Comunicazione Pubblicitaria LP 2024/25 PDF
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Università Cattolica del Sacro Cuore - Milano (UCSC MI)
2024
Simonetta Buffo, Ludovica Pedrana
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Summary
This document appears to be an analysis of advertising, with a focus on the structure of an advertisement and a timeline of its evolution. The document looks at the different elements of an advertisement, such as headlines, visuals of campaigns, packshots, bodycopy, and so on, along with the history of marketing and advertising. It also discusses the different stages of advertising and its relationship with the market.
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Comunicazione pubblicitaria - Simonetta Buffo 2024/25 Ludovica Pedrana Analisi della struttura di un annuncio pubblicitario...
Comunicazione pubblicitaria - Simonetta Buffo 2024/25 Ludovica Pedrana Analisi della struttura di un annuncio pubblicitario Glossario Headline: frase d’effetto che ha l’obbiettivo di catturare l’attenzione. Inizialmente veniva messa all’inizio della pagina, in alto, ma col tempo ha iniziato ad occupare posizioni diverse senza particolari spazi fissi, pur mantenendo la sua funzione. Visual di campagna: sono le immagini o i soggetti delle campagne. Quest’ultimi possono essere riproposti in dimensioni diverse (grandi, piccoli, microscopici o giganti) oppure possono essere più di uno per campagna (multi subject) Es: Diesel-> stesso tema creativo ma tanti differenti soggetti per campagna Packshot: immagine del prodotto nella sua confezione. Di norma è rappresentato da una fotografia professionale. Bodycopy: la box di testo in cui, in principio, l’intento era quello di spiegare tutti gli elementi distintivi del prodotto affinché il consumatore potesse avere vari elementi di scelta. Con gli anni le priorità del consumatore sono cambiate così come l’attenzione che si presta agli annunci pubblicitari, che risulta sempre minore, e di conseguenza ad oggi il prodotto non necessita di lunghe e copiose descrizioni, ma l’obbiettivo del bodycopy rimane sempre quello di presentare il prodotto. Marchio Pay off Vision: obbiettivo a lungo termine Mission: obbiettivo a breve termine Come nasce la pubblicità? Il padre del marketing moderno è considerato Philippe Kotler che negli anni ’60 fu il primo a definire una strategia per i brand che permetteva loro di essere realmente competitivi nel mercato. Ciò che gli ha permesso di essere un pilastro nella diffusione del marketing approach nel mondo sono le quattro leve del marketing, anche dette le 4p di Kotler (diventeranno successivamente 7, poi 11): 1. Product – prodotto 2. Price – prezzo 3. Place – mercato 4. Promotion e pubblicity – promozione e pubblicità Secondo questa teoria, un’azienda, quando lancia un nuovo prodotto sul mercato, deve definire i quattro parametri per cui, alla scelta studiata del prodotto, seguono la scelta sensata e pensata del prezzo, quella del mercato e della distribuzione, in base al tipo di prodotto ed infine si crea la pubblicità, che deve tenere conto delle scelte di mercato attivate da un marchio. Ad oggi una buona strategia deve essere basata sul content marketing, ovvero sui contenuti della marca. La pubblicità è nata quindi come una delle leve del marketing. Cos’è la comunicazione pubblicitaria? La comunicazione pubblicitaria si è sempre organizzata individuando parametri che le permettono di affrontare il mercato in maniera strategica, ponendosi obbiettivi di medio e lungo termine. Quando si lavora su una strategia di comunicazione, ci si concentra su una strategia intesa come strumento che porta a trasformare il marchio in marca (elementi da non confondere poiché hanno ruoli diversi e sono risolti da figure professionali differenti): Il marchio – segno grafico che corrisponde ad un prodotto o ad una categoria di prodotti (famiglia di prodotti) realizzati da un’azienda, che ne identifica i valori. Il marchio, disegnato da un designer, deve essere riconoscibile e strategico, per questo motivo ne esistono di diverse tipologie e la scelta del lettering e dei colori è fondamentale. Un marchio si compone di: o Pittogramma – segno grafico in cui non è indicato il nome del brand, bensì qualcosa che lo rimanda, che contiene messaggi allegorici a ciò di cui effettivamente la marca si occupa e che è in grado di rafforzare la comunicazione del marchio. Il pittogramma nasce da uno studio che mira a comunicare un messaggio da parte dell’azienda. Es. brand “Unilever” – pittogramma vuole trasmettere un significato legato all’ambiente. o Logotipo – è il nome del brand caratterizzato da un lettering particolare e un colore connotante. In alcuni casi il logo è composto solo dal logotipo, come per esempio “Google”, in altri invece il pittogramma è così famoso che non necessita la presenza di un logotipo e lo va quasi a sostituire, come per esempio “Renault”. Il marchio, dunque, deve essere: - originale - semplice - sintetico - simbolico - chiaro – il consumatore vedendolo deve ricondurlo facilmente al prodotto - ridimensionabile – adattabile a tutto, gestibile facilmente nei contesti in cui è inserito. Deve essere funzionale nella produzione massificata, pensiamo per esempio alla Nike, e mantenere inalterati i propri lavori. Spesso il logo è accompagnato anche da una piccola frase che prende il nome di “pay off”. Pay off È una scritta che compare in genere sotto il logo ed indica la vision del brand, il progetto di marca a lungo o lunghissimo termine, che va oltre i prodotti e parla dei valori che muovono la marca. Il pay off ha quindi il compito di riuscire a tradurre la personalità della marca, che diventa unica per il consumatore ma distintiva tra la concorrenza, e di indicare il posizionamento del brand. Assume un ruolo strategico fondamentale: è importante che rimanga sempre lo stesso, poiché, nel caso contrario, sarebbe segnale di un cambiamento destabilizzante e soprattutto di identità. Es. Nike – logotipo = swoosh -> simboleggia le ali della dea greca della vittoria, Νίκη. Lo swoosh è accompagnato dal famosissimo pay off “just do it”. L’azienda, nel creare il pay off, si è ispirata ai neri africani nel mondo dello sport, coloro che per trovare un proprio spazio nel mondo devono faticare di più, perché svantaggiati e penalizzati rispetto ad altri. Persone che nonostante la situazione di partenza, con le loro abilità e la loro volontà riescono a diventare grandi atleti riconosciuti nel mondo, come ad esempio Micheal Jordan. Nike, dal principio (anni ’80), è stato un marchio colosso, fino a quando, verso la fine degli anni ’90, subì una forte caduta a causa della gestione della multinazionale e della insufficiente trasparenza nei processi di produzione; Nike, infatti, non potendo fare a meno della pubblicità, per ridurre le spese risparmiava sulla produzione che avveniva nei paesi del quarto mondo, con annesso sfruttamento, che ovviamente contrastava ciò che erano i valori dichiarati del brand. Gli americani iniziarono così un vero e proprio sabotaggio degli acquisti, che fece sprofondare il brand in una profonda crisi. Il pay off venne narrativizzato, diventando un generico “run”, fino al 2015. Successivamente il brand riuscì a recuperare la sua identità, tornando al primo pay off e assumendo un tono da leader. Rientrò nel mercato con una campagna il cui messaggio era uno e andava oltre il prodotto. La marca – il concetto di marca nasce insieme al concetto di marketing, il quale nasce nel secondo dopo guerra con Philip Kotler. Comunicare oggi Qual è l’oggetto della comunicazione? L’oggetto va individuato in modo chiaro per poter definire i parametri contenutistici che definiscono la storia della marca. Negli anni l’obbiettivo è sempre rimasto uguale, seppur bilanciandosi in modo diverso. In principio, a differenza di oggi, l’oggetto della comunicazione era più legato al prodotto. La comunicazione di marca deve essere coerente con il contesto che la accoglie, intercettando le regole che animano il mercato in quel preciso momento. Comunicazione e mercato L’evoluzione Il punto di vista di studio è quello dei paesi occidentali, scenari in cui si sviluppa il mercato del consumo e nasce la pubblicità, il modo di interfacciarsi agli oggetti. Riconosciamo tre macro-argomenti di mercato che hanno portato a tre diverse macro-forme pubblicitarie. Modelli di mercato Prima fase – 1950-1970, secondo dopo guerra § Mass market: ci troviamo nel periodo di boom economico. In questa prima fase i paesi occidentali, soprattutto Europa ed America, erano paesi in cui si stava sviluppando il benessere e all’improvviso la popolazione, che aveva pochissimo, aveva bisogno di ogni tipo di prodotto, dallo shampoo alle macchine. Le aziende, capaci di sfruttare la situazione, aveva un unico “dittact”: produrre e soddisfare i bisogni della gente. Si parla di mercato di massa, un mercato in cui le aziende producono continuamente senza conoscere il consumatore (non c’è più il contatto diretto droghiere-consumatore). Si sviluppa la grande distribuzione organizzata (GDO) e la marca nasce per fare da portavoce di aspetti qualitativi diversi che distinguevano i vari prodotti. Seconda fase – 1980-1990 § Mercato targettizzato: dopo la prima fase, in cui il mercato si è impostato in modo consumistico, le aziende devono trovare delle ragioni per rimanere sul mercato e tenerlo vivo, così iniziano ad occuparsi del consumatore, cercando di capire i desideri e le aspettative di gruppi di consumatori con caratteristiche simili per classe di età, elementi socioeconomici e culturali, grado di istruzione, ma che fossero anche omogenei al loro interno per il tipo di necessità e desideri. Questi gruppi di consumatori prendono il nome di target group o cluster di consumatori. Le aziende iniziano a creare delle occasioni di consumo e delle attese. Terza fase – dal 2000 § Mercato parcellizzato: periodo caratterizzato da cambiamenti radicale dal punto di vista dei consumatori, che cambiano il loro modo di stare nella società e di comunicare. Con l’avvento dei nuovi media, il brand si trova a dover passare da un’azione di comunicazione, ad una fase di conversazione: l’azienda si mostra disponibile ad ascoltare il consumatore. Si passa da una comunicazione top-down senza possibilità di replica ad una comunicazione down-top. Si parla di mercato parcellizzato poiché ogni consumatore deve sentirsi parte attiva del mondo di marca. Nella società si formano delle community che hanno il potere di decretare il successo o meno di un brand. Il consumatore inizia ad essere consapevole che la comunicazione è parte di ciò che compra. Es. scandalo di Balenciaga – il pubblico ha rifiutato la comunicazione del brand, non i prodotti. Inoltre, viene introdotto il concetto di prosumer: un consumatore a metà tra producer e consumer. A prosumer si aggiunge il concetto di digital: digital prosumer. Modelli di consumo =) criterio scelto dal consumatore per orientarsi negli acquisti Ad ogni fase di mercato corrispondono dei modelli di consumo, ovvero il modo in cui il consumatore si rapporta al consumo stesso. Prima fase – anni ‘80 § Il consumatore in questi anni sceglie il prodotto, le sue caratteristiche performanti, qualcosa di tangibile. Ci si limita alla ricerca di prodotti migliori in termini di design, know- how e necessità. Il valore dato all’acquisto è interno al prodotto. Seconda fase – anni ‘90 § Il consumo cambia le sue modalità diventando