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Questa dispensa è scritta da studenti senza alcuna intenzione di sostituire i materiali universitari. Essa costituisce uno strumento utile allo studio della materia ma non garantisce una preparazione altrettanto esaustiva e completa quanto il materiale consigliato dall’Università. IL DIRITTO...

Questa dispensa è scritta da studenti senza alcuna intenzione di sostituire i materiali universitari. Essa costituisce uno strumento utile allo studio della materia ma non garantisce una preparazione altrettanto esaustiva e completa quanto il materiale consigliato dall’Università. IL DIRITTO COMMERCIALE & LE SUE FONTI Il diritto commerciale riguarda la tutela della propria libertà e della libertà di iniziativa e competizione economica (articoli 41 e 42 della Costituzione). Tale diritto comprende la legislazione economica di diritto pubblico e di diritto privato, con l’obiettivo della creazione di un ambiente giuridico favorevole allo sviluppo delle imprese e che ne assicuri un funzionamento razionale e ordinato. Diritto privato = regole che riguardano sia i singoli rapporti economici in cui si sviluppa l’attività di impresa, sia l’attività di impresa complessivamente considerata (contratto, obbligazioni, responsabilità…) Diritto commerciale = parte del diritto privato che ha ad oggetto e disciplina l’attività e gli atti di impresa (a dispetto del nome, NON solo dell’impresa commerciale):  Diritto speciale ➔ deroghe a taluni aspetti della disciplina generale (ad esempio per il trasferimento di azienda)  Diritto che converge a livello internazionale  Origine storica ➔ diritto degli affari mercantili, diverso dal diritto comune (importanza degli usi mercantili) FONTI DEL DIRITTO COMMERCIALE: La prima codificazione italiana vede l’emanazione di due distinti codici di diritto privato: 1. Codice civile (1865) ➔ per i rapporti civili 2. Codice di commercio (1865, sostituito nel 1882) ➔ per gli atti di commercio e l’attività dei commercianti Era inoltre presente una generalizzazione del diritto commerciale (principi diversi per il Codice civile e per il codice di commercio) Nel 1942 avvenne una unificazione delle fonti del diritto privato nel Codice Civile. Ad oggi abbiamo dunque le seguenti fonti: - Codice civile del 1942 - Costituzione del 1948 - Leggi speciali (TUF, TUB) - Legislazione europea in materia di impresa (regolamenti direttamente applicabili o direttive con necessitò di recepimento) Vanno inoltre considerate le fonti consuetudinarie o fonti senza rango legale (principi, come quelli dell’ordine dei commercialisti) che possono anche essere specifiche di determinati settori. L’IMPRENDITORE IL SISTEMA LEGISLATIVO: IMPRESA E IMPRENDITORE Nel nostro sistema giuridico la disciplina delle attività economiche ruota intorno alla figura dell’imprenditore. Il Codice civile, infatti, non contiene una vera e propria definizione di impresa: quest’ultima viene dunque derivata dall’articolo 2082, che definisce l’imprenditore stesso. L’impresa non è una fattispecie a disciplina unitaria, bensì esistono diversi tipi di imprese e di imprenditori sulla base a tre criteri: 1) L’OGGETTO dell’impresa ➔ imprenditore agricolo vs imprenditore commerciale 2) La DIMENSIONE dell’impresa ➔ piccolo imprenditore vs imprenditore medio-grande 3) La NATURA DEL SOGGETTO che guida l’impresa ➔ impresa individuale vs impresa collettiva (forma societaria o ente privato non societario) ➔ impresa pubblica vs impresa privata Tutti gli imprenditori sono assoggettati alla disciplina comune nota come “statuto generale dell’imprenditore”, che comprende la disciplina dell’azienda e dei segni distintivi, la disciplina della concorrenza e dei consorzi, la disciplina a tutela del mercato. Oltre a questo statuto, chi è imprenditore commerciale non piccolo è assoggettato anche ad uno specifico statuto integrativo detto “statuto tipico dell’imprenditore commerciale”, in cui rientrano l’iscrizione nel registro delle imprese con effetti di pubblicità legale, la disciplina della rappresentanza commerciale, le scritture contabili, la liquidazione giudiziale e concordato preventivo (codice della crisi di impresa) e amministrazione straordinaria delle grandi imprese insolventi. Riguardo all’imprenditore agricolo e al piccolo imprenditore, questi sono sottratti all’applicazione della disciplina tipica dell’imprenditore commerciale anche se esercitano attività commerciale: pur avendo anch’essi obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, il sistema di procedure concorsuali che regola la crisi dell’imprenditore agricolo e dell’impresa minore è diverso. Per poter essere imprenditori è necessario che l’attività svolta risponda ai requisiti fissati dall’articolo 2082 riguardo alla nozione generale di imprenditore. ARTICOLO 2082: LA NOZIONE GENERALE DI IMPRENDITORE Articolo 2082: “È imprenditore la persona fisica o giuridica che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi”. Tale articolo fissa i requisiti minimi che un soggetto deve rispettare per poter essere esposto alle norme dettate per l’impresa, la quale è attività caratterizzata da uno specifico scopo (produzione o scambio di beni e servizi) e da specifiche modalità di svolgimento (organizzazione, economicità e professionalità). È tuttavia controverso se siano requisiti minimi la liceità dell’attività, l’intento di ricavare profitto (scopo di lucro) e la destinazione al mercato dei beni prodotti. L’ATTIVITÀ PRODUTTIVA E DI SCAMBIO L’impresa è attività produttiva di nuova ricchezza, ma anche mera attività di scambio (in quanto volta a incrementare l’utilità dei beni spostandoli nel tempo e nello spazio). È irrilevante invece la natura dei beni/servizi prodotti ed il tipo di bisogno soddisfatto; perciò, costituiscono attività d’impresa anche la produzione di servizi di natura assistenziale e culturale (imprese di spettacoli teatrali o sportivi). Data la definizione NON è impresa l’attività di mero godimento che non dà luogo alla produzione di nuovi beni (ad esempio chi concede in locazione un proprio immobile si limita a godere i frutti dei propri beni), mentre il soggetto viene considerato imprenditore se accanto all’attività di godimento si affianca un’attività produttiva: ad esempio se il proprietario di un immobile lo adibisce ad albergo affiancando la locazione con l’erogazione di servizi collaterali (pulizia locali e cambio biancheria) che eccedono il mero godimento oppure se viene utilizzato proprio denaro nella compravendita di strumenti finanziari (azioni, obbligazioni) con scopo di investimento, finanziamento o speculazione. Dunque, le società finanziarie sono imprese commerciali. L’attività produttiva dà origine alla qualità di imprenditore anche se illecita, ossia contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume, e nello specifico anche se l’oggetto stesso dell’attività è illecito (contrabbando di sigarette o commercio di droga): infatti esse possono dare luogo al compimento di una serie di atti leciti e validi e non vi è motivo di sottrarre chi viola la legge dalle norme che tutelano i rispettivi creditori né di sottrarre i produttori di droga dalla liquidazione giudiziale o dalle sanzioni amministrative/penali, anche se i violatori di legge non potranno avvalersi delle norme che tutelano l’imprenditore nei confronti dei terzi (ad esempio la disciplina che tutela dalla concorrenza sleale). L’ORGANIZZAZIONE: IMPRESA E LAVORO AUTONOMO La disciplina prevede che l’impresa sia attività organizzata con l’impiego di fattori produttivi: 1. LAVORO È superfluo che l’organizzazione riguardi il lavoro altrui, ma può prevedere anche organizzazione di soli capitali e del proprio lavoro (manuale o intellettuale): l’imprenditore può anche non avvalersi di prestazioni lavorative subordinate o autonome ➔ dunque, sarà impresa sia l’attività di gioielleria gestita dal solo titolare senza dipendenti (impiega il fattore del capitale) sia l’attività basata su un servizio automatizzato come le lavanderie a gettoni o le vending machines di merendine. 2. CAPITALE NON è necessario dotarsi di un apparato aziendale composto da beni mobili ed immobili, ma basta che l’organizzazione si riduca all’impiego di mezzi finanziari propri od altrui, come per le attività di finanziamento ➔ ciò che rileva è infatti il coordinamento da parte dell’imprenditore dei fattori produttivi scelti, non il tipo di apparato strumentale. Di conseguenza la qualità di imprenditore non può essere negata sia quando l’attività è esercitata senza l’ausilio di collaboratori, sia quando il coordinamento degli altri fattori produttivi (capitale e lavoro proprio) non si concretizza nella creazione di un complesso aziendale meramente percepibile. L’auto-organizzazione, ossia l’attività produttiva fondata esclusivamente sul lavoro personale senza impiego di capitali, NON è però sufficiente per poter essere considerati imprenditori. Ad esempio, coloro che producono servizi svolgendo attività organizzata ma solo col proprio lavoro, come i prestatori autonomi d’opera manuale (elettricisti o idraulici) o i fornitori di servizi personalizzati (mediatori od agenti di commercio), non sono imprenditori, poiché l’organizzazione esclusiva del proprio lavoro è differente da organizzare un’attività d’impresa. ➔ tutti coloro che esercitano solo lavoro proprio, senza capitali né lavoro altrui NON sono considerati imprenditori Rientra tra i piccoli imprenditori chi organizza attività prevalentemente con il proprio lavoro e quello dei familiari, essendo organizzazione di lavoro altrui (articolo 2083). È evidente, perciò, che per avere impresa sia necessario un minimo di organizzazione di capitale o di lavoro altrui, poiché in mancanza si avrà lavoro autonomo non imprenditoriale (tipico dei prestatori d’opera manuale e dei mediatori), fino a quando il capitale impiegato è solo strumentale allo svolgimento della propria attività (telefono, automobile, attrezzi) e non si supera la soglia dell’auto-organizzazione del proprio lavoro. ECONOMICITÀ DELL’ATTIVITÀ E SCOPO DI LUCRO Per avere impresa è necessario che l’attività produttiva sia condotta con metodo economico ed economicità, ossia in modo da consentire la copertura dei costi con i ricavi e ricercare l’autosufficienza economica. NON sarà imprenditore chi produce beni o servizi erogati gratuitamente o a prezzo politico, come un ente pubblico che gestisce una mensa per poveri o un ospedale, mentre lo sarà chi gestisce i medesimi servizi con metodo economico, anche se questo è ispirato da un fine pubblico o se le condizioni di mercato non consentono poi nei fatti di remunerare i fattori produttivi. NON è però essenziale che per essere economica l’attività abbia scopo di lucro: nonostante lo scopo dell’imprenditore privato solitamente sia massimizzare il profitto, sia nel caso in cui manchi il lucro soggettivo (scopo lucrativo inteso come movente psicologico dell’imprenditore), che nel caso manchi il lucro oggettivo (l’attività non è svolta a massimizzare i ricavi), si è considerati comunque imprenditori a patto che l’attività sia svolta per cercare il pareggio tra costi e ricavi Metodo economico =/ Metodo lucrativo Metodo economico, l’unica cosa necessaria per acquistare il titolo di imprenditore. Ciò è dovuto al fatto che la nozione di imprenditore è unitaria per tutte le categorie di imprese; dunque, i requisiti essenziali devono essere comuni a tutti gli imprenditori, cosa