ad oggi questi due termini non si usano più. Il nome targeted associato a metagenomics è stato pesantemente criticato perché studiare il singolo gene non può rientrare dentro una scienza omica. Se vuoi usare il termine metagenomica devi usare tutto il genoma, non il singolo gene. Ad oggi questi approcci si chiamano meta-barcoding. Di conseguenza la untargeted ha perso un po’ di senso con questo nome, è semplicemente la metagenomica. APPROCCI DELLA TARGETED: Da una parte i sequence based e dall’altra gli activity based Da una parte si sequenzia una sequenza di interesse basandosi sul