di tipo aspirazionale. Il consumatore compra per poter dichiarare qualcosa di sé, e per farlo acquista il marchio, sinonimo di voler essere, che conferisce uno status, spesso aspirazionale, e rende riconoscibile l’individuo come appartenente ad un certo gruppo di consumatori. La pubblicità propone un voler essere. Terza fase – dal 2000 § Siamo nella società post-moderna caratterizzata da un estremo individualismo. La società diventa un unicum di individualisti. I consumi, risentendo del cambiamento, diventano qualcosa di estremamente personale e passano attraverso le emozioni, che distinguono le varie persone. Si compra per gratificare sé stessi, fenomeno che avviene soprattutto nel lusso. Si cerca un valore individuale nell’atto di consumo. La comunicazione pubblicitaria Secondo i sociologi I diversi momenti di mercato e i diversi momenti sociali hanno dato forma a diversi tipi di pubblicità. In particolare, il sociologo Bernard Cathelat (1987) ha individuato quattro fasi nella storia della pubblicità 1. Pubblicità persuasiva (inizi Novecento) Volantini, affissioni, annunci su quotidiani. Il pubblicitario si chiede per la prima volta come rendere interessante la comunicazione di un determinato prodotto o di una determinata marca. Le campagne di questi tempi sono estremamente semplici, quasi con la forma di una dimostrazione scientifica e i messaggi sono informativi, diretti e basilari. L’obbiettivo è quello di persuadere il consumatore a procedere all’acquisto di un determinato prodotto con una reason why: perché il mio prodotto è meglio di altri? Modello AIDA È il primo modello pubblicitario che nasce intorno agli anni ’40 e individua le quattro fasi in cui è suddivisa la reazione che ci si aspetta dal consumatore di fronte all’annuncio pubblicitario. È il modello che rappresenta la metodologia suggerita per avvicinare e conquistare il consumatore attraverso la comunicazione pubblicitaria. AIDA è un acronimo che sta per: o A – attencion Deve saper attirare l’attenzione o I – interesting Deve saper suscitare l’interesse o D – desire Deve saper suscitare il desiderio, un coinvolgimento superiore che possa avvicinare all’acquisto o A – acquirement Acquisto vero e proprio Durante la prima fase, inoltre, nasce la copy strategy, che propriamente è un documento, fondamentale per i pubblicitari, che aiuta a fissare i punti cardinali della comunicazione per uno specifico brand. 2. Pubblicità meccanicistica (anni Venti – Trenta – Quaranta) Fase in cui il consumatore viene visto come un’agente passivo. La comunicazione pubblicitaria si limita a lavorare sul meccanismo stimolo-risposta; dunque, il pubblicitario deve solo inviare lo stimolo giusto affinché il consumatore possa produrre una risposta. Iniziano ad essere effettuati molti investimenti in campo mediatico e il consumatore viene bombardato da annunci pubblicitari. Il prodotto viene mostrato per il suo valore d’uso. In questi anni il sociologo Rosser Reeves capisce l’importanza di realizzare un annuncio pubblicitario semplice: semplicità come elemento di successo. Ci parla di USP- unique selling proposition, mostrando come le campagne pubblicitarie non devono essere contorte e il focus deve essere su unico concetto di vendita. 3. Pubblicità suggestiva (anni Sessanta – Settanta) Fase in cui nascono dei nuovi approcci di mercato, nuovi istituti di ricerca quantitativi e qualitativi, rispettivamente come la Nielsen (diceva quanto un elemento pesava sul mercato) e la Eurisko. Ci si affida a questi istituti per poter creare dei prodotti fatti apposta per il pubblico. Siamo nella fase in cui le aziende iniziano ad investigare il consumatore al fine di intercettarne le attese. Infatti, le risposte in termini pubblicitari si basano su mondi perfetti, quasi idealistici, che producono un’evasione dalla realtà, spingendo a messaggi fortemente positivi. Con la pubblicità suggestiva, si inizia a provare a legare il vissuto del marchio ai desideri del consumatore. Un libro famoso in questi anni è “i persuasori occulti”, Vance Packard. Famoso perché presenta la pubblicità come uno strumento pericoloso per le società perché orienta i consumi e le scelte di vita dei consumatori, poiché è un subdolo modo per manipolare le coscienze delle persone. Il messaggio negativo viene abbandonato, piuttosto il consumatore deve vivere dei paradisi dove l’oggetto promosso diventa uno strumento in grado di soddisfare i desideri del consumatore. =) in questi anni i pubblicitari creano false illusioni e portano al consumismo. 4. Pubblicità proiettiva (Fine Novecento) I marchi legano la propria immagine a contenuti sociali forti, come l’accettazione, la partecipazione e l’integrazione. Questo viene preso a vantaggio dai brand, per rendere la marca più distintiva del prodotto stesso. I valori sono realmente identificativi dell’identità di un brand. 5. Pubblicità individualista (Nuovo Millennio): La pubblicità promuove l’individualismo nell’atto di consumo. L’esperienzialità di consumo del prodotto è qualcosa di individuale che produce un valore limitato al consumatore stesso, non estendibile al contorno sociale. Si tenta di intercettare singoli individui per creare una relazione che possa continuare anche in diversi ambienti. Si inizia a instaurare un dialogo con il consumatore. In questo aspetto la comunicazione online ha un ruolo fondamentale. Semiotica e semiologia La pubblicità può esser studiata da diverse prospettive: macroeconomiche, sociali, psicologiche, semiotiche, antropologiche, giuridiche. Ci concentriamo sull’approccio della semiotica. Avere un approccio semiotico, significa capire come sono strutturate le storie di una marca. Differenza fra semiologia e semiotica Semiotica e semiologia nascono all’inizio del secolo scorso in Francia e in America. Il padre della semiologia è il francese Ferdinand de Saussure, che ha l’obbiettivo di capire come si produce significazione. Per lo studioso la semiologia è una disciplina che si occupa di studiare il segno, inteso come l’unità minima di significazione: il segno è qualcosa che indica un qualcosa d’altro. Il segno si compone di due elementi inscindibili: § Significato – contenuto § Significante – forma Ogni volta che si comunica si scelgono i segni più adatti per condividere esattamente quello che si vuole, in base anche al contesto. Il padre della semiotica è invece l’americano Charles Pierce, il quale inserisce un terzo elemento: § Interpretante – colui che riceve il messaggio Quando creiamo una comunicazione, quest’ultima porta traccia del destinatario -> dentro il segno c’è l’interpretante. =) la comunicazione varia anche in relazione al destinatario; è diverso parlare di un determinato argomento con chi se ne intende rispetto a chi non sa nulla a riguardo. Altri autori sono: - A. J. Greimas (1917-1992) – si focalizza sulla semiotica generativa del senso e dei livelli - Umberto Eco (1932-2016) – padre della semiotica interpretativa; ruolo dell’interpretante nel segno, il pubblico deve ritrovarsi nel prodotto. Storia della comunicazione pubblicitaria Prima fase – 1950-1970 Si tratta di un periodo in cui le aziende si disinteressano del pubblico, senza provare a descriverlo e comprenderlo. Il lancio dei prodotti avviene seguendo la logica del mercato del consumo. Fino ai periodi delle guerre le campagne pubblicitarie erano per lo più cartellonistiche. Prendiamo in analisi la pubblicità della vespa, che si presenta come qualcosa di estremamente generico, di fatti nella pubblicità troviamo semplicemente un uomo e una donna a cui effettivamente marca una vespa. Troviamo un chiaro riferimento al film “vacanze italiane”, film che ha lanciato la moda della vespa. Un altro esempio è la pubblicità di Mottarello, dove appare un soggetto generico. Le imprese, durante il primo periodo si avvicinando al consumatore semplicemente dichiarando la propria presenza sul mercato. Questo è dovuto anche dall’inizio della grande trasformazione della distribuzione, poiché in Italia è sempre stata delegata a piccoli punti vendita. Negli anni ’70, con la nascita dei supermercati cambiano i modelli di distribuzione dei prodotti, seguita dalla nascita dei grandi punti vendita per prodotti definiti mass market. In questo clima, le marche devono cambiare il modo di comunicare, per rendersi distinguibili dagli altri. Nei primi anni ’20, invece, le pubblicità erano molto generiche, e non generavano una chiara identità, che talvolta diventava un chiaro punto di forza. Esempio la pubblicità della Barilla, con lo slogan “questa è la pasta per tutti”, non fornisce un identikit del pubblico di riferimento, dimostrando quindi che è per tutti. Carosello Gli anni ’70 sono anni importanti in Italia dal punto di vista pubblicitario perché viene lanciato un nuovo form unico: Il carosello. Si tratta di un break pubblicitario, strutturato come una sorta di spettacolo, che andava in onda dopo il telegiornale serale delle 20. La sua programmazione lo rendeva un programma obbligatorio da vedere, ed era rivolto principalmente ad un pubblico giovane, con linguaggi e format adeguati. All’interno del format riconosciamo due elementi: Sigla iniziale – rivolta principalmente ai bambini, la sigla introduceva una serie di spot che avevano tutti la stessa struttura Spot pubblicitario – durata di massimo 2m e 20s. Dopo 1m e 50s ancora non si sapeva a che prodotto si stesse facendo riferimento: elemento innovativo che accadeva solo in Italia. Solo negli ultimi secondi veniva presentato il prodotto, offrendosi come garanzia. Narrazione di uno story telling. =) Parte creativa disgiunta dal prodotto + parte commerciale focalizzata sulla vendita I destinatari, oltre i bambini, erano le mamme, considerate le responsabili di acquisto (sciura maria). Es. “Pubblicità AVA - Calimero” – il prodotto (sbiancante) non ha un grand legame con il disegno creativo. Il brand entra in scena alla fine, al 2m su 2.19m. Secondo periodo – 1980-1990 In questi anni esplodono i media tradizionali, pensiamo alle testate giornalistiche. Gli anni ’80 sono anni in cui l’unico obbiettivo era il consumo. Era necessario che il brand supportasse la domanda attraverso una comunicazione adeguata, avendo però bisogno di più spazi in cui veicolare il proprio messaggio. Sempre in quegli anni, nasce la televisione privata, con la comparsa di Mediaset. Essi permettono di ampliare lo spazio pubblicitario, trasformando gli spot pubblicitari in momenti di inserzioni tra i vari programmi televisivi. Avveniva l’individuazione di target group, e le campagne pubblicitarie organizzavano gli spot per dare risposte ad ogni gruppo individuato. Sono gli anni d’oro della pubblicità, perché crescono gli annunci pubblicitari e di conseguenza il lavoro dei pubblicitari. Compare la figura della “Sciura Maria”, ovvero la mamma responsabile di tutti gli acquisti che avvenivano all’interno della famiglia. Tuttavia, alla fine degli anni ’80-’90, si capisce che le donne non sono le uniche responsabili d’acquisto ma ognuno è responsabile dei propri prodotti, così le campagne iniziano a riferirsi ai singoli consumatori. La campagna pubblicitaria parla a più persone. Es. “Tegolino – mulino bianco” -> campagna con approccio fumettistico, indirizzato ai ragazzi; erano infatti quest’ultimi a dire alla mamma di comprare le brioche. Analisi della campagna pubblicitaria di Barilla Nascono, inoltre, le prime saghe, tra cui quella della Barilla. Il claim, profondamente forte, è “dove c’è Barilla, c’è casa” e rappresenta