non valida per il metodo lucrativo, infatti esistono: ► L’impresa pubblica, tenuta ad operare secondo economicità ma non preordinata alla realizzazione di profitti ► Le società cooperative/mutualistiche del settore privato che operano con scopo mutualistico e non lucrativo, anch’esse non tese alla realizzazione di profitti (sono preordinate ad un vantaggio patrimoniale in quanto operano per fornire beni/servizi/occasioni di lavoro a condizioni più vantaggiose di quelle che sarebbero disponibili sul mercato. ► Le imprese sociali, che per definizione esercitano attività di interesse generale (attività economiche organizzate) senza scopo di lucro > hanno il divieto di distribuire utili in qualsiasi forma ai soci/amministratori/lavoratori/partecipanti e collaboratori. LA PROFESSIONALITÀ L’ultimo dei requisiti espressamente richiesti dall’articolo 2082 è il carattere professionale dell’attività, ossia l’esercizio abituale e non occasionale dell’attività produttiva. NON è imprenditore chi compie un’isolata operazione di acquisto e rivendita di merci o chi organizza un singolo servizio di trasporto. Tuttavia: a) La professionalità NON richiede di svolgere un’attività in modo continuato e senza interruzioni; dunque, per le attività stagionali è sufficiente il ripetersi di atti secondo le cadenza del dato tipo di attività (rifugi alpini o stabilimento balneare) b) La professionalità NON richiede che quella d’impresa sia l’unica o la principale attività; dunque, è possibile il contemporaneo svolgimento di più attività di impresa (anche agricola e commerciale) c) Si ha impresa se si compie un unico affare laddove questo comporti l’utilizzo di un apparato produttivo complesso: è imprenditore il costruttore di un singolo edificio o chi acquista un immobile per rivenderne i singoli appartamenti Un caso particolare è l’impresa per conto proprio: data la necessità di tutela del credito e delle posizioni dei fornitori di macchinari e materiali, è considerato imprenditore anche chi costruisce un singolo edificio per destinarlo ad uso personale. Ciò dimostra che non sempre le imprese operano per il mercato, ma possono produrre beni e servizi anche destinati ad uso e consumo personale. La destinazione al mercato della produzione dipende dalle intenzioni di chi produce, e l’applicazione della disciplina d’impresa deve fondarsi esclusivamente sui caratteri oggettivi fissati dall’articolo 2082, caratteri che ricorrono anche se i beni prodotti sono utilizzati dal produttore Tutto ciò si tratta di una opinione minoritaria: il punto resta controverso e secondo l’opinione dominante la concezione economica dell’imprenditore richiede che questi svolga una funzione intermediaria tra proprietari di fattori produttivi e consumatori e quindi che i beni o servizi prodotti siano di fatto destinati al mercato IMPRESA E PROFESSIONI INTELLETTUALI I liberi professionisti (avvocati, notai, medici, commercialisti, veterinari…) non sono mai imprenditori, ma le disposizioni in tema di impresa (articolo 2238) si applicano ai professionisti intellettuali solo se l’esercizio delle professioni è elemento di un’attività organizzata in forma di impresa (medico che gestisce la clinica privata in cui lavora, artista titolare del teatro in cui recita). Solo in questo caso si applica sia la disciplina della professione intellettuale che quella d’impresa. Se il professionista intellettuale si limita a svolgere la propria attività, anche se si avvale di collaboratori (vasti studi di avvocati) o di complessi apparati di mezzi materiali (investimenti di capitale in macchinari degli studi dentistici), non diventa mai imprenditore, pur organizzando capitale e lavoro e ricorrendo tutti i requisiti tipici dell’attività d’impresa (attività produttiva svolta con metodo economico e con l’organizzazione di capitale e del lavoro altrui). I professionisti, perciò, non sono imprenditori per libera scelta del legislatore dovuta alla considerazione sociale che circonda le professioni intellettuali, scelta che permette di esonerarli dalla liquidazione giudiziale, ma anche dalla disciplina dell’azienda e della concorrenza sleale. LE CATEGORIE DI IMPRENDITORI IMPRENDITORE AGRICOLO E IMPRENDITORE COMMERCIALE ► Il ruolo della distinzione Le uniche due categorie di imprenditori sono l’agricolo e il commerciale. Chi è imprenditore agricolo è sottoposto solo alla disciplina dell’imprenditore in generale, ma esonerato da quella dell’imprenditore commerciale (beneficiando dunque di un regime di favore), la quale prevede la tenuta delle scritture contabili, assoggettamento alla liquidazione giudiziale, accesso agli strumenti concorsuali di risoluzione della crisi (può essere sottoposto però elle procedure concorsuali da sovraindebitamento). Imprenditori a confronto: Statuto dell’imprenditore commerciale ► L’imprenditore agricolo: le attività agricole essenziali La nozione originaria nell’articolo 2135 del Codice Civile stabiliva che: “è imprenditore agricolo chi esercita un’attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame e attività connesse, ossia quelle attività dirette alla trasformazione o alienazione dei prodotti agricoli rientranti nell’esercizio dell’agricoltura”. Le attività agricole possono essere essenziali (quelle sottolineate) o per connessione (= connesse). Riguardo le attività essenziali la nozione originaria generava contrasti, poiché al giorno d’oggi l’impresa fondata sulla produttività naturale della terra cede il passo all’agricoltura industrializzata, che usa prodotti chimici e controlla i cicli biologici con tecniche sofisticate, consentendo di ottenere prodotti agricoli con metodi che prescindono dallo sfruttamento della terra (coltivazioni artificiali o fuori terra, allevamenti in batteria). Dati questi contrasti con la nozione originaria, è sorta la necessità di ampliare la nozione di attività essenziali per confermare l’esonero dell’imprenditore agricolo dalla disciplina del commerciale, sottolineando come fosse impresa agricola ogni forma di produzione fondata sullo svolgimento di un ciclo biologico naturale, non dando rilievo solo al modo di produzione legato allo sfruttamento della terra. Con la riforma del 2001 l’attuale articolo 2135 afferma che: “è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e sviluppo di un ciclo biologico o di una fase del ciclo, di carattere vegetale o animale che utilizzano il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine” Dunque, la produzione di specie vegetali e animali è sempre attività agricola essenziale anche se prescinde dallo sfruttamento della terra. Rientrano quindi nelle attività essenziali: ► Nella coltivazione del fondo > l’orticoltura, le coltivazioni in serra o vivai, la floricoltura, le coltivazioni fuori terra di ortaggi e frutta ► Nella selvicoltura > le attività caratterizzate dalla cura del bosco per ricavarne i prodotti, dunque non l’estrazione del legname ► Nell’allevamento di animali > la zootecnia (che usa il fondo come mero sedimento dell’azienda), gli allevamenti in batteria, l’allevamento non diretto ad ottenere prodotti agricoli (allevamento di cavalli da corsa, di animali da pelliccia, l’attività cinotecnica per l’addestramento di cani e gatti). Grazie al cambiamento del termine “bestiame” con “animali” si possono qualificare come impresa agricola, accanto agli animali tradizionalmente allevati sul fondo (bovini, ovini, suini), anche l’allevamento di animali da cortile (polli e conigli), l’acquicoltura (pesci), l’attività ittica professionale (per scelta del legislatore non essendo legate allo sviluppo di alcun ciclo biologico). ► Le attività agricole per connessione Anche riguardo le attività agricole per connessione la nozione attuale è un ampliamento rispetto alla precedente che considerava tali solo le attività dirette alla trasformazione o all’alienazione di prodotti agricoli e le attività connesse con la coltivazione, la selvicoltura e l’allevamento. Oggi, secondo lo stesso articolo 2135, invece sono considerate connesse: a. Le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti da un’attività agricola essenziale (coltivazione del fondo, del bosco o dall’allevamento di animali) b. Le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, comprese quelle di valorizzazione del territorio, del patrimonio rurale e forestale e le attività agrituristiche (ricezione e ospitalità) Le attività connesse, ad esempio il possessore di un negozio di frutta e verdura, pur essendo oggettivamente commerciali, sono considerate per legge attività agricole se esercitate in connessione con una delle attività essenziali, diventando agricole per connessione. Al riguardo è necessario evidenziare le due condizioni: 1. Connessione soggettiva, quando il soggetto svolge una delle attività agricole tipiche in modo coerente con quella connessa. Ad esempio, chi commercializza prodotti agricoli altrui è commerciale, un viticoltore che produce formaggi è commerciale, un viticoltore che produce vino è agricolo. La nozione di imprenditore agricolo si estende anche alle cooperative di imprenditori agricoli e ai loro consorzi (cantine sociali) quando utilizzano prodotti dei soci, sebbene manchi qua l’identità soggettiva fra i soci produttori d’uva e la società produttrice di vino. 2. Connessione oggettiva tra attività connessa ed essenziale secondo il criterio della prevalenza: infatti non è più necessario che le attività di trasformazione rientrino nel normale esercizio dell’agricoltura, ma che le attività abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dall’esercizio dell’attività agricola essenziale, ossia forniti utilizzando in modo prevalente le attrezzature o le risorse dell’azienda agricola. Dunque, per avere impresa agricola basta che per rilievo economico l’attività essenziale prevalga su quelle connesse. ► L’imprenditore commerciale Secondo l’articolo 2195 è imprenditore commerciale colui che esercita una delle seguenti categorie di attività: 1. Attività industriale diretta alla produzione di beni e servizi: edili, tessili, automobilistiche 2. Attività intermediaria nella circolazione dei beni: commercio 3. Attività di trasporto per terra, acqua o aria 4. Attività bancaria o assicurativa 5. Attività ausiliare alle precedenti, ossia le attività strumentali a quelle indicate: imprese di agenzie, mediazione, spedizione, pubblicità Data la difficoltà nel far rientrare le attività in queste categorie, è in realtà sufficiente dire che è commerciale ogni impresa non qualificabile giuridicamente come impresa agricola. PICCOLO IMPRENDITORE, IMPRESA MINORE, IMPRESA ARTIGIANA E FAMILIARE 1. Il criterio dimensionale – la piccola impresa Secondo il criterio della dimensione differenziamo tra piccolo e medio-grande imprenditore. Il piccolo imprenditore è sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore e all’iscrizione nel registro delle imprese con funzione di pubblicità, mentre, pur esercitando attività commerciale, è esonerato dalla tenuta delle scritture contabili, dalla liquidazione giudiziale, dalle procedure concorsuali riservate (concordato preventivo, ristrutturazione omologata e ristrutturazione dei debiti), mentre può usufruire delle procedure da sovraindebitamento. Lo statuto dell’imprenditore commerciale si applica solo se questi è non piccolo: la piccola impresa è dunque sottoposta ad una speciale legislazione per favorirne lo sviluppo tramite agevolazioni finanziarie e tributarie. 2. Il piccolo imprenditore nel codice civile Individuare chi sia piccolo imprenditore è stato in passato difficile data la coesistenza di due nozioni: l’articolo 2083 del Codice Civile e l’articolo 1 della legge fallimentare. Da Codice Civile: “sono piccoli imprenditori i coltivatori del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata in prevalenza con il proprio lavoro e quello dei familiari”. Il criterio generale di individuazione dei piccoli imprenditori è dunque la prevalenza del lavoro proprio e familiare; dunque, per avere piccola impresa è necessario che l’imprenditore presti il proprio lavoro nell’impresa e che il suo lavoro e quello dei familiari coinvolti prevalgano dal punto di vista qualitativo-funzionale (ossia verificando l’apporto del lavoro personale sui beni prodotti) rispetto sia al lavoro altrui che al capitale (proprio o altrui) investito. ➔ Per questo motivo un gioielliere, pur lavorando senza collaboratori, non potrà essere piccolo imprenditore, dato che investe ingenti capitali. 3. Il piccolo imprenditore e la disciplina concorsuale: l’impresa minore La legge fallimentare definiva il piccolo imprenditore sulla base di criteri diversi: non con il principio di prevalenza, ma tramite delle soglie quantitative rapportate al reddito e al capitale investito nell’impresa. Il rischio era di dover esentare un imprenditore dal fallimento in base all’articolo 2083 per la prevalenza del lavoro familiare, ma dichiararlo fallito perché superava le soglie dimensionali fissate. Oggi, in seguito ad alcune modifiche, la disciplina concorsuale individua alcuni parametri dimensionali al di sotto dei quali l’imprenditore commerciale non è soggetto alla liquidazione giudiziale (impresa minore). Si è voluto affermare la separazione tra la nozione valida ai fini del Codice civile e i criteri dimensionali per l’applicazione della normativa concorsuale. Stando a quest’ultima non è soggetto alla liquidazione giudiziaria l’imprenditore che congiuntamente presenta i seguenti requisiti: a. Aver avuto nei tre esercizi antecedenti il deposito di istanza di liquidazione un attivo patrimoniale non superiore ad euro 300.000 b. Aver realizzato nei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza ricavi non superiori ad euro 200.000 c. Avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiori ad euro 500.000 Il piccolo imprenditore è sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore e all’iscrizione nel registro delle imprese con funzione di pubblicità, mentre, pur esercitando attività commerciale, è esonerato dalla tenuta delle scritture contabili, dalla liquidazione giudiziale, dalle procedure concorsuali riservate (concordato preventivo, ristrutturazione omologata e ristrutturazione dei debiti), mentre può usufruire delle procedure da sovraindebitamento. Lo statuto dell’imprenditore commerciale si applica solo se questi è non piccolo: la piccola impresa è dunque sottoposta ad una speciale legislazione per favorirne lo sviluppo tramite agevolazioni finanziarie e tributarie. 4. Il piccolo imprenditore e la disciplina concorsuale: l’impresa minore La legge fallimentare definiva il piccolo imprenditore sulla base di criteri diversi: non con il principio di prevalenza, ma tramite delle soglie quantitative rapportate al reddito e al capitale investito nell’impresa. Il rischio era di dover esentare un imprenditore dal fallimento in base all’articolo 2083 per la prevalenza del lavoro familiare, ma dichiararlo fallito perché superava le soglie dimensionali fissate. Oggi, in seguito ad alcune modifiche, la disciplina concorsuale individua alcuni parametri dimensionali al di sotto dei quali l’imprenditore commerciale non è soggetto alla liquidazione giudiziale (impresa minore). Si è voluto affermare la separazione tra la nozione valida ai fini del Codice civile e i criteri dimensionali per l’applicazione della normativa concorsuale. Stando a quest’ultima non è soggetto alla liquidazione giudiziaria l’imprenditore che congiuntamente presenta i seguenti requisiti: ► Aver avuto nei tre esercizi antecedenti il deposito di istanza di liquidazione un attivo patrimoniale non superiore ad euro 300.000 ► Aver realizzato nei tre esercizi precedenti la data di deposito dell’istanza ricavi non superiori ad euro 200.000 ► Avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiori ad euro 500.000 Basta aver superato anche solo uno dei limiti dimensionali per essere esposti alla liquidazione giudiziale, con prova a carico dell’imprenditore. Anche le società commerciali, se rispettano i limiti dimensionali indicati sopra, possono oggi essere esonerate dalla liquidazione giudiziale. La DISCIPLINA FALLIMENTARE (ora codice Il CODICE CIVILE individua i piccoli della crisi dell’impresa e dell’insolvenza) imprenditori che non sono soggetti allo individua quali imprenditori commerciali statuto dell’imprenditore commerciale, ma (anche società) sono troppo piccoli per solo a quello generale dell’imprenditore essere soggetti a liquidazione giudiziale. 5. L’impresa artigiana Fra i piccoli imprenditori rientra l’imprenditore artigiano. La definizione di impresa artigiana è basata sull’oggetto dell’impresa, che può essere costituito da attività di produzione di beni (anche semilavorati) o di prestazioni di servizi, e sul ruolo dell’artigiano nell’impresa, che si richiede svolga in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale, nel processo produttivo, non richiedendo però che il suo lavoro prevalga sugli altri fattori produttivi. La qualifica di artigiano impone limiti sui dipendenti utilizzabili che variano da settore a settore e può essere riconosciuta anche ad imprese costituite in forma di società di persone, di società cooperative o società a responsabilità limitata, purché ne ricorrano le condizioni. La categoria di imprese artigiane è ampliata rispetto alla figura del piccolo imprenditore ricavabile dal Codice civile. Il riconoscimento della qualifica artigiana non basta per sottrarre l’artigiano allo statuto dell’imprenditore commerciale; dunque, è necessario che sia rispettato il criterio di prevalenza fissato dall’articolo 2083, in mancanza del quale l’imprenditore sarà artigiano riguardo le provvidenze regionali, ma anche qualificato come commerciale non piccolo. Perciò essere artigiani non basta per essere esonerati dalla liquidazione giudiziale, ma conta il rispetto delle soglie dimensionali dell’impresa minore. 6. L’impresa familiare Introdotta nel 1975 con la riforma del diritto di famiglia, con la finalità di tutela minima del lavoro prestato in famiglia (prima del 1975 si presumeva gratuito). È impresa familiare l’impresa nella quale collaborano in modo continuato il coniuge, la parte di un’unione di fatto, i parenti entro il terzo grado fino ai nipoti e gli affini entro il secondo grado fino ai cognati dell’imprenditore, ossia la famiglia nucleare. L’impresa familiare non coincide con la piccola impresa: si può avere una piccola impresa non familiare, dove l’imprenditore non ha collaboratori familiari, oppure impresa familiare non piccola. Per ragioni tributarie il diritto di famiglia consente il frazionamento del reddito di impresa fra i parenti dell’imprenditore e per tutelare un minimo il lavoro familiare, quando non sia configurabile un diverso rapporto giuridico (ad esempio il lavoro subordinato), il legislatore riconosce ai membri della famiglia nucleare, i quali lavorano in modo continuato nell’impresa, determinati diritti patrimoniali e amministrativi, in particolare: Diritto al mantenimento Diritto di partecipazione agli utili dell’impresa in proporzione alla quantità del lavoro prestato Diritto sui beni acquistati con gli utili e sugli incrementi di valore dell’azienda Diritto di prelazione sull’azienda in caso di divisione ereditaria È poi previsto sul piano amministrativo che le decisioni sulla gestione straordinaria dell’impresa (impiego degli utili, cessazione dell’impresa) siano adottate a maggioranza dai familiari partecipanti all’impresa. Il diritto di partecipazione è trasferibile solo a favore degli altri membri della famiglia nucleare e con il consenso unanime dei familiari già partecipanti, e qualora un membro cessi la prestazione di lavoro (figlio che si trasferisce all’estero) la sua partecipazione è liquidabile in denaro. Di recente è stata introdotta una tutela per il convivente di fatto che presti stabilmente opera nell’impresa dell’altro convivente, riconoscendogli il diritto di partecipazione agli utili dell’impresa, ai beni acquistati con essi e agli incrementi di valore, in modo commisurato al lavoro prestato. L’impresa familiare è un’impresa individuale caratterizzata da una disciplina particolare delle prestazioni lavorative dei familiari ➔ nonostante la partecipazione di più persone all’impresa: a) i beni aziendali restano di proprietà esclusiva dell’imprenditore-datore di lavoro b) i diritti patrimoniali dei partecipanti sono meri diritti di credito nei confronti del familiare imprenditore c) gli atti di gestione ordinaria sono di competenza esclusiva dell’imprenditore d) l’imprenditore agisce nei confronti di terzi in proprio e non quale rappresentante dell’impresa familiare e perciò solo lui sarà responsabile verso i terzi delle obbligazioni da lui contratte. Inoltre, nel caso di impresa commerciale non minore solo lui sarà esposto alla liquidazione giudiziale. IMPRESA COLLETTIVA/SOCIETARIA E IMPRESA PUBBLICA 1. L’impresa societaria o collettiva Le società sono le forme associative tipiche, anche se non eslcusive, previste dall’ordinamento per l’esercizio collettivo di attività di impresa. Esistono diversi tipi di società e quella semplice è utilizzabile solo per l’esercizio di attività non commerciale, mentre gli altri tipi di società possono svolgere sia attività agricola che commerciale. Le società diverse dalla società semplice si definiscono società commerciali, sia che siano imprese agricole che commerciali, e queste società, laddove abbiamo il caso di imprese commerciali non piccole, sono sottoposte all’applicazione degli istituti tipici dell’imprenditore commerciale con regole diverse da quelle valevoli per l’imprenditore individuale. Tali regole sono: a) Le società commerciali, qualunque sia l’attività svolta, vedono l’applicazione di parte della disciplina dell’imprenditore commerciale, ossia l’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese, l’obbligo di tenuta delle scritture contabili. Se la società commerciale gestisce un’impresa agricola è esonerata invece dalla liquidazione giudiziale e dal concordato preventivo e assoggettata alle procedure concorsuali dell’imprenditore agricolo, così come se gestisce un’impresa commerciale minore, ossia non superando le soglie dimensionali previste, è altresì esonerata dal rischio di fallimento b) Nelle società in nome collettivo e in accomandita semplice la disciplina dell’imprenditore commerciale è applicata ai soci a responsabilità illimitata: nel primo caso a tutti i soci, nel secondo solo ai soci accomandatari. In caso di apertura della liquidazione giudiziale verso la società, dunque, si ha automaticamente apertura della stessa nei confronti dei singoli soci a responsabilità illimitata s.a.p.a. ➔ società in accomandita per azioni 2. Le imprese pubbliche L’attività d’impresa può essere svolta anche dallo Stato e da altri enti pubblici. In particolare, per poter applicare la disciplina dell’impresa serve distinguere tra le tre forme di intervento dei pubblici poteri. 