un binomio stretto tra Barilla e l’idea di casa italiana. L’azienda, con i giusti strumenti a disposizione, ha creato una campagna pubblicitaria che ha avuto un incredibile eco ai tempi ed è riuscita a farsi notare nonostante la concorrenza qualitativamente alta del periodo. Le caratteristiche erano: § Presenza di molti soggetti § Minutoraggio superiore alla media di 1m § Presenza esclusivamente di musica emozionale celebrativa e riconoscibile, che rimanda subito al brand. § Non c’è parlato, nessuno prova a convincerti all’acquisto. Solo negli ultimi secondi, uno speaker maschile, che rappresenta il padre di famiglia, recita una frase. § Si instaura un rito identificativo del brand: il momento in cui viene preparata la pasta, come rito per celebrare lo stare in famiglia. Non si mostrano gli aspetti qualitativi del prodotto ma un’occasione d’uso. Es. quando lanciano i “salti in padella”, il prodotto non ha avuto molto successo perché i consumatori non riconoscevano il brand dal tipo di pubblicità utilizzata, non riconoscevano il mondo Barilla costruito in precedenza -> modello di fallimento. È bene considerare la presenza della musica, perché è fondamentale in tv, da sempre considerato un media che ha come connotazione quello di essere un media molto distratto, cioè che guardando la tv si fa altro. Per questo lo spot è molto importante, poiché la lunga durata e la musica di sottofondo induce interesse nello spettatore. Barilla con gli anni cambia il suo pay-off in “dove c’è pasta, c’è amore”, allontanandosi così dalla tradizionale idea di famiglia e avvicinandosi alla società odierna. Negli spot recenti di Barilla la musica è più coinvolgente e non c’è più la composizione del nucleo famigliare tradizionale, esempio la figlia che gioca a calcio, oppure una famiglia composta solo da madre e figlia. Un competitor di Barilla, con stile completamente opposto è Agnesi, che lancia pubblicità dove domina il silenzio, per far trapassare l’idea che parla Agnesi. Analisi della pubblicità “Milano da bere” Pubblicità dell’amaro Ramazzotti. Il posizionamento è chiaro, viene identificato come l’amaro dei milanesi. Nella pubblicità viene rappresentata la gente di Milano di quegli anni, con una chiara descrizione della città. Analisi della campagna pubblicitaria di Benetton – Oliviero Toscani Il fotografo di una delle campagne più in voga e che ha fatto più parlare in questi anni è Oliviero Toscani. Benetton con il pay-off “united colors” non vuole identificare il prodotto ma le persone. Oliviero, infatti, fotografa persone di varie etnie che stanno bene insieme, spesso non facendo neanche vedere il prodotto in sé. Si genera un nuovo flusso nella comunicazione pubblicitaria: il vero obbiettivo non è l’annuncio in sé ma il fatto che questa deve stimolare un dibattito che aumenti il livello di notorietà del brand. Analisi delle pubblicità del Mulino Bianco Il minutoraggio è di circa 2m, di cui solo 20s dedicati al prodotto, descritto in maniera romanzata. Lo storytelling è ben strutturato: § Figure famigliari ben definite, papà (giornalista) + mamma (insegnate) + nonno (vedovo) + figli. § Mulino bianco come risposta ai problemi e aiuta a costruire un’atmosfera idilliaca. § Con il pay-off “mangia sano, torna alla natura”, il brand propone un imperativo, cerca di educare e di dettare uno stila di vita da seguire. Analisi della pubblicità Fiat Fiat uno – identificazione di un target di giovani vivaci e allegri. Al contempo però anche i vecchi si potevano avvicinare al prodotto. Il messaggio arriva chiaro e senza fraintendimenti. Analisi della pubblicità Levi’s Un primo esempio di advertising straniero è quello di Levi’s, in particolare jeans Levi’s 501 con il personaggio di Nick Kamen. Gli americani e gli anglosassoni in questo periodo propongono campagne pubblicitarie cult del settore, e gli italiani iniziano ad avvicinarsi ai loro standard. Il jeans nasce come capo interamente maschile. Lo spot rappresenta la gioventù americana in anni in cui erano i cosiddetti “rebels without cause” (anni 40-50) e avevano la volontà di rompere i legami e affermare la propria indipendenza. Levi’s si pone l’obbiettivo di rappresentare questa gioventù bruciata e la loro personalità. Lo spot presenta come errore quello di mantenere sempre la stessa strategia di mercato fino agli anni ’80 grazie alla loro iconicità, però senza tenere in considerazione la dinamicità dei consumatori. Analisi campagne pubblicitarie Nike Altro grande creatore di campagne pubblicitarie era Nike. Nike attraverso commercial molto interessanti idealizza spot incentrati interamente sullo sport. È la celebrazione dello sport perché chi vince è l’attività in sé, dove l’atleta sfida sé stesso. Nike, infatti, è dalla parte di chi fa fatica per ottenere un risultato. Nike realizza degli sport profilati, dipingendo un mondo dove gli atleti Nike erano quelli buoni che rispettavano le regole attraverso uno spot narrativo. Le caratteristiche: § Bombardamento di frame che induce il consumatore a seguire tutto lo sviluppo dello spot Analisi campagna pubblicitaria di Apple, Steve Jobs Nel 1997 Steve Jobs lancia una campagna pubblicitaria dal pay off “think different”. L’atteggiamento del brand è proporre qualcosa di realmente nuovo, in grado di cambiare la vita a tutti. La pubblicità mette in rassegna una serie di personaggi che hanno portato qualcosa di nuovo, rivoluzionando la vita della gente; ugualmente voleva fare Apple. Non c’è accenno al prodotto. Terzo periodo – anni 2000 Siamo in un’epoca in cui la comunicazione pubblicitaria è in pieno e continuo ripensamento. Si parla di advertising era. Il consumatore è cambiato, e di conseguenza anche l’approccio: si parla di comunicazione con approccio parassitario al media impiegato per veicolare il messaggio. Le novità sono: § A livello strumentale – la comunicazione attraverso media § Il messaggio deve intercettare nuovi individui. Parliamo di un consumatore post-moderno che rifiuta la passività e si aspetta di essere riconosciuto come individuo, non accetta di essere classificato e racchiuso all’interno di un target. Il consumatore vuole che gli sia riconosciuto un ruolo attivo. Il problema è raggiungere il consumatore mentre fa altro, perché la pubblicità è ormai diventata un atteggiamento indotto, e dunque si iniziano ad adottare nuovi linguaggi. La campagna pubblicitaria non vuole convincere nessuno, non ci insegna nulla, bensì diventa un gioco creativo, che vuole condividere una determinata emozione e quindi creare un engagement. Il tema dell’ecclettismo del consumatore postmoderno diventa il punto più condiviso dai brand, così come alla libertà di esprimersi. I brand basano il proprio messaggio sempre più su aspetti della vita legati a forti valori sociali. I brand iniziano a far leva sulle emozioni, ovvero qualcosa di veramente individuale. Es. campagna di diesel – Trump era stato appena eletto, Diesel lancia il pay off “Make love, not war”. Es. campagna della corona (birra) – pay off “this is living”, Corona ci offre un’occasione di vita in un contesto tropicale. Es. coca cola – pay off “taste the feeling” Analisi della pubblicità di Evian Acqua Evian – campagna pubblicitaria rappresentativa delle dinamiche di questo periodo. Durante lo spot persone per strada si guardano allo specchio e nel riflesso si vedono bambini, sentendosi quindi energici. Caratteristiche: § Non c’è una storia § I protagonisti sono tutti diversi, ci sono giovani, adulti, persone di diverse etnie. Non viene proposto un modello. L’obbiettivo è definire un pubblico eterogeneo accumunato dalla volontà di essere giovani. Il feeling è ciò che definisce il pubblico del brand attraverso la campagna. La pubblicità non ha alcun intento di rendersi credibili e non promette di voler tornare bambini. Il commercial è un modo ironico per dire che l’acqua sponsorizzata ha degli effetti benefici sul proprio corpo. Questa pubblicità ci fa capire che negli anni 2000 la pubblicità ha un ruolo di condivisione di emozioni con i consumatori, anche intrattenendolo. Un altro aspetto importante è che nel nuovo millennio la comunicazione di marca non ha a disposizione solo i media tradizionali, ma si diffonde in modo massiccio con il collegamento di internet. Vengono ideate campagne pubblicitarie che parlano del mondo internet, come ad esempio Ikea - let’s relax. Questo è uno spot di 1m30s andato su reti televisive viste principalmente da giovani, ma anche online. L’aspetto positivo è la simpatia trasmessa dallo spot, che cerca di coinvolgere l’interlocutore con qualcosa di divertente, ma anche di molto tradizionale, cercando così di insegnare. Vediamo un cambiamento che si scontra con la nuova figura del consumatore: abbiamo centralità del messaggio, ma al contempo si parla di messaggio top-down che cerca di educare un consumatore postmoderno, il quale non pensa di poter essere educato dalla marca – attore che mette in scena uno spettacolo con un unico obbiettivo: generare domanda. Rapporto marca – prodotto Negli anni ’60, la marca inizialmente comunicava le proprie caratteristiche materiali e uniche, descrivendo cosa il prodotto poteva fare, perché l’obbiettivo era quello di vendere. Andando avanti l’asset si è spostato e la marca ha iniziato a comunicare caratteristiche immateriali, talvolta slegate al prodotto stesso, soprattutto in certi mercati. Il valore che viene comunicato è un valore prettamente sociale, che trascenda dal prodotto sponsorizzato. Ad oggi si parla di content marketing, ovvero l’obbiettivo dichiarato non è più vendere un prodotto ma fare in modo che si parli del brand. Non è cambiato l’obbiettivo in sé, ovvero vendere, ma è cambiato il modo di farlo (non più direttamente). Il motivo di ciò è essenzialmente la volontà dei modelli pubblicitari moderni di generare altra comunicazione, cioè una comunicazione che deve stimolare una partecipazione attiva dell’interlocutore e renderlo co-autore nel processo di branding. Vediamo il passaggio da un consumatore passivo ad un consumatore attivo, tant’è che Marchetti ci suggerisce di non utilizzare il termine target riferito a questi anni proprio per l’assenza di passività da parte del consumatore. A ciò ha contribuito la comparsa di nuovi media digitali, soprattutto nel fashion. Questo ha fatto sì che la maggior parte del nostro tempo sia speso online (6h 43min di cui 2h 30min sui social media) e ha permesso ai brand nel mondo del fashion di attivare nuove forme di comunicazione, come ad esempio i fashion film. Le marche, dunque, per intercettare i consumatori, si sono adattati al linguaggio, trasferendosi su internet (dove le persone stanno). La narrativa è semplice, veloce e frammentata. I brand non hanno però ancora capito perfettamente come usare i nuovi strumenti, perseguendo spesso strade non al 100% giuste. Afterworld: the age of tomorrow – Demna Gvasalia Il suo è un esempio di advergame, una forma di comunicazione online che si basa sui videogiochi. Balenciaga per presentare la sua sfilata in tempi di lockdown ha ideato un videogioco (che riprende a tratti il romanzo di G. Orwell del 1984) con 50 avatar che esplorano diverse aree: il negozio virtuale di Balenciaga, una zona industriale, un party psichedelico, finendo con una nota di positività quando si arriva al mondo virtuale. Al termine del videogioco si torna al mondo reale, ma le emozioni positive rimangono. Balenciaga è estremamente coerente nel suo immaginario, con degli elementi di brand content lineari e riconoscibili. La storia dell’advertising: gli stili creativi Pionieri della comunicazione e le scuole di pensiero Dall’inizio del ‘900, la comunicazione si è sempre evoluta passando da un concetto di sola informazione, con scopo di reclame, fino a diventare uno strumento strategico di costruzione dell’identità di marca, diventando un parametro fondamentale nelle strategie di marketing. I pionieri di questo percorso sono stati gli Stati Uniti d’America e l’Inghilterra. New York – William Bernabach, agenzia DDB (1911-1982) La scuola di New York riteneva che la comunicazione pubblicitaria fosse frutto di una intuizione creativa e riconosceva il ruolo di protagonisti alla coppia creativa in grado di rendere un prodotto appetibile al consumatore. Il creativo non si affidava alle ricerche di mercato, e il suo approccio è stato connotato da una forte ironia basata sul negative approach, ovvero sull’affermazione del contrario con lo scopo di rompere i luoghi comuni in modo provocatorio. Il prodotto rimane il punto attorno al quale ruota l’idea creativa, ma allo stesso tempo, il prodotto viene rappresentato per i suoi elementi positivi, mentre quelli negativi vengono ridicolizzati andando così a sminuirli. “siate provocatori ma siate sicuri che la provocazione venga dal prodotto” Secondo la scuola di New York le caratteristiche delle pubblicità erano: - Tempi brevi - Assenza di speaking nei primi secondi - Suono usato strategicamente - Impiego dell’ironia Le principali pubblicità sono quelle per la Volkswagen. Il mercato americano considerava il maggiolino troppo piccolo. La campagna pubblicitaria rappresenta infatti la vettura in dimensioni ridotte, quasi un puntino in uno sfondo bianco, e il claim era: “Think small”. Pubblicità della golf – si pensava che chi comprasse la Golf fosse un uomo libero, una pecora nera, ma in realtà non era così, chi comprava la Golf era il gregge. È una campagna ironica, la cui ironia è legata alle caratteristiche del prodotto. Lo spot fa credere che a cigolare sia la macchina, ma in realtà è l’orecchio della donna, quindi non un problema legato al prodotto. Chicago – Leonard Burnett (1891-1971) Le agenzie della scuola di Chicago hanno un approccio diverso rispetto a quelle di New York. Secondo loro essenziale era raccogliere informazioni circa il brand, dunque, i creativi dovevano conoscere molto bene il prodotto e il consumatore, attraverso ricerche di mercato, al fine di capire ciò che il consumatore poteva apprezzare nella vita quotidiana: si parla di common touch. è Prodotto riconosciuto dai creativi è Pubblico profilato da ricerche di mercato Secondo Leonard Burnett il pubblico, mass market, poteva essere intercettato se manteneva il common touch e quindi fosse riconoscibile e condivisibile da tutti. Una pubblicità che parla sempre di routine. Leonard Burnett introduce la figura degli animali antropomorfi con Kellogg’s: ogni prodotto era interpretato da un animaletto che si trovava nelle campagne pubblicitarie e sul packaging. Es. La tigre per i cornflakes. Un’altra sua campagna famosa è quella della Marlboro, durata per ben 50 anni. Si tratta di un esempio interessante di comunicazione targhettizzata. Esse erano sigarette usate principalmente dalle donne, considerato un target minore rispetto al target maschile per percentuale di presenza. Marlboro aveva quindi l’intenzione di cambiare l’identità del suo marchio, cercando di rendere più virile la comunicazione, interpretando la mascolinità. Leonardo Burnett, per farlo, introduce la figura del Cowboy: figura molto americana che rappresentava la mascolinità per eccellenza, un uomo virile, avventuroso, forte, che ama le sfide e non ha regole. Così gli spot raffiguravano sempre la figura del cowboy con la camicia rossa, colore del brand. Si pone come competitor di Camel, che aveva sempre avuto quel pubblico. Inghilterra - David Ogilvy (1911-1999) Fu il primo pubblicitario a distinguere tra brand image (immagine di marca) e brand personality (personalità di marca). Seguendo la distinzione semiotica, ogni brand fa riferimento a due elementi, ciò che appare e l’aspetto legato alle caratteristiche intrinseche del brand. Lui riteneva che la persuasione fosse l’elemento fondamentale, per questo le campagne pubblicitarie sono caratterizzate da lunghe body copy, dove il pubblicitario poteva descrivere con minuzia i prodotti, in modo da dare al pubblico un’ottima conoscenza del brand. David Ogilvy parla anche di story appeal, una pubblicità seducente e in grado di tradurre un certo stile di vita. Per lui era importante l’esperienza diretta dei creativi sul brand e dava grandissima importanza alla conoscenza del consumatore. Stati Uniti - Rosser Reeves (1919-1984), agenzia Bates Rosser Reeves premiava il realismo, affermando che “nessuno compra da un clown”. Fu il primo a teorizzare la formula del USP, unique selling proposition, per la costruzione di un messaggio pubblicitario: l’annuncio deve basarsi solo su un aspetto del prodotto da pubblicizzare, altrimenti, affollando il consumatore di informazioni, diventa inefficace e dispersivo, oltre che noioso. Il messaggio doveva seguire tre criteri fondamentali: § Essere chiaro § Essere unico § Essere forte e distintivo Lo stile creativo che deriva da questo approccio, si definisce elementare, asciutto, sintetico e scientifico. Le pubblicità spesso assumono forme di dimostrazioni scientifiche. Rosser Reeves introdusse un nuovo minutoraggio di 30sec, sempre seguendo la logica di annuncio lungo= consumatore annoiato. Es. Campagna delle M&MS – caramelle che non si sciolgono. Da una parte una mano stringe le M&MS dimostrando che non si sciolgono, dall’altra una mano fa vedere caramelle sciolte, sottolineandone la differenza. Es. Campagna Anacin – istruzioni di utilizzo. Si tratta di una campagna didascalica, dal punto di vista creativo molto povera ma allo stesso tempo efficace perché il messaggio arriva subito. Parigi – Jacques Seguela (1934), agenzia Havas Jacques Seguela si laurea in farmacia, successivamente diventa giornalista e infine pubblicitario. Ciò che gli permise di diventare uno dei più grandi pubblicitari, fu la campagna realizzata per fare diventare presidente della Francia il politico Mitterand nel 1981. Scrive due libri: Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario, lei mi crede un pianista in un bordello Hollywood lava più bianco – secondo lui i brand vanno gestiti esattamente come Hollywood gestisce le sue star. Paragona i brand alle star, ovvero personalità che si mostrano vicine agli esseri umani, in quanto tali, ma che allo stesso tempo hanno tratti che li allontanano dalla gente comune, un che di mitologico. à il brand, quindi, deve essere proposto come qualcosa nello stesso tempo vicino ma distante. Individua nel brand tre dimensioni su cui strutturare la propria strategia (star strategy): § Fisico – l’aspetto § Carattere e personalità – qualcosa di interno § Stile e atteggiamento nei confronti del mercato – come il brand si muove e le scelte che compie Es. Mitterand President – la forza tranquilla. Immagine del politico rassicurante in contesti urbani, circondato da folle. Si pone nei confronti di ciò che ha intorno con un atteggiamento paternalistico. Torino – Armando testa (1917-1992) Lui era un appassionato di pittura, infatti assume uno stile particolare e riconoscibile proprio perché i suoi layout lavorano sulla grafica. La struttura delle sue pubblicità sono immagini su sfondo bianco e con colori pastello o primari. Fu lui a creare per carosello il “cabalero” e “carmencita”. Un’altra immagine iconica è quella di Pirelli con l’elefante gigante. Al Mudec di New York è presente una sua pubblicità: quella dell’amaro Puntemes. Oltre ad essere un amaro, la parola poteva essere tradotta dal dialetto piemontese con “un punto e mezzo”. Il suo stile è ritrovabile, infine, nella campagna di Esselunga. Sono sue le pubblicità come “scienziato o cipolla” o “John Lemon”, legando un prodotto a un personaggio. Le rappresentazioni sono molto creative. Londra – Saatchi&saatchi (1970) Agenzia che, dal 2000, fa parte del Gruppo Publicis ed è stata fondata a Londra da due fratelli. La prima campagna è per la politica Margaret Tatcher, grazie alla quale assumono una grande notorietà. In generale l’obbiettivo delle loro campagne è mostrare il brand dalla parte del consumatore; nei loro storytelling il brand è alleato dei consumatori in qualsiasi tipo di avventura. Recentemente, nel 2004, il nuovo CEO Kevin Roberts, ha pubblicato un volume intitolato “Lovemarks” promuovendo una prospettiva coerente con quella dei soci fondatori, perché ancora una volta il brand si pone l’obbiettivo di stabilire una relazione profonda basata su rispetto e amore con il consumatore. Questa agenzia lavora su tre elementi: § Mistero – grandi storie: passato, presente e futuro; sogni, miti, icone e aspirazioni § Sensualità – lavoro sulla percezione sensibili dei prodotti. Suono, vista, olfatto, tatto e gusto § Intimità – impegno, empatia e passione Tutti i grandi Lovemarks si appoggiano su una solida base di performance, innovazione, reputazione e onestà. Rendono evidente che la gente ragiona con il cuore. Al centro di tutto c’è l’individuo, poi il consumatore. Es. Apple 1984 – campagna che dichiara l’obbiettivo di Steve Jobs, ovvero rompere con il passato. Vuole offrire un’alternativa per gli utenti a ciò che era dominante nel periodo, Microsoft. La comunicazione è basata esclusivamente sul pathos, sulla condivisione di alcuni valori grazie al quale il brand ha sviluppato un profondo senso di appartenenza, amore e rispetto verso i prodotti innovativi. Asse amore-rispetto (foto): Si individuano due parametri che servono per definire il posizionamento dei brand in relazione alle due variabili per raggiungere l’obbiettivo, che dovrebbe essere per tutti riuscire a trasformarsi in Lovemarks e creare una brand religion. Gli asset sono: § Rispetto § Amore Si identificano: § Brands – low love, high respect. Non ci sono fedeli ma solo grande qualità Es. Brand automobilistici – le macchine non si pongono in antagonismo fra di loro e i clienti non sviluppano una “brand religion”, come può essere per esempio per le Harley Davidson. § Lovemarks – high love, high respect. § Products – low love, low respect. Prodotti che mantengono sempre un profilo basso e che lavorano solo sul prezzo. Es. Discount – vogliono una clientela che li scelga per ragioni di prezzo, non perché sono affezionati al prodotto. § Fads – high love, low respect. Principalmente prodotti di cui ci si innamora ma che durano poco nel mercato, che non hanno qualità distintive rispetto agli altri ma che in un determinato periodo sono di tendenza. Vale specialmente nell’abbigliamento. Vengono definite meteore: brand che nascono appositamente con l’obbiettivo di durare per pochi anni. Es. brand dei calciatori Es. Abercrombie & Fitch – ha saputo farsi pubblicità con un profumo distintivo e l’uso di palestrati ma ora è declinato. Le multinazionali 5 holding principali che oggi comandano il mercato (2017) 1. Omnicon – fattura circa 800 milioni di dollari all’anno, servendo più di 5000 clienti in 100 nazioni (2007). BBDO, DDB, TBWA + altre più piccole, molte specializzate nel digitale. 