1. Società (private) a partecipazione pubblica: lo Stato svolge attività di impresa, mediante strutture di diritto privato, ovvero attraverso la costituzione o la partecipazione statale in società, che può essere totalitaria, di maggioranza o di minoranza. In questo caso lo statuto dell’imprenditore commerciale si applica come per le società private se l’attività è esercitata in forma societaria. 2. Enti pubblici economici: quando le pubbliche amministrazioni danno vita ad enti pubblici che svolgono in maniera esclusiva o principale attività di impresa. Ne erano un esempio banche pubbliche, Enel, Ente Ferrovie dello Stato, Iri. Tali enti sono sottoposti allo statuto generale dell’imprenditore e se l’attività è commerciale anche allo statuto proprio dell’imprenditore commerciale, con sola eccezione l’esonero da liquidazione giudiziale e dalle altre procedure del codice della crisi, sostituite dalla liquidazione amministrativa coatta amministrativa o da altre procedure previste in leggi speciali. Oggi per gli enti pubblici economici è stata avviata una privatizzazione formale, con trasformazione in società private a partecipazione statale, o sostanziale, con dismissione delle partecipazioni pubbliche di controllo. 3. Imprese-organo: lo Stato o altri enti pubblici possono svolgere direttamente attività di impresa tramite proprie strutture organizzative senza una soggettività distinta ma con variabile autonomia decisionale. L’attività d’impresa è in questo caso secondaria ed accessoria ai fini istituzionali, come per le aziende municipalizzate erogatrici di pubblici servizi (trasporti urbani, gas). Stando all’articolo 2093 alle imprese-organo si applica la disciplina generale dell’impresa e quella dell’imprenditore commerciale con solo esonero dall’iscrizione nel registro delle imprese e dalle procedure concorsuali quali la liquidazione giudiziale (sono invece sottoposti, se svolgono attività commerciale accessoria, alle restanti norme dell’impresa commerciale come l’obbligo di tenuta delle scritture contabili). 3. Attività commerciale di associazioni e fondazioni: gli enti del terzo settore Le associazioni, le fondazioni e gli enti privati con fini ideali o altruistici possono svolgere attività commerciale di impresa con metodo economico pur perseguendo uno scopo ideale. Tale attività commerciale può essere per tali enti l’oggetto esclusivo o principale (esempio un’associazione che organizza spettacoli sportivi a pagamento), o un oggetto accessorio rispetto all’attività ideale costituente l’oggetto principale dell’ente (ad esempio un ente religioso che gestisce un istituto di istruzione privata). Per coprire l’esigenza di regolare l’azione delle imprese senza scopo di lucro (imprese del Terzo Settore), si è intervenuti con il codice del Terzo Settore, il quale ha introdotto regole speciali per poter applicare lo statuto dell’imprenditore commerciale agli enti che ne rispettano i requisiti: a) Sono soggetti ad obbligo di iscrizione nel registro delle imprese solo gli enti che esercitano la loro attività esclusivamente o principalmente in forma commerciale, non quelli che esercitano attività agricola o commerciale in forma accessoria b) Tutti gli enti del terzo settore sono tenuti a redigere annualmente il bilancio di esercizio in forma semplificata, ma solo quelli che svolgono principalmente o esclusivamente attività commerciale devono tenere le scritture contabili previste dal Codice civile c) Non essendo nulla specificato sull’esposizione alla liquidazione giudiziale, salvo per le imprese sociali, né per gli enti del terzo settore né per associazioni o fondazioni non considerate enti del terzo settore, è da ritenere che se ne ricorrono i presupposti anch’essi siano sottoposti ad istanze di fallimento. Non si può dunque estendere a tali enti l’esonero valido per le imprese-organo, la cui eccezionalità è dovuta alla struttura pubblicistica dell’ente. 4. L’impresa sociale Le imprese sociali sono un sottoinsieme delle imprese del Terzo Settore, necessitando iscrizione nel registro unico nazionale del terzo settore; vi possono essere enti del terzo settore che non sono imprese sociali, dato che “impresa sociale” non è un nuovo tipo di ente ma una qualifica che gli enti di diritto privato possono assumere “se esercitano in via stabile e principale un’attività d’impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità di utilità sociale, adottando modalità di gestione trasparenti e favorendo il coinvolgimento dei lavoratori e degli utenti interessati all’attività svolta”. Per attività di interesse generale si intendono l’assistenza sociale e sanitaria, l’educazione e istruzione, la tutela dell’ambiente, la valorizzazione del patrimonio. Riguardo l’assenza dello scopo di lucro, gli utili devono essere destinati allo svolgimento dell’attività o impiegati per erogazioni gratuite in favore di altri enti del terzo settore per finanziare i loro progetti di utilità sociale; il patrimonio dell’impresa è soggetto a vincolo di indisponibilità, ossia non è possibile, nemmeno nel momento dello scioglimento, distribuire utili, fondi o riserve a vantaggio di soci, fondatori, lavoratori o collaboratori, prevedendo la devoluzione del patrimonio ad altri enti in caso di scioglimento. Tale rigido divieto di lucro è stato attenuato se l’impresa è costituita in forma di società o consorzio: in questi casi si può destinare meno della metà degli utili annuali per rivalutare le partecipazioni dei soci al costo della vita mediante aumento gratuito del capitale o distribuzioni di dividendi, prevedendo anche la restituzione al socio del capitale versato rivalutato al termine del rapporto. Le finalità di interesse generale sono favorite dal legislatore tramite benefici fiscali e privilegi civilistici, come la possibilità di organizzarsi in qualsiasi forma di ente privato usando qualsiasi tipo societario. Alcuni tipi di enti al contrario non possono MAI essere imprese sociali: le amministrazioni pubbliche (enti pubblici), le organizzazioni che erogano beni o servizi esclusivamente a favore dei propri soci, le società costituite da un solo socio. Le imprese sociali sono soggette a regole speciali sull’applicazione dello statuto dell’impresa commerciale, indipendentemente dalla natura agricola o commerciale: ► Devono iscriversi in una apposita sezione del registro delle imprese ► Devono redigere le scritture contabili e pubblicare il bilancio d’esercizio ed il bilancio sociale (per verificare l’osservanza delle finalità sociali) ► In caso di insolvenza sono assoggettate alla liquidazione coatta amministrativa invece che alla liquidazione giudiziale Le imprese sociali vengono costituite secondo le disposizioni di legge per atto pubblico, in cui è determinato l’oggetto sociale (tra le attività di interesse generale), enunciata l’assenza dello scopo di lucro, indicata la denominazione dell’ente, disciplinate le modalità di ammissione ed esclusione dei soci (rispettando il principio di non discriminazione), previste le forme di coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari dell’attività d’impresa nell’assunzione delle decisioni: in particolare lo statuto regola la partecipazione dei lavoratori all’assemblea dei soci, prevedendo per le imprese di maggiori dimensioni la nomina di almeno un componente dell’organo di amministrazione da parte dei lavoratori. L’atto costitutivo prevede anche l’esplicitazione di due forme di controllo: ► Controllo interno ➔ con la nomina di sindaci incaricati di controllare la legalità della gestione, la correttezza amministrativa, il rispetto delle finalità sociali dell’impresa e, nelle imprese di grandi dimensioni, la revisione legale dei conti ► Controllo esterno ➔ costituito da una vigilanza da parte del Ministero del Lavoro: questo può eseguire ispezioni per accertare il rispetto della disciplina, disporre la perdita della qualifica di impresa sociale se rileva irregolarità insanabili o se, in seguito a diffida, i comportamenti illegittimi non sono ottemperati entro la data stabilita. Ne consegue l’obbligo di devolvere il patrimonio ad un fondo per lo sviluppo delle imprese sociali, una volta dedotti il capitale e i dividendi maturati. L’ACQUISTO DELLA QUALITÀ DI IMPRENDITORE L’IMPUTAZIONE DELLA QUALITÀ D’IMPRESA 1. Esercizio diretto dell’attività di impresa Nel nostro ordinamento è il principio formale della spendita del nome, non il criterio sostanziale della titolarità dell’interesse economico, a dominare in sede di imputazione dei singoli atti giuridici e dei loro effetti. Pertanto, la disciplina dell’attività di impresa, delineata nello statuto generale dell’imprenditore oppure in quello speciale dell’imprenditore commerciale, viene applicata al soggetto e solo al soggetto il cui nome è stato validamente speso nel traffico giuridico ➔ Tale soggetto assume dunque obblighi nei confronti del terzo contraente. Tutto ciò si mostra in linea con la disciplina del mandato:  Nel mandato con rappresentanza, tutti gli effetti degli atti posti in essere dal soggetto mandatario, il quale agisce spendendo il nome del mandante, nonché nel suo interesse, ricadono sul mandante  Nel mandato senza rappresentanza, gli stessi effetti ricadono sul mandatario, il quale acquista diritti e assume obblighi derivanti dagli atti che compie nei confronti di terzi Esempio concreto di esercizio tramite rappresentante: I genitori di un minore che gestiscono l’impresa del minore stesso in qualità di rappresentanti legali (mandatari con rappresentanza), pur essendo i soli ad avere ampi poteri decisionali in merito agli atti di impresa di cui il figlio è invece privo, restano mandatari ➔ l’imprenditore a tutti gli effetti è il figlio minore (mandante), il quale, nel caso di impresa commerciale, è il solo ad essere esposto alla liquidazione giudiziale, anche se l’attività non è sostanzialmente da lui esercitata. Schema Riassuntivo: 2. Esercizio indiretto dell’attività di impresa: l’imprenditore occulto ➔ in questa sede vi è dissociazione tra il soggetto a cui è formalmente imputabile la qualità di imprenditore ed il reale interessato (come accade nel mandato senza rappresentanza) Il fenomeno presenta l’esercizio dell’attività di impresa tramite interposta persona. Due sono i soggetti coinvolti: 1. Imprenditore palese o prestanome ➔ soggetto che compie in proprio nome i singoli atti di impresa (mandatario senza rappresentanza dell’imprenditore occulto) 2. Imprenditore indiretto/occulto o dominus ➔ soggetto che somministra all’imprenditore palese i mezzi finanziari, dirigendo di fatti l’impresa traendone guadagno, pur non palesandosi nei confronti dei terzi. Il vero dominus dell’impresa rimane dunque occulto Questo espediente viene spesso utilizzato per non esporre al rischio di impresa tutto il patrimonio di un singolo soggetto (quello dell’imprenditore occulto), oppure per aggirare un divieto di legge (per gli impiegati dello Stato è vietato svolgere una attività di impresa, dunque usano questo esercizio indiretto per svolgerla ugualmente da dietro le quinte). Tramite questo escamotage diventa dunque possibile avere tutto il potere decisionale nelle proprie mani, benché formalmente l’attività sia svolta dalla società di capitali costituita, la quale presta il nome e diventa a tutti gli effetti ‘imprenditore’. Pericoli per i creditori I reali problemi sorgono qualora la società prestanome non sia più