2. WWP – vanta nel suo portfolio agenzie quali JWT, Ogilvy&Mather, Young&Rubicam. Ha un fatturato superiore a 55 miliardi di dollari ed è composta da più di 200000 dipendenti 3. PublicisGroupe - Nato nel 1923 vi sono Saatchi&Saatchi, la Leo Burnett e la BBH 4. Interpublic - invece, viene creata nel 1960 da Marion Harper (Presidente dell’agenzia MCCann Erickson) ed è caratterizzata da una particolare struttura organizzativa, basata su una integrazione orizzontale 5. Dentsu Aegis Network - il gruppo Dentsu ha al suo interno aziende di advertising, contenuti TV, comunicazione aziendale e soluzioni Internet. Nel 2011 ha raggiunto un accordo per lo sviluppo dell’interfaccia e delle pubblicità̀ su Facebook e opera oggi in più̀ di 145 nazioni Forme di comunicazione pubblicitaria Come abbiamo già visto, ci sono diversi canali per comunicare la marca ed il canale impiegato influenza molto il messaggio comunicato. Ad oggi esistono 5 forme di comunicazione pubblicitaria: Above the Line (AtL) – forma di comunicazione pubblicitaria che in passato veniva considerata di prima linea, con gli investimenti maggiori da parte del cliente e che va sui media tradizionali, che sono 5: o Stampa o Radio o Televisione o Cinema o Affissioni Si tratta della comunicazione di tipo top-down, dall’alto verso il basso, a senso unico, dove le marche hanno come obiettivo quello di comunicare il prodotto tramite un messaggio, che deve riuscire a colpire l’interlocutore, cercando di attrarre l’attenzione del destinatario. I brand cercano di dare una loro verità dicendo quello che il pubblico voleva sentirsi dire e il consumatore poteva accertarla o meno. La pubblicità rappresenta una sorta di break pubblicitari. Viene definita above the Line perché è il tipo di comunicazione pubblicitaria considerata più strategica, che permette di raggiungere un pubblico più ampio. Below the line (Btl) – si tratta di una comunicazione che più che essere strategica è tattica. Costa di più in termini di fatica e, per le agenzie, genera minor profitto. Ad oggi è paragonabile al lavoro del graphic design e riguarda operazioni sul marchio, sul packaging o cataloghi e fiere. Comunicazione interna – fondamentale perché coloro che lavorano in un’azienda sono i primi a promuovere il brand, rendendo credibile il messaggio che il brand sta promuovendo. Devono essere in grado di restituire i valori del marchio. Unconvential – azione tattica sul territorio tramite le quali si coinvolge il pubblico per una particolare iniziativa che la marca sta sponsorizzando in quel momento. Obbiettivo a breve termine. Es. Moncler e i flashmob Comunicazione multimediale – tra tutte è la più utilizzata dalla generazione Z perché vengono impiegati i social media. Approccio strategico negli anni: cross-mediale e trans-mediale Le agenzie pubblicitarie offrono servizi diversi a seconda delle forme di comunicazione pubblicitaria richieste. Fino alla fine degli anni ’90, le agenzie erano specializzate in una forma di comunicazione. A partire dalla fine degli anni ’90 le agenzie hanno iniziato a capire che per essere efficaci dovevano cambiare strategia; infatti, non era più sufficiente una sola campagna a forte impatto, come poteva essere Barilla negli anni ’80, ma era necessario raggiungere il consumatore sui vari canali a disposizione. Si inizia quindi a parlare di comunicazione cross-mediale, in cui i brand utilizzavano molti canali raccontando però sempre la stessa storia. Si partiva quindi da un’unica idea forte che veniva poi declinata adeguatamente per i diversi media. A partire dal nuovo millennio, e in particolare dal 2010, è comparsa una nuova forma di comunicazione pubblicitaria: quella trans-mediale, che si avvicina al trans media story telling. Il motivo sostanziale per cui si è cambiato approccio è stato il fatto che con la comunicazione cross- mediale non si teneva conto delle peculiarità del mezzo comunicativo. Infatti, un annuncio pensato per la televisione e poi declinato per i social media risultava inefficace. Si arriva alla conclusione che il messaggio doveva essere appositamente creato per ciascun mezzo, rispettando la grammatica e la sintassi oltre che la logica e le regole di ciascun medium. Il trans-media branding è un modo di comunicare tale per cui la marca definisce un nucleo di contenuti forti, brand contents, a cui attingere per poi promuovere storie sempre diverse, a seconda dei canali utilizzati, e sempre riconducibili alla stessa matrice. Il primo a parlare di trans-media storytelling è stato Henry Jenkins che nel 2006 pubblica un libro definendola una forma narrativa che si muove attraverso diverse tipologie di media; ogni medium, secondo lui, veicola storie e informazioni preziose per l’esperienza dell’utente, che viene considerato una figura attiva in costante ricerca di intrattenimento. Questa forma di comunicazione è nata principalmente per il cinema e lo vediamo in Star wars, che è stato il primo film a generare incassi più nel merchandising che nelle sale cinema, o in Harry Potter. Questi progetti non si basano su un unico racconto ma hanno al loro interno dei mondi narrativi, world building, che creano un’esperienza unica per il destinatario. La trans-medialità si compone di due fattori: § Approcciare il proprio pubblico con l’obbiettivo di renderlo attivo, ovvero consentire allo stesso consumatore di generare nuovi contenuti di marca. In questa prospettiva la dinamica di una comunicazione transmediale è tale per cui ciascun utente può diventare ricettore ma al contempo promotore di contenuti amatoriali, detti grassroots, che arricchiscono le storie. Questo fattore è reso possibile dai social media, che, basando la propria esistenza sulla condivisione, l’unica cosa di cui hanno bisogno sono i commenti, i like e le condivisioni ai post. § Profilazione dei nuovi media che favoriscono la condivisione. Organizzazione delle agenzie di pubblicità ATL A capo dell’agenzia abbiamo un direttore generale da cui dipendono i lavori di quattro uffici: Ufficio commerciale o ufficio Account – troviamo uno o più account. All’interno dell’ufficio commerciale si istaura una gerarchia che individua i compiti: o Account supervisore o senior – colui che possiede un ruolo dirigenziale e manageriale e mantiene i contatti con i clienti più strategici dell’azienda. o Account executive – è quello operativo, colui che deve gestire l’operatività dell’agenzia e quindi interfacciarsi con gli altri uffici per portare avanti il progetto o Account junior – colui che collabora con executive e viene guidato nelle operazioni. =) quelli più in alto sono i più strategici e quelli più in basso i più operativi Per account intendiamo il “regista” che deve coordinare il lavoro degli altri reparti per fare in modo che il lavoro dell’agenzia rispetti gli obbiettivi del cliente in termini di budget e tempo. Allo stesso tempo però è colui che deve saper vendere l’agenzia al cliente, presentando il lavoro come il migliore. =) è il cliente in agenzia e l’agenzia dal cliente. All’interno di questo ufficio c’è anche la figura dello strategic planner, colui che definisce l’universo narrativo di riferimento. Si occupa di definire la strategia di comunicazione del brand o la strategia per una determinata azione di comunicazione. Il planner capta le informazioni del cliente, poi si informa circa il mercato (competitors), il profilo del cliente e infine, le informazioni relative al brand. Ufficio creativo – si regge su due figure che costituiscono la coppia creativa: copy writer e art director. Il primo si occupa di redigere i testi pubblicitari mentre il secondo lavora sull’immagine, senza avere necessariamente competenze nel disegno ma occupandosi della corretta gestione degli spazi. La coppia creativa fa riferimento ad un direttore creativo che li aiuta ad ideare la campagna. Ad oggi questo ufficio è drasticamente cambiato: siamo passati da una fase in cui questo ufficio era fondamentale fino ad oggi in cui prevale il copy writer rispetto all’art director. Ufficio produzione – composto dall’art buyer, colui che mantiene i rapporti con i fornitori, fotografi, stampatori, tipografi, allestitori, free lance (moc-up e moc-uppisti) sia esternamente sia internamente e si valuta la fattibilità di un progetto in termini di tempi, costi, qualità e servizio offerto, con lo scopo di mantenere una sinergia con l’obbiettivo del brand Ufficio media o editoriale – si occupa di tenere i rapporti con i media e di gestire gli spazi mediali. Può essere sia interno sia esterno all’agenzia. L’ufficio media lavora con le agenzie definite concessionarie di pubblicità, come possono essere in Italia la “Manzoni” o la “Repubblica”, che vendono spazi pubblicitari su ogni tipo di canale. L’obbiettivo finale è quello di pianificare un’azione di comunicazione che duri nel tempo e che utilizzi i canali di comunicazione più idonei per raggiungere il pubblico di riferimento, facendo attenzione alle spese e verificando ciò che è stato fatto, controllando che le uscite siano rispettate. All’interno dell’ufficio ci sono tre figure: o Media research – studia come i competitors si muovono nel mercato e pianificano le uscite. Inoltre, studia il mercato la sua stagionalità, quelle che sono le tendenze in termini di pianificazione sui media. o Media planner – colui che propone i possibili piani d’uscita delle azioni di comunicazione, tenendo conto delle esigenze del mercato e dell’azienda e anche del budget. o Media buyer – colui che contatta le concessionarie di pubblicità. Acquista gli spazi cercando di ottenere le migliori condizioni sia a livello di prezzo che di produzione, di qualità. Inoltre, si occupa di controllare che venga eseguito correttamente tutto quanto stabilito. Come si sviluppa il lavoro in un’agenzia? Prima fase Il lavoro inizia nel momento in cui il cliente (azienda) contatta l’agenzia per una necessità (a volte capita che ci sia una gara di appalto) e gli fornisce un brief con le informazioni necessarie in termini di obbiettivi, tempi e costi, affinché l’agenzia possa produrre delle risposte ed elaborare un progetto. Successivamente l’account incontra l’azienda e una volta tornato in agenzia stende un meeting report, ovvero un documento ufficiale controfirmato dal cliente che riporta tutti i punti toccati duranti il briefing. Il meeting report è una dichiarazione di intenti. Seconda fase Arrivati a questo punto l’agenzia si attiva e inizia a lavorare sul progetto concordato. Il primo ad iniziare a lavorare è lo strategic planner che unisce le informazioni ricevute con quelle che riesce a recuperare, quali dati e analisi, al fine di stendere un brief interno strategico da condividere con tutti gli altri reparti. Per il brief interno sono fondamentali le risorse che arrivano dal mondo digitale o da ricerche fatte a doc di tipo qualitativo o quantitativo, che ricordiamo essere ricerche che analizzano quante volte un fenomeno si ripete o diventa interessante per l’azienda e rilevante per le strategie di comunicazione. Lo step successivo è il passaggio ai creativi, che iniziano a produrre dei rough (5/6 di norma) che vengono ristretti in minori proposte da far vedere al cliente. Durante questa fase viene anche stesa una strategia, la copy strategy – scheda che riassume i parametri fondamentali entro cui sarà inscritta la proposta creativa Terza fase In questa fase vengono presentati gli abbozzi dei creativi che traducono il concept su cui si fonda la campagna pubblicitaria. Successivamente entrano in gioco il reparto media, che formula delle proposte e una media strategy – piano editoriale che espone i piani d’uscita sui social media proposti per la campagna, e il reparto produzione che inizia a pensare a come mettere in pratica le proposte dei creativi. Con in mano le proposte creative, il piano media e il documento strategico, l’agenzia incontra il cliente ed espone la proposta, la quale la maggior parte delle volte subirà delle migliorie. Dalle idee a cui è stata data forma dalle agenzie, l’azienda sceglierà la campagna più adatta. Cambiamento delle agenzie pubblicitarie Negli ultimi anni le agenzie sono cambiate molto, soprattutto a partire da metà degli anni ’90 con la nascita di agenzie pubblicitarie molto piccole caratterizzate da un pensiero divergente, basato sulla creatività e la precoce adozione di internet. Queste aziende, seppur piccole, sono state in grado di cambiare il modo di fare di quelle più grandi, introducendo nuove forme di promozioni e di video di marca molto lontani dall’idea di commercial a cui siamo abituati. Le prime agenzie che si sono occupate della comunicazione pubblicitaria online dando risposte nuove sono: Alex Melvin – Amsterdam StrawberryFrog – Amsterdam HHCL – Londra Mother – Londra Fallon MgElligot Rice – USA Uno dei primi brand ad utilizzare una strategia che segue questi ideali è BMW, con una web saga dal titolo “The Hire”. Nella saga, composta da diversi episodi, riconosciamo come unici elementi ricorrenti l’autista e l’auto. L’autista, nonché protagonista, viene catapultato in molte situazioni iperboliche dalle quali riesce a uscire positivamente. § Protagonista – rappresenta in semiotica l’interpretante, ovvero la proliferazione del destinatario della comunicazione. Proliferazione che fa parte della storia. § Prodotto – ha un ruolo diverso rispetto agli anni precedenti. La macchina funge da supporto ad un individuo che ha una certa attitudine (sfidante nei confronti di Madonna nel caso dell’episodio visto in classe). Al contrario dell’advertising tradizionale, la macchina nel suo design viene poco celebrata. Questa comunicazione è interessante perché: § È un grande esempio di brand entertainment – l’importante non è la sponsorizzazione del marchio ma la storia, il divertire l’interlocutore, visto come un individuo da coinvolgere e non da spingere all’acquisto diretto. § Il prodotto del brand non è il protagonista e neanche l’oggetto che trasforma il protagonista in qualcos’altro di migliore (cfr. pubblicità Mulino Bianco). § Mette in luce le potenzialità del mezzo comunicativo e l’importanza del saperlo usare. Con queste tecniche di comunicazione, quindi, il prodotto di brand si adegua alla pubblicità. Tuttavia, i prodotti necessitano di nuove figure dal momento in cui non solo si necessita un regista, ma anche che questo abbia competenze pubblicitarie. Lo stesso copywriter subisce un cambiamento radicale assumendo il ruolo di storyteller. Questo, infatti, deve mettersi in gioco con tecniche e capacità più consone a uno sceneggiatore cinematografico, deve architettare una storia da zero e darle un fondamento ancora prima di pensare ai dialoghi, alle scene o alla produzione vera e propria. Analizzando i grafici possiamo notare come le abitudini dei consumatori siano cambiate e le agenzie, di conseguenza, si sono adeguate alle richieste, cambiando la struttura interna. We Are Social Si tratta di un’agenzia che comunica e condivide i dati circa l’utilizzo dei social media. La sua proposta rappresenta una novità in questo ambito, con una particolare attenzione a tutto ciò che avviene online e ai trend digitali. L’agenzia si propone come consulente nella comunicazione di marca. Il reparto creativo è organizzato in tre uffici: § Creative – c’è un team di professionisti che lavorano sulla concettualizzazione del messaggio e sulla definizione dei parametri contenutistici di quest’ultimo. Essi individuano i brand contents (significati) identificativi dell’identità di una marca. Lo scopo è di definire i contenuti. Ricorda il lavoro dello strategic planner. § Creative production – sezione che ricorda l’ufficio creativo tipico delle agenzie, in cui figurano l’art director (colui che lavoro sulla parte visiva) e il content specialist (figura maggiormente dedicata ad aspetti narrativi, colui che declina creativamente i contenuti individuati dall’ufficio creative). Lo scopo è quello di narrativizzare i contenuti, di formalizzare un concept in creatività visiva. § Team editorial – si occupa dello sviluppo e della supervisione della strategia editoriale, della creazione del concept e del messaggio da comunicare nel lungo periodo, ma anche della scelta dei canali e dei profili di pubblico. È importante prestare attenzione all’adeguatezza di un certo messaggio all’interno dei singoli canali impiegati, scegliendo quelli maggiormente adeguati a un certo brand. Ricorda l’ufficio media. Es. un post IG funziona diversamente da un video su TikTok. Attenzione però che i codici estetici e il contenuto devono richiamare il brand in ogni piattaforma. Il team editorial è suddiviso in: o Editor – coloro che si occupano di impostare la strategia editoriale. Quando, dove, come e perché? o Writer – un’evoluzione del copywriter tradizionale, si occupa di pianificare come il messaggio può evolvere nel tempo pur rimanendo sempre appetibile e accattivante. à Il brand, prima di tutto, individua un nucleo di elementi identificativi della propria identità (compito dell’ufficio creative), successivamente narrativizza tramite tecniche di storytelling tipiche del canale che lo ospita (compito del reparto produzione) e infine crea una strategia editoriale (compito del team editorial). Gestione dei contenuti di marca Planning strategico La gestione dei contenuti di marca riguarda principalmente un’attività di planning dei contenuti. Il percorso di planning non ha mai subito grandi modifiche negli anni. All’interno di un’agenzia pubblicitaria è necessario fermarsi e ridefinire chi si è e chi si vuole essere. Una volta che abbiamo definito la strategia di comunicazione, essa si può rendere attiva. Oggi esistono delle figure definite brand reputation che hanno il compito di controllare l’andamento della strategia pubblicitaria e di capire la reputazione del brand. I feedback sono necessari. Es. ad oggi i più grandi pubblicitari sono gli influencer, che non appena lanciano un contenuto controllano i feedback per cambiare la propria comunicazione e orientarla verso ciò che il pubblico vuole. Nel processo di comunicazione i brand fin da sempre hanno avuto il bisogno di partire da un’analisi di tipo desk, ovvero analisi descrittive orientate a due aspetti: § Immagine della marca – verifica la corrispondenza tra identità e immagine. Valutazione oggettiva. Corrispondono in termine semiotici agli aspetti di significato e significante -> il messaggio che il marchio vuole inviare e l’immagine che assume nel contesto devono essere coerenti fra di loro e sinergici per gli obbiettivi che si pongono. § individuare i profili di consumer insight che possano corrispondere effettivamente all’interlocutore per uno specifico brand. Si valuta dunque il ruolo del consumatore nella comunicazione pubblicitaria e come reagisce agli stimoli lanciati dal brand. Le indagini approfondite circa i due punti precedenti, sono sempre state volte da istituti specifici; oggi, all’interno delle agenzie pubblicitarie, uno dei ruoli del planner è quello di leggere le campagne pubblicitarie e verificare quali erano i contenuti che definivano l’identità̀ di un brand. La lettura viene svolta tramite il copy strategy e la copy review, rispettivamente usate una dalla coppia creativa per definire gli asset della nuova proposta creativa, e l’altra dallo strategic planner per leggere le pubblicità dei competitors. Copy strategy e copy review sono entrambi composti dagli stessi elementi: Claim o pay off Headline Target – chi vuole colpire la campagna Benefit – qual è il beneficio e dunque cosa promette il brand rispetto ai competitors. Reason why e supporting evidence – la spiegazione del perché di un certo beneficio e la dimostrazione concreta e coerente a riguardo. L’intento è persuasivo e si “vince” nel momento in cui anche il consumatore la pensa così. Tone – quale carattere o tono di voce bisogna avere à sintesi estrema degli asset che definiscono l’area di pertinenza di una campagna pubblicitaria Esempio – Il mercato mass market delle acque minerali alcuni anni fa Acqua Lete il principale beneficio è il poco sodio e Lete ce lo dimostra in modo ironico con l’immagine ma anche con il body copy. Il planner voleva darne un’interpretazione oggettiva. à Claim/pay off: Ricca di piacere, povera di sodio à Head line: particella di sodio in acqua Lete, che inganna il tempo à Target: discreto/buon livello di cultura (sodio), che vive la propria salute come un elemento indispensabile à Benefit: benessere fisico à Reason why: perché è povera di sodio à Supporting Evidence: assenza di bollicine à Tone: ironico Levissima à Claim/pay off: Allegra di gusto, pura di natura à Head line: La purezza ci prende gusto à Target: 18-35, donne/uomini, attenti a sé, ma con gusto à Benefit: allegria - benessere à Reason why: perché l’acqua è così à Supporting Evidence: bollicine, che ricordano l’acqua ma anche sinonimo di frizzante, allegro, clima di festa e spensieratezza à Tone: spiritoso Ogni brand deve essere in grado di presidiare un’area di contenuto che riesca a connotare il brand e a livello di immagine, questa deve essere tanto forte da restituire quei contenuti ma allo stesso tempo distintiva. A partire dal nuovo millennio le cose sono cambiate; il modo di costruire e analizzare le campagne risulta inadeguato e i motivi sono i seguenti: § Grande affollamento dei media pubblicitari tradizionali e conseguente difficoltà nel realizzare campagne pubblicitarie. Così, oltre all’innalzamento dei prezzi a causa della alta domanda, era necessario anche realizzare campagne che fossero realmente distintive e accattivanti, per riuscire a farsi ricordare nonostante le miriadi di pubblicità. § La presenza di un nuovo interlocutore, un consumatore post-moderno, estremamente complicato e infedele per definizione. Il nuovo consumatore, infatti, è fedele solo a sé stesso e alla propria identità e non accetta di essere spinto all’acquisto; piuttosto intende il brand a suo pari, come un interlocutore col quale potersi confrontare. La fedeltà non può più essere un obbiettivo; il nuovo consumatore è fast, non si sofferma. § Internet è uno strumento che accentua i punti precedenti e non è facile da gestire, dunque può risultare uno strumento pericoloso. A differenza dei media tradizionali, che impongono una comunicazione one-to-many, internet impone una nuova forma di democrazia, stravolgendo i metodi di approccio. Non si può più pensare a una comunicazione unidirezionale ma è necessario che il brand si metta in discussione con il consumatore. Il consumatore è stato studiato da Statistic Brain Research Institute che ha cercato di capire il livello di attenzione umano. Dagli esiti della ricerca apportata dall’istituto risulta che il livello di concentrazione dell’uomo è passato da 12sec a 8.5sec, e questo è dovuto al fatto che siamo abituati a ricevere tutto frammentato. Perfino il pesce rosso, considerato l’animale con la più bassa concentrazione, ha un livello di attenzione più alto. I brand devono ovviamente tenere conto di questo aspetto e così l’obbiettivo cambia: da attirare l’attenzione diventa coinvolgere il consumer. Per farlo, è necessario adottare un nuovo approccio: il transmedia storytelling, che ricordiamo essere un processo in cui si