in grado di pagare regolarmente i creditori, magari perché si tratta di una persona fisica nullatenente o con capitale irrisorio (società di comodo = con finalità di evasione fiscale o atti illeciti). Questa situazione permette ai creditori di aprire la liquidazione giudiziale nei confronti dell’imprenditore palese, il quale ha acquistato la qualità di imprenditore commerciale. Tuttavia, in presenza di una società di comodo, tali creditori ben poco potranno ricavare dalla liquidazione giudiziale di cui sopra, considerando anche il fatto che il dominus non supporta personalmente il rischio di impresa (lo ha Un possibile rimedio: Teoria dell’imprenditore occulto Quasi in contraddizione con la rigorosa applicazione del principio della spendita del nome, il nostro ordinamento giuridico afferma che quando l’attività di impresa è esercitata tramite prestanome, responsabili verso i creditori sono sia il prestanome che il reale dominus, in nome dell’inscindibilità del rapporto potere-responsabilità. Di conseguenza, anche l’imprenditore occulto acquista qualità di imprenditore e diventerebbe soggetto a liquidazione giudiziale nel caso in cui questa venga aperta nei confronti del prestanome ➔ si arriva così ad affermare la responsabilità personale per i debiti dell’impresa e l’esposizione alla liquidazione giudiziale di chiunque domini di fatto l’altrui impresa individuale o società di capitali. trasferito tutto alla società prestanome). Questa teoria però non incontra parecchio consenso per via dei principi cardine che stanno alla base della regolazione delle società di capitali:  L’azionista o gli azionisti di comando, pur controllando di fatto la società, non vengono chiamati dal legislatore a rispondere personalmente dei debiti della stessa ➔ è infatti lecito esercitare l’attività di impresa attraverso l’utilizzo di una società di capitali, purché si rispettino le regole di organizzazione per la stessa previste. Il dominio di fatto di un’impresa individuale o di una società di capitali non è condizione sufficiente per esporre a responsabilità e a liquidazione giudiziale, né determina, di per sé, l’acquisto della qualità di imprenditore. Mentre in passato tale beneficio della responsabilità cadeva di fronte alla concentrazione della totalità delle azioni nelle mani di un singolo soggetto, a partire dal 1993 per le società a responsabilità limitata e dal 2003 per le società di capitali, il dominio di fatto di una impresa non è più condizione sufficiente per poter essere chiamati a rispondere alle obbligazioni sociali e alla liquidazione giudiziale, nonché per poter essere definiti imprenditori. Tuttavia, benché sia lecito ricorrere a questo fenomeno di mandato senza rappresentanza, è bene non abusare di tale potere. A partire dal 2003, con l’articolo 2497 viene infatti regolamentata l’attività di soggetti che abusano del proprio imprenditore prestanome per danneggiare i creditori. Diverse sono le tecniche che permettono di esporre a liquidazione giudiziale anche il dominus: la più frequente si basa sul concetto di impresa fiancheggiatrice. Impresa fiancheggiatrice Qualora l’imprenditore occulto tratti la società prestanome come fosse cosa propria, disprezzando le regole societarie, dirigendola secondo un disegno unitario e finanziandola sistematicamente con prestiti o concessione di garanzie in suo favore, nonché ingerendo negli affari societari, la sua attività può essere ritenuta attività autonoma di impresa, detta anche attività di impresa fiancheggiatrice (diversa dalle attività svolte dalle società di capitali). Se ricorrono i requisiti ricordati nell’articolo 2082, quali sistematicità, organizzazione e metodo economico, l’imprenditore occulto può essere considerato soggetto a liquidazione giudiziale in situazione di insolvenza accertata della società prestanome: Il socio che ha abusato dello schermo societario risponderà come titolare di un’autonoma impresa commerciale individuale per le obbligazioni da lui contratto nello svolgimento dell’attività fiancheggiatrice Di conseguenza, i creditori più forti che hanno titolo per agire contro il socio occulto (per fideiussione prestata) sono in parte tutelati. Anche gli altri creditori sono in qualche modo considerati: secondo la disciplina del mandato senza rappresentanza, qualora le somme necessarie per far fronte alle obbligazioni contratte nei confronti e interesse dell’impresa fiancheggiatrice non fossero sufficienti, la liquidazione giudiziale potrà essere aperta anche nei confronti della società di capitali prestanome. INIZIO E FINE DELL’IMPRESA 1. Inizio dell’impresa Per quanto riguarda le persone fisiche, la qualità di imprenditore (commerciale) viene acquisita con l’effettivo inizio dell’esercizio dell’attività di impresa: non è dunque sufficiente l’intenzione di avviare l’attività, benché supportata ad esempio da richieste amministrative necessarie né dall’iscrizione nel registro delle imprese (attività considerate irrilevanti). Tuttavia, nel caso in cui si stia considerando una società, essa acquista la qualità di imprenditore fin dal momento della sua costituzione, prima ed indipendentemente dall’effettivo inizio della attività produttiva. Tale distinzione tra i due soggetti è visibile anche qualora si parli di attività di organizzazione, svolte in qualità di attività preliminari, spesso prima del compimento del primo atto fisico di gestione. Anche tali attività fanno acquisire la qualità di imprenditore quando per numero e significatività manifestano in modo non equivoco un orientamento stabile verso un fine produttivo, tuttavia:  Nel caso di una persona fisica, un atto singolo di organizzazione non è sufficiente ad acquisire il titolo, e talvolta nemmeno più atti insieme se non coordinati funzionalmente (affitto di un locale e acquisto di un’auto) ➔ posso farlo anche senza avere un progetto aziendale)  Nel caso di una società, anche un singolo atto può dare la qualifica Schema riassuntivo 2. Fine dell’impresa In passato, vigeva l’articolo 10 fall. ➔ l’imprenditore commerciale può essere dichiarato fallito entro un anno dalla cessazione dell’impresa (principio di effettività). Imprenditore individuale La fine dell’impresa era dominata dal principio di effettività ➔ la qualità di imprenditore viene persa solo con l’effettiva cessazione dell’attività (la cancellazione dal registro né l’avviso al pubblico erano sufficienti per perdere la qualità di imprenditore). In ogni caso, prima della cessazione dell’impresa, vi è una fase di liquidazione in cui vengono completati i cicli produttivi, vengono vendute le giacenze di magazzino e gli impianti, vengono licenziati i dipendenti e vengono definiti i rapporti pendenti. Tale fase veniva ancora considerata attività di impresa, dunque la stessa cessava alla chiusura della fase di liquidazione, la quale poteva considerarsi conclusa solo con la definitiva disgregazione del complesso aziendale. Tuttavia, per l’imprenditore individuale, non era necessario che fossero stati riscossi tutti i crediti e pagati tutti i debiti relativi (altrimenti l’articolo 10 veniva violato dal momento che l’impresa poteva aver cessato effettivamente l’attività da oltre un anno e ancora non aver estinto tutti i debiti e crediti). Impresa societaria In questo caso la cessazione effettiva dell’attività passava in secondo piano, gli atti rilevanti erano dunque la cancellazione dal registro delle imprese e la completa definizione dei rapporti pendenti. Di conseguenza, fino al pagamento dell’ultimo debito l’impresa veniva considerata esistente, e dichiarata effettivamente fallita a distanza di anni dalla definitiva cessazione dell’attività di impresa. Appare dunque evidente che per le società l’articolo 10 veniva meno di default. Discriminazione tra la fine dell’impresa individuale (era necessaria solo la disgregazione del complesso aziendale, non la definizione di tutti i rapporti passivi e attivi) e la fine dell’impresa societaria (era necessaria la definizione di tutti i rapporti passivi e attivi oltre alla cancellazione dal registro delle imprese). La Corte costituzionale finisce dunque per dichiarare tale articolo incostituzionale, in quanto non prevedeva che il termine annuale per le imprese decorresse per le società dal momento della cancellazione dal registro. Inoltre, venne mostrata la volontà di rendere rilevante la cancellazione dal registro anche per l’imprenditore individuale, i cui creditori avrebbero però potuto dimostrare la prosecuzione dell’attività di impresa anche oltre la cancellazione della stessa. Nell’articolo 33 del Codice della Crisi dell’Impresa (CCI) vengono finalizzate le precedenti puntualizzazioni:  La liquidazione giudiziale può essere aperta entro un anno dalla cessazione dell’attività, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo.  La cessazione dell’attività coincide con la cancellazione dal registro delle imprese, oppure, in caso di non iscrizione, si verifica dal momento in cui i terzi hanno conoscenza della stessa ➔ conseguenze: o se non mi cancello dal registro il termine annuale non decorre; dunque, la liquidazione giudiziale viene aperta oltre un anno dalla cessazione dell’attività di impresa o se non ero nemmeno iscritto il requisito è duplice: effettiva cessazione dell’attività + evento noto ai terzi  In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio (imprese collettive) è fatta salva per il creditore o per il pubblico ministero la facoltà di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre l’anno entro cui viene dichiarato fallimento e aperta la liquidazione giudiziale ➔ di conseguenza possono aprire tale liquidazione oltre un anno dalla cancellazione del registro qualora l’attività effettiva sia proseguita anche dopo la cancellazione (la cancellazione non è da sola sufficiente, deve coincidere con l’effettiva cessazione dell’attività). Ulteriore novità: l’imprenditore che si cancella prima di aver pagato tutti i debiti di impresa vede precludersi la possibilità di evitare la liquidazione giudiziale mediante alcuni strumenti di soluzione consensuale della crisi, come la domanda di concordato minore (richiesta di poter continuare a svolgere la propria attività anche dopo la cancellazione), concordato preventivo di omologazione di accordi di ristrutturazione dei debiti… CAPACITÀ E IMPRESA INCAPACITÀ E INCOMPATIBILITÀ La capacità all’esercizio di attività di impresa si acquista al compimento del 18esimo anno di età, con la piena capacità di agire, la quale può essere persa per via di interdizione o inabilitazione. Di conseguenza, minori o incapaci che esercitano attività di impresa non sono qualificati imprenditori. Tuttavia, contratti conclusi da minori che hanno raggirato il sistema non sono annullabili. Alcuni divieti di esercizio di impresa commerciale posti a carico di coloro che esercitano determinate professioni (dipendenti dello Stato, avvocati o notai), rendono gli stessi uffici incompatibili con l’esercizio dell’attività di impresa, il quale non impedisce l’ottenimento della qualifica di imprenditore bensì comporta alcune conseguenze negative, quali aggravamento delle sanzioni penali per bancarotta in caso di aperta di liquidazione giudiziale e sanzioni amministrative. IMPRESA COMMERCIALE DEGLI INCAPACI (assoluti: minori o interdetti, relativi: minori emancipati/inabilitati o beneficiari di amministrazione e sostegno) Incapaci, minori o interdetti, possono svolgere attività di impresa