parte da un nucleo narrativo definito per poi arricchirlo di mondi narrativi su differenti canali, con il fine di creare un’esperienza di intrattenimento in cui ci siano occasioni di incontro ed interazione tra mondi narrativi e il pubblico. Parlare di transmedia storytelling, significa anche pensarlo come una logica di pensare, un flusso continuo di contenuti attraverso differenti media, i quali possono alimentare ed integrare la storia originaria. Definizione di Jenkins – è un processo dove si ha la participazione di diversi canali ad un unico processo narrativo. Ogni medium di fatto da un suo proprio contributo al mondo narrativo che viene individuato. Definizione di Dena – pratica narrativa creativa che implica l’utilizzo di media distinti e diversi ambienti d’espressione per veicolare un contenuto. Lo story telling viene visto come un sistema narrativo. In realtà, sarebbe più corretto dire “generare e alimentare” al posto di “veicolare”, per non perdere di vista un aspetto importante: un contenuto non è mai esclusivamente veicolato ma anche condiviso. Generare e alimentare un dato contenuto implica lavorare su due livelli: § Attivare il transmedia storytelling tramite pratiche produttive di arricchimento narrativo attraverso l’intertestualità; § Attivare il transmedia storytelling tramite pratiche distributive, ovvero la frammentazione del mondo in diversi canali concertati fra di loro ma con una specifica parte per ognuno. Ci sono tre pratiche distributive: o Story channels – si scelgono dei canali che consentono di far progredire la storia o Storyworld channels – ampliano le possibilità esperienziali. Es. videogiochi o Commodity channels – sono degli attrattori; canali che attirano nuovi possibili sostenitori che arricchiscono ulteriormente la community. Es. personaggi di starwars di Esselunga. à tutte e tre sono fondamentali perché permettono al consumatore di diventare parte attiva della pubblicità. Starwars rappresenta un esempio di transmedia storytelling, che si compone di un nucleo attivo principale definito, il quale è stato rivisto in molti modi tramite varie forme di interstualità, creando diversi mondi narrativi. Il mondo narrativo può avere due forme di estensioni: § Estensione narrativa – nuovi contenuti ad integrazione della narrazione precedente § Estensione diegetica – creano interazioni dirette fra mondo narrativo e spettatori. Il passo successivo è quello di attivare un processo di transmedia branding, dove il brand costruisce mondi narrativi sinergici integrati e riconoscibili perché connotati in modo distintivo. Due macrocategorie di transmedia storytelling: § Intercompositional transmedia – ogni nucleo narrativo è consequenziale e anticipatorio di altri momenti narrativi. In questo caso, se il pubblico perde uno di questi momenti narrativi, rischia di perdere delle conoscenze importanti rispetto a quel mondo (meccanismo “pericoloso”). Le fasi di lavoro comportano fasi di conoscenza. § Intracompositional transmedia – vediamo un nucleo narrativo forte in cui sono identificati dei parametri, il quale assume sembianze differenti a seconda del mezzo che si usa, dando vita a storie diverse ma riconducibili a uno stesso nucleo narrativo. A questo modello appartiene il mondo fashion e luxury. TEXT 0 – un’idea; una piattaforma di vari contenuti e valori che identificano la proposta, declinabile poi in altri modi. Uno degli esempi di digital brand che lavora sui prodotti tangibili è Gucci con il direttore creativo Alessandro Michele. Lui, infatti, è stato in grado di creare un mondo Gucci referenziale, chiaro, attraverso fashion film, sfilate, prodotti nt, mondo virtuale, ecc. Con Gucci parliamo di digital fashion brand. Vediamo la figura di Gucci anche in altre piattaforme, come per esempio animal crossing. I passaggi per attivare il processo di transmedia branding sono: § Creazioni di mondi immaginari § Nebula – fase intermedia in cui definire degli immaginari che possano essere facilmente riconosciuti dal pubblico. § Creazione dell’immaginario – qui si lavora dal punto di vista del linguaggio e dei codici estetici, così che possano diventare distintivi e connotativi per un brand Come scegliere i contenuti? Per creare una storia di marca determinati asset oggi sono inutili. Se prima l’obbiettivo era quello della persuasione, oggi il brand non spinge il consumatore a comprare, perché lo rifiuterebbe. Ricordiamo infatti che si tratta di un consumatore individualista, autonomo nelle sue scelte. Analizziamo le campagne televisive Martini per capire come sono mutati i parametri. Martini 1993 Questa campagna ha come obbiettivo quello di creare un immaginario ben definito. Si tratta di una storia senza tempo, con personaggi stereotipati, un linguaggio iconico e la definizione in bianco e nero rimanda ad una temporalità indefinita. Il minutoraggio è maggiore e il prodotto viene presentato al 45sec. I protagonisti della storia sono un uomo anziano, che ricorda Onassis, uomo industriale greco, una giovane ragazza affascinante e un giovane ragazzo sicuro di sé. Il Martini dal punto di vista narrativo assume un ruolo di strumento magico che viene impiegato dall’uomo più giovane per sedurre la ragazza, cosa che è negata all’uomo anziano. Il brand aiuta il ragazzo nel suo intento: conquistare la bella ragazza. In questa campagna possiamo ancora parlare di target e benefit. Martini 2009 In questa campagna il brand ambassador è George Clooney, nel periodo del pay off “No martini no party”. La persuasione non è già più l’obbiettivo dell’annuncio; il modo di costruire il messaggio cambia drasticamente: il prodotto non ha un potere. Si trasforma in una specie di gioco ironico in cui alcuni elementi rimangono inalterati. Martini non da niente al protagonista in termini di benefit; non c’è più una motivazione commerciale per scegliere il brand ma solo la condivisione di un mood e di un’atmosfera. Martini 2020 Dal punto di vista pubblicitario e creativo non c’è nulla di nuovo. Richiama molto la campagna del 1993, anche solo nelle inquadrature o nella presenza di musica, di una bella ragazza bionda e dello sguardo complice fra i due giovani. La ragazza però questa volta è da sola e non accompagnata da un uomo maturo e in piena autonomia decide di svestirsi per seguire l’uomo più giovane. Vediamo in questa pubblicità un impoverimento di Martini, che replica la pubblicità degli anni d’oro sperando di riottenere lo stesso successo. Parametri di lettura della pubblicità: tra ieri e oggi In generale, quello che si può affermare è che anche ciò che è rimasto ha dovuto trasformare la propria natura; infatti, continuiamo a riconoscere una big idea, un pubblico e uno stile proprio, ma lo facciamo in maniera diversa. Non parliamo più di benefit inteso come dimostrazione di “migliore rispetto ad un altro prodotto”. Questo accade perché il consumatore non crederebbe più al brand. Anche definire il pubblico come target, oggi è una terminologia superata. Non possiamo più considerare il pubblico come elemento passivo, bensì dobbiamo considerarlo come elemento attivo. Infine, il tone, parlare di tono di voce non è più possibile, perché significherebbe riferirsi ad una comunicazione one-to-many. Oggi questo non è possibile; le pubblicità devono creare una conversazione. Così i nuovi tre parametri usati per la lettura della pubblicità sono: § Key concept – concetto chiave guida l’interpretazione del messaggio e dell’identità del brand. Esso implica un approccio di tipo emozionale, che instaura emozioni tra brand e internet user. § Ideal consumer – un consumatore attivo, descritto all’interno del messaggio, che rappresenta il sentire del pubblico a cui si rivolge un determinato brand. Sono coloro che popolano i mondi narrativi del brand. § Mood – un’atmosfera che crea il brand per accogliere chi si sente simile e chi condivide parti di un mondo con il brand. Applicazione del modello di lettura della pubblicità Analisi campagne pubblicitarie di gioielli Bulgari Prima campagna – il prodotto è presente in maniera protagonista. I gioielli sono posti in primo piano su uno sfondo nero e uno spot light (fascio di luce) che li colpisce, illuminandoli. Questo ultimo elemento richiama un fatto comune: solitamente, sotto un fascio di luce, ci sono le star; dunque, il messaggio che arriva è che la donna Bulgari sia una star, una donna che vuole farsi notare, potente, luminosa e preziosa. Seconda campagna – la protagonista è una ragazza dallo sguardo sicuro, sensuale e seducente. Gli occhi sono illuminati ancora da un fascio di luce. I gioielli sono sulla mano, le cui dita formano una U che incornicia gli occhi e richiama la lettera del marchio. Percepiamo sicurezza, potenza. Terza campagna – la donna protagonista accarezza un leone mansueto, che appare quasi morto. La donna stessa così rappresentata sembra una leonessa e conferisce un’attitudine forte e di determinazione, di indomabilità. I gioielli appaiono quasi in secondo piano. Quarta campagna – ritorna la figura dell’animale, questa volta in formato cuccioli. La donna è nuda, vestita solo di gioielli. La dolcezza è poco domesticata. Quinta campagna – la protagonista è una donna, vestita e fotografata di profilo. C’è un ritorno al linguaggio del corpo: il braccio forma una U. Sullo sfondo notiamo una parete rocciosa che può essere connotata con aggettivi come forte, resistente, eterna, fredda. La roccia vuole conferire alla donna la stessa immagine. Sesta campagna – Carla Bruni indossa bulgari. In questo caso è la modella a essere la campagna, lei, la sua persona e la sua determinatezza. Settima campagna, video con Zendaya – conferma gli elementi visti prima. Roma come elemento chiave identificativo. Parametri di Bulgari: o Key concept – i gioielli come un amuleto che conferisce sicurezza e potere o Consumer – donna forte, sensuale e sicura di sé ma al tempo stesso misteriosa o Mood – opulenza Damiani Prima campagna – rispetto alla donna Bulgari, il linguaggio del corpo della donna Damiani è più accogliente. Gli occhi puntati verso la telecamera, le braccia aperte e il tavolino, lasciano percepire la presenza di “un altro”. Anche qui la donna è seducente, ma in modo differente rispetto a Bulgari, nel senso che si tratta di una donna elegante, raffinata, seducente, dalla femminilità più tradizionale. La donna non è seducente di per sé, ma vuole sedurre gli altri. Non è la donna emancipata di Bulgari. Seconda campagna – pubblicità connotata da colori caldi. La donna, coperta solo da un lenzuolo di seta bianco, ha una femminilità classica. Il collier che indossa aumenta il suo potere seduttivo. Lo sguardo è dritto verso la telecamera. Terza campagna – il trucco della donna è marcato. Molto simile alla prima pubblicità mostrata. Quarta campagna – rappresenta una donna che, con le mani congiunte, sorride, è felice. Al dito ha un solitario, un anello di fidanzamento. La pubblicità è introdotta dal claim “ora puoi mostrare a tutti che la ami davvero”, con cui si chiama in causa “l’altro”, l’uomo. Vediamo una contrapposizione tra la donna bulgari che basta a sé stessa e la donna damiani che è accompagnata da un partner che causa la sua felicità. Quinta campagna – il protagonista è il gioiello che in autonomia comunica la sua importanza. L’anello si riflette allo specchio e si amplifica. Nonostante la comunicazione sia asciutta, c’è una linea di continuità e un messaggio che arriva lo stesso. Parametri di Damiani: o Key concept – il gioiello è un