rivolgendosi a soggetti che agiranno per loro conto, quali rappresentanti legali (genitori o tutori). Anche soggetti limitatamente capaci di agire (minori emancipati, inabilitati o beneficiari di amministrazione e sostegno) possono dedicarsi a tali attività. Per quanto riguarda la sola attività commerciale (quindi non quella agricola), valgono le seguenti regole:  In nessun caso è consentito l’inizio di una nuova impresa commerciale in nome e nell’interesse del minore/interdetto/inabilitato, in quanto l’impiego del patrimonio di un incapace in attività commerciali è considerato rischioso  Al minore emancipato è consentito, previa autorizzazione da parte del tribunale, l’inizio di una nuova attività di impresa ➔ egli acquista infatti la piena capacità di agire, potendo così compiere senza la presenza di un curatore tutti gli atti, anche quelli che eccedono l’ordinaria amministrazione/quelli estranei all’attività di impresa. In questo caso tutti i provvedimenti autorizzativi sono soggetti ad iscrizione nel registro delle imprese  Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno conserva capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza dell’amministratore di sostegno ➔ può liberamente iniziare e proseguire l’attività di impresa senza assistenza, a meno che il giudice tutelare disponga diversamente nel decreto di nomina dell’amministratore o con successivo decreto motivato  Ad eccezione di minore emancipato e beneficiario di amministrazione, è consentita solo la continuazione dell’esercizio di una impresa già esistente, quando sia considerata utile per l’incapace e purché la stessa sia autorizzata dal tribunale. Talvolta la vendita di una attività può infatti rappresentare un grave danno per l’incapace stesso. L’autorizzazione del tribunale per minori e interdetti ha carattere generale, e una volta pronunciata conferisce a colui che detiene il potere di rappresentanza (genitore o tutore) la possibilità di compiere tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione inerenti all’attività di impresa (una richiesta più specifica è però necessaria nel caso in cui l’attività da svolgere non sia in rapporto di mezzo a fine per la gestione dell’impresa stessa).  L’inabilitato, una volta concessa l’autorizzazione, potrà esercitare personalmente l’impresa, sia pure con la presenza di un curatore e con il consenso di questi per gli atti che esulano dall’esercizio dell’impresa LO STATUTO DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE Statuto Generale dell’imprenditore Statuto dell’imprenditore commerciale Taluni tipi di imprese commerciali, che svolgono attività di particolare rilievo economico, sono soggetti a un’ulteriore disciplina speciale e settoriale, di carattere La disciplina antitrust si applica anche a essenzialmente pubblicistico e finalizzata alla soggetti NON imprenditori ai sensi del tutela di interessi generale della collettività Codice Civile (es. imprese bancarie e assicurative) LA PUBBLICITÀ LEGALE: ISCRIZIONE NEL REGISTRO DELLE IMPRESE 1. La pubblicità delle imprese commerciali Il registro delle imprese è lo strumento di pubblicità legale previsto dal Codice civile del 1942 che permette alle imprese commerciali non piccole e alle società commerciali di disporre con facilità di informazioni veritiere e non contestabili su fatti e situazioni delle imprese con cui entrano in contatto. Le relative informazioni sono dunque rese accessibili ai terzi interessati (pubblicità notizia) e diventano opponibili a chiunque (conoscibilità legale). In attesa del regolamento di attuazione dello stesso registro, un regime transitorio ha trovato applicazione. Quest’ultimo prevedeva un sistema altamente disorganico:  Esonero temporaneo dall’iscrizione degli imprenditori commerciali individuali ➔ il sistema operava solo per le società commerciali, le quali dovevano iscriversi nel preesistente registro di cancelleria  Società di capitali ➔ a partire dal 1969 dovevano iscriversi anche nel bollettino ufficiale delle società per azioni e a responsabilità limitata BUSARL, oltre che nel registro di cancelleria  Società cooperative ➔ a partire dal 1973 dovevano iscriversi anche nel bollettino ufficiale delle società cooperative BUSC, oltre che nel registro di cancelleria L’articolo 8 della legge 29-12-1993 n.580 (51 anni dopo il Codice Civile) e il suo regolamento di attuazione del 7-12-1995 n.581 istituiscono il registro delle imprese, che entrerò effettivamente in rigore dal 1° ottobre 1997. Rispetto a quanto stabilito nel 1942 ci furono però alcune modifiche: a) A partire dal 1993 tale registro non fa riferimento alla pubblicità legale delle sole imprese commerciali, bensì viene esteso anche agli imprenditori agricoli, ai piccoli imprenditori e alle società semplici (inizialmente solo con effetti di pubblicità-notizia, ora anche legale) b) La tenuta del registro è affidata alle Camere di Commercio locali (organizzate per provincia), e non più alle cancellerie dei tribunali c) Il registro è tenuto con tecniche informatiche, in modo da garantire la tempestività dell’informazione su tutto il territorio nazionale 2. Il registro delle imprese ➔ è istituito in ciascuna provincia presso la Camera di Commercio e le attività ad esso inerenti vengono svolte sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale del capoluogo di provincia. Si compone di una sezione ordinaria e di numerose sezioni speciali Sezione ordinaria: imprenditori per i quali l’iscrizione nel registro delle imprese produce gli effetti di pubblicità legale previsti dal Codice Civile 1. Imprenditori individuali commerciali non piccoli 2. Tutte le società tranne quella semplice, anche se non svolgono attività commerciale 3. Consorzi tra imprenditori con attività esterna 4. Gruppi europei di interesse economico con sede in Italia 5. Enti pubblici che hanno per oggetto esclusivo o principale un’attività commerciale 6. Società estere che hanno in Italia la sede amministrativa L’effetto che si produce è quello di pubblicità legale, ovvero l’iscrizione serve a rendere conoscibili i dati pubblicati ma ha anche altri tipi di efficacia:  EFFICACIA DICHIARATIVA Tutti gli atti iscritti sono opponibili a chiunque e lo sono dal momento stesso della loro registrazione, di conseguenza i terzi non potranno eccepire l’ignoranza del fatto o dell’atto iscritto. Per le società di capitali tale opponibilità diventa piena solo dopo 15 giorni dall’iscrizione; pertanto, durante questi 15 giorni i terzi sono ammessi a provare di essere stati nell’impossibilità di aver conoscenza dell’atto stesso. Qualora l’iscrizione venga omessa il fatto non è opponibile a terzi ma all’imprenditore è offerta la possibilità di provare di aver comunque reso i terzi in condizione di essere a conoscenza dell’evento in questione. Articolo 2193  EFFICACIA COSTITUTIVA In ipotesi tassativamente previste l’iscrizione di un atto può produrre effetti più rilevanti con: o Efficacia costitutiva TOTALE, fra le parti e per i terzi ➔ iscrizione dell’atto costitutivo delle società di capitali o Efficacia costitutiva PARZIALE, solo per i terzi ➔ registrazione della deliberazione di riduzione di capitale sociale di una società in nome collettivo. L’omissione impedisce il decorso del termine di 3 mesi entro il quale i creditori possono proporre opposizione e perciò la riduzione del capitale è per loro improduttiva di effetti Articolo 2306  EFFICACIA NORMATIVA Le società in nome collettivo o in accomandita semplice vengono ad esistenza anche senza registrazione; tuttavia, tale omissione impedisce che operi il regime di autonomia patrimoniale proprio di tali società e comporta l’applicazione del più gravoso (per i soci), regime al riguardo dettato per la società semplice (società irregolare). SEZIONI SPECIALI: 1. Sezione degli imprenditori agricoli e dei piccoli imprenditori Imprenditori agricoli individuali, piccoli imprenditori, società semplici e imprenditori artigiani iscritti all’albo ➔ coloro i quali erano inizialmente esonerati e a partire dal 1993 si iscrivevano nel registro con mera funzione di pubblicità notizia 2. Sezione delle società tra professionisti Società tra avvocati e tra professionisti, con efficacia di pubblicità notizia 3. Sezione dei soggetti che esercitano attività di direzione e coordinamento Dedicata ai legami societari di gruppo, in aggiunta all’iscrizione ai registri già previsti dalla legge per gli stessi enti 4. Sezione delle imprese sociali 5. Sezione degli atti di società di capitali in lingua straniera Si tratta di una pubblicazione facoltativa, che non fa venir meno l’obbligo di pubblicazione dell’atto in lingua italiana 6. Sezione delle start-up innovative e degli incubatori certificati 7. Sezione delle PMI innovative Presentano indici di propensione tecnologica simili ma meno rigorosi di quelli fissati per le start-up innovative. Non è richiesto che le società siano di recente costituzione e ad esse vengono estese solo una parte dei benefici concessi alle start up innovative 8. Sezioni delle informazioni di trasparenza antiriciclaggio Si compone di due sezioni: la sezione autonoma, in cui le persone giuridiche pubblicano il nominativo dei propri titolari effettivi per attività volte a contrastare l’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo; la sezione speciale che raccoglie le stesse informazioni ma relative ai trust italiani ed istituti affini. La consultazione di quest’ultimo è però riservata a soggetti che abbiano un interesse giuridico rilevante a conoscere il titolare effettivo previa richiesta motivata alla Camera di Commercio. Effetti che si producono L’iscrizione di atti nelle sezioni speciali ha solo funzione di certificazione anagrafica e di pubblicità notizia; pertanto, nessun atto è opponibile a terzi ed è sempre richiesta la prova che essi ne siano effettivamente a conoscenza. Tuttavia, a partire dal 2001, per gli imprenditori agricoli anche piccoli e per le società semplici esercenti attività agricola l’iscrizione ha anche effetto di pubblicità legale ➔ svanisce dunque quella distinzione tra imprenditore commerciale e imprenditore agricolo che aveva sempre contraddistinto il sistema. Atti da registrare Sono diversi a seconda della struttura soggettiva dell’impresa e riguardano:  Elementi di individuazione dell’imprenditore e dell’impresa (anagrafica)  Struttura e organizzazione della società  Eventuali modificazioni di elementi già iscritti Ogni registrazione va effettuata nel registro delle imprese della provincia in cui l’impresa stessa ha la sede, e negli atti/nella corrispondenza deve essere indicato il registro presso il quale l’iscrizione è avvenuta. Essa può avvenire su domanda (volontaria) ma anche di ufficio:  Quando l’iscrizione è obbligatoria ma l’imprenditore non vi provvede  Cancellazione di iscrizione avvenuta senza che esistano le condizioni richieste dalla legge  Cancellazione di una impresa che risulta aver cessato l’attività da una serie di circostanza indicate dalla legge L’inosservanza dell’obbligo di registrazione è punita con sanzioni pecuniarie e amministrative Ogni iscrizione è subordinata al controllo da parte dell’ufficio di regolarità formale della documentazione e regolarità sostanziale dell’atto, ma non delle cause di nullità/annullabilità. Tutto ciò ad eccezione delle società per azioni: le stesse presentano una richiesta di registrazione tramite atto pubblico o scrittura privata autenticata da un pubblico ufficiale, di conseguenza l’ufficio provvede all’iscrizione immediata. La registrazione avviene tramite inserimento immediato dei dati nella memoria dell’elaboratore elettronico ➔ il pubblico può dunque accedervi tramite appositi terminali. LE SCRITTURE CONTABILI 1. L’obbligo di tenuta delle scritture contabili Scritture contabili = documenti che contengono la rappresentazione in termini quantitativi e/o monetari dei singoli atti di impresa, della situazione del patrimonio dell’imprenditore e del risultato economico dell’attività svolta > servono a rendere razionale ed efficiente l’organizzazione e la gestione aziendale, in quanto consentono di avere un quadro generale della stessa. Sono obbligati a redigere tali scritture (come da articolo 2214):  Imprenditori che esercitano attività commerciali  Società commerciali (tranne quella semplice) anche se non esercitano attività commerciale  Imprese sociali Non sono obbligati:  Società commerciale semplice  Piccoli imprenditori, anche se esercitano attività commerciale  Enti del Terzo settore che svolgono attività di impresa in via secondaria o accessoria Dal momento che tali scritture sono disciplinate anche dalla legislazione tributaria, è bene ricordare che secondo quest’ultima l’obbligo viene esteso anche a soggetti che non sono imprenditori, quali i liberi professionisti. 