accessorio che esalta la femminilità o Consumer – donna femminile e seducente o Mood – atmosfera di una farytale Le ultime campagne parlano più del gioiello, in modo poco fascinante. prima campagna - volontà di restituire italianità presentando il prodotto con la pasta al pomodoro. Non si vede la faccia ma c’è centralità del prodotto. Video commercial – abbastanza anonimo nonostante la città italiana piena di arte (Venezia) Parametri di Damiani ora: o Key concept – il gioiello è un accessorio che esalta la femminilità con un tocco italiano o Consumer – donna femminile e sensuale o Mood – atmosfera ironica Pomellato, periodo italiano Prima campagna – è rappresentata l’essenzialità del gioiello. Le fragole, dal colore rosso, a livello psicologico richiamano freschezza, amore, vivacità. La suggestione è legata a qualcosa di semplice perché naturale. Serie di campagne che ruotano attorno ad una stessa ambassador, Tilda Swilton, sebbene siano tutte una diversa dall’altra. L’attrice viene presentata in diversi modi: quale attitudine vuole rappresentare e cosa dà il gioiello a questa donna? Con queste campagne si vuole suggerire una storia sfaccettata che viene completata dal gioiello. Tilda Swilton è un personaggio atipico, semplice, candido e misterioso. Il gioiello fa parte di lei e interpreta i modi di essere della donna. La donna non rappresenta una bellezza classica. Parametri di Pomellato nel periodo italiano: o Key concept – il gioiello è qualcosa in più che racconta qualcosa della donna che lo indossa o Consumer – donna unica, speciale e atipica o Mood – atmosfera surreale Successivamente Pomellato viene comprato da Curring e le campagne pubblicitarie cambiano. La protagonista diventa la moglie del nuovo stakeholder. Si tratta di una donna sicuramente molto bella, ma dalla bellezza convenzionale. La comunicazione perde di forza e risulta meno distintiva e molto più simile a qualsiasi altra campagna del mercato dei gioielli, con i più classici stereotipi. La donna Pomellato diventa un mix fra la donna Damiani e la donna Bulgari. Il brand prende coscienza dell’esagerata distanza che stava prendendo dal posizionamento originario e decide quindi di affiancarsi al fotografo Peter Lindbergh, il quale impiega maggiormente il linguaggio identificando un profilo di donna simile a quello degli albori di Pomellato. Lindbergh si caratterizzava di una naturalità estrema, e di una ricerca dell’espressione della realtà personale della protagonista, senza lavori post-produzione. Quarta campagna – tre donne, tutte e tre diverse che esprimono tre modi di femminilità ma al contempo mantengono la loro naturalità. Il gioiello quasi non viene mostrato ed è posto in basso a destra con il logo. Quinta campagna – Chiara Ferragni come brand ambassador. L’influencer è vestita con una camicia, come se fosse al lavoro: c’è la rappresentazione di un’assoluta quotidianità. La donna parla della sua personalità, il gioiello diventa parte di lei e quasi non si vede. Video commercial, 2023 – Milano come città identificativa. Analisi di Apple Ad oggi le aziende hanno una natura più complessa rispetto a quella del passato. L’obbiettivo di ogni marca è quello di creare una storia e il modello di visual identity fornisce le coordinate per muoversi nel mercato. Creare una storia di marca però non è un fatto per niente semplici, poiché le stesse marche non lo sono. Pensiamo per esempio ad Apple, azienda nata per creare computer che fossero in competizione con Microsoft. Ora, pur essendo un landmark, non propone un’unica tipologia di prodotti, bensì una vasta gamma, tra cui IPad, IPhone, IPod e laptop. Il brand è uno ma i prodotti sono differenti. La marca, dunque, deve essere in grado di gestire comunicazioni differenti a seconda del pubblico a cui ha intenzione di rivolgersi. Apple si caratterizza di campagne cult, come “think different”, di cui abbiamo parlato in precedenza, che ha la peculiarità di essere una campagna anticipatoria di nuovi modi di fare comunicazione: il prodotto non è presente e viene sostituito da un sentimento, un modo di sentire. Oltre a questo genere di campagne, ce ne sono altre che pubblicizzano singoli prodotti con approcci differenti. Concetto di brand portfolio La maggior parte delle aziende possiede un portfolio di marche, in cui riconosciamo una corporate e più brand. Per corporate intendiamo l’impresa che genera la marca o che l’acquista, e poi le raggruppa. Il potere della corporate è quello di dare credibilità e affidabilità ai prodotti. Sostanzialmente rappresenta il patrimonio culturale ed esperienziale della marca ed è una forma di garanzia. Le corporate sono assimilabili ai genitori in una grande famiglia, che hanno il compito di dare valori ai loro figli, uno diverso dall’altro, indirizzandoli e determinando il loro percorso. Fino a 15 anni fa le corporate non avevano rapporti con gli utenti finali, al quale bastava la marca (motivo per il quale nasce la marca, ovvero come garanzia per il consumatore), una volta cambiata la modalità di distribuzione però, le corporate diventano il nuovo garante e cominciano a comunicare con il consumatore. Thank you mom, P&G – la Procter & Gamble è un’azienda leader di prodotti di largo consumo americana che vanta attualmente un portfolio di 65 marchi. Nella campagna pubblicitaria “thank you mom” vengono raccontate madri straordinarie che accompagnano i figli verso la strada della vittoria. L’azienda enfatizza il suo stesso ruolo di “madre” nei confronti dei suoi brand. La campagna è caratterizzata da musica incalzante ed è didascalica, ci guida all’interpretazione. "Essere l'orgoglioso sponsor delle mamme è un modo naturale per noi di guardare ai Giochi Olimpici perché i marchi P&G fanno parte del viaggio che le mamme fanno con i loro figli ogni giorno. Vediamo quanto sono forti in ogni aspetto della loro vita e come i loro figli attingono da quella forza man mano che crescono. Attraverso la nostra campagna invitiamo tutti a unirsi a noi nel dire "Grazie" alle mamme per il ruolo che svolgono". Gestione di un brand portfolio, David Aacker - nel volume dal titolo “Gestione di un brand portfolio” egli sostiene che le corporate con i loro brand sono assimilabili ad una grande famiglia, dove i genitori (corporate) hanno il compito di dare valori ai propri figli (brand), ognuno diverso dall’altro, indirizzandoli sulla strada giusta e determinandone il percorso. Ciascuno dei figli è quindi simile alla famiglia a cui appartiene, ma allo stesso tempo ciascun figlio è diverso da tutti gli altri perché possiede una propria identità. Per brand, invece, intendiamo l’insieme di elementi tangibili e non tangibili che rendono un prodotto o un servizio unico e distinguibile. Un brand è anche il prodotto, il prezzo, la distribuzione, la comunicazione. Gli elementi non tangibili sono fondamentali nella misura in cui connotano in modo unico il brand, che quindi non può essere copiato (in un mondo in cui una campagna pubblicitaria può essere copiata in meno di 24h). Per brand equity si fa riferimento alla capacità di una marca di orientare le scelte dei consumatori sulla base di elementi intangibili (il riconoscimento e la conoscenza del marchio da parte di un determinato mercato) più che su caratteristiche tangibili (la qualità effettiva, le feature). Dunque, rappresenta il valore di un marchio, la sua astrazione, ciò che fa pensare, provare, credere, sognare e desiderare alle persone. Analisi del brand Gucci Ogni volta che cambia il designer di un brand, quest’ultimo cambia identità e mondo esperienziale di riferimento. Prendiamo in analisi il marchio Gucci, a partire dalla stilista a capo della maison Frida Giannini. Con lei Gucci aveva un’identità chiara e tutte le campagne pubblicitarie mostravano una donna bionda, affascinante, elegante, interpretando il suo modo di essere e un lusso classico. Gucci Guilty, Frida Giannini – si affianca per la realizzazione dello spot pubblicitario a Frank Miller, noto fumettista. La campagna ruota attorno a un classico cliché della seduzione, un basic instict possiamo dire, in cui uomo e donna vengono travolti dalla passione. Gli elementi caratteristici della campagna sono: Donna che rispetta lo stereotipo del tempo: bella, bionda, vestita bene e con un tacco alto; la stessa donna che appare nei master brand di Gucci. Osserviamo la continuità tra main products e cash cow brand, i prodotti affiancati, come lo è un profumo. Codice narrativo romantico. Prevalenza dei colori bianco, oro e nero, che richiamano quelli del packaging. Contesto originale, città del futuro. La scelta di Frank Miller come regista non è affatto una casualità, lui infatti all’epoca era interprete di un noir (un fumetto classico) in chiave futuristica, e questo era assolutamente coerente con la filosofia di pensiero di Frida Giannini, secondo la quale Gucci rappresentava la celebrazione di un passato estremamente potente in un contesto tecnologico urbano (futuro) Nel 2015 la direzione passa ad Alessandro Michele e con lui si crea un nuovo immaginario, un nuovo pubblico e una nuova key concept. Alessandro debutta con un fashion film, che rappresenta una sorta di manifesto in cui il direttore creativo dichiara le sue volontà e i suoi intenti per il nuovo mondo Gucci. La colonna sonora è ripresa dal film “il silenzio degli innocenti”. I protagonisti sono dei ragazzi, giovani vestiti Gucci che corrono, ridono e scherzano dirigendosi sul tetto di un grattacielo, per guardare il mondo da un’altra prospettiva. Dal terrazzo si vede l’alba, intesa come l’alba di un nuovo giorno, di un nuovo mondo di Gucci. Ciò che colpisce particolarmente è il fatto che i protagonisti siano proprio dei ragazzi, in un’epoca in cui il fashion era rivolto principalmente a una fascia di età che andava dai 30 ai 40 anni. Gucci Guilty, Alessandro Michele – con lui la pubblicità del profumo è caratterizzata da colori caldi, da musica tranquilla che trasmette calda, e da una seduzione diversa, in linea con il nuovo immaginario del brand. Il rinnovamento della comunicazione pubblicitaria non coincide con il rinnovamento di ciò che il consumatore va ad acquistare: il prodotto e il packaging sono gli stessi. Ciò che possiamo notare quindi è l’importanza della costruzione di un immaginario di marca innovativo basato su elementi simbolici ma ricco di contenuti. Nel 2023, il direttore della maison diventa Sabato De Sarno che fa una completa inversione di marcia. Inizialmente il suo unico obbiettivo era il prodotto, presentato da modelle di alto calibro come Vittoria Ceretti su sfondi anonimi. La comunicazione smetteva di essere narrativa. Gucci Guilty, Sabato De Sarno – adegua la comunicazione al nuovo modo esperienziale. Rispetto alle campagne inziali, da più risalto al contesto, cercando di fare capire il mondo del brand, con riferimenti al mondo passato. Negli spot di Gucci Guilty con De Sarno non c’è più l’elemento della seduzione, viene completamente a meno l’elemento sessuale e sensuale originario del profumo. Dinamiche del portfolio di marca Secondo David Aacker l’identità di marca è collegata ad una strategia di brand portfolio. L’identità di marca non è qualcosa di isolato né dal contesto aziendale in cui la marca si inserisce né dal mercato. Corporate e brand creano delle dinamiche differenti che tengono conto di tre fattori: Brand extension – tiene conto delle opportunità che un mercato può avere. Queste opportunità sono tanto più rilevanti quanto più è rilevante un bran