2. Le scritture contabili obbligatorie Le scritture obbligatorie variano a seconda del tipo di attività, delle dimensioni e dell’articolazione territoriale dell’impresa. L’imprenditore deve tenere tutte le scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa e le deve conservare per 10 anni (come per la corrispondenza commerciale). In ogni caso, come da articolo 2214, devono essere tenuti:  Libro giornale ➔ registro cronologico-analitico in cui vanno indicato giorno per giorno per operazioni relative all’esercizio dell’impresa. Non è importante che le stesse siano registrate il giorno stesso purché si rispetti un ordine cronologico. Inoltre, le operazioni possono essere raggruppate per omogeneità. Il libro può poi essere articolato in libri parziali che rispecchino l’articolazione dell’azienda.  Libro degli inventari ➔ registro periodico-sistematico, redatto all’inizio dell’esercizio e successivamente ogni anno. Contiene l’indicazione e la valutazione di attività e passività dell’imprenditore, anche estranee all’impresa e si chiude con il bilancio > ha dunque la funzione di fornire il quadro della situazione patrimoniale ed economica dell’imprenditore.  Originali della corrispondenza commerciale ricevuta e le copie di quella spedita Bilancio Prospetto contabile riassuntivo dal quale devono risultare con evidenza e verità la situazione complessiva del patrimonio (SP) alla fine di ciascun anno, nonché gli utili o perdite conseguiti nel medesimo arco di tempo (CE). Il documento è analiticamente disciplinato per le società per azioni. Altre scritture che potrebbero essere necessaria in funzione di natura e dimensioni  Libro mastro ➔ le operazioni sono registrate sistematicamente  Libro cassa ➔ entrate e uscite di denaro  Libro magazzino ➔ entrate e uscite di merci Scritture imposte dalla legislazione tributaria e lavoristica  Libro dei cespiti ammortizzabili  Registro di magazzino  Libri necessari ai fini dell’accertamento dell’IVA  Libro unico del lavoro 3. Regolarità delle scritture contabili: efficacia probatoria La veridicità delle scritture contabili è garantita dal rispetto di alcune regole formali e sostanziali nella loro tenuta: ad esempio il libro giornale e il libro degli inventari devono essere numerati progressivamente pagina per pagina prima di essere messi in uso (non vi è più obbligo di vidimazione annuale né di bollatura foglio per foglio da parte dell’ufficio del registro delle imprese). Tutte le scritture devono essere tenute secondo le norme di una ordinata contabilità, senza spazi in bianco, senza interlinee, senza abrasioni e in modo che le parole cancellate risultino leggibili. Esse possono essere rilevate e conservate con sistemi informatici (con marcatura temporale e firma digitale dell’imprenditore). Inoltre, la corrispondenza commerciale e le stesse scritture devono essere conservate per 10 anni. Se non tenute regolarmente, l’imprenditore non può utilizzarle come mezzo di prova a suo favore e diventa inoltre assoggettato a sanzioni penali per reati di bancarotta semplice o fraudolenta in caso di apertura della liquidazione giudiziale. Le stesse scritture, regolarmente tenute o meno, possono essere utilizzate da terzi come mezzo processuale di prova contro l’imprenditore che le tiene. Tuttavia, il terzo che se ne serve, non può decidere di avvalersi della sola parte a lui favorevole. L’imprenditore potrà comunque dimostrare con qualsiasi mezzo che tali scritture non corrispondono a verità. L’imprenditore può usare le scritture contabili come mezzo di prova solo se vi è compresenza di alcune condizioni: 1. Le scritture devono essere regolarmente tenute 2. La controparte deve essere un imprenditore 3. La controversia deve essere relativa ai rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa. ➔ in ogni caso è rimesso al giudice il riconoscere il loro valore probatorio LA RAPPRESENTANZA COMMERCIALE 1. AUSILIARI dell’imprenditore commerciale e RAPPRESENTANZA Collaboratori di cui si avvale l’imprenditore:  Ausiliari interni o subordinati ➔ inseriti all’interno dell’organizzazione  Ausiliari esterni o autonomi ➔ legati all’imprenditore in modo occasionale o stabile, tramite mandato, commissione, spedizione, agenzia o rappresentazioni La rappresentanza è regolata da norme speciali quando si tratta di atti inerenti all’esercizio di impresa commerciale posti in essere da alcuni ausiliari interni, quali institori, procuratori e commessi. Essi sono stabilmente in contatto con terzi e concludono affari per l’imprenditore ➔ vale dunque un sistema speciale di rappresentanza: essi sono automaticamente investiti del potere di rappresentanza dell’imprenditore e di un potere di rappresentanza ex lege commisurato al tipo di mansione che devono svolgere. Il loro potere non deriva da un atto formale, bensì è effetto naturale della determinata collocazione che hanno all’interno dell’azienda. L’imprenditore potrà modificare il contenuto legale del potere di rappresentanza che tali ausiliari possiedono ma dovrà avvalersi di uno specifico atto, opponibile ai terzi solo se portato a loro conoscenza nelle forme stabilite dalla legge. Pertanto, chi conclude affari con uno di essi, dovrà solo occuparsi di verificare se l’imprenditore ha modificato o meno con atto espresso pubblico i loro naturali poteri rappresentativi. Schemino iniziale: 2. L’institore Colui che è preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa o di una sede secondaria/ramo di essa. Si tratta del direttore generale dell’impresa, o di una sua filiale. Di regola è un lavoratore subordinato con la qualifica di dirigente, posto al vertice della gerarchia del personale:  Vertice assoluto ➔ se dipende solo dall’imprenditore (dirigente dell’azienda)  Vertice relativo ➔ può dipendere anche da un altro institore (direttore di una filiale che sta sotto al direttore dell’impresa). Viene investito di:  Potere di gestione generale ➔ l’institore è tenuto, congiuntamente con l’imprenditore, all’adempimento degli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili dell’impresa o sede cui è preposto. In caso di apertura della liquidazione giudiziale trovano applicazioni anche verso la sua figura le sanzioni penali a carico del debitore (mentre solo l’imprenditore potrà essere sottoposto a liquidazione giudiziale e solo l’imprenditore sarà esposto agli effetti personali e patrimoniali)  Generale potere di rappresentanza o Sostanziale ➔ l’institore può compiere in nome dell’imprenditore tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa o della sede cui è preposto, mentre non può compiere atti che esorbitano dalla pura gestione quali vendita/affitto dell’azienda. o Processuale ➔ può stare in giudizio sia come attore che come convenuto (osservatore) per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell’esercizio dell’impresa/sede cui è preposto (quindi non solo per gli atti da lui compiuti, ma anche per gli atti compiuti dall’imprenditore) I suoi poteri possono essere ampliati e modificati dall’imprenditore sia all’atto della preposizione che in un momento successivo. Tuttavia, le limitazioni risultano opponibili ai terzi solo se la procura originaria o il successo atto di limitazione siano stati pubblicati nel registro delle imprese, salvo la prova da parte dell’imprenditore che i terzi ne fossero effettivamente a conoscenza. Lo stesso vale per la revoca di tali poteri rappresentativi. L’institore deve rendere palese al terzo con cui sta contrattando la sua veste, spendendo il nome del rappresentato (l’imprenditore), affinché gli effetti dell’atto ricadano su di esso. Qualora omettesse il suo incarico di rappresentanza risulta personalmente obbligato nei confronti di terzi. In quest’ultimo caso, resta personalmente obbligato anche l’imprenditore stesso se gli atti compiuti dall’institore sono pertinenti all’esercizio dell’impresa/sede cui è preposto. Viene dunque troncata ogni possibilità di contestazione a danno del terzo: sarà poi una questione interna tra preposto e imprenditore determinare su chi far ricadere il peso del debito. 3. I procuratori Coloro che, in base ad un rapporto continuativo, abbiano il potere di compiere per l’imprenditore gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa, pur non essendo preposti ad esso (pur non ricoprendo la carica). Sono ausiliari subordinati di grado inferiore rispetto all’institore:  Non sono posti a capo dell’impresa/di un ramo di essa  Hanno funzioni direttive ma il loro potere decisionale è circoscritto ad un determinato settore operativo (acquisti, pubblicità…) Sono ex lege investiti di un potere di rappresentanza generale dell’imprenditore, rispetto alla specie di operazioni per le quali sono stati investiti di autonomo potere decisionale (il direttore acquisti non ha alcun potere di rappresentanza in merito al settore pubblicità)  Non ha rappresentanza processuale dell’imprenditore  Non è soggetto ad obblighi di iscrizione nel registro delle imprese e di tenuta delle scritture contabili L’imprenditore non risponde per gli atti, pur pertinenti all’esercizio dell’impresa, compiuti da un procuratore senza spendita del nome dell’imprenditore stesso. 4. I commessi Ai commessi sono affidate mansioni esecutive o materiali che li pongono in contatto con terzi: commesso di negozio, impiegato di banca addetto agli sportelli, camerieri… A loro è riconosciuto il potere di rappresentanza dell’imprenditore anche in mancanza di specifico atto di conferimento. Essi possono compiere gli atti che ordinariamente comporta la specie di operazioni di cui sono incaricati:  Non possono esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la consegna, né concedere dilazioni o sconti che non siano d’uso, salvo che siano autorizzati a ciò  Se preposti alla vendita nei locali non possono esigere il prezzo fuori dai locali stessi, né possono esigerlo all’interno dell’impresa stessa se alla riscossione è destinata apposita cassa  Non hanno il potere di derogare alle condizioni generali di contratto predisposte dall’imprenditore o stampate nei moduli dell’impresa L’imprenditore può ampliare o limitare tali poteri. Tuttavia, non essendo previsto un sistema di pubblicità legale, le limitazioni saranno opponibili ai terzi solo se portate a conoscenza degli stessi con mezzi idonei (avvisi in bacheca), o se si prova l’effettiva conoscenza. L’AZIENDA NOZIONE DI AZIENDA : ORGANIZZAZIONE E AVVIAMENTO Azienda = complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa Apparato strumentale di cui l’imprenditore si avvale per lo svolgimento e nello svolgimento della propria attività: la sola cosa rilevante per definire un bene come bene aziendale è dunque la sola destinazione all’attività di impresa, non il titolo giuridico che legittima l’imprenditore ad avvalersi di tale bene nel processo produttivo:  Beni di proprietà dell’imprenditore ma non destinati allo svolgimento dell’attività di impresa: la sua casa di proprietà non è considerata bene aziendale, in quanto non effettivamente impiegata nell’attività  I beni di terzi di cui può disporre in base ad un valido titolo giuridico sono rilevanti e considerati beni aziendali se effettivamente impiegati (macchinario in leasing) ➔ l’azienda è un insieme di beni eterogenei ma complementari, non necessariamente di proprietà dell’imprenditore, che subisce modificazioni qualitative e quantitative (crediti che diventano liquidità, debiti che aumentano o diminuiscono…), anche radicali, nel corso dell’attività. Il complesso funge da unità funzionale per il coordinamento tra i diversi elementi costitutivi realizzato dall’imprenditore per l’unitaria destinazione ad uno specifico fine produttivo. I beni organizzati ad azienda, i soli ad assumere rilievo economico, consentono la produzione di utilità nuove, diverse e maggiori di quelle ricavabili dai singoli beni isolatamente considerati:  Azienda sul piano statico = complesso di beni e rapporti giuridici che la compongono che la compongono, consistenza oggettiva del patrimonio dell’imprenditore  Azienda sul piano dinamico = è un nuovo valore per l’attitudine alla produzione conferitagli dall’organizzazione dei beni che la compongono Il rapporto di strumentalità e complementarità tra i beni aziendali fa sì che il complesso aziendale acquisti un valore di scambio maggiore della somma dei valori dei singoli beni che in un dato momento lo costituiscono ➔ AVVIAMENTO Attitudine a consentire la realizzazione di un profitto, che di regola dipende da valori oggettivi o soggettivi, andando a costituire:  Avviamento oggettivo ➔ ricollegabile a fattori che permangono anche qualora dovesse mutare il titolare dell’azienda, in quanto insiti nel coordinamento esistente tra i diversi beni  Avviamento soggettivo ➔ dovuto alla particolare abilità operativa dell’imprenditore sul mercato, in vista dell’accrescimento e mantenimento della clientela: si tratta della capacità di attrarre, mantenere e sviluppare la clientela (ragione per la quale il Codice Civile dispone del divieto di concorrenza nel caso di cessione dell’azienda) Trasferimento dell’azienda e tutela degli interessi al mantenimento della sua unità Il trasferimento a titolo definitivo o temporaneo dell’azienda comporta particolari effetti ispirati dalla finalità di favorire la conservazione dell’unità economica e del valore di avviamento dell’azienda stessa, a tutela di quanti su tale valore abbiano fatto specifico affidamento. In questa sede, il Codice civile prevede anche la tutela, seppur in modo indiretto, dell’interesse generale al mantenimento dell’efficienza e della funzionalità dei complessi produttivi. CIRCOLAZIONE DELL’AZIENDA : OGGETTO E FORMA L’azienda può essere venduta, conferita in società, donata e sulla stessa possono essere costituiti diritti di tipo reale (usufrutto) o personali (affitto) di godimento a favore di terzi. Inoltre, l’imprenditore può compiere atti di disposizione che riguardano uno o più beni aziendali. Nel caso di circolazione dell’azienda, il legislatore dispone alcuni effetti che si producono ex lege per il semplice fatto del trasferimento della titolarità dell’azienda. Tuttavia, è importante distinguere quando un atto sia da classificarsi come trasferimento di azienda o come trasferimento di singoli beni, dal momento che solo nel primo caso può trovare applicazione la disciplina dettata per la circolazione di un complesso aziendale. Tale distinzione, netta in teoria ma non nella pratica, lascia spesso spazio alle due parti in gioco, le quali non di rado ricorrono ad espedienti per qualificare come trasferimento di azienda o di singoli beni un determinato atto sulla base di ciò che maggiormente conviene loro. Per classificare un particolare atto come trasferimento aziendale NON è necessario che esso comprenda l’intero complesso aziendale, è possibile disporre lo stesso anche solo per un ramo particolare dell’azienda stessa, purché organicamente operativo:  È condizione necessaria e sufficiente che sia trasferito un insieme di beni potenzialmente idoneo ad essere utilizzato per l’esercizio di una attività di impresa, non per forza la stessa svolta dal trasferente ➔ è possibile che chi acquista debba integrare quanto acquistato con ulteriori fattori produttivi (non essenziali per farlo funzionare)  È condizione necessaria che i beni esclusi dal trasferimento non alterino l’unità economica funzionale (= la funzionalità economica) di quella data azienda (non posso escludere dal trasferimento il brevetto industriale su cui si fonda l’attività di impresa). Forme da osservare nel trasferimento dell’azienda  Per quanto riguarda la validità del trasferimento, il Codice civile (2556) detta una disciplina identica per ogni tipo di azienda, agricola o commerciale. Tali contratti sono validi solo se stipulati con l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto. Di conseguenza, ad esempio, per il trasferimento in proprietà degli immobili aziendali sarà necessaria la forma scritta a pena di nullità e il conferimento dell’azienda in una società di capitali dovrà sempre avvenire per atto pubblico  Per le imprese soggette a registrazione con effetti di pubblicità legale (non per le piccole imprese e in passato nemmeno per le imprese agricole individuale o costituite in forme di società semplice) ogni atto deve essere provato per iscritto  Per le imprese soggette a registrazione è prescritto che i relativi contratti di trasferimento devono essere iscritti nel registro delle imprese nel termine di 30 giorni. Tale iscrizione può prevedere la redazione di un atto pubblico oppure di una scrittura privata autenticata. L’iscrizione nella sezione ordinaria produce effetti di pubblicità legale (opponibilità ai terzi) così come l’iscrizione nella sezione speciale limitatamente agli imprenditori agricoli. VENDITA DELL’AZIENDA : DIVIETO DI CONCORRENZA DELL’ALIENANTE Articolo 2557 Chi aliena una azienda commerciale deve astenersi, per un periodo massimo di 5 anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che possa comunque, per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze, sviare la clientela dall’azienda ceduta. In caso di azienda agricola, il divieto opera solo per le attività ad essa connesse e sempre che rispetto a tali attività sia possibile lo sviamento della clientela. Esigenze contemperate: 1. Esigenza dell’acquirente di trattenere la clientela dell’impresa e quindi di godere dell’avviamento soggettivo appena acquistato. Si vuole evitare che il venditore si riappropri della clientela appena ceduta. 2. Esigenza dell’alienante a non vedere compromessa la propria libertà di iniziativa economica oltre un determinato arco di tempo legislativamente ritenuto sufficiente per consentire all’acquirente di consolidare la propria clientela Tale divieto è derogabile e ha carattere relativo:  Sussiste solo nei limiti in cui la nuova attività di impresa dell’alienante sia potenzialmente idonea a sottrarre la clientela all’azienda ceduta  Le parti possono decidere di ampliare la portata dell’obbligo di astensione purché non sia impedita ogni attività professionale all’alienante e purché non si prolunghi il divieto aggiuntivo oltre i 5 anni Il divieto resta comunque applicabile sia nel caso di vendita volontaria sia nel caso di vendita coattiva, qualora l’imprenditore venga sottoposto a liquidazione giudiziale. CASI CONTROVERSI: Casi 2 e 3 ➔ In questi casi non vi è stato trasferimento di azienda. Tuttavia, in sede di divisione ereditaria o nello stabilire la quota di liquidazione spettante a ciascun socio si tiene di regola conto del valore di avviamento dovuto alla clientela, dunque non sarebbe senza fondamento l’applicazione di tale divieto. Caso 4 ➔ Vendita dell’intera partecipazione sociale o di una partecipazione sociale di controllo di una società di persone o di capitali. Il negozio traslativo non ha per oggetto l’azienda, che formalmente resta della società. Tuttavia, la vendita di tali pacchetti permette di raggiungere un risultato economico sostanzialmente coincidente con la vendita dell’azienda. Di conseguenza anche in questo caso non risulterebbe infondata l’applicazione del divieto in questione, dal momento che il socio acquirente potrebbe dare inizio ad attività idonea a determinare uno sviamento della clientela. SUCCESSIONE NEI CONTRATTI AZIENDALI Per assicurarsi che venga mantenuta l’unità economica dell’azienda ceduta, viene prevista una agevolazione dell’acquirente nella trama dei rapporti contrattuali in corso di esecuzione che l’alienante ha stipulato con fornitori, finanziatori, lavoratori e clienti per assicurarsi i fattori produttivi necessari allo svolgimento dell’attività di impresa. La ratio è che l’acquirente sia interessato a tale subentro. Per far sì che ciò avvenga, il legislatore prevede alcune deroghe alla disciplina generale della cessione dei contratti, la quale prevede invece che occorra il consenso del contraente ceduto (massima tutela del terzo). Nella cessione di azienda, come da articolo 2558: 1. Il trasferimento dei contratti nel caso di cessione di azienda NON necessita di una espressa pattuizione alienante-acquirente se non è pattuito diversamente l’acquirente dell’azienda subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere personale. L’espressa pattuizione diventa necessaria solo nel momento in cui si opti per l’esclusione della successione in uno o più contatti in corso di esecuzione, altrimenti il trasferimento dei contratti è automatico. 2. Il trasferimento può avvenire senza che vi sia il consenso del terzo contraente. Egli può recedere dal contratto entro 3 mesi dal trasferimento, solo se sussiste giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità dell’alienante. L’effetto successorio in questo caso si produce ex lege con il trasferimento dell’azienda. Il terzo può comunque recedere entro 3 mesi dal vincolo contrattuale, il quale può essere validamente esercitato solo in presenza di una giusta causa ➔ spetta al terzo dimostrare che l’acquirente si trova in una situazione oggettiva (personale, patrimoniale o aziendale) che non gli garantisce la regolare esecuzione del contratto, il quale a partire da quel momento verrà estinto. Egli potrà comunque chiedere un risarcimento ai danni dell’alienante qualora riesca a provare che questi non ha osservato la giusta cautela nella selezione dell’acquirente in questione. ➔ il Codice civile favorisce dunque l’acquirente, benché tali deroghe non siano valide in caso di contratti in corso di esecuzione che